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I MIGLIORI FILM DELLA NOSTRA VITA Collana diretta da Enrico GiacovElli
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I GIOIELLI DI MADAME DE… [ Madame de… , 1953 ] DI
MAX OPHÜLS DOMINIQUE DELOUCHE
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I GIOIELLI DI MADAME DE… DI MAX OPHÜLS
Cognome Oppenheimer
Maximilian
Nome
pseudonimo nato il a
Max Ophüls (o Max Ophuls, o Max Opuls1)
6 maggio 1902
Saarbrücken (Germania)
sposato con Hilde Wall, attrice padre di Marcel Ophüls, regista morto il a per
26 marzo 1957
Amburgo (Germania) attacco cardiaco
sepolto a
Parigi, Cimitero del Père-Lachaise
1
Lo pseudonimo scelto da Max Oppenheimer a diciassette anni aveva l’Umlaut tedesco (“ü”),che perse però quando il regista scelse nel 1938 la nazionalità francese diventando Ophuls. A Hollywood poi, più per ignoranza dei produttori che per scelta, se ne andò anche la più innocente “h” e Ophüls / Ophuls divenne spesso Opuls. In questa edizione italiana si è scelto di adottare la versione originaria del nome (N.d.C.).
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Filmografia1 in germania Mai più l’amore (Nie wieder Liebe!, 1931) [solo assistente alla regia] Dann schon lieber Lebertran [Meglio l’olio di fegato di merluzzo, 1931, cm] Die verliebte Firma [La ditta innamorata, 1932] La sposa venduta (Die verkaufte Braut, 1932) Amanti folli (Liebelei, 1933) Die lachenden Erben [Gli allegri eredi, 1933] in francia Une histoire d’amour [versione francese di Liebelei, 1933] Hanno rubato un uomo (On a volé un homme, 1934) in italia La signora di tutti (1934) in francia Divine (1935)2 Valse brillante de Chopin, “cinéphonie” [1936, cm] Ave Marie de Schubert, “cinéphonie” [1936, cm] in olanda Gli scherzi del denaro (Komedie om Geld, 1936) in francia La nostra compagna (La Tendre Ennemie, 1936) Yoshiwara, il quartiere delle geishe (Yoshiwara, 1937) Werther (1938)3 Tutto finisce all’alba (Sans lendemain, 1939) Da Mayerling a Sarajevo (De Mayerling à Sarajevo, 1940)
1
La data accanto al titolo si riferisce all’anno di edizione del film.
2
In omaggio a questo film anche l’autore del presente libro dirigerà, nel 1975, un film dallo stesso titolo, interpretato dalla musa di Ophüls, Danielle Darrieux (N.d.C.). 3
Anche noto come Le Roman de Werther.
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in Svizzera L’école des femmes [La scuola delle mogli, 1940, incompiuto] negli Stati Uniti La vendicatrice (Vendetta, 1946, interrotto)4 Re in esilio (The Exile, 1947) Lettera da una sconosciuta (Letter from an Unknown Woman, 1948) Nella morsa o Presi nella morsa (Caught, 1949) Sgomento (The Reckless Moment, 1949) in francia La Ronde o Il piacere e l’amore (La Ronde, 1950) Il piacere (Le Plaisir, 1952) I gioielli di Madame de… (Madame de…, 1953) Lola Montès (1955)5 N.B. Alcune filmografie e alcuni siti attribuiscono a Max Ophüls anche le riprese iniziali di Montparnasse (Les amants de Montparnasse). In realtà Ophüls lo progettò e ne scrisse l’adattamento e alcuni dialoghi, ma morì cinque mesi prima dell’inizio delle riprese, non prima di avere suggerito ai produttori di affidarne la regia a Jacques Becker (come in effetti sarà fatto). Il film uscirà nel 1958, dedicato «alla memoria di Max Ophüls» [N.d.C.]. nota di teatrografia Ophüls iniziò la propria carriera come modesto attore teatrale. Dal 1923 al 1932, portò in scena nei principali teatri tedeschi e austriaci un centinaio di opere contemporanee (Bourdet, Schnitzler, ecc.) e anche del repertorio classico (Goethe, Kleist, ecc.). Tornerà al teatro poco prima di morire, allestendo ad Amburgo (5 gennaio 1957) Der tolle Tag oder Figaros Hochzeit, dal Matrimonio di Figaro di Beaumarchais.
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Ophüls iniziò a dirigere il film nel 1946, ma fu licenziato per divergenze d’opinione con il produttore Howard Hughes, che ne affidò la lavorazione ad altri quattro registi (tra cui Preston Sturges). Alla fine il film uscirà nel 1950, ultimato da Mel Ferrer, e sarà un clamoroso flop (N.d.C.). 5
Primo e unico film a colori del regista.
