BIBLIOTECA DELLE ARTI
I SEI SENSI DEL REGISTA
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Simone Bartesaghi
I SEI SENSI DEL REGISTA Un approccio innovativo per sviluppare le tue capacitĂ di filmmaker
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Pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti da Michael Wise Production con il titolo: The Director’s Six Senses Copyright 2016 by Simone Bartesaghi Traduzione dall’inglese: Silvia Bonotti Copertina: Francesco Partesano (dal design originale di Johnny Ink, www.johnnyink.com) Stampa: Printonweb – Isola del Liri (FR) Copyright dell’edizione italiana: 2018 © Gremese International s.r.l.s. – Roma Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere registrata, riprodotta o trasmessa, in alcun modo e con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978-88-8440-965-2
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a Stefano, come promesso, sempre con me a Claudia, il mio pilastro, il mio equilibrio, il mio amore, mia moglie ai miei genitori, Emma e Carlo, che mi hanno insegnato a crescere senza invecchiare. Grazie per aver alimentato in me il senso del meraviglioso.
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IndIce Introduzione................................................................................ 9 Compiti a casa............................................................................. 11 1. La vista – La narrazione visiva Il rettangolo dello schermo................................................................ 14 Un’inquadratura, una storia................................................................ 15 Compiti a casa............................................................................. 21 2. iL tatto – La scenografia Riflessioni ambientali...................................................................... 24 Il mondo esterno come riflesso di noi stessi................................................ 25 Il mondo esterno come espressione deformata di noi stessi.................................. 25 Spazio reale da toccare.................................................................... 31 Compiti a casa............................................................................. 33 3. L’udito – Suono e musica Consapevolezza del suono................................................................... 36 La musica.................................................................................. 37 4. L’oLfatto – Dirigere gli attori Come fiutare una bugia (cattiva recitazione)................................................ 48 Dirigere gli attori e gli esseri umani..................................................... 51 L’ispirazione per una messa in scena realistica............................................ 52
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5. iL gusto – Esplorare lo stile Esplorare e scoprire.......................................................................58 Il gusto nelle storie......................................................................59 Gusto visivo...............................................................................61 L’ultimo gusto: il finale...................................................................64 6. La visione – l’ispirazione del regista Non è magia, è duro lavoro.................................................................72 «Perché?»: la domanda che racchiude tutte le risposte......................................72 7. «fare o non fare. non esiste provare» – Come mettere insieme tutti gli elementi Materiale tecnico: conoscete i vostri strumenti............................................76 La preparazione del regista................................................................82 Come comunicare le vostre percezioni.......................................................95 Accenni alla post-produzione: montaggio, suono e musica....................................97 Come procedere con le riprese..............................................................99 8.
un
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concLusione ............................................................................115
caso di studio: L’attimo fuggente ..................................................101
appendici Film citati...............................................................................122 Bibliografia...............................................................................123 Biografia dell’Autore......................................................................124 Ringraziamenti............................................................................125 Hanno detto di questo libro...............................................................126
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IntroduzIone Non esistono scorciatoie, non ci sono ragni radioattivi. C’è solo molto lavoro da fare.
