HI TECH DERMO 1/2021

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CLINICA IN DERMATOLOGIA I CONGRESS REPORT LETTERATURA INTERNAZIONALE I ATTUALITÀ

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SOMMARIO

CLINICA IN DERMATOLOGIA

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Patologia vascolare e cute, relazione pericolosa: un caso clinico Eczema da stasi può ridurre la qualità della vita

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Rosacea, patologia immunogenica e neurogenica: remissione e qualità di vita

pag. 16

Peeling chimico: applicazioni e gestione degli effetti collaterali

pag. 22

Eritrodermia congenita in epoca neonatale: diagnosi e trattamento

pag. 26

Chirurgia dermatologica e “danger zones” del volto

pag. 30

Sindrome di Sweet pediatrica: una rara dermatosi infiammatoria

pag. 32

Dermatite atopica e cancro, quali correlazioni?

pag. 34

Filler dermici più sicuri con l’ago intelligente

pag. 35

pag. 13

IN COPERTINA

pag. 7

PRODOTTO DEL MESE

pag. 9

ATTUALITÀ IN DERMATOLOGIA

pag. 36

PRODOTTI E TECNOLOGIE

pag. 56


Norme editoriali per le proposte di pubblicazione

hi.tech dermo Trimestrale di attualità clinica, scientifica e professionale in dermatologia

La Rivista hi.tech dermo valuta la pubblicazione di contributi scienti-

Direttore responsabile Giuseppe Roccucci g.roccucci@griffineditore.it

fici e clinici originali provenienti dal mondo ospedaliero, universitario e della libera professione. Gli articoli proposti per la pubblicazione possono essere inviati alla redazione (redazione@griffineditore.it) nella loro stesura definitiva, completi di nome, cognome e qualifica professionale. Le illustrazioni devono essere numerate progressivamente e corredate di relative didascalie, con precisi riferimenti nel testo. Devono essere ad alta risoluzione (almeno 300 dpi, in formato tiff, eps oppure jpeg). In caso di immagini già pubblicate in precedenza, è necessario includere l’autorizzazione alla riproduzione da parte di chi ne detiene i diritti. Grafici e tabelle dovranno essere forniti possibilmente in formato Microsoft Excel o simili, numerate progressivamente e corredate di relative didascalie, con precisi riferimenti nel testo. I lavori devono essere originali: non possono essere stati offerti contemporaneamente ad altri editori, né pubblicati su altre riviste. L’Editore provvederà gratuitamente alla pubblicazione degli articoli accettati, per la stesura dei quali è esclusa ogni sorta di compenso a favore dell’Autore/i. La proprietà letteraria dell’articolo pubblicato spetta all’Editore.

Coordinamento editoriale Lara Romanelli l.romanelli@griffineditore.it Redazione Rachele Villa r.villa@griffineditore.it Andrea Peren a.peren@griffineditore.it Segreteria di redazione e traffico Maria Camillo customerservice@griffineditore.it Vendite Stefania Bianchi s.bianchi@griffineditore.it Paola Cappelletti p.cappelletti@griffineditore.it Lucia Oggianu l.oggianu@griffineditore.it Grafica e impaginazione Marco Redaelli info@creativastudio.eu Stampa: Starprint srl - Bergamo EDITORE Griffin srl unipersonale Via Ginevrina da Fossano 67A 22063 Cantù (Como) - Tel. 031.789085 www.griffineditore.it hi.tech dermo. periodico trimestrale Anno XVI – marzo 2021 Copyright© Griffin srl Registrazione del Tribunale di Como nr. 22/06 del 29.11.2006 - ISSN 1971-0682 Iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione (Roc) nr. 14370 del 31.07.2006 La proprietà letteraria degli articoli pubblicati è riservata a Griffin srl e il contenuto della Rivista non può essere riprodotto in alcuna forma e su qualsiasi supporto. L’Editore non è responsabile dei messaggi ospitati negli spazi a pagamento.

Hanno collaborato in questo numero: Renato Torlaschi, Liana Zorzi

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IN COPERTINA

Kelo-cote, gel di silicone per il trattamento delle cicatrici Riduce, attenua e rende più lisce le cicatrici patologiche, alleviando arrossamento e prurito La cicatrice è un tessuto fibroso che l’organismo forma per riparare una lesione causata da traumi, operazioni chirurgiche, ustioni o altri eventi a carico del tessuto cutaneo. Quando le lesioni seguono un decorso fisiologico, il processo di guarigione termina con la normalizzazione cromatica e di consistenza della parte lesionata. Se invece i delicati processi di guarigione vengono alterati o interrotti, la lesione può andare incontro alla formazione di cicatrici patologiche (ipertrofiche, cheloidee, atrofiche) dall’aspetto poco piacevole, che si associano spesso a prurito e dolore. Il tipo di cicatrice che si viene a formare dipende dalla risposta della cute del paziente, ma anche dalle cure adottate durante la fase di guarigione. In caso di segni molto evidenti o localizzati in zone del corpo molto esposte, il paziente può manifestare un disagio psicologico correlato all’esito cicatriziale, che diventa fonte di preoccupazione e angoscia. Per questo motivo è di fondamentale importanza focalizzarsi tempestivamente sulla gestione della cicatrice, al fine di minimizzarne le conseguenze per il paziente, sia sul piano estetico sia su quello psicologico. Trattamento e prevenzione delle cicatrici con gel di silicone I benefici del silicone nella prevenzione della formazione di cicatrici ipertrofiche e cheloidi sono noti da tempo. Già nel 2002 le prime linee guida in materia, scritte dal chirurgo plastico americano Thomas Mustoe, identificavano i foglietti di silicone come il trattamento di riferimento (1). Attualmente il primo prodotto raccomandato dalle linee guida inter-

nazionali per il trattamento e la prevenzione delle cicatrici patologiche è il gel di silicone (2). Kelo-cote è un gel trasparente a base di polimeri di silicone a catena lunga, biossido di silicio e siliconi volatili, indicato per il trattamento di cicatrici ipertrofiche e cheloidi, recenti o non, conseguenti a interventi chirurgici, traumi, ferite o ustioni. La sua formulazione aiuta a ripristinare la funzione protettiva dello strato corneo e riduce la perdita di acqua transepidermica. In questo modo si ottiene una produzione fisiologica di cheratinociti, fibroblasti e collagene. Kelo-cote può essere applicato due volte al giorno sulla ferita chiusa, subito dopo la rimozione dei punti, per attenuare e rendere più lisce le cicatrici. La formulazione in gel asciuga rapidamente (4-5 minuti), formando una pellicola trasparente, gaspermeabile, impermeabile all’acqua e flessibile, che contribuisce a mantenere

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la normale idratazione cutanea, alleviando l’arrossamento e la sensazione di prurito e disagio. Kelo-cote è disponibile in formato gel, gel UV con SPF 30 e spray, indicato per cicatrici estese come quelle causate da ustioni o gravi traumi. 1. Mustoe TA, Cooter RD, et al. International Advisory Panel on Scar Management. International clinical recommendations on scar management. Plast Reconstr Surg. 2002 Aug;110(2):560-71. 2. Gold MH, McGuire M, Mustoe TA, et al. International Advisory Panel on Scar Management. Updated international clinical recommendations on scar management: part 2--algorithms for scar prevention and treatment. Dermatol Surg. 2014 Aug;40(8):825-31.

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PRODOTTO DEL MESE

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poi con costanza il trattamento a casa, utilizzando i rivoluzionari cosmeceutici WiQo, il fluido levigante viso WiQo e la crema nutriente e idratante pelli secche viso WiQo. Il fluido levigante viso WiQo agisce completando la stimolazione e attivando una “ginnastica” naturale dei tessuti: la pelle infatti si “mette in movimento” per ristabilire il proprio pH naturale, attivando il processo che supporta il ringiovanimento. La crema nutriente e idratante pelli secche viso WiQo è ricca e morbida, una volta applicata mantiene le proprie capacità di nutrire, idratare e proteggere per lungo tempo e offre alla pelle tutte le sostanze di cui ha bisogno, impedendo che si disidrati nell’arco della giornata.

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

MICROCIRCOLAZIONE: CASO CLINICO

Patologia vascolare e cute, relazione pericolosa: un caso clinico La manifestazione clinica cutanea rappresenta un elemento di particolare utilità ai fini diagnostici perché, se correttamente interpretata, può indirizzare verso una corretta diagnosi

Massimo Lucchi Massimo Lucchi*, Salvino Bilancini*, Sandro Tucci*, Pierluigi E. Mollo** * Centro studi malattie vascolari JF Merlen, Frosinone **Specialista in Angiologia medica, specialista in Geriatra e Gerontologia - Ini divisione Città Bianca, Veroli (FR) Clinica Privata Acc. Villa Gioia Sora (FR)

donna di 22 anni che, in costanza di estremità fredde e con persistente colorazione cianotica e frequente associata iperidrosi (sia a carico degli arti superiori sia inferiori), in occasione di brusco passaggio in ambienti riscaldati (segnatamente nelle stagioni fredde), avvertiva improvvisa sensazione di dolore urente negli stessi distretti acrali che andavano rapidamente incontro a comparsa di intenso arrossamento della cute. La paziente, affetta da ricorrente cefalea emicranica, riferiva la comparsa di crisi emicranica in occasione delle descritte manifestazioni parossistiche acrali in coincidenza dei passaggi dal freddo al caldo.

Le acrosindromi vascolari sono affezioni che possono presentarsi sia con manifestazioni parossistiche sia permanenti, talora con aspetti intricati e,in alcuni casi con andamento stagionale, in cui la microcircolazione risulta alterata ma, nella gran parte dei casi, la struttura tessutale organica non mostra significative modificazioni rilevabili con le comuni metodologie diagnostiche disponibili. La definizione di “acrosindromi vascolari” richiama il complesso dei sintomi e dei segni prevalentemente clinici (cianosi acrale, pallore, eritrosi, iperidrosi ecc.) che interessano le regioni acrali delle estremità del corpo (prevalentemente mani e piedi) e più raramente altre strutture (naso, padiglioni auricolari, pomelli, ecc.). Esistono dei quadri di “confine” di incerto inquadramento eziologico, patogenetico e nosografico, uno dei quali è rappresentato dalla sindrome illustrata in occasione del presente caso clinico.

Clinica All’esame clinico la paziente presentava una cianosi permanente e indolore prevalente alle estremità, con colorazione tipicamente violacea con sfumature rossastre, non modificabile con il sollevamento dell’arto e con positività del segno di Laignel-Lavastine o feno-

Caso clinico

Gli autori descrivono il caso clinico di una giovane

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

caldo ma anche durante la permanenza in ambiente caldo. Questi parossismi della durata variabile da 30 a 60 minuti si inserivano in una condizione clinica di acrocianosi interessante le mani e, in maniera meno intensa, i piedi (figg. 1-2).

Diagnosi differenziale La diagnosi differenziale del quadro poteva essere posta tra un’acrocianosi primitiva, un’eritromelalgia, una perniosi e un’acrocolosi. Veniva richiesta alla paziente una serie di esami strumentali e di laboratorio quali capillaroscopia, emocromo, PCR , ANA, AMA, ENA, APLA, un ecocolordoppler per una completa valutazione dei versanti arterioso e venoso dell’apparato vascolare.

Fig. 1: acrocianosi

Definizione diagnostica L’anamnesi, il quadro clinico, gli esami strumentali e di patologia clinica hanno correttamente orientato verso una disritmia vasomotoria di Merlen, acrosindrome intricata in cui nel caso di specie si realizza la coesistenza di un’acrocianosi in associazione all’eritromelalgia. Questo quadro raro (6% di tutte le acrosindromi) è quasi esclusivo del sesso femminile (93% donne) e si associa a emicrania, con o senza aura, nel 90% circa dei casi. Caratteristica clinica e anamnestica è la comparsa delle crisi nel passaggio brusco da temperature fredde a temperature più elevate o anche dal permanere in ambienti caldi. Talora le crisi eritromelalgiche si possono associare ad acrorigosi, acrosindrome vascolare caratterizzata da persistente ipotermia di mani e piedi, con rilievo di “scalino” termico ma assenza di cianosi. Dal punto di vista patogenetico si suppone che intervenga un’alterazione di fondo della termoregolazione con un atteggiamento di tipo poichilotermico e non omeotermico come di norma. Tale alterazione si tradurrebbe in un’ipersensibilità al freddo, come già descritto da Merlen e Kluken nel secolo scorso. Nelle pazienti che ne sono affette, sussiste anche una ipersensibilità al caldo, testimoniata dalle crisi eritromelalgiche che caratterizzano la clinica di tale affezione. In queste pazienti, vi sarebbe, insieme alla citata alterazione della termoregolazione anche un’instabilità vasomotoria, suggerita dall’alta prevalenza di emicrania, patologia caratterizzata da complesse alterazioni vasomotorie

Fig. 2: quadro capillaroscopico del bordo ungueale

meno cosiddetto dell’iride (lenta ricolorazione della cute dall’esterno all’interno dopo ischemia indotta da pressione digitale dell’operatore su cute acrocianotica) molto evidente a carico delle superfici dorsali. La cute, in aggiunta al tipico aspetto cromatico descritto, si presentava diffusamente fredda, con uno “scalino” termico rilevabile al termotatto bilateralmente all’altezza del polso, ove la cute diventava bruscamente più calda. Le mani si presentavano “umide” per iperidrosi e con una consistenza “cotonosa” alla palpazione. Particolare attenzione veniva prestata alla storia cefalalgica della paziente, caratterizzata da crisi emicraniche di discreta frequenza e particolare intensità. La paziente riferiva anche delle crisi di calore intenso alle mani e ai piedi accompagnato da eritema, dolore urente e marcato aumento della temperatura cutanea al termotatto. Tali crisi si presentavano nel passaggio dal freddo al

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

sia nel periodo prodromico della crisi sia nella fase dell’aura che in quella cefalalgica.

gna interrompere il trattamento. Si potrà tentare di allungare la permanenza alla stessa temperatura per più giorni, per esempio ridurre di 1°C ogni due o tre giorni. Riadattamento al caldo: immergere mani e piedi per tre minuti, due volte al giorno, in acqua a 25°C; aumentare di 1°C un giorno sì e un no, fino a 40°C. A questo punto il trattamento è finito. Se durante la terapia le crisi eritromelalgiche si accentuano bisogna sospendere e tentare di rallentare l’incremento di temperatura, per esempio aumentare di 1°C ogni 2-3 giorni (da Bilancini S, Izzo M, Lucchi M. Acrosindromi vascolari, Edizioni Minerva Medica 2004:129-132)”. È importante tuttavia informare il soggetto colpito che si tratta di un quadro clinico caratterizzato da benignità clinica, pur in presenza di sintomatologia talora intensa, per tranquillizzarlo ed esortarlo a un normale svolgimento degli atti quotidiani di vita e delle attività lavorative.

Indicazioni terapeutiche Difficile e deludente ogni tentativo di trattamento farmacologico poiché ,come appare intuitivo e immaginabile, la coesistenza di quadri microvascolari a differente meccanismo fisiopatologico non consente l’impiego di farmaci che agendo nei confronti di una componente non esplichino effetti opposti sull’altra. In particolare, i vasodilatatori e i revulsivi, agendo sul sintomo “freddo”, accentuano i parossismi eritromelalgici, mentre al contrario i principi ad azione vasocostrittrice peggiorano stasi nel distretto microcircolatorio e, conseguentemente la cianosi e la sensazione di freddo. Un lieve miglioramento è stato determinato da Ginkgo biloba e flebotropi associati a modificazioni dello stile di vita, rappresentate dall’evitare perfrigerazioni e passaggi improvvisi in ambienti caldi in assenza di esposizioni progressive a temperature più elevate. I provvedimenti più efficaci, secondo un protocollo ideato da alcuni dei presentatori di questo caso clinico sono tuttavia rappresentati dall’adozione di cicli di riadattamento al freddo e al caldo. Tale protocollo che si riporta integralmente è il seguente: “riadattamento al freddo, immergere mani e piedi per tre minuti, due volte al giorno, in acqua a 25°C. Diminuire di 1°C, un giorno sì e uno no, fino a 5°C. A questo punto immergere mani e piedi, per 30 secondi, due volte al giorno, continuando a diminuire la temperatura di 1°C, un giorno sì e uno no, fino a O°C. Allora aumentare il tempo di esposizione di cinque secondi un giorno sì e uno no, fino a un minuto e 30 secondi. A questo punto il trattamento è finito. Se insorgono geloni o il paziente avverte intenso dolore durante il raffreddamento biso-

Conclusioni Questo caso clinico conferma la grande variabilità clinica di quadri acrosindromici pur nella loro infrequenza correlata alla scarsa incidenza epidemiologica. La manifestazione clinica cutanea rappresenta un elemento di particolare utilità ai fini diagnostici perché, se correttamente interpretata e integrata da un’accurata valutazione anamnestica, può indirizzare verso una corretta diagnosi. La mancanza di provvedimenti terapeutici efficaci non deve sottrarre lo specialista dall’utilizzo di trattamenti che, se adeguatamente integrati con percorsi di riadattamento termico e di modifiche dello stile di vita, possono significativamente migliorare la qualità di vita del paziente che deve essere sempre informato della benignità prognostica dell’affezione.

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

MICROCIRCOLAZIONE: CASO CLINICO

Eczema da stasi può ridurre la qualità della vita Un quadro clinico di comune riscontro per dermatologi e angiologi con il medesimo obiettivo, posta la diagnosi, di costruire un corretto percorso terapeutico

Federica Pomella Federica Pomella*, Gabriella Lucchi**, Giorgio Guarnera***, Luca Guarnera****, Marina Ambrifi***** *Specialista in Angiologia medica - Servizi ambulatoriali territoriali, Branca Angiologia Asl Frosinone **Centro studi malattie vascolari JF Merlen, Frosinone ***Chirurgia vascolare, Aurelia Hospital, Roma. Già presidente Associazione italiana ulcere cutanee (Aiuc) ****Università La Sapienza, Roma *****Specialista in Dermatologia e Venereologia. Libero professionista, Frosinone

Gli autori descrivono il caso clinico di una donna di sessanta anni di età, in notevole sovrappeso, con due gravidanze in anamnesi fisiologica, con un evento di flebotrombosi femoro-poplitea a destra insorto quindici anni prima dell’attuale osservazione angiologica.

Il prurito, sovente si manifestava anche in altre aree cutanee distanti dal segmento d’arto interessato dalla manifestazione descritta, come da fenomeno di Koebner (comparsa di prurito, eritema ed eczematizzazione in altre aree cutanee non contigue o distanti come collo, torace e viso).

Anamnesi ed esame obiettivo distrettuale

Diagnosi differenziale

Da circa tre anni la paziente presenta la comparsa di manifestazione discromico-distrofica dermo-ipodermitica siderinica al III inferiore di gamba destra e dermatite di tipo esfoliativo-desquamativo, dal III inferiore al III medio dello stesso segmento d’arto. L’area cutanea costantemente e intensamente pruriginosa appariva caratterizzata, oltre che dalla discromia, anche da aspetti desquamanti ed esfoliativi e da “screpolature” (eczema “craquelé” degli autori francesi), complicate da sovrapposte lesioni da “grattamento” (figg. 1-2).

La differenziazione diagnostica poteva porsi tra un’erisipela, una dermoipodermite cronica riacutizzata, una recidiva di flebotrombosi, una linfangite.

Indirizzo diagnostico Un’anamnesi accurata e un’attenta valutazione clinica angiologica generale e distrettuale e un esame strumentale ecocolordoppler degli arti inferiori hanno

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

orientato verso la corretta diagnosi di malattia venosa cronica al II stadio di Widmer da sindrome post-trombotica con manifestazione di eczema da stasi su area di lipodermatosclerosi (classe CEAP IV/a). Posta tale diagnosi, la costruzione di un corretto percorso terapeutico non poteva prescindere da due indispensabili pilastri: il contrasto alla stasi venosa e il trattamento della manifestazione cutanea. Occorre porre in atto ogni provvedimento di contrasto al peggioramento del quadro emodinamico, di quello cutaneo e all’evoluzione verso forme di paracheratosi (fig. 3) La fisiopatologia dell’eczema da stasi è riconducibile a quella della microangiopatia da stasi. Il primum movens fisiopatologico è rappresentato infatti dalla condizione stasi-ipertensione venosa. Questa si attua soprattutto come ipertensione ortodinamica. Infatti, nel soggetto normale la pressione venosa scende durante la deambulazione, mentre nel flebopatico la riduzione pressoria venosa risulta meno significativa dopo ortodinamismo. Quanto più aumenta la flebostasi tanto più la pressione venosa è alta durante la deambulazione fino ad aumentare addirittura durante la marcia, invece di diminuire, soprattutto nelle forme più gravi, come nella SPT. A questo punto la stasi venosa si ripercuote direttamente prima sulle venule collettrici e poi sulle venule post-capillari. Ciò provoca un’ipertensione nel versante venulare del distretto microcircolatorio che si accompagna ad alterazioni dell’afflusso arteriolare per il “barrage” legato alla alta pressione venulare, con conseguente impoverimento del circolo nutritizio capillare e ad alterazioni emoreologiche con aggregazione eritrocitaria e piastrinica nel microcircolo e conseguente alterazione del glicocalice endoteliale. Nel caso in esame, dapprima è stato usato un bendaggio rigido fisso trattandosi di paziente attivamente deambulante per un periodo di circa 60 giorni, da rinnovare settimanalmente, seguito da prescrizione a tempo indeterminato di calza elastica II classe di compressione (opzionando il tipo con fibra elastomerica rivestita di cotone), dopo aver verificato la scarsa essudazione locale. Alla paziente, è stata consegnata una scheda nella quale erano elencate una serie di norme comportamentali e posturali da seguire costantemente. Per la terapia locale sono stati utilizzati unguenti cortisonici, emollienti e preparati a base di acido salicilico per la

Fig. 1: eczema da stasi

loro peculiare, maggiore azione cheratolitica. Per l’intenso e afflittivo prurito, alla paziente è stato altresì prescritto un trattamento antistaminico. Per quanto sinteticamente argomentato nella fisiopatologia di questo quadro, la terapia sistemica può sicuramente avvalersi di un trattamento farmacologico in cronico e a lungo termine con glicosaminoglicani (GAG).