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a propoSito di max ophülS
Der Wanderer La filmografia di Max Ophüls ci pone, con i suoi asciutti dati, di fronte a un’amara evidenza. Il regista non ha mai smesso di cercare la pietra su cui appoggiare il capo e riposare soddisfatto. È un uccello migratore, un Wandervogel. Altri lo chiamerebbero «ebreo errante» o, anche, «zingaro». La sua stessa nazionalità è problematica. Per molto tempo lo si è reputato austriaco a causa della ricorrente presenza di Vienna nei suoi film, Amanti folli, Lettera da una sconosciuta, La Ronde. Nato in Germania nei pressi della frontiera francese, si distaccò presto dalle proprie radici sia nazionali che familiari. È per discrezione verso la famiglia che cambiò nome da Oppenheimer a Ophüls. Ma persino lo pseudonimo gli creò dei problemi. In Francia, iniziò col privarlo del tocco tedesco costituito dalla “ü” o Umlaut. Negli Stati Uniti il suo nome, giudicato impronunciabile e continuamente Monsieur Ophüls. storpiato, fu ridotto a Opuls. Va ricordato che nel 1935, quando a causa della nascita a Saarbrücken dovette scegliere, come gli altri nativi della Saar, tra la nazionalità tedesca e quella francese in occasione del referendum previsto dal Trattato di Versailles, Ophüls optò per la Francia. Durante l’esilio a Parigi, dove si era spostato nel 1933 per sfuggire all’antisemitismo, aveva avuto lo status di rifugiato, ma il suo voto del 1935 rese più veloce la francesizzazione, ottenuta alla vigilia della guerra nel 1939. Circostanza che gli costò l’arruolamento nell’esercito francese dopo la dichiarazione di guerra, ma gli evitò nel 1940 di essere internato in uno dei terribili campi di prigionia dove la Francia rinchiudeva i cittadini dei paesi nemici. All’inizio della guerra Ophüls partecipò a trasmissioni radio indirizzate ai tedeschi sulle reti nazionali, in cui nella loro lingua e in tono umoristico denigrava Hitler e il nazismo. Cosa che gli valse i fulmini,
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anche radiofonici, di Goebbels. Nelle trasmissioni irradiate da Stoccarda si poteva sentire: «Cittadino Oppenheimer, vi abbiamo smascherato. Non vi mancheremo quando arriveremo in Francia!». Dopo l’invasione, per sfuggire agli ex compatrioti, pensò bene di insediarsi in Svizzera, dove lavorò in teatro, a Zurigo, con Louis Jouvet. Riparato nel 1941 negli Stati Uniti, visse lì il suo terzo esilio. Nel 1948 tornò a Parigi, deciso a restarci per sempre, ma un destino beffardo lo volle fare morire in Germania, sua terra di nascita. Nel 1957 aveva allestito ad Amburgo Il matrimonio di Figaro. Colpito da una crisi cardiaca, agonizzante all’ospedale, le sue ultime parole furono più o meno: «Non voglio morire in Germania!». La sua vita caotica richiama la sorte tumultuosa dei suoi film. Cacciato di paese in paese dal vento avverso della storia, è stato più volte spogliato del controllo del proprio destino. Percosso come una palla da biliardo, è stato respinto infine al punto di partenza, il proprio paese, la propria lingua. È crollato sul proprio nido. Fremd bin ich eingezogen, / Fremd zieh’ich wieder aus1. È sepolto a Parigi, al Père-Lachaise.
1
«Straniero sono arrivato / straniero me ne vado»: incipit del ciclo di Lieder Winterreise, testo di Wilhelm Müller, musica di Franz Schubert (1827).
Alla fine, nell’ultima dimora, Max ha deciso di non portarsi l’Umlaut.
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Una volta che gli domandai cosa lo legava così tanto a Parigi, rispose: «I suoi commissariati». E di fronte alla mia incredulità aggiunse: «Sì, è solo qui che i commissariati hanno quell’aria modesta e miserabile, con quella bandiera sbiadita che penzola. Questo mi rassicura». Max Ophüls, artista a stipendio La seconda constatazione penosa che scaturisce dall’esame della sua filmografia è che Ophüls è stato un creatore senza indipendenza artistica; la maggior parte dei suoi film gli sono stati suggeriti, e nessuno è stato scritto di suo pugno. Ricordo una sua esclamazione di invidia riguardo a Fellini, all’epoca in cui ero suo assistente a Roma, attorno al 1956. «Sì, ma lui i suoi film se li scrive!». Quanta rassegnazione in quella constatazione. E tuttavia, come contestare le qualità autoriali di Ophüls? È in virtù dello stile che le sue opere sono inconfondibili. Si può arrivare perfino a utilizzare l’aggettivo «ophülsiano» a proposito di un certo cinema (quello di Demy, ad esempio) o comunque di un’ambientazione, di un comportamento, di un clima, di una situazione, proprio come si dice «felliniano» o «viscontiano» o «hitchcockiano». A pochi registi è toccato un tale privilegio. Ophüls non ha mai potuto opporsi ai suoi produttori, perché rischiava di vedere affidare il copione a un altro regista più conciliante. La peggiore umiliazione gli toccò a Hollywood. Preston Sturges e Howard Hughes concessero a Ophüls, appena rifugiato negli Stati Uniti con moglie e figlio, la realizzazione di La vendicatrice (Vendetta), quasi come un osso da rosicchiare. Ma dopo due giorni di riprese lo licenziarono. Ophüls rimase per quattro anni a Hollywood senza lavoro, sopravvivendo grazie al fondo di assistenza dello spettacolo.
