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sanità Prestazioni sanitarie private: l’impatto sul livello di tutela della salute