Racconti senza frontiere

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Le Girandole Racconti senza frontiere


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Le Girandole COLLANA DIRETTA DA SILVANA CIRILLO

Comitato di redazione: PAOLO DI PAOLO FILIPPO LA PORTA TOMMASO POMILIO CHRISTIAN RAIMO


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RACCONTI SENZA FRONTIERE Alberto Bevilacqua • Giuseppe Bonaviri • Vincenzo Consolo • Alessandra Lavagnino • Nicola Lecca • Carlo Lucarelli • Dacia Maraini • Dante Marianacci • Raffaele Nigro • Aurelio Picca • Carlo Sgorlon


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Copertina: Patrizia Marrocco Stampa: Printonweb – Isola del Liri (FR) 2018 © Gremese International s.r.l.s. – Roma Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere registrata, riprodotta o trasmessa, in alcun modo e con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978­88­6992­005­2


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INDICE

Prefazione di Dante Marianacci • 7 Alberto Bevilacqua Il segreto della moglie scomparsa • 11 Giuseppe Bonaviri Il vento d’argento • 21 Vincenzo Consolo Nerò Metallicò • 35 Alessandra Lavagnino Il Maestro delle colombe • 43 Nicola Lecca Bolungarvίk • 53 Carlo Lucarelli Il bambino del faro • 67 Dacia Maraini Berah di Kibawa • 87 Dante Marianacci Il profeta della Murgia • 95 Raffaele Nigro L’utopia della città felice • 103 Aurelio Picca Il giocatore di biliardo • 127 Carlo Sgorlon La fuga a Verona • 145


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PREFAZIONE

«La vita – ha scritto Novalis – non dev’essere un romanzo impostoci, bensì un romanzo fatto da noi». È con questo spi­ rito che una quindicina di anni fa nacque un progetto a cui parteciparono una decina di narratori, uno per ogni anno, con un racconto inedito privato della parte finale e poi com­ pletato dagli studenti delle scuole secondarie italiane nel mondo, con il coinvolgimento dell’Accademia della Crusca e del Ministero degli Affari Esteri. Fu un grande successo che coinvolse più di cinquantamila giovani da tutti i paesi, e ogni anno il racconto proposto venne pubblicato nella collana Gli Spilli della casa editrice Gremese. Ora, conclusa quel­ l'originale esperienza, utilissima anche per promuovere e far meglio conoscere la lingua e la cultura italiane all’estero, sembra interessante riproporre quei racconti tutti insieme, con qualche aggiunta, in un’antologia che come tale offre un ricco e variegato panorama dell’arte del racconto italiano dell’ultimo quindicennio, e viene ad aggiungersi, come ideale continuazione anche cronologica, alle antologie che nei de­ cenni passati l’hanno preceduta. I temi ricorrenti, come si noterà, sono quelli del viaggio e della memoria, inseriti nella maggior parte dei casi in un contesto internazionale, alla ri­ cerca di nuove vie da esplorare, non solo geograficamente, ma anche sotto il profilo del linguaggio e dello stile, tenendo 7


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PREFAZIONE

nella dovuta considerazione il fatto che la rivoluzione infor­ matica sta cambiando anche il nostro modo di pensare, di agire e di immaginare e che, come sosteneva Borges, la me­ moria, sia essa storica o individuale, è una moneta che non è mai la stessa. Così, Alberto Bevilacqua, ne Il segreto della moglie scomparsa, ripropone, quasi pirandellianamente, il tema del dop­ pio, in cui verità e menzogna, realtà e follia si alternano sulla scena tenendo il lettore avvinto. Un racconto “a enigma fi­ nale”, come l’autore stesso lo definisce. Giuseppe Bonaviri, ne Il vento d’argento, segue i due giovani protagonisti Susetta e Settimio, studenti universitari, da Roma a Praga, riassaporando con la memoria un miste­ rioso venticello che spira sulle rive del Po, e ripercorrendo un viaggio fantastico e pieno di sorprese e di tenerezze, tra maschere di personaggi noti o del tutto sconosciuti e un finale stellare sulle ali della fantasia. In Nerò Metallicò Vincenzo Consolo racconta tra l’ironico e il metaforico di una coppia di coniugi che si recano nella macedone Salonicco, tra nuove scoperte e rimembranze di un viaggio giovanile dopo la licenza liceale, nella ricorrenza dell’8 marzo, festa della donna. Passeggiando tra le rovine dell’antica civiltà ellenica si riscoprono gli antichi miti, e in particolare la figura di Dioniso che libera la donna dalla re­ pressione sessuale dell’uomo, ma in un contesto particolare e durante rituali alimentati dall’ebbrezza del vino. Il Maestro delle colombe di Alessandra Lavagnino è la storia di un’amicizia nata sulle rive del Nilo tra due ragazzine, Irene, di origine italiana, e l’egiziana Nur, che trascorrono la loro infanzia insieme, nello stesso quartiere, sotto il cielo di Alessandria, tra grandi nidi di colombi. Si perdono poi di vi­ sta, a seguito di trasferimenti: Irene torna in Italia, e Nur, 8


