Le avventure di Bear Grylls - Samira e il terremoto

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I D E R U T N E LE AVV

bgreyalrls Samira e il terremoto


Bear Grylls

Ha imparato ad amare l’avventura sin da piccolo, da suo padre, un ex ufficiale di marina. Dopo gli studi, è entrato nella Reserve SAS, reggimento speciale dell’aeronautica militare, ed è stato uno dei più giovani scalatori al mondo a salire sul monte Everest, a soli due anni da una frattura tripla alla colonna vertebrale che si era procurato durante un lancio in paracadute. Tra le sue numerose avventure, ricordiamo le spedizioni che ha guidato al Circolo Polare Artico e in Antartide, le traversate oceaniche e i record mondiali stabiliti in paracadutismo e parapendio. Bear è anche autore di bestseller e protagonista di programmi televisivi, come L’ultimo sopravvissuto e altre trasmissioni dedicate alla sopravvivenza. Ha insegnato le sue tecniche in tutto il mondo e ha guidato famosi personaggi dello spettacolo e dello sport in imprese avventurose, compreso l’ex Presidente Barack Obama. Bear Grylls è Capo Scout della UK Scouting Association, che incoraggia i giovani a intraprendere grandi avventure, a perseguire i propri sogni e a dare valore all’amicizia. È anche Colonnello onorario dei Royal Marine Commandos. Quando non è in giro per il mondo, vive con sua moglie e i loro tre figli su una chiatta a Londra o su un’isola al largo della costa del Galles. Ulteriori informazioni su www.beargrylls.com (sito in inglese)


I D E R U T N E V V A LE

r a e bgrylls SAMIRA E IL TERREMOTO illustrazioni di Emma McCann


Titolo originale: The Earthquake Challenge Text and illustrations copyright © Bear Grylls Ventures, 2017 Illustrations by Emma McCann Originally published in English language by an imprint of Bonnier Zaffre, London The moral rights of the author have been asserted

Traduzione dall’inglese: Maria Elisa Albanese Stampa: AGL – Pomezia (Rm) Copyright dell’edizione italiana: 2020 © Gremese International s.r.l.s. – Roma Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978-88-6692-067-0 Samira e il terremoto è un’opera di fantasia. I nomi, i personaggi, i luoghi e gli eventi descritti sono frutto dell’immaginazione dell’autore oppure sono usati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con persone, viventi o defunte, luoghi o fatti reali è puramente casuale. Il libro propone ai giovani lettori un racconto d’avventura e non intende suggerire in alcun modo comportamenti pericolosi. L’editore declina ogni responsabilità per qualunque pregiudizio derivante direttamente o dall’emulazione delle azioni descritte.


Ai giovani esploratori che leggeranno questo libro per la prima volta: possano i vostri occhi essere sempre aperti all’avventura, e i vostri cuori sempre animati dal coraggio e dalla voglia di trasformare i sogni in realtà .



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DEVO PROPRIO ANDARE Samira si sentiva al sicuro e felice nel suo sacco a pelo, finchÊ non aprÏ gli occhi. Poi emise un flebile gemito. Si era svegliata troppo presto. Nella tenda era ancora tutto buio come la pece. Non aveva bevuto niente dopo cena, di proposito. Era andata a letto con un po’ di sete, proprio come aveva fatto la sera prima, ed era riuscita a dormire tranquilla per tutta la notte. Ma stasera il corpo di Samira aveva 7


altri progetti: doveva fare pipì. Samira emise un altro pigro lamento. Era notte fonda. Ma sapeva che non avrebbe potuto aspettare fino al mattino seguente. Doveva proprio andare. Fuori, il campeggio era immerso nel silenzio assoluto. Dalle altre tende non proveniva nessuna voce o musica. L’unico suono che riusciva a sentire era il respiro delle sue compagne di tenda. Chloe e Sophie dormivano profondamente. Samira non aveva detto che a casa dormiva ancora con la luce accesa. Nella sua immaginazione, serviva a tenere lontani i mostri dell’oscurità. Samira aprì silenziosamente il sacco a pelo. Era andata a letto in tuta e maglietta. Tastò con le mani tutt’attorno per trovare i sandali, il velo e la felpa con il cappuccio e li indossò. Dopodi8


ché, afferrò la torcia sotto il cuscino. Poi fece un respiro profondo, aprì la tenda e uscì. Il piccolo raggio della torcia non era di grande conforto. Disegnava un piccolo cerchio di luce sul terreno in modo da permetterle di vedere dove stava andando, ma non poteva fare molto per combattere il resto dell’oscurità. La radura dove erano sistemate le tende era circondata da alti alberi che sembravano le sagome nere di animali giganti, che arrivavano quasi al cielo. Un vento leggero muoveva i rami che frusciavano come se quegli enormi animali borbottassero tra loro. «Vedi quella ragazza laggiù? Ora andiamo a prenderla...».

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Samira tremava, e non solo perché il vento notturno era gelido. Era sempre così. Si sforzò di ricordare l’aspetto di quel posto alla luce del giorno. Aveva già usato quel trucchetto prima. In questo modo, quando la luce se ne andava e avanzava l’oscurità, poteva dire a se stessa: «Non c’è nulla di davvero brutto là fuori». Niente in agguato. Nessun animale gigante. Nessun mostro. Questo era quanto si sforzava di dire a se stessa. Ma la sua immaginazione era sempre molto più convincente. Senza rendersene conto, Samira aveva iniziato a camminare un po’ più velocemente. Sbatté il piede contro un tirante e ci mancò poco che cadesse a faccia in giù. Quando inciampò, sentì un col10


petto nella felpa e le ci volle un momento per ricordare cosa fosse. Ah sì, la bussola. Il giorno prima si era fatta un nuovo amico, un ragazzo di nome Jack*. L’aveva aiutata a finire il corso di orientamento. Samira aveva troppa paura di entrare in una caverna buia per timbrare il foglio degli indizi, e così Jack l’aveva fatto al posto suo. Non le aveva nemmeno chiesto perché e Samira gli era stata molto grata per questo. Aveva anche recuperato la mappa per lei da un albero che pendeva sul lago. Poi, per chissà quale motivo, le aveva dato quella bussola. Ma una bussola non era molto utile al buio. Samira riusciva a sentire i mostri * L’avventura di Jack è raccontata in Jack e il fiume.

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strisciare alle sue spalle, ma non voleva farsi male, così si fece forza e rallentò. E questo volle dire che i mostri iniziarono a strisciare più velocemente. Lei continuava a tenere gli occhi rivolti in avanti. Riusciva a vedere la luce esterna della zona docce sul lato opposto della radura rispetto alla sua tenda. Più si avvicinava, più correva, sentendo il buio starle alle calcagna. Falene e insetti ronzavano intorno alla luce accesa, ma non le davano fastidio. Era solo l’oscurità a spaventarla. Samira corse di filato nel bagno delle ragazze. Le luci erano sempre accese lì dentro. Richiuse la porta dietro di sé, sbattendola, e gonfiò le guance con un respiro profondo mentre il cuore finalmente iniziava a rallentare. Ce l’aveva fatta. Poggiò la torcia vicino ai lavandini ed entrò subito nel vano gabinetto. Si sentì 12


molto meglio una volta uscita per lavarsi le mani. Poi, si ricordò che sarebbe dovuta tornare indietro, al buio. Samira sporse le mani sotto l’asciugatore, che funzionò per un paio di secondi. Poi... Fzz. Andò via la corrente. L’asciugatore si fermò. Si spensero le luci. Improvvisamente, tutto il bagno era 13

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immerso nelle tenebre. Ancora più buio che all’esterno. Non c’era il riverbero della luna lì dentro, né stelle. Non si vedeva proprio nulla. «Oh, no!» gemette. Era uno stupido blackout, la cosa che odiava di più quando era a casa. Samira cominciò a immaginare i mostri dell’oscurità insinuarsi alle sue spalle. Il cuore le sprofondò nel petto. «O-okay» disse ad alta voce. «So che non c’è niente lì. È tutto nella mia mente». Cercò a tentoni la torcia, vicino ai lavandini, ma la sua mano tremante la urtò e Samira la sentì cadere sul pavimento piastrellato. Bum. Di sicuro si era rotta. «No!» gridò Samira. Si inginocchiò e cominciò a cercarla tastando il pavimento. Quando la raccolse, sentì che qualco14

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sa si era allentato e tintinnava all’interno della torcia. Premette il pulsante. Premette di nuovo. Niente. La torcia non funzionava più. Samira trattenne un grido. Non c’era via d’uscita da quell’oscurità. Era intrappolata nell’edificio con la testa piena di mostri.