Conclusioni L’eczema da stasi è una patologia particolarmente fastidiosa e afflittiva per il paziente al quale cagiona una significativa riduzione della qualità della vita, per la compromissione delle attività relazionali, per quelle legate alle normali attività ordinarie della vita quotidiana e di quelle lavorative, per il danno estetico e per l’elevato costo dei trattamenti terapeutici, peraltro sovente deludenti. La notevole frequenza dell’associazione di manifestazioni cutanee eczematose sugli arti di

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

Fig. 2: eczema “craquelé” a “lastre di pietra” (fonte Burton JL)

Fig. 3: paracheratosi, squame simili a “chips”

soggetti con patologia varicosa o post-ostruttiva venosa, rende ragione dell’attribuzione della paternità del quadro cutaneo, alla stasi venosa escludendo qualsiasi superficiale attribuzione a mera coincidenza ma, al contrario, ascrivendola alla stasi venosa quale momento fisiopatologico costante nella malattia venosa

cronica. È un quadro clinico di comune riscontro per dermatologi e angiologi e il percorso diagnostico-terapeutico vede queste due figure specialistiche di riferimento impegnate a combattere nella stessa trincea una difficile battaglia che per vincerla bisogna combatterla uniti.

SOCIETÀ ITALIANA DI MICROCIRCOLAZIONE (SIM) IL BOARD SCIENTIFICO Soci fondatori Claudio Allegra Luciana Bagnato Salvino Bilancini Piero Bonadeo Antonio De Marco Giacomo Failla Giorgio Guarnera Giuseppe Leonardo Biancamaria Ligas Massimo Lucchi

Pierluigi E. Mollo Pio Maurizio Nicosia Federica Pomella Giusto Trevisan Sandro Tucci Consiglio direttivo Salvino Bilancini, presidente Giorgio Guarnera, vice presidente Pierluigi E. Mollo, segretario Piero Bonadeo Giacomo Failla Giuseppe Leonardo

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Massimo Lucchi Pio Maurizio Nicosia Giusto Trevisan Collegio revisori dei Conti Luciana Bagnat, presidente Federica Pomella Sandro Tucci Collegio dei Probi Viri Claudio Allegra, presidente Biancamaria Ligas Antonio De Marco


CLINICA IN DERMATOLOGIA

CONGRESS REPORT_SIDEMAST 2020

Rosacea, patologia immunogenica e neurogenica: remissione e qualità di vita La capacità del dermatologo di indicare, caso per caso, la terapia più adatta è fondamentale per portare a uno stato di remissione clinica

Giuseppe Monfrecola Docente all’Università degli studi di Napoli Federico II

pisce sia donne che uomini in rapporto 3:1, in un’età generalmente compresa tra i 30 e i 50 anni; bisogna poi considerare che è presente solo sul viso nelle parti centrali, come naso, zigomi, fronte, con manifestazioni che vanno da un rossore intenso e fisso, accompagnato da teleangectasie a papule e pustole, fino ad arrivare, soprattutto in uomini anziani, al rinofima, caratterizzato da ingrossamento della piramide nasale. In alcuni casi può essere presente una blefarite (rosacea oculare). Stiamo parlando di una malattia persistente nel tempo, purtroppo ben visibile da altre persone e che quindi genera notevole imbarazzo, se non frustrazione, nei rapporti interpersonali lavorativi o affettivi. Numerosi studi hanno documentato in maniera inequivocabile che la qualità della vita di questi pazienti risulta essere fortemente compromessa.

La rosacea può colpire adulti di entrambi i sessi ma anche bambini e adolescenti. Coinvolge il volto e ha un notevole impatto sulla qualità della vita di chi ne soffre. Il suo andamento cronico recidivante, oltre ad alcuni fattori aggravanti, rende ancora più difficile la sua gestione. Per mantenere le remissioni e una buona qualità della vita, è necessario un corretto inquadramento del fenotipo, la scelta personalizzata del trattamento più opportuno e il controllo dei fattori che possono peggiorare la condizione. Ce ne parla il professor Giuseppe Monfrecola, docente all’Università degli studi di Napoli Federico II, che ha presentato l’argomento al congresso Sidemast 2020.

Professor Monfrecola, rosacea e qualità della vita. Trattandosi di una patologia che colpisce il volto, l’impatto è notevole. Quali sono le maggiori difficoltà che il paziente deve fronteggiare nella vita quotidiana?

Nella sua relazione ha parlato di fattori aggravanti che esercitano un’influenza sulle manifestazioni cutanee legate alla patologia, quali sono in particolare?

Per comprendere perché e quanto la rosacea impatti negativamente sulla qualità della vita di chi ne è affetto è necessario considerare alcuni fattori: prima di tutto si tratta di una malattia infiammatoria cronica che col-

Le manifestazioni che ho appena descritto possono accentuarsi in maniera molto evidente per diversi sti-

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

moli ambientali ed emozionali: esposizione a fonti di calore, sbalzi repentini di temperatura (freddo/caldo), esposizione al sole (raggi ultravioletti e infrarossi), cibi molto caldi o speziati, farmaci vasodilatatori, stress emotivi. Tutti questi stimoli portano a una maggiore vasodilatazione e quindi a un marcato peggioramento del rossore.

conosciuti come LL37 dotati di attività flogogena. L’arrossamento è legato al rilascio di citochine pro-infiammatorie e a un’iperproduzione di fattori proangiogenici come il VEGF (Vascular Endotelial Growth Factor). Secondo alcuni studi, anche l’eccessiva colonizzazione della cute da parte di un acaro (Demodex follicolorum) contribuirebbe all’infiammazione. Studi recenti evidenziano anche il ruolo di alcuni recettori, i TRPV, che si attivano in modo eccessivo. L’approccio terapeutico sarà ovviamente diverso secondo il prevalere di questo o quel segno (fenotipo) della malattia. Si possono utilizzare prodotti topici come gel vasocostrittori (ma solo occasionalmente perché non hanno azione terapeutica, riducono solo transitoriamente il rossore di base), creme a base di ivermectina (un antiparassitario che serve da antinfiammatorio), o creme a base di inibitori dei recettori TRPV. Nelle forme papulo-pustolose risulta utile l’impiego, per via orale, di doxiciclina a bassa concentrazione e rilascio controllato che agisce come antinfiammatorio. Non vanno mai utilizzate creme cortisoniche. In caso di telangiectasie e rinofima, può essere necessario ricorrere a interventi effettuabili con particolari tipi di laser o con luce pulsata. Nel corso della terapia e in attesa dei suoi risultati, l’arrossamento può essere nascosto da cosmetici contenenti sostanze che riducono il rossore grazie a un gioco di colori complementari, senza dover ricorrere a spessi strati di prodotti coprenti.

Secondo la sua esperienza, quali attenzioni dovrebbe avere il dermatologo per un corretto inquadramento della malattia? La diagnosi è solo clinica. Il dermatologo riconosce i segni della rosacea, che abbiamo detto essere diversi, secondo il fenotipo della malattia, ma il punto diagnostico imprescindibile è l’eritema centro facciale persistente. È fondamentale la stretta interazione tra paziente e medico per modulare i trattamenti a seconda delle necessità e per così garantirsi risultati duraturi e soddisfacenti.

Gestione della malattia e possibilità terapeutiche. Quali sono gli approcci più validi? La rosacea è una malattia, non un semplice problema estetico e richiede un approccio medico basato sulle conoscenze patogenetiche. All’origine della rosacea c’è la predisposizione del soggetto verso un’alterazione dell’immunità cutanea innata: iperespressione di catellicidina e di callicreina 5 che portano alla formazione di frammenti di catelicidina

Fig. 1-2: la rosacea è una malattia infiammatoria cronica che colpisce sia donne che uomini in rapporto 3:1

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

Terapia e recettori TRPV1, perché è importante tenere conto degli antagonisti di tali recettori e in che modo?

Riconoscere la rosacea per individuare la giusta terapia

In vari organi e tessuti sono presenti recettori deputati a raccogliere stimoli nocicettivi, in particolare termici e meccanici: i Transient Receptor Potential channel (TRP). L’attivazione di una famiglia di questi recettori, i Transient receptor potential vanilloid (TRPV) fa aumentare l’ingresso del calcio nelle cellule del sistema nervoso e in quelle cutanee con una stimolazione della cosiddetta neuroflogosi. I TRPV, in particolare il TRPV1, sono iperespressi in diversi fenotipi di rosacea. Pertanto, la rosacea è una malattia in cui agiscono sinergicamente immunoinfiammazione e neuroinfiammazione. Da ciò deriva che un corretto approccio terapeutico deve avere come finalità il contrasto a entrambe e gli antagonisti dei TRPV1 possono giocare un ruolo sinergico con altre molecole utili nella terapia della rosacea.

La rosacea – soprannominata “sindrome di Rembrandt” dal celebre pittore olandese che ne soffriva – è considerata la Cenerentola della malattie della pelle. Nonostante impatti significativamente sulla qualità di vita delle persone colpite è spesso non riconosciuta e sottovalutata. Nella fase iniziale, questa patologia cronica della pelle è infatti confusa con la couperose, spesso diagnosticata in ritardo; il semplice rossore che compare ai primi stadi della malattia viene quindi ignorato e minimizzato. Quando però si manifesta in maniera conclamata con la comparsa di papule, pustole e ispessimento della pelle, acquisisce tutte le caratteristiche di una vera e propria patologia, condizionando le persone a livello emotivo, sociale e lavorativo. Esistono diverse armi in grado di migliorare la condizione clinica dei pazienti. È però fondamentale diagnosticare e trattare la malattia il prima possibile per evitare che dal sottotipo più lieve si passi a quello più grave. Oggi, con le moderne terapie antinfiammatorie, laser vascolari, dermocosmetici funzionali e persino camouflage si può “gestire” e curare la patologia, a patto che le cure siano costanti nel tempo e mai interrotte. La malattia coinvolge soprattutto naso, guance e palpebre. Può avere varie manifestazioni: dal semplice “flushing” temporaneo della parte centrale del viso a forme più persistenti. «L’eritema centro facciale – spiega il professor Giuseppe Monfrecola – interessa il naso, la parte alta degli zigomi, talvolta c’è una compartecipazione delle palpebre, con un arrossamento persistente e venuzze che si dilatano a causa del sole, del caldo e anche delle alterazioni degli stati emotivi. Cibi piccanti e alcol possono influire. E se le terapie non risolvono definitivamente il problema, trattamenti con farmaci e dermocosmetici funzionali possono attenuarne le manifestazioni». Alla base dell’infiammazione c’è sempre un malfunzionamento del sistema immunitario e di un piccolo microrganismo il demodex follicolorum che nei soggetti con rosacea esiste in quantità superiori a quelle riscontrate negli individui con pelle sana.

Al di là dell’andamento cronico-recidivante della patologia, ci sono casi in cui è possibile una remissione totale? Se sì, ce ne può parlare? Remissione totale non significa guarigione ovvero scomparsa definitiva della malattia che, seppur raramente, può verificarsi ma che non può essere attribuita al trattamento. La capacità del dermatologo di indicare caso per caso i prodotti topici/sistemici o le metodiche di terapia fisica più adatte è fondamentale per portare a uno stato di remissione clinica. Ciò non basta perché, come per altre malattie cutanee infiammatorie croniche, la vera sfida è il mantenimento dello stato di benessere. In genere, per questa fase, si cerca di evitare o almeno limitare i veri e propri famaci per utilizzare invece prodotti funzionali, tuttavia restando pronti a nuovi aggiustamenti terapeutici con i farmaci quando si dovesse notare la tendenza a una recidiva dei segni. Come ho già avuto modo di dire, è di fondamentale importanza che ci sia un rapporto paziente/dermatologo basato su fiducia ed empatia. Fin dal primo incontro, il paziente deve essere informato con parole comprensibili sulla natura del problema e soprattutto della sua evoluzione. Solo così sarà disposto a seguire le indicazioni terapeutiche e comportamentali che gli verranno fornite e a rimanere in remissione prolungata e costante Lucia Oggianu

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DIBASE

RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO - 024/00

1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE DIBASE 2.000 U.I. capsule rigide DIBASE 6.000 U.I. capsule rigide 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA DIBASE 2.000 U.I. capsule rigide 1 capsula contiene: colecalciferolo (vitamina D3) 0,050 mg pari a 2.000 U.I. DIBASE 6.000 U.I. capsule rigide 1 capsula contiene: colecalciferolo (vitamina D3) 0,150 mg pari a 6.000 U.I. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Capsula rigida DIBASE 2.000 U.I. capsule rigide Corpo trasparente e testa bianca con banda di sigillatura bianca. DIBASE 6.000 U.I. capsule rigide Corpo trasparente e testa bianca con banda di sigillatura gialla. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche Prevenzione e trattamento della carenza di vitamina D. DIBASE capsule è indicato negli adulti e negli adolescenti di età superiore a 12 anni. 4.2 Posologia e modo di somministrazione Posologia Prevenzione della carenza di vitamina D La somministrazione preventiva di DIBASE è consigliata in tutte le condizioni caratterizzate da maggior rischio di carenza o da aumentato fabbisogno. È generalmente riconosciuto che la prevenzione della carenza di vitamina D deve essere effettuata: - nella donna in gravidanza (ultimo trimestre); - durante l’allattamento; - nel soggetto anziano; - nelle seguenti condizioni: • esposizione solare insufficiente (e.g. soggetti confinati, soggetti ricoverati in ospedale o in strutture assistenziali) o inefficace (e.g. uso di indumenti protettivi, uso di filtri/schermi solari); • intensa pigmentazione cutanea; • regimi alimentari particolari (poveri di calcio, vegetariani, ecc.); • patologie dermatologiche estese o malattie granulomatose (tubercolosi, lebbra, ecc.); • uso concomitante di alcuni medicinali come anticonvulsivanti (barbiturici, fenitoina, primidone), glucocorticoidi (terapie corticosteroidee a lungo termine); • patologie dell’apparato digerente (e.g. malassorbimento intestinale, mucoviscidosi o fibrosi cistica); • insufficienza epatica. Le dosi indicative giornaliere sono comprese tra 500 e 2.000 U.I. a seconda del rischio di carenza di vitamina D e possono essere realizzate con DIBASE capsule modulando opportunamente dosaggio e frequenza di somministrazione. Trattamento della carenza di vitamina D La carenza di vitamina D deve essere accertata clinicamente e/o con indagini di laboratorio. Il trattamento è teso a ripristinare i depositi di vitamina D e sarà seguito da una terapia di mantenimento se persiste il rischio di carenza, ad un dosaggio di vitamina D idoneo. Nella maggior parte dei casi è consigliabile non superare, in fase di trattamento, una dose cumulativa di 300.000 U.I., salvo diverso parere del medico. A titolo indicativo si fornisce il seguente schema posologico, da adattare a giudizio del medico sulla base della natura e gravità dello stato carenziale (vedere anche paragrafo 4.4 “Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego”). Popolazione pediatrica DIBASE capsule non è raccomandato nei bambini di età compresa tra 0 e 12 anni a causa della forma farmaceutica in cui si presenta, per la difficoltà di deglutizione. Per la somministrazione in questa popolazione è opportuno ricorrere ad altre forme farmaceutiche. Adolescenti (>12 anni) Prevenzione Dosaggio raccomandato: 1 capsula da 6000 U.I. ogni 10 giorni. In presenza di molteplici fattori di rischio per la carenza di vitamina D, a giudizio del medico, la posologia può essere aumentata a 1 capsula da 2.000 U.I. a giorni alterni. Trattamento - 2 capsule da 2.000 U.I. al giorno, per 10 settimane. - 2 capsule da 6.000 U.I. ogni 3 giorni, per 10 settimane. Se segue la terapia di mantenimento, essa deve essere effettuata con la stessa posologia della Prevenzione. Adulti Prevenzione - 3 capsule da 2.000 U.I. alla settimana. In presenza di molteplici fattori di rischio per la carenza di vitamina D, a giudizio del medico, può essere necessario aumentare il dosaggio a 1 capsula al giorno. - 1 capsula da 6.000 U.I. alla settimana. In presenza di molteplici fattori di rischio per la carenza di vitamina D, a giudizio del medico, può essere necessario aumentare il dosaggio a 2 capsule alla settimana. Trattamento - 3 capsule da 2.000 U.I. al giorno, per 8 settimane. - 1 capsula da 6.000 U.I. al giorno, per 8 settimane. Se segue la terapia di mantenimento, essa deve essere effettuata con la stessa posologia della Prevenzione. Gravidanza e allattamento 1 capsula da 6.000 U.I. ogni 10 giorni, nell’ultimo trimestre di gravidanza. In presenza di molteplici fattori di rischio per la carenza di vitamina D, a giudizio del medico, la supplementazione dovrebbe essere aumentata a 1 capsula da 2.000 U.I. a giorni alterni o al giorno.

Popolazioni speciali Insufficienza renale In pazienti con compromissione renale da lieve a moderata: non è necessario alcun aggiustamento del dosaggio. Il colecalciferolo non deve essere somministrato a pazienti con grave compromissione renale. Modo di somministrazione Per uso orale. La capsula di DIBASE deve essere deglutita intera e non deve essere masticata o aperta. Si raccomanda di assumere DIBASE capsule durante i pasti (vedere paragrafo 5.2). 4.3 Controindicazioni • Ipersensibilità al colecalciferolo o a uno qualsiasi degli eccipienti elencati al paragrafo 6.1. • Ipercalcemia, ipercalciuria. • Calcolosi renale (nefrolitiasi), nefrocalcinosi • Insufficienza renale grave (vedere paragrafo 4.4) • Ipervitaminosi D 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego In caso di somministrazioni prolungate con alti dosaggi, si consiglia di monitorare il livello sierico di 25-idrossi-colecalciferolo. Interrompere l’assunzione di DIBASE quando il livello sierico di 25-idrossi-colecalciferolo supera i 100 ng/ml (pari a 250 nmol/l). Pazienti con insufficienza renale da lieve a moderata presentano un alterato metabolismo minerale e della vitamina D nella forma di colecalciferolo, perciò se devono essere trattati con colecalciferolo, è necessario monitorare gli effetti sull’omeostasi di calcio e fosfato. Si deve considerare il rischio di calcificazione dei tessuti molli. Nei pazienti con insufficienza renale grave la vitamina D nella forma di colecalciferolo non è metabolizzata normalmente: pertanto, per tali pazienti dovrebbero essere utilizzate altre forme di vitamina D per mantenere un’adeguata omeostasi di calcio e fosfato. Questi pazienti necessitano di una gestione specialistica appropriata (vedere paragrafo 4.3). Nei pazienti anziani già in trattamento con glicosidi cardiaci o diuretici è importante monitorare la calcemia e la calcinuria (vedere paragrafo 4.5). In caso di ipercalcemia o di insufficienza renale, ridurre la dose o interrompere il trattamento con vitamina D. Per evitare un sovradosaggio, tenere conto della dose totale di vitamina D in caso di associazione con trattamenti contenenti già vitamina D, cibi addizionati con vitamina D o in caso di utilizzo di latte arricchito con vitamina D. Nei seguenti casi può essere necessario una revisione dei dosaggi rispetto a quelli indicati: • soggetti in trattamento con anticonvulsivanti o barbiturici (vedere paragrafo 4.5); • soggetti in trattamento con terapie corticosteroidee (vedere paragrafo 4.5); • soggetti in trattamento con ipolipidemizzanti quali colestipolo, colestiramina (vedere paragrafo 4.5); • soggetti in trattamento con farmaci che riducono l’assorbimento dei grassi (orlistat, vedere paragrafo 4.5); • soggetti in trattamento con antiacidi contenenti alluminio (vedere paragrafo 4.5); • soggetti obesi (vedere paragrafo 5.2); • patologie digestive (malassorbimento intestinale, mucoviscidosi o fibrosi cistica); • patologie dermatologiche estese • insufficienza epatica. - Il prodotto deve essere prescritto con cautela a pazienti affetti da sarcoidosi e/o da iperparatiroidismo primitivo, a causa del possibile incremento del metabolismo della vitamina D nella sua forma attiva. In questi pazienti occorre monitorare il livello del calcio nel siero e nelle urine. In pazienti con storia di calcolosi renale devono essere monitorati i livelli di calcio e fosfato. Popolazione pediatrica DIBASE 2.000/6.000 U.I. non è indicato per i bambini di età compresa tra 0-12 anni. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione In caso di trattamento con farmaci contenenti la digitale e altri glicosidi cardiaci, la somministrazione orale di calcio combinato con la vitamina D aumenta il rischio di tossicità della digitale (aritmia). È pertanto richiesto lo stretto controllo del medico e, se necessario, il monitoraggio elettrocardiografico e delle concentrazioni sieriche di calcio. Nei pazienti trattati con glicosidi cardiaci, è necessario ridurre la dose o sospendere il trattamento se la calciuria risulta essere maggiore di 300 ng/24 h (vedere paragrafo 4.4). Studi sugli animali hanno suggerito un possibile potenziamento dell’azione del warfarin quando somministrato con ergocalciferolo. Sebbene non vi siano simili evidenze con l’impiego di colecalciferolo è opportuno usare cautela quando i due farmaci vengono usati contemporaneamente. In caso di trattamento con diuretici tiazidici, che riducono l’eliminazione urinaria del calcio, è raccomandato il controllo delle concentrazioni sieriche di calcio. L’effetto della vitamina D3 può essere ridotto dall’uso concomitante di: - anticonvulsivanti (es. carbamazepina, fenobarbital, fenitoina, primidone) o barbiturici, per inattivazione metabolica; - corticosteroidi; - alcuni antibatterici (es. rifampicina, isoniazide); L’effetto della vitamina D è diminuito da: - antiacidi contenenti alluminio, in uso concomitante può interferire con l’efficacia di DIBASE capsule; - ipolipidemizzanti, quali colestiramina, colestipolo; - orlistat. Un uso concomitante di preparati contenenti magnesio può esporre al rischio di ipermagnesiemia. L’agente citotossico actinomicina e gli agenti imidazolici antifungini interferiscono con l’attività della vitamina D3 inibendo la conversione della 25-idrossivitamina D3 in 1,25-diidrossivitamina D3 da parte dell’enzima renale, 25-idrossivitamina D-1-idrossilasi. Riduzioni della concentrazione sierica di vitamina D sono state osservate a seguito della somministrazione di dosi tra 300 e 1200 mg/die di ketoconazolo in soggetti sani. Tuttavia, studi di interazione tra ketoconazolo e vitamina D non sono stati effettuati in vivo. L’alcolismo cronico diminuisce le riserve di vitamina D nel fegato.


