Quentin Tarantino di Alberto Morsiani

Page 1



TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 1

Gli Album

QUENTIN TARANTINO


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 2


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 3

Alberto Morsiani

QUENTIN TARANTINO Gli esordi e il successo, i temi e lo stile della sua opera, le sue opinioni sul proprio lavoro e quello degli altri registi, e tutti i film fino ai nuovi progetti in corso


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 4

Collana «Gli Album» Monografie di cinema e spettacolo per la scuola e l’università Collana diretta da Enrico Giacovelli

Dedicato (con amore) a Miss White e a Miss Blue.

Ringraziamenti dell’Autore: Ringrazio Fondazione Alasca di Bergamo, Buena Vista International di Roma, Associazione Circuito Cinema di Modena, Luciano Rivi, Serena Agusto, Roberto Ferrari, Laura Orestano, Sandro Zambetti, Guido Roncarati, Enrica Pagella, Cristina Benzi.

Ricerche iconografiche: Enrico Lancia In copertina: Immagini di Pulp Fiction (© Miramax International / A Band Apart / Jersey Films Production), Kill Bill: volume 1 (A Band Apart / Miramax Films / Production I. G. / Super Cool ManChu) e The Hateful Eight (Double Feature Film & FilmColony). Copertina: Francesco Partesano Fonti iconografiche: Centro Studi Cinematografici (Roma); © TFM Distribution: pagg. 162, 163, 165, 167, 168, 169; © The Weinstein Company: pagg. 170, 172, 174, 175, 177, 179 e 182; © Buena Vista: pag. 157. Per il capitolo Django Unchained - The Hateful Eight: The Weinstein Company & Columbia Pictures (foto di Django Unchained) e Double Feature Films & FilmColony (foto di The Hateful Eight). Per quanto è stato possibile l’Editore ha cercato di risalire al nome dell’autore di tutte le foto pubblicate in questo volume destinato alla scuola e all’università per darne la doverosa segnalazione. Le ricerche però non sono state sempre premiate dal successo ed è pertanto con vivo rammarico che l’Editore chiede scusa degli eventuali errori, lacune od omissioni, dichiarandosi fin d’ora disposto a revisioni in sede di eventuali ristampe e al riconoscimento dei relativi diritti ai sensi dell’art. 70 della legge n. 633 del 1941. Stampa: Peruzzo Industrie Grafiche – Mestrino (PD) 2018 © Gremese International s.r.l.s.– Roma

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978-88-6692-017-5


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 5

QT, PER UNA MITOGRAFIA DEL QUOTIDIANO

T

ecnicamente, Quentin Tarantino fa parte a pieno titolo della cosiddetta “generazione X”, di cui condivide l’età e la dimestichezza con l’odierna cultura di massa; ma, in realtà, il suo sguardo d’artista vaga molto più all’indietro nel tempo, abbracciando i decenni dai Quaranta ai Settanta, il cinema, la musica, le storie pulp di papà e anche, perché no, del nonno. Ne scaturisce il profilo di un vero postmodernista, un incrocio interessante di antico e di moderno, un cineasta vintage, con un debole per i cortocircuiti temporali, che si immerge nella contemporaneità ma rifà e omaggia le vecchie, eterne carabattole, cercando di dare loro un lustro rinnovato, una nuova essenza. Un innovatore e, insieme, un laudator temporis acti, la cui profonda ambizione rimane quella di riconciliarsi con la tradizione. Al pari di un artista della pop art americana, un Jim Dine, un Claes Oldenburg o un Robert Rauschenberg, Tarantino cerca di elevare a dignità artistica gli oggetti qualunque, di tutti i giorni, e le icone del consumo di massa. La cameriera sosia della Monroe che troviamo a un certo momento in Pulp Fiction (id.) richiama irresistibilmente la Marilyn rifatta come icona da Andy Warhol nelle sue celebri tele. Il feticistico repertorio di cibi iperrealistici che appare nelle sculture di Oldenburg si apparenta facilmente con l’ossessione tarantiniana dei piatti di junk food, l’hamburger da un quarto di libbra o le pancake servite a colazione con lo sciroppo d’acero. Tarantino sembra però lavorare di riflesso, a un secondo grado: il suo postmodernismo, la grande capacità di fagocitare manufatti e idee della cultura di Quentin Tarantino, soprannominato “cute”, “carino”, la nuova icona della cultura di massa, assiso dietro il suo avatar, caschetto coloniale in testa massa e dell’immaginario popoed espressione beffarda. È la cinepresa la macchina meravigliosa che può lare (televisione, fumetti, musica realizzare le sue fantasie più sfrenate di consumatore di immagini pop.

5


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 6

Eric (Jean-Hugues Anglade) prende la mira in Killing Zoe (1994) di Roger Avary. Uno degli innumerevoli tentativi di copiare i personaggi cool e lo stile inimitabile di Quentin, in un film che è una specie di parodia parossistica de Le iene diretto da un ex amico per la pelle diventato nemico giurato.

