Il cinema di Ingmar Bergman di Roberto Chiesi

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IL CINEMA DI

INGMAR BERGMAN

N.B. Fino a diversa indicazione (ossia fino all’attuale pagina 18 del capitolo IV) si può stampare in bianco e nero. Salvo che nel gioco dei sedicesimi “avanzi” la disponibilità di ulteriori pagne a colori: nel qual caso alcune immagini anche dei primi 4 capitoli potrebbero essere stampate a colori.


«CineAlbum» Monografie di cinema e spettacolo per la scuola e l’università Collana diretta da Enrico GiacovElli


Roberto Chiesi

IL CINEMA DI

INGMAR BERGMAN


A Giorgia, con amore.

Un caloroso ringraziamento a Enrico Giacovelli, che ha seguito la lunga e appassionante impresa di questo libro con una competenza, un’intelligenza, una sollecitudine e un’amichevole lealtà che sono state stimolanti e risolutive in molte occasioni. Gli sarò sempre riconoscente di avere creduto in questo lavoro. Grazie anche all’editore Gianni Gremese non soltanto per la fiducia e la pazienza ma anche perché è sempre stato disponibile al dialogo anche quando la pensava in modo opposto. Il che è raro. Ringrazio anche per consigli e suggerimenti Luciano De Giusti e Tomaso Subini. Infine grazie a un assente, che mi manca dolorosamente: a mio padre Romano per avermi consigliato di vedere Il posto delle fragole una sera di giugno del 1979. Una sera che non dimenticherò mai.

Copertina: Francesco Partesano In copertina: In alto, Il settimo sigillo (1956); al centro, Fanny & Alexander (1982). Fonti iconografiche: La gran parte delle immagini è tratta da fotogrammi delle pellicole citate. Quanto alle altre foto, per quanto possibile l’Editore ha cercato di risalire al nome del loro autore così da darne la doverosa menzione, ma le ricerche si sono rivelate infruttuose. Nel chiedere dunque scusa per qualunque eventuale omissione, l’Editore si dichiara disposto sin d’ora a revisioni in sede di eventuali ristampe e al riconoscimento dei relativi diritti ai sensi dell’art. 70 della legge n. 633 del 1941 e successive modifiche. Stampa: Peruzzo Industrie Grafiche – Mestrino (PD) 2018 © Gremese International s.r.l.s. – Roma Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978-88-6692-024-3


Il mondo è una tana di ladroni, e la notte sta per calare. Il male strappa le catene e vaga nel mondo come un cane impazzito, e tutti ne siamo contaminati: noi Ekdahl come qualsiasi altra persona. Nessuno vi sfugge. [...] La vita è fatta così: è questo il motivo per cui dobbiamo essere felici quando siamo felici, ed essere gentili, generosi, teneri, buoni. Proprio per questo motivo è necessario e tutt’altro che vergognoso essere felici, gioire di questo piccolo mondo: della buona cucina, dei dolci sorrisi, degli alberi da frutta che sono in fiore, o anche di un valzer... Gustav Adolf Ekdahl / Jarl Kulle in Fanny & Alexander (1982).



Introduzione «Forse Alexander ha dormito qualche attimo, forse continua a dormire, può darsi che questo sia un sogno. Potrebbe anche essere che abbia soltanto chiuso gli occhi, che tutto quello che sta per accadere non sia affatto una fantasia o un sogno, ma realtà»1. Sono le parole con cui Ingmar Bergman, nella sceneggiatura di Fanny & Alexander, introduce la sequenza in cui il piccolo protagonista si smarrisce nella casa-labirinto di Isak Jacobi e incontra il burattinaio e mago Aron Retzinsky, che a sua volta lo conduce dal misterioso fratello Ismael, né uomo né donna, ritenuto pericoloso per i suoi oscuri poteri e quindi alloggiato in un appartamento segreto. Quando, su sollecitazione di Ismael, Alexander scrive il suo nome su un foglio di carta, scopre che ha vergato invece il nome dell’altro: Ismael Retzinsky. «Forse siamo la stessa persona». Nell’atmosfera incantata di un racconto dove il sogno e la realtà coincidono, Bergman risolve il conflitto tra due individualità, i due io che si confrontavano nella spietata specularità di Persona. Ma questa conciliazione prelude al compimento di un disegno atroce che da tempo covava in Alexander (liberarsi del patrigno demoniaco, il vescovo Vergerus): quasi alchemicamente l’odio si converte in un’energia che determina una serie di accadimenti a causa dei quali Vergerus trova una morte accidentale e orribile. Pochi autori hanno saputo penetrare come Bergman nel magma delle pulsioni rivelanti l’essenza palpitante, cruda, nuda dell’essere umano, che convive in modo contraddittorio con ogni suo sentimento, luce e miseria, in un mélange indissolubile. Seguendo il prediletto Strindberg del Sogno, l’autore del Posto delle fragole ha adottato il cinema come strumento privilegiato per evocare spregiudicatamente l’onirico, cercando le chiavi per rappresentarlo non come dimensione scissa dal reale ma nel corpo stesso della realtà: «Nessun’altra arte come il cinema va direttamente ai nostri sentimenti, allo spazio crepuscolare nel profondo della nostra anima, sfiorando soltanto la nostra coscienza diurna. Un nulla del nostro nervo ottico, uno shock: ventiquattro quadratini illuminati al secondo, e tra di essi il buio»2. Da Crisi (1946) a Sarabanda (2003), lungo sette decenni, Bergman ha creato un’opera-continente che fra cinema e televisione consta di quasi settanta film, 1 2

Ingmar Bergman, Fanny e Alexander. Un romanzo, Ubulibri, Milano 1987, p. 127. Ingmar Bergman, Lanterna magica, Garzanti, Milano 1987, p. 71.

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Il cinema di Ingmar Bergman senza parlare delle sue magistrali regie teatrali e della sua pregevole opera di narratore e drammaturgo che questo volume, dedicato esclusivamente al suo cinema, non può contemplare. Il regista svedese ribadì più di una volta, nelle interviste, che «ogni film corregge il precedente». Sottometteva ogni esperienza cinematografica a una spietata autocritica e alle riflessioni estetiche da cui traeva nutrimento il film successivo: dalle sofferte lacerazioni religiose dei film degli anni Cinquanta alla “liberazione” da Dio all’inizio dei Sessanta, dai film-laboratorio e dalle fenomenologie dei volti svelati nei lunghi racconti degli anni Settanta fino alla summa visionaria di Fanny & Alexander (1982), e poi ancora, dopo un apparente congedo, i bellissimi telefilm dal 1984 al 2003, generati da antichi drammi familiari. Una continua tensione a mettersi in discussione e a superare se stesso lo ha indotto a sperimentare nuove, audaci forme linguistiche e narrative, nel dominio dell’estetica visiva, luministica e sonora di «un’illusione progettata fin nei minimi dettagli, lo specchio di una realtà che quanto più vivo, tanto più mi appare illusoria».

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Biofotogrammi

1918 – Ernst Ingmar Bergman nasce il 14 luglio nell’ospedale universitario di Uppsala (Svezia). È il secondo figlio del pastore luterano Erik Bergman e di Karin Åkerblom, provienente da una famiglia altoborghese. Il fratello maggiore, Dag, era nato nel 1914; la sorella Margareta nascerà nel 1922. 1920 – La famiglia si trasferisce a Stoccolma. 1928 – Visita per la prima volta l’Opera Reale. 1930 – Gli viene regalato il primo proiettore cinematografico.