4.6 Fertilità, gravidanza e allattamento Gravidanza Quando necessario, la vitamina D può essere assunta durante la gravidanza. Il sovradosaggio di vitamina D deve essere evitato in gravidanza durante i primi 6 mesi in quanto può avere effetti tossici. Esiste una correlazione tra eccesso di assunzione o estrema sensibilità materna alla vitamina D durante la gravidanza e ritardo dello sviluppo fisico e mentale del bambino, stenosi aortica sopravalvolare e retinopatia. L’ipercalcemia materna può anche portare alla soppressione della funzione paratiroidea nei neonati con conseguente ipocalcemia, tetania e convulsioni. Allattamento Quando necessario, la vitamina D può essere prescritta durante l’allattamento. Tale supplemento non sostituisce la somministrazione di vitamina D nel neonato. La vitamina D e i suoi metaboliti si ritrovano nel latte materno. Questo aspetto deve esser preso in considerazione quando si somministra al bambino ulteriore vitamina D. Fertilità Non ci sono dati relativi agli effetti del colecalciferolo sulla fertilità. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non sono disponibili dati sugli effetti del prodotto sulla capacità di guidare. Tuttavia, un effetto su tale capacità è improbabile. In ogni caso, per la guida di veicoli o l’uso di macchinari, si deve tenere conto che come effetto indesiderato del trattamento con DIBASE capsule si può manifestare sonnolenza, sebbene raramente. 4.8 Effetti indesiderati Se la posologia è conforme alle effettive esigenze individuali, DIBASE è ben tollerato, grazie anche alla capacità dell’organismo di accumulare il colecalciferolo nei tessuti adiposi e muscolari (vedere paragrafo 5.2). Gli effetti indesiderati segnalati con l’uso della vitamina D sono riportati di seguito. Le frequenze stimate degli eventi si basano sulla seguente convenzione: Comune (≥1/100, <1/10), Non comune (≥1/1.000, <1/100), Raro (≥1/10.000, <1/1.000), Molto raro (<1/10.000), non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili). Frequenza

Comune

Non comune

Raro

Molto Raro

Non nota

Classificazione per sistemi e organi Disturbi del sistema immunitario Disturbi del metabolismo e della nutrizione

ipersensibilità

ipercalcemia, appetito [secondaria a ridotto, ipervitaminosi, sete che può manifestarsi solo in caso di sovradosaggio o in seguito ad un uso prolungato e incontrollato (vedere paragrafo 4.9)] sonnolenza, stato confusionale

Disturbi psichiatrici

cefalea

Patologie del sistema nervoso Patologie gastrointestinali

stipsi, flatulenza, dolore addominale, nausea, diarrea

Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo

eruzione cutanea, prurito, orticaria

Patologie renali ed urinarie Patologie generali e condizioni relative alla sede di somministrazione

polidipsia

ipercalcinuria

vomito, disgeusia, bocca secca

nefrocalcinosi, poliuria, insufficienza renale astenia

Segnalazione delle reazioni avverse sospette La segnalazione delle reazioni avverse sospette che si verificano dopo l’autorizzazione del medicinale è importante, in quanto permette un monitoraggio continuo del rapporto beneficio/rischio del medicinale. Agli operatori sanitari è richiesto di segnalare qualsiasi reazione avversa sospetta tramite il sistema nazionale di segnalazione all’indirizzo https://www.aifa.gov.it/content/segnalazioni-reazioni-avverse. 4.9 Sovradosaggio Interrompere l’assunzione di DIBASE quando la calcemia supera i 10,6 mg/dl (2,65 mmol/l) o se la calcinuria supera 300 mg/24 h negli adulti o 4-6 mg/kg/die nei bambini. Il sovradosaggio si manifesta come ipercalcinuria e ipercalcemia, i cui sintomi sono i seguenti: nausea, vomito, sete, polidipsia, poliuria, costipazione e disidratazione. Sovradosaggi cronici possono portare a calcificazione vascolare e degli organi, come risultato dell’ipercalcemia.

Sovradosaggio in gravidanza: vedere paragrafo 4.6. Trattamento in caso di sovradosaggio Interrompere la somministrazione di DIBASE e procedere alla reidratazione. È possibile somministrare diuretici dell’ansa (es. furosemide), se non controindicati, al fine di assicurare un’adeguata diuresi. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: vitamina D e analoghi, colecalciferolo. Codice ATC: A11CC05 La vitamina D corregge una situazione carenziale della stessa e aumenta l’assorbimento intestinale di calcio, l’incorporazione del calcio nell’osteoide ed il rilascio di calcio dal tessuto osseo. A livello dell’intestino tenue promuove l’assorbimento del calcio e stimola il trasporto attivo e passivo del fosfato. Nel rene inibisce l’escrezione di calcio e fosfato, promuovendo il riassorbimento tubulare. Inibisce direttamente la produzione di paratormone (PTH), che viene ulteriormente ridotta dall’aumento della calcemia. 5.2 Proprietà farmacocinetiche Come per le altre vitamine liposolubili, l’assorbimento del colecalciferolo a livello intestinale è favorito dalla concomitante assunzione di alimenti contenenti grassi. Il colecalciferolo (vitamina D3) è presente nel circolo ematico in associazione a specifiche α-globuline che lo trasportano al fegato, dove viene idrossilato a 25idrossi-colecalciferolo (calcifediolo). Una seconda idrossilazione avviene nei reni, dove il 25-idrossi-colecalciferolo (calcifediolo) viene trasformato in 1,25-diidrossicolecalciferolo (calcitriolo), che rappresenta il metabolita attivo della vitamina D responsabile degli effetti sul metabolismo fosfocalcico. Il colecalciferolo non metabolizzato viene accumulato nei tessuti adiposi e muscolari per essere reso disponibile in funzione del fabbisogno dell’organismo: per questo motivo DIBASE può essere somministrato anche a cadenza settimanale. Nei soggetti obesi si riduce la biodisponibilità del colecalciferolo a causa dell’eccesso di tessuto adiposo. La vitamina D viene eliminata attraverso le feci e le urine. 5.3 Dati preclinici di sicurezza Gli studi preclinici condotti in varie specie animali dimostrano che gli effetti tossici si verificano nell’animale a dosi nettamente superiori a quelle previste per l’uso terapeutico nell’uomo. Negli studi di tossicità a dosi ripetute, gli effetti più comunemente riscontrati sono stati: aumento della calcinuria, diminuzione della fosfaturia e della proteinuria. A dosi elevate, è stata osservata ipercalcemia. In una condizione prolungata di ipercalcemia le alterazioni istologiche (calcificazione) più frequenti sono state a carico dei reni, cuore, aorta, testicoli, timo e mucosa intestinale. Gli studi di tossicità riproduttiva hanno dimostrato che il colecalcife-rolo non ha effetti nocivi sulla fertilità e riproduzione. A dosi che sono equivalenti a quelle terapeutiche, il colecalciferolo non ha attività teratogena. Il colecalciferolo non ha potenziale attività mutagena e carcinogena. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti DIBASE 2.000 U.I. capsule rigide: capsula e banda di sigillatura della capsula: gelatina, titanio biossido (E171); contenuto della capsula: olio di oliva raffinato. DIBASE 6.000 U.I. capsule rigide: capsula: gelatina, titanio biossido (E171); banda di sigillatura della capsula: gelatina, titanio biossido (E171), ossido di ferro giallo (E172) contenuto della capsula: olio di oliva raffinato. 6.2 Incompatibilità Non pertinente. 6.3 Periodo di validità DIBASE 2.000 U.I. capsule rigide: 2 anni DIBASE 6.000 U.I. capsule rigide: 2 anni 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Conservare a temperatura inferiore a 30° C. Non congelare. Conservare nella confezione originale per proteggere il medicinale dalla luce. 6.5 Natura e contenuto del contenitore DIBASE 2.000 U.I. capsule rigide, 30 capsule: astuccio di cartone litografato contenente il foglio illustrativo e 3 blister bianco opaco di PVC/PVDC/Al da 10 capsule ciascuno. DIBASE 6.000 U.I. capsule rigide, 4 capsule: astuccio di cartone litografato contenente il foglio illustrativo e 1 blister bianco opaco di PVC/PVDC/Al da 4 capsule. DIBASE 6.000 U.I. capsule rigide, 12 capsule: astuccio di cartone litografato contenente il foglio illustrativo e 3 blister bianco opaco di PVC/PVDC/Al da 4 capsule ciascuno. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione Nessuna istruzione particolare. Il medicinale non utilizzato e i rifiuti derivati da tale medicinale devono essere smaltiti in conformità alla normativa locale vigente. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO ABIOGEN PHARMA S.P.A. - Via Meucci, 36 - Ospedaletto - Pisa (Italia) 8. NUMERI DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO AIC 036635163 DIBASE 2.000 U.I. capsule rigide - 30 capsule in blister PVC/PVDC/Al AIC 036635175 DIBASE 6.000 U.I. capsule rigide - 4 capsule in blister PVC/PVDC/Al AIC 036635187 DIBASE 6.000 U.I. capsule rigide - 12 capsule in blister PVC/PVDC/Al 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE Data della prima autorizzazione: 09/10/2020 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO 10/2020

DIBASE 2.000 U.I. 30 capsule rigide Classe C(nn) - RR

9,50 €


CLINICA IN DERMATOLOGIA

CONGRESS REPORT_SIDEMAST 2020

Peeling chimico: applicazioni e gestione degli effetti collaterali Prima di effettuare il trattamento, per il dermatologo è fondamentale identificare le aree cutanee da trattare che possono presentare risposte differenti

Norma Cameli Responsabile Dermatologia correttiva e laserterapia Istituto dermatologico San Gallicano Irccs di Roma

Nella pratica dermatologica ambulatoriale, i peeling chimici rappresentano una tecnologia efficace e sicura in numerose condizioni cliniche. La loro versatilità li rende indicati nel trattamento dei disordini della pigmentazione come il melasma, le iperpigmentazioni post-infiammatorie e le lentigo senili, dell’acne in fase attiva e degli esiti cicatriziali. Inoltre, possono essere utilizzati per il ringiovanimento cutaneo, in quanto la distruzione controllata degli strati cutanei determina accelerazione del turnover cellulare e conseguente rigenerazione epidermica e formazione di nuovo collagene e sostanza fondamentale. Molto importante è la scelta e il dosaggio delle sostanze attive impiegate per l’aggressione chimica e la conseguente attivazione di quei meccanismi riparativi che portano al ripristino delle condizioni fisiologiche cutanee. In tale ottica, anche il veicolo per migliorare le penetrazioni e le biodisponibilità delle molecole attive assume un aspetto centrale nell’organizzazione dell’approccio terapeutico. La classificazione dei peeling si basa sulla profondità  del danno causato di volta in volta da una o più  sostanze chimiche. Si possono dunque distinguere i peeling in: molto superficiale, superficiale, medio, profondo. La scelta del tipo di peeling ideale, valutando il livello teo-

rico di profondità e le caratteristiche del paziente, dipende da fattori differenti. Esistono tuttavia delle precauzioni di base, applicabili a tutti i casi. Abbiamo approfondito l’argomento con Norma Cameli, responsabile di dermatologia correttiva e laserterapia all’istituto dermatologico San Gallicano Irccs di Roma, intervenuta durante la scorsa edizione del congresso Sidemast.

Dottoressa Cameli, il peeling chimico viene oggi impiegato nel trattamento di diverse patologie. Quali sono le principali indicazioni terapeutiche e le nuove frontiere di applicazione? Tra le nuove frontiere di applicazione sono da segnalare peeling specifici per alcune aree del corpo, come quelli per il trattamento dell’area genitale a scopo depigmentante e di ringiovanimento (acido kojico, arbutina e acido glicolico). Studi di letteratura hanno valutato l’utilità dei peeling nel trattamento delle precancerosi cutanee, come le cheratosi attiniche, suggerendo un’azione protettiva nei confronti dei processi di cancerogenesi cutanea. Innovativi sono inoltre i peeling di genere, in quanto esistono differenze fisiologiche cutanee tra i sessi. Infine, dati recenti indicano l’utilizzo dei peeling negli annessi cutanei.

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

Per quanto riguarda le unghie possono essere utilizzati, sia per migliorarne l’aspetto estetico sia per il trattamento in casi selezionati di onicomicosi; è da annoverare inoltre, il peeling in alcune forme di alopecia (acido tricloroacetico, fenolo). Si parla oggi anche di peeling biostimolanti.

Nella pratica ambulatoriale, questo trattamento richiede molta attenzione nella scelta e nel dosaggio delle sostanze attive impiegate per l’aggressione chimica. Quali precauzioni di base è opportuno prendere? La tipologia di agente chimico e la specifica concentrazione da utilizzare devono essere scelti in base a molteplici fattori, tenendo conto del livello di profondità che si vuole raggiungere. A tal riguardo, i fattori da considerare sono il tipo e il fototipo di pelle, la sede cutanea da trattare (in quanto, ciascuna area cutanea presenta uno specifico spessore), il pH e il pKa della soluzione che misura la capacità dell’acido di rilasciare ioni H+ e quindi la sua forza. Inoltre, bisogna valutare l’eventuale presenza di condizioni patologiche (psoriasi, dermatite atopica, pregresse reazioni allergiche a peeling e altro). È possibile utilizzare peeling combinati, composti da più sostanze, che permettono la riduzione della dose efficace per ciascun componente e quindi minor rischio di insorgenza di effetti collaterali. Innovativo è infine associare i peeling a trattamenti di dermoabrasione, laserterapia con laser ablativi e needling, al fine di consentire una maggiore penetrazione degli agenti chimici. Recente è l’associazione di laser, in genere Neodimium-YAG, e gel o crema al carbonio.

Quali sono i principali effetti collaterali? È importante, prima del trattamento, informare bene il paziente sui possibili effetti collaterali. Questi possono essere suddivisi in minori e maggiori. Tra i minori vi sono edema, irritazione oculare, dermatite irritativa da contatto dovuta all’utilizzo inadeguato di prodotti esfolianti subito dopo il trattamento, sensazione di bruciore e prurito, reazioni allergiche, infezioni cutanee localizzate, come impetigine e infezioni da herpes simplex. Tra gli effetti collaterali maggiori vi è il danno corneale, nei casi in cui il peeling vada accidentalmente a contatto con gli occhi, la formazione di cicatrici ipertrofiche o atrofiche, ed esiti iper o ipopigmentari permanenti.

Fig. 1-2: immagini pre e post-trattamento con peeling chimico

zone di rischio in quanto caratterizzate da un sottile spessore. Le pieghe naso-labiali, le pieghe laterali degli occhi e le commessure orali sono zone di accumulo poiché in tali sedi vi è il rischio che si verifichi un sovradosaggio. È importante inoltre dividere il volto in quadranti (fronte, guance, naso, aree periorali e mento), applicando il peeling

Esistono rischi più o meno “controllabili”? Prima di effettuare un peeling è importante identificare le aree cutanee da trattare che possono presentare risposte differenti al trattamento. Il contorno occhi e le labbra sono

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

inizialmente sulle aree meno reattive e successivamente su quelle più sensibili. La valutazione del fototipo prima del trattamento è fondamentale, al fine di evitare eventuali disordini della pigmentazione come iper e ipopigmentazioni. I pazienti con infezioni erpetiche ricorrenti potrebbero assumere terapia antivirale orale nei giorni che precedono la procedura scongiurando il rischio di riattivazione virale.

pici o sistemici se si verificano sovra infezioni.

Nella sua relazione, ha parlato di una particolare metodologia in grado di modulare le sostanze attive veicolate in un nuovo supporto chimico che offre alta efficacia clinica e ottima sicurezza. Di cosa si tratta? Si tratta di una tecnologia a rilascio controllato di peeling che fornisce una maggiore efficacia associata a una minore infiammazione rispetto ai tradizionali peeling in soluzione acquosa. Questo sistema riduce il rischio di effetti collaterali come eritema, infiammazione e iperpigmentazione post-infiammatoria fornendo gli stessi effetti clinici dei peeling chimici tradizionali. Altra innovazione, è l’utilizzo di peeling monodose, dotati di elevata praticità (forniti di pennellino usa e getta e di salviettine preparatorie e neutralizzanti) e sicurezza, in quanto associati a un minor rischio di contaminazione.

Secondo la sua esperienza, quali suggerimenti darebbe per un corretto e rapido inquadramento degli effetti collaterali e per la loro gestione? Nei giorni successivi al trattamento è sempre consigliabile un’adeguata fotoprotezione delle aree trattate mediante filtri solari con SPF 50+ e per quanto possibile il paziente dovrebbe evitare l’esposizione diretta alla luce solare. Altresì importante è l’idratazione per lenire i fenomeni pruriginosi e l’eccessiva secchezza e sono da evitare i detergenti molto aggressivi, gli scrub e l’uso di agenti esfolianti. È indicato l’utilizzo di cortisonici topici a bassa potenza in caso di dermatite irritativa da contatto e di antibiotici to-

Lucia Oggianu

Il peeling chimico Trattamento dermoestetico che prevede l’applicazione sulla cute di una soluzione chimica di vario tipo con lo scopo di provocare una distruzione limitata e controllata dell’epidermide e degli strati superficiali del derma al fine di eliminare o migliorare vari inestetismi o patologie cutanee. Considerato un atto medico-chirurgico semplice nel concetto e nell’esecuzione, tuttavia le varianti da considerare sono numerose: • tipo di cute e fototipo • concentrazione della sostanza utilizzata • tempo di contatto • pretrattamento eseguito L’azione lesiva dei peeling dipende dalla profondità d’azione: • molto superficiale, coinvolge solo l’epidermide (strato corneo e granuloso) • superficiali, fino al derma papillare • medi, fino al derma reticolare superiore • profondi, fino al derma reticolare medio I vantaggi dei peeling nell’acne attiva sono: • diminuire drammaticamente il processo infiammatorio in atto • curare le lesioni clinicamente attive • stimolare il derma, e particolarmente i fibroblasti, a produrre collagene al fine di contrastare efficacemente i processi cicatriziali atrofici • eliminare le forme cicatriziali eritematose persistenti • ridurre la produzione di sebo

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

CONGRESS REPORT_SIDEMAST 2020

Eritrodermia congenita in epoca neonatale: diagnosi e trattamento Può essere la prima manifestazione di una malattia dermatologica. Nel neonato va riconosciuta subito poiché può sottendere condizioni gravi che richiedono terapie specifiche

Andrea Diociauti Responsabile UOS Centro delle dermatosi croniche complesse e genodermatosi, UOC Dermatologia Ospedale pediatrico Bambino Gesù, Roma

L’eritrodermia congenita è una condizione infiammatoria che interessa oltre il 90% della superficie corporea. In epoca neonatale, può essere la prima manifestazione di una malattia dermatologica. Nel neonato va riconosciuta subito poiché può sottendere condizioni gravi che necessitano trattamenti specifici. Ce ne parla Andrea Diociauti – responsabile UOS Centro delle dermatosi croniche complesse e genodermatosi, UOC Dermatologia Ospedale pediatrico Bambino Gesù –, intervenuto come relatore in occasione dell 94° congresso Sidemast. L’eritrodermia congenita è una patologia rara che può manifestarsi alla nascita. «È definita come un eritema generalizzato della cute su una superficie pari al 90% del tegumento», afferma il dottor Diociaiuti. «È dovuta a un ampio spettro di malattie da benigne a letali ed è una condizione grave in epoca neonatale con una mortalità del 25%. Ciò è determinato dalla compromissione di alcune funzioni fondamentali della cute quali la modulazione della perdita di acqua trans-epidermica, la perdita di energia, l’ipotermia, l’ipernatriemia, le infezioni e l’ipoproteinemia» spiega il dermatologo.