rock, film, junk food), sprigiona da precedenti incarnazioni già mediate o predigerite. Spesso le sue citazioni hanno una doppia struttura di riferimento: si veda per tutte la discussione sui diversi significati della canzone “Like a Virgin” di Madonna, all’inizio de Le iene (Reservoir Dogs). Ciò procura un doppio divertimento: il primo immediato, in cui si gode a un livello viscerale, per nulla intellettuale, del piacere fornito dall’effimero della cultura pop; il secondo, che funziona a livello più sofisticato, adatto a chi apprezza, ad esempio, cos’è una bistecca “alla Douglas Sirk”, o è in grado di capire la differenza qualitativa che passa tra i serial televisivi “Vita da strega” e “Strega per amore” e quella tra Peter Strauss e Nick Nolte, per rimanere a Pulp Fiction. Una possibilità è offerta sia a chi consuma sia a chi conosce i meccanismi della cultura di massa. Un cineasta, dunque, in grado di avere presa su un pubblico popolare, più grossolano, ma anche su un pubblico colto; di riconciliare arte e consumo, alto e basso; e quindi, proprio come è accaduto agli artisti pop americani, di grande e immediato successo e riscontro. Al pari di Warhol e degli altri, infatti, Tarantino è diventato istantaneamente, egli stesso, un’icona riconoscibile della cultura di massa contemporanea, il nuovo wonder boy dell’industria del divertimento, un personaggio dai tratti inconfondibili. E quindi subito imitato a ogni pie’ sospinto. Un fenomeno alla moda, perciò suscettibile, come tutto, di passare di moda. Il centro di riferimento unico di un piccolo mondo di artisti, colleghi, compari, tutti impegnati a coccolarlo, blandirlo, ma anche, come succede, gelosi del suo successo e spinti a imitarlo (si veda il caso pietoso del cosceneggiatore Roger Avary che, dopo varie accuse di “furto artistico” all’amico, ha girato un film-fotocopia quale Killing Zoe [id.]). Tarantino è del resto il protagonista di un vero e proprio one-man show: attore, sceneggiatore, produttore, regista, perfino distributore. Volendo, potrebbe facilmente fondare una sua factory artistica, sull’esempio di quella celebre di Warhol. Il personaggio conserva co-

6


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 7

QT, PER UNA MITOGRAFIA DEL QUOTIDIANO munque una sua spiccata originalità, frutto anche di una biografia particolare. I film che ha scritto e diretto sono pieni di riferimenti autobiografici, di personali amori e idiosincrasie. Alcuni personaggi, come il Clarence di Una vita al massimo (True Romance), sono ritagliati da momenti della sua vita; ritorna sovente, sotto mentite spoglie, il personaggio della madre, Connie, la donna forte che l’ha allevato quasi da sola; fa capolino, nei suoi film, la figura del padre assente, quel padre che l’ha abbandonato bambino. E poi ci sono gli odi e gli amori. Gli odi, ad esempio la terribile fobia per i topi che affiora nella rivoltante raffigurazione dei vampiri in Dal tramonto all’alba (From Dusk Till Dawn). Ma soprattutto gli innumerevoli amori, in prima fila quello per il cinema e i film. In questo, Tarantino gioca abilmente con lo spettatore. Da un lato, lo coinvolge emotivamente nel suo reticolo di citazioni, dall’altro lo distanzia dalla fiction spezzando l’illusione. I suoi film sono abilissima fiction ma, a un secondo livello, sono anche critica cinematografica, proprio come quelli di scavo sul genere del prediletto JeanLuc Godard. Film per lui fondamentali, come Fino all’ultimo respiro (À bout de souffle), Il bandito delle 11 (Pierrot le fou), Bande à part (id.). Per Tarantino, del resto, non esiste una sostanziale differenza tra film di genere e film d’autore. È questa una delle sue grandi forze. Per lui, ogni film è in qualche modo di genere. Un film di Eric Rohmer è un film di genere: appartiene al genere film di Eric Rohmer. È un genere in sé, non diversamente da un noir o da un crime movie. Le due cose si confondono. Di qui la sua rivalutazione, ad esempio, del filone pulp, generalmente associato a qualcosa di leggero e privo di importanza, una letteratura usa e getta, dozzinali storie di crimine e mistero. E, ancor più, la sua rivalutazione, da cinefilo onnivoro, del cinema commerciale e dei B-movies. Tarantino adora un po’ di tutto: i film blacksploitation degli anni Settanta, che gli ispirano

I due terribili fratelli Gecko, Seth (George Clooney) e Richard (Quentin Tarantino), si preparano alla strage di vampiri allo strip bar The Titty Twister di Dal tramonto all’alba (1995) di Robert Rodriguez. Seth protegge il fratello ma, paradossalmente, sarà proprio lui a doverlo uccidere.

7


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 8

QUENTIN TARANTINO Jackie Brown (id.); quelli di kung fu; gli spaghetti-western di Sergio Leone; i piccoli horror di Roger Corman; le pellicole comiche di Abbott e Costello; i noir a basso budget; Sam Fuller e Monte Hellman, Nicholas Ray e Terrence Malick, Mario Bava e Phil Karlson… Non disdegna però i pezzi da novanta del cinema hollywoodiano classico, come Howard Hawks (Un dollaro d’onore [Rio Bravo] è il suo film preferito di tutti i tempi); tra i maestri del cinema d’azione contemporaneo mette davanti a tutti Brian De Palma e John Woo. La sua grande ambizione è quella di fare del film di gangster un film d’arte; con Le iene si mette esplicitamente nella scia dei gangster movies esistenzialisti di Jean-Pierre Melville, delle operazioni sul genere compiute dalla Nouvelle Vague francese, e anche dello Stanley Kubrick di Rapina a mano armata (The Killing), con i suoi giochi temporali. Gli antieroi di Tarantino parlano come la gente normale. Sono personaggi di genere immessi in situazioni tolte dalla vita di tutti i giorni. È questo che dà loro una insolita umanità. Hanno reazioni normali, infantili, umane, troppo umane. Sparano a sangue freddo ma hanno un cuore, come tutti. E raccontano di continuo storie o barzellette, perché immaginiamo la gente comune dire cose così, senza importanza. Incarnano però, nel medesimo tempo, l’andatura spavalda, il senso di divertimento, l’aspetto cool dell’intero film. Trattengono un elemento di eccezionalità, di fuori misura. Ne deriva una curiosa miscela artistica tra due estetiche apparentemente opposte: l’una con forti elementi di stilizzazione (intendendo, con questo termine, uno sforzo cosciente di modellare la forma), l’altra con evidenti preoccupazioni di realismo. I personaggi, ad esempio, indossano in prevalenza abiti scuri, quasi una divisa che serva a distinguerli dagli altri. Tale abitudine esteriore rivela la voglia di dare un senso cool, stilizzato, al proprio abitare il mondo, all’attraversamento dell’anonimato quotidiano, come le camicie bianche e la cravatta sottile alla Blues Brothers. Ma è anche, in termini