Scommetto che da quando avete preso in mano questo libro vi state chiedendo: perché un altro manuale sulla regia? Vi rispondo onestamente: all’inizio della mia carriera, ho letto molti testi che davano ottimi suggerimenti su come scegliere un copione, creare un breakdown, lavorare con gli attori, comunicare con la troupe, e così via. Ma non sono mai riuscito a trovare un libro che mi accompagnasse durante la fase di transizione che porta dall’essere un “profano” all’essere un “regista”. La parola “regista” non indica ciò che si fa, ma ciò che si diventa. Si è registi ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette. I “sensi del regista” devono essere sempre all’erta. Avete capito bene, i sensi del regista sono come quelli dell’Uomo Ragno. Non potete mai sapere quale immagine, tema o frase potrà ispirarvi oggi e aiutarvi sul set domani. Lo scopo di questo libro è fornire un approccio pratico ai primi passi che un aspirante regista deve compiere, in modo da renderlo capace di raccontare la storia che ha scelto. Prima di tutto, chiariamo qualche aspetto. Un regista è un narratore. Niente di più, niente di meno. Dobbiamo iniziare con la narrazione, pura e semplice. La cinepresa, persino il foglio e la penna, vengono dopo. In qualsiasi modo la storia abbia inizio, che sia con «C’era una volta» o «In una galassia lontana lontana», che sia frutto di fantasia o ispirata a fatti reali, il processo è sempre lo stesso. Raccontiamo le nostre storie selezionando le parole che il pubblico può capire. Cerchiamo in ogni modo di far sì che la storia che inizia nella nostra mente prenda la stessa forma nella mente del pubblico. Non ci sarebbe comunicazione se due persone provenienti da paesi differenti si incontrassero e continuassero a parlare le loro lingue. La chiave sta proprio nella sfera 9
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I seI sensI del regIsta della comunicazione. Ecco perché un bravo regista sceglie attentamente le immagini e i suoni attraverso i quali racconterà la sua storia. Girare un film è come dividere un’immagine in piccoli pezzi, così da creare un puzzle. Questo puzzle viene poi assemblato dal tecnico del montaggio e dal regista, con l’intento di mantenere l’integrità della storia originale. Quando il pubblico vede il film, questo viene vissuto di nuovo pezzo dopo pezzo, un’inquadratura dopo l’altra, di suono in suono, ed è importante che i pezzetti del puzzle vengano ricomposti dagli spettatori nel giusto ordine di significato. Ci sono persone che hanno il dono di creare storie accattivanti; sono capaci di attirare il pubblico con parole e intonazioni particolari, evitando dettagli irrilevanti e senza cadere in momenti morti. Starete pensando: «Non sono mai stato bravo a raccontare storie, non sarò mai un bravo regista». Ho un’ottima notizia per voi. Potreste sentirvi intimiditi e impacciati a raccontare una storia di fronte a un pubblico con la vostra voce, ma questo non accade quando si gira un film. Pensateci: non sarete voi a mettere in scena il vostro film davanti agli spettatori, no? Un consiglio che voglio darvi è questo: se volete fare fortuna con questo mestiere, risparmiate tempo e denaro; diventate avvocati, dottori, idraulici. Non è facile raggiungere la fortuna e la gloria come registi. La maggior parte delle volte, anche quando tutti vi applaudono, vi sentirete delusi perché ciò che avete raggiunto sarà solo una pallida riproduzione di quello che avevate immaginato. Per diventare regista occorre lavorare sodo, studiare e credere ciecamente nei propri sogni e nelle proprie ispirazioni. Ma se da qualche parte dentro di voi sentite di avere la passione per la narrazione, allora questo è il libro che fa per voi. Vi mostrerò come nutrirla e come evitare di lavorare tutta la vita. Dopotutto, non si può parlare di “lavoro”, se pagheremmo pur di farlo. Una precisazione è necessaria. Nella prefazione del suo libro Fare un film, Sidney Lumet ci racconta di un’interessante conversazione che ebbe con Akira Kurosawa riguardo a una particolare inquadratura utilizzata nel suo film Ran (1985). Il grande regista giapponese spiegò la sua scelta dicendo: «Un po’ più a sinistra la fabbrica della Sony sarebbe stata lì bene in mostra» e «un po’ più a destra avremmo 10
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IntroduzIone visto l’aeroporto, e nessuna delle due cose poteva far parte di un film in costume». Non potete mai sapere la vera ragione per cui un’inquadratura è stata scelta. Qualora si debba fare i conti con il budget o con limiti geografici, un regista capace e competente sarà sempre in grado di trasformare i compromessi in opportunità. È per questo che la mia analisi e le mie osservazioni si basano solo ed esclusivamente sulle mie reazioni come persona del pubblico. Cerco di capire come un regista riesca a suscitare in me le emozioni che provo guardando un film.
compItI a casa Scrivete ciò che vi succede oggi, come se parlaste a un amico. Non pensate, scrivete e basta. Poi rileggete e prendete nota di quale parte del giorno avete omesso e perché, di quali parole avete usato più spesso e di che cosa vi è parso maggiormente interessante. Tutto questo è importante, perché la narrazione è alla base del lavoro di un regista. Scegliamo le parole che ci servono per raccontare le nostre storie allo stesso modo in cui selezioniamo le immagini per procedere con la narrazione nei nostri film. Le immagini sono uno strumento straordinario perché riescono a infrangere le barriere del linguaggio. L’immagine è la stessa indipendentemente dalla vostra provenienza. Dopotutto, c’è solo un linguaggio che capiscono tutti: il linguaggio delle immagini. *** Questo libro contiene molti riferimenti visivi e, per arricchirlo ulteriormente, potrete trovare la maggior parte delle scene a cui fa riferimento nonché contenuti nuovi e aggiornati sul mio sito sibamedia.wixsite.com/sibanext, selezionando dalla homepage inglese la voce Director’s Six Senses. Siete pronti per intraprendere un viaggio dove – per citare Ritorno al futuro – “non c’è bisogno di strade”?