Erik Bergman e Karin Åkerblom, i genitori di Ingmar.

1934 – In estate trascorre un mese nella Germania nazista. 1937 – Inizia gli studi universitari di letteratura e storia dell’arte. 1938 – Presta servizio militare a Strängnäs. Dirige i primi spettacoli amatoriali al Mäster-Olofsgården di Stoccolma. 1939 – Diventa assistente di produzione all’Opera Reale. Ha una breve relazione con la giornalista e poetessa Karin Lannby.

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Ingmar bambino.


Il cinema di Ingmar Bergman 1940 – Diviene regista presso lo Studentteatern di Stoccolma e abbandona gli studi. 1942 – Scrive la pièce teatrale Kasper Död [La morte di Kasper] che mette in scena allo Studentteatern di Stoccolma il 24 settembre. 1943 – Inizia a lavorare come sceneggiatore per la Svensk Filmindustri. A marzo sposa la ballerina, coreografa e scrittrice australiana Else Fisher e a dicembre nasce la loro figlia Lena. Scrive la pièce Tivolit, che mette in scena allo Studentteatern di Stoccolma il 19 ottobre.

Karin Lannby.

1944 – Il 2 ottobre esce il primo film da lui scritto, Tormento di Alf Sjöberg (per cui gira anche alcuni esterni). Viene nominato direttore artistico dello Stadsteater di Helsingborg, dove dirige un Macbeth in chiave antinazista. 1945 – Esordisce nella regia cinematografica con Crisi. Scrive la pièce Jack hos skådespelarna [Jack tra gli attori]. Divorzia da Else Fisher e sposa l’attrice, regista e coreografa Ellen Lundström, da cui avrà due figlie, Eva (1945) e Anna (1948), e due figli, Jan (1946) e Mats (1948). La sua regia del Pellicano di Strindberg inaugura l’Intiman dello Stadsteater di Malmö. 1946 – Assume il ruolo di direttore stabile dello Stadsteater di Göteborg con il Caligola di Albert Camus. Gira il suo secondo film, Piove sul nostro amore. Scrive la pièce Rakel och biografvaktmästaren [Rakel e la maschera del cinema] che mette in scena all’Intiman di Malmö il 12 settembre.

Else Fisher.

1947 – Scrive la pièce Il giorno finisce presto, che mette in scena allo Stadsteater di Göteborg il 12 gennaio, e la pièce Mig till skräck [Con mio terrore], che allestisce nello stesso teatro il 26 ottobre. Gira La terra del desiderio e Musica nel buio. 1948 – Scrive la pièce Kamma Noll [Far fiasco]. Gira Città portuale. 1949 – Conclude le riprese di Prigione. Scrive la pièce Joakim Naken [Joakim nudo] e dirige a teatro La selvaggia di Anouilh e Un tram che si chiama desiderio di Williams. Trascorre tre mesi a Parigi dove vive un’avventura extraconiugale con la giornalista Gun Hagberg. Il 14 luglio la Radiotjänst trasmette la versione radiofonica di Kamma Noll diretta da lui stesso. Dirige Sete e Verso la gioia.

Ellen Lundström.

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Biofotogrammi 1950 – Gira Un’estate d’amore e Ciò non accadrebbe qui. Divorzia da Ellen Lundström. Allestisce Divine parole di Ramón del Valle-Inclán allo Stadsteater di Göteborg e L’opera da tre soldi di Brecht all’Intima di Stoccolma. 1951 – In difficoltà economiche, accetta di realizzare nove spot pubblicitari del sapone Bris. Sposa Gun Hagberg da cui ha un figlio, Ingmar. 1952 – Gira Donne in attesa e Monica e il desiderio. Viene nominato direttore artistico dello Stadsteater di Malmö. Scrive la pièce Mordet i Barjärna [Assassinio a Barjärna], che mette in scena all’Intiman del Mälmo Stadsteater il 14 febbraio. Intraprende una relazione con l’attrice Harriet Andersson.

Gun Hagberg.

1953 – Gira Una vampata d’amore e Una lezione d’amore. Allestisce Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello e Il castello di Kafka per l’Intiman. 1954 – Gira Sogni di donna. Scrive la pièce Pittura su legno; il 24 settembre la Radiotjänst ne trasmette la versione radiofonica, da lui stesso diretta. Allestisce La sonata degli spettri di Strindberg e La vedova allegra di Lehár allo Stadsteater di Malmö. 1955 – Dirige il Don Giovanni di Molière all’Intiman. Gira Sorrisi di una notte d’estate. Inizia una relazione con l’attrice Bibi Andersson. 1956 – Sorrisi di una notte d’estate viene selezionato in concorso al ix Festival di Cannes e vince un premio per il suo «umorismo poetico»: è la prima affermazione internazionale del regista. In soli 36 giorni realizza Il settimo sigillo. Allestisce La gatta sul tetto che scotta di Williams ed Erik xiv di Strindberg allo Stadteater.

Harriet Andersson.

1957 – Allestisce Peer Gynt di Ibsen e Il misantropo di Molière allo Stadsteater di Malmö. Ottiene con Il settimo sigillo il premio speciale della giuria al Festival di Cannes. Gira Il posto delle fragole e Alle soglie della vita. Inizia una relazione – che sarà lunga ma non continuativa, prima di sfociare molti anni dopo in un matrimonio – con Ingrid von Rosen. 1958 – Ottiene l’Orso d’oro al Festival di Berlino con Il posto delle fragole e il premio per la miglior regia al Festival di Cannes con Alle soglie della vita. Gira Il volto. Allestisce l’Urfaust di Goethe a Malmö.

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Bibi Andersson (foto di scena da Il posto delle fragole).


Il cinema di Ingmar Bergman Con Käbi Laretei nel 1959.

1959 – Mette in scena Sagan di Hjalmar Bergman a Parigi e Londra. Gira La fontana della vergine. Chiude la relazione con Bibi Andersson, divorzia da Gun Hagberg e il 1° settembre sposa la pianista Käbi Laretei da cui avrà, nel 1962, il figlio Daniel. Nasce Maria, figlia “segreta” del regista e di Ingrid von Rosen (saprà la verità soltanto molti anni dopo). Il volto ottiene il premio speciale della giuria alla Mostra di Venezia. Gira L’occhio del diavolo. 1960 – Gira Come in uno specchio. 1961 – La fontana della vergine ottiene l’Oscar per il miglior film straniero. Diviene consulente artistico della Svensk Filmindustri. Dirige La carriera di un libertino di Auden e Stravinskij all’Opera Reale di Stoccolma. 1962 – Conclude le riprese di Luci d’inverno. Come in uno specchio ottiene l’Oscar per il miglior film straniero. Gira Il silenzio. Con Liv Ullmann nel 1968.

1963 – Viene nominato direttore del Dramaten di Stoccolma. Gira A proposito di tutte queste... signore. 1964 – Allestisce al Dramaten una Hedda Gabler (Ibsen) di grande successo. 1965 – Contrae una grave infezione virale che gli impedisce di mettere in scena un Flauto magico ad Amburgo. Gira Persona. Inizia una relazione con l’attrice norvegese Liv Ullmann, da cui l’anno dopo avrà

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Biofotogrammi una figlia, Linn. Viene insignito del premio Erasmus, exaequo con Charlie Chaplin. 1966 – Realizza il suo episodio di Stimulantia. Si dimette dal Dramaten di Stoccolma dopo una messinscena de L’istruttoria di Weiss. Muore sua madre Karin. Gira L’ora del lupo. Divorzia da Käbi Laretei. Fa costruire una grande abitazione sull’isola di Fårö dove va a vivere con Liv Ullmann. 1967 – Fonda una società di produzione, Persona AG, in Svizzera. Gira Il rito e La vergogna. Allestisce Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello a Oslo. 1968 – Gira Passione. Fonda una società di produzione, Cinematograph AB, in Svezia. Porta Hedda Gabler all’Aldwych Theatre di Londra.

