C'era una volta il West di Sergio Leone di Roberto Donati

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I MIGLIORI FILM DELLA NOSTRA VITA Collana diretta da Enrico GiacovElli

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C’ERA UNA VOLTA IL WEST [ 1968 ] DI

SERGIO LEONE ROBERTO DONATI

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C’ERA UNA VOLTA IL WEST DI SERGIO LEONE

Leone

Cognome Nome

Sergio

nato il

3 gennaio 1929

a

Roma

morto il a per

30 aprile 1989

Roma infarto

sepolto a

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Pratica di Mare (RM)

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LA CARTA D’IDENTITÀ DEL REGISTA

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FilmograFia (regie)

Gli ultimi giorni di Pompei, 19591 Il colosso di Rodi, 1961 Per un pugno di dollari, 1964 Per qualche dollaro in più, 1965 Il buono, il brutto, il cattivo, 1966 C’era una volta il West, 1968 Giù la testa, 1971 Il mio nome è Nessuno, 1973 2 C’era una volta in America, 1984

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Accreditato soltanto come regista della seconda unità, mentre in realtà ha diretto buona parte del film (firmato poi da Mario Bonnard). 2

Non accreditato, ha diretto varie scene del film, firmato poi dal solo Tonino Valerii.

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C’ERA UNA VOLTA IL WEST DI SERGIO LEONE

C’ERA UNA VOLTA IL WEST (1968)

regia: Sergio Leone; soggetto: Dario Argento, Bernardo Bertolucci, Sergio Leone; sceneggiatura: Sergio Donati, Sergio Leone; fotografia: Tonino Delli Colli (Techniscope, Technicolor); musica: Ennio Morricone, diretta dall’autore; suono: Claudio Maielli; montaggio: Nino Baragli; scenografia e costumi: Carlo Simi; trucco: Alberto De Rossi; arredamento: Carlo Leva; aiuto regia: Giancarlo Santi. interpreti e personaggi: Claudia Cardinale (Jill McBain), Henry Fonda (Frank), Charles Bronson (Armonica), Jason Robards (Manuel “Cheyenne” Gutiérrez), Gabriele Ferzetti (Morton), Paolo Stoppa (il trapper Sam), Woody Strode (Stony, il killer di colore del prologo), Jack Elam (Snaky, il killer che duella con la mosca nel prologo), Al Mulock (Knuckles, il killer che si tormenta le mani nel prologo), Marco Zuanelli (Wobbles), Keenan Wynn (sceriffo di Flagstone), Frank Wolff (Brett McBain), Enzo Santaniello (Timmy McBain), Simonetta Santaniello (Maureen McBain), Lionel Stander (barista), John Frederick (gregario di Frank), Fabio Testi (membro della banda di Frank), Benito Stefanelli (membro della banda di Frank), Spartaco Conversi (membro della banda di Frank a cui Cheyenne spara attraverso lo stivale), Aldo Sambrell (membro della banda di Cheyenne), Dino Mele (Armonica bambino), Claudio Mancini (fratello maggiore di Armonica bambino), Raffaella e Francesca Leone (ragazze alla stazione di Flagstone), Luana Strode (donna indiana nel prologo), Aldo Berti, Livio Andronico, Salvo Basile, Bruno Corazzari, Conrado Sanmartin, Luigi Ciavarro, Renato Pinciroli, Ivan G. Scratuglia, Paolo Figlia, Stefano Imparato, Frank Leslie, Luigi Magnani, Umberto Marsella,

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LA CARTA D’IDENTITÀ DEL FILM

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Enrico Morsella, Tullio Palmieri, Sandra Salvatori, Claudio Scarchilli, Michael Harvey, Marilù Carteny 1. origine: Italia / Stati Uniti. produzione: Bino Cicogna per Rafran Cinematografica e San Marco Films (produttore esecutivo: Fulvio Morsella). esterni: Almería e Guadix (Spagna), Arizona e Utah (Stati Uniti). distribuzione: Euro International Films / Paramount. prima proiezione: 21 dicembre 1968. durata cinematograFica: 175’ minuti (versione italiana integrale restaurata [director’s cut]); 167’ (versione italiana originale); 165’ (versione americana); 164’ (versione francese); 159’ (versione spagnola); 144’ (versione inglese). Formato: 2.35:1

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Principali doppiatori dell’edizione italiana: Rita Savagnone (Jill), Nando Gazzolo (Frank), Carlo Romano (Cheyenne), Giuseppe Rinaldi (Armonica), Bruno Persa (Snaky), Oreste Lionello (Wobbles), Pino Locchi (tenente della banda di Frank), Stefano Sibaldi (sceriffo), Corrado Gaipa (Brett), Cesare Polacco (barista).