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NELL’OSCURITÀ La bussola! Samira si ricordò improvvisamente del regalo di Jack. Aveva qualche tipo di luce, forse? Magari il quadrante si sarebbe illuminato come quello di un telefono. Rovistò in tasca. Intorno a lei l’oscurità era palpabile e le si stringeva addosso. Il suo respiro divenne sempre più corto, affannato. Cercò di respirare più lentamente. Le dita tremanti di Samira si strinse1717

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ro attorno alla bussola. La tirò fuori e la tenne davanti agli occhi. Samira riusciva a distinguere il quadrante, solo quello. Le direzioni erano luminose ma il quadrante non era illuminato, nessun pulsante da premere. Non poteva usarla come torcia. In effetti, la luce era così fioca che riusciva a malapena a distinguere le direzioni. Poi la osservò di nuovo, e per un momento le sembrò che ci fossero cinque punti sul quadrante, non solo i soliti nord, sud, est e ovest. Che strano. Samira strinse i denti e rimise la bussola in tasca. Sapeva che alla fine gli occhi si sarebbero abituati al buio. Lo facevano sempre. Sicuramente un po’ di luce sarebbe 18

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filtrata dalle fessure attorno alla porta e dalle finestre. Così, alla fine, sarebbe riuscita a scorgere la strada per uscire da lì. Ma stavolta non fu così. Perché non era così? Brividi di paura le attraversarono il corpo, ma Samira si fece coraggio. Ok. Ok. La stanza non era poi così grande. Era in piedi di fronte ai lavandini quando era andata via la luce. Quindi, tutto quello che doveva fare era girare a destra e camminare, così avrebbe raggiunto la porta. Si girò e stese le mani davanti a sé. Poi racimolò ogni briciolo di coraggio che le rimaneva e cominciò a camminare nell’oscurità. Tutto ciò che riusciva a toccare con le mani era aria, e poi ancora aria. Continuò a trascinarsi in avanti. E poi ancora più avanti. Ma non c’e19

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ra il muro, nessuna porta. La stanza era più grande di quanto ricordasse? Poi, grazie a Dio, riuscì a vedere un barlume di luce. Il nero si stava lentamente trasformando in grigio. Riuscì a distinguere delle forme. Ma non le erano familiari. Samira strinse gli occhi cercando di abbinare quelle sagome ai ricordi che aveva del bagno alla luce del giorno. In lontananza, pensò di aver sentito un rimbombo. Era un temporale? Era molto lontano ed era più come se lo avesse avvertito sulla pelle piuttosto che udito. Poi, fuori dall’oscurità, toccò qualcosa di strano, qualcosa di morbido. Samira ebbe un sussulto, scioccata, e tirò via la mano. Qualunque cosa fosse, non era il muro. 20

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Sembravano vestiti. Abiti appesi a della stampelle. Strano. Poi Samira pensò di aver visto qualcuno in piedi, a pochi metri da lei. Non si muoveva. Samira si rese conto che era troppo esile e troppo immobile per essere una persona. Infatti era un manichino. E ce n’era un altro dietro. 21

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Poi distinse chiaramente altri appendiabiti attorno a sé. «Cosa?!» Samira esclamò. «Dove...? Come...?». Capì che non era più nel bagno delle ragazze al campeggio. In qualche modo si trovava in un negozio di abbigliamento. Un negozio di abbigliamento buio e deserto. Le girava la testa. Era impossibile. Era forse sonnambula? Aveva sentito parlare di persone che camminavano nel sonno. Ma se avesse in qualche modo camminato nel sonno dal campeggio fino alla città più vicina, allora doveva aver fatto davvero molta strada. Eppure, non si sentiva affaticata. Ma non importava come, si disse. Aveva ancora lo stesso problema: doveva trovare una via d’uscita. E la soluzione che le veniva in mente era sempre la 22

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stessa: andare avanti fino a raggiungere un muro o una porta. Samira ricominciò a camminare. Poi sentì di nuovo quel rombo. Più forte, più vicino. Le ricordava il rumore di un treno o della strada principale che passava vicino a casa sua. Quel suono correva sul pavimento e le saliva su per le gambe prima di arrivare alle orecchie. Ma poi cominciarono ad aggiungersi altri rumori. Strani scricchiolii, e un gemito le salì alle labbra dallo stomaco. Samira fu di nuovo in preda al panico. Le tremavano le gambe. Poi capì che non era la paura che le faceva tremare le gambe. Era il pavimento. Il terreno tremava davvero. Uno degli appendiabiti cominciò a scivolare sul pavimento. Poi ci fu un cri-i-i-k. Improvvisamente cadde una parte 23

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del tetto, schiantandosi sul pavimento dall’altro lato della stanza. Samira di solito non urlava, nemmeno quando era spaventata, ma questa volta gridò forte. E poi ci fu un’altro cri-i-i-k... proprio sopra di lei. Samira scattò di corsa e il pavimento tremante la sballottolò da una parte all’altra. Strillava, inciampava agitando le braccia nel tentativo di rimanere in piedi.

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Una porta si aprì in lontananza. Finalmente un rettangolo di luce! E in mezzo, un uomo in piedi sulla soglia. Ma Samira non ebbe paura. Si sentì sollevata, invece. Non era sola, dopo tutto. L’uomo si guardò intorno e la notò. «Mettiti al riparo!» le gridò insistentemente. «Devi buttarti sul pavimento più in fretta che puoi!». Samira lo ignorò. Voleva solo uscire da lì. Iniziò a correre verso la luce del giorno, ma il pavimento tremò di nuovo, più forte, e i piedi di Samira scomparvero sotto di lei.

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LA SCOSSA DI ASSESTAMENTO Samira atterrò sul terreno duro con un colpo che le spezzò il fiato. Sussultò. Il pavimento tremava ancora e sentiva il soffitto scricchiolare sopra di lei. L’uomo che aveva cercato di aiutarla si mise velocemente a quattro zampe. «Qui!» gridò facendo cenno al tavolo coperto di sciarpe. «Veloce! Seguimi e tieniti bassa!». Le mostrò dove andare strisciando sotto il tavolo. Samira lo seguì. 27

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L’uomo la aiutò a sistemarsi sotto il tavolo, per proteggerla dalla polvere e dai calcinacci che cadevano dall’alto. «Cerca di tenerti stretta alla gamba del tavolo» le gridò quell’uomo sopra il frastuono. «Impedirà al tavolo di allontanarsi da noi». Samira afferrò la gamba del tavolo che le aveva indicato l’uomo, il quale intanto ne afferrava un’altra. «Che sta succedendo?» chiese Samira ansimando. «È la scossa di assestamento di un terremoto» le rispose lui, fissandola con uno sguardo da cui Samira capì che sapeva il fatto suo. «In una situazione del genere, le prime due cose da fare sono andare verso il basso e, se sei al chiuso, trovare un riparo che non ti crolli addosso». Ora lo vedeva chiaramente nella luce che filtrava dalla porta aperta. Era alto, 28

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con i capelli scuri e il viso abbronzato. «Crollerà tutto?» chiese Samira nervosamente. «Non dovrebbe. Gli edifici di oggi sono costruiti in modo che restino in piedi durante un terremoto, ma questo non significa che tutto quello che c’è qui dentro non verrà scaraventato da una parte all’altra». Pochi secondi dopo, la scossa cessò. Il rumore che sembrava un treno in corsa scomparve in lontananza. «Probabilmente questo è il momento migliore» disse l’uomo. «Andiamocene da qui». Samira era più che felice di farlo, nonostante quello che l’uomo aveva detto sugli edifici moderni che non crollano. Si era sentita come una gelatina durante la scossa, e non si fidava. Sgattaiolarono rapidamente da sotto il tavolo e si fecero strada verso la porta. Il terremoto 29

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aveva scosso i ripiani usati per esporre i vestiti, strappandoli via dalla loro collocazione originaria, e proprio nel vano della porta c’era un carrello delle pulizie rovesciato su un lato, con scope e secchi fuori posto. «Così, sei Suki o Anika?» le chiese l’uomo. «E dove sono gli altri?». Samira sbatté le palpebre, sorpresa. «Ehm... sono da sola. Sono Samira». «Oh». Adesso fu l’uomo a essere sorpreso. «Ok, bene, piacere di conoscerti, Samira. Sono Bear e sono qui per aiutarti ad andare via da questo posto. Non sarà un viaggio facile». Si guardò intorno, poi si rivolse di nuovo a lei, sorridendo. «Sei pronta per un’avventura?». 30

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Samira guardò intorno a sé i resti del negozio. «Beh, se l’avventura sarà là fuori...» rispose. Bear sorrise. «Fidati di me, uscire è una priorità». S’incamminarono insieme verso la porta. Ma quando l’ebbero attraversata, Samira rimase sorpresa. Aveva creduto che una volta usciti dall’edificio si sarebbero ritrovati all’aperto. Invece, si accorse di essere in un centro commerciale, con i negozi disposti su più livelli. Doveva esserci stato un tetto di vetro, ma si era frantumato nel terremoto. Cumuli di frammenti di vetro erano sparsi sul pavimento tutt’intorno a loro. Alzò gli occhi verso l’alto e guardò la luce del giorno entrare dal soffitto aperto. 31

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Il terremoto aveva fatto danni ovunque. Un banco di gelati giaceva su un lato. I tavoli e le sedie di un ristorante erano stati scaraventati ovunque. «Il terremoto ha duramente colpito la città» commentò Bear. «È stata evacuata, per questo non c’è nessuno». «E tu che ci fai qui?» chiese Samira. «Sono venuto a trovare...» cominciò, ma poi si è fermò. Inclinò la testa come per ascoltare qualcosa. «Riesci a sentirlo anche tu?» chiese Bear. 32

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Samira tese le orecchie. Non era sicura di cosa stesse ascoltando. E rimase sorpresa quando Bear si mise le mani attorno alla bocca e gridò: «EHILAAÀ!». Questa volta Samira sentì quello che aveva sentito lui. Sembrava un ragazzino che rispondeva. «Aiuto!». «Veniva da quella parte» esclamò Samira, indicando attraverso il centro commerciale. Bear cominciò a camminare gridando ancora una volta: «C’È NESSUNO?!». Un altro grido. Questa volta entrambi riuscirono a individuare subito da dove proveniva. «Viene da qui». Bear si affrettò verso un grande bidone su ruote della raccolta differenziata, che durante il terremoto era stato scaraventato lì e ora giaceva riverso contro una parete. Diede un colpo 33

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con la mano e qualcuno rispose dall’interno. Samira sussultò terrorizzata. Non riusciva a immaginare come ci si potesse sentire a essere intrappolati in uno di quei cosi. Era così buio. E come si poteva respirare lì dentro? Dovevano far uscire chiunque fosse lì dentro, il prima possibile. Bear cercò di sollevare il cassonetto, mettendoci tutta la sua forza. Ma non riusciva a muoverlo e il coperchio era incastrato. «Il coperchio deve essersi danneggiato quando si è rovesciato. Ho bisogno di qualcosa per fare leva...» mormorò Bear guardandosi intorno.