Il detective Ray Nicolette (Michael Keaton, a destra) è sulle tracce del pericoloso Ordell in Jackie Brown (1997), ma ha bisogno dell’aiuto di una donna per farcela. Non è abbastanza cool? Anche lui sarà messo nel sacco dalla protagonista.

8


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 9

Perplesso e innamorato, il locatore di cauzioni Max Cherry (Robert Forster) attende di entrare in azione nel reparto di abbigliamento dei grandi magazzini Billingsley, sede del climax di Jackie Brown. È una simpatica figura di onestà compromessa, ennesimo recupero vintage di Quentin.

questa volta realistici, un modo come un altro di mimetizzarsi durante una rapina: è ciò che accade ne Le iene. Brutali, assassini a sangue freddo, i delinquenti di Tarantino (anche nei casi peggiori, come l’Ordell di Jackie Brown) mostrano una coerenza, un attaccamento alla propria identità, una fedeltà a se stessi e al proprio codice che li avvicina ai gangster esistenzialisti di Jean-Pierre Melville e della Nouvelle Vague. È il lavoro di scavo sul genere, come a suo tempo fece appunto Godard, che sembra divertire davvero Tarantino. È questo che gli permette di giocare con le aspettative dello spettatore, di spiazzarlo continuamente. Nessuno si aspetta, ad esempio, che un killer si metta a discutere di musica rock o di hamburger. Ma nel mondo di Tarantino si comunica proprio così: attraverso la cultura pop, e i gangster non fanno eccezione. Per Tarantino, è proprio il realismo a oltranza ad essere percepito come assurdo, è la vita reale che è assurda nella sua apparente normalità, come le conversazioni che sentiamo nelle caffetterie o nei diners americani. I personaggi dei suoi film definiscono la propria identità e comunicano l’un l’altro attraverso i manufatti della cultura di massa, perché sono cose che tutti capiscono con facilità. Quando si nomina Madonna o McDonald’s, oppure Elvis Presley, come accade in questi film, tutti immediatamente sanno di cosa si sta parlando. Tutti hanno un’opinione al riguardo. È un linguaggio universale, il linguaggio della società dei consumi. Tutti lo parlano. Tarantino ha un atteggiamento per nulla snob verso la cultura di massa. Secondo lui, è proprio essa che rende l’America ciò che è, che le dà il suo fascino, parte della sua personalità. È la cultura del junk food, il cibo stuzzicante e poco sano che appare di continuo nelle storie dei suoi film, sotto forma del quarter pounder o dei prediletti cereali Cap

9


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 10

QUENTIN TARANTINO

Nel diner all’inizio di Pulp Fiction (1994), i due gangsterucoli Pumpkin e Honey Bunny (Tim Roth e Amanda Plummer) disquisiscono su quali siano i migliori posti da rapinare, prima del canonico «Mani in alto!». Volentieri Tarantino ambienta le sue storie all’interno dei luoghi del consumo di massa.

’n’ Crunch. È la cultura americana, è ciò che ha allevato Tarantino e in mezzo a cui è cresciuto. Lo stupore di Vincent Vega in Pulp Fiction, quando racconta il modo in cui gli europei chiamano le varie pezzature di hamburger, potrebbe benissimo essere lo stesso di Quentin. Nei suoi film troviamo però molto di più: rinveniamo una vera e propria poetica delle cose e dei luoghi, materiale buono per l’antropologo delle culture alla ricerca di una mitologia della modernità nella società più importante dell’Occidente opulento. Ritroviamo, ad esempio, la diffidenza, profondamente americana, per il troppo grande, l’assoluto. Insieme a un totale laicismo, alla sfiducia nelle fedi, nelle ideologie e in genere in tutte le entità astratte, troppo generiche. Con la mancanza dell’ossessione, tutta europea, per la necessità di un centro chiaro, di punti fissi che delimitino con esattezza lo spazio. Con l’amore, invece, per il dettaglio, il particolare; con il gusto del relativismo, della mutevolezza, del movimento. Il Sacro non è ricercato nell’enorme o nelle teologiche immensità, ma nella singolarità delle cose. È la eachness di William James, il più influente filosofo americano. Si tratta di piazzare degli oggetti, persone o avvenimenti in un luogo preciso: al di fuori del quale gli stessi perderebbero di significato. La natura del sacro, così, consiste nell’invenzione spaziale della eccezionalità, in una evidenza di fatti e oggetti ancorata alla forza evocativa dei luoghi. Il secondo fattore nella cura dell’Enorme consiste, per gli americani, nel fidarsi delle reazioni del cuore, del desiderio e della collera. Le profonde emozioni viscerali, del fegato, dei genitali, del cuore: queste risposte tengono in contatto con il mondo intorno, con la sua bellezza.