La casa sull’isola di Fårö.

1969 – Dirige il Woyzeck di Büchner per il Dramaten. Gira per la tv il documentario Fårö-Dokument. Si separa da Liv Ullmann. Breve relazione con l’attrice Malin Ek. 1970 – La sua messa in scena del Sogno di Strindberg per il Dramaten riscuote un grande successo e viene portata in tournée in Jugoslavia, Italia e Austria. Muore il padre Erik. Gira L’adultera. 1971 – Gira Sussurri e grida. Viene insignito del premio Irving Thalberg. Sposa Ingrid von Rosen. 1972 - Allestisce L’anatra selvatica di Ibsen al Dramaten. Gira Scene da un matrimonio. Progetta una sontuosa versione cinematografica della Vedova allegra di Lehár, con Barbra Streisand, che non verrà mai realizzata.

Con Ingrid von Rosen nel 1971.

1973 – Allestisce Sonata di spettri di Strindberg al Dramaten e Il misantropo di Molière al Det Kongelige di Copenaghen. 1974 – Mette in scena al Dramaten le prime due parti di Verso Damasco di Strindberg. Gira Il flauto magico. 1975 – Gira L’immagine allo specchio. L’Università di Stoccolma gli tributa la laurea honoris causa in filosofia. Dirige La dodicesima notte di Shakespeare al Dramaten. 1976 – Viene accusato di evasione fiscale. Il 21 aprile lascia la Svezia per trasferirsi a Monaco di Baviera, dove firma un contratto con il Residenztheater. È insignito del Premio Goethe. Gira Il ballo delle ingrate e L’uovo del serpente.

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Sul set del Flauto magico.


Il cinema di Ingmar Bergman 1977 – Gira Sinfonia d’autunno. Al Residenztheater allestisce Il sogno. 1978 - Dirige Tre sorelle di Cechov al Residenztheater.

Sul set di Sinfonia d’autunno con Ingrid Bergman.

1979 – Viene assolto dall’accusa di evasione fiscale. Realizza il documentario Fårö-Dokument 1979. Allestisce Tartufo di Molière e Hedda Gabler di Ibsen al Residenztheater, quindi La dodicesima notte al Dramaten (il suo primo spettacolo in Svezia dopo quattro anni). Gira Un mondo di marionette. 1980 – Allestisce a Monaco Iwona, principessa di Borgogna di Gombrowicz. Scrive il dramma in un atto En själsong angelägenhet [Una questione spirituale]. 1981 – Al Residenztheater allestisce Nora und Julie, fusione di Casa di bambola di Ibsen e La signorina Julie di Strindberg. Come terza parte di una trilogia, presenta un adattamento teatrale di Scene da un matrimonio. Inizia le riprese di Fanny & Alexander. 1982 – Conclude le riprese di Fanny & Alexander e annuncia che sarà il suo ultimo film per il cinema.

Sul set di Fanny & Alexander con Erland Josephson.

1983 – Con la regia del Don Giovanni di Molière apre il Festival di Salisburgo. Gira Dopo la prova. 1984 – Fanny & Alexander ottiene quattro Oscar: miglior film straniero, migliore fotografia (Sven Nykvist), migliore scenografia (Anna Asp), migliori costumi (Marik Vos). Dirige Re Lear di Shakespeare al Dramaten. Muore il fratello Dag. 1985 – Torna a stabilirsi in Svezia e dirige Signorina Julie al Dramaten. Riceve la Legion d’Onore francese da François Mitterrand.

Con François Mitterrand per la Legion d’onore.

1986 – Quarta regia del Sogno. 1987 – Pubblica la sua autobiografia, Lanterna magica. Allestisce Amleto e La signorina Julie al National Theatre di Londra.

La prima edizione di Lanterna magica.

1988 – Allestisce Lungo viaggio verso la notte di O’Neill al Dramaten. 1989 – Dirige Madame de Sade di Mishima e Casa di bambola al Dramaten. 1990 – Pubblica il libro Immagini, dove analizza i film che ha realizzato fino a Dopo la prova.

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Biofotogrammi 1991 – Dirige Peer Gynt al Dramaten e Le baccanti in forma di dramma lirico con le musiche di Daniel Börtz all’Opera Reale di Stoccolma. 1993 – Dirige Il tempo e la stanza di Botho Strauss al Dramaten.

La prima edizione di Immagini.

1994 – Allestisce Racconto d’inverno di Shakespeare e Le variazioni Goldberg di George Tabori al Dramaten. 1995 – Dirige per la terza volta Il misantropo al Dramaten. Muore di cancro la moglie Ingrid. 1996 – Allestisce Le baccanti di Euripide al Dramaten. 1997 – Viene insignito con la Palma delle Palme dal festival di Cannes ma non va a ritirarla. 1998 – Dirige I creatori di immagini di Per Olov Enquist al Dramaten. 2000 – Allestisce Maria Stuarda di Schiller e Sonata di spettri di Strindberg. Muore suo figlio Jan. 2002 – Spettri di Ibsen, sua ultima regia teatrale. Dona i propri archivi alla Svenska Filminstitutet che costituisce una fondazione indipendente a suo nome. 2003 – Realizza Sarabanda, il suo ultimo film, che destina alla televisione. Si ritira definitivamente a Fårö. 2004 – Con la figlia Maria pubblica Tre diari, dove raccoglie le pagine diaristiche della moglie malata, della figlia e di se stesso dal 1994 al 1995. 2007 – Muore il 30 luglio a 89 anni, sull’isola di Fårö, dove viene sepolto il 18 agosto.

Con Jan Malmsjö alle prove di Sonata di spettri nel 2000.

La tomba, a Fårö, di Ingmar e Ingrid Bergman. Ingrid Bergman non è la diva hollywoodiana, ma Ingrid von Rosen, l’ultima moglie del regista.

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Il cinema di Ingmar Bergman

Legenda per i cast e credits dei film

[

Film per la tv ] Film per la tv distribuito anche nelle sale cinematografiche ! soggetto e/o sceneggiatura fotografia musica interpreti e personaggi & sinossi foto di scena

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I FILM DI

INGMAR BERGMAN


Il cinema di Ingmar Bergman

Un’estate d’amore (1950-’51).