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«Che ne dici di questo?» propose Samira. Alcuni tavoli avevano degli ombrelloni arrotolati e ne afferrò uno. Era più lungo di lei e la fece barcollare fin quando Bear non corse in suo aiuto. «Geniale!» esclamò con un sorriso. «Bel lavoro!». Spinse la punta dell’ombrellone nella fessura tra il coperchio e il resto del cassonetto e fece leva. Il coperchio improvvisamente si spalancò volando via. Samira e Bear guardarono all’interno. Due bambine e un bambino sbirciarono a loro volta, sbattendo gli occhi per la luce improvvisa.

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BUTTARSI A TERRA, TROVARE UN RIPARO, AGGRAPPARSI «Ciao» disse Bear con un sorriso amichevole. «Siete Anika, Suki e Ryan, giusto? Sono Bear. Ho promesso a vostra madre che sarei venuto a prendervi. Ha registrato questo per voi». Alzò un telefono. Lo schermo mostrava una donna che salutava con la mano. «Ciao, bambini. Questo è il mio amico Bear» diceva. «Mi sono slogata una caviglia e quindi non posso venire da voi, 37

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ma sto bene. Bear ha detto che farà in modo di portarvi da me sani e salvi. Vi potete fidare di lui». «Posso parlare con la mamma?». «Sei Ryan, giusto? Non in questo momento, piccolo amico. La mamma ha registrato questo messaggio prima. Non c’è linea adesso per poter parlare con lei». La faccia di Ryan cominciò a contrarsi in una smorfia. Bear lo tirò fuori dal cassonetto e lo fece girare prima di dargli una spintarella e buttarlo giù, cosa che lo distrasse e lo fece ridere. «Non preoccuparti, amico. So dov’è la mamma» promise Bear. «Io sono Anika» disse la ragazza più grande mentre usciva. Era un po’ più giovane di Samira. «Abbiamo aspettato come ha detto la mamma, e ci ha detto anche di assicurarci che fossimo al ripa38

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ro, così quando il tetto ha cominciato a cadere, ho fatto nascondere tutti qui e ho chiuso il coperchio». «Bene, è stata una mossa molto saggia» confermò Bear. Tirò fuori la ragazza più piccola dal cassonetto. «Quindi, tu devi essere Suki» le disse. «Questa è la mia amica Samira, mi aiuterà a portarvi tutti a casa sani e salvi». Samira sorrise e annuì. Era abituata ad aiutare a casa con i fratelli e le sorelle più piccoli. «Certo» disse, e Bear sfoderò un sorriso riconoscente. Poi Bear li radunò tutti insieme e si inginocchiò accanto a loro. «Ora ascoltate attentamente, squadra. Avremo bisogno di lavorare in modo intelligente e collaborare tutti, se vogliamo arrivare a casa sani e salvi». Si fer-

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mò e li guardò uno a uno. «Ma non sarà facile, e dovremo affrontare molte sfide. Pensate di poter essere abbastanza forti e coraggiosi per riuscirci?». Tutti annuirono, e Ryan e Suki presero a saltare su e giù gridando: «Sarà una passeggiata!» e «Andiamo!». «Okay» disse Bear. «Prima di tutto, ci troviamo nel bel mezzo di una città gravemente danneggiata. Non dobbiamo dare per scontato che questi edifici rimangano in piedi. Non c’è acqua pulita da bere, né elettricità per tenerci al caldo e farci luce. Siamo da soli». I sorrisi e l’entusiasmo si trasformarono rapidamente in sguardi preoccupati. «Ma le nostre priorità saranno le stesse che avremmo se fossimo da qualche parte in mezzo alla natura: protezione, salvataggio, acqua e cibo». I bambini erano tutt’orecchi mentre 40

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Bear andava avanti nella spiegazione. «Come ho detto a Samira, ci potrebbero essere altre scosse di assestamento. Se dovesse succedere, le regole sono: buttarsi a terra, trovare un riparo e tenersi aggrappati a qualcosa. Buttatevi a terra in modo da non farvi male cadendo». Bear si buttò subito a terra per far vedere come fare e i bambini risero. Si rialzò e si spolverò, sorridendo.

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«Trovare un riparo significa mettersi sotto qualcosa che vi protegga da qualunque cosa possa colpirvi cadendo dall’alto. Sotto un tavolo, per esempio o un grande cassonetto!». Anika si mise a ridere. «E tenersi aggrappati significa proprio questo» continuò Bear. «Il rifugio che sceglierete tremerà con voi, quindi dovrete tenervi saldi, come abbiamo fatto con il tavolo io e Samira». Li osservò tutti. «Ora, il nostro primo compito è quello di ottenere collaborando tutto ciò di cui abbiamo bisogno. E visto che siamo in un centro commerciale non dovrebbe essere difficile. Inizieremo da laggiù». Bear indicò un negozio di articoli sportivi, ma si accigliò quando abbassò lo sguardo ai loro piedi. Il negozio era sulla “riva” opposta di un mare di vetri 42

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rotti. Samira indossava solo dei sandali di gomma con il tallone scoperto, e i anche i bambini avevano scarpe aperte. Bear indossava degli stivali di pelle, lisi ma dall’aria resistente. Questo significava che solo lui avrebbe potuto calpestare tutti quei vetri in modo sicuro. «Potrei portarvi in braccio, suppongo» disse, pensando ad alta voce. «Aspetta» disse Samira. «So cosa fare!». Rientrò velocemente nel negozio di vestiti alle loro spalle. Ciò di cui aveva bisogno era proprio accanto alla porta, alla luce. C’era il carrello delle pulizie e una scopa con una testa bella larga. Bear sorrise, quando la vide. «Perfetto! Ok, seguitemi e mettete i piedi esattamente dove li metto io». 43

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E così si avviarono per il centro commerciale in fila indiana, con Bear in testa che usava la scopa per scansare i vetri rotti. Samira non aveva mai pensato che camminare in un centro commerciale potesse essere un’avventura. La città era stata costruita per essere un luogo sicuro per gli esseri umani. Il terremoto invece l’aveva resa un luogo pericoloso. In un primo momento, Samira indugiò all’ingresso del negozio di articoli sportivi. Era buio e avrebbe preferito rimanere alla luce del giorno. Ma il negozio aveva delle finestre più grandi

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rispetto al negozio di abbigliamento, quindi non era così buio all’interno. E riuscì a vedere anche meglio, quando Bear trovò alcune torce e delle batterie. Ci volle un po’ per trovare gli stivali per tutti, perché nessuno dei più piccoli conosceva il proprio numero di scarpe. Samira li aiutò indovinando quali fossero le taglie e poi cercandole con la torcia tra le etichette sulle scatole di scarpe. Bear si assicurò che scegliessero tutti degli stivali in pelle dura con una buona aderenza al suolo. Scelse anche dei maglioni, degli impermeabili leggeri e

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cappelli per tutti, e diede a ciascuno di loro uno zaino e una borraccia di plastica dura. I bambini avevano tutti l’aria di essere al loro compleanno mentre indossavano orgogliosamente tutta quella roba nuova di zecca. Bear aggiunse al proprio zaino anche alcuni attrezzi da cucina: padelle e piatti. Infine, calcolò il costo di tutto quello che avevano preso e lasciò delle banconote sotto la cassa per pagarlo. «Bisogna essere sempre onesti. Solo perché siamo in una situazione d’emergenza non significa che dobbiamo rinunciare ai nostri principi morali» spiegò. «Facciamo ciò che è giusto. Sempre. Ora, troviamo un’uscita». Samira studiò una mappa del centro 46

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commerciale fuori dal negozio di articoli sportivi. Il centro commerciale aveva la forma di una grande croce e loro si trovavano al piano terra di uno dei bracci. «L’uscita più vicina è per di qua» spiegò Samira, indicando in fondo al corridoio lì accanto. Poi si ricordò dell’elenco delle priorità per un sopravvissuto che le aveva insegnato Bear: protezione, salvataggio, acqua, cibo. «E passeremo davanti a un supermercato, così potremo rifornirci». «Brava, Samira» disse l’uomo guardandola con orgoglio. «Proprio come se fossimo in mezzo alla natura; è necessario pianificare la strada il più possibile». Arrivarono tutti al centro dell’edificio. Anika e Suki si tenevano per mano. 47

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Samira teneva la mano di Ryan, non solo per confortarlo ma anche per impedirgli di scivolare sui vetri rotti sparsi ovunque. Li sentiva scricchiolare sotto i piedi e fu molto grata a quelle scarpe resistenti. Il gruppetto girò a destra verso l’uscita e Samira si fermò sconcertata. «Oh!». La maggior parte del centro commerciale era rimasta in piedi dopo il terremoto, ma non su quel lato. Davanti a loro, solo un mucchio di macerie. E non c’era alcun segno di una via d’uscita.