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PREFAZIONE

dopo la morte della madre, va a vivere in un’altra città del­ l’Egitto. Ma le due bambine non si dimenticheranno mai e alla fine si rincontreranno da adulte e madri. In Bolungarvík, nome di un villaggio isolato dell’Islanda, uno dei luoghi più incantevoli del mondo ma a causa del vento e della neve poco collegato con la più grande città di Ísafjördur e con il suo aeroporto, Nicola Lecca racconta di Margaret, una bella ragazza, maestra elementare, e della sua Range Rover rossa con la quale infinite volte ha percorso, anche con la neve alta, la pericolosa strada dal suo Bolun­ garvík a Ísafjördur, ad altre città, forse per sfuggire alla soli­ tudine, da quando ha perso tragicamente il padre e il fratello. Ogni sera nella quiete assordante della sua casa, la donna si ostina a scrivere all’Università di Atene per ottenere un posto da lettrice di islandese e di danese e fuggire così dall’Islanda. Nella storia di Carlo Lucarelli, Il bambino del faro, un giovane giramondo cerca la propria identità nella solitudine di una piccola isola deserta, alla luce di un faro e dell’imma­ gine di un bambino che irrompe come uno spettro nella sua vita. Il racconto di Dacia Maraini, Berah di Kibawa, una favola dei tempi nostri, ha come protagonista Berah, una bimba che vive in uno sperduto villaggio della Tanzania e che ogni giorno percorre a piedi, per ore, un lungo sentiero polveroso per vivere, con le carte geografiche e le parole del suo giovane maestro, il sogno di terre e città lontane, fino a Roma e alla storia del suo Colosseo, che poi raggiungerà, tra mille diffi­ coltà, dimenticando, almeno per un poco, i gravi problemi che assillano il suo popolo e il suo paese. Ne Il profeta della Murgia, ambientato in una Praga quasi surreale dei primi anni Ottanta, il protagonista – un originale scrittore meridionale in visita nella capitale boema – rivive 9


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l'incontro con gli incubi del suo passato e le stravaganti ap­ parizioni del presente. I protagonisti del racconto di Raffaele Nigro, L’utopia della città felice, vengono incaricati dal Bey di Algeri di pre­ parare il progetto di una città ideale da costruire nel deserto. I due, Antonello Veneziano e Miguel Cervantes, architetti di storie e coscienze, progettano una fantastica città popolata da poeti, da libri e da viaggi immaginati, perché la vita «è profondamente legata al viaggio». Ne Il giocatore di biliardo di Aurelio Picca, il narratore protagonista racconta, in prima persona, dei tristi ambienti e degli infelici condómini che abitavano un palazzo fatiscente, oltre che della sua casa, all’ultimo piano dello stabile, il cui soffitto era dominio di rondini e di topi che distruggevano il suo Presepe, e dove tre goffe donne gli facevano da madre, dopo che quella vera era morta. Ma il vero protagonista del racconto è Albertino, il giocatore di biliardo, che il ragazzo segretamente seguiva quando andava al bar a giocare. Al­ bertino, bassissimo al punto da sembrare nano e sempre in lite con la moglie, un giorno è stato ritrovato morto nel bagno, dove si era impiccato. C’era anche una bambina, D., della quale il narratore era innamorato e a lei metteva in mo­ stra la sua vita come uno spettacolo. Infine, il giovane Jacopo, nel racconto La fuga a Verona di Carlo Sgorlon, scappa di casa, dove l’aria si è fatta irrespi­ rabile, con il suo inseparabile flauto, per inseguire un sogno di musica e per cercare provvisoria, adolescenziale identità. DANTE MARIANACCI