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1. Giovani ribelli e infelici nell’inferno della realtà Il primo Bergman: da Crisi (1946) a Ciò non accadrebbe qui (1950)

«L'odore di scarpe bagnate, biancheria sporca, sudore e urina aveva impregnato per sempre le pareti e i mobili. Era un'istituzione, un deposito, fondato sulla base di una profana alleanza tra autorità e famiglia. Il fetore disgustoso, perennemente percepibile, era a volte penetrante, a volte soffocava. La classe era una riproduzione in miniatura della società d'anteguerra: apatia, indifferenza, opportunismo, adulazione, prepotenza insieme a qualche incerto spruzzo di rivolta, idealismo e curiosità. […] I metodi d'insegnamento consistevano essenzialmente in punizioni, in premi e nell'instillare la cattiva coscienza. Molti tra gli insegnanti erano nazionalsocialisti, alcuni per stupidità o per l'amarezza di non aver fatto carriera accademica, altri per idealismo ed entusiasmo per l'antica Germania»1. Sembra una pagina della sceneggiatura di Spasimo (Hets, 1944), la prima di Bergman a venire approvata e realizzata dalla Svensk Filmindustri. In realtà è un brano della sua autobiografia e conferma come egli avesse attinto il soggetto da dolorose esperienze personali. La storia del film è ambientata in un liceo, ma nonostante la descrizione si riferisca alla classe che precede le superiori, Bergman specifica che le medesime parole potevano valere anche per la «stessa merdosa scuola» del liceo. Dopo l’esame di maturità del 1937, aveva scritto un racconto in cui descriveva l’ambiente del proprio liceo come un acquario malsano e Mai Zetterling in Spasimo (1944), scritto da Bergman asfissiante. Nel marzo del 1943 rielaborò quella vicenda in forma di sceneggiatura e la con- e diretto da Alf Sjöberg. segnò alla Svensk Filmindustri, che lo aveva ingaggiato dal 1942 (il suo primo soggetto era stato Katinka, adattamento da un romanzo di Astrid Väring, cui erano seguiti altri sei testi). La sceneggiatura di Spasimo fu approvata dal direttore della Svensk, Carl Anders Dymling, che scelse come regista Alf Sjöberg (Stoccolma, 1903-1980), uno dei più importanti cineasti svedesi dell’epoca. Il film racconta di un sadico e mellifluo professore di latino (Stig Jarrel) che tormenta i propri studenti e particolarmente Jan-Erik Widgren (Alf Kjellin), quando scopre che di lui è innamorata Bertha (Mai Zetterling), giovane commessa di una tabaccheria che egli assoggetta segretamente alle proprie perversioni approfittando della dipendenza della ragazza dall’alcol. Finisce per provocarne la morte e Widgren, che lo accusa di omicidio, non riesce a provare la 1

Ingmar Bergman, Lanterna magica, Garzanti, Milano 1987, pp. 106-107.

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Il cinema di Ingmar Bergman

b

c

a Stig Järrel / “Caligola” (Spasimo, 1944) [a] , Werner Krauss / Caligari (Il gabinetto del dottor Caligari, 1920) [b] e Rudolf Klein-Rogge / Mabuse (Il dottor Mabuse, 1922) [c].

sua colpevolezza e per questo viene cacciato dalla scuola. È il Male dissimulato dietro la maschera dell'autorità il motivo più interessante del film. Sjöberg volle imprimergli una connotazione antinazista: con il trucco di scena, assegnò al professore – chiamato esclusivamente con il soprannome coniato dai suoi studenti, “Caligola” – una fisionomia che lo faceva somigliare al capo delle SS Heinrich Himmler. Inoltre, in una scena l’insegnante legge il «Dagsposten», giornale svedese che simpatizzava per Hitler. Ma il personaggio ha anche echi cinematografici: la sua maschera con gli occhialini inquietanti presenta tratti simili al dottor Caligari di Robert Wiene, mentre la sua indole manipolatrice lo apparenta al dottor Mabuse di Fritz Lang e il suo feroce dispotismo presenta qualche analogia con il padre di Ett brott [Un crimine, 1940] di Anders Henrikson. Né mancano echi letterari – la relazione perversa con Bertha ricorda quella dell'insegnante Holmin, l'Apostolo, personaggio del romanzo Vi Bookar, Krokar och Rothar (1912) di Hjalmar Bergman. Un altro elemento interessante della sceneggiatura è la complementarietà tra l’indifferenza del padre di Jan-Erik e il sadismo di “Caligola”, come se l’uno e l’altro fossero due volti della stessa autorità paterna, contrapposti alla bonarietà del professor Pipper e alla saggezza del rettore. La compresenza di figure paterne anticipa i temi dei film giovanili di Bergman, così come lo spirito di ribellione che anima il protagonista, speculare al sarcastico disincanto del suo amico Sandman (Stig Olin) che cita Nietzsche e Strindberg. Per imparare la pratica del set, il giovane sceneggiatore collaborò anche come segretario

Lil Dagover (Il gabinetto del dottor Caligari, 1920).

Mai Zetterling (Spasimo, 1944).

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1. Giovani ribelli e infelici nell’inferno della realtà di edizione e la voce dello speaker che si ode provenire dalla radio accesa nell’appartamento di Bertha, è la sua. Ma Bergman ebbe anche l’opportunità di dirigere la sua prima sequenza, l’ultima del film, dove Jan-Erik, vestito di scuro, esce dalla casa dove si è consumata la morte di Bertha e cammina per le strade deserte di Stoccolma all’alba. Sul suo volto passa un senso di sollievo, come se fosse riuscito a liberarsi dal senso di angoscia che lo tormentava. La sequenza non è certo la più memorabile del film e ha una funzione consolatrice che stride con il pessimismo della storia. Come osserva Birgitta Steene2, ricorda la situazione iniziale del romanzo di Ibsen La stanza rossa (Röda rummet, 1879), in cui il giovane protagonista, l’idealista Arvid Falk, percorre le strade della città dove in seguito scoprirà la corruzione e l’ipocrisia delle istituzioni.

La prima sequenza girata da Bergman (finale di Spasimo).

2

Birgitta Steene, Ingmar Bergman. A Reference Guide, Amsterdam University Press, Amsterdam 2005, p. 157.

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Il cinema di Ingmar Bergman

Crisi / Kris (1946)

Il successo anche internazionale di Spasimo favorì le condizioni per l’esordio nella regia di un Bergman appena ventisettenne, facilitate anche dalle condizioni dell’industria cinematografica svedese di quel periodo e dalla volontà di alcuni produttori di elevare il prestigio del cinema nazionale coinvolgendo personalità del mondo teatrale. «Dymling era venuto a Helsingborg a salutarci. All'epoca io ero a capo del teatro municipale, era il 1944 credo. Aveva acquistato i diritti di una pièce danese, Moderdyret, “L’animale materno” o qualcosa del genere. Era una pièce “puttana”, spaventosamente commerciale, ma non troppo mal fatta, nessuno può pretendere il contrario, e lui desiderava trarne un film, ma tutti quelli che aveva contattato fino ad allora avevano rifiutato. Mi disse: “Se accetti di girare Moderdyret, ti prometto che farai un altro film!”»3. La pièce era in origine un radiodramma di Leck Fischer (1904-1956), convertito in testo teatrale: «Lessi la commedia e la trovai orrenda. Ma se me lo avessero chiesto avrei sicuramente tratto un film anche dalla guida del telefono. Scrissi così la sceneggiatura in quattordici notti. [...] Ero pazzo di gioia e naturalmente non vedevo la realtà dei fatti. Il risultato fu che caddi in tutte le trappole preparatemi dagli altri e da me stesso»4. Infatti, benché il giovane regista conoscesse bene gli studi Råsunda, «quel che non sape! Ingmar Bergman vo era che si aveva intenzione di (dal radiodramma danese di Leck Fischer Moderdyret produrre un film di serie B a poco [La bestia madre], tradotto in svedese Moderhjertet [Cuore di madre, 1944]) prezzo»5. Le riprese – iniziate il 4 Gösta Roosling luglio 1945 – furono un disastro. Erland von Koch

Inga Landgré .... Nelly Stig Olin .... Jack Marianne Löfgren .... Jenny, madre di Nelly Dagny Lind .... Ingeborg Johnson, madre adottiva di Nelly Allan Bohlin .... Ulf & La diciottenne Nelly vive in un tranquillo paesino di provincia con la matrigna Ingeborg Johnson, insegnante di piano, cui è stata affidata alla nascita dalla madre Jenny che si è trasferita nella capitale. Un giorno Jenny ritorna per prendere con sé la figlia e impiegarla nel salone di bellezza di cui è proprietaria. Ma deve affrontare l’ostilità di Ingeborg che non vorrebbe separarsi dalla ragazza, di cui è innamorato un veterinario trentenne, Ulf. Durante un ballo con le autorità del paese, Nelly è affascinata dal corteggiamento di Jack, un attore fallito, amante della madre, e così decide di seguire la donna a Stoccolma. Ingeborg scopre di essere gravemente malata e rende visita alla figlia adottiva, che ormai pare soddisfatta della propria esistenza e non sembra intenzionata a tornare con lei. Una sera, Jack riesce a sedurre la ragazza ma i due vengono sorpresi da Jenny. Poco dopo l’attore si suicida. Sconvolta, Nelly decide di tornare da Ingeborg.