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STRATEGIA DI FUGA «Oh no!» Suki scoppiò in lacrime. Anika provò a mostrarsi forte. Ryan non aveva ancora capito cosa stava accadendo. «Va bene» si affrettò a dire Samira. «Ci deve essere un’altra via d’uscita. Giusto, Bear?». «In un grande posto come questo? Per forza» confermò Bear con un sorriso, per far vedere ai bambini che non era preoccupato. «Ma prima le cose serie. Facciamo scorta di provviste. Samira, porta qui la squadra e aiutatemi». 49

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Il supermercato era l’ultimo negozio prima dell’enorme mucchio di macerie. Samira inspirò e deglutì quando si ritrovarono tutti davanti all’ingresso. Le file di scaffali scomparivano nell’oscurità. Riusciva a immaginare i mostri appostati in agguato nell’ombra. Bear accese la torcia e ovunque saltarono fuori ombre folli. Lattine, bottiglie, scatole, tutto era sparpagliato sul pavimento. Quando Bear fece passare il fascio di luce sulle travi del soffitto, Samira poté vedere tubi e sbarre metalliche attraverso enormi buchi neri quadrati, lì dove le tegole erano crollate. Alcune delle luci del soffitto si erano allentate e penzolavano appese ai cavi. Samira non voleva addentrarsi in quello oscurità, tra le ombre. Ma doveva essere coraggiosa, per il bene dei bambini. Bear le aveva chiesto di aiutarlo. 51

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Entrarono lentamente nel negozio. C’erano file di carrelli e cestini abbandonati alle casse, ricolmi di spesa. Quando il terremoto aveva colpito, probabilmente la gente era scappata via lasciandoli lì. Bear diede un’occhiata alle cose nel carrello più vicino. «Latte, già andato. Pizza congelata, andata anche quella, e comunque non avremmo potuto cucinarla facilmente su un fornello da campo. Bibite, lasciamo perdere. Fanno solo venire più sete di prima. Facciamo noi la spesa. Anika e Suki. Samira e Ryan. Ognuno di voi ha un carrello vuoto. Restate insieme in coppia. Io prenderò questo». «Tre carrelli?» chiese Suki. 52

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«Sarà un sacco di spesa» aggiunse Anika. «Non sono tutti per la spesa» rispose Bear. Samira rammentò quello che era stato detto loro sul terremoto e intuì immediatamente cosa aveva in mente Bear. «Se dovesse esserci una scossa mentre siamo nel supermercato» spiegò, «capovolgeremo i carrelli e li useremo come riparo». Bear sorrise e fece un cenno con la testa. «Hai afferrato il concetto. Potrebbe cadere tanta roba dal soffitto o le lattine dagli scaffali» disse. «Sarete più al sicuro all’interno di una gabbia di metallo. Ok, squadra, procediamo». Si mossero nel supermercato in fila indiana con i loro tre carrelli. Samira fece sedere Ryan nel seggiolino del suo. Le 53

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torce illuminavano le corsie e la luce veniva riflessa dagli scaffali, ma Samira continuava a immaginare mostri oscuri su entrambi i lati di quei corridoi, e teneva il passo per non perdere di vista il gruppetto. Bear prese qualche barretta energetica e parecchie scatolette di tonno e di fagioli precotti. «Poco ingombranti, facili da trasportare e si possono consumare caldi o freddi» affermò allegramente. «E mangiandoli si fa il pieno di energia, in attesa di qualcosa di meglio. Cerchiamo qualcosa da bere». Nel reparto delle bevande trovò molte bottiglie di acqua minerale. 54

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«Okay» disse Bear. «Tiriamo fuori quelle belle borracce nuove, che ne dite?». Allineò le borracce nel carrello e cominciò riempirle d’acqua. «Mamma dice che l’acqua in bottiglia è una fregatura» esclamò Suki. «Beh, può essere» rispose Bear mentre l’acqua gorgogliava nella bottiglia di Samira. «È un lusso, in realtà, perché estrarla dal terreno e metterla in bottiglie di plastica costa circa trecento volte di più rispetto a quanto costerebbe berla direttamente dal rubinetto. Ma, qui e ora, non possiamo fidarci di quella che uscirebbe dai rubinetti. Se il terremoto ha spaccato le tubature, l’acqua al loro interno potrebbe essere stata contaminata dalle acque di scarico. Quindi l’acqua in bottiglia è più sicura. Ryan tirò Samira per la manica. «Che 55

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cosa sono le acque di scarico?» chiese. «È quello che va giù per il gabinetto» gli spiegò lei. «Bleah!» Samira sorrise. Non solo per la reazione di Ryan, ma perché ora si stavano dirigendo di nuovo verso la luce del giorno. Il suo cuore batteva veloce, era così buio lì dentro. Non vedeva l’ora di uscire.

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Così, quando Bear si addentrò di nuovo nel supermercato, ebbe un tuffo al cuore. Bear puntò la torcia sui segni lasciati dalle scosse sul soffitto. «Ancora una cosa...» Aveva trovato il reparto farmaci. Prese un paio di pacchetti di bende dagli scaffali e frugò tra bottiglie e scatole. «Ecco!» Bear sembrava soddisfatto per qualcosa che aveva trovato. Sollevò una bottiglietta. «Permanganato di potassio. Molto utile per disinfettare tagli, purificare l’acqua...». La fortuna stava girando per Bear, che afferrava le cose dal ripiano più velocemente che poteva. «E prendiamo anche un po’ di nastro adesivo e qualche cerotto. Non si sa mai. Ok, andiamo». Portarono i carrelli all’entrata, dove ancora una volta Bear lasciò il denaro per pagare tutto. Samira tirò un profon57

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do sospiro di sollievo per essere di nuovo fuori, alla luce del giorno. Finalmente! Basta gironzolare in quel posto buio! Bear distribuì quello che c’era nel suo carrello negli zaini di tutti. Dosò il peso in base all’età e lui finì per avere lo zaino più pesante, mentre Ryan aveva la sua bottiglia d’acqua e una sola lattina, ma ne era molto orgoglioso. «E ora troviamo una via d’uscita!» Si rivolsero di nuovo alla mappa del centro commerciale e vi si affollarono attorno. Bear utilizzò una penna rotta che aveva trovato sul pavimento per mostrare al gruppo dove si trovavano. Poi tracciò la strada per l’uscita bloccata. «Quindi non possiamo andare da quella parte. Ciò significa che...». 58

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Corrugava la fronte, spostando la penna avanti e indietro sulla mappa, e cercando un’altra via d’uscita. Ma non erano segnate altre uscite. Sembrava che ci fosse solo un modo per entrare e uscire da quel centro commerciale, ed era bloccato da un centinaio di tonnellate di macerie.

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LA VISTA DAL TETTO I bambini si voltarono e guardarono Bear con sguardo interrogativo. Bear sapeva che la situazione non era buona. «E se spostassimo il mucchio? Pezzo per pezzo?» propose Samira. «Voglio dire, potremmo mettere i mattoni nei carrelli e portarli via, no?». «Mi preoccupa l’idea di spostare le macerie» disse Bear. «Potremmo causare involontariamente altri crolli. Cerchiamo di trovare un altro modo. Tutti

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questi negozi dovranno pur avere delle uscite antincendio». Fece un cenno in direzione del supermercato. I bambini sembravano d’accordo, ma Samira sentì un colpo allo stomaco. Non c’era niente di sbagliato nel piano di Bear... tranne una cosa. Tornare in quel posto grande, buio e vuoto? Siamo appena usciti da lì! Bear sembrò notare qualcosa. La prese delicatamente da una parte. «Stai bene, Samira?» le chiese con voce tranquilla. Samira avrebbe voluto rispondere “Sì, sto bene”, perché era quello che faceva sempre. Non l’aveva mai ammesso se non con i suoi genitori, ma nessuno aveva mai avuto bisogno del suo aiuto quanto Bear in quel momento. Meritava di conoscere la verità. Dirlo ad alta voce le sembrava la cosa 62

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più coraggiosa che avesse mai fatto. «Ho una paura terribile del buio» sussurrò. Samira si preparò alla solita reazione, con frasi del tipo: “Smettila di fare la sciocca”, “Non c’è nulla di cui avere paura” e ancora “Come sei infantile”. Ma Bear la sorprese. «Ti capisco» mormorò. «Suppongo che non sia la prima che ti capita, vero?» le chiese. «Hai senza dubbio già ripetuto a te stessa che è tutto nella tua testa, che non è reale...». Samira annuì con la testa. «Non aiuta» mormorò. «Beh, ammettere che c’è un problema è sempre il primo passo per risolverlo. Tu l’hai fatto ed è un grande passo per te. Ma, vedi...». Bear si picchiettò la testa con un dito: «La vittoria nasce nello stesso posto in 63