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Il segreto della moglie scomparsa di ALBERTO BEVILACQUA «Questa non è mia moglie. Questa donna io non l’ho mai vista. È soltanto una pazza. Vi prego di credermi...». L’uomo parla seduto al centro della stanza. La donna di fronte a lui indossa un vecchio impermeabile; l’uomo la guarda ancora una volta e crede per un attimo alla verità di un incubo. Ma ancora una volta si convince di non aver mai visto le gambe magre, bianche della donna, e le mani ugualmente bianche e magre appoggiate con serenità sul verde del vestito, dove l’impermeabile si apre e ricade ai due lati della sedia. Dalle mani sale al volto. I suoi occhi cercano qualcosa di riconoscibile nei due occhi contro di lui, neri e immobili. Nelle orbite c’è soltanto quel sorriso assente, che lo sgomenta. Il volto è reso ancora più pallido dalla luce della lampada da tavolo, che li divide, e taglia la penombra della stanza. La giovinezza della donna appare come in bilico su un’età indefinibile: è corrotta da qualcosa, 11


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ALBERTO BEVILACQUA

pensa l’uomo, una giovinezza fuori dalla realtà, inganne­ vole... «Assomiglia solo vagamente a mia moglie», egli am­ mette, inseguendo le immagini del suo rapido sogno. Ma si riprende. Ripete con decisione: «Io non la conosco. Mia moglie è scomparsa mesi fa. All’improvviso. Inspiegabil­ mente. Come sapete tutti». Il secondo uomo che siede dietro la lampada fa apparire la mano nella luce: «È assai più che una somiglianza», obietta porgendo una carta d’identità al primo uomo. Dopo un’indecisione, questi la prende e controlla la fotografia nella carta d’identità; c’è un volto sfocato, la patina con­ sumata lo rende più remoto; sta tra i dati segnaletici vergati a mano e i timbri, come una forma velata in fondo a un’ac­ qua trasparente. Soltanto gli occhi sono molto vivi e pre­ senti: senza dubbio simili a quelli reali che insistono im­ mobili contro la parete di fronte. «Questa fotografia», risponde il primo uomo, «è di molti anni fa. Forse quindici. Si può ammettere che allora mia moglie assomigliava alla donna. Niente di più». «E come spiega», chiede il secondo uomo, «che il do­ cumento appartenente a sua moglie è nel possesso di quella che lei definisce semplicemente “una donna”?». Il primo uomo alza le spalle: «Non lo so. È tutto in­ spiegabile». «E come mai...», insiste l’altro, «la signora che lei non riconosce ha saputo rispondere con esattezza a qualunque sua domanda, dimostrando di conoscere ogni momento della sua, anzi della vostra vita?... Lei ricorda nei particolari l’ultimo giorno che trascorse insieme a sua moglie?». 12


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IL SEGRETO DELLA MOGLIE SCOMPARSA

«Lo ricordo perfettamente». «Allora provi a farle ancora una domanda. Avanti. Provi!». Il primo uomo cerca nella mente un gesto, un piccolo particolare capace di sfuggire a una realtà costruita con la menzogna, mentre la menzogna che occupa la stanza con una sua presenza concreta, più forte delle parole, lo soffoca. Egli dice all’improvviso: «Ricordo che mia moglie apparve dalla camera da letto. Era già pronta per uscire. Mi salutò una prima volta. Venne anzi a baciarmi. Quindi si diresse alla porta. Qui si fermò. Ebbe un’esitazione. Mi ritornò vi­ cino e stringendomi le mani mi disse una cosa strana. Subito non ci ho fatto caso, ma ci ho meditato a lungo, dopo... Quale frase mi disse? Invito questa donna a ripetermela». Finalmente gli occhi della donna si abbassano. La sua testa si abbassa. Si contempla le mani e risponde sorri­ dendo: «Voglio salutare il mio marito vero. Ecco cosa ti ho detto. Sottolineo l’aggettivo “vero”. Poi ti ho preso le mani. Ti ho costretto a coprirti la faccia con le tue stesse mani. Ti ho pregato: stai così e non guardarmi mentre vado via. Sei rimasto con le dita strette sugli occhi. Sem­ bravi senza respiro...». «È esatto?», chiede il secondo uomo. Il primo uomo ammette: «Sì. È esatto». La donna aggiunge: «Io sto dicendo la verità. Sono sua moglie... Sarò per sempre sua moglie». Il secondo uomo le si avvicina: «Allora ci dica la ra­ gione che l’ha spinta ad andarsene da casa. Lei è stata ri­ cercata per mesi. Febbrilmente. Dov’era? Perché non ha dato notizie di sé?». 13