3

Stig Björkmann, Torsten Manns, Jonas Sima, Bergman om Bergman, Norstedt & Söners Förlag, Stoccolma 1970, ed. francese aggiornata Le cinéma selon Bergman, Seghers, Parigi 1973, p. 29. 4 Ingmar Bergman, Lanterna magica, op. cit., p. 65. 5 Ibidem.

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1. Giovani ribelli e infelici nell’inferno della realtà In una prima fase lo studio voleva addirittura abbandonare il progetto, ma Dymling, dopo aver visto i rushes, propose di ricominciare tutto da capo. Fondamentale fu l’intervento di un grande regista come Victor Sjöström, direttore artistico degli studi di Råsunda, che fornì a Bergman alcune preziose indicazioni di metodo sulla regia cinematografica: «Lavora in modo più semplice. Riprendi gli attori di fronte, a loro piace, viene meglio. Non fare con tutti il diavolo a quattro, si arrabbiano e lavorano peggio. Non devi trattare qualsiasi scena come se fosse essenziale, altrimenti il pubblico soffoca»6. Ma i guai di Crisi non erano finiti: lo scenografo convinse Bergman a costruire la strada in cui Jack si suicida negli studi della Città del Cinema di Råsunda, diretti da Harald Molander, che odiava Dymling e che gonfiò le spese per mettere in difficoltà la produzione. Sul set si verificò an- Crisi (1946): la sequenza del salone di bellezza, l’unica di cui Bergman era soddisfatto. che un grave incidente ai danni di un tecnico. Qualche critico trovò promettente l’esordio ma i più lo stroncarono e l’accoglienza del puba blico fu negativa: uscito il 25 febbraio 1946, Crisi fu un insuccesso e Bergman stesso, anche a distanza di tempo, lo giudicherà un fallimento, salvando soltanto «una sequenza che funziona molto bene, [...] quella del salone di bellezza, circa duecento metri di pellicola»7. La principale innovazione rispetto al radiodramma fu l’inserimento di un nuovo personaggio, Jack, che proviene dal sottobosco dello spettacolo. È un attore fallito, che si fa mantenere da Jenny, un dandy cinico e manipolatore, pagliaccio e demone al tempo stesso. La sua presenza turba la festa di ballo paesana, suscitando b l’attrazione di Nelly. In una scena che avviene fuori campo, la ragazza addirittura bacia il vecchio sindaco, intervenuto per rimproverare i ragazzi che hanno improvvisato un boogie-woogie. Questo atto solleva un piccolo scandalo paesano e prelude alla decisione di Nelly di abbandonare la provincia per seguire la madre a Stoccolma. La dicotomia tra provincia e grande città sembra incarnarsi nelle contrapposte personalità del veterinario trentenne, Ulf, che da tempo corteggia Nelly senza fortuna, e di Jack, che invece la affascina subito e che l’avrebbe sedotta in riva al fiume se non fosse interve- Nelly (Inga Landgré) e i suoi due corteggiatori, Ulf (Allan nuto il rivale; ma nel film tale contrapposizio- Bohlin [a]) e Jack (Stig Olin [b]): Crisi. ne è meno manichea di quanto appariva nel dramma. Infatti Bergman, grazie alla voce del narratore, introduce una lieve ironia. La storia viene “messa in abisso” – secondo un dispositivo che rimanda al teatro – quando il narratore 6 7

Ivi, p. 67. Stig Björkmann, Torsten Manns, Jonas Sima, Le cinéma selon Bergman, op. cit., p. 29.

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Il cinema di Ingmar Bergman parla del sipario che si deve alzare sulla vicenda, o quando sottolinea la commistione di generi: «Non lo definirei un dramma straziante, piuttosto un dramma quotidiano, dunque quasi una commedia». Infatti non mancano i momenti umoristici, ad esempio l’attempata viaggiatrice obesa che racconta il proprio incubo – probabilmente autobiografico – in cui un grande uomo nero le morde i piedi. La carica provocatoria di Jack, carattere “lunare”, circondato da un alone di “maledetto” abbastanza datato (declama frasi quasi brechtiane come «Nelly è così vera che con lei io divento irreale»), prefigura un carattere ricorrente nei primi film del regista e già delineato nelle sue opere teatrali giovanili. Si inserisce tra le due donne, la madre naturale e quella adottiva, che si contendono Nelly e incarnano anch’esse i contrapposti valori della metropoli e della provincia. La diversità inconciliabile tra Ingeborg, ingrigita e dimessa, e la florida, libertina Jenny, è risolta in forme convenzionali, ma è un nodo psicologico e drammatico che s’impone con efficacia nella narrazione. L’attaccamento ossessivo di Ingeborg alla ragazza, sua unica ragione di vita, come ripete più volte, sembra rivelare qualche sfumatura morbosa, che affiora nella sequenza dell’incubo durante il viaggio notturno in treno. È la prima sequenza onirica di Bergman: vediamo in sovrimpressione i volti dei personaggi che si susseguono confusamente e angosciosamente nella mente di Ingeborg, e tra loro spicca il viso triste di Nelly. Ma la sequenza più intensa del film è proprio quella “salvata” dallo stesso Bergman, ossia la seduzione di Jack che, rimasto solo di notte con Nelly nel salone di bellezza, riesce a conquistarla confessandole un crimine atroce, ossia l’omicidio di una donna incinta con il gas, fatto passare per incidente. È paradossalmente proprio la confessione di una simile atrocità (in realtà non commessa) a far breccia nel cuore di Nelly, come un sortilegio demoniaco. Originali sono i contrappunti sonori della scena: quando Nelly si lascia finalmente baciare, risuonano dal teatro vicino le risate di scherno del pubblico che sembrano irridere la scena di seduzione. Se lo spazio ingombro di teste di manichini, tende trasparenti e specchi, è fin troppo scopertamente simbolico e teatrale, l’apparizione della madre Jenny dietro una tenda ha un impatto rilevante, ed è significativa anche la reazione di Nelly che, presa dal panico, si copre precipitosamente il corpo nudo, mentre la macchina da presa arretra: la misera dimen-

Ingeborg (Dagny Lind) vede in sogno i volti e i momenti chiave della sua vita: Crisi.