Max Ophüls a Hollywood, mentre dirige Lettera da una sconosciuta (con Joan Fontaine).
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Anche Erich von Stroheim, rifugiato come lui, aveva subito le stesse umiliazioni da parte dei padroni del cinema. Ebbe a dichiarare: «A Hollywood valete quanto vale il vostro ultimo film. E se è uscito da più di tre mesi, non esistete più». Perché in America il regista non ha il final cut. La sua opera non gli appartiene. È certamente per vendicarsi dell’industria dello spettacolo che Ophüls ha voluto fare Lola Montes, che in effetti rovinerà realmente i suoi produttori. Deutschmeister2, il produttore di Madame de…, diceva: «Ophüls bisogna ingaggiarlo dopo un fiasco. Se lo si ingaggia dopo un successo, non lo si tiene più!». Oltre alla frustazione di sentirsi, in numerose svolte della propria vita, «persona indesiderabile», Ophüls ha sofferto molto per l’atteggiamento dei suoi datori di lavoro, che in pratica gli davano da mangiare come a un mendicante. Gli si faceva pesare la condizione di artista mercenario, paragonabile a quella degli artisti dell’Ancien Régime trattati come domestici, la stessa contro cui Mozart si ribellò mentre Haydn vi si adattò: ecco due amici e colleghi che non hanno affrontato la vita nello stesso modo. Nella sua filmografia spiccano innumerevoli progetti abortiti e film incompiuti. E anche, durante il primo periodo francese, dei brutti film girati unicamente per bisogno. Uno dei motivi che lo spinsero a tornare cineasta francese dopo le umiliazioni americane, era il desiderio di recuperare lo status di autore. Sappiamo che si deve a Beaumarchais, attorno al 1780, il riconoscimento del diritto d’autore agli scrittori. Questo diritto i cineasti francesi lo hanno rivendicato e conquistato; è ciò che per molto tempo è stato chiamato «l’eccezione francese». Ophüls ha saputo avvalersi di tale diritto per realizzare a fine carriera le sue opere più mature: le ultime quattro, tra cui Madame de… Pochi artisti hanno sofferto così tanto nell’esercitare la propria arte, ma la sua linea di condotta era di non lamentarsi mai. È stato il figlio Marcel Ophüls a impugnare il megafono della protesta per denunciare le ingiustizie, soprattutto quelle inflitte a suo padre. Ma Max era un burattinaio disincantato ed elegante. Niente singhiozzi, nei film come nella vita. Max Ophüls e le donne Il regista delle donne, così hanno definito Ophüls due specialisti che rispondono ai nomi di Jacques Siclier e Claude Beylie. La sua familiarità con la psiche femminile ha anche portato certuni a ipotizzare che i sen2
Henry Deutschmeister, prolifico produttore, è stato anche il suocero di François Truffaut.
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timenti e i desideri delle sue eroine li provasse lui stesso, come si è maliziosamente insinuato nei riguardi del romanziere femminista Stefan Zweig. Da qui a ipotizzare un’omosessualità di Ophüls, c’è solo un passo che noi non compiremo. In realtà le donne erano, per lui, un oggetto di desiderio piuttosto che un soggetto di identificazione. Le amava con ardore, anima e corpo. Provava un desiderio inesauribile di sedurle… «fino alla cassiera del cinema» precisa Annenkov, il suo costumista. Era per pura civetteria che si copriva la calvizie con un cappello tondo divenuto leggendario, a cui aggiungeva, nelle occasioni importanti, una vistosa sciarpa bianca. Ma i successi sentimentali di Max, che gli costarono molto tempo e molti sforzi, furono meno numerosi delle sue delusioni. Fra le attrici da lui conquistate si distingueva Isa Miranda, lanciata dal produttore esordiente Angelo Rizzoli in La signora di tutti. E soprattutto Hilde Wall che egli diresse al Burgtheater di Vienna e che sposò… per la vita. Per lui Hilde rinunciò alla carriera e gli dette un figlio, il futuro regista Marcel Ophüls. Si potrebbe chiamare Hilde “la regina di Baviera”, in riferimento al personaggio di Lola Montès che ha il tatto di ritirarsi in cura a Wiesbaden ogni qual volta il suo regale sposo intraprende una nuova relazione. Hilde o la fedeltà a dispetto di tutti.
Tre desideri (irrealizzati?) di Max Ophüls: Simone Simon, Madeleine Ozeray e Isa Miranda.