10


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 11

QT, PER UNA MITOGRAFIA DEL QUOTIDIANO

Una coppia di killer davvero supercool, in giacca e cravatta nere e camicia bianca: Vincent e Jules (John Travolta e Samuel L. Jackson). Uno solo sopravviverà, beneficiando della Grazia accumulata nel corso del film e confrontandosi con varie figure di angeli salvatori…

In Tarantino notiamo facilmente questo attaccamento alle cose, ai manufatti della civiltà di massa, e allo stesso tempo la capacità di farne astrazione, di salvarne la sostanza comune a tutte: è proprio questo che dà al suo cinema, come al miglior cinema americano, la sua essenza mitologizzante, che piace così tanto a noi europei. Grazie a questa autonomia, i suoi film sfuggono alle trappole sempre in agguato della maniera e del decorativo: la forma d’arte autoreferenziale, che si limita a celebrare le proprie modalità costitutive, è condannata al mutismo vertiginoso delle superfici prive di profondità. Questa deriva si applica, semmai, ai suoi innumerevoli imitatori e seguaci, che trovano ricovero in luoghi già pronti, preparati dai loro predecessori. Il cinema di Tarantino è mitico nel senso del mito di cui parla James Hillman: trama delle cose, modo in cui il mondo appare e quello con il quale ci poniamo di fronte alle sue immagini. Un mondo che ha l’aspetto del paesaggio urbano della California, un indistinto agglomerato di freeways, centri commerciali, motel, stazioni di servizio, parking lots, caffetterie, diners, sobborghi, parchi, magazzini, rivendite d’auto usate: un pattern di luoghi che ritroviamo inalterato nei suoi film. Il paesaggio dell’“anonimità” urbana dei quadri di Edward Hopper, di Thomas Hart Benton, di Grant Wood. La più insignificante stazione di servizio, una strada, un parcheggio, un Burger King, una Cadillac: in ciascuno di essi c’è tutta l’America, come in un simulacro perfetto o in un ologramma. È questa indifferenza, questa interscambiabilità tutta funzionale (già tanto criticata, un secolo fa, dal poeta Rainer Maria Rilke), a dare al paesaggio

11


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 12

«Mi chiamo Wolf, risolvo problemi». Mr. Wolf (Harvey Keitel) dà la linea a un imbranato Jimmy (Quentin Tarantino) in una delle sequenze più divertenti di Pulp Fiction. È come se il Mr. White de Le iene fosse sopravvissuto e si prendesse ora la sua rivincita sul fato. Quentin ama giocare con i suoi personaggi, tirando o allungando la corda che li tiene legati. Nel corso dei film, comunque, la loro libertà è cresciuta.

americano la sua forza profonda, la sua sacralità segreta. Bellezza diventa così l’amore della cosa. Il cinema di Tarantino (ma anche la pop art) non fonda il realismo, anche se da esso parte, ma lo supera descrivendo le cose con la precisione di una prima nominazione del mondo: tanto che queste, impressionate su una pellicola cinematografica o dipinte sulla tela di un quadro, tornano a essere oggetto di stupore, come la zuppa Campbell’s di Andy Warhol (e, in precedenza, come le scarpe di Van Gogh). Questo iperrealismo spiega come, in un certo senso, la realtà americana abbia preceduto lo schermo. In America, il cinema è dappertutto, ed è il luogo del possibile, non del reale. Dinamico e non statico, senza punti fissi di riferimento, in cui tutto può accadere. In esso, uomini e donne vanno incontro incerti a un destino che ignorano. Tutto è possibile perché nulla è dato in anticipo. È in questo quadro che si inscrive la straordinaria, precoce capacità di scrittura di Quentin Tarantino. Il quale parte da una elaborata architettura romanzesca che obbliga lo spettatore a osservare con sconcerto meccanismi di selezione narrativa di solito a lui invisibili. Spettacolo e azione, paradossalmente, prendono la forma privilegiata di dialoghi e monologhi. I personaggi sono lasciati liberi di parlare, di confrontarsi, di accordarsi oppure di eliminarsi a vicenda. Tarantino si sforza di creare personaggi e di raccontare storie senza alcun interesse per il significato, che è anzi occultato il più possibile, in primis agli stessi protagonisti dell’intreccio. Scrive storie che innanzitutto interessano a lui, non soggetti “generalisti” sulla vita o sul mondo. E, dato che lui è cresciuto e si è formato in mezzo ai film, è da lì che attinge in prima battuta, mettendo a profitto la sua memoria visiva personale, prendendo qua e là le gemme che gli servono, elaborandole, modellandole, rifinendole, mettendo assieme cose che non erano mai state accostate prima. Ricostruendo questo patrimonio personale ma anche collettivo, questa miniera di immagini e suggestioni tratte da film, fumetti, canzoni, serial te-