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1. Giovani ribelli e infelici nell’inferno della realtà

Jenny (Marianne Löfgren) dietro la tenda e davanti allo specchio: Crisi.

sione di quell’amplesso rubato è accentuata dal dialogo sarcastico e velenoso che si scambiano la madre e Jack, mentre risuonano nuovamente le risate provenienti dal vicino teatro. L’uomo esce di scena platealmente, lasciando spazio a un bel monologo di Jenny davanti allo specchio: è la prima sequenza dove un personaggio bergmaniano si denuda nella sua solitudine e paura, in quel caso della vecchiaia incombente. La sequenza si conclude con il suicidio di Jack, che si consuma fuori campo, davanti alla vetrina del teatro: l’unico gesto autentico viene compiuto davanti a uno spazio deputato alla finzione. Rispetto a come Bergman l’aveva immaginata («Io avevo una visione: la testa insanguinata di Jack sotto il giornale, l’insegna scintillante del teatro, le vetrine illuminate del salone di bellezza con i rigidi volti di cera sotto le parrucche preparate con arte, l’asfalto bagnato dalla pioggia, il muro di mattoni sullo sfondo»8), la scena appare manierata, benché un certo fascino le derivi dalla presenza di un uomo vestito di nero il cui volto sembra intagliato nella pietra, già apparso all’inizio della sequenza fuori dalla vetrina: un’incarnazione della Morte.

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Ivi, p. 68.

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Il cinema di Ingmar Bergman

Piove sul nostro amore / Det regnar på vår kärlek (1946)

«Ero stato buttato fuori dalla Svensk Filmindustri dopo il fiasco di Crisi. Le nostre finanze erano stremate»9. Bergman temeva che la propria carriera di regista cinematografico fosse già compromessa. Ma venne contattato da Lorens Marmstedt, produttore della piccola società indipendente Sveriges Folkbiografer, che gli propose l’adattamento di una commedia norvegese di Oskar Braathen, Brave persone, già portata sullo schermo nel 1937 in un modesto film di Leif Sinding. La sceneggiatura scritta dal drammaturgo e critico Herbert Grevenius – secondo Bergman «il più autorevole critico svedese degli anni Quaranta»10 – non soddisfaceva il regista, che riscrisse le scene dell’incontro con il reverendo Berg, con il burocrate Purman, e soprattutto quelle del processo. Ma in seguito, insoddisfatto del film, preferì minimizzare il proprio apporto e attribuì per lungo tempo la paternità della sceneggiatura al solo Grevenius. La Sveriges Folkbiografer mise a disposizione un budget limitato e soltanto quattro settimane per le riprese, nell’agosto 1946. Scelto per il ruolo di David, il ventiseienne Bir! Herbert Grevenius, Ingmar Bergman ger Malmsten (1920-1991) avreb(dal dramma di Oskar Braathen Bra Mennesker be in seguito interpretato altri [Brave persone, 1930]) cinque film giovanili di Bergman, Göran Strindberg, Hilding Bladh oltre a quattro degli anni succesErland von Koch sivi; ma Piove sul nostro amore segnò anche il debutto nel cinema Barbro Kollberg .... Maggi bergmaniano del grande Gunnar Birger Malmsten .... David Lindell Björnstrand (1909-1986), in un Gösta Cederlund .... l’uomo con l’ombrello ruolo molto differente da quelli che Ludde Gentzel .... Per Håkansson, proprietario del cottage Douglas Håge .... Anderson, proprietario del vivaio Hjördis Petterson .... la signora Anderson Åke Fridell .... il reverendo Berg Gunnar Björnstrand .... Purman

& Maggi e David si incontrano casualmente alla stazione centrale di Stoccolma e trascorrono la notte insieme. I due giovani decidono di rimanere uniti e la sera successiva, sorpresi da una pioggia scrosciante, si rifugiano in una casetta di campagna deserta dove David rivela alla ragazza di essere appena uscito di prigione. Håkansson, il proprietario del cottage, inizialmente chiama la polizia, ma poi ci ripensa e preferisce riscuotere l’affitto. David si impiega presso un fiorista e incominciano a vivere un’esistenza modesta ma felice. Quando Maggi rivela a David di essere incinta di un altro uomo conosciuto prima di lui, il giovane in un primo tempo si infuria, poi decide di sposarla. Ma il bambino nasce morto. Si presenta da loro un impiegato, Purman, per avvisarli che sul terreno della casetta (che nel frattempo si sono impegnati ad acquistare da Håkansson) verranno costruite altre abitazioni. Offeso dall’indifferenza di Purman, David lo percuote e i due giovani finiscono in tribunale. Vengono salvati da un uomo anziano che li aveva sempre seguiti come un angelo protettore.

9

Ivi, p. 42. Ingmar Bergman, Immagini, Garzanti, Milano 1992, p. 111.

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1. Giovani ribelli e infelici nell’inferno della realtà avrebbe recitato in seguito: l’ipocrita e quasi macchiettistico Purman. Gratificato da un buon successo di pubblico, soprattutto in provincia, il film fu considerato il migliore dell’anno in Svezia dall’associazione dei giornalisti cinematografici e dalla rivista «Biografbladet». Bergman vinse un premio Charlie, l’Oscar svedese. Nella sua rielaborazione della pièce di Braathen, il regista ne mantenne il carattere originario: il tono da racconto popolare, scandito dai quattro cartelli con illustrazioni che ricordano i libri I giovani protagonisti di Piove sul nostro amore (1946): Barbro Kollberg e Birger Malmsten. per ragazzi. Il realismo dei temi affrontati – il disagio giovanile, le difficoltà di integrazione sociale, la disoccupazione, il problema degli alloggi – si mescola in modo un po’ stridente a caratteri da fiaba morale con due figure onnipresenti e contrapposte, una angelica e una demoniaca, che i giovani incrociano continuamente nel loro itinerario. Il primo, senza nome, è un ironico, paterno, anziano viandante sempre accompagnato da un ombrello dal facile simbolismo (allude al riparo dalle difficoltà della vita). Appare sette volte, a ogni snodo del racconto, per fungere in parte da narratore e in parte da deus ex machina, rivolgendosi al pubblico fin dalla prima volta con un effetto di mise en abyme non dissimile da quello sperimentato in Crisi. Poi, in due occasioni, induce David a impietosi esami di coscienza (ad esempio quando lo rimprovera di avere desiderato che Maggi perdesse il bambino) e infine soccorre i due giovani in veste di avvocato difensore. Alla fine, ad un crocevia dove devono scegliere se dirigersi in città o in campagna, dona loro l’ombrello e i due giovani scelgono la vita cittadina. Il “demone” è un altro vecchio, Håkansson, proprietario della casetta di campagna, che li inganna inducendoli a firmare contratti truffaldini e si fa beffe di loro con sogghigni nevrotici o doppi sensi maliziosi. In una delle migliori sequenze del film, David si reca inaspettatamente nel suo appartamento e scopre che il vecchio vive in solitudine, con l’unica compagnia di gatti incattiviti dalla claustrofobia della casa e che conserva le fotogra- L’“angelo” con l’ombrello (Gösta Cederlund) e il fie di figli e nipoti che non vede mai. Quando la “demone” davanti allo specchio (Ludde Gentzel): Piove sua immagine si riflette in uno specchio, rivela sul nostro amore.