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Claudia Cardinale – Jill McBain

Charles Bronson – ‘’Armonica’’

Jason Robards – ‘’Cheyenne’’

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LA CARTA D’IDENTITÀ DEL FILM

Henry Fonda – Frank

Lionel Stander – Barista

Paolo Stoppa – Sam

Gabriele Ferzetti – Morton

Frank Wolff – Brett McBain

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Enzo Santaniello – Timmy

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plot C’era una volta nel lontano Ovest, nei pressi della città di Flagstone... L’affarista Morton (gabriele ferzetti) si mette in società con lo spietato killer Frank (Henry fonda) e con la sua banda di fuorilegge per impossessarsi del terreno di Sweetwater, l’unico della zona – come testimonia il nome – ad avere una sorgente d’acqua: appartiene al caparbio irlandese Brett McBain (frank Wolff) e vi passerà la ferrovia, di cui lo storpio Morton è il magnate finanziatore, che collegherà la costa atlantica con quella del Pacifico. Così, la fattoria che sorge al centro di Sweetwater, costruita con le proprie mani da McBain, diventa il teatro drammatico degli eventi. In città, nel frattempo, è arrivato un enigmatico forestiero, soprannominato Armonica (cHarles bronson) per il vezzo di suonare quello strumento, che intende vendicarsi di un torto subito molti anni prima da parte di Frank. E arriva da New Orleans, carica di valigie e di aspettative, anche l’ex prostituta Jill (claudia cardinale), che poco tempo prima ha sposato in segreto McBain e che sogna, grazie a lui, di poter cambiare vita e allevare una famiglia come si deve. Ad aspettarla però non sono il neo-coniuge e i suoi due figli di primo letto, bensì le loro esequie: qualcuno ha sterminato la piccola famiglia. Anche il bandito Cheyenne (Jason robards), sfuggito alla giustizia, finisce per girovagare intorno al ranch, da una parte attratto dalle forme opulente della donna e dall’altra invischiato negli intrighi ferroviari che lo portano comunque a stare, come Armonica, dalla sua parte. Jill, ora proprietaria del terreno su cui sorgerà una stazione ferroviaria e la relativa città circostante, è insidiata da Frank (è lui ad avere sterminato il suo sposo e la sua famiglia), che la costringe a mettere la proprietà all’asta perché possa essere acquistata da lui a un prezzo irrisorio. Ma è Armonica, che veglia su di lei e sembra sempre sapere tutto di tutti, ad accaparrarselo con i soldi della taglia di Cheyenne (che, forse in combutta con lui, riuscirà comunque a tornare di nuovo libero).

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LA CARTA D’IDENTITÀ DEL FILM

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Frank ha perso la fiducia di Morton e, grazie al provvidenziale e imprevisto aiuto di Armonica, scampa all’attentato di alcuni suoi tagliagole; ma capisce che è giunto il momento del confronto e della rivelazione. Armonica lo uccide in duello, non prima di avergli fatto capire chi è e perché lo ha cercato con tanta ostinazione; poi, compiuta la propria missione, se ne va. Cheyenne e i suoi uomini, nel frattempo, hanno fatto fuori Morton, già minato dalla tubercolosi ossea; ma il bandito, ferito mortalmente dall’infermo tycoon, muore subito dopo. A Sweetwater resta soltanto Jill: mentre aspetta l’arrivo del primo treno, la donna segue l’ultimo consiglio di Cheyenne e porta acqua insieme a un po’ di conforto e calore femminile agli uomini che, fuori, lavorano per lei e per costruire la nuova città, il nuovo Paese.