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cui nasce la paura. Qui. Il tuo cervello è incredibile ed è lì per aiutarti. Hai solo bisogno di imparare come far sì che i tuoi pensieri e le tue emozioni lavorino per te piuttosto che contro di te». «Non ci riesco». Samira non riusciva ancora a emettere nient’altro che un sussurro. Osservò l’ingresso buio del supermercato. «So solo che non posso rifare di nuovo tutta quella strada lì dentro». «Non devi fare tutto in una volta. Ma devi smettere di aspettarti un risultato negativo. Smetti di alimentare la paura. Questo puoi farlo, e il tuo cervello 64

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può aiutarti. Dirai a te stessa che è una paura irrazionale e non lascerai che sia quella paura a controllare la tua vita. Va bene?». «D’accordo. Più o meno. Ma come posso riuscirci?». «Beh, in primo luogo, sai che la paura non si basa sulla verità, quindi devi trovare il coraggio di affrontarla». Bear si fermò per lasciare che il suo consiglio fosse assimilato. Poi continuò. «Faremo insieme un primo passo verso l’oscurità, verso le tenebre, cercando di rimanere positivi. Faremo appello al nostro coraggio, e quando sentiremo crescere la paura le diremo di andarsene, e poi andremo avanti». Sorrise scorgendo un mix di eccitazio65

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ne e trepidazione che si andava accendendo negli occhi di Samira. «E una volta fatto questo, lo faremo di nuovo. E ancora. Finché la paura non svanirà e avrai sempre più il controllo della situazione. Perché tutti quei passi positivi si saranno sommati». Bear le lanciò un’altra occhiata. «Ci riuscirai?». Samira abbassò lo sguardo sul pavimento e poi lo riportò su di lui... e annuì. «Buon per te, Samira. È così che sottometterai la paura». Si fermò. «Non posso farlo io per te. Ma tu sì». Samira sorrise nervosamente. Tornarono al supermercato. Le bambine si lamentarono. Solo Ryan sembrava felice perché poteva accendere la torcia. All’inizio non fu così male. Ci erano già stati. Ma questa volta si spinsero più avanti, fino alla parte posteriore. Bear 66

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li condusse attraverso una porta e fu come entrare in un labirinto tenebroso. Depositi, uffici e ancora più corridoi. Samira non si era mai resa conto di quante stanze ci fossero in un supermercato. Il cuore le batteva forte. Avrebbe voluto scappare il più velocemente possibile, ma si fece forza e proseguì. Si aggrappò alla mano di Ryan e continuò ad andare avanti. Un piede davanti all’altro, proprio come aveva detto Bear. Samira continuava a ripetersi che la paura non aveva potere su di lei, e che andando avanti e scacciandola ogni volta che riemergeva, alla fine l’avrebbe vinta. E in realtà stava funzionando. Alla fine, arrivarono a una pesante porta con una barra di metallo e con la 67

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scritta USCITA DI SICUREZZA stampata sopra in lettere rosse. Samira immaginò un gran bel sole ad attenderla dall’altra parte e si sentì sollevata. «Va bene, ci siamo!» Bear spinse la sbarra e la porta si aprì... su un buio corridoio in cemento. Il cuore di Samira precipitò. Il raggio della torcia di Bear indugiò su un mucchio di macerie più avanti, dove il soffitto era crollato. Ma poi illuminò una rampa di scale di metallo in fondo al passaggio. «Scommetto che quelle ci porteranno fino al tetto; dove ci sono ottime probabilità che una rampa antincendio ci permetta di scendere lungo la parte esterna dell’edificio». Il gruppo si addentrò nell’oscurità. Sempre di più. Le scale li condussero a uno stretto 68

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vano quadrato, di cemento. Un posto ancora più buio. Salirono ancora nella bolla di luce formata dalla torcia. Il cuore di Samira le palpitava nel petto, ma lei continuava a fare quel che aveva fatto fin lì: pensare solo ad andare avanti. Un’altra porta massiccia bloccò loro la

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strada. Bear le diede una spallata e la spalancò! I bambini applaudirono mentre la luce del giorno si riversava nella tromba delle scale. Samira tirò un sospiro di pura felicità. Bear le fece l’occhiolino. «Sapevo che ce l’avresti fatta» disse. Poi si guardò intorno. «Continuate a dare la mano a Samira o a me fin quando non mi sarò accertato che è sicuro». Samira capì subito perché Bear voleva trattenere i bambini. «C’è la scala antincendio!» gridò Suki. Samira dovette tirare indietro Suki e Ryan, perché entrambi all’improvviso si erano mossi per attraversare di corsa il tetto. Una ringhiera circondava la sommità dell’edificio, ma presentava un 70

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varco sul lato opposto, là dove si poteva intravedere la cima di una scala di metallo. La scala arrivava a terra, ma un certo spazio la separava ora dal muro. Il terremoto l’aveva in buona parte divelta. Bear si avvicinò con cautela e le diede un colpetto con lo stivale. La scala scricchiolò, cigolò e poi oscillò. «Da questa parte no» decise Bear. «Con il nostro peso potrebbe staccarsi definitivamente dall’edificio. Troveremo un altro modo per scendere, ma mentre siamo quassù, approfittiamone per pianificare il nostro viaggio. L’obiettivo è uscire dalla città e riunirvi alle vostre famiglie». Samira osservò la città. Il terremoto aveva fatto danni ovunque. Guardando da un lato poteva vedere un intero gruppo di alti edifici e grattacieli. La maggior 71

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parte delle finestre era andata distrutta e profonde crepe correvano lungo alcuni palazzi di uffici. Probabilmente era il centro della città. «Quindi» indicò nella direzione opposta «andremo da quella parte?». Bear sorrise e annuì. «Sì. Verso la strada principale che porta fuori città. È il nostro obiettivo

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principale. Direzione ovest. Ok, vediamo come scendere». Il piccolo gruppo perlustrò lentamente il bordo del tetto. Ma non c’erano altre uscite di sicurezza. L’edificio più vicino era forse a cinque metri di distanza, troppo lontano per saltare. Quando furono ritornati al punto ini-

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ziale, Samira rifletté sulle loro opzioni. «Quindi l’unico modo per scendere è una scala antincendio troppo pericolosa da usare, o...» deglutì nervosamente. «O tornare lì dentro?». Bear si guardò intorno e sorrise. «Oppure» disse «scendiamo lungo la parete!».

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L’IMBRACATURA CON LA MANICHETTA «Lungo la parete?» chiese Samira sorpresa. Sicuramente non intendeva scendere per quelle scale così pericolose. Samira gettò uno sguardo oltre la ringhiera che correva lungo il bordo dell’edificio e giù per il muro. Era di mattoni lisci. Sarebbe stato impossibile trovare degli appigli su una parete come quella. Ed era una lunga discesa. 75

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Si guardò intorno. Il tetto non era del tutto piatto o vuoto. C’erano tubi, cavi e macchine che sembravano ventilatori giganti all’interno di gabbie metalliche. E poi lo vide. Un cartello che diceva IDRANTE sopra una teca di vetro, fissata al muro proprio accanto alla porta da dove erano usciti. Dentro c’era un tubo, una manichetta antincendio avvolta su se stessa. Bear era già lì vicino. Ruppe il vetro con il martelletto agganciato al muro e iniziò a tirare il tubo in modo da srotolarlo tutto. 7676

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«Siamo a circa venti metri da terra» disse serio «e c’è scritto che la manichetta è lunga venticinque metri. Creerò un’imbracatura e vi farò scendere uno alla volta. Samira, io terrò questo capo del tubo, quindi avrò bisogno di qualcuno che si prenda cura dei bambini a terra, sei d’accordo a scendere per prima?». «Eeehm, certo» rispose Samira. «Ma io sono più pesante di loro» aggiunse. «Riuscirai a sostenere il mio peso?». «Non dovrò sostenere il peso di nessuno. Ho un piano. Non preoccuparti!» Ormai tutto il tubo era stato srotolato. Bear lo svitò dal rubinetto che si trovava nella teca e lo trascinò verso la ringhiera, annodandone un’estremità al corrimano. Poi fece un altro giro. «La ringhiera fungerà da puleggia e sosterrà il peso, io dovrò solo tenere il tubo e farlo scorrere giù delicatamen77

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te» spiegò. «Se facciamo un doppio giro sarà più facile per me farvi scendere». Bear iniziò a fare un cappio all’altra estremità della manichetta. «Un classico nodo gassa d’amante» sentenziò Bear. «Fai un cappio, dopodiché l’altro capo è come un coniglio che esce dalla sua tana, gira intorno a un albero e ritorna nella tana!» Mentre parlava annodò il tubo nel modo descritto, muovendo l’estremità della manichetta come avrebbe fatto il coniglio. Samira si sentì sollevata. Ricordava di aver imparato quel nodo negli scout! «Perfetto! Bene, ora è il momento di provarlo! Metti le braccia qui, così da fartelo passare sotto le ascelle, ecco, poi abbassa le braccia sui fianchi per bloccare il tubo». Samira fece come diceva Bear. «Tieni i gomiti stretti stretti lungo i fianchi» ag78