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Il cinema di Ingmar Bergman improvvisamente una segreta amarezza e sofferenza. Sia l’angelo protettore che il demone privilegiano l’ironia, ma è il primo a trionfare nella sequenza del processo (quasi un abbozzo acerbo di quella del Posto delle fragole). Scopriamo che David è nato lo stesso giorno di Bergman, 14 luglio 1918, mentre sfila una galleria grottesca di campioni della società benpensante e conformista che assedia con i propri pregiudizi i due giovani disadattati. Fra loro, il più sorprendente è il reverendo Berg (Åke Fridell), vestito con un’eleganza che suona come insulto alla povertà delle sue pecorelle. Durante il colloquio con i due giovani, non perde mai il sorriso mellifluo e non cerca mai di aiutarli, così come, durante il processo, non esita a rilasciare una testimonianza che potrebbe danneggiarli. Viceversa i “peccatori” David e Maggi dovrebbero incarnare una gioventù segnata dalla marginalità e da un passato di errori e traversie: la loro autenticità d’animo si contrappone, fin dalle prime sequenze, all’odioso conformismo degli adulti. Bergman mostra con asciutto realismo il raptus erotico che s’impadronisce di David quando rimane solo con Maggi nella camera fornita loro a poco prezzo dall’Esercito della Salvezza; e raffigura senza moralismo l’abbandono sensuale della ragazza («Credi che d’abitudine io vada sempre con il primo venuto?». «Forse non con il primo venuto ma con quello tra i primi venuti che ti piace di più»). Ma i due protagonisti non si affrancano mai da un manicheismo stucchevole. Anche i diseredati loro amici – due venditori ambulanti e una generosa vecchietta, Hanna Ledin, che introduce qualche nota comica – risultano troppo artificiosi, così come manierati risultano i rimandi al realismo poetico, in particolare a Il porto delle nebbie di Carné. Se questi rimandi sono quasi ostentati, non mancano echi di Clair e Duvivier, ma anche degli angeli di a b Himlaspelet [La strada al cielo, 1942] di Sjöberg; e la prima inquadratura (uomini con ombrelli e impermeabili in attesa sotto la pioggia) ricorda Il prigioniero di Amsterdam (Foreign Correspondent, 1940) di Hitchcock.

Ingmar Bergman, Piove sul nostro amore (1946) [a] / Alfred Hitchcock, Il prigioniero di Amsterdam (1940) [b].

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1. Giovani ribelli e infelici nell’inferno della realtà

La terra del desiderio / Skepp till India land (1947)

Anche se Piove sul nostro amore aveva riscosso un esito commerciale mediocre, Lorens Marmstedt continuò a dare credito al giovane regista e gli offrì un altro adattamento di un testo teatrale, Nave per le Indie di Martin Söderhjelm, autore finlandese di lingua svedese. Ne aveva ricavato una sceneggiatura lo stesso Söderhjelm, ma Marmstedt la ritenne insoddisfacente e nella primavera del 1947 ne affidò la stesura a Bergman. Le riprese si svolsero in un arco di tempo non troppo risicato, dal 28 maggio al 16 luglio 1947. Gli esterni furono girati ad Ankarsudden (Torö), nell’arcipelago di Stoccolma, e gli interni negli Studi Novilla, vetusti, non dotati dell’isolamento acustico necessario alla registrazione del sonoro in presa diretta, che così rimase compromesso. La terra del desiderio fu presentato in concorso al Festival di Cannes del settembre 1947 – era la prima volta volta che accadeva a un film di Bergman – e fu notato da André Bazin, che scrisse una recensione positiva su «L’Écran Français». Ma non tutti i giudizi della stampa estera furono così benevoli e Marmstedt telefonò al giovane regista chiedendogli di tagliare 400 metri di pellicola. Bergman rifiutò sdegnato. La “prima” in Svezia, il 22 settembre, fu un disastro perché la copia non aveva avuto i controlli di prammatica: il sonoro era difettoso e il terzo e il quarto rullo erano stati invertiti. Anche se la stampa ! Ingmar Bergman accolse il film con interesse, l’esi(dal dramma di Martin Söderhjelm Skepp till India land to commerciale fu negativo e mise [Nave per l’India, 1946]) di nuovo in pericolo il futuro ciGöran Strindberg nematografico di Bergman. Come Erland von Koch osserva Birgitta Steene11, il titolo originale svedese – Skepp till India land, letteralmente “Nave per Holger Löwenadler .... capitano Alexander Blom Anna Lindahl .... Alice Blom le Indie” – è ispirato a una poeBirger Malmsten .... Johannes Blom, suo figlio Gertrud Fridh .... Sally Naemi Briese .... Selma

& Il giovane ufficiale di marina Johannes Blom ritorna nella città natia dopo sette anni di navigazione. Ritrova la donna di cui era innamorato, Sally, ballerina e prostituta, che soffre di depressione e che lo caccia, dopo aver detto al ragazzo che il padre è morto poco tempo prima. Johannes vaga per tutta la notte e si addormenta sulla spiaggia. Vediamo la sua drammatica storia: sette anni prima, lavorava con il padre, il capitano Alexander Blom, su una nave di salvataggio addetta al riassesto delle imbarcazioni naufragate. Ma il padre trascurava il lavoro e passava il tempo in città, dove un giorno conobbe Sally: se ne innamorò e, sapendosi condannato alla cecità nel giro di pochi anni, progettò di partire con lei verso una località esotica. Così condusse la donna sulla propria nave, costringendo la moglie Alice ad accettarla, ma Sally si innamorò di Johannes, che all’epoca soffriva di una deformità alla schiena. Spinto dall’odio e dalla gelosia, Alexander cercò di uccidere il figlio e fece inabissare la nave, quindi fuggì in città dove, catturato dalla polizia, tentò inutilmente il suicidio. Johannes si sveglia e, dopo lunghe insistenze, persuade Sally a imbarcarsi con lui. 11

Birgitta Steene, Ingmar Bergman. A Reference Guide, op. cit., p. 168.

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sia di Gustaf Fröding che aveva trasformato il termine svedese per indicare l’India (“Indien”) in “Indialand”, attribuendogli una sfumatura utopica e di sogno. Ma nel titolo del film, che l’associa a una scalcinata nave di salvataggio, assume un senso ironico, perché Bergman accentuò invece il carattere drammatico della pièce conferendo un rilievo narrativo più violento alla contrapposizione tra padre e figlio. Inizialmente le loro esistenze, pur condividendo lo stesso spazio abitativo, sembrano svolgersi parallele e separate: Blom padre passa La coppia giovane di La terra del desiderio (1947): il tempo in città, si diverte a beffare altri maBirger Malmsten e Gertrud Fridh. rinai, si attornia allegramente di prostitute, non disdegna le risse e trascura il lavoro, mentre Blom figlio si macera di frustrazione a causa di una deformità fisica, la schiena ingobbita. Appare subito evidente che il padre disprezza il figlio ed è ricambiato da un odio rabbioso e impotente che sembra reificarsi proprio nella deformità della schiena, simbolo fin troppo evidente del carattere malato del loro rapporto e della sudditanza di Johannes a un genitore che si vergogna di lui. I cattivi sentimenti paterni, alimentati dalle frustrazioni che si sono sedimentate nel suo intimo per il proprio fallimento, sono contagiosi e la madre ammette perfino di avere sperato in una morte provvidenziale del figlio quando era ancora bambino. L’atmosfera claustrofobica e opprimente che si respira tra la nave di salvataggio e il cargo che sta affondando nelle acque buie e sporche è raffigurata da Bergman come una dimensione dove sia il padre che il figlio sono intrappolati in un logorante immobilismo. Da qui l’ansia di evasione che li accomuna, il cosiddetto utbrytningsdröm (desiderio di andarsene lontano), motivo comune al cinema svedese dell’epoca. Nel caso del padre, si esprime nell’aver mantenuto segreta la proprietà di un piccolo appartamento in città, per rifugiarsi pateticamente in un piccolo, privato mausoleo dove conserva i feticci di mondi lontani. Li mostra alla cantante-prostituta Sally, di cui si è invaghito, in una sequenza che conferisce un’umanità dolorosa alla sua degradazione: «La cosa peggiore non è diventare ciechi. È non avere mai visto niente». L’originale scenografia di questo ambiente (firmata da P. A. Lundgren) comprende un corridoio-budello, le finestre semicircolari che si affacciano sulla strada e una vetrata che separa la stanza dove Blom custodisce i suoi cimeli: foto di Tahiti e Ceylon, una maschera demoniaca africana, coralli rosa e una conchiglia che muta colore con il mutare della luce. È proprio contro questi oggetti che il capitano si accanisce furiosamente dopo aver cercato di assassinare il figlio, in un delirio autodistruttivo. E non a caso è proprio in quei locali che il giovane Johannes alla fine farà l’amore con Sally, suggellando così il proprio sostituirsi al padre, sia nel letto della ragazza che nel pro- Il capitano (Holger Löwenadler) e la cantante-prostituta (Gertrud Fridh): La terra del desiderio. getto di fuga verso mondi esotici.