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Simone Simon e Madeleine Ozeray gli fecero subire «la tortura della speranza», secondo la formula che Monsieur de… propone al proprio rivale. Madeleine Ozeray chiamava Ophüls «Monsieur Crapaud» [Signor Rospo], il che non lo dissuadeva affatto dalle avances. Louis Jouvet scoprì la tresca e si adirò con Max. Fu questo incidente, avvenuto a Zurigo nel 1941, a provocare l’interruzione delle riprese di L’école des femmes3. Ophüls fu, fino ai suoi ultimi giorni, una sorta di Eros-victim, galoppatore ansimante, gemello del festaiolo impenitente della «Maschera»4 che si abbatte al suolo mentre balla. Visse la follia devastatrice del personaggio di Maupassant. Nel tentativo di coniugare la quiete dei sensi con la frenesia creativa, la sua doppia vita fu un’estenuante maratona di danza. Ad Amburgo si invaghì dell’attrice che interpretava Suzanne, Solveig Thomas. La frenesia di un allestimento perfezionato senza posa e il furore di un amore smodato: combinazione fatale che fu, si disse, la causa della crisi cardiaca che lo uccise5. Crollò all’età di cinquantacinque anni, il giorno della prima. 3
Si tratta del leggendario allestimento di Louis Jouvet della pièce di Molière (1938), da cui Ophüls aveva iniziato a girare un film. 4
Episodio iniziale di Il piacere (1952).
5
Annenkov: «Gli ultimi mesi ad Amburgo furono una corsa contro la morte. Scomparve il giorno della prima, stroncato da una crisi cardiaca».
Solveig Thomas (con Sebastian Fischer) sul palcoscenico di Amburgo in una pièce di G.B. Shaw, nell’anno del Matrimonio di Figaro secondo Ophüls.
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Venendo alla sua opera, non si può non rilevare il posto privilegiato che egli riserva alle donne, alla Donna. I suoi film ci offrono un caleidoscopio di ritratti femminili tracciati con ammirazione e desiderio, dalla prostituta della Ronde fino all’attrice «mostro sacro» dello stesso film. Ophüls ci offre en passant una galleria di personaggi di diverso carattere e condizione in cui sono celebrate in modo sincretistico tutte le donne. Sembra quasi che si tengano la mano di film in film in una sorta di fronte solidale, quelle che Ophüls desidera nella vita come quelle esaltate dalle sue opere. Si può rilevare che in questo florilegio le figure trattate con maggior tenerezza sono le amanti sfortunate. Christine (Amanti folli) si toglie la vita come la Joséphine del Piacere. La Lotte di Werther è descritta con particolare venerazione, e si noterà che la sua preghiera, nella penultima scena del film, preludio alla morte di Werther, balbettante di paura, anticipa la preghiera di Madame de… che vuole scongiurare la morte di Fabrizio, anche qui nella penultima scena. Questa figura femminile richiama la junge Frau, la Vergine della cattedrale di Colonia, figura iconica di devozione germanica, di cui Ophüls mi parlò a proposito dell’ovale ideale del viso che cercava per l’eroina sacrificata di Modigliani6. Quest’ultima dal canto suo si butta dalla finestra per la disperazione. Anche la Louise di Madame de… fa parte di questi personaggi, al cui elenco bisogna aggiungere la Lisa di Lettera da una sconosciuta, uno dei film che il regista stesso definiva «i miei film puri», troppo poco numerosi – a sentire lui – nella sua filmografia. Per via del suo fervente femminismo, Ophüls può essere definito a buon diritto “cantore della donna”, titolo che il solo Kenji Mizoguchi 7 può rivendicare, visto che nella sua opera la prostituta è posta sullo stesso piedistallo dell’imperatrice, in un culto ecumenico molto baudelairiano, diciamo pure ophülsiano. Questo femminismo non belligerante non ha soddisfatto certi femministi militanti e soprattutto certe femministe. Non si può non citare l’opera di Susan White8 che etichetta le eroine di Lettera da una sco6
Riferimento al film Montparnasse. Ophüls morì durante la preparazione, il progetto fu ripreso da Jacques Becker e il ruolo di Jeanne Hébuterne andò ad Anouk Aimée. 7
Kenji Mizoguchi (1898-1956): Vita di O-Haru, donna galante (1952), L’imperatrice Yang Kwei-Fei (1955), La strada della vergogna (1956). 8
The Cinema of Max Ophuls. Magisterial Vision and the Figure of Woman, 1995, Columbia University Press.
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Tre amanti sfortunate: Magda Schneider (Amanti folli), Joan Fontaine (Lettera da una sconosciuta), Simone Simon (Il piacere).
nosciuta e di Madame de… come isteriche masochiste, appoggiandosi ad analisi di tipo freudiano riprese da Lacan e Deleuze, e prendendo a base la teoria secondo cui, semplicemente, l’amore non esiste. Il rapporto di coppia non è nient’altro che una contabilità basata su crediti e debiti reciproci, dunque su una reciproca oppressione. Ma avrò occasione di sviluppare, al contrario, una tesi spiritualista dell’amore, basato in Ophüls sulla gratuità e segnato da una predestinazione fatale.