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ALBERTO BEVILACQUA

«Lo dirò a lui», risponde la donna. «A mio marito. Vo­ glio rimanere sola con lui, e parlargli. Alla fine riconoscerà che io sono, “devo” essere sua moglie...». Il secondo uomo passa fra i due e si avvicina alla porta. Ma c’è un momento in cui il primo uomo capisce che verità e menzogna, follia e realtà stanno lottando anche nella mente dell’altro. Il secondo uomo esce. Nel silenzio della stanza rimangono solamente i respiri dei due, che adesso siedono di fronte senza guardarsi. L’uomo dice: «Tu non sei mia moglie. Io non ti ho mai vista. È vero?». La donna risponde con dolcezza: «Sì, è vero. Io non sono tua moglie». «E allora perché? E dove è mia moglie?». «Ha vissuto in casa mia durante questo periodo. Fino a ieri mattina. Per mesi non mi ha parlato che della sua vita con te, giorno e notte. Raccontava come se volesse liberarsi dei tre anni che siete stati sposati. O come se dalla sua mente volesse trasferirli nella mia, prima di...». «Di...?». «Niente. Io l’ho capito e la lasciavo dire. Soltanto per poco ho creduto che si trattasse di un semplice sfogo: che io dovessi tollerarlo o consolarlo. Sbagliavo. Presto i suoi occhi, i suoi gesti, la meticolosità e il calcolo che lei poneva nell’insegnarmi momento per momento la parte più segreta della sua esistenza, mi hanno fatto capire una verità sconvolgente e affascinante insieme». «Quale verità?». «Che tua moglie aveva bisogno di cancellare da se stessa tutto ciò che la legava alla tua persona. Bisogno di 14


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IL SEGRETO DELLA MOGLIE SCOMPARSA

liberarsene. Sì, ma senza uccidere nulla, nemmeno un’emo­ zione, anzi facendo in modo che ogni cosa potesse vivere altrove e altrove avere un futuro... Si serviva di me come ci si può servire di un foglio su cui si scrivono le ultime cose che si vogliono dire affinché gli altri possano vedere, capire, confrontarsi con un passato verso il quale, forse, hanno grandi colpe». «Stai dicendo cose assurde...». «Può darsi. Eppure sono accadute. Passavano le giornate e sempre più tua moglie plasmava in me una seconda se stessa. Cercava di insegnarmi persino i gesti più irrilevanti. Quello con cui ti porgeva la tazzina del caffè, o alla sera, dopo avere spento la luce, cercava con la mano la tua testa sul cuscino vicino al suo, o ti salutava dalla finestra... L’ascoltavo, obbedivo ai suoi insegnamenti, mi trasfor­ mavo. Rendendomi conto di questa trasformazione, pro­ vavo una felicità strana, per più di una ragione. Perché mi accorgevo di servire a tua moglie in un progetto così pro­ fondamente umano e insieme così illogico da possedermi con una specie di genialità, di santità oscura. E perché io mutavo... Quello che era stato il fallimento della mia esi­ stenza, dei miei affetti di donna, lasciava il posto alla fin­ zione. Anche il mio dolore, la mia solitudine: tutto ciò spariva da me per il semplice fatto che io... diventavo un’altra. Tua moglie. Moglie di un uomo che non cono­ scevo. Padrona di una casa dove non avevo mai messo piede». «Ma dove eravate in questo tempo?». «Io vivo fuori città. Sono due stanze vicino al Tevere. Prima erano uguali a me. Vuote. Inerti. In questi mesi si 15