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giunse, stringendo la manichetta intorno a lei. «Ora aggrappati al tubo davanti a te e non lasciarlo andare per nessuna ragione al mondo. Sei pronta?». «Pronta!» confermò Samira con ritrovata fiducia. Le farfalle le svolazzarono di nuovo nello stomaco quando scavalcò la ringhiera e si lasciò scendere per quattro piani, ma sapeva di aver già vinto le sue paure e che avrebbe potuto farlo di nuovo. «Non guardare giù» le disse Bear. «Continua a tenere gli occhi fissi sul muro di fronte a te e i gomiti stretti contro i fianchi. Datti delle spinte con le gambe contro la parete in modo da non stare semplicemente appesa penzoloni alla manichetta. Pronta? Vai». La parete cominciò a muoversi lentamente davanti agli occhi di Samira. 80

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Fu una discesa tranquilla e senza intoppi fino a terra, camminando all’indietro lungo la parete. Il tubo scivolava senza problemi sopra la ringhiera e Bear riusciva a reggere il suo peso senza difficoltà. In pochissimo tempo Samira sentì gli stivali toccare il suolo. Si tolse l’imbracatura e indietreggiò in modo che Bear potesse tirare di nuovo su la manichetta. Poi si guardò intorno. Era inquietante vedere una città senza nessun altro in giro. Le città sono state pensate per essere piene di rumori. Di solito c’erano auto, persone, sirene, treni, e aerei che volavano in cielo. Il rumore era semplicemente lì, in sottofondo, anche se il cervello non se 81

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ne rendeva conto. Lo notò solo ora che non c’era più. Ogni movimento che faceva, anche il semplice respirare, sembrava riecheggiare. Era strano, ma non faceva paura... alla luce del giorno. Samira deglutì pensando a quel che sarebbe arrivato dopo. Non sapeva che ore fossero, ma riuscì a capire che era passato mezzogiorno. Il sole iniziava a dirigersi verso

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l’orizzonte e la ragazza intuì che sarebbero stati ancora in città al calar della notte. Avrebbero dovuto trovare un posto per dormire. Sarebbe stato silenzioso, e sarebbe stato buio. No! si disse con fermezza. Non pensare a queste cose. Ci avrebbe pensato quando sarebbe stato il momento. Avrebbe vinto la sua paura, ancora e ancora, finché quella non avrebbe più avuto presa su di lei, come le aveva detto Bear. Sorrise tra sé. Le sembrava di essere una sopravvissuta. La seconda a scendere fu Suki, con gli occhi serrati. Continuò a tenerli chiusi anche mentre Samira la aiutava a liberarsi dell’imbracatura, fino a quando non fu certa di essere a terra. Poi toccò a Ryan, seguito da Anika, e l’ultimo fu Bear. Anche lui aveva usato 83

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il tubo come imbracatura proprio come gli altri, ma avvolgendolo prima due volte attorno alla ringhiera e tenendone un’estremità tra le mani. Poi aveva iniziato lentamente a calarsi giù per il fianco del palazzo. «Ottimo lavoro, squadra!» esclamò Bear sorridendo non appena ebbe toccato terra. «Bene, ora cerchiamo uno spazio aperto, lontano da tutto ciò che potrebbe decidere di crollarci addosso, e poi penso proprio che ci meritiamo tutti di bere velocemente qualcosa prima di continuare». S’incamminarono verso il parcheggio del centro commerciale. Fu meraviglioso lasciarsi finalmente alle spalle quell’enorme edificio buio. Ma dopo pochi metri, Samira sentì un boato, come un treno che si avvicinava a tutta velocità. 84

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Lo aveva sentito prima di... «È un’altra scossa di assestamento!» gridò Bear. Dopo mezzo secondo la terra cominciò a tremare. Bear si lasciò cadere a quattro zampe: «Tutti giù, a terra!».

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CAMPEGGIO IN AUTO Buttarsi a terra – trovare un riparo – aggrapparsi. Era quello che Bear aveva detto loro prima. Samira tirò giù per terra Ryan vicino a sé, mentre dal centro commerciale cadevano calcinacci che andavano a schiantarsi violentemente al suolo. Ma buttarsi a terra e stare giù era tutto quello che potevano fare. Le uniche cose che avrebbero potuto usare per ripararsi erano le auto abbandonate dall’altra parte del parcheggio, troppo lontane da rag87

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giungere. E comunque non c’era nulla a cui aggrapparsi. «Raggomitolatevi su voi stessi!» urlò Bear. «Proteggetevi la testa e il collo con le mani, così». Si raggomitolò il più possibile, con le mani sulla testa. Poi si liberò per assicurarsi che le bambine facessero lo stesso, mentre Samira si occupava di Ryan. I vetri si frantumavano e il metallo delle auto abbandonate sbalzate qua e là dalla scossa scricchiolava. L’asfalto era granuloso e appiccicoso e puzzava di petrolio e benzina. Samira sentiva schianti, tremiti e cigolii dappertutto. Si sentiva come un insetto sul marciapiede che rischiava di essere schiacciato in qualsiasi momento. Poi il boato svanì e Samira lentamente si rialzò. Nuove crepe correvano lungo le pareti del centro commerciale, e una 88

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nebbia di polvere aleggiava nell’aria. Ma tutto era di nuovo fermo. Si riunirono e ripresero a muoversi tutti insieme. Nessuno diceva una parola e c’era tensione nell’aria. Sapevano che un’altra scossa di assestamento avrebbe potuto scatenarsi in qualsiasi momento. Bear cercò di alleggerire l’atmosfera insistendo perché facessero un picnic tutti insieme, seduti su una panchina della fermata dell’autobus. Fecero uno spuntino con delle barrette energetiche, che buttarono giù con un sorso d’acqua. Era una giornata calda e soleggiata, e Samira si assicurò che tutti indossassero i cappelli nuovi del 89

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negozio di articoli sportivi per proteggersi la testa e il collo dalle scottature. Bear non è l’unico a sapere come sopravvivere, pensò tra sé con un sorriso. Poi ripresero a muoversi. Il piccolo gruppo camminò per un paio d’ore. Suki e Ryan fecero a turno a cavallo sulle spalle di Bear. Si tenevano al centro della strada, per il caso in cui i palazzi cominciassero a crollare. Presto furono fuori dal centro della città. Oltrepassarono una stazione ferroviaria deserta e una grande area industriale. Infine, raggiunsero delle case, una zona residenziale che doveva essere stata piena di gente. Ora era tutto abbandonato, vuoto. Nel frattempo, Samira te-

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neva d’occhio il sole. Si stava abbassando e le ombre si allungavano. La luce che colpiva le cime degli edifici stava diventando rossa. Deglutì nervosamente. Era sicuramente il tramonto. La preziosa luce diurna stava svanendo. «Ci siamo quasi?» chiese Anika stanca. Bear sorrise dolcemente e le rispose ciò che Samira aveva già intuito. «Dovremo accamparci per stasera, ma saremo da tua madre entro domani prima di pranzo. È in un ospedale temporaneo dove le stanno curando un piede, ma starà molto meglio non appena potrà rivedervi». Bear disse di fermarsi quando raggiunsero un piccolo giar-

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dinetto con un parco giochi per bambini, circondato da negozi e case. Lì accanto c’erano due automobili che all’inizio dovevano essere state ordinatamente parcheggiate sulla strada. Ora erano entrambe capovolte, sballottolate come giocattoli dal terremoto. «Non possiamo guidare queste auto danneggiate, ma sono un rifugio perfetto» disse Bear. «Sono un guscio d’acciaio che ci proteggerà dal maltempo e dai saprofagi». «Che cos’è un sap... saprofago?» chiese Suki. «È un animale» spiegò Anika. «Una specie» confermò Bear. «È qualsiasi animale alla ricerca di cibo facile. Cani, gatti, volpi 92

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– sono tutti abituati a essere sfamati dagli umani. Ora che gli umani se ne sono andati, cercheranno il cibo da soli e non saranno molto amichevoli». Mentre i bambini giocavano sulle altalene, Bear e Samira controllarono che le auto non avessero perdite di gasolio o benzina, qualsiasi cosa che potesse prendere fuoco o essere pericolosa. «Tu e i bambini potete dormire in una» suggerì Bear a Samira. «Mentre io posso prendere quest’altra». I tettucci all’interno di entrambe le auto erano grandi superfici piane perfette come letti su cui sdraiarsi. Ma avrebbero avuto bisogno di qualcosa per proteggersi dal freddo del terreno sottostante. «Tagliamo i sedili e prendiamo 93

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l’imbottitura all’interno» disse Bear a Samira. «Possiamo usarla come isolante stanotte, per impedire al terreno di assorbire tutto il calore. Io farò un fuoco». Mi sta affidando un coltello! pensò Samira sorridendo. Alla mamma sarebbe preso un colpo se l’avesse vista! Ma conosceva Bear abbastanza bene, ormai, per capire che se si fidava di lei per un compito così delicato. Sarebbe stata all’altezza della sfida. Prese il coltello e si mise al lavoro. Quando finì, si accorse che Bear aveva raccolto alcuni rami secchi dai cespugli del parco. Poi, prese delle bende dal suo zaino e preparò una piccola pila su una delle lastre della pavimentazione. Tirò fuori la bottiglia di permanganato di potassio che aveva 94