12


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 13

QT, PER UNA MITOGRAFIA DEL QUOTIDIANO levisivi e così via, Tarantino si riallaccia, per la via maestra, alla grande tradizione mitizzante che ha innervato l’America. Una tradizione che è repertorio di immagini, suoni, spazi. Di qui il profondo impatto che ha avuto il suo lavoro. Che è un attento lavoro sulle fonti, innanzitutto. Fonti visive e immaginifiche, letterarie e musicali. «Black Mask» e Salinger, Fuller e Leone, Elvis e i Delfonics. Tanti altri registi, però, si sono ispirati o si ispirano a questo o a quello. La particolare bravura di Tarantino è che non diventa mai autoreferenziale al punto da bloccare il movimento del film e il progresso della storia. Il suo primo imperativo è raccontare una storia che sia trascinante dal punto di vista drammatico. Quel che conta è che la storia funzioni e che lo spettatore sia catturato da ciò che vede. Solo in un secondo tempo sopravviene il piacere aggiunto fornito dalle allusioni, dalle citazioni e dai riferimenti intra ed extratestuali. Il trucco è di saper dosare gli ingredienti, di saper mescolare le cose, il che può anche portare alla predilezione tutta tarantiniana per le distorsioni spazio-temporali, per i salti da un universo all’altro, da un testo all’altro. Non è necessario conoscere le fonti ma, se si è in grado di apprezzarle, tanto meglio, il gioco è ancora più sorprendente e divertente. In qualche misura, nello stile di scrittura di Tarantino, sono i personaggi stessi a determinare il dialogo. Il regista li fa parlare e annota quello che dicono. Il dialogo giusto sembra per lui una cosa facile facile. Un dialogo che va avanti all’infinito e sembra non avere a che fare con niente di preciso o di significativo. I suoi personaggi dicono cose frivole. Continuano a parlare per dieci minuti di Madonna, o di Coca-Cola, o di maccheroni al formaggio. Esattamente come le conversazioni che capita di ascoltare nella vita vera. Ancora Harvey Keitel, ma questa volta nei panni del collerico Mr. White, uno dei gangster predestinati de Le iene (1992). La sua professionalità non basterà a tirarlo fuori dai guai. Si noti il contrasto tra il bianco e il nero, che percorre tutto il film.

13


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 14

QUENTIN TARANTINO Un tale attaccamento alla vita vera spiega anche la particolare struttura a puzzle delle sue sceneggiature. Storie che si rifanno esplicitamente, nella loro costruzione, ai modi del romanzo. Non ci sono flashback, solo capitoli di un libro. È un approccio che, al suo apparire, ha mandato in confusione i benintenzionati e beneducati devoti della sceneggiatura hollywoodiana perfetta e canonica: secondo costoro, le storie devono essere lineari, si deve capire tutto subito, perfettamente, lo spettatore non va mai confuso e tanto meno ingannato, ci deve essere un unico punto di vista. Ci sono un inizio e una fine, ben chiari. Niente ambiguità. Tarantino, invece, come ha più volte dichiarato, ama prima dare le risposte, poi porre le domande. Come capita in un romanzo. Vuole stare più vicino ai libri che ai film. C’è una complessità, in un romanzo, che non si ritrova nelle sceneggiature originali. In un romanzo, non importa iniziare a metà della storia. E se un romanzo va indietro nel tempo, non è un flashback, è perché il lettore impara qualcosa. Il flashback è invece basato su una prospettiva personale. Scrivendo le sue sceneggiature elaborate e temporalmente distorte, Tarantino vuole innanzitutto risistemare l’ordine in cui ha deciso che lo spettatore debba ottenere l’informazione. Ama scherzare con la struttura dei suoi film. Naturalmente sa già i perché e i percome della storia quando inizia a raccontare, ma rimane sempre qualche domanda inevasa, delle idee che vuole esplorare. Non sa neppure quanto saranno efficaci, ma vuole comunque esaminarle. Al momento di scrivere, si sforza di lasciare la massima libertà ai personaggi. Soprattutto sul versante del dialogo che, come detto, va avanti in apparenza all’infinito. Qui si nota la formazione da attore di Tarantino: sembra avvicinarsi alla scrittura come un attore si accosta alla recitazione. Se al film viene applicata una struttura da romanzo, i due elementi più importanti rimangono comunque la storia e i personaggi, che devono esistere, essere del tutto credibili sul piano umano. Una qualità che, secondo Tarantino, si è quasi del tutto persa nel cinema americano contemporaneo. Quelle di Tarantino sono storie in cui tutti, o quasi tutti, alla fine, muoiono. E non in modo carino o gentile, ma in sparatorie, riempiti di buchi. Il sangue non si limita a uscire ma zampilla, sgorga, schizza, inzuppa letteralmente i corpi. Qualche volta ci vuole molto tempo, e molto dolore fisico, prima di tirare le cuoia, ma alla fine comunque si muore. Ciò porta alla tanto controversa questione della violenza nei film di Tarantino. Il regista, come è noto, rifiuta a priori le critiche di blandire la violenza. La violenza dello schermo non è la violenza della vita reale, dice. Ma, certo, si diverte a guardare la violenza, quando è resa bene nei film, e si diverte moltissimo a costruire scene violente nei suoi film. Addirittura, ha stilato la graduatoria delle scene con sparatorie da lui preferite, da quella finale ne Il mucchio selvaggio (The Wild Bunch) di Sam Peckinpah allo scontro tra gangster e poliziotti in Dillinger (id.) di John Milius, fino alla sequenza nel ristorante cinese ne L’anno del dragone (Year of the Dragon) di Michael Cimino. Ora il più bravo di tutti è, per lui, John Woo. La violenza nel cinema, per Tarantino, è infatti una pura questione di gusto: non c’è differenza con la gente che ama o detesta i film musicali o le commedie. Se il regista rifiuta ogni responsabilità sociale, accetta però quella artistica. È un problema di fedeltà ai personaggi: se sono killer a sangue freddo, devono comportarsi in un certo modo. Assumere responsabilità sociali, per un artista, significherebbe legarsi le mani da solo. Nessun romanziere o artista lo ha mai dovuto fare: «Non credo che qualcuno in Ruanda abbia mai visto un mio film», scherza, «eppure hanno ucciso col machete mezzo milione di persone laggiù!».