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INTRODUZIONE

È l'inverno del 1993, a memoria diresti febbraio. Non hai ancora tredici anni e sei in seconda media: a scuola vai bene, ma di recente ti è presa un'ubbia strana, una forma di agitazione, o piuttosto di irrequietudine. Insomma, non è che la scuola ti piaccia più tanto. Alle lezioni e ai professori preferisci la compagnia degli amici: hai stretto, anche per spirito di sopravvivenza, un legame con i “bulli” della tua classe, quest’anno, e con loro ti diverti. Sei diventato un po’ bullo anche tu. Prendi in giro il compagno che, fino all’altro ieri, era stato il tuo migliore amico delle elementari; chiacchieri e ridi tutto il tempo; ti diverti a sganciare peti silenziosi per vedere, e sentire, l’effetto che fanno – di recente hai letto IT di Stephen King e lì lo fanno in continuazione, ti sarai detto fra te e te per autoassolverti. Ti senti cambiato? Ti senti diverso? Ti senti meno te stesso? No. Anzi: ti diverti, forse come mai prima di allora, risulti divertente, sei apprezzato; in fondo, non sei diventato cattivo, o un teppista, o un ribelle, solo un ragazzino della sua età un po’ più vivace. Tutto qui. Chi nasce rana, del resto, poi ci muore anche, rana. Ai colloqui con i genitori, invece, per la prima volta, più o meno tutti i professori dicono che quest’anno sembri un altro, sembri uno scorpione, sei cambiato, sei peggiora-

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to, così non va bene... Però poi i voti sono buoni, magari non ottimi come l’anno precedente, ma decisamente buoni, e nemmeno loro forse sanno come prenderti, o sanno bene cosa dire ai tuoi. Lo stereotipo del «è intelligente (o sveglio), ma non si applica» non funziona, e nemmeno quello dello «studia anche, ma non riesce». No, qui funziona solo quello del «sì, ma...», o del «va tutto bene, però...». Però c’è che a volte la scuola può essere noiosa, senza doverne fare per forza un dramma, ma così è. Non è male annoiarsi, in fondo: o impari a stare meglio con te stesso o trovi delle alternative, delle strategie. Cresci, in ogni caso. E poi, adesso, hai una nuova grande passione: il cinema, e in particolare i film dell’orrore. A casa tua, per fortuna, di televisione se ne è sempre vista poca, ma di film belli se ne sono sempre visti tanti: già a questa età puoi vantare nel tuo carnet tanti Hitchcock, qualche Kubrick, forse un paio di Bergman, un Kurosawa, e poi film per ragazzi, cartoni animati, molti western, sicuramente Il padrino dato che è il film preferito di tuo padre, e così via. Tanti film, tanti generi, tanti autori, insomma, ma di horror ben pochi. Benché una delle tue zie materne si guardi tutti gli horror di questo mondo per poi raccontarveli, a voi nipoti, e incantarvi nel suo modo unico e affabulatorio, la Commissione Censura costituita da tua madre (tua madre e tua madre, e solo dopo tuo padre) non li lascia passare facilmente o volentieri. Crede, forse, che tu possa ancora confondere la finzione con la realtà, e spaventarti o turbarti. Naa. Si sbaglia – come quasi sempre le donne, scoprirai molto più avanti, quando applicano a loro stesse e anche agli uomini il criterio dell’emotività nella scelta o nel giudizio di un’opera d’arte. Ma così è. Fatto sta che, quando invece vedrai La donna che visse due volte di Hitchcock e Le iene di Tarantino (questi passati indenni dalle maglie del visto censura perché di genere “giallo” o “gangster” e in ogni caso film realistici e non fumisterie strane), sì