Non ci sono dati precisi sull’incidenza dei questa patologia cutanea. La diagnosi dell’eritrodermia è clinica ma sono necessarie indagini di laboratorio e strumentali per identificarne la causa. «Dopo gli iniziali esami ematochimici per la ricerca di malattie metaboliche, si procede generalmente a biopsia cutanea per orientare poi la ricerca della mutazione responsabile della malattia, se è noto il gene di malattia» approndisce Diociaiuti. I principali segni presentati dal paziente eritrodermico cui il dermatologo dovrebbe prestare particolare attenzione sono una cute eritematosa su gran parte della superficie cutanea: può essere desquamante o essudante. L’essudazione è più grave perché può causare uno squilibrio idroelettrolitico.

Eritrodermia ittiosiforme, ittiosi cheratinopatica, sindrome di Netherton, sindrome di Omenn: le differenze «L’eritrodermia ittiosiforme è l’eritrodermia secondaria all’ittiosi congenita autosomico recessiva, mentre l’ittiosi cheratoinopatica è un particolare tipo di ittiosi caratterizzata da formazione di erosioni e bolle

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

Fig. 1: neonato affetto da eritrodermia congenita

Eritrodermia congenita: approcci terapeutici e qualità della vita del paziente

oltre all’ipercheratosi», specifica il dermatologo. La sindrome di Netherton è una forma rara di ittiosi eritrodermica caratterizzata da ipernatriemia e da una particolare alterazione del capello (la tricoressi invaginata).

Il paziente eritrodermico neonatale deve essere assistito inizialmente in un reparto intensivo. È importante prevenire le infezioni, mantenere l’equilibrio idroelettrolitico ed evitare l’ipotermia. In seconda battuta, dopo l’identificazione delle cause, si potrà procedere al trattamento specifico della condizione sottostante laddove è possibile. Dopo l’età infantile diminuiscono i rischi delle maggiori complicanze ma compaiono le problematiche legate alle difficoltà del paziente a rapportarsi con i coetanei. Le conseguenze della diversità nei primi anni della socializzazione possono causare gravi problemi psicologici. Ovviamente permangono i rischi legati alle infezioni cutanee, la disprotidemia, la disidratazione e il difetto di termoregolazione. Alcune condizioni alla base dell’eritrodermia se non diagnosticate precocemente possono portare il paziente alla morte. È il caso della sindrome di Omenn, un immunodeficit caratterizzato dalla mancanza di linfociti B e che necessita di trapianto di midollo. Non vanno trascurate anche le eritrodermie infettive, come ad esempio la candidosi, che nel periodo neonatale possono costituire un rischio per la vita. Sono meno gravi le dermatiti eritemato-desquamative come la psoriasi o la dermatite atopica che più difficilmente vanno incontro a complicanze letali.

Diagnosi di eritrodermia: può sottendere altre condizioni patologiche? L’eritrodermia è sempre espressione di qualche patologia. Tra le cause troviamo alcune genodermatosi, infezioni, dermatosi eritematosquamose, disordini immunologici e difetti del metabolismo. «Dopo l’inquadramento clinico è necessario effettuare esami ematochimici per verificare l’equilibrio idroelettrolitico e ricercare eventuali difetti del metabolismo», consiglia il dottor Diociauti. L’esame istologico con eventuali colorazioni immunoistochimiche specifiche e la microscopia elettronica consentono di orientarsi tra le varie forme di ittiosi, la sindrome di Omenn, e la Staphylococcal scalded skin syndrome (SSSS). Oggi la diagnosi definitiva nella maggior parte dei casi può essere ottenuta dall’esame genetico. La tecnologia del next generation sequencing permette di esaminare un gran numero di campioni in tempi estremamente rapidi e a un costo molto più contenuto rispetto al passato.

L.O.

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DIBASELAB

RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO - 001/00

1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE DIBASELAB 1.000 U.I. capsule rigide 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA 1 capsula contiene: colecalciferolo (vitamina D3) 0,025 mg pari a 1.000 U.I. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Capsula rigida. Corpo trasparente e testa bianca con banda di sigillatura rosa. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche Prevenzione dell’ipovitaminosi D per condizioni che comportano un’insufficiente produzione cutanea e/o un aumentato fabbisogno di vitamina D. DIBASELAB è indicato negli adolescenti di età superiore a 12 anni e negli adulti. 4.2 Posologia e modo di somministrazione Posologia Sono consigliabili cicli di assunzione di 3 mesi. Si riportano di seguito le condizioni di rischio che comportano un’insufficiente produzione cutanea e/o un aumentato fabbisogno di vitamina D: • scarsa esposizione solare (es. soggetti istituzionalizzati) e, in ogni caso, se l’esposizione solare è insufficiente oppure inefficace (i.e. uso di filtri e schermi solari, periodo invernale); • intensa pigmentazione cutanea; • regimi alimentari particolari (poveri di calcio, vegetariani, privi di lattosio, ecc.); • gravidanza (ultimo trimestre) e allattamento; Adulti 1 capsula al giorno. Gravidanza (ultimo trimestre) e allattamento 1 capsula ogni due giorni (corrispondente ad una dose giornaliera di 500 U.I.). Popolazione pediatrica DIBASELAB non è idoneo per bambini di età compresa tra 0 e 12 anni. Adolescenti (> 12 anni) 1 capsula ogni due giorni (corrispondente ad una dose giornaliera di 500 U.I.). Compromissione renale In pazienti con compromissione renale da lieve a moderata: non è necessario alcun aggiustamento del dosaggio. Il colecalciferolo non deve essere somministrato a pazienti con grave compromissione renale. Modo di somministrazione Si raccomanda di assumere DIBASELAB durante i pasti (vedere paragrafo 5.2). La capsula deve essere ingerita intera. 4.3 Controindicazioni • Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti elencati al paragrafo 6.1. • Ipercalcemia, ipercalcinuria. • Calcolosi renale (nefrolitiasi, nefrocalcinosi). • Insufficienza renale grave (vedere paragrafo 4.4) • Ipervitaminosi D 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego - Assunzioni prolungate. In questo caso il medico potrà valutare la necessità di monitorare il livello sierico di 25-idrossi-colecalciferolo. Qualora il livello sierico di 25-idrossi-colecalciferolo superasse i 100 ng/ml (pari a 250 nmol/l), è opportuno interrompere l’assunzione di DIBASELAB. - pazienti anziani già in trattamento con glicosidi cardiaci o diuretici (vedere paragrafo 4.5). In questi pazienti è importante il monitoraggio della calcemia. In caso di ipercalcemia e/o ipercalcinuria interrompere il trattamento con vitamina D. - pazienti con insufficienza renale da lieve a moderata. Questi pazienti presentano un alterato metabolismo della vitamina D; perciò, se devono essere trattati con colecalciferolo, è necessario monitorare gli effetti sull’omeostasi di calcio e fosfato. Si deve considerare il rischio di calcificazione dei tessuti molli. Per evitare un sovradosaggio, tenere conto della dose totale di vitamina D in caso di associazione con trattamenti contenenti già vitamina D, cibi addizionati con vitamina D o in caso di utilizzo di latte arricchito con vitamina D. - nei seguenti casi può essere necessaria una revisione dei dosaggi: • soggetti in trattamento con anticonvulsivanti o barbiturici (vedere paragrafo 4.5); • soggetti in trattamento con terapie corticosteroidee (vedere paragrafo 4.5); • soggetti in trattamento con farmaci che riducono i grassi circolanti (ipolipidemizzanti quali colestipolo, colestiramina - vedere paragrafo 4.5); • soggetti in trattamento con farmaci che riducono l’assorbimento dei grassi (orlistat - vedere paragrafo 4.5); • soggetti in trattamento con antiacidi contenenti alluminio (vedere paragrafo 4.5); • soggetti obesi (vedere paragrafo 5.2); • patologie digestive (malassorbimento intestinale, mucoviscidosi o fibrosi cistica);

• insufficienza epatica. - pazienti affetti da sarcoidosi e/o iperparatiroidismo primitivo. In questi soggetti il prodotto deve essere utilizzato con cautela per il possibile aumento della sua metabolizzazione nella forma attiva con conseguente effettivo rischio di ipercalcemia e ipercalcinuria. Per questo motivo in questi pazienti occorre monitorare il livello del calcio nel siero e nelle urine. - insufficienza renale severa. In questa condizione, la vitamina D nella forma di colecalciferolo non è metabolizzata normalmente e dovrebbero essere utilizzate altre forme di vitamina D per mantenere un’adeguata omeostasi di calcio e fosfato. Questi pazienti necessitano di una gestione specialistica appropriata (vedere paragrafo 4.3). - pazienti con storia di calcolosi renale. In questi soggetti devono essere monitorati i livelli di calcio e fosfato. - popolazione pediatrica. DIBASELAB non è indicato per i bambini di età compresa tra 0 e 12 anni. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione In caso di trattamento con farmaci contenenti la digitale e altri glicosidici cardiaci, la somministrazione orale di calcio combinato con la vitamina D aumenta il rischio di tossicità della digitale (aritmia). È pertanto richiesto lo stretto controllo del medico e, se necessario, il monitoraggio elettrocardiografico e delle concentrazioni sieriche di calcio. Studi sugli animali hanno suggerito un possibile potenziamento dell’azione del warfarin quando somministrato con calciferolo. Sebbene non vi siano simili evidenze con l’impiego di colecalciferolo è opportuno usare cautela quando i due farmaci vengono usati contemporaneamente. In caso di trattamento con diuretici tiazidici, che riducono l’eliminazione urinaria del calcio, è raccomandato il controllo delle concentrazioni sieriche di calcio. L’effetto della vitamina D3 può essere ridotto per inattivazione metabolica dall’uso concomitante di farmaci induttori del CYP450: - alcuni antibatterici (es. rifampicina, isoniazide); - alcuni antiepilettici (es. carbamazepina, fenobarbital, fenitoina, primidone); - barbiturici - corticosteroidi. L’assorbimento della vitamina D è diminuito da: - antiacidi contenenti alluminio, in uso concomitante che può interferire con l’efficacia del farmaco; - ipolipidemizzanti, quali colestiramina, colestipolo; - orlistat. Preparati contenenti magnesio possono esporre al rischio di ipermagnesiemia. L’alcolismo cronico diminuisce le riserve di vitamina D nel fegato. L’agente citotossico actinomicina e gli agenti imidazolici antifungini interferiscono con l’attività della vitamina D3 inibendo la conversione della 25-idrossivitamina D3 in 1,25-diidrossivitamina D3 da parte dell’enzima renale, 25-idrossivitamina D-1-idrossilasi. Riduzioni della concentrazione sierica di vitamina D sono state osservate a seguito della somministrazione di dosi tra 300 e 1200 mg/die di ketoconazolo in soggetti sani. Tuttavia, studi di interazione tra ketoconazolo e vitamina D non sono stati effettuati in vivo. 4.6 Fertilità, gravidanza e allattamento Gravidanza Quando necessario la vitamina D può essere assunta durante la gravidanza. Il sovradosaggio di vitamina D deve essere evitato in gravidanza durante i primi 6 mesi in quanto può avere effetti tossici. Esiste una correlazione tra eccesso di assunzione o estrema sensibilità materna alla vitamina D durante la gravidanza e ritardo dello sviluppo fisico e mentale del bambino, stenosi aortica sopravalvolare e retinopatia. L’ipercalcemia materna può anche portare alla soppressione della funzione paratiroidea nei neonati con conseguente ipocalcemia, tetania e convulsioni. Allattamento Quando necessario, la vitamina D può essere assunta durante l’allattamento. Tale supplementazione non sostituisce la somministrazione di vitamina D nel neonato. La vitamina D e i suoi metaboliti si ritrovano nel latte materno. Questo aspetto deve essere preso in considerazione quando si somministra al bambino ulteriore vitamina D. Fertilità Non ci sono dati relativi agli effetti del colecalciferolo sulla fertilità. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non sono disponibili dati sugli effetti del prodotto sulla capacità di guidare. Tuttavia, un effetto su tale capacità è improbabile. In ogni caso, per la guida di veicoli o l’uso di macchinari, si deve tenere conto che come effetto indesiderato del trattamento con DIBASELAB si può manifestare sonnolenza, sebbene raramente. 4.8 Effetti indesiderati Se la posologia è conforme alle effettive esigenze individuali, il colecalciferolo è ben tollerato, grazie anche alla capacità dell’organismo di accumularlo nei tessuti adiposi e muscolari (vedere paragrafo 5.2). Sulla base dei dati degli studi clinici e dell’esperienza post-marketing, di seguito sono riportati gli effetti indesiderati di vitamina D. Le frequenze stimate degli eventi si basano sulla seguente convenzione: comune (≥ 1/100, <1/10); non comune (≥ 1/1.000, < 1/100); rara (≥ 1/10.000, < 1/1.000); molto rara (< 1/10.000); non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili).


Sistema Classificazione organo

Frequenza

Disturbi del sistema imunitario

ipersensibilità

Rara

Disturbi del metabolismo e della nutrizione

ipercalcemia, [secondaria a ipervitaminosi, che può manifestarsi solo in caso di sovradosaggio o in seguito ad un uso prolungato e incontrollato (vedere paragrafo 4.9)]

Non comune

appetito ridotto, sete

Rara

polidipsia

Non nota

Disturbi psichiatrici

sonnolenza, stato confusionale

Rara

Patologie del sistema nervoso

cefalea

Non nota

Patologie gastrointestinali

stipsi, flatulenza, dolore addominale, nausea, diarrea

Rara

vomito, disgeusia, bocca secca

Non nota

Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo

eruzione cutanea, prurito, orticaria

Rara

Patologie renali ed urinarie

nefrocalcinosi, poliuria, insufficienza renale

Non nota

ipercalcinuria

Non comune

astenia

Rara

Patologie generali e condizioni relative alla sede di somministrazione

Segnalazione delle reazioni avverse sospette La segnalazione delle reazioni avverse sospette che si verificano dopo l’autorizzazione del medicinale è importante, in quanto permette un monitoraggio continuo del rapporto beneficio/rischio del medicinale. Agli operatori sanitari è richiesto di segnalare qualsiasi reazione avversa sospetta tramite il sistema nazionale di segnalazione all’indirizzo https://www.aifa.gov.it/content/segnalazioni-reazioni-avverse. 4.9 Sovradosaggio Un sovradosaggio acuto o cronico di vitamina D può causare ipercalcemia. Interrompere l’assunzione di DIBASELAB quando la calcemia supera i 10,6 mg/dl (2,65 mmol/l) o se la calciuria supera 300 mg/24 h negli adulti o 4-6 mg/kg/die nei bambini. Il sovradosaggio si manifesta come ipercalcinuria e ipercalcemia, i cui sintomi sono i seguenti: nausea, vomito, sete, polidipsia, poliuria, costipazione, disidratazione. Sovradosaggi cronici possono portare a calcificazione vascolare e degli organi, come risultato dell’ipercalcemia. Sovradosaggio in gravidanza: Il sovradosaggio di vitamina D deve essere evitato in gravidanza (vedere paragrafo 4.6). Trattamento in caso di sovradosaggio Interrompere l’assunzione di DIBASELAB e procedere alla reidratazione. È possibile somministrare diuretici dell’ansa (es. furosemide), se non controindicati, al fine di assicurare un’adeguata diuresi. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: vitamina D e analoghi, colecalciferolo. Codice ATC: A11CC05 La vitamina D corregge una situazione carenziale della stessa e aumenta l’assorbimento intestinale di calcio, l’incorporazione del calcio nell’osteoide ed il rilascio di calcio dal tessuto osseo. A livello dell’intestino tenue promuove l’assorbimento del calcio e stimola il trasporto attivo e passivo del fosfato. Nel rene inibisce l’escrezione di calcio e fosfato, promuovendo il riassorbimento tubulare. Inibisce direttamente la produzione di paratormone (PTH), che viene ulteriormente ridotta dall’aumento della calcemia. 5.2 Proprietà farmacocinetiche Come per le altre vitamine liposolubili, l’assorbimento del colecalciferolo a livello intestinale è favorito dalla concomitante assunzione di alimenti contenenti grassi. Il colecalciferolo (vitamina D3) è presente nel circolo ematico in asso-

ciazione a specifiche α-globuline che lo trasportano al fegato, dove viene idrossilato a 25-idrossi-colecalciferolo (calcifediolo). Una seconda idrossilazione avviene nei reni, dove il 25-idrossi-colecalciferolo (calcifediolo) viene trasformato in 1,25-diidrossi-colecalciferolo (calcitriolo), che rappresenta il metabolita attivo della vitamina D responsabile degli effetti sul metabolismo fosfocalcico. Il colecalciferolo non metabolizzato viene accumulato nei tessuti adiposi e muscolari per essere reso disponibile in funzione del fabbisogno dell’organismo. Tuttavia, con DIBASELAB è improbabile che si verifichi accumulo a causa del basso dosaggio. Nei soggetti obesi si riduce la biodisponibilità del colecalciferolo (vitamina D3) a causa dell’eccesso di tessuto adiposo. La vitamina D viene eliminata attraverso le feci e le urine. 5.3 Dati preclinici di sicurezza Gli studi preclinici condotti in varie specie animali dimostrano che gli effetti tossici si verificano nell’animale a dosi nettamente superiori a quelle previste per l’uso terapeutico nell’uomo. Negli studi di tossicità a dosi ripetute, gli effetti più comunemente riscontrati sono stati: aumento della calcinuria, diminuzione della fosfaturia e della proteinuria. A dosi elevate, è stata osservata ipercalcemia. In una condizione prolungata di ipercalcemia le alterazioni istologiche (calcificazione) più frequenti sono state a carico dei reni, cuore, aorta, testicoli, timo e mucosa intestinale. Gli studi di tossicità riproduttiva hanno dimostrato che il colecalciferolo non ha effetti nocivi sulla fertilità e riproduzione. A dosi che sono equivalenti a quelle terapeutiche, il colecalciferolo non ha attività teratogena. Il colecalciferolo non ha potenziale attività mutagena e carcinogena. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti Capsula: gelatina, titanio biossido (E171). Banda di sigillatura della capsula: gelatina, titanio biossido (E171), ossido di ferro (E 172). Contenuto della capsula: olio di oliva raffinato. 6.2 Incompatibilità Non pertinente. 6.3 Periodo di validità 2 anni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Non congelare. Conservare nella confezione originale per proteggere il medicinale dalla luce. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Scatola di cartone litografato, contenente il foglio illustrativo e 3 blister di colore bianco opaco, di PVC-PVDC-Al da 10 capsule ciascuno. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione Nessuna istruzione particolare. Il medicinale non utilizzato e i rifiuti derivati da tale medicinale devono essere smaltiti in conformità alla normativa locale vigente. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO ABIOGEN PHARMA S.P.A. - Via Meucci, 36 - Ospedaletto - Pisa (Italia) 8. NUMERI DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO 045440017-1.000 U.I. capsula rigida, 30 capsule in blister PVC/PVDC-Al 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE Data della prima autorizzazione: 09/10/2020 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO 10/2020

DIBASELAB 1.000 U.I. 30 capsule rigide Classe C(nn) - RR

7,00 €


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Chirurgia dermatologica e “danger zones” del volto In dermochirurgia, alcuni accorgimenti sono essenziali per non incorrere in conseguenze impreviste. Due sono i fattori che prevengono i danni chirurgici: abilità manuale ed esperienza

Mario Puviani Dirigente dell’unità di dermatologia e chirurgia dermatologica, Ospedale di Sassuolo. Coordinatore del gruppo di studio di Chirurgia per la Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle malattie sessualmente trasmesse (Sidemast)

Eseguire interventi chirurgici, anche di natura semplice, obbliga la conoscenza di strutture anatomiche nervose e artero-venose sottostanti la lesione da asportare da parte del dermochirurgo. Risulta molto difficile procurare danni permanenti a livello del volto e le complicazioni emorragiche sono facili da prevenire ma, per evitare possibili danni estetico-funzionali, è importante avere alcune nozioni chirurgiche di base. Prima di intraprendere ogni tipo di intervento chirurgico dunque bisogna avere un’ottima conoscenza dell’anatomia al fine di poterlo programmare correttamente, pensando dove posizionare le linee di incisione e come mimetizzare la cicatrice che ne risulterà, per attuare l’anestesia locale e il blocco dei nervi ma soprattutto per evitare di lesionare certe strutture nervose e vascolari prevenendo eventuali imprevisti. Ne abbiamo parlato con Mario Puviani, dirigente dell’unità di dermatologia e chirurgia dermatologica presso l’ospedale di Sassuolo, che ha presentato un’approfondita relazione sul tema in occasione del congresso Sidemast 2020.

Dottor Puviani, quali sono i principali errori in dermatochirurgia? Innanzitutto, dobbiamo dire che è difficile commettere er-

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rori grossolani a livello chirurgico, le definirei pertanto imperfezioni di esecuzione. Alcuni esempi sono una tensione eccessiva dei punti di sutura e un’errata distanza tra essi. Tutto questo può tradursi in una diastasi della sutura, ovvero in un’apertura della ferita chirurgica con conseguente ritardo nella guarigione e un esito estetico non ottimale.