14


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 15

QT, PER UNA MITOGRAFIA DEL QUOTIDIANO Tarantino ammette però che ci sono due tipi ben distinti di violenza al cinema. Esiste quella tipo cartoon di film come Arma letale (Lethal Weapon): non c’è nulla di male in questa. Ammette che la sua violenza è molto più disturbante, più dura, rude. Arriva sotto la pelle. Il regista cerca di essere disturbante: la violenza è un veicolo. Per lui è divertente, very funny, cool. Fa parte del mondo e lui si ispira, nei film, all’oltraggio che essa reca nella vita vera. Il tipo di violenza per cui, in un ristorante, marito e moglie litigano e all’improvviso l’uomo prende una forchetta e sfregia il volto della donna. È una cosa pazzesca, quasi da fumetto, ma accade; è così che la violenza reale arriva a colpire e a imporsi nella prospettiva nella vita vera. Tarantino è interessato al gesto, all’esplosione e alle conseguenze del gesto. Cosa facciamo: picchiamo il marito, chiamiamo la polizia, li separiamo, chiediamo i soldi indietro perché la nostra cena è stata rovinata? Tarantino è interessato a questo. La violenza, in tale prospettiva, diventa un fatto totalmente estetico. Il regista mostra la violenza come è davvero: fradicia di sangue, fonte di panico, disonorevole e lenta, terribilmente lenta. Una violenza che sovente, nei suoi film, si mescola a momenti di umorismo e commedia, per cui si ride e si prova disgusto nel contempo (la scena della tortura de Le iene ne è l’esempio perfetto), con un effetto spiazzante di cui si prova vergogna. Del resto, Tarantino è tra coloro che rammentano come scena più violenta della propria infanzia quella dell’uccisione della madre del cerbiatto Bambi nel film della Disney. Il problema della violenza si lega, in un certo senso, a quello dell’impostazione dell’intera carriera di Tarantino che, da un lato, non vuole diventare lo zimbello di Hollywood, completaQuentin Tarantino dà graditi consigli a John Travolta in Pulp Fiction. È uno dei suoi attori preferiti, soprattutto nei panni del protagonista di Blow Out di Brian De Palma. Dopo l’incontro con Quentin, Travolta è tornato sulla cresta dell’onda.


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 16

QUENTIN TARANTINO mente nelle mani dell’industria, non ha nessuna voglia di fare, come dice lui, «la fine di un Richard Donner»; dall’altro, non vuole neppure ridursi a girare film “artistici” che lo porterebbero ai margini del sistema. È terrorizzato dal destino capitato a registi dotati come Nicolas Roeg e David Lynch, che per voler essere troppo personali fanno ormai fatica a girare dei film. C’è poi gente che è partita esibendo una personalità eccentrica e, dopo le prime prove, l’ha messa in vetrina, diventando una parodia di se stessa. Forse per questo Tarantino ha formato in fretta una sua compagnia di produzione, “A Band Apart”, ispirata nel nome al film di Godard, un regista che evidentemente rappresenta un po’ il suo nume tutelare. È Godard ad avergli insegnato che ciò che non si vede nell’inquadratura e che rimane fuori dai suoi margini è importante quanto ciò che si vede. Alcuni registi, invece, vogliono mostrare tutto. Non vogliono che lo spettatore abbia dubbi, esitazioni, secondi pensieri su alcunché: deve essere tutto lì, ben visibile. Tarantino ha visto tanti film e talvolta dà l’impressione di voler giocare con essi. Quasi tutte le pellicole fanno capire subito di che si tratta, e lo spettatore ignaro recepisce in fretta, sin dai primi minuti, il messaggio generale del film, prevedendo dove andrà a parare. Ciò che invece interessa al regista è usare le prime informazioni del film contro lo spettatore. Si pensi alle sequenze iniziali delle sue opere, ambientate in caffetterie o ristoranti, che improvvisamente si trasformano in qualcos’altro, rapine o massacri. Per il ricorso alla violenza, l’attenzione alla composizione dell’inquadratura, l’alternanza di scene dal montaggio frenetico e di altre più meditate, Tarantino viene spesso paragonato a Martin Scorsese, probabilmente il regista più imitato al mondo. Ma lui, lo ha detto, non vuole essere «lo Scorsese dei poveri». Quentin potrebbe invece sentirsi vicino all’immagine di JeanLuc Godard che il prediletto critico Pauline Kael gli ha trasmesso in un suo articolo: quella di un regista francese pazzo di cinema, seduto in un caffè di Parigi, che prende appunti sulla poesia che va scoprendo tra le righe di un romanzo americano hard-boiled, e la trasforma in cinema. È un po’ quello che anche lui ha in mente di fare.

16


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 17

TARANTINO ON TARANTINO Dizionario A-Z

AEROPLANO. Sono su un aeroplano, sto guardando un film con Kate Hudson. Siedo lì e piango… Penso che sia per l’altitudine o qualcosa del genere. ALL’ULTIMO RESPIRO. Ecco un film che soddisfa completamente tutte le mie ossessioni: fumetti, musica rockabilly e cinema. AMORE. Se sto scrivendo Bastardi senza gloria e sono innamorato di una ragazza e ci lasciamo, tutto ciò trova posto nella sceneggiatura. […] Se ami abbastanza i film, allora puoi farne uno buono. ANTEPRIME. Non mi piacciono per niente i test screenings o le anteprime dove si distribuiscono questionari agli spettatori per vedere le loro reazioni. Anche se mi piace mostrare i miei film al pubblico, non faccio mai ricerche di questo genere. Nei miei primi film ho messo nel contratto che non si facessero studi di marketing. Ogni regista vi dirà che non c’è bisogno di questionari per scoprire cosa provano gli spettatori. Quando vedi il tuo film per la prima volta circondato da tutti quegli spettatori sconosciuti, sai immediatamente quello che c’è da sapere: se il film è divertente o no, se è troppo lento o troppo veloce, se è commovente o no, se hai perso i tuoi spettatori e se li troverai ancora. ARISTOTELE. C’è gente che mi critica perché ho visto troppi film. In quale altra forma d’arte essere un esperto è considerato una cosa negativa? Se fossi un poeta, sarei criticato per sapere troppe cose su Saffo? O su Aristotele?