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preso al supermercato e ne versò un po’ sulle bende. Infine, prese una bottiglia di antigelo che aveva trovato nel bagagliaio di una delle auto, e lo versò sopra quel mucchietto di bende. Attese qualche secondo e... Wow! L’intero mucchio di bende prese fuoco. Tutti esplosero in grida di gioia davanti al fuoco. Bear sorrise. «Il permanganato di potassio ha reagito alla glicerina presente nell’antigelo. La mia reazione chimica preferita! Fantastico, eh? Ma, per tenerlo acceso, abbiamo bisogno di combustibile». Posizionò uno a uno i rami secchi sul fuoco, e anche quelli presero fuoco iniziando a scoppiettare allegramente. Sedettero su alcuni cuscini che Bear aveva trovato in una delle auto, avvolti 95

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in plaid da viaggio. Con una casseruola, Bear riscaldò sopra il fuoco i fagioli precotti e il tonno, e poi distribuì le porzioni su piatti di plastica. Samira non si era resa conto di quanta fame avesse fino a quando non iniziò a divorare tutto come un piccolo lupo armato di forchetta di plastica. Tutte le avventure della giornata l’avevano davvero stremata. Ormai il sole era tramontato. L’oscurità si era velocemente impadronita della città, fin sopra alla flebile luce attorno al fuoco. Le ombre avanzavano e sbirciavano dietro di loro. Samira voltò loro le spalle e si concentrò sul fuoco e sui suoi amici. Aveva luce e aveva compagnia. Bear mangiava con gli altri, senza smettere di controllare che non ci fossero saprofagi nei dintorni. Per questo fu il primo a scorgere la luce. 96

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«Guardate!» esclamò. «Laggiù!» A una certa distanza c’era un singolo fascio di luce che brillava nel cielo. «Che cos’è?» chiese Samira. «Potrebbe essere un segnale» rispose Bear. «Forse c’è qualcuno intrappolato laggiù... qualcuno che ha bisogno di aiuto». Fece una smorfia. «Devo andare a controllare. Samira, dovrò lasciarti qui, a capo del gruppo». «Io?!» esclamò Samira allarmata. Aveva appena iniziato a sentirsi al sicuro, e improvvisamente non lo fu più. Bear sorrise e abbassò la voce in modo che solo lei potesse sentirlo. «Continua a tener testa alla paura, Samira» la incoraggiò. «Solo questo. Stai andando benissimo, piccola. Ma qualcun altro ha bisogno di aiuto, devo andare...». 97

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ÂŤMmh... credo proprio di sĂŹÂť ammise Samira, deglutendo. Stava per rimanere da sola, con tre bambini piccoli a cui badare e senza Bear, circondata dal buio.

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SAMIRA IN CARICA Samira avrebbe voluto gridare: “Torna indietro!”,

mentre

Bear

scompariva

nell’oscurità. Ma lui le aveva detto che poteva farcela e i bambini già sembravano spaventati. Samira non voleva deluderli. Bear aveva creduto in lei prima e lei aveva dimostrato di potercela fare... No. Non li avrebbe di certo mollati proprio ora. «Okay» disse Samira. «Chi conosce una canzone?». 99

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E così ognuno insegnò agli altri le canzoni che conosceva. Il suono felice di quei canti teneva a bada le tenebre. Bear aveva tagliato un mucchietto di rami e, ogni volta che il fuoco si affievoliva, Samira ne buttava un altro tra le fiamme. Il falò si ravvivava e il buio arretrava. Poi qualcosa si mosse ai bordi della zona illuminata. Samira trasalì quando scorse due occhi gialli che la fissavano. Ma mezzo secondo dopo, il proprietario degli occhi si palesò. Era un gatto bianco e nero. I tre bambini gli furono intorno in un lampo. Il micio faceva le fusa e sembrava particolarmente interessato agli avanzi di tonno di Ryan. Improvvisamente il suono di un forte schianto arrivò dal buio, facendoli sobbalzare. Un edificio danneggiato dal terremoto aveva scelto quell’esatto momento per crollare. 101

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«Wow!» Samira sussultò. «Okay, è tutto a posto?». «Ryan, no!» gridò Anika. Samira si voltò. Accecata dal fuoco, le ci volle qualche momento perché gli occhi si abituassero al buio. Ma ormai Ryan non c’era più. Neanche il gatto. Si era spaventato per il rumore e Ryan l’aveva inseguito. Samira lo sentì gridare in lontananza e vide la torcia di Ryan che lampeggiava. «Gattino, torna indietro!» «Ryan!» urlò Samira. Ma non ci fu risposta. Suki iniziò a piangere per suo fratello e Anika aveva un’espressione terrorizzata. Samira sapeva che doveva trovare Ryan; avrebbe potuto perdersi o imbattersi in un animale affamato. «Ok» disse con tono deciso. Si mise 102

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a riflettere, concentratissima. La prima cosa era occuparsi delle ragazze. «Devo andare a prendere Ryan. Bear deve riuscire a capire dove siete quando tornerà e voi dovete rimanere al sicuro. Quindi voglio che entrambe saliate in macchina, in modo da potervi prendere cura l’una dell’altra, così io potrò concentrarmi sulla ricerca di vostro fratello». Suki e Anika annuirono nervosamente, poi salirono in auto. Samira si guardò intorno, ricordando qualcosa che aveva imparato agli scout. Afferrò un piccolo carrello per la spesa che si trovava lì vicino e lo sistemò sopra l’auto. «Questo aiuterà Bear a capire dove siete» gridò mentre si dava da fare. «Funzionerà come segnale nel caso in cui non riuscisse a trovarvi e io non fossi ancora tornata». Fece una pausa: «Ora 103

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mantenete la calma, ok? Non starò via a lungo. Tenete duro. Siate coraggiose!» E detto questo corse a cercare Ryan. «Ok» disse a se stessa mentre correva. «Saprofagi o no, sto arrivando...» Sapeva che ci sarebbero stati animali affamati alla ricerca di cibo. E non sarebbero stati molto amichevoli, Bear li aveva avvertiti. Doveva essere in grado di difendersi. Ricordò che poco prima, quando stavano cercando tra le auto, aveva visto una chiave inglese, una di quelle usate per cambiare le gomme. La ritrovò subito. Era una solida barra di metallo lunga circa trenta centimetri con un piccolo braccio snodabile alla fine. 104

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La strinse in una mano e tenne la torcia nell’altra. Poi s’incamminò nella direzione in cui era andato Ryan. Le orecchie cercavano di individuare le grida «Gattinoooo!» che di tanto in tanto si udivano più avanti. Ryan non sembrava spaventato. Voleva solo indietro il suo amico peloso. Quei suoni condussero Samira fuori dai giardinetti. Era da sola ora... nel buio. «Ryan! Torna qui!» continuava a gridare mentre correva guidata dal fascio di luce. Samira teneva la luce ben ferma davanti a sé per evi105

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tare di inciampare o urtare qualcosa e farsi male. Poteva vedere solo quello che le stava davanti, il resto era immerso nel buio. Continuava a chiamare Ryan mentre proseguiva. L’unico altro rumore era il suono dei suoi passi che riecheggiava lungo i muri. Poi girò un angolo e la luce della torcia illuminò Ryan. «Ryan! Aspettami lì!» si precipitò verso di lui. «Eccoti finalmente!» esclamò tirando un enorme sospiro di sollievo. Erano in una piazzetta. Ryan era in piedi, da solo, e puntava la torcia verso un cornicione. Il suo volto era affranto. «Il gattino è andato lassù» disse. Samira mosse la sua torcia verso il cornicione, ma non c’era traccia del micio. «Immagino sia tornato dai suoi amici» disse. «Vogliamo tornare anche noi?». 106

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Ryan mise il broncio. «Voglio il gattino». «Beh, abbiamo ancora un po’ di tonno. Forse il gatto tornerà a prenderlo, no?». Il bambino la guardò speranzoso. Continuò più convinta. «I gatti ricordano sempre dov’è il cibo e possono sentirne l’odore anche da molto lontano». «Ok» brontolò Ryan. Per tornare indietro ripercorsero la

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strada fatta, attraverso il parco buio, guidati dalle luci tremolanti delle torce. Quando si avvicinarono all’auto, Fatime vide che le ragazze erano scese e ora si trovavano di nuovo sedute accanto al fuoco. Stava per sgridarle quando si accorse che anche Bear era tornato. «Hey, ciao!» le urlò lui quando vide la torcia di Samira. «Le ragazze hanno detto che eri andata a prendere Ryan. Tutto ok, vero?» chiese arruffando i capelli di Ryan. Poi lanciò uno sguardo a Samira. «Ben fatto» aggiunse, con un sorriso sincero. «Non dev’essere stato facile, ma hai fatto tutto nel modo corretto. Hai messo al riparo le ragazze, hai contrassegnato il posto in cui si trovavano...» Guardò il carrello della spesa sulla parte superiore del veicolo capovolto. «E poi hai protetto te stessa». Questa volta lanciò un’occhiata alla chiave inglese che 108

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Samira aveva in mano. «Ragazza intelligente. E coraggiosa». Samira si sentì un po’ in imbarazzo per tutti quei complimenti. «Beh...» disse «ho solo...» la sua voce si affievolì non appena si rese conto di una cosa. Non era stata sconfitta dal buio. Forse si era un po’ spaventata, ma sicuramente meno di prima. Aveva perseverato e non si era arresa.