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che ti spaventerai. Perché il primo ti segnerà a vita, e ancora oggi è il tuo film perturbante per eccellenza e uno dei tuoi preferiti, l’unico che non ti ha fatto dormire tante notti; e perché il secondo, proprio perché realistico, non ti sembrerà appunto un gioco, una palese finzione, una vistosa infrazione al codice di regole della realtà, e ti inquieterà. Gli horror, dunque. Gli horror di cui i tuoi compagni, specie quelli bocciati e dunque più grandi, ti fanno venire sempre più voglia; gli horror di cui parlare con loro in ogni momento, durante le lezioni, all’intervallo, nelle telefonate pomeridiane; gli horror di cui scrivere e riscrivere sul diario, ossessivamente, titolo, regista, attori, la “carta d’identità”; gli horror da scoprire, riscoprire, vedere, rivedere, di nascosto dai tuoi genitori, al riparo della censura, ovvero – essendo i tuoi andati in pensione piuttosto presto ed essendo costantemente a casa – a casa degli amici, dove invece i genitori non ci sono perché ancora lavorano. La scoperta, collettiva ma poi individuale, del Male, del sangue (così importante specie per noi maschi, non dotati del sangue reale del flusso mestruale), delle brutture del mondo, del fatto che spesso nemmeno il sogno può essere una via di fuga (Nightmare) e allora tocca rimboccarsi le maniche nella realtà per andare avanti, per sopravvivere, per vivere proprio. Gli horror come catarsi, allora, inconsapevolmente parlando, ovvio, o come edificatori di un senso di responsabilità (se sgarri, se non segui le regole, se vuoi fare troppo di testa tua, finisci sempre male: freddo, orizzontale, stecchito) o di un senso del perturbante, dell’angosciante, dell’inquietante, come palestra per reggere ciò che di perturbante c’è davvero là fuori, qua fuori, qui e ora. Gli horror su cui interrogarsi, la mattina dopo, tra un «hai fatto l’esercizio di mate?» e un «ti sono riusciti i compiti di grammatica?». Non potevano, quelle domande dogmatiche, reggere il confronto con queste altre, pure e liberatorie: Hai visto La casa? Se-

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condo te, se combattessero, chi vincerebbe tra Freddy e Jason? (Anni dopo, Hollywood darà spesso una risposta a queste ingenue, annose e bellissime questioni – risposte spesso indegne di questo nome e della tua immaginazione.) A te piace più Carpenter o Craven? Tu quale preferisci fra i Venerdì 13? Certo, che fica che è Tina nel primo Nightmare! Ci si interrogava, ci si appassionava, si litigava, ci si conosceva meglio. Si buttava spesso e volentieri, in mezzo, l’aspetto sessuale, sboccato, triviale, grazie alla potenza degli ormoni che si stavano liberando in noi, e cogliendo peraltro un nesso sottile e intrigante: la meccanica ripetitiva di certi horror è o può essere identica a quella di certi porno. Domande in ogni caso solo apparentemente infantili, ché in realtà mettevano in moto le prime conoscenze di analisi di un testo, le prime competenze stilistiche e linguistiche, magari non applicate ai testi scritti e alla letteratura, bensì al cinema: e che cambia? Sviluppavano un certo senso critico, più o meno raffinato, e anche certe capacità dialettiche: in fondo, il tentativo era sempre quello di convincere l’altro che tu avessi ragione, che il tuo punto di vista fosse il migliore. Il cinema horror, ma in generale il cinema, ecco: come spazio di frontiera su cui convergere, entro cui duellare, tramite cui vincere o essere sconfitti. Più semplicemente, forse, secondo quelle famose parole che poi scoprirai essere di Samuel Fuller, “emozionarsi”, e dunque sentirsi vivi, e dunque essere vivi. Vivi tutti insieme, poi: contemporaneamente; e appassionatamente. È l'inverno del 1993, a memoria diresti febbraio. Non hai ancora tredici anni e sei in seconda media: dei molti western visti in casa, e di cui è appassionato principalmente tuo padre (sull'ereditarietà prettamente per linea maschile del genere western prima o poi qualcuno ci dovrà scrivere qualcosa...), molti sono sicuramente di John