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ALBERTO BEVILACQUA

sono trasformate. Era molto bello stare fra i loro muri e giocare, io e tua moglie, a un gioco che totalmente ci pren­ deva. Ci alzavamo la mattina presto, il fiume mandava la sua luce allegra e solare, si cominciava. Io cercavo di im­ maginarmi come tu fossi in realtà, mentre prendevo a vi­ vere per te: ascoltavo quali erano i tuoi pensieri. Eri tu che nella voce di tua moglie giudicavi gli uomini o parlavi di Dio o m’insegnavi le tue preferenze e i tuoi piaceri... E quale la tua maniera di amare, di odiare, di essere irrico­ noscente... Ti seguivo, non ti perdevo un attimo». «E quando l’hai conosciuta, mia moglie?». «L’ho vista per la prima volta la sera stessa che è fuggita da te. Rincasavo lungo il fiume e lei mi è venuta incontro. Ci siamo guardate. Eravamo sole nella stessa misura. Cam­ minavamo entrambe con le mani sprofondate nelle tasche, il freddo della sera era una luce cruda nei nostri occhi: ci siamo accorte della somiglianza dei nostri volti. Penso che questa idea di identità, magica nella strana ora del fiume, abbia fatto nascere in tua moglie il pensiero della sua unica liberazione possibile. Quasi senza dire una parola ci siamo trovate da me, sedute, e il suo racconto è comin­ ciato». «Io non posso credere che mia moglie abbia seguito un simile comportamento da folle. Era una donna troppo sem­ plice. La sua vita era troppo serena». «Mi viene da sorridere. Come coincidi, in questo mo­ mento, con il ritratto che lei faceva di te. Come sono esatte la tua sicurezza, la tua presunzione. E la tua superficialità. Voler restare alla superficie delle cose, per disprezzo degli altri, è il lato peggiore del tuo carattere. Entrarci, nelle 16


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cose. Non darne per scontata una banalità che può anche non esistere. Come hai fatto con tua moglie...». «Lei ha avuto da me tutto ciò che poteva pretendere. Perché dunque avrebbe avuto bisogno della finzione che tu mi hai descritto?». «È molto semplice. Perché sapeva anche quello che tu non hai mai avuto il coraggio di dirle. Cerca di ricordarti proprio la frase che tu mi hai obbligato a ripetere poco fa. Il marito vero... Ebbene, il marito vero le era chiaro e ri­ conoscibile. Ma l’altro? O meglio, il marito vero era quello che lei conosceva o l’altro? Quando non stavamo a parlare in casa mia, lei mi costringeva ad attraversare la città. C’è una piazza all’Aventino, con dei pini disposti a cerchio. Tu sai quale intendo. È vero?». « No. Non capisco». «Continui anche con me a essere ipocrita. Allora ti dirò che in quella piazza, quando ci arrivi, parcheggi la mac­ china. Nella strada stretta dove poi ti inoltri, infatti, non c’è mai posto. Entri in un cancello, scendi alcuni gradini, ti trovi in un pianterreno con davanti un giardino... Lo co­ nosci questo giardino?». «Sì, lo conosco». «Ebbene, anche tua moglie lo conosceva perfettamente. Forse meglio di te. Avrebbe potuto dirti come muta il colore degli alberi con il passare dal giorno alla notte, e come ci cantano gli uccelli. E quali toni ha la voce della donna che abita nel pianterreno. Era capace di restare per ore a fissare ogni cosa, nascosta come una ladra, magne­ tizzata dal giardino e dai muri. Mi obbligava a sederle ac­ canto. La forza della sua contemplazione coinvolgeva an­ 17


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che me. Il suo volto si faceva assente, i suoi occhi non la­ sciavano un istante la seconda donna che tu hai da molti anni... la donna della tua vita segreta». «È pazzesco». «Ma vero. E bastava guardarla per capire come la sua follia era nata proprio dal suono di quelle foglie che il vento faceva battere, dalle voci che le vetrate attutivano, dal passare della luna sulle notti che tu trascorrevi chiuso là dentro... «Tua moglie sapeva quando tu la salutavi per andare dall’altra. Allora ti lasciava uscire. E poi subito usciva lei. Spesso arrivava prima di te. Si nascondeva nel suo posto abituale. Ti vedeva quando apparivi sulle scale, baciavi l’altra come avevi baciato lei, ti sedevi di fronte a una ta­ vola estranea con la stessa naturalezza con cui eri stato seduto di fronte alla tua tavola». «Se fosse come tu dici, mi avrebbe parlato. Non mi ta­ ceva mai nulla. Era un difetto che le rimproveravo, e a volte diventava persino imbarazzante, questo di dare subito parola ai suoi pensieri». «I pensieri, mancando di una difesa, hanno perso la loro parola e acquistato un’incapacità psicologica a espri­ mersi, se non nella mania e nell’angoscia». «Adesso dimmi dov’è mia moglie. E perché qui ci sei tu». «Ho creduto fino all’ultimo che con il suo gioco con me cercasse un nuovo modo di vivere. La sua mente, mi dicevo, si serve di un meccanismo per ritrovarsi libera. Le obbedivo ripetendomi che avrebbe lasciato la sua parte malata a casa mia, quindi sarebbe ritornata da te, ritrovando 18