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I GIOIELLI DI MADAME DE… (Madame de…, 1953) regia: Max Ophüls; sceneggiatura: Marcel Achard, Annette Wademant e Max Ophüls, dal romanzo omonimo di Louise de Vilmorin (1951, Éditions Gallimard); dialoghi: Marcel Achard; fotografia: Christian Matras (operatore: Alain Douarinou); musica: Oscar Straus, Georges van Parys (con brani da Orphée et Eurydice di Christoph Willibald Gluck); suono: Antoine Petitjean; scenografia: Jean d’Eaubonne; costumi: Georges Annenkov e Rosine Delamare1; arredamento: Christidès; acconciature: Lalaurette; trucco: Carmen Brel; montaggio: Boris Lewyn; assistenti alla regia: Willy Picard e Marc Maurette; direttore di produzione: Henri Baum. interpreti e perSonaggi: Danielle Darrieux (Contessa Louise de…), Charles Boyer (suo marito, il generale André de…), Vittorio De Sica (barone Fabrizio Donati), Mireille Perrey (Nounou, la balia), Lia Di Leo (Lola, amante di Monsieur de…), Jean Debucourt (Monsieur Rémy, il gioielliere) Serge Lecointe (Jérôme, suo figlio), Jean Galland (M. de Bernac), Hubert Noël (Henri de Malleville, pretendente di Madame de...), Madeleine Barbulée (un’amica di Madame de…), Jean Degrave (l’uomo del club, debitore di Madame de...), Georges Vitray (un giornalista), Léon Walther (il direttore dell’Opéra), Jacques Beauvais (maggiordomo), Guy Favières (Julien, domestico di Madame de...), Claire Duhamel (nipote di Madame de...), Jean Toulout (l’ambasciatore), Germaine Stainval (l’ambasciatrice), Robert Moor (un diplomatico), Emile Genevois (una sentinella), Pauléon (un usciere), Colette Régis (la venditrice di ceri), Paul Azaïs (primo cocchiere), Albert Michel (secondo cocchiere), Georges Paulais e Michel Salina (testimoni al duello), Gérard Buhr (doganiere), Daniel Mendaille (un passante), Louis Saintève (un altro passante), Charles Bayard (un commensale), René Worms (un altro commensale), Max Mégy (un domestico).
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Rosine Delamare curò gli abiti da ballo di Danielle Darrieux. Per l’occasione Annenkov, costumista di Ophüls dall’anteguerra, dovette farsi da parte, come gli toccherà di nuovo per Lola Montès di fronte a Escoffier, reclamato da Martine Carol per i propri abiti. In entrambi i casi, capricci di star.
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Danielle Darrieux – Louise de....
Charles Boyer – André de…
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Vittorio De Sica – Fabrizio Donati
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Mireille Perrey – Nounou, la balia
Lia Di Leo – Lola, l’amante
Jean Debucourt – Il gioielliere
Serge Lecointe – Il figlio del gioielliere
I gioielli di Madame de....
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origine : Francia-Italia, 1953. prodUzione : Franco-London-Films/Henry Deutschmeister (Parigi), Indusfilms e Rizzoli Film (Roma). ripreSe : Studi di Boulogne (esterni: Foresta di Rambouillet; Eglise SaintÉtienne-du-Mont e Place Sainte-Geneviève, Parigi). dUrata cinematografica: 100’ (2800 metri; bianco e nero, 1.37 :1 [4/3], mono). diStribUzione : Gaumont. prima proiezione : 16 settembre 1953 (Parigi, cinema Colisée e Marivaux). prima proiezione italiana: 12 novembre 1953. plot: Per sistemare alcuni debiti contratti all’insaputa del marito, Madame de… è costretta a vendere un paio di orecchini formati da due cuori in diamanti, regalo di nozze di Monsieur de… Gli orecchini, dopo un lungo girovagare, giungono in possesso del barone Fabrizio Donati che li offre a Madame de… in pegno del suo nascente amore. Madame de…, che aveva finto di averli perduti, finge ora di averli ritrovati per poterli indossare sotto gli occhi di tutti, e soprattutto di Donati, a testimonianza della reciprocità dei loro sentimenti. Nessuno però ci casca, e Monsieur de… obbliga la moglie a separarsi dai compromettenti gioielli. Dopo avere tentato di allontanarsi da Donati, Madame de... finisce per cedergli. Monsieur de…, per disfarsi del rivale, gli rivela che i gioielli erano stati regalati un tempo a sua moglie come dono di nozze. Donati si sente tradito nel segreto che lo legava a Madame de… Il marito pretende tuttavia un confronto in cui gli amanti si dicano reciprocamente addio. Donati capisce che deve andarsene. Fa credere a Madame de… di non amarla più, con un comportamento in cui sacrificio e frustrazione non fanno che accrescere la passione della donna. Caduta malata, ella si aggrappa agli orecchini che il marito ha riacquistato e che per lei sono come un viatico. Monsieur de… non si accontenta però del sacrificio imposto ai due amanti, ossia la rinuncia alla felicità. Sfida a duello il barone Donati e lo uccide. Madame de… si spegne.