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Aveva avuto paura che Ryan potesse farsi male più che dei mostri immaginari. Wow. «Hai trovato qualcuno?» chiese, per cambiare argomento. Bear scosse la testa. «Era una semplice luce automatica d’emergenza, alimentata a batteria. Bene, dovremmo proprio riposare ora. Perché non aiutiamo i bambini a sistemarsi?». «Certo» acconsentì Samira. Si inginocchiò per aprire la portiera dell’auto. Era bloccata. Tirò forte la maniglia e cadde all’indietro quando si aprì di colpo. Si guardò intorno. I giardinetti non c’erano più. Non era più in città. «Bear?» chiamò. Si guardò intorno. «Ryan? Anika? Suki?». Se n’erano andati tutti. Era tornata al 110

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campeggio, fuori dalla porta della zona docce. Come aveva fatto a tornare lì? Era sonnambula e aveva fatto uno strano sogno? Cominciò automaticamente a dirigersi verso la sua tenda, perché faceva un po’ freddino e non aveva senso andarsene in giro. Arrivata in mezzo alle tende e ai picchetti, a metà strada dalla sua tenda, si rese conto di qualcos’altro. Non aveva paura. Beh, quella era una cosa che si era portata dietro dalla città. D’ora in poi, i pericoli immaginari sarebbero stati solo... beh, immaginari, appunto. Samira guardò in alto. Non c’erano nuvole, il che significava che poteva ve111

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dere le stelle. Migliaia di stelle. Milioni. Punti di luce a perdita d’occhio. Si vedeva anche la Via Lattea: una scia di luce che correva da un lato all’altro del cielo. Questo era il buio, ed era veramente bello.

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LE PULIZIE, CIURMA! «Samira, svegliati!» La sua compagna di tenda Chloe era già completamente vestita. «Ti perderai la colazione se continui a dormire! E ricordati che oggi è giornata di pulizie». «Ops!» Samira si mise velocemente a sedere e si guardò intorno. Era giorno e la tenda era piena di luce. Sophie si era già alzata e se n’era andata. «Dai!» la incalzò l’amica. «Ci vediamo lì!» 113

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Sgusciò fuori dalla tenda, lasciando Samira da sola. Samira si vestì in fretta e uscì alla luce del giorno. Si stiracchiò e si abbandonò a un grande sbadiglio. Dopo lo strano sogno della notte precedente, Samira si era seduta a fissare il cielo notturno per un’eternità. Era stato fantastico. Alla fine era rientrata in tenda perché sapeva di aver bisogno di dormire. E ora aveva bisogno di cibo, così si affrettò a raggiungere tutti gli altri. La colazione era servita sui tavolini pieghevoli fuori dalla tenda-mensa. Era una scena animata, con il campeggio pieno di ragazzini intenti a sgomitare per ottenere la propria porzione di cereali, toast, uova e fagioli, e di qualunque altra cosa fosse disponibile. Era sempre un buon modo di iniziare la giornata. 115

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Ma dopo doveva essere tutto ripulito. Per tutta la durata del campeggio, ogni campeggiatore era stato assegnato a una squadra di pulizie per un pasto. Il caposquadra li riunì per controllare i loro nomi su un elenco. «E tu sei Samira» disse. «Quindi ci siamo tutti tranne... Qualcuno ha visto Charlie?». «Charlie? Charlie!» si misero tutti a chiamare. Charlie era ancora seduto a un tavolo, con la testa sul tablet a muovere le dita sullo schermo. Alzò lo sguardo con un’espressione improvvisamente colpevole. «Oh, scusate... un attimo...» disse. Poi chinò di nuovo il capo sul suo gioco. «Charlie!» lo richiamò il caposquadra. «Metti via quel coso. Ora!» Charlie li raggiunse indispettito. Te116

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neva ancora stretto il tablet, quindi non l’aveva messo via per davvero. «Allora» disse il caposquadra con un sorriso. «Iniziamo. Raccogliete tutti i piatti e le posate, il cibo non consumato va in una delle buste, le posate in questo cestino qui...». E così si misero al lavoro. Beh, almeno la maggior parte di loro. Samira e Charlie iniziarono dai lati opposti di uno dei tavoli più lunghi, raccogliendo tutto. 117

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Quando Samira era già a metà strada, si rese conto di essere molto più avanti di Charlie: il suo compagno di lavoro si era messo di nuovo a giocare. «Charlie!» La voce di Samira suonò più impaziente di quanto intendesse. Charlie la guardò di traverso. Forse perché avevano la stessa età, fu meno gentile con lei di quanto fosse stato con il caposquadra. «Scusa, mamma» rispose sarcasticamente. Charlie ammucchiò uno sopra l’altro tutti i piatti dal suo lato del tavolo, e poi tornò al suo gioco. Samira sospirò, ripensando a tutte le cose che aveva dovuto fare per tenere al sicuro i bambini della città insieme a Bear. A quest’ora Bear aveva sicuramente riportato i bambini alla loro mamma. Charlie non sapeva quanto fosse fortunato qui al campeggio. 118

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«Dai, Charlie» lo esortò gentilmente. «Devi prima raschiare via il cibo». «Fallo tu» rispose seccamente lui, mentre tornava al suo gioco. Ma la loro conversazione aveva attirato l’attenzione del caposquadra, che si fece consegnare il tablet di Charlie in modo da non lasciargli altra scelta se non aiutare. «Non è giusto!» si lamentò, iniziando a impilare i piatti. Visto come li schiacciava uno sull’altro, era chiaramente molto infastidito. Samira ripensò allo strano sogno della sera prima. Bear l’aveva aiutata ad affrontare il buio, no? Pensava che Bear avrebbe trovato le parole giuste per aiutare Charlie a fare la sua parte e a farsi coinvolgere positivamente. Ma come avrebbe potuto trascinare Charlie nel suo sogno? 119

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Sorrise tristemente. Non sarebbe mai accaduto. Samira aveva sistemato una grande pila di piatti da portare in cucina. Pensò di chiedere l’aiuto di Charlie, ma non aveva nessuna intenzione di ricevere un’altra rispostaccia, così infilò le dita sotto il mucchio e lo sollevò. Il piatto inferiore era scivoloso per il ketchup e le dita non riuscirono a tenere la presa. Con orrore, Samira sentì l’intera catasta scivolarle tra le mani e atterrare ai suoi piedi. «Samira!» gridò il caposquadra ansimando e correndo verso di lei. «Stai bene?». Samira abbassò lo sguardo. Non si era fatta male. Alcuni dei piatti si erano rotti, ma i piedi erano a posto. 120

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«S-sì,» rispose sorpresa. «Sto bene, grazie». Ma le parole le morirono in gola, non appena capì quel che stava vedendo. Charlie stava arrivando di corsa. Il broncio era scomparso. Lanciò un’occhiata veloce ai suoi piedi. «Fortuna che indossavi quegli stivali» commentò. «Avresti potuto farti davvero male altrimenti». Fece una pausa. «Stai bene?». «Sì. Sto bene» mormorò Samira, ancora un po’ confusa. «E... ehm, grazie, Charlie». Samira si fissò i piedi. Se quei piatti le fossero caduti sui sandali di gomma, si sarebbe fatta sicuramente male. Quella pila era veramente pesante. Ma indossava un paio di stivali robu121

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sti. Li aveva messi senza pensare quando aveva lasciato la tenda in tutta fretta. Erano gli stessi stivali che Bear aveva preso per lei nel negozio di articoli sportivi al centro commerciale. Non era stato un sogno. Samira passò il resto del turno di pulizie con la testa che ancora le girava. Quando finirono, ognuno continuò con le attività previste per quella mattina. Ma Samira si sedette a uno dei tavoli, immersa nei suoi pensieri. Come era arrivata al centro commerciale? Aveva lasciato la tenda al buio per andare in bagno. Era arrivata al bagno. Era andata via la corrente. E poi... cosa? Il filo dei suoi pensieri venne interrotto da stridii e musichette elettroniche. Si 122

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guardò intorno e capì che anche Charlie era rimasto indietro. Aveva di nuovo il videogioco tra le mani ed era seduto alla fine del tavolo con la testa in un altro universo. A volte, pensò Samira, Charlie è proprio simpatico. Ma si trasforma non appena ha quel gioco tra le mani. Samira si alzò per raggiungere gli altri, e sentì la bussola in tasca. La bussola! Certo! E ricordò che era successo qualcosa di strano la sera prima. Le era sembrato che la bussola segnasse cinque direzioni, un attimo prima di ritrovarsi nel negozio di abbigliamento. Era stata la bussola a farlo? Avrebbe potuto usarla per portare Charlie da Bear? Beh, chi non risica non rosica. «Ehi, Charlie?» disse. «Vuoi vedere qualcosa di davvero figo?». 123

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«Mmh?». Non alzò neanche lo sguardo dallo schermo, quindi Samira poggiò la bussola accanto a lui sul tavolo. Charlie la raccolse e strizzò gli occhi. «Che cosa fa?» chiese perplesso. Samira sorrise. «Forse lo scoprirai» rispose. «Consideralo semplicemente un regalo».

Fine

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