ATTUALITÀ IN DERMATOLOGIA
Il segno sulla pelle: dall’autobiografia all’autobiologia
Mariella Fassino Professore a contratto Scuola di specialità in Psicologia clinica, Università degli Studi di Torino
D Il corpo, la malattia, il malato e il medico trovano un posto di rilievo nella letteratura e nell’arte di tutti i tempi e di tutti i Paesi. La fenomenologia del corpo indagata e raccontata dall’arte, con mezzi descrittivi e comprensivi, offre un versante di osservazione che non si contrappone all’indagine scientifica, che utilizza strumenti esplicativi, ma la integra e l’avvicina all’esperienza soggettiva. La separazione tra arte e scienza è un fatto relativamente recente, si pone con Cartesio e prosegue nella modernità. Gli artisti attraverso la fantasia, l’immaginazione, l’empatia, la descrizione delle loro esperienze vissute con il corpo e le risonanze emotive da questi suscitato, sono testimoni del rapporto mutevole e costante dell’uomo con la malattia, con il proprio corpo, con la propria pelle, con l’affidarsi o temere le cure dei medici (1). Le pagine dei narratori e dei poeti ci hanno consegnato sul versante del paziente il vasto repertorio dell’ammalarsi, del guarire, del temere per la propria salute, dell’essere nel proprio corpo e nella propria pelle. Sul versante del medico hanno prodotto una galleria sfaccettata e poliedrica di ritratti: me-
dici buoni e compassionevoli, medici cinici e incompetenti, medici appassionati o disincantati, medici ambiziosi o al servizio dell’umanità bisognosa e dolente, medici che diventano a loro volta pazienti. Alfred Hitchcock afferma che per capire l’uomo e il suo stare al mondo “c’è qualcosa di più importante della logica: l’immaginazione”. Dunque gli artisti offrono alle nostre coscienze e alle nostre emozioni un punto di vista che attinge al vasto repertorio della mente sotto forma di immagini. Arte e pelle Ci soffermeremo su due autori che nelle loro opere esprimono un rapporto di rilievo con il proprio corpo e la propria pelle: John Updike e Valerio Magrelli. John Updike – scrittore nato in Pennsylvania nel 1932, affetto da psoriasi dall’età infantile –, racconterà il rapporto con la malattia in numerosi romanzi e racconti. From the journal of a leper, racconto breve scritto nel 1976, offre al lettore alcune suggestioni e analogie tra la pelle squamosa e secca e le superfici dei vasi plasmati dalle mani del protagonista che è un vasaio. Egli cercherà di produrre vasi perfettamente lisci,
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creando un manufatto che lo illuda di avere un po’ di controllo sull’impotenza che prova di fronte alla malattia (2). Il rapporto tra la psoriasi e la superficie liscia delle ceramiche, viene esplorato dalla scultrice inglese Tamsin Van Essen. La serie di vasi Medical Heirlooms propone manufatti dalle superfici rosate e squamose simili a spesse placche psoriasiche o superfici ulcerate simili a gomme luetiche. I medical Heirlooms erano vasi che nell’antichità contenevano sostanze medicamentose e che venivano ereditati attraverso le generazioni. L’artista, nelle sue opere, riflette sull’insieme di fattori genetici e familiari che condizionano l’espressività e la gestione della malattia psoriasica. Ancora John Updike in Self-counsciousness, romanzo autobiografico scritto nel 1989, dedica un capitolo alla guerra che il protagonista ingaggia con la propria pelle: At war with my skin. “Il Siroil, il sole, l’astensione dal cioccolato erano le uniche armi che avevo a disposizione nella lotta contro le chiazze rosse che diventavano scaglie argentate e invadevano la mia pelle nell’inverno [...]”, afferma l’autore. In seguito Updike sperimenta la PUVA-terapia,