Nell’ambito della chirurgia dermatologica del volto, quali sono le principali complicazioni? Le principali complicazioni nel post-intervento sono sicuramente gli edemi, ovvero accumulo di liquidi nelle zone più delicate quali quella perioculare, oltre agli esiti emorragici.

È frequente il verificarsi di danni permanenti? No, è assolutamente molto raro in quanto madre natura aiuta i chirurghi proteggendo naturalmente le strutture nervose e lasciandole più vulnerabili solo in certi punti che sono considerate appunto le danger zones, argomento della relazione in oggetto. Bisogna fare attenzione a queste zone quando si esegue un’asportazione chirurgica.

Quali sono le danger zones? Sono delle aree del volto in cui emergono dei tronchi nervosi il cui danneggiamento provoca parestesie delle aree servite o paralisi dei muscoli innervati.

bisogna avvertire il paziente che ematomi e/o gonfiori in certe zone dopo un intervento sono assolutamente frequenti e privi di ogni conseguenza a lungo termine. In secondo luogo, prescrivendo antiedemigeni o chelanti del ferro topici in caso di necessità.

In base alla sua esperienza, quali sono gli accorgimenti che dovrebbe avere il dermochirurgo per non incorrere in conseguenze impreviste? Purtroppo, non esiste una ricetta universale. Quando vedo operare colleghi più giovani del sottoscritto mi accorgo se hanno o meno una certa sensibilità. Il bisturi non va utilizzato come un attrezzo estraneo alla mano del chirurgo ma deve risultare una sorta di arto accessorio, pertanto i movimenti con il bisturi devono essere fermi e decisi e allo stesso tempo aggraziati e precisi. Questa è una dote innata, legata all’abilità manuale soggettiva che può essere migliorata con l’esperienza. Le faccio un esempio molto banale e se vuole simpatico: chi è appassionato di modellismo è un potenziale chirurgo, la delicatezza e la precisione necessarie per dipingere le sopracciglia di un pilota di F1 o di un soldato alto 5 cm sono le stesse che servono ad asportare chirurgicamente un epitelioma sul canto mediale dell’occhio. Sono pertanto questi i due fattori che prevengono i danni chirurgici, abilità manuale ed esperienza.

Come prevenire e gestire gli eventi avversi?

Lucia Oggianu

Semplicemente con un po’ di esperienza. In primo luogo,

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CONGRESS REPORT_SIDEMAST 2020

Sindrome di Sweet pediatrica: una rara dermatosi infiammatoria Questa sindrome può manifestarsi in associazione ad altre malattie sistemiche. La prognosi spesso dipende dall’evoluzione e dal trattamento delle patologie sottostanti

Anna Belloni Fortina Centro Regionale di Dermatologia pediatrica. Dipartimento di Medicina Dimed, Padova

La sindrome di Sweet in età pediatrica è una rara dermatosi infiammatoria appartenente al gruppo delle cosiddette “dermatosi neutrofile” e viene anche denominata “dermatosi acuta febbrile neutrofilica”. Si caratterizza clinicamente per una comparsa rapida e acuta di lesioni cutanee papulari o nodulari di aspetto eritematoso, di forma circolare/ anulare e con una caratteristica squamo-crosta centrale. La regione centrale delle lesioni ha in genere una colorazione più chiara, conferendo alle lesioni un aspetto “a bersaglio”. Le lesioni sono localizzate agli arti, al volto e al tronco e sono spesso associate a dolore. Altri due segni caratteristici della sindrome di Sweet sono la febbre e il rialzo dei neutrofili. L’aspetto istologico è inoltre caratteristico, riportando un diffuso e denso infiltrato di neutrofili a livello del derma papillare e reticolare. Ne ha parlato la professoressa Anna Belloni Fortina, docente di Dermatologia all’Università di Padova, in occasione del recente congresso Sidemast. La sindrome di Sweet è di più raro riscontro in età pediatrica rispetto all’età adulta. Nei bambini infatti l’incidenza non supera il 5% e i dati presenti in letteratura sono scarsi. «Non vi sono particolari e accertati fattori di rischio per la sindrome di Sweet» afferma la professoressa Belloni Fortina, tuttavia nei soggetti con sindrome di Sweet si osserva una

rilevante associazione con altre patologie pregresse o concomitanti, ad esempio infezioni sistemiche di origine virale o batterica, patologie autoimmuni e neoplastiche e disordini ematologici, che vanno pertanto esclusi in caso di diagnosi di sindrome di Sweet. Talvolta la sindrome di Sweet può comparire anche in seguito ad assunzione di farmaci.

Diagnosi: da non confondere con altre malattie Nella diagnosi di sindrome di Sweet occorre ricordare e avere presenti le possibili diagnosi differenziali, come la

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vasculite leucocitoclastica, le eruzioni da farmaci, l’eritema multiforme, il lupus neonatale e l’edema emorragico acuto dell’infanzia. «Ciò che deve guidare nella diagnosi di sindrome di Sweet è, da un lato, il caratteristico aspetto clinico, associato o meno agli altri sintomi tipici della sindrome (febbre e neutrofilia). In casi dubbi, per quadri clinici particolari o per assenza di uno dei segni caratteristici, è possibile porre la diagnosi di sindrome di Sweet con la biopsia cutanea» spiega la dermatologa. La sindrome di Sweet in età pediatrica si associa più di frequente a pregresse infezioni del tratto respiratorio superiore di origine batterica o virale (da 1 a 3 settimane prima dell’insorgenza delle manifestazioni) e tende in genere a una regressione spontanea dopo risoluzione dell’infezione stessa senza particolari esiti cicatriziali. Negli adulti, invece, si associa a disordini e patologie di natura ematologica o neoplastica.

Le cause Le cause della sindrome di Sweet rimangono tuttora sconosciute. Tuttavia, spesso la sindrome si associa ad altre pato-

logie che, in caso di diagnosi di sindrome di Sweet, vanno indagate ed escluse. «In particolare, soprattutto negli adulti, la sindrome di Sweet si può associare a disordini ematologici (come la leucemia), patologie neoplastiche (in particolare carcinoma della mammella e del colon) oppure può rappresentare una reazione cutanea dopo l’assunzione di farmaci» afferma la dottoressa Fortina Belloni.

Terapie della sindrome di Sweet Poiché la sindrome di Sweet può manifestarsi in associazione ad altre patologie sistemiche, la prognosi spesso dipende dall’evoluzione e dal trattamento delle patologie sottostanti. «Nelle forme di sindrome di Sweet idiopatiche si osserva spesso una risoluzione spontanea nell’arco di mesi senza particolari esiti cutanei. Tuttavia, sia in età pediatrica sia negli adulti, la terapia di prima linea è rappresentata dai corticosteroidi sistemici» conclude Anna Fortina Belloni. L.O.


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LETTERATURA INTERNAZIONALE

Dermatite atopica e cancro, quali correlazioni? C’è chi sostiene che una maggiore sorveglianza immunitaria riduca il rischio di tumori, mentre altri studiosi ritengono che la stimolazione immunitaria aumenti il rischio oncologico

I risultati di due ampi studi epidemiologici eseguiti in contesti diversi non supportano associazioni dell’eczema atopico con la maggior parte dei tumori. Con un’eccezione: è stata osservata una correlazione con i casi di linfoma che, nei tipi non Hodgkin, è apparsa crescente con l’aumento della gravità dell’eczema. Sono le conclusioni di un articolo pubblicato recentemente su Jama Dermatology (1) a cura di ricercatori inglesi e danesi che hanno preso in esame e fuso con una metanalisi i dati emersi da uno studio condotto, appunto, in Inghilterra tra il 1998 e il 2016 e da un altro effettuato in Danimarca tra il 1982 e il 2016. Come si vede, sono stati considerati periodi molto lunghi che si sono tradotti in numeri particolarmente alti e significativi: 471.970 pazienti con eczema atopico, confrontati con una popolazione generale rappresentata da altre 2.239.775 persone. Da qualche anno, due teorie concorrenti avevano tentato di spiegare le complesse associazioni che potrebbero emergere tra eczema atopico e cancro: da un lato c’è chi sostiene che una maggiore sorveglianza immunitaria riduca il rischio di tumori o comunque favorisca una diagnosi precoce, mentre altri studiosi ritengono che prevalga un meccanismo inverso e che la stimolazione immunitaria aumenti il rischio oncologico. La terapia immunosoppressiva, compresi gli inibitori topici della calcineurina, e anche una barriera cutanea compromessa potrebbero in particolare esporre i pazienti a una maggiore probabilità di contrarre un cancro della pelle ma gli studi, anche quelli più recenti, non erano finora riusciti a fornire né conferme né smentite. In questo nuovo lavoro, che trae autorevolezza dall’ampiezza del campione esaminato e dal rigore metodologico applicato, il team anglo-danese non ha trovato correlazioni tra la dermatite atopica e il cancro nel suo complesso, ma ha poi cercato di differenziare le diverse situazioni analizzando i di-

versi tipi di tumore. Anche questo ulteriore approfondimento ha confermato che i pazienti con dermatite atopica non corrono maggiori rischi rispetto alla popolazione generale, di essere colpiti da tumori al seno, alla prostata, al sistema nervoso centrale o al pancreas, così come da leucemia o mieloma multiplo. Riguardo ai tumori della pelle, quelli su cui si avevano i timori maggiori, si è invece rilevata una probabilità addirittura ridotta di melanoma, bilanciata da un piccolo aumento dei casi di tumori cutanei non-melanocitari. Ma, come si diceva, c’è stata una correlazione più significativa: quella con i linfomi. Nello studio inglese, il rischio di linfoma non Hodgkin è stato del 20% superiore per per le persone con dermatite atopica; per il linfoma di Hodgkin il rischio è stato ancora maggiore: +48%. Pur con stime meno precise, anche lo studio danese ha rilevato un aumento del rischio simile, di oltre il 30% per entrambi i tipi di linfoma. Anche nelle forme più gravi di eczema atopico non si sono visti maggiori rischi di cancro ma i linfomi non Hodgkin sono risultati progressivamente più frequenti nei pazienti con eczema più severo. Gli autori non fanno ipotesi sulla causa di questa associazione ma ricordano che il rischio di cancro potrebbe variare a seconda dei tipi di trattamenti a cui sono sottoposte le persone con dermatite atopica e, con l’entrata in uso di nuove terapie immunomodulanti. Serviranno nuovi studi. Renato Torlaschi Giornalista scientifico Bibliografia 1. Mansfield KE, Schmidt SAJ, Darvalics B, Mulick A, Abuabara K et al. Association between atopic eczema and cancer in england and denmark. JAMA Dermatol. 2020 Jun 24:e201948.

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CLINICA IN DERMATOLOGIA

LETTERATURA INTERNAZIONALE

Filler dermici più sicuri con l’ago intelligente Un team composto da medici, accademici e ricercatori ha sviluppato un’innovazione di sicurezza in grado di individuare i vasi sanguigni, riducendo drasticamente il rischio di eventi avversi

In un futuro che si preannuncia molto prossimo, i medici che iniettano filler dermici sul viso avranno la possibilità di disporre di un ago guidato “intelligente”, in grado di individuare i vasi sanguigni e riducendo così drasticamente il rischio di eventi avversi. È l’obiettivo di un team composto da importanti medici, accademici e ricercatori che hanno sviluppato quella che hanno battezzato S3 Inject, un’innovazione di sicurezza che si sta già sperimentando in studi clinici. «Quando i medici iniettano i filler, si affidano alla propria esperienza e abilità tecnica, sperando di evitare eventi sfavorevoli – ha detto Irina Erenburg, una degli ideatori del nuovo sistema, durante il simposio virtuale annuale Masters of Aesthetics –. Ma se colpiscono inavvertitamente un vaso sanguigno, il riempitivo può occluderlo e causare un infarto della pelle o, in alcuni casi gravi, persino cecità. Sebbene si possa ricorrere alle ialuronidasi, enzimi che degradano l’acido ialuronico, come farmaco di salvataggio, il rischio è reale». S3 Inject è un ago di rilevamento in grado di differenziare tra i tessuti che attraversa, come grasso, vasi sanguigni e muscoli e fornisce un feedback immediato tramite un segnale luminoso emesso da un microLED, incorporato nel dispositivo. I primi risultati degli studi clinici sull’uomo mostrano che, mentre la punta dell’ago passa attraverso i diversi tessuti e fluidi biologici, rileva i cambiamenti nelle proprietà elettriche specifiche e con tali informazioni invia un segnale molto preciso al mozzo dell’ago. Con queste informazioni, il medico può prendere decisioni terapeutiche in tempo reale. Attualmente, i medici eseguono la cosiddetta manovra di Lesser, o più comunemente aspirazione, che consiste nel ritrarre lo stantuffo della siringa per qualche secondo con

lo scopo di garantire che la sostanza non venga, inavvertitamente, somministrata in un vaso sanguigno. «Parlando con i medici – ha riferito Irina Erenburg – si capisce che questa tecnica ha alcuni limiti, perché il riempitivo che è presente nella siringa può limitare la manovra di aspirazione, mentre i nostri aghi forniranno una risposta immediata per un’iniezione più sicura. Il prossimo passo sarà ottenere il via libera da parte della Food and Drug Administration, l’agenzia regolatoria statunitense, a cui dovrebbe seguire una produzione su larga scala, con un lancio pianificato per la fine del 2021. Renato Torlaschi Giornalista scientifico

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Stress da lockdown: una corretta alimentazione può contrastare la psoriasi D In occasione della Giornata mondiale della psoriasi tenutasi di recente, Apiafco (Associazione psoriasici italiani Amici della Fondazione Corazza) ha lanciato il progetto di informazione “Cibo e benessere”: otto volumi per oltre 900 pagine di consigli, suggerimenti e ricette rivolti a coloro che soffrono di psoriasi e di malattie infiammatorie e non solo. Lockdown, isolamento e quarantena accompagnano un nuovo stile di vita sempre più caratterizzato da ansia, confusione e paura. Emozioni che mettono a dura prova la tenuta emotiva soprattutto dei soggetti più vulnerabili e fragili, come chi soffre di psoriasi e malattie infiammatorie dell’organismo. Lo stress emotivo è tra i fattori scatenanti della malattia e, al tempo stesso, è in grado anche di peggiorarla. Una corretta alimentazione rappresenta una vera e propria ancora di salvezza per chi soffre di patologie croniche favorite da fragilità psicologiche e da forte squilibrio ambientale. «Soprattutto in questo momento particolarmente difficile, mangiare nel modo corretto può essere di grande aiuto per chi soffre di psoriasi» spiega Valeria Corazza, presidente di Apiafco (Associazione psoriasici italiani Amici della Fondazione Corazza). La psoriasi è una patologia che tra le cause scatenanti annovera anche le alterazioni metaboliche, come il diabete, l’abuso di alcol e il fumo di sigaretta. Cattive abitudini a tavola contribuiscono al peggioramento dei sintomi, soprattutto se unite a fattori ambientali di particolare ansia e stress come quello che stiamo vivendo.

Tra i principali alimenti e nutrienti a cui affidarsi per restare in salute figurano pesce, legumi e alimenti ricchi di fibre e acidi grassi polinsaturi come gli omega-3, pasta, pane e carboidrati da grani tradizionali e integrali. La carne va assunta con moderazione e preferibilmente quella bianca. Sono soprattutto frutta e verdura, ricche di nutrienti, in grado di contrastare i processi infiammatori: in primis l’avocado, il cavolo, i broccoli, la verza e le cime di rapa. Questi alimenti inoltre contribuiscono al rafforzamento del sistema immunitario soprattutto in questo periodo di emergenza Covid-19. «Rispetto al resto della popolazione – afferma il professor Enzo Spisni, Di-

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partimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali all’Università di Bologna – i pazienti affetti da psoriasi mostrano una maggiore prevalenza di obesità e sindrome metabolica, due condizioni anch’esse caratterizzate da un importante stato infiammatorio cronico». L’infiammazione infatti sembra essere il legame tra psoriasi e obesità, due disturbi spesso strettamente legati tra loro. Una buona aderenza alla vera dieta mediterranea potrebbe essere la chiave per contrastarli entrambi, proprio grazie alla sua caratteristica di approccio dietetico ad azione antinfiammatoria (per informazioni: www.apiafco.org). Lara Romanelli



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Pelle e prossemica: XXIV congresso nazionale Sidep al tempo del Covid-19

Mariella Fassino Dermatologa Scuola di specializzazione in Psicologia clinica, Università degli Studi di Torino

D La pandemia Covid-19 ha costretto le società scientifiche a ripensare al modo di fare comunicazione e aggregazione medica, nell’ottica del distanziamento sociale pur mantenendo alto il livello dell’informazione professionale. I corsi e i congressi in streaming hanno permesso di incontrarci, seppure a distanza, e di continuare a scambiarci conoscenze ed esperienze. Anche per il XXIV congresso Sidep, che si svolge ogni anno a Genova nella prima settimana di febbraio, abbiamo dovuto rinunciare alla presenza di pubblico e oratori in sala, optando per un incontro live streaming dal titolo: “A quale distanza? Pelle e prossemica all’epoca del Covid-19”. L’incontro ha avuto per oggetto alcune riflessioni sulla relazione medico-paziente nel rapporto di vicinanza e contatto con il corpo del malato. La palpazione, l’auscultazione, l’ispezione, la percussione, l’esame obiettivo sono i gesti di una quotidianità che non ci abbandona dai tempi del nostro esame universitario di semeiotica medica. Tali gesti si realizzano a stretto contatto con il malato e si fanno ancora più necessari nella pratica dermatologica,

dove l’esplorazione della cute e delle mucose, le informazioni visive, tattili e olfattive costituiscono dati oggettivi apprezzabili solo dallo stretto contatto con il paziente. A stretto contatto si realizzano le pratiche dermatoscopiche, le numerose attività chirurgiche e di medicina estetica che attengono al bagaglio professionale del dermatologo. La pandemia Covid-19 ci ha costretti a riflettere sulle modalità e le abitudini che regolano la vicinanza al corpo del paziente, ponendoci di fronte ai problemi di una prossemica nuova, gravata dalla necessità di non diffondere il contagio. La vicinanza al corpo del paziente, nella professione medica, consente l’acquisizione di dati oggettivi ma ha anche un valore simbolico. Permette di trasmettere messaggi non verbali di rassicurazione, conforto, aiuto, comprensione, fiducia, speranza, di stringere con il paziente un patto di alleanza terapeutica indispensabile per il buon esito dell’incontro e delle cure. Abbiamo con il tempo e la pratica imparato a modulare e padroneggiare in modo più o meno cosciente questo repertorio linguistico

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non verbale fatto di gesti, di sguardi, di sorrisi, di vicinanza e contatto. Il linguaggio del corpo ci è di particolare aiuto quando la relazione si fa difficile, nei casi di comunicazione della diagnosi a prognosi infausta o nei casi in cui il paziente sia fragile e dobbiamo rassicurarlo rispetto alle ansie, alle preoccupazioni generate dalla malattia. In un articolo del 2019 su Lancet, Richard Horton sostiene che l’esame clinico e il posto centrale che occupa il tocco in questa attività promuovono la connessione fisica e mentale tra il medico e il paziente; egli sostiene che il tocco genera fiducia, sicurezza, condivisione, veicola l’idea di sopravvivenza e consiglia ai giovani medici di non trascurare l’importanza di un esame obiettivo ben fatto in stretta vicinanza con il malato. Una delle più frequenti lamentele che il paziente esprimeva in tempi pre-Covid-19 era: “ecco il medico non mi ha nemmeno visitato, non ha sollevato lo sguardo dal computer, ha continuato a scrivere”. Già in epoca pre-Covid-19 la medicina sembrava non aver più bisogno della vicinanza al corpo del ma-


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lato e tanto meno del contatto fisico. Il progresso della diagnostica per immagini, delle indagini strumentali, della rappresentazione indiretta del corpo e della malattia attraverso monitor, test, esami di laboratorio hanno promosso un reale avanzamento delle conoscenze ma hanno relegato l’esame clinico e il contatto con il paziente a una pratica obsoleta che utilizza solo gli imperfetti sensi umani. La pandemia Covid-19 Nel febbraio 2020 ha fatto irruzione nella nostra vita privata e professionale il Covid-2 scompaginando abitudini e procedure, amplificando le distanze e le difficoltà del contatto. Ci ha tuttavia indotto a riflettere su come ci poniamo nei confronti del paziente. Cos’è cambiato nella pratica clinica? Come abbiamo dovuto ripensare al modo di rapportarci con il paziente e i suoi accompagnatori? Come abbiamo dovuto organizzare la visita e gli ambulatori? Cosa abbiamo perso e cosa abbiamo imparato nel nuovo assetto professionale? La prima cosa che abbiamo dovuto imparare è stata la gestione della paura, la nostra e del paziente, paura del contatto e del contagio. Questa è arrivata dopo una prima, breve fase di sbigottimento, di incredulità, le nostre certezze cedevano il passo all’ignoto. Mente scorrevano sui media le immagini della tragedia collettiva che ci attendeva, alcuni colleghi più esposti, abituati da sempre a una prossimità professionale consolidata ma disarmante, iniziavano a diventare le vittime sacrificali di una prassi che mai avremmo pensato di modificare. Ci attendeva una nuova prossemica, vigile e controllata, possibile solo con mascherine, schermi di plastica, camici monouso, tute, guanti, calzari, dove i gesti amplificano le emozioni

del contatto ma i presidi di protezione celano i volti e le emozioni. Emozioni sotto le mascherine Abbiamo dovuto imparare una nuova gestualità, delle espressioni nuove, un nuovo sguardo per decifrare e maneggiare le emozioni che il paziente esprimeva nell’incontro clinico. Le emozioni continuavano ad essere le stesse di sempre: rabbia, preoccupazione, paura, diffidenza, rassegnazione, speranza, fiducia. Con il nuovo assetto il linguaggio del volto diventava talvolta più enigmatico e la comunicazione meno efficace. La protezione dal contagio imprime nella pratica clinica comportamenti e procedure dettati dalle società scientifiche e dalle istituzioni sanitarie, con linee guida e consigli ma anche declinate dal singolo professionista in funzione delle difficoltà di adattamento al nuovo assetto. Tra l’ossessione del contagio e l’abitudine a una prossimità consolidata nel tempo, a fine giornata facciamo un bilancio del nostro comportamento: abbiamo sempre tenuto i presidi di protezione in modo corretto? Abbiamo sanificato a sufficienza aria e superfici? Abbiamo mantenuto la distanza giusta? Covid-19 e telemedicina Nei primi mesi della pandemia, mentre cercavamo di capire come affrontare la nuova prossimità e le visite erano sospese, siamo stati subissati da richieste di diagnosi a distanza; numerose le immagini inviate sui cellulari e in posta elettronica. Questa nuova prassi complicata dalla qualità delle immagini, dai problemi di responsabilità professionale e medico-legali, dalla difficoltà di dare un valore economico

alla prestazione, entrava di prepotenza nella professione e reclamava attenzione e considerazione, contribuendo a fare della dermatologia una pratica sempre più disincarnata. Il contagio emozionale Anche il medico veniva colpito da una sorta di contagio emozionale, esposto a un’inedita simmetria che vede nell’incontro con il paziente una specularità di sofferenza, dolore, rischio, confronto con il limite, con la finitezza, la fragilità, la vulnerabilità. Queste esperienze emotive fanno parte del bagaglio affettivo del medico ma l’ansia pervasiva che ha caratterizzato la pandemia ne ha amplificato la portata. Incontrarsi Sui social, nei convegni online si incontrano medici fisicamente lontani ma vicini nella collaborazione e nella costruzione di una prassi che ci aiuti ad affrontare, a migliorare, a rendere più consapevoli le difficoltà e la singolarità del rapporto medico-paziente, in questo nuovo assetto relazionale. Tra qualche mese probabilmente ci potremo nuovamente incontrare per abbracciarci e godere della socialità conviviale che caratterizza i congressi e i nostri incontri professionali. Siamo diventati un po’ tutti Skin Hunger, affamati di contatti mediati dalla vicinanza e dai nostri cinque sensi ma soprattutto dal tatto. Noi dermatologi già sapevamo di quanto la pelle sia mediatore e veicolo di affetti ed emozioni, ce l’aveva suggerito un poeta, Paul Valèry, con il celebre aforisma: “Quel che c’è di più profondo nell’uomo è la sua pelle”, ma ora abbiamo una certezza in più.