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1.
LA VISTA La narrazIone vIsIva
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I seI sensI del regIsta
La vIsta: La vista è uno dei cinque sensi, quello mediante il quale è possibile percepire gli stimoli luminosi e, quindi, la figura, il colore, le misure e la posizione degli oggetti. Tale percezione avviene per mezzo degli occhi. (fonte: Wikipedia)
IL rettangoLo deLLo schermo
Quando ho deciso di scrivere questo libro, volevo riguardare le scene che avevo deciso di utilizzare come esempi. Volevo ricordi recenti, non volevo basarmi su quelli che avevo acquisito dalla prima visione dei film. Avevo sottovalutato il potere di quelle scene: appena ho avviato i DVD, sono stato rapito dai film e li ho guardati fino alla fine. Questo, ovviamente, ha rallentato il processo di scrittura. E a un tratto ho capito che sir Alfred Hitchcock aveva ragione quando diceva: «Quando si scrive un film è indispensabile tenere nettamente distinti gli elementi di dialogo e gli elementi visivi e, ogni volta che è possibile, dare la preferenza ai secondi sui primi. Qualunque sia la scelta finale in rapporto allo sviluppo dell’azione, deve essere quella che con maggior sicurezza tiene il pubblico in sospeso. Concludendo, si può dire che il rettangolo dello schermo deve essere caricato di emozione»1. “Il rettangolo dello schermo”. Come registi, dovete valutare cosa accade in quello spazio. Non importa nient’altro. Le ragioni per cui si sceglie una determinata inquadratura, siano esse di tipo creativo o, per dirla come Sidney Lumet, per “esigenze di budget” o di “ispirazione divina”2, non contano. Quando il pubblico guarda un vostro film, vede solamente ciò che è dentro quel rettangolo. Mentre riprendete, sarete distratti da molte delle cose che accadono intorno a voi, da questioni 1. Truffaut, F., Il cinema secondo Hitchcock, Il Saggiatore, Milano 2008. 2. Lumet, S., Fare un film, Minimum fax, Roma 2010.
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la vIsta legate alle location future, dalle discussioni sulla motivazione del personaggio, dai problemi tecnici con la cinepresa, dalle divergenze creative con lo scenografo. Tutto questo potrebbe compromettere la vostra capacità di concentrazione. Ma quando la cinepresa è in azione, dovete essere capaci di concentrarvi solo su ciò che state filmando, proprio lì davanti a voi, in quel preciso momento. Un mondo tutto nuovo sta prendendo vita per voi, il nostro mondo è come in sospeso, in attesa della parola magica. Quando pronunciate «stop!», il nostro mondo prende di nuovo il sopravvento con le sue attività frenetiche, le emozioni e le storie. Ma dato che l’altro mondo è stato catturato dalle emulsioni della pellicola (i pixel dei sensori di oggi), ciò che è accaduto non è andato perso. È immortalato3. “Caricato”: che parola fantastica. Non “pieno”, né “colmo”, o “denso”, ma “caricato”. Conferisce un senso di energia e potere. “Emozione”: questa è la pura essenza del fare i film. Ogni inquadratura ha a che fare con l’emozione. Mi piace pensare che sia come una strada a doppio senso: l’emozione che rappresentiamo sullo schermo e l’emozione che lo schermo riesce a suscitare nello spettatore. Ma potreste dirmi: «Aspetta un attimo, se ogni inquadratura deve essere “carica di emozione”, come ci si comporta con l’inserimento di un telefono?». Avete ragione, il telefono non prova un’emozione, ma nel contesto della storia, se la possibilità o meno di afferrare quel telefono significa vita o morte per il nostro protagonista allora anche l’introduzione di un telefono è caricata di emozione, non credete?
un’Inquadratura, una storIa
Il potere della narrazione visiva è raccontare un’intera storia con un’inquadratura, con una sola immagine. Riuscite a immaginarvi la storia della figura 1.1? Immaginate cosa è accaduto prima e cosa accadrà dopo? Provate qualcosa per le persone mostrate in questa foto? L’immagine presa in esame rappresenta il maggiore Terri Goodman Gurrola di ritorno dall’ultima missione in Iraq durata sette mesi, mentre riabbraccia sua figlia. Adesso, indossiamo il nostro 3. Bartesaghi, S., Impressions at 24 fps, visibile sul canale YouTube SIBAMEDIA.