Richard Gere e Valerie Kaprisky in una scena di All’ultimo respiro (1983) di Jim McBride. «Ecco un film che soddisfa tutte le mie ossessioni: fumetti, musica rockabilly e cinema».

17


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 18

QUENTIN TARANTINO ATTORE. Il solo addestramento artistico che ho avuto è stato come attore. Un attore ha una concezione estetica molto diversa da un regista o da uno scrittore. Usa quello che funziona. Senza tradire la verità del mio stile, il mio ritmo o la voce, quando ho visto qualcosa che mi piaceva in Marlon Brando o Michael Caine, l’ho usato nella mia recitazione. Gli attori lavorano così: rubano qualcosa dagli altri e lo incorporano in loro se stessi. […] Sono un grande fan di Mickey Rourke, ma per dirvi la verità, trovo poco eccitante lavorare con qualcuno che dice: “Ah, fottuta recitazione, non significa un cazzo per me”. Beh, per me recitare è tutto. Ho studiato per sei anni, ma non ho trovato lavoro. Non riuscivo neppure ad avere della audizioni. Ho cercato per anni di costruirmi una carriera e non ci sono riuscito. Recitare mi ha insegnato tutto quello che so sulla scrittura e sulla regia. ATTORI. Tra quelli della mia generazione mi piacciono Sean Penn, Tim Roth e Nick [Nicolas, N.d.A.] Cage. Tim per la sua versatilità e ferocia. Ha questa qualità camaleontica. Sean per il suo carisma tra il sexy e il violento. E Nick per il suo coraggio. Non penso di aver mai visto un altro attore nella storia del cinema che ha tirato fuori una carriera continuando ad avere parti sbagliate e risorgendo di volta in volta. AUTOGRAFI. Sono andato a una proiezione di Get Shorty e non mi sono seduto nella sezione riservata. Mi sono seduto in basso in mezzo agli altri ragazzi. Allora, uno è venuto da me e mi ha chiesto un autografo. Ho detto: “Non quando sono al cinema. Sono qui per vedere il film come te. E devi rispettare questa cosa, sai?”. AVATAR. Non sono James Cameron e non potrei mai pensare di fare i suoi film, e del resto lui non potrebbe pensare di fare i miei. Ma se potessi entrare in una macchina del tempo e ragionare come lui, essere in grado di fare le cose che fa lui, sarebbe una gran cosa. BATMAN. Se lo chiedete a mia madre, lei vi dirà che il mio programma televisivo preferito in assoluto era Batman, ne ero ossessionato. Adesso non mi piace un granché, ma ricordo che quando ero piccolo ne andavo pazzo.

Brian De Palma, uno dei registi preferiti di Quentin, sul set di Scarface. «Quando c’era la prima di un nuovo film suo, cominciavo a contare i giorni che mancavano all’uscita».

18


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 19

TARANTINO ON TARANTINO BRIAN DE PALMA. Quando c’era la prima di un nuovo film di De Palma, cominciavo a contare i giorni che mancavano all’uscita del film già due settimane prima. La settimana precedente all’uscita di Scarface fu la mia “Settimana Scarface”. BRUCE WILLIS. È l’unica star oggi che evoca gli attori degli anni Cinquanta, gente come Aldo Ray, Ralph Meeker, Cameron Mitchell, Brian Keith, in qualche misura Robert Mitchum, tutti i duri di quell’epoca. Gli ho fatto vedere L’alibi sotto la neve di Jacques Tourneur con Aldo Ray e Brian Keith. […] Una delle cose che Bruce porta nella parte è che il suo ruolo del pugile Butch [in Pulp Fiction, N.d,A.] è simile ad alcuni dei personaggi che ha recitato, se non per il fatto che quelli non hanno mai dovuto lanciare il guanto di sfida come fa Butch. Volevo che Butch fosse un completo testa di cazzo. Lo volevo in tutto simile al Ralph Meeker che interpreta Mike Hammer in Un bacio e una pistola di Robert Aldrich. Volevo che fosse un bullo e uno stronzo, tranne quando si trova con la fidanzata Fabienne.

Una scena dell’episodio “Maternità” della serie tv “ER – Medici in prima linea”, diretta da Quentin nel 1994. «Ho finito l’episodio, gli ultimi due giorni, indossando il camice rosa da infermiera. Mi applaudivano tutte: Oh mio Dio, quanto è fico!».

CAMICI ROSA. Nel dirigere l’episodio ”Maternità” di “ER”, non volevo distinguermi. Tutti indossavano quella merda. Volevo ficcarmici dentro. Non volevo apparire diverso. Volevo stare dentro, non fuori. I ragazzi del Pronto Soccorso indossavano i camici verdi. Li ho portati anch’io per qualche giorno. Ho portato anche quelli blu, quelli dei chirurghi. Ma è stato quando ho messo quelli rosa, quelli delle infermiere, che sono diventato un eroe sul set. Le infermiere non credevano ai loro occhi. Ho finito l’episodio, gli ultimi due giorni, indossando il camice da infermiera. Quando camminavo sul set tutte le infermiere mi applaudivano: “Oh mio Dio, quanto è fico!”. CANI SCIOLTI. Io scrivo film sui cani sciolti, gli individualisti, su gente che infrange le regole, e non mi piacciono i film sulle persone che vengono polverizzate per il fatto di essere dei cani sciolti. CAVALCATA DELLE VALCHIRIE. Ci sono i film più veri del vero, come Le iene, e ci sono i filmfilm. Kill Bill Volume 1 è sicuramente uno di questi. Sono i film che Jules e Vince di Pulp Fiction andrebbero a vedere… Ho sempre pensato a Kill Bill Volume 1 come al mio Apocalypse Now, e alla sequenza della casa delle Foglie Blu come a quella della Cavalcata delle Valchirie con gli elicotteri.