Bibliografia 1. Horton R. Offline: touch-the first language. Lancet. 2019 Oct 12;394(10206):1310. 2. Albet Camus. La Peste. Bompiani. Classici contemporanei. 2020.

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RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO 1 DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE Pliaglis 70 mg/g + 70 mg/g Crema 2 COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA 1 grammo di crema contiene 70 mg di lidocaina e 70 mg di tetracaina. Eccipienti con effetti noti: metil paraidrossibenzoato (E218) 0.5 mg/g propil paraidrossibenzoato (E216) 0.1 mg/g Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1 3 FORMA FARMACEUTICA Crema Crema viscosa bianca o biancastra. 4 INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche Pliaglis è indicato nell’adulto per esplicare un effetto anestetico locale a livello del derma sulla cute intatta prima di procedure dermatologiche. 4.2 Posologia e modo di somministrazione Posologia Per procedure dermatologiche come terapia con laser pulsed-dye, rimozione di peluria laser assistita, resurfacing del viso con laser non ablativo, iniezioni dermiche di filler e accesso vascolare, Pliaglis deve essere applicato su pelle intatta ad uno spessore di circa 1 mm per 30 minuti (circa 1.3 g di crema per 10 cm2). Al termine del tempo specificato, la maschera a strappo deve essere rimossa dalla pelle prima di iniziare la procedura. Per procedure dermatologiche come rimozione di tatuaggi laser assistita e ablazione laser di vene varicose sulle gambe, Pliaglis deve essere applicato su pelle intatta ad uno spessore di circa 1 mm per 60 minuti (circa 1,3 g di crema per 10 cm2). Al termine del tempo specificato, la maschera a strappo deve essere rimossa dalla pelle prima di iniziare la procedura. L’area di superficie massima non deve eccedere i 400 cm2. Area di superficie del sito di trattamento (cm)

Quantità approssimativa di Pliaglis dispensata (g)

10

1,3

2 unità polpastrello (fingertip)

50

6,5

Metà del contenuto di un tubo da 15 g

100

13

L’intero contenuto di un tubo da 15 g

200

26

L’intero contenuto di un tubo da 30 g

400

52

L’intero contenuto di due tubi da 30 g

Alterata funzionalità epatica, renale e cardiaca Pliaglis deve essere usato con cautela in pazienti con alterata funzionalità epatica, renale e cardiaca (vedere paragrafo 4.4). Popolazione pediatrica La sicurezza e l’efficacia di Pliaglis nei bambini e negli adolescenti di età fino a 18 anni non sono ancora state stabilite. Pertanto, l’uso di Pliaglis nei bambini e negli adolescenti non è attualmente raccomandato. Modo di somministrazione Pliaglis è da considerarsi per uso in singolo paziente. Solo per uso cutaneo. Precauzioni che devono essere prese prima della manipolazione o della somministrazione del medicinale Per procedure sul viso, Pliaglis deve essere applicato da operatori sanitari. Per procedure su tutte le altre parti del corpo, Pliaglis deve essere applicato da operatori sanitari o dagli stessi pazienti adeguatamente istruiti sulle idonee tecniche di applicazione. Si raccomanda ai pazienti ed agli operatori sanitari di evitare di toccare la crema o la cute coperta con la crema in modo da prevenire dermatiti da contatto. Pliaglis non deve mai essere applicato con le dita. Pliaglis deve essere applicato solo mediante uno strumento a superficie piatta come una spatola o un abbassalingua. Le mani devono essere lavate immediatamente dopo la rimozione ed eliminazione della maschera a strappo. Per ulteriori informazioni sulla manipolazione e l’eliminazione del prodotto medicinale, vedere paragrafo 6.6. 4.3 Controindicazioni Ipersensibilità alla lidocaina, tetracaina, ad altri anestetici esteri o amìdi, all’acido para-aminobenzoico (un noto derivato dal metabolismo della tetracaina), al metil paraidrossibenzoato (E218), al propil paraidrossibenzoato (E216) o ad uno qualsiasi degli altri eccipienti. Pliaglis non deve essere utilizzato su membrane mucose o su pelle danneggiata o irritata. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego Evitare il contatto con gli occhi. Lesioni corneali severe si sono osservate nei test di prodotti simili condotti sugli animali. Pliaglis deve essere utilizzato con cautela in prossimità degli occhi. Se Pliaglis entra in contatto con l’occhio, risciacquare immediatamente con acqua o soluzione di cloruro di sodio e proteggere fino al ripristino della sensibilità. Qualsiasi residuo della maschera a strappo di Pliaglis seguente alla rimozione della stessa, deve essere accuratamente rimosso con un batuffolo. L’area trattata non deve essere occlusa prima di aver rimosso Pliaglis dalla pelle. Pliaglis non deve essere applicato per un tempo più lungo rispetto a quanto specificato nel paragrafo 4.2. Si possono verificare rare reazioni allergiche o anafilattoidi associate alla lidocaina, alla tetracaina o ad altri ingredienti di Pliaglis. La tetracaina può essere associata a questo tipo di reazioni con maggiore frequenza rispetto alla lidocaina. Vedere paragrafo 4.8. L’uso di numerosi anestetici locali, tra cui la tetracaina, ha mostrato reazioni di metaemoglobinemia. Il rischio di metaemoglobinemia è maggiore in pazienti con metaemoglobinemia congenita o idiopatica. Non si sono verificati casi di metaemoglobinemia negli studi clinici condotti su Pliaglis. Tuttavia si deve fare attenzione per accertarsi che i dosaggi, le aree di applicazione e la durata dell’applicazione siano in accordo con quelle raccomandate per la popolazione considerata. La lidocaina ha mostrato di possedere azione inibente sulla crescita virale e batterica. L’effetto della crema a base di lidocaina e tetracaina sulle iniezioni intradermiche di vaccini vivi non è stato determinato. Pertanto, non è raccomandato l’uso della crema prima dell’iniezione di vaccini vivi. Pliaglis deve essere usato con cautela in pazienti con alterata funzionalità epatica, renale o cardiaca ed in soggetti con aumentata sensibilità agli effetti della lidocaina e della tetracaina sull’apparato circolatorio sistemico, come ad esempio malattie in stadio acuto o in pazienti debilitati. I pazienti devono accertarsi di evitare traumatismi involontari della pelle

(attraverso graffi, strofinamenti o esposizione a temperature estreme) mentre sono sotto gli effetti anestetici locali di Pliaglis. Pliaglis contiene metil paraidrossibenzoato (E218) e propil paraidrossibenzoato (E216) che possono essere causa di reazioni allergiche (anche ritardate). 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione Nessuno studio di interazioni è stato condotto. Il rischio di tossicità sistemica aggiuntiva deve essere considerato quando Pliaglis viene applicato in pazienti in trattamento con prodotti medicinali antiaritmici di Classe I (come quinidina, disopiramide, tocainide e mexiletina) e prodotti medicinali antiaritmici di Classe III (p.e. amiodarone) o altri prodotti contenenti agenti anestetici locali. Interazioni successive all’uso appropriato di Pliaglis sono improbabili considerata la bassa concentrazione di lidocaina e tetracaina riscontrabile nel plasma dopo l’applicazione topica di Pliaglis ai dosaggi raccomandati (vedere paragrafo 5.2). I pazienti che assumono farmaci associati a metaemoglobinemia farmaco-indotta, come fonamidi, naftalene, nitrati e nitriti, nitrofurantoina, nitroglicerina, nitroprusside, pamachina e chinina hanno un rischio aumentato di sviluppare metaemoglobinemia. Laddove Pliaglis sia utilizzato in concomitanza con altri prodotti contenenti lidocaina e/o tetracaina, si deve tenere in considerazione l’effetto cumulativo dei dosaggi di tutte le formulazioni. 4.6 Fertilità, gravidanza e allattamento Gravidanza I dati relativi all’uso di Pliaglis in donne in gravidanza non esistono o sono in numero limitato. Gli studi sull’animale non mostrano effetti dannosi diretti o indiretti della tetracaina a riguardo della tossicità riproduttiva. Gli studi sull’animale non sono sufficienti a dimostrare una tossicità riproduttiva della lidocaina (vedere paragrafo 5.3). Usare con cautela laddove utilizzato su donne in gravidanza. Allattamento La lidocaina e la tetracaina sono escrete nel latte materno, ma ai dosaggi di Pliaglis raccomandati, sono attesi effetti modesti sui neonati o gli infanti allattati al seno. Pertanto, Pliaglis può essere usato durante l’allattamento purchè Pliaglis non venga applicato sulla mammella. Fertilità I dati sulla fertilità relativi all’uso di lidocaina e tetracaina nell’uomo non esistono. In studi condotti sugli animali la lidocaina e la tetracaina hanno dimostrato di non alterare la fertilità. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso si macchinari Non sono stati condotti studi sugli effetti di Pliaglis sulla capacità di guidare veicoli o usare macchinari. Pliaglis non altera o altera in modo trascurabile la capacità di guidare veicoli o usare macchinari. 4.8 Effetti indesiderati Durante gli studi clinici con Pliaglis reazioni cutanee localizzate al sito di applicazione sono state riscontrate molto comunemente; queste sono state tuttavia di entità moderata e transitoria. Gli effetti indesiderati qui di seguito elencati includono sia gli eventi avversi trattamento correlati che l’eritema, l’edema cutaneo e alterazioni del colore cutaneo valutati con scale di valutazione della reattività cutanea. Le reazioni avverse al sito di applicazione che si verificano in più del 10% dei pazienti sono state l’eritema e alterazioni del colore cutaneo. L’edema cutaneo è stato una reazione avversa comune. Tutte le altre reazioni avverse si sono verificate in meno dell’1% dei pazienti. Le reazioni avverse, presentate nella tabella seguente, sono classificate tramite la Classificazione per sistemi e organi e sulla frequenza secondo MedDRA, utilizzando la convenzione seguente: molto comune (> 1/10), comune (> 1/100, < 1/10), non comune (> 1/1.000, < 1/100), raro (> 1/10.000, < 1/1,000), molto raro (<1/10.000), non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili). La maggior parte delle reazioni avverse citate nella tabella seguente si sono verificate al sito di applicazione della crema. Classificazione per sistemi e organi secondo MedDRA

Reazioni Avverse, includendo segni di tolleranza locale Molto comune (≥1/10)

Comune (≥1/100, <1/10)

Non comune (≥1/1.000, <1/100)

Patologie del sistema nervoso Patologie dell’occhio Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione

Raro Non nota (la frequenza non (≥1/10.000,<1/1.000) può essere definita sulla base dei dati disponibili) Parestesia Edema della palpebra

Eritema Alterazioni del colore cutaneo

Edema cutaneo

Prurito Dolore cutaneo

Pallore Sensazione di bruciore cutaneo Gonfiore facciale Esfoliazione cutanea Irritazione cutanea

Orticaria

Dolore

Reazioni avverse sistemiche in seguito all’utilizzo appropriato di Pliaglis sono poco probabili poichè è minima la dose di lidocaina e tetracaina assorbita (vedere paragrafo 5.2). Segnalazione delle reazioni avverse sospette La segnalazione delle reazioni avverse sospette che si verificano dopo l’autorizzazione del medicinale è importante, in quanto permette un monitoraggio continuo del rapporto beneficio/rischio del medicinale. Agli operatori sanitari è richiesto di segnalare qualsiasi reazione avversa sospetta tramite il sistema nazionale di segnalazione all’indirizzo. 4.9 Sovradosaggio Il sovradosaggio con Pliaglis è poco probabile ma i segni di tossicità sistemica potrebbero essere simili a quelli osservati dopo somministrazione di altri anestetici locali, come sintomatologia eccitatoria del SNC e, in casi gravi, depressione del SNC e depressione miocardica. Se si verifica sovradosaggio, i pazienti devono essere tenuti sotto stretta osservazione. Sintomi neurologici gravi (crisi, depressione del SNC) potrebbero iniziare a verificarsi ad una concentrazione plasmatica di


RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO

lidocaina a partire da 1000 ng/mL. I livelli tossici di lidocaina (>5000ng/mL) causano tossicità del SNC, incluso il rischio di crisi. Segni di sovradosaggio richiedono un trattamento sintomatico come ventilazione assistita e utilizzo di farmaci spasmolitici. La dialisi ha valore trascurabile nel trattamento del sovradosaggio acuto di lidocaina e tetracaina. A causa del lento assorbimento sistemico, un paziente con sintomi di tossicità deve essere tenuto in osservazione per alcune ore in modo da poter verificare lo sviluppo della sintomatologia. 5 PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: anestetici, locali; amìdi, codice ATC: N01BB52 Meccanismo d’azione Pliaglis determina una anestesia dermica locale se applicato sulla pelle intatta attraverso il rilascio di lidocaina e tetracaina negli strati epidermico e dermico della pelle con accumulo di lidocaina e tetracaina nell’area dei recettori del dolore cutaneo e delle terminazioni nervose. Sia la lidocaina che la tetracaina bloccano i canali ionici per il sodio, condizione necessaria per l’invio e la conduzione dell’impulso, determinando quindi anestesia locale. Il grado di anestesia dipende dal tempo di applicazione. Effetti farmacodinamici In uno studio clinico di farmacodinamica (test con puntura di spillo, N=40) la durata media e mediana dell’anestesia sono risultate essere 9.4 e 11 ore rispettivamente, con una durata minima di 2 ore e una durata massima stimata di 13 ore. Efficacia e sicurezza clinica L’efficacia e la sicurezza di Pliaglis prima di diverse procedure dermatologiche sono state valutate in 12 studi clinici di Fase III, randomizzati, in doppio cieco, controllati verso placebo, su un totale di 600 pazienti adulti. Pliaglis e placebo sono stati applicati su 2 aree di trattamento comparabili per un tempo di 30 minuti prima di procedure dermatologiche inclusi l’iniezione di filler dermici, la rimozione di peluria laser-assistita, il resurfacing con laser non ablativo, la terapia con laser pulse-dye (2 studi con 20 minuti di applicazione) e per l’accesso vascolare. La crema è stata applicata per un tempo di 60 minuti per la rimozione di tatuaggi laser-assistita e per l’ablazione laser di vene varicose alle gambe. Il trattamento con Pliaglis rispetto a placebo ha prodotto in tutti Tabella 1: Riassunto degli studi clinici di Fase III condotti con Pliaglis

Procedure dermatologiche 20 o 30 Minuti di Applicazione Terapia con laser Pulsed Dye (20’, studio 1) Terapia con laser Pulsed Dye (20’, studio 2) Rimozione di peluria laser assistita (30’) Resurfacing mediante laser non ablativo (30’,studio 1) Resurfacing mediante laser non ablativo (30’,studio 2) Iniezioni dermiche di filler (30’) Iniezioni di collagene (30’) Accesso vascolare (studio 1) Accesso vascolare (studio 2) Applicazione di 60 minuti Rimozione di tatuaggi laser assistita (studio 1) Rimozione di tatuaggi laser assistita (studio 2) Ablazione di vene varicose laser assistita

Numero dei pazienti VAS (mm) media con Pliaglis

VAS (mm) media con placebo

P-value (Pliaglis vs. placebo)

80 60 50 54

16 16 23 21

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gli studi (eccetto lo “studio 1” sull’accesso vascolare) una riduzione del dolore statisticamente significativa, tramite misurazione con una Scala Visuo Analogica (VAS) di 100 mm valutata dai pazienti. Popolazione pediatrica L’Agenzia Europea per i Medicinali ha previsto l’esonero dall’obbligo di presentare i risultati degli studi con Pliaglis in tutti i sottogruppi della popolazione pediatrica per anestesia locale (vedere paragrafo 4.2 per informazioni sull’uso pediatrico). 5.2 Proprietà farmacocinetiche Assorbimento: L’esposizione sistemica delle due sostanze attive dipende dai dosaggi, dalla durata dell’applicazione, dallo spessore della pelle (variabile nei diversi distretti corporei) e dalla condizione della pelle. Negli adulti, l’applicazione di 59g di Pliaglis su 400 cm2 per 120 minuti determina un picco medio della concentrazione plasmatica di lidocaina di 139ng/mL con un picco massimo della concentrazione plasmatica di 220ng/ml. L’esposizione sistemica alla lidocaina, misurata da Cmax e AUC0-24 era proporzionale all’area di applicazione e aumentava con un tempo di applicazione fino a 60 minuti. La Cmax era proporzionale all’area di superficie corporea coperta; con 2.5% di copertura (400 cm2) per 30 minuti si otteneva una concentrazione massima di lidocaina di circa 60ng/ml. I livelli plasmatici nell’adulto di tetracaina non erano misurabili (<0.9ng/ml). Distribuzione: In seguito a somministrazione intravenosa a volontari sani, il volume di distribuzione allo stato stazionario è circa da 0.8 a 1.3 l/kg. Circa il 75% della lidocaina si lega a proteine plasmatiche (principalmente glicoproteina alfa-1-acida). I volumi di distribuzione e il legame con le proteine non sono stati determinati per la tetracaina in seguito alla sua rapida idrolisi nel plasma. Metabolismo ed eliminazione: LLa lidocaina è principalmente eliminata dal metabolismo. La conversione a monoetilglicinexilidide (MEGX) e in seguito a glicinexilidide (GX) è mediata soprattutto da CYP1A2 e in misura minore da CYP3A4. MEGX è anche metabolizzato a 2,6-xilidina. La 2,6-xilidina è in seguito metabolizzata da CYP2A6 a 4-idrossi-2,6-xilidina che costituisce il principale metabolita nelle urine (80%) ed è escreto così coniugato. Il MEGX possiede una attività farmacologica simile alla lidocaina mentre il GX possiede attività farmacologica minore. La tetracaina subisce una rapida idrolisi dalle esterasi plasmatiche. I principali metaboliti della tetracaina sono l’acido para-aminobenzoico e il