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Ford, ma altrettanti sono di Sergio Leone. Sergio Leone. Un nome rotondo e pieno, già foneticamente, che ti è sempre piaciuto. Un nome popolaresco, artigianale, ruspante, che sa di cose buone e genuine. Nome e cognome corti, brevi, secchi ma non spigolosi e contratti, più o meno della stessa lunghezza ma non ripetitivi, che creano armonia tra loro, ritmo, musica. Pronunciati insieme, o separatamente, suonano sempre bene. Danno un’idea di familiarità, di qualcuno che potrebbe essere della tua stessa famiglia, profumano di intimità. E intimi, domestici, buoni per ogni stagione e per ogni sera sono i suoi film, quelli almeno che conosci, che poi sono tre o quattro: la “trilogia del dollaro” e Giù la testa, che è più adulto nei temi e negli esiti, e che non a caso scoprirai solo poi appartenere più a una seconda, ideale trilogia, quella “del tempo”, o “della nostalgia”, o del “c’era una volta”, che in fondo mantiene però un suo spirito picaresco, fracassone, che la avvicina anche, o di nuovo, ai primi folgoranti film. Quei primi tre, appunto, che a dodici anni hai sicuramente visto e rivisto già innumerevoli volte: c’è violenza, sì, ma la mamma li permette. Perché, ti chiederai più avanti? Semplice, forse: la loro è la violenza – rassicurante, confortante: alla fine un senso di giustizia, seppur latente, seppur ambiguo, trionfa – dei cartoon, che non fa veramente paura, anche se qui le persone muoiono sul serio, e che è sempre uguale a se stessa. Ci si spara, ci si rialza, a volte no, ma magari nel film successivo sì, o si ritorna sotto forma di altro personaggio, non identico ma molto simile, riconoscibile, di nuovo “familiare” ecco, leoniano dunque, e così via. Sono duelli veri, sì, e si muore sul serio, sì, ma tutto sembra un gioco. A tal punto che, in uno di questi tre primi film, c’è un duello che è davvero un gioco, e Leone lo sa bene, anzi ne è così consapevole che, furbacchione, ce lo ha messo apposta. Perché così, senza dircelo esplicitamente, capiamo anche da soli che

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quei bambini che di nascosto si appostano a osservare questo strano duello, questo gioco in cui gli sfidanti curiosamente “fanno come noi” (noi bambini cioè), siamo noi, noi spettatori, più o meno adulti, e il principio dell’immedesimazione è perfetto, rotondo, familiare. Familiare come il nome di chi l’ha creato: Sergio Leone. Leoniano, di nuovo. C’è violenza, dunque, ma questi tre strani imperfetti stupefacenti film passano il visto di censura materno, forse anche grazie alla spinta (oggi si direbbe endorsement: che brutto l’oggi) paterna. Vuoi perché, oltre alla violenza, c’è anche divertimento, tanto divertimento; vuoi perché pure questi, come gli horror, diventano oggetto e soggetto attivo di citazioni, filiazioni, riferimenti – tanto in casa quanto fuori; o vuoi perché il meccanismo è facile e archetipico: è quello del gioco tra guardia, o guardie, e ladri, in un mondo dove però tutti ambiscono a fare i ladri e per cui, di conseguenza, ci saranno semmai dei ladri più ladri e dei ladri meno ladri. Questo è il nocciolo, il cuore, il segreto forse più semplice e insieme più profondo di quei primi film. Cercare di vincere come vincerebbero (o dovrebbero vincere, in un mondo ideale) i buoni, essendo però di base ladri, cioè cattivi, dunque più affascinanti, più misteriosi, più irrealizzabili nella realtà fattuale, ovvero più desiderati. Tre film, dicevi, che più o meno sai già allora a memoria, e non tu solo: la memoria dei film di Leone è più che individuale, è forse una memoria storica, collettiva, junghiana. Si nasce e già si sanno a memoria i film di Leone, battuta dopo battuta, immagine icastica dopo immagine icastica. Le sentenze di Sentenza, il turpiloquio di Tuco, la dolceamarezza di Douglas Mortimer, l’affilata taciturnità di “Joe”, del Monco, del Biondo Buono, tre sfaccettature dello “straniero senza nome”, tre sfaccettature di una tipologia di italiano ben riconoscibile e ben funzionante nel cinema: il romano. Vedi un’inquadratura tagliata sotto il triangolo divaricato delle gam-

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