L'amore malato

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NARRATORI FRANCESI CONTEMPORANEI

Collana diretta da Philippe Vilain

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Amélie Cordonnier

L’AMORE MALATO Romanzo

Traduzione dal francese di

MARIA STELLA TATARANNI

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Titolo originale: Trancher © Flammarion, Paris, 2018 Stampa: AGL – Pomezia (Roma) Copyright dell’edizione italiana: 2020 © Gremese International s.r.l.s. – Roma Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualunque modo e con qualunque mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978-88-6692-104-2

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Ai miei figli, Alix e MaĂŤl

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PROLOGO Hai sempre fatto delle liste. Da piccola annotavi i nomi delle tue bambole, degli amici da invitare, dei pony che volevi cavalcare, le parole sconosciute da cercare nel dizionario e tutti i regali di compleanno che Anna sognava. Scrivevi anche i titoli della Bibliothèque Verte da ordinare: Quello strano profumo, Il messaggio dell’usignolo, Una cavallerizza per Black Stallion, Il gabbiano Jonathan Livingston o Il piccolo Lord. La lista dei romanzi da leggere con priorità non ha mai lasciato la tua borsa, ma un giorno, è arrivata anche quella dei ragazzi che ti sorridevano all’uscita dalla scuola, incontrati poi il sabato in discoteca. Quando sono nati i bambini, si sono aggiunte altre liste. Quelle della settimana e del week-end, quelle delle fatiche e delle gioie future. Gli orari dei biberon, poi quel-

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li della danza, del tennis e dello judo, le verdure da comprare, i passati da preparare, le attività da programmare, le date delle vacanze, il menu della cena con i piatti da riscaldare, che continui a stilare ogni mattina per la baby-sitter prima di andare al lavoro alla mediateca, i film, gli spettacoli e le mostre da non perdere, le feste da non dimenticare: tutte queste liste, le hai fatte. Spesso con piacere, a volte sbuffando, ma sempre di tua spontanea volontà. Liste di insulti, invece, non ne avevi mai fatte prima.

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PRIMA PARTE «Si la photo est bonne, Il est bien de sa personne, N’a pas plus l’air d’un assassin, Que le fils de mon voisin» . (Se lo scatto è bello, È un bell’uomo anche il modello, Non ha l’aria di un assassino Più del figlio del mio vicino.) Barbara, Si la photo est bonne

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È ricominciato senza preavviso. Era uno di quei fine settimana di settembre che ti piacciono tanto. Avevate deciso di passarlo tutti e quattro a Cabourg, nella casetta ereditata da Josette, la nonna di Aurélien. L’adorabile vecchietta, un po’ pazzoide, l’aveva ribattezzata “La bicocca”. Dopo la sua morte, Aurélien aveva proposto di rifiutare le offerte degli agenti immobiliari e di ristrutturarla completamente. Ovviamente avevi accettato. Di carne al fuoco ce n’era, dal momento che il cottage non veniva rinnovato da quarant’anni. Avevate dovuto selezionare e gettare via tante cose. Josette aveva accumulato un’infinità di statuette di ogni tipo, ricoperte di polvere. La collezione di barche, quella di gatti di porcellana, di cuori, di papere di legno, di bambole antiche e di palle di vetro. Ci sono voluti litri di olio di gomito e quasi ottanta sacchi della spazzatura per fare piazza pulita. Una vera sofferenza doversi sbarazzare di – 11 –

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tutto. Avevi consigliato ad Aurélien di conservare un pezzo, non di più, di ogni collezione di Josette. Per la famiglia di nani da giardino avevate fatto un’eccezione. Tre di loro troneggiano ancora oggi nella cucina aperta sul salotto. È sotto il loro sguardo beffardo e la loro aria imbronciata che è scoppiato tutto. Quella mattina, sono le 10. Il sole dardeggia attraverso le grandi vetrate messe al posto delle finestre antiquate di Josette. L’arredamento non ha nulla da invidiare a quello della famiglia del Mulino Bianco. Eccetto per le piastrelle, sporche come non mai. «Bleah!» esclama Romane con un sorriso impertinente, indicandole, prima di spiegare a suo fratello: «Bleah possiamo dirlo, che schifo no». Ridi. La sporcizia aspetterà, ti sei ripromessa che non avresti passato la domenica a fare le pulizie. La tua tazza di tè si raffredda davanti al gioco delle differenze. Te ne mancano tre e Romane si dispera, mentre Vadim, seduto di fronte a voi, stenta a fare il riassunto de La fortuna dei Rougon. C’è abbastanza spazio perché tutti possano mettersi comodi. Libri sgualciti, gomme da cancellare, quaderni, fogli, schede, pennarelli, raccoglitori, bianchetti e matite colorate si ammucchiano sul lungo tavolo rustico al quale non ti siedi mai senza rivolgere un pensiero a Josette,

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che un tempo vi risolveva un cruciverba dopo l’altro, infagottata nel suo scialle rosa. È l’unico mobile che avete tenuto, insieme alla pesante panca in legno di rovere contro cui Vadim, da piccolo, sbatteva spesso la testa. C’è una calma allegra e studiosa che ti rende felice. Divorati i fagottini al cioccolato, hai spento la musica per permettere al tuo liceale di quindici anni di concentrarsi meglio. Fa già abbastanza fatica a restare fermo senza che la sua coscia si metta a tremare e la sua penna a ruotare come una trottola. Hai sempre avuto una predilezione per quei momenti, quando tutto è calmo, quando ciascuno medita in un silenzio interrotto da sospiri e, a volte, da brontolii. Romane disegna un albero con un uccello, Vadim cerca le parole giuste mordicchiando la penna, tu hai aperto il tuo romanzo e ti piace leggere così, anche se non vai avanti. Giri faticosamente la pagina 100 quando Vadim decreta che la casa di Josette somiglia un sacco a quella del romanzo in cui vivono Silvere e sua nonna. Stanca di combattere, rinunci al tuo libro e lo richiudi. Se non gli dai una mano con il riassunto, non finirà nemmeno per domani. È in quel momento che Aurélien piomba in cucina. Noti l’aria infastidita che mostra apertamente. Accende lo stereo e mette la musica a tutto volume. «Eh no!» esclami abbassandolo, «non si può lavorare così!». Così, – 13 –

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