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È interessante qui il parziale rovesciamento dei motivi edipici: è il padre a essere colpito da una cecità progressiva ed è sempre lui, mosso dalla gelosia contro chi gli ha sottratto la giovane amante, a tentare di uccidere il figlio. Con l’inganno, l’uomo convince Johannes ad affidargli il controllo della pompa dell’aria durante l’immersione: mentre risuona il suo rumore sordo – un suono di morte – il volto del padre si fa fradicio di sudore e l’atto del tentato figlicidio viene mostrato nel riflesso dell’ombra nera del suo corpo mentre lascia andare la pompa, in un’inquadratura che ri- Il capitano (Holger Löwenadler) e il figlio deforme (Birger Malmsten): La terra del desiderio. corda il Nosferatu di Murnau. Rispetto alla pièce originaria, Bergman aggiunse la sequenza della fiera con il Kasper Teater, un teatrino di marionette all’aperto (tra il pubblico appare di spalle lo stesso regista, in un cameo alla Hitchcock), e soprattutto con un fumoso teatro di varietà che la macchina da presa percorre dalla platea alle quinte, dove scopriamo i gesti brutali dell’impresario. Molto realistica è anche la scena della rissa, sgangherata e caotica, presto troncata dalla precipitosa fuga di Alexander quando sta per avere la peggio. Se l’ambientazione portuale ricorda alcuni film di Hampe Faustman e del cinema popolare svedese del tempo con le sue “donne perdute”, Bergman aveva in mente, ancora una volta, soprattutto il cinema francese: Il porto delle nebbie e Hôtel du Nord (1938), mentre la struttura narrativa, con il flashback incastonato tra un prologo e un epilogo ambientati nel presente, ricorda Alba tragica (Le jour se lève, 1939). La narrazione a ritroso inizia come storia del padre per poi convertirsi in quella del figlio innamoratosi dell’amante paterna (accadrà lo stesso, ma in chiave di commedia, in Sorrisi di una notte d’estate). Nonostante tenti inizialmente di violentarla, Johannes viene ricambiato da Sally anche in conseguenza dell’umiliazione inflittagli dal padre sotto gli occhi della donna. Alla fine quest’ultimo, paralizzato dopo il fallito suicidio, scompare definitivamente dalla storia. Nonostante qualche caduta nello stucchevole (la parentesi in cui Sally e Johannes camminano tra gli scogli dirigendosi al vecchio mulino, i gabbiani in volo alla fine) e qualche incongruenza (la deformità di Johannes scompare miracolosamente una volta liberatosi del padre), il film ha molte sequenze intense, come la bella scena notturna di Blom e della moglie Alice in cabina, nella penombra rischiarata dalla luce riflessa dalle acque sottostanti, allorché l’uomo le confessa amaramente l’intenzione di lasciarla e lei accetta la decisione, attaccandosi alla penosa speranza di averlo tutto per sé quando sarà cieco e impotente.

Il capitano (Holger Löwenadler) e la moglie alla deriva (Anna Lindahl): scene da un matrimonio in La terra del desiderio.

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Il cinema di Ingmar Bergman

Musica nel buio / Musik i mörker (1948)

Il romanzo strappalacrime di Dagmar Edqvist, Musik i mörker (1946), aveva venduto migliaia di copie in Svezia e Marmstedt ne acquistò i diritti, fiutando che una versione cinematografica sarebbe stata un affare. Propose a Bergman di dirigerlo, ma con una sorta di ultimatum: «Ingmar, ogni tuo film finora è stato un fallimento. Ecco una storia molto sentimentale […] che piacerà al pubblico. Adesso hai bisogno di un successo al box-office»12. E questa volta pretese che il regista seguisse le sue istruzioni alla lettera, controllò le riprese da vicino e fece rigirare le scene che non gli piacevano. Intervenne perfino in sede di montaggio, riducendo drasticamente la sequenza dell’incubo. Bergman si sentì frustrato e gli scrisse una lettera insultandolo e definendolo volgare playboy che non capisce nulla di arte; Marmstedt replicò accusando il regista di essere un presuntuoso che sperperava il denaro altrui per parlare dei propri problemi, un dilettante che s’illudeva di essere il Marcel Carné svedese13. Musica nel buio fu il primo film di Bergman a venire presentato in concorso alla Mostra di Venezia, nell’edizione del 1948, dove La furia del peccato di Molander, tratto da una sua sceneggiatura, fu premia! Ingmar Bergman (non accreditato) e Dagmar Edqvist (dal romanzo omonimo di Dagmar Edqvist, 1946) to con la Medaglia della Biennale. Göran Strindberg Distribuito nel gennaio 1948, otErland von Koch tenne un considerevole successo di pubblico, il primo nella carriera del regista, che rimase però circoscritMai Zetterling .... Ingrid Olofsson to ai paesi scandinavi perché all’eBirger Malmsten .... Bengt Vyldeke stero uscì molti anni dopo. Anche Bibi Lindqvist-Skoglund .... Agneta Vyldeke Naima Wifstrand .... Beatrice Schröder, loro zia Olof Winnerstrand .... Kyrkoherde Kernman, il vicario Hilda Borgström .... Lovisa Douglas Håge .... Kruge Gunnar Björnstrand .... Klasson Bengt Eklund .... Ebbe Larsson

& Bengt Vyldeke perde la vista a causa di un incidente durante il servizio militare. Assistito dalla sorella e dalla zia, continua i suoi studi di pianoforte nella loro casa a Miramar. La giovane Ingrid, impiegatasi presso di loro come domestica dopo la morte repentina del padre, si innamora del ragazzo ma rimane mortificata da una frase di lui sul suo umile livello sociale e decide di continuare gli studi. Bocciato all’esame di ammissione all’Accademia Reale di Musica, Bengt si adatta a suonare il piano in un ristorante da cui si licenzia quando scopre che approfittano della sua cecità per rubargli i soldi. Si stabilisce in un istituto per ciechi dove suona e accorda pianoforti e una sera ritrova Ingrid. La ragazza vive con uno studente, Ebbe, con cui ha una relazione che entra in crisi dopo il nuovo incontro con Bengt. Il pianista sfiora il suicidio ma viene salvato da Ingrid che decide di sposarlo. Persuaso il vicario, che era contrario al loro matrimonio, i due giovani partono felici per il viaggio di nozze.

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Charles Thomas Samuels, Encountering Directors, Putnam’s, New York 1972, p. 173. Ma al di là di questi screzi momentanei, la riconoscenza del regista rimarrà intatta verso chi gli aveva permesso di continuare a realizzare film. 13

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