Nella pagina accanto: Dominique Delouche, l’autore del libro, insieme a Danielle Darrieux, la protagonista del film (1967).
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INTRODUZIONE
Il mio incontro con Madame de…
Il primo incontro che ho avuto con Max Ophüls non è stato davanti allo schermo di un cinema, ma in un libro, l’Histoire du cinéma di Bardèche e Brasillach che ho letto verso i quindici anni, vale a dire subito dopo la guerra. Vi appresi dell’esistenza di un film, Amanti folli, in cui una sequenza – scrivevano con gusto – rappresentava una serata all’Opera di Vienna alla presenza dell’imperatore Francesco Giuseppe senza che l’importante personaggio apparisse mai sullo schermo. Trovai la cosa intrigante. Da un lato, perché percepivo in questo regista per me sconosciuto un’arte della dissimulazione che poteva ben essere l’arte suprema della litote, pur in un mezzo espressivo, il cinema, che si credeva fatto per scrutare, mostrare, svelare. Dall’altro lato mi intrigava il fatto che eravamo usciti da poco dalla guerra e i film di Ophüls erano stati banditi dai nostri schermi in quanto opera di un ebreo; ma anche il fatto che Brasillach, autore di questo omaggio a un artista ebreo, era stato fucilato dopo la Liberazione a causa dei suoi scritti antisemiti su giornali collaborazionisti. Strano ossimoro che mi stuzzicava. Per saperne di più, sfogliai febbrilmente le pagine della Histoire du cinéma di Sadoul, all’epoca la bibbia dei cinefili. Restai deluso di non trovare nulla, nelle sue settecento pagine, su Amanti folli e
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poco su Max Ophüls. Sadoul ha mantenuto il suo scarso interesse per Ophüls fino alla fine, vale a dire fino a Lola Montès. Per lui Ophüls era decisamente un decadente, un disfattista, indisponibile alla costruzione di un mondo migliore, quello a cui il nostro storico del cinema anelava negli scritti e nei desideri. Finii per trovare programmato alla Cinémathèque, allora in rue d’Ulm, questo Amanti folli tanto atteso, e da quel momento iniziò la mia predilezione, mai messa in discussione, per il cinema di Max Ophüls. Uscirono poi La Ronde (1950) e Il piacere (1952), confermandomi nella mia sempre crescente ammirazione ophülsiana, e infine, nel 1953, Madame de… Mi recai a questo appuntamento romantico in un cinema di quartiere, una domenica pomeriggio. Pubblico familiare, che ritrovava qui le tre star riunite da Ophüls e assaporava un romanzetto con dei bei costumi, mentre io da parte mia assistevo alla proiezione con la serietà dovuta a una tragedia di Racine. Quando la sala si illuminò sulla parola « fine» , mi sorpresi a gridare « Bravo!» come si fa a teatro – un grido sfuggito dal cuore che piombò su quella massa di spettatori borghesi cullati in un sogno di lusso e sentimenti esacerbati. C’è voluto Lola Montès perché io osassi infine avvicinare il suo autore, oggetto di un culto appassionato fin dalla scoperta di Amanti folli. Il fatto è che Lola Montès era andato di traverso alla critica e al pubblico, infastiditi dalle sue ambiziose pretese: tanta forma per così poca sostanza, pensavano. La presenza di Martine Carol e una ostentazione di lusso fino alla nausea erano tuttavia, volutamente, da interpretarsi al contrario. Ciò che sarebbe stato chiaro vent’anni dopo con Ginger e Fred era visto qui in una fase iniziale, senza il suo esplosivo carico critico. Il pubblico si offese e condannò il film alla gogna. Redattore in una piccola rivista per cinefili, « Télécinéma» , ottenni di scrivere un pezzo elogiativo del film. L’articolo, intitolato
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INTRODUZIONE
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L’Assomption de Lola Montès, arrivò tra le mani di Ophüls che mi invitò ad andare a trovarlo. Fu l’inizio di una serie di incontri per me palpitanti nel suo pied-à-terre di Neuilly, il cui ricordo mi spinse, cinquant’anni più tardi, a riunirne gli scampoli in un libro che si sarebbe intitolato Max et Danielle. Più tardi, avrei frequentato anche Louise de Vilmorin, contattata per i dialoghi del mio film 24 heures de la vie d’une femme1. Lei non mi nascose la propria reticenza ad accettare il trattamento che Ophüls aveva ricavato dal romanzo originario.
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1968, inedito in Italia.
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Madame de Vilmorin secondo Cecil Beaton (1958) e Madame de... secondo Max Ophüls (1953).