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la forza di vivere con un uomo ipocrita ma che, a modo suo, le era affezionato. Invece...». «Invece?». «Tua moglie è scomparsa, e stavolta per sempre. Tutto è accaduto come si arriva alle ultime pagine di un libro, e poi il libro sparisce... La rivedo di fronte a me. È là, contro la finestra, che mi racconta le ultime ore che avete trascorso insieme. È presa dalla fine della sua finzione. C’è un calore che le arrossa le guance. Le sue ultime parole sono le stesse che mi hai fatto ripetere in questa stanza. Ecco... Poi mi sono girata. Non c’era più. Era fuggita verso il fiume. A suo modo mi aveva ingannata. La verità che aveva voluto rivelarmi non era affatto la preparazione a una vita diversa, ma solo a una fuga senza ritorno». Il secondo uomo è rientrato nella stanza. Si è seduto al tavolo dietro la lampada. Ora vede il primo uomo che aiuta la donna ad alzarsi. I due si dirigono alla porta, e il primo uomo consente che la donna metta il braccio sotto il suo braccio, la sorregge. Ma soprattutto l’accetta. Come se, senza parlare, ammettesse: sì, è vero, è mia moglie. I due escono. Restano un poco in silenzio. Il sole ha la­ sciato il suo rosso in fondo alla città, le lampade si sono ac­ cese. Poi la quiete della sera spinge di nuovo la donna a parlare: ricorda il melo profumato nel giardino della casa, dietro il quale anche lei fissava dal buio l’altra vita del­ l’uomo, la sconosciuta che lui andava a trovare. La follia della contemplazione si addolciva in una solitudine im­ mensa: prendeva conforto dalle musiche che uscivano dalle finestre dei palazzi, dalle voci allegre nella notte. Il cigolio delle porte, i passi degli sconosciuti. Le mani delle due 19


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ALBERTO BEVILACQUA

donne che si stringevano. La moglie dell’uomo qualche volta si inginocchiava accanto al melo. L’ultima notte spezzò un piccolo ramo come per lasciare un ricordo di sé... L’uomo e la donna spariscono, infine, dentro un pa­ lazzo. Salgono ed entrano in un salottino rotondo, pieno di un mobilio chiaro e delicato. Accanto a una sedia, un cane apre gli occhi. La donna chiama il cane con il suo nome. Dietro i tendaggi, si inseguono i lampi della notte estiva. L’uomo si siede nella sua poltrona. La donna mostra di individuare ogni particolare della casa. Si aggira nella pe­ nombra. Apre con sicurezza le porte delle camere. C’è qualcosa di fatale nel rumore dei suoi passi che non hanno un’incertezza. L’uomo osserva una luna aguzza nella fi­ nestra. Rimane in attesa finché non l’investe la luce accesa d’improvviso. La donna mette la tovaglia, comincia a pre­ parare la cena. Tutto sembra calmo e chiuso. «Grazie», dice l’uomo, e continua a fissare la donna che con una certezza sempre maggiore continua a ricono­ scere a uno a uno gli oggetti di quella casa che non ha mai visto. Alberto Bevilacqua (Parma, 1934 – Roma, 2013) è stato scrittore, poeta, regista e giornalista. Esordisce con il romanzo La polvere sul­ l’erba (1955) ma conosce il successo internazionale solo nel 1964 grazie a La Califfa con il quale vince il premio Strega. Tra gli ultimi ro­ manzi pubblicati: L’amore stregone (2009), Romanzi (2010), Roma califfa (2012). È anche stato autore di raccolte di poesie, tra cui Duetto per voce sola (2008) e La camera segreta (2011).

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