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I seI sensI del regIsta cappello da regista e facciamo finta che questa sia una scena tratta dal film che state girando. Qui ci sono alcuni elementi da tenere in considerazione e alcune decisioni da prendere. Prima di tutto: dove ci troviamo? Quando pongo questa domanda ai miei studenti, di solito ottengo un’unica risposta a maggioranza assoluta: all’aeroporto. A quel punto chiedo: perché? Non ci sono aerei, né cartelli o tabelloni con gli orari. Perché siamo in un aeroporto? Perché se osserviamo bene, l’immagine contiene indizi visivi che rivelano al nostro cervello che si tratta di un aeroporto: il pavimento lucido, le persone con le valige, perfino i colori degli oggetti fuori fuoco, sullo sfondo, ci dicono che ci troviamo in un aeroporto. È così di solito che immaginiamo un aeroporto, o perché ci siamo stati o perché l’abbiamo visto in qualche film o documentario. Adesso, immaginate che il produttore sia disposto a darvi tutto ciò che volete, perché ha una fiducia cieca nel vostro talento. Allora voi direste: «Per il ritorno dell’eroina voglio che venga chiuso un terminal del LAX4 perché sarebbe epico e magico e...» e così girate la scena. Pensate che il vostro produttore sarebbe contento di spendere qualche milione di dollari per questa scena? Certamente sarebbe bellissima e carica di emozione, ma non c’è bisogno di un terminal, non credete? Diamine, non c’è bisogno nemmeno di un aeroporto vero. Vi serve un pavimento lucido, Figura 1.1 – AP Photo/The Journal&Constitution, Louie Favorite
4. Aeroporto internazionale di Los Angeles (N.d.T.)
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la vIsta qualche passeggero con i bagagli, una colorata scatola di cioccolatini, e la magia è compiuta. Sì, perché uno dei fattori sbalorditivi da tenere presenti è la possibilità di fare affidamento su ciò che il pubblico già conosce del mondo in cui vive. Non è necessario reinventare la ruota tutte le volte. Grazie al fatto che il pubblico della nostra storia vive in questo mondo, possiamo dare per scontato che è il vestiario stesso della donna a dirci che è un soldato. E, in base al comportamento e al linguaggio del corpo, tutti saranno d’accordo nell’affermare che non ha trascorso gli ultimi sei mesi a fare la guardia a un monumento a Washington. Sono più portato a credere che abbia fatto un viaggio all’inferno, non pensate? L’intera storia è stata catturata in una sola inquadratura. La tensione nelle mani della donna, gli occhi chiusi, il suo corpo: tutto sembra far pensare che sia appena crollata al suolo. Tutti questi elementi contribuiscono a raccontarci la storia. Anche dal punto di vista della composizione, la presenza dell’uomo in giacca e cravatta che cammina dietro di lei dona profondità alla scena e ne rinforza il dinamismo, è energia cinetica che va da sinistra a destra. Figura 1.2 Questa inquadratura è sicuramente “caricata di emozione”. C’è un solo elemento che, possiamo dire, crea l’intera storia. Il fulcro dell’immagine è l’espressione facciale (l’interpretazione, se così vogliamo definirla) della nostra eroina. È da qui che la storia ha inizio. Tutto ciò che la circonda non fa che rafforzare questa immagine. La figura 1.2 è stata scattata da Oded Balilty e ha vinto il Premio Pulitzer per la categoria “Breaking News Photography”. L’immagine mostra una donna ebrea che da sola resiste alle forze di sicurezza israeliane impegnate a sgombrare gli insediamenti illegali sulla sponda occidenta17
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I seI sensI del regIsta le del Giordano. Osservando questa immagine, vorrei che vi concentraste sulla composizione e sull’angolazione della macchina fotografica. Se applichiamo la famosa “regola dei terzi”5 a questa fotografia (figura 1.3), capiamo immediatamente perché è così intensa. Vi sono diversi elementi da analizzare: • il fatto che più di due terzi dell’immagine si spinge contro il restante terzo; • il contrasto; • l’angolazione bassa non ci permette di vedere il numero effettivo delle forze dell’ordine (da questa angolazione sembra quasi che anche le persone sulla cima della collina stiano spingendo contro la donna). Anche in questo caso, pensando alla foto Figura 1.3 possiamo immaginare cosa è accaduto prima e cosa sta per accadere. È la classica storia di Davide e Golia. Una donna contro un esercito. Ma è davvero così? Ecco la verità: in realtà la donna sta lottando contro un soldato, forse contro due, mentre gli altri non sanno nemmeno che esiste. In una frazione di secondo la storia è finita, è esistita solo in questo scatto. Perché? Il motivo è nell’angolazione della macchina fotografica e nel momento esatto dello scatto. Se la camera non fosse stata in linea con gli scudi, non avremmo avuto quella perfetta riga di separazione verticale. Se la macchina fosse stata un po’ più in alto, avremmo visto che la donna stava spingendo contro un solo scudo e che, a parte lei, nessuno sta opponendo resistenza, quindi gli altri soldati possono passare. 5. Una ricerca veloce su YouTube vi darà tutte le informazioni su questa fondamentale regola di composizione. Se volete saperne di più, cercate The Filmmaker’s Eye di Gustavo Mercado.