dietilaminoetanolo, entrambi possiedono un’attività non specificata. La misura in cui la lidocaina e la tetracaina sono metabolizzate nella pelle non è nota. La lidocaina e i suoi metaboliti sono escreti dai reni. Più del 98% di un dosaggio assorbito di lidocaina può essere ritrovato nelle urine sotto forma di metaboliti o forme similari. Meno del 10% della lidocaina è escreta immodificata negli adulti e circa il 20% è escreta immodificata nei neonati. La clearance sistemica è circa 8 – 10 ml/min/kg. L’emivita di eliminazione dal plasma della lidocaina dopo somministrazione intravenosa è di circa 1.8 ore. L’emivita di eliminazione dal plasma della lidocaina dopo 30 minuti di applicazione topica di 9g (200cm2) di Pliaglis è fino a 12.1 ore che indica un deposito di lidocaina nella pelle con successivo rilascio del farmaco nella circolazione sistemica. L’emivita e la clearance della tetracaina non sono state identificate nell’uomo, ma l’idrolisi nel plasma è rapida. Anziano Nessuno studio di farmacocinetica specifico è stato condotto in pazienti con alterata funzionalità cardiaca, renale o epatica. L’emivita della lidocaina può essere maggiore in pazienti con disfunzione cardiaca o epatica. Non vi è un dato di emivita per la tetracaina a causa della sua rapida idrolisi nel plasma. Alterata funzionalità cardiaca, renale ed epatica Nessuno studio di farmacocinetica specifico è stato condotto in pazienti con alterata funzionalità cardiaca, renale o epatica. L’emivita della lidocaina può essere maggiore in pazienti con disfunzione cardiaca o epatica. Non vi è un dato di emivita per la tetracaina a causa della sua rapida idrolisi nel plasma. 5.3 Dati preclinici di sicurezza I dati preclinici non rivelano rischi particolari per l’uomo sulla base di studi convenzionali di safety pharmacology, tossicità a dosi ripetute, genotossicità, potenziale cancerogeno, tossicità della riproduzione e dello sviluppo. Tossicologia riproduttiva Lidocaina: nessun effetto sulla fertilità maschile e femminile si è osservato nel ratto. In studi di sviluppo embrio/fetale condotti nel ratto e nel coniglio con dosi di farmaco durante l’organogenesi, non si sono osservati effetti teratogenici. Tuttavia, gli studi sull’animale sono incompleti in merito agli effetti sulla gravidanza, sul parto e sullo sviluppo postnatale. Tetracaina: nessun effetto sulla fertilità si è osservato nel ratto. In studi di sviluppo embrio/fetale condotti nel ratto e nel coniglio con dosi di farmaco durante l’organogenesi, non si sono osservati effetti teratogenici. Nessun effetto si è osservato nella progenie di ratti trattati con una dose tossica durante la gravidanza avanzata e l’allattamento. Non essendoci dati sull’esposizione sistemica nel ratto, non può essere fatta una comparazione con l’esposizione nell’uomo. Lidocaina e tetracaina: in studi di sviluppo embrio/fetale condotti con dosi di farmaco durante l’organogenesi, non si sono osservati effetti teratogeni. Genotossicità e carcinogenicità Gli studi sulla genotossicità della lidocaina e della tetracaina sono negativi. La carcinogenicità della lidocaina e della tetracaina non sono state studiate. Il metabolita della lidocaina 2,6-xilidina ha potenziale genotossico in vitro. In uno studio di carcinogenicità condotto sul ratto con esposizione alla 2,6-xilidina in utero e post-nascita e per tutta la durata del ciclo vitale, si sono osservati tumori nella cavità nasale, nel sottocutaneo e nel fegato. La rilevanza clinica di tumori osservati con l’uso di lidocaina nel breve termine, uso intermittente e uso topico non è nota. Tenendo in considerazione la breve durata del trattamento con Pliaglis, non sono attesi effetti carcinogenici. 6 INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti Calcio idrogeno fosfato, anidro Acqua purificata Polyvinyl alcohol Paraffina, bianca morbida Sorbitano monopalmitato Metil paraidrossibenzoato (E218) Propil paraidrossibenzoato (E216) 6.2Incompatibilità Non pertinente. 6.3 Periodo di validità 2 anni 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Conservare in frigorifero (2°C-8°C), anche dopo l’apertura. Non congelare. Una volta aperto, deve essere utilizzato entro 3 mesi. Si raccomanda di scrivere sulla confezione la data di apertura del prodotto. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Tubo laminato con testa HDPE ed un tappo a vite di polipropilene. I tubi contengono 15g o 30g. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione Il medicinale non utilizzato ed i rifiuti derivati da tale medicinale devono essere smaltiti in conformità alla normativa locale vigente. 7 TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Difa Cooper spa Via Milano 160 – 21042 Caronno Pertusella (VA) 8 NUMERO(I) DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO PLIAGLIS “70 mg/g + 70 mg/g crema”, tubo 15 g - AIC n.041546019 PLIAGLIS “70 mg/g + 70 mg/g crema”, tubo 30 g - AIC n.041546021 9 DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE Settembre 2012 10 DATA DI REVISIONE DEL TESTO Settembre 2019


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Fotografia clinica del volto: linee guida e raccomandazioni

Liana Zorzi

D Una valida documentazione fotografica può tornare utile allo specialista per presentare al paziente i risultati del trattamento estetico ma può rivelarsi anche un mezzo di tutela in ambito medico-legale. In medicina estetica, l’importanza della fotografia clinica non è mai sufficientemente enfatizzata, specie per la necessità di standardizzazione. Oltre ad essere considerata mezzo di protezione medico-legale, la fotografia clinica è utile allo specialista nella pianificazione delle procedure, nella presentazione dei casi clinici ai congressi ma anche come efficace strumento di marketing per documentare i risultati al paziente. Tuttavia, la qualità della fotografia clinica, comparabile e standardizzata ad ogni visita del paziente, è talvolta sottovalutata anche dal professionista. Invece, per valutare oggettivamente l’esito di qualsiasi trattamento o per registrare qualsiasi cambiamento “prima e dopo”, anche solo piccoli cambiamenti nel posizionamento del paziente durante la documentazione fotografica o una variazione dello sfondo possono causare cambiamenti dra-

stici nell’aspetto di alcuni parametri. I parametri della fotografia clinica di qualità Prima di entrare nel merito, è bene sottolineare la questione dell’uso degli smartphone nella fotografia clinica. Se alcuni autori (1) ne sconsigliano l’uso soprattutto a causa della distorsione indotta dall’obiettivo e difficoltà di illuminazione, altri evidenziano il problema della privacy – i pazienti si sentono più tutelati se le foto sono scattate da fotocamere – e dell’archiviazione delle foto (2). Scelta della fotocamera La fotocamera più adatta alla fotografia clinica 2D è una digitale reflex a obiettivo singolo (D-SLR) a 5 megapixel che permette di modificare parametri come il diaframma, il tempo di posa e l’esposizione, le tre variabili più importanti in fotografia. Nella modalità “Auto”, la fotocamera decide questi parametri in base all’illuminazione dell’ambiente circostante. È consigliabile scattare alcune foto di prova per decidere il diafram-

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ma e il tempo di posa ottimali. Se si decide per la fotografia 3D, ideale nella documentazione dell’aging del volto, esistono molteplici sistemi di imaging da collegare al proprio computer direttamente alla cartella clinica del paziente, dotati di flash incorporato. Si tratta di sistemi che permettono di ottenere tre acquisizioni facciali che vengono automaticamente elaborate dal software in un’unica immagine 3D, consentendo al medico di valutare i contorni, le alterazioni cromatiche, quantificare le condizioni della pelle, valutare la differenza di volume, prima e dopo le procedure. Sia nella fotografia 2D che 3D, la fotocamera deve essere posizionata in cima a un treppiede in una posizione fissa. Infine, uno dei pilastri della fotografia clinica del volto è scattare una serie di cinque fotografie per ogni paziente, una frontale, due oblique e due laterali destra e sinistra. Lenti Le fotocamere D-SLR consentono di applicare obbiettivi diversi classificati in base alla lunghezza focale, definita in millimetri, ovvero alla distanza tra il centro ottico


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ca dei pazienti, che abbia sempre lo stesso sfondo e permetta al paziente di mettersi sempre nelle stesse posizioni. Lo sfondo dovrebbe avere una superficie: > > uniforme; > > neutra; > > non riflettente; > > monocromatica (bianco, grigio o blu).

dell’obbiettivo e il sensore digitale per avere il soggetto a fuoco. L’utilizzo di lenti a distanza focale fissa offre il vantaggio della coerenza delle immagini. Se si preferisce invece l’utilizzo di lenti zoom, è necessario assicurarsi che venga utilizzata la stessa lunghezza focale ogni volta che si fotografa il paziente. A tal scopo è consigliabile annotare nella scheda clinica del paziente i parametri fotografici usati per garantire la comparabilità nelle visite successive. Illuminazione È il fattore più importante, deve essere uniforme per garantire la coerenza della fotografia. L’utilizzo di un unico flash montato sulla fotocamera può produrre una luce molto luminosa che scurisce i dettagli più fini della pelle e altera colore e tono della pelle.

Pertanto, per le procedure di ringiovanimento del viso, è preferibile: >> evitare il flash diretto; >> usare una luce morbida, uniforme, diffusa, priva di ombre e linee nitide (con ombrelli, un lampeggiatore o due soft boxes posizionate dietro a chi fotografa) per catturare l’arrossamento e la pigmentazione del viso; >> posizionare le sorgenti di flash a 45° rispetto al paziente, dettaglio fondamentale perchè se sono posizionate a 90° l’ombreggiatura risultante può accentuare caratteristiche come il solco nasale; >> essere a conoscenza che la luce ambiente può influenzare la fotografia e distorcere la tonalità della pelle. Sfondo Fondamentale è avere uno spazio fisso dedicato alla fotografia clini-

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Posizione del paziente Sebbene alcuni autori (3), allo scopo di raggiungere la riproducibilità richiesta dalla fotografia clinica, rilevino l’utilità di un dispositivo che permette al paziente di appoggiare il mento, altri (4) rilevano l’innaturalità e quindi l’alterazione della posizione del collo che può influenzare l’interpretazione fotografica. Secondo questi autori, l’estensione del collo o la sporgenza in avanti della testa possono apparentemente migliorare la mascella e ridurre l’aspetto dei tessuti molli submentali. Pertanto, il paziente deve essere posizionato seduto su sedia non reclinabile o sgabello, a circa 30 cm dallo sfondo e con le mani sulle ginocchia. Le fotografie devono essere scattate in: > > Vista frontale. Il paziente guarda l’obbiettivo, mentre sul display a griglia nel mirino della fotocamera viene individuato il “piano di Francoforte”, la linea che passa attraverso il margine orbitale inferiore e il margine superiore di ciascun meato uditivo esterno. Questo piano è scelto perché il margine orbitale inferiore è un punto di riferimento osseo facilmente palpabile e facilmente identificabile. > > Vista laterale obliqua sinistra e destra. Dalla vista frontale, vie-


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TIPS & TRICKS PER DOCUMENTARE I RISULTATI DI TRATTAMENTI ESTETICI > Trattamenti con botulino Linee glabellari: chiedere al paziente di alzare le sopracciglia e scattare la foto in vista frontale di tutto il volto. Ritidi periorbitali laterali: chiedere al paziente di sorridere, scattare la foto in vista obliqua e laterale. L’illuminazione qui è fondamentale: evitare luci frontali e molto luminose. Massetere: lo sfondo è di estrema importanza per mettere in evidenza il contorno del massetere. Foto in vista frontale, sfondo di colore in contrasto con la pelle del paziente, far rimuovere accessori e raccogliere i capelli. Rughe sopra-glabellari: vista frontale, chiedere al paziente di aggrottare le sopracciglia. Sopracciglia: nel “lifting chimico del sopracciglio”, foto in vista frontale e vista obliqua. Platysma: vista frontale, includendo la testa e il collo, e le bande platismali, scattare una fotografia in posizione neutra e rilassata, e l’altra con il platisma contratto che evidenzia le bande cutanee. Lo stesso deve essere ripetuto nella vista laterale. > Trattamenti con filler Possono essere sufficienti fotografie in vista frontale e obliqua per documentare le sottili differenze prima e dopo le iniezioni di filler nei punti più comuni (piega naso-labiale, fronte, labbra). In caso di aumento delle labbra con filler, chiedere al paziente di mantenere sia un’espressione neutra sia con il broncio.

ne chiesto al paziente di girarsi di 45° rispetto al fotografo e di guardare dritto in avanti. Anche in questo caso, il piano di Francoforte va tenuto orizzontale e il paziente guarda avanti. Evitare l’errore di chiedere al paziente di girare solo il viso di 45°. > > Vista laterale sinistra e destra. Dalla vista frontale, con tutto il corpo del paziente ruotato di 90° in modo da allineare la punta nasale e il mento. In questa posizione, la testa deve essere nella sua posizione anatomica senza alcuna inclinazione laterale, flessione o estensione. Il sopracciglio

controlaterale non deve essere visibile. Al paziente viene chiesto di guardare dritto davanti a sé e di assumere un’espressione neutra del viso, mantenendo una posizione della testa rilassata e naturale, a meno che non si tratti di valutare le contrazioni muscolari.

Liana Zorzi Giornalista scientifica

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Bibliografia 1. Nair AG, Santhanam A. Clinical Photography for Periorbital and Facial Aesthetic Practice. J Cutan Aesthet Surg. 2016;9(2):115-121. 2. Natarajan S, Nair AG. Outsmarted by the smartphone! Indian J Ophthalmol. 2015 Oct;63(10):757-8. 3. Nirmal B, Pai SB, Sripathi H. A simple instrument designed to provide consistent digital facial images in dermatology. Indian J Dermatol. 2013;58:194-6. 4. Sommer DD, Mendelsohn M. Pitfalls of nonstandardized photography in facial plastic surgery patients. Plast Reconstr Surg. 2004;114:10-4.



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Nuova Scleroderma Unit: Gils amplia l’assistenza sul territorio nazionale D Il progetto Scleroderma Unit nasce nel 2014 con l’intento di porre l’ammalato e i suoi bisogni al centro dell’attenzione e per dargli la possibilità di accedere con corsia preferenziale a un’assistenza guidata da un’équipe specialistica che possa favorire la diagnosi precoce e l’ottimizzazione del follow-up e di un percorso terapeutico personalizzato. Grazie all’accordo tra il Gils e l’Azienda ospedaliera ordine Mauriziano di Torino è stata annunciata la dodicesima Scleroderma Unit sul territorio nazionale. I Gruppo italiano per la lotta alla sclerodermia, Gils, continua il suo impegno nell’assistenza ai malati di sclerosi sistemica, la cui diagnosi precoce e il follow-up terapeutico sono tra i primi alleati per il trattamento di questa patologia autoimmune. Sotto la guida dalla dottoressa Claudia Lomater – dirigente responsabile della SSD Reumatologia – la nuova Scleroderma Unit si prefigge di migliorare la qualità di vita dei malati fornendo il più alto standard di assistenza clinica, favorendo l’accesso alle cure e promuovendo corsi di educazione alla malattia per i pazienti e i loro familiari, con un ambulatorio dedicato alle persone affette da sclerosi sistemica e un team specializzato e integrato in una realtà multidisciplinare. Secondo Carla Garbagnati Crosti, presidente del Gils, in questo periodo di criticità assistenziale dovuta all’emergenza Covid-19, questa nuova convenzione permette di ridare speranza agli ammalati grazie a un’assistenza dedicata e specializzata sul territorio. «Proprio perché durante gli ultimi

mesi molte cure e terapie sono state annullate oppure posticipate, il Gils vuole dare un forte segnale di vicinanza ai pazienti poiché siamo consapevoli di quanto la diagnosi precoce e un corretto trattamento siano fondamentali per migliorare il decorso della patologia» commenta il presidente. Il progetto è in linea sin dalla sua nascita con le più moderne tendenze nei modelli di presa in carico delle patologie croniche. Si potrebbe dire che abbia anticipato tali tendenze nell’ambito della patologia specifica. Tutti gli elementi fondamentali per una presa in carico efficace del paziente, dalla definizione dei bisogni, alla gestione centrata sul paziente, alla definizione di un percorso assistenziale per la cro-

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nicità in rete con i medici di medicina generale e i medici specialisti ambulatoriali che operano sul territorio rientrano nell’ambito delle attività condotte dalla Scleroderma Unit. Questa gestione integrata permette dal lato degli utenti l’erogazione di interventi dedicati, la gestione complessiva della patologia, l’interazione con un team specialistico all’interno di un percorso definito e dal lato degli operatori lo sviluppo di conoscenze e competenze e l’integrazione multidisciplinare e multiprofessionale. A livello di sistema inoltre sono promosse l’appropriatezza nell’uso delle tecnologie e dei farmaci. Lara Romanelli



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Covid-19 anche sulla pelle: sei campanelli d’allarme

Ketty Peris

D L’infezione da Sars-Cov-2 può essere causa di manifestazioni a livello cutaneo. Lo conferma lo studio italiano pubblicato sul Journal of the American of Dermatology, condotto con il supporto della Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse (Sidemast) e coordinato dal professor Angelo Valerio Marzano, professore di Dermatologia e direttore della Scuola di Dermatologia e Venereologia dell’Università degli Studi di Milano nonché primo paziente ricoverato per Covid-19 a Milano nel febbraio 2020, dopo il paziente 1 di Codogno. Non solo i sintomi della tosse, bronchite e polmonite. Il Covid-19 può produrre anche alterazioni cutanee associate a diversi stadi della malattia. Manifestazioni che possono essere facilmente confuse con varicella, orticaria, eruzione morbilliforme, vasculite, livido reticularis e geloni. È dunque importante prestare attenzione. «Fin dall’inizio della pandemia – ha spiegato la professoressa Ketty Peris, presidente Sidemast e direttrice dell’Uoc Policlinico Gemelli di Roma – Sidemast si è attivata portando avanti diversi studi scientifici focalizzati su malattie cutanee e infezione da SarsCov-2 e svolgendo numerose attività di supporto per i pazienti affetti da malattie della pelle. Lo studio del pro-

fessor Marzano conferma che la cute può essere la spia di una infezione da Sars-Cov 2 quindi è importante controllare ancora di più la nostra pelle, poiché potrebbe avvisarci in maniera tempestiva su quanto stia accadendo nel nostro organismo e darci la possibilità di muoverci in anticipo, aiutarci a fare una diagnosi precoce ed evitare possibili ulteriori contagi». Lo studio scientifico È stato condotto su 200 pazienti in tutta Italia, in 21 Centri di dermatologia italiani, e costituisce il terzo studio per numero di pazienti osservati a livello mondiale. L’obiettivo è stato quello di correlare statisticamente i sei specifici quadri cutanei con la gravità della malattia Covid-19 e con i suoi sintomi. Le indagini sono state condotte nella prima fase della pandemia, nel mese di marzo 2020. I parametri presi in considerazione sono stati: sesso, età al momento dell’insorgenza della malattia, presenza o assenza di comorbilità, manifestazioni cutanee, presenza o assenza di lesioni mucose, durata delle manifestazioni cutanee e sintomi sistemici, gravità della patologia. Ogni centro partecipante allo studio ha fornito ai ricercatori dati sulla base di alcuni criteri: maggiore età,

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positività confermata in laboratorio o fortemente sospetta, presenza di manifestazioni cutanee da Covid-19 confermate da un dermatologo esperto. La gravità dell’infezione da coronavirus è stata poi classificata secondo quattro livelli: stato asintomatico, gravità lieve, moderato, grave. I pazienti presi in esame sono stati prevalentemente maschi, 54%, con una età media al momento della diagnosi di 57 anni. Sono risultati asintomatici 31 pazienti, il 15,5%, mentre 51 presentavano una forma lieve della malattia, ovvero il 25,5 %. Il 47.5%, invece, aveva una forma moderata (circa 95 pazienti) e l’11,5% (23 pazienti) aveva una forma severa. Inoltre, 86 dei 195 pazienti (con dati disponibili 43%) avevano manifestato almeno una comorbilità. Le percentuali dei fenotipi cutanei individuati sono: orticarioide 13,2%, erimatosa e morbilliforme 27,4%, simile a varicella 16,2%, geloni 25,4%, ecchimosi 3,6%, vasculite 10,7%. «La durata media delle manifestazioni cutanee osservate – ha affermato


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COVID-19: LE COMPLICANZE DERMATOLOGICHE

Covid-19. Tuttavia, alcuni tipi di lesioni cutanee sembrano associarsi a una specifica modalità di presentazione della malattia. Ad esempio, l’eruzione orticarioide sembra associarsi più frequentemente con le manifestazioni gastrointestinali da Covid-19. Il pattern maculo-papulare/morbilliforme, invece, si associa più frequentemente alla presenza di tosse mentre la porpora vasculitica/livedo reticularis si associa significativamente a dispnea.

Professoressa Peris, in particolare come si presentano i sei segnali che rappresentano i campanelli d’allarme nella correlazione tra cute e Covid-19? Il coinvolgimento cutaneo in corso di Covid-19 si può presentare attraverso un ampio spettro di lesioni, tuttavia sono stati identificati sei specifici pattern più tipicamente associati a questa infezione. Il più frequente di questi è l’eruzione maculo-papulare/morbilliforme (26% dei casi), seguita dal pattern simil eritema pernio localizzato in regione acrale (25%). Il rash morbilliforme consiste nella comparsa di piccole macchie rossastre tondeggianti che confluiscono tra loro, mentre l’eritema pernio, anche detto gelone, identifica una lesione eritematosa, tumefatta che si localizza classicamente a livello delle dita. Tra le manifestazioni cutanee tipiche della malattia Covid-19 sono inclusi anche l’esantema papulo-vescicolare (16%), l’eruzione orticarioide (10%), la porpora vasculitica (7%), che corrisponde a un’infiammazione dei piccoli vasi sanguigni responsabile di stravaso ematico con colorazione blu-violacea delle aree colpite, e la più rara livedo reticularis (2%) che consiste in un reticolo blu-rossastro localizzato più spesso agli arti inferiori. In una minore percentuale di casi, si sono osservati più tipologie di manifestazioni cutanee concomitanti. La sintomatologia cutanea più spesso riferita è il prurito, seguita da bruciore e dolore.