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PROLOGO
Dal romanzo al film: Da Loulou de Vilmorin a Louise de… Madame de…, il romanzo, era stato un successo editoriale, e quando si seppe che stava per diventare un film e che tre delle più grandi star internazionali dell’epoca ne avrebbero interpretato i personaggi, la maggior parte del pubblico si rallegrò nell’attesa di una produzione sontuosa. Tutti si aspettavano un sentimentalismo raffinato, del tipo di quello che allora si ritrovava nei romanzi di Françoise Sagan. Letto il copione e soprattutto visto il film, Louise de Vilmorin storse il naso, ma con la discrezione che le imponeva, da contratto, un «obbligo di
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riservatezza». Più tardi, oserà lasciarsi andare: «Mi hanno comprato il titolo ma non hanno fatto il film!». Occorre precisare che tra la scrittrice e il regista vi era una differenza di casta. Ophüls è sempre stato affascinato dalla società opulenta che gli offriva
La prima edizione del romanzo di Louise de Vilmorin (1951).
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una cornice sontuosa per i suoi film, ma non è mai arrivato alla crème de la crème di questa società, l’ambiente che la gente che non ne fa parte chiama «il gran mondo» e che quelli che ci vivono chiamano semplicemente «il mondo». È in effetti il mondo come dipinto da Henry James e da Marcel Proust, o da Edith Wharton. È il mondo di Louise de Vilmorin. Non quello di Max Oppenheimer. Ophüls per parte sua era intimidito da Louise (sarà il figlio Marcel a confessarlo 1), mentre non fu così per Louis Malle, che si ritrovò alla pari con lei nella scala dello snobismo quando si trovarono a collaborare2, e meno che mai per Luchino Visconti, a cui la scrittrice fornì l’adattamento francese di Two for the Seesaw3. 1
In Marcel Ophüls di Vincent Lowy, 2008. 2
Vilmorin lavorò come sceneggiatrice al suo Les amants.
Vilmorin per prima cosa riteneva che Ophüls si fosse accostato al suo mondo come un parvenu, con una certa piaggeria, un po’ come aveva fatto Balzac con l’aristocrazia della Restaurazione. Gli aveva spiegato, ad esempio, di non riconoscersi nel personaggio centrale e più in generale nel suo pessimismo e nel suo atteggiamento vittimistico. Viceversa Ophüls non si peritava a dichiarare: «Questo film deve essere indirettamente assai amaro e mille volte più profondo dell’aneddoto su cui si basa»4. L’evoluzione tragica della storia di Louise si inserisce, per Ophüls, nel solco delle sue precedenti eroine. Egli ne ha portate alcune al suicidio (Amanti folli, Il piacere), altre alla disfatta (La signora di tutti, Tutto finisce all’alba, Lola Montès); ma Louise de Vilmorin, Loulou per gli intimi, è come le sue eroine:
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Pièce di William Gibson allestita nel 1958 da Visconti al Théâtre des Ambassadeurs.
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In Max Ophuls di Georges Annenkov.
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Lola Montès secondo Max Ophüls. Louise de Vilmorin e i suoi fratelli secondo Cecil Beaton.
grazie alla sua resilienza5 di classe, se ne esce sempre dai dispiaceri d’amore così come dalle conquiste sentimentali. Le due Louise, quella del romanzo e quella del film, si assomigliano all’inizio nella loro frivolezza, ma la prima resta incoerente fino alla morte, poiché accetta che i due cuori di diamante siano spartiti tra il marito e l’amante. Happy end, apoteosi della bigamia che va benissimo alla contessa de Vilmorin, dedita lei stessa, 5
Capacità di assorbire eventi traumatici [N.d.T.].
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fino a età avanzata, all’arte del vagabondaggio amoroso. È il caso di precisare che il romanzo le fu direttamente ispirato dal legame vissuto tra il 1945-47 con l’ambasciatore di Gran Bretagna a Parigi, Lord Alfred Duff Cooper, marito della sua migliore amica, Lady Diana. È stato forse questo profumo afrodisiaco di cancellerie che emanava dal romanzo a spingere gli sceneggiatori a fare dell’amante un ambasciatore (però d’Italia: obblighi di coproduzione) e a ingaggiare Vittorio De Sica. Ma nel mondo di Ophüls non
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c’è vendetta né scambismo. Certo, i personaggi sono tre, ma non si tratta di un trio tendente all’unione, come quello di
Jules et Jim, e nel film Louise, il marito e l’amante – a turno e in varie riprese – prendono dolorosamente le distanze
Due diversi “pas-de-trois”: Madame de... (1953) e Jules e Jim (1962).
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ciascuno dagli altri due, in una sorta di pas-de-trois coreografico. Ciascuno di volta in volta si ritira dal gioco, sparisce per un po’ per dare modo agli altri due di districare l’imbroglio in cui si sono incastrati. È la strategia dell’assenza. Si vedrà come, a ogni tentativo di liberarsi, i lacci della tragedia si stringano attorno a Louise come una tagliola. A nulla serve l’abnegazione di ognuno. Non sono liberi. Louise di Ophüls segue un itinerario che la porta dal rifiuto progressivo dell’amoralismo di Vilmorin alla nobiltà delle eroine di Racine, diciamo da Célimène a Bérénice. Per restare nel clima letterario del Seicento francese: la Louise del romanzo si muove all’interno della Carte du Tendre, la mappa del cuore descritta da Mademoiselle de Scudéry, mentre la Louise del film è piuttosto sorella della Principessa di Clèves di Madame de Lafayette. Si passa da un quietismo gesuitico (nel
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senso di fiducioso abbandono mistico alla volontà divina) a un fatalismo giansenista (inteso come coscienza del fatto che alcuni sono predestinati alla salvezza, altri no). Nel film, questi orecchini persi e ritrovati, come nel gioco del furetto6, acquistano a ogni passaggio un valore aggiunto, qualcosa che brucia in modo insopportabile, insieme medicina e veleno, di cui l’eroina fa dono infine a Dio, ma a un Dio che regola i destini in luogo degli uomini, un Dio giansenista. I tre protagonisti sono vittime di un meccanismo infernale a partire dalla prima bugia (bugia di ragazzina, peccato veniale che si rivelerà mortale) di Louise al marito. Le vie del Signore sono impenetrabili e, qui, inestricabili. Leggendo il romanzo si resta 6
Variante del gioco dell’anello, citata da Rabelais tra i passatempi di Gargantua [N.d.C.].
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rapiti dallo stile distaccato con cui Vilmorin descrive la sua protagonista, con una totale indifferenza morale e affettiva per il suo comportamento, benché sia di lei – di Louise – che si parla dall’inizio alla fine. A livello aneddotico si può notare che Loulou, finito da tempo il periodo delle feste galanti all’Ambasciata di Gran Bretagna, morirà della stessa malattia del suo personaggio, di congestione polmonare, nel proprio castello, tra le braccia di André Malraux, un uomo con lo stesso nome di Monsieur de... La penna in mano, Loulou si stupisce come in una fiaba di Perrault e si racconta senza riconoscersi. Siamo ben lontani da Ophüls che, questa volta, non si nasconde dietro un narratore (Il piacere) o un conduttore del gioco (La Ronde). Qui egli sposa il suo personaggio amorosamente, tragicamente. Dai suoi film si apprende che per lui il libertinaggio aveva il sapore di un presagio di morte. La sua
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Louise non muore, «si lascia morire», per parlare come Bossuet. Siamo nel pieno del “Grand Siècle”, con i suoi rigori estetici e morali. Essa muore da sola dopo un processo di spoliazione imposto dal destino. Passa dallo stato di fanciullezza a quello di passione, e infine di martirio. Pierre Murat non ha parlato della «Via Crucis di Madame de…»?
Il gioco dell’amore e del caso Questa piccola incosciente è dunque chiamata, secondo una predestinazione di pura marca giansenista, a diventare un grande personaggio. Lungo questo cammino pieno di insidie, Ophüls le offre il braccio e la conduce con mano amorevole ma inesorabile verso il suo destino. Si noti che durante tale percorso sarà il marito ad assumere
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questo ruolo di direttore spirituale e di psicoterapeuta. «Di cosa soffrite?». «Soffro di umiliazione». Oppure: «Ci sono malattie che si inventano». È il pungolo della gelosia, a metà film, ad aprire di colpo gli occhi a Monsieur de… sulla moglie. Egli scopre un essere di carne e inizia ad amarlo. Ci si può domandare se, prima di
31 tale scoperta della carne, questa coppia non fosse che la somma di due marionette fluttuanti nell’irrealtà delle convenzioni mondane; e se Louise non fosse rimasta per il marito una sorta di bambola, di ragazzina viziata in attesa di rapporti coniugali e di maternità. A vederla addormentarsi sola nel suo grande letto, si sospetta che non si fosse neppure rivelata a se stessa come donna.
Il matrimonio di Madame de…
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Aspettava di uscire dalla crisalide, ed è un terzo, l’amante, a servire da catalizzatore. Egli supera il marito e apre, dissuggella la sua psiche. Bisogna aspettare la metà del film perché il marito abbia un nome, «André». Prima, è soltanto «amico mio» sulla bocca della sua donna. Dopo essersi visto illuso e poi disilluso per caso con una menzogna, il marito inizia a scandagliare fianchi e cuore della moglie come dell’amante tendendo loro delle trappole. Sarà, da allora, il deus ex machina dell’intreccio, il mentore della donna nel labirinto delle sue bugie e delle sue cecità con l’obiettivo di portarla alla Salvezza. Elabora una strategia di cura. Governa la sua anima, per parlare come «i signori di Port-Royal»7. Ophüls dira tuttavia, più tardi, all’epoca in cui voleva portare
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Celebri filosofi giansenisti [N.d.T.].
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sullo schermo Histoire d’aimer 8. «Quello che amo negli intrecci di Madame de Vilmorin è il suo senso della fatalità». Ma mentre il concetto di fatalità appartiene, per la scrittrice, al campo del fantastico, per il regista diventa predestinazione. Quei gioielli con cui inizia e termina il film sono destinati, per un disegno 8
Romanzo di Louise de Vilmorin (ed. Gallimard) di cui Ophüls aveva fatto comprare i diritti da Danielle Darrieux per un film che non sarà mai girato.
Histoire d’aimer, un incontro mancato.
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