19


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 20

QUENTIN TARANTINO CIBO SPAZZATURA. Amo andare da McDonalds. Non penso che la cultura popolare sia la cosa peggiore del mondo. È ciò che rende l’America quello che è, ciò che le dà il suo fascino, parte della sua personalità. È la cultura del cibo spazzatura. C’è qualcosa di molto piacevole in essa, anche se può darsi che dica questo perché è la mia cultura, sono io! […] Cereali Cap’n Crunch! Li tengo nel mio appartamento e mi dico: “Stai lontano da loro finché è possibile. Poi goditeli. Ma non abituartici”. Sto scrivendo una lista dei cattivi ristoranti fast-food dove ero solito andare ad abbuffarmi di roba che in realtà non avevo davvero voglia di mangiare. Sto seguendo ora una dieta più nutriente. CINA. Ho un sacco di fan cinesi che comprano i miei film sulla strada e li guardano, e mi sta bene. Non mi sta bene in altri posti, ma se il governo ha intenzione di censurarmi, allora voglio che la gente veda i miei film in ogni modo in cui riesce a farlo. CINEMA ITALIANO. Il cinema italiano odierno mi deprime. Forse vedrete più film italiani di me, ma quelli che ho visto negli ultimi tre anni sembrano tutti uguali. Non fanno che parlare di: ragazzo che cresce, coppia in crisi, genitori, vacanze per minorati mentali. Che cosa è successo? Ditemelo voi. Ho amato così tanto il cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta e alcuni film degli anni Ottanta, e ora sento che è tutto finito. Una vera tragedia. COLLEZIONI. Se sei un fan dei film, collezionare video è come consumare marijuana. I dischi al laser, è cocaina pura. Le copie di film sono eroina, siamo d’accordo? Ti fai di eroina quando cominci a collezionare copie di film. Così ci sono entrato dentro di brutto e ho messo su una bellissima collezione di cui sono molto orgoglioso. […] Per anni ho collezionato di tutto. Ho cominciato con i cestini per il pranzo, ma purtroppo ti rapinano sui cestini per i pranzo. Sono davvero dannatamente costosi. Per quanto riguarda le bambole, non puoi divertirti molto con quelle! Devi tenerle nella scatola. Così, ho cominciato con i giochi da tavolo. COPIE CARBONE. Non cerco mai una copia esatta o una citazione precisa o un riferimento specifico. Le copie carbone mi danno il mal di testa. Mi piace mescolare le cose: per esempio, la scena dell’orologio d’oro in Pulp Fiction inizia nello stile di Anima e corpo e termina nel clima di Un tranquillo weekend di paura. Quello che mi diverte di più sono le distorsioni spazio-temporali, i salti da un mondo all’altro. Non hai bisogno di conoscere i due film nella storia dell’orologio, ma se li conosci è ancora più sorprendente e divertente. COSTUMI. Nessuno dei miei costumisti è mai stato nominato agli Oscar, perché non faccio film storici che contengono scene di ballo e centinaia di comparse. CRIMINALE. Se non avessi amato così tanto i film e non avessi voluto fare l’attore, avrei potuto essere un criminale. Ero molto affascinato da quel genere di vita. Quando ero adolescente, ero sicuro: non farò un lavoro dalle 9 alle 5 che non mi piace solo per poter guidare una Honda. Prenderò quello che voglio. Sono finito nella prigione della contea tre volte, ogni volta per multe non pagate, ma preferivo andare in galera piuttosto che pagare! CRITICO CINEMATOGRAFICO. Se non fossi un regista, sarei un critico cinematografico. È la

20


TARANTINO ultima ed._Layout 1 04/05/18 16:10 Pagina 21

TARANTINO ON TARANTINO sola cosa per cui sono qualificato. […] Il mio problema è che i critici, invece di recensire i miei film, cercano di apparire più intelligenti di me. Ogni volta che scrivono recensioni, è come se giocassero a scacchi con il cervello e fanno sfoggio di ogni riferimento che riescono a trovare, anche se per metà è parto della loro fantasia. Cercano di trasformare in IMDB [Internet Movie Data Base] ogni cosa che faccio. Mi dà fastidio perché finiscono per usare tutto ciò come un bastone per darmi addosso. CUORE. Non devi sapere come fare un buon film. Se davvero ami il cinema con tutto il tuo cuore e con abbastanza passione, non puoi che fare un buon film. DAVID CARRADINE. Per un’intera generazione che non conosce “Kung Fu”, Anno 2000 – La corsa della morte o I cavalieri dalle lunghe ombre, non sarà ricordato come David Carradine ma come Bill. Per me sarà sempre Kwai Chang Caine [il personaggio protagonista della serie tv “Kung Fu”, N.d.A. ] e sarà sempre Bill. […] Era un sogno dirigerlo, un attore fantastico, un grande caratterista e davvero uno dei grandi geni pazzi di Hollywood.

David Carradine nei panni di Kwai Chang Caine, il protagonista della serie tv “Kung Fu”. «Era un sogno dirigerlo in Kill Bill, un attore fantastico, uno dei grandi geni pazzi di Hollywood».

21


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.