È possibile che determinate manifestazioni cutanee (geloni piuttosto che vasculite) siano più frequenti nei giovani o negli anziani? Se sì, quali e in che modo? Si è osservata una netta influenza dell’età dei pazienti sulla tipologia di manifestazione cutanea sviluppata. Infatti, il pattern acrale di eritema pernio si presenta molto più spesso nei soggetti giovani che in quelli anziani. Gli studi clinici riferiscono un’età media di 38 anni dei soggetti che hanno sviluppato tale pattern, mentre il resto dei pattern cutanei, considerati nel loro complesso, si associano ad un’età media di 60 anni. Inoltre, è importante sottolineare come, indipendentemente dall’età, l’eritema pernio è la manifestazione che si associa a un ridotto rischio di sviluppare una forma severa di Covid-19. Quindi, questo tipo di manifestazioni cutanee hanno anche un valore prognostico a differenza di altri pattern come la livedo reticularis e la porpora vasculitica che sono riconosciute soltanto come manifestazioni più frequentemente osservate in età avanzata (in media 66 anni).

In che misura si presentano nelle persone con Covid-19? In base alla raccolta dati promossa dalla Sidemast, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati su una prestigiosa rivista del settore, si stima che le manifestazioni cutanee Covid-19-correlate si presentino nell’8% dei casi circa. Non è stata dimostrata una correlazione tra la presenza di manifestazioni cutanee e la severità della malattia

il professor Marzano – è stata di 12 giorni. Quella dei geloni è stata di 22 giorni. Abbiamo poi rilevato che i geloni erano il sintomo prevalente tra i giovani ed erano associati a una manifestazione quasi sempre asintomatica del virus, mentre tutti gli altri fenotipi erano collegati a una forma più o meno severa». «A questo proposito –

Quali sono le zone del corpo più interessate da questo tipo di manifestazioni? Considerando la maggiore frequenza del rash morbilliforme e dell’eritema pernio nei diversi studi finora riportati, si può affermare che le aree più colpite siano il tronco (nel circa 67% dei casi) con coinvolgimento, seppur in percentuali inferiori, degli arti superiori ed inferiori.

ha aggiunto Marzano – due importanti lavori condotti in precedenza a livello internazionale avevano dato come assunto il fatto che le lesioni della pelle più importanti fossero correlate a una forma più grave di coronavirus, stabilendo quindi una proporzione diretta tra sintomi cutanei aggressivi e gravità del Covid-19. Una corrispondenza

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che invece, in base ai nostri studi, non esiste: non c’è alcuna correlazione tra gravità della manifestazione cutanea e quella della malattia da Sars Cov-2. Piuttosto la correlazione esiste tra aumento dell’età e aumento della gravità della malattia». Lucia Oggianu


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Telemedicina nella gestione delle malattie infiammatorie croniche D Diagnosi e continuità terapeutica, al tempo del Covid-19, sono a rischio per chi soffre di malattie infiammatorie croniche, come psoriasi, artrite psoriasica e artrite reumatoide. L’impossibilità di spostarsi o la difficoltà di recarsi nelle strutture sanitarie mettono a rischio la salute di questi pazienti, rallentando l’accesso alle prime cure o pregiudicando la continuità terapeutica. È una condizione che in Italia riguarda milioni di cittadini con patologie infiammatorie croniche, tra questi, quasi 2.500.000 le persone affette da psoriasi, il 30% dei quali anche con artrite psoriasica, e circa 350.000 pazienti con artrite reumatoide. La telemedicina offre un grande contributo nel riequilibrare questa situazione: nasce così la piattaforma “Ci vediamo da te”, sviluppata da Welmed in collaborazione con

Amgen Italia, azienda biotecnologica, rivolta a medici e pazienti nell’area delle malattie infiammatorie. La piattaforma si presenta ricca di funzionalità innovative, in grado di integrare le prestazioni di specialistica ambulatoriale, con vere e proprie visite e consulti a distanza. «Con la difficoltà di accesso a visite e trattamenti dovuta alla pandemia, questo periodo è stato duro per i pazienti reumatici ma almeno ha avuto il merito di stimolare la messa a punto di nuove soluzioni terapeutico-organizzative», dichiara Silvia Tonolo, presidente Anmar, Associazione nazionale malati reumatici. Le piattaforme di telemedicina sono oggi indispensabili per garantire, in periodi di emergenza come quello attuale, la cura a pazienti impossibilitati a spostarsi e prefigurano un modello assi-

stenziale innovativo e promettente nel quale paziente, medico curante e specialista reumatologo possono interagire a distanza, in modo molto efficace. «La continuità del rapporto con il medico è un fattore decisivo per garantire al paziente cronico un percorso terapeutico efficace e la telemedicina può contribuire notevolmente a salvaguardarla» sottolinea Valeria Corazza, presidente Apiafco, Associazione psoriasici italiani Amici della Fondazione Corazza. Nella gestione di malattie infiammatorie croniche, come la psoriasi, strumenti evoluti di medicina a distanza consentono al medico di monitorare sia l’evoluzione della patologia sia l’effettiva aderenza alla terapia da parte del paziente e allo stesso tempo rassicurano il paziente stesso, consolidando la sua determinazione a proseguire correttamente nelle cure. “Ci vediamo da te” consente controlli periodici ai pazienti affetti da patologie infiammatorie, mettendo gli operatori sanitari in condizione di scambiare prescrizioni, referti, diagnostica e piani terapeutici, nonché di pianificare in modo efficace le visite in presenza. È inoltre accessibile da qualsiasi dispositivo, pc, smartphone o tablet e non richiede nessuna installazione né integrazioni con i sistemi informatici della struttura che eroga le prestazioni sanitarie. Lara Romanelli

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ATTUALITÀ IN DERMATOLOGIA

Inquinamento e tumori della pelle: maggiore incidenza al Nord D Di tumori della pelle si muore più al Nord che al Sud. Le cause sono da ricercare non solo nell’esposizione violenta al sole o nella scelta di cattivi solari e al loro cattivo uso ma anche nell’inquinamento, con l’emissione di diossine e polveri sottili, molto più concentrate nelle aree industrializzate del Italia. É quanto ha affermato il professor Piergiacomo Calzavara-Pinton, direttore della Clinica dermatologica dell’Università degli studi di Brescia, al recente 94esimo congresso nazionale Sidemast. Dal 1980 al 2015, ha spiegato l’esperto, l’incidenza del melanoma è passato da 5 casi per 100mila abitanti a più di 35 casi per 100mila abitanti in Veneto e in Lombardia, mentre l’aumento riscontrato in Calabria e in Sicilia è da 3 casi a 10 su 100mila. Secondo il professor Calzavar-Pinton la differenza di incidenza è dovuta in gran parte al fatto che al Sud le persone siano mediamente di carnagione più scura, più abituate ad essere esposte gradualmente al sole e l’impatto con i raggi solari è meno violento rispetto a quello delle popolazioni del Nord. È anche vero che nel Nord Italia non tutti hanno la carnagione chiara. È possibile che altri fattori contribuiscano a determinare una maggiore incidenza del melanoma al Nord e tra questi fattori possiamo individuare alcune sostanze presenti nell’inquinamento ambientale come polveri sottili, diossine e PCB. Il sole resta comunque l’elemento maggiormente determinante in questa curva ascendente e per questo proteggersi è un obbligo e dobbiamo im-

parare a usare bene i solari: «La verità è che non sappiamo proteggerci dal sole – aggiunge il professore – come dimostra il fatto che paradossalmente nonostante si vendano più solari, i tumori sono in aumento. Il problema è che vengono scelti e utilizzati male e spesso si acquistano prodotti scadenti». Occorre quindi spiegare come applicarli e insistere nel far comprendere l’importanza del fattore di protezione che deve essere elevato non solo per gli UVB ma anche contro gli UVA. Prevenire la comparsa di un tumore della pelle è fondamentale ma è altrettanto importante una diagnosi precoce. La loro prognosi, sia che si tratti di melanomi che di carcinomi è strettamente collegata al loro spessore e quindi in ultima analisi al tempo

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che è trascorso dalla loro comparsa alla diagnosi corretta. Da qui il ruolo fondamentale del dermatologo, che non dovrebbe solo consigliare i solari e le giuste strategie di fotoprotezione, ma anche essere coinvolto attivamente nel controllo di prevenzione soprattutto di pazienti con caratteristiche di rischio come cute chiara, precedenti intense esposizioni, segni di danno solare cronico, numerosi nevi, familiarità per melanoma, oppure nel caso di comparsa di nuove lesioni. «Se potenziamo la capillarità dell’assistenza dermatologica e miglioriamo l’accessibilità dei servizi, garantiremo al paziente non solo la vita ma anche una qualità di vita migliore» conclude l’esperto. Lara Romanelli



ATTUALITÀ IN DERMATOLOGIA

Covid-19, studio Cnr conferma l’effetto di mitigazione estivo D Esiste un effetto stagionale estremamente significativo nella diffusione e gravità del Covid-19 in Italia. A dimostrarlo è un lavoro pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health che si basa su un’analisi quantitativa dei dati, firmato tra gli altri da Antonio Coviello e dall’associato Renato Somma dell’Istituto di ricerca su innovazione e servizi per lo sviluppo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iriss). «Dopo i drammatici picchi di contagio e decessi dei mesi iniziali dell’epidemia, a partire da maggio il decorso della malattia è stato estremamente più mite. Questa osservazione – che insieme al calo drastico dei contagi nei mesi estivi di giugno e luglio ha dato adito ad accese dispute, tra chi sosteneva la necessità di mantenere alto il livello di precauzione e chi, al contrario, sosteneva il depotenziamento del virus – è stata per la prima volta quantificata statisticamente a livello nazionale – osserva Coviello –. Lo studio ha analizzato in maniera sistematica, da aprile ad agosto 2020, il rapporto tra terapie intensive e casi attivi e quello tra decessi e casi attivi. Due indicatori estremamente significativi nello studio dell’aggressività della malattia. Entrambi questi rapporti calano bruscamente a partire da maggio e, all’inizio di agosto, raggiungono valori quasi 20 volte minori rispetto al picco di inizio aprile». «Questi rapporti, sebbene influenzati dal continuo aumento dei tampo-

luglio, dopo le riaperture totali effettuate in Italia dall’inizio di giugno». Il calo estivo è attribuito, nello studio, a due fattori fondamentali: l’effetto fortemente sterilizzante dei raggi solari ultravioletti sul virus e la nota stagionalità della risposta immunitaria, che in estate è più efficace e meno infiammatoria. «Nella fase grave, Covid-19 si comporta essenzialmente come una malattia autoimmune, in cui i danni maggiori agli organi bersaglio, in primis i polmoni, sono generati dalla risposta infiammatoria del sistema immunitario nota come tempesta di citochine – spiega Lorenzo De Natale dell’Università di Napoli –. Infine, il lavoro analizza i trend di contagi in Italia nel periodo da fine agosto a fine ottobre «confermando l’effetto di mitigazione estivo con l’osservazione che da settembre, assieme ai contagi, sono risaliti anche i rapporti tra terapie intensive e casi attivi e tra decessi e casi attivi, nonostante il numero di tamponi costantemente in crescita» conclude Coviello. ni, a un’analisi statistica accurata risultano comunque significativamente minori nei mesi estivi in cui, oltre a essere drasticamente diminuiti i contagi, anche il decorso della malattia è stato molto più mite – precisa Somma –. Questo effetto è in totale contrapposizione con quanto prevedevano, a maggio, i gruppi internazionali di epidemiologia che arrivavano a ipotizzare migliaia di decessi giornalieri e oltre 150.000 pazienti bisognosi di terapie intensive entro

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Andrea Peren Giornalista scientifico Bibliografia De Natale G, De Natale L, Troise C, Marchitelli V, Coviello A, Holmberg KG, Somma R. The Evolution of Covid-19 in Italy after the Spring of 2020: An Unpredicted Summer Respite Followed by a Second Wave. Int J Environ Res Public Health. 2020 Nov 24;17(23):8708.


ATTUALITÀ IN DERMATOLOGIA

Calendario 2021: appuntamenti con la dermatologia D 95° Congresso Sidemast

D 58° Congresso nazionale Adoi

Firenze_13-16 ottobre

Catanzaro_15-18 settembre

D XXIX Congresso nazionale Aida Riccione_10-13 novembre

Il 95° congresso nazionale della Società italiana di dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle malattie sessualmente trasmesse (Sidemast) si terrà a Firenze, presso la Fortezza da Basso, dal 13 al 16 ottobre 2021. A presentare il congresso saranno i presidenti del congresso Piergiacomo Calzavara-Pinton e Nicola Pimpinelli. Il congresso rappresenta un momento di grande incontro e condivisione per tutta la dermatologia italiana, sia dal punto di vista scientifico sia personale. A causa dell’emergenza Covid-19 la precedente edizione è stata organizzata nella versione digitale. Saranno diversi e molteplici i temi di interesse dermatologico che verranno presentati durante la prossima kermesse, insieme alla consueta presentazione dei corsi Ecm.

A causa dell’emergenza Covid-19 il 58° congresso nazionale Adoi (Associazione dermatologi venereologi ospedalieri italiani e della Sanità pubblica) è stato rimandato e si terrà a Catanzaro, dal 15 al 18 settembre 2021. Francesco Cusano, presidente Adoi, presiderà la manifestazione. Tra i temi di interesse dermatologico si parlerà di: acne, rosacea, idrosadenite; bioingegneria in dermatologia; biomarker e medicina di precisione; covid e pelle; cute e fumo; dermatite atopica; dermato-epidemiologia ed evidence based dermatology; dermatologia allergologica, professionale, ambientale; dermatologia chirurgica; dermatologia dei migranti; dermatologia estetica. Verranno trattate anche le terapie innovative sistemiche e farmacoeconomia, terapie innovative topiche e molto altro.

La prossima edizione del congresso Aida (Associazione italiana dermatologi ambulatoriali) si terrà a Riccione dal 10 al 13 novembre. Alessandro Martella, dermatologo, sarà il presidente dell’edizione 2021 del congresso nazionale, punto di incontro e di aggiornamento per gli specialisti in dermatologia. La scorsa edizione è stata presentata nelle veste virtuale. Si è parlato di dermoscopia, tricologia, digital dermatology, vitiligine, estetica, laser, chirurgia. oncologia, medicina legale e tanto altro. Il congresso ha previsto oltre 22 ore di diretta, discussioni faccia a faccia, interviste e numerose relazioni. Il congresso nazionale Aida è rivolto a dermatologi, oncologi, pediatri, allergologi, medici estetici e medici di medicina generale.

Per informazioni: Segreteria organizzativa Triumph Group Tel. 06.35530207 www.triumphgroupinternational.com www.sidemast2021.com

Per informazioni: Segreteria organizzativa Italy Meeting Tel. 081.8784606 info@italymeeting.it www.italymeeting.it

Per informazioni: Segreteria organizzativa Joining People Tel. 06.2020227 aida@joiningpeople.it www.joiningpeople.it

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PRODOTTI E TECNOLOGIE

Linea Sebclair per il trattamento della dermatite seborroica La linea Sebclair di Alliance Pharma si compone di due prodotti, Sebclair Crema (dispositivo medico classe IIa) e Sebclair Shampoo (dispositivo medico classe I), indicati per il trattamento dei sintomi della dermatite seborroica, sia nella fase acuta, anche in associazione a trattamenti farmacologici, che in quella cronica, per ridurre le recidive. La crema Sebclair agisce su più fronti favorendo la riepitelizzazione: > attività cheratolitica, grazie al complesso Acifructol (mix di alfaidrossiacidi: malico, citrico, lattico) in associazione ad allantoina; > attività emolliente lenitiva, garantita dall’Alglycera complex (acido glicirretico e allantoina); > attività antiossidante (telmesteina e Vitis vinifera).

Si applica sull’area interessata tre volte al giorno o secondo necessità. Lo Shampoo Sebclair, a base di detergenti delicati (tensioattivi non ionici), svolge un’attività lenitiva e attenua l’infiammazione grazie alla presenza dell’acido glicirretico, mentre telmesteina e Vitis vinifera esplicano un’attività antiossidante. L’azione antimicrobica è garantita dalla lattoferrina. Sebclair Shampoo può essere utilizzato 2 o 3 volte a settimana (o secondo necessità) ed è indicato anche come trattamento antiforfora. I prodotti della linea Sebclair sono privi di steroidi, profumi e parabeni Per informazioni: Alliance Pharma srl Tel. 02.304601 info.italia@allianceph.com

Pelle protetta con Xerolact PB e Dermagerm CLX Per prevenire e contrastare secchezza, irritazione e prurito che spesso creano discomfort durante i mesi freddi, Rilastil propone il nuovo Xerolact PB, un balsamo corpo relipidante che agisce rapidamente e con un effetto di lunga durata. La Skin Barrier Self Defence svolge un’azione protettiva e rigenerante, il complesso antiprurito lenisce irritazioni e prurito, mentre il complesso idratante relipidante dona idratazione, nutrimento e comfort alla pelle. Infine la Schizandra Chinensis ripristina l’elasticità cutanea. Passando alle mani, altra novità in casa Rilastil è la linea Dermagerm

CLX. Per contrastare le infezioni è fondamentale una corretta igiene delle mani ma un uso eccessivo di gel detergenti e idroalcolici provoca un impoverimento del mantello idrolipidico, creando un danno alla barriera epidermica. La crema mani Dermagerm CLX, oltre ad avere un’intensa

funzione idratante per la presenza di burro di karitè e glicerina, igienizza le mani grazie a clorexidina e complesso attivo vegetale. Le salviettine igienizzanti Dermagerm CLX a pH eudermico sono invece perfette per l’igiene fuori casa di mani, viso e corpo ma anche per le superfici. Svolgono un’azione igienizzante (clorexidina 0,3) ma non seccano la pelle grazie a glicerolo, pantenolo ed estratto di calendula. Per informazioni: Rilastil - Istituto Ganassini Tel. 02.5357041 www.rilastil.com

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PRODOTTI E TECNOLOGIE

Kelo-cote, gel di silicone per il trattamento delle cicatrici I benefici del silicone nella prevenzione della formazione di cicatrici ipertrofiche e cheloidi sono noti da tempo. Già nel 2002 le prime linee guida in materia, scritte dal chirurgo plastico americano Thomas Mustoe, identificavano i foglietti di silicone come il trattamento di riferimento. Attualmente il primo prodotto raccomandato dalle linee guida internazionali per il trattamento e la prevenzione delle cicatrici patologiche è il gel di silicone. Kelo-cote è un gel trasparente a base di polimeri di silicone a catena lunga, biossido di silicio e siliconi volatili, indicato per il trattamento di cicatrici ipertrofiche e cheloidi, recenti o non, conseguenti a interventi chirurgici, traumi, ferite o ustioni. La sua formulazione aiuta a ripristi-

nare la funzione protettiva dello strato corneo e riduce la perdita di acqua transepidermica. In questo modo si ottiene una produzione fisiologica di

cheratinociti, fibroblasti e collagene. Kelo-cote può essere applicato due volte al giorno sulla ferita chiusa, subito dopo la rimozione dei punti, per attenuare e rendere più lisce le cicatrici. La formulazione in gel asciuga rapidamente, formando una pellicola trasparente, gaspermeabile, impermeabile all’acqua e flessibile, che contribuisce a mantenere la normale idratazione cutanea, alleviando arrossamento e prurito. Kelo-cote è disponibile in formato gel, gel UV con SPF 30 e spray. Per informazioni: Alliance Pharma srl Tel. 02.304601 info.italia@allianceph.com www.kelocote.it

Dermastir Twisters: skincare routine di alta qualità I sieri Dermastir Twisters contengono ingredienti attivi altamente concentrati. Le innovative perle monodose racchiudono sieri lipofili e completano la vasta linea dei sieri idrofili Dermastir Ampoules. I sieri sono formulati in tre diverse tipologie: Twisters Eye and Lip Contour, Twisters Coenzyme Q10, Twisters Retinol. Questa gamma di prodotti è

in grado di soddisfare le diverse esigenze della pelle, per un programma completo di skincare. La formulazione intensiva e concentrata, dalla texture morbida e setosa, è contenuta nelle perle monodose, che preservano la purezza dei suoi principi attivi. Il Coenzima Q10 contenuto nei Twisters Coenzyme Q10 è considerato un potente antiossidante che combatte i radicali liberi, responsabili dell’invecchiamento cutaneo. Utilizzati la mattina, i Twisters al Coenzima Q10 forniscono più ossigeno alle cellule, rinforzando la pelle e aumentano la produzione di collagene. Le ricerche condotte dimostrano l’importanza

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di mantenere alti livelli di Coenzima Q10 nella pelle, per mantenerla sempre idratata, giovane ed elastica. I Twisters al retinolo contengono una combinazione di retinolo (vitamina A), squalene e tè bianco, principi attivi altamente efficaci in caso di rughe, linee sottili e pigmentazione. Ogni perlina contiene un siero setoso dalle proprietà anti-invecchiamento per una pelle tonica e levigata.

Per informazioni: Alta Care Laboratoires Tel. 06.69380852 www.dermastir.com



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CLINICA IN DERMATOLOGIA I CONGRESS REPORT LETTERATURA INTERNAZIONALE I ATTUALITÀ

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