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la vIsta Questa storia esiste solo nell’inquadratura perché l’angolazione della macchina fotografica e la composizione creano una realtà che non è mai esistita. Facciamo un altro piccolo esperimento. Ritagliamo la foto (figura 1.4a e 1.4b). Notate qualcosa di diverso? Nella figura 1.4a abbiamo risistemato l’immagine dando più spazio alla donna, rendendola più forte. E se ribaltiamo l’immagine (figura 1.4b) riusciamo addirittura a trasmettere la sensazione che la donna stia avendo la meglio. Stessa situazione, inquadratura differente, storia differente.
Figure 1.4 a e b – AP Photo/Oded Balilty
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I seI sensI del regIsta Ecco perché non posso essere d’accordo con la frase: «La fotografia è verità. E il cinema è verità ventiquattro volte al secondo»6. Appena decido cosa e come inquadrare, ne manipolo la percezione. La narrazione è sempre manipolazione. Appena guardate la figura 1.57, potete notare come i vostri occhi sono guidati verso una parte specifica dell’inquadratura: la faccia del giovane. E questo non succede perché è più affascinante degli altri. La ragione per cui i nostri occhi sono attratti da lui è perché è l’unica parte a fuoco dell’immagine. Tutto ciò che gli sta intorno (di fronte e dietro) non è a fuoco e i nostri occhi non tollerano di fissarlo, perciò lo sguardo si dirige direttamente sul giovane. Non importa dove sia l’oggetto o il personaggio, la nostra attenzione si sposta dritta su di esso. Potreste chiedervi: «Come può un elemento cambiare la storia solo per il fatto di essere o no a fuoco?». Semplice. In questa versione l’immagine ci racconta la storia di una persona circondata da una folla. Se i volti di tutti gli individui fossero a Figura 1.5 6. Dal film Le Petit Soldat, regia Jean-Luc Godard. 7. Un tifoso a Times Square reagisce a un’azione mentre guarda i New York Yankees giocare contro i Philadelphia Phillies alla sesta ripresa, prima di vincere la Major League Baseball a New York, il 5 novembre 2009. REUTERS/Lucas Jackson.
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la vIsta fuoco la storia parlerebbe della folla. Stesso scatto, stessa angolazione, stessa espressione, messa a fuoco diversa, storia diversa. (La manipolazione di ciò che è a fuoco si deve all’uso di una delle proprietà delle lenti, la “profondità di campo”.) Vorrei che vi soffermaste su questo metodo perché è uno strumento molto efficace per guidare l’attenzione del pubblico verso la parte dell’inquadratura che vi interessa maggiormente.
compItI a casa Il compito che dovrete eseguire per questo capitolo è iniziare una raccolta di fotografie che raccontino storie e vi colpiscano emotivamente. L’esercizio non ha scadenza. Vi suggerisco di collezionare immagini per il resto della vostra vita. Diventeranno il vostro background visivo, vi saranno di ispirazione e vi offriranno soluzioni ai problemi che incontrerete come narratori. Scegliete queste immagini non solo dai film, ma anche da riviste e soprattutto dai giornali. Come fotografi che catturano eventi reali, i fotogiornalisti hanno il dono di cogliere il momento perfetto. Raramente c’è una seconda possibilità, per cui sono abilissimi a inquadrare gli eventi in maniera molto intensa. Personalmente preferisco stampare le immagini in modo da poterle appendere al muro dell’ufficio al momento giusto e usarle come una guida durante la produzione. Ma se volete, potete creare nel vostro computer una cartella in cui archiviarle. Non sottovalutate questa parte del processo. Non si finisce mai di imparare, perciò non smettete mai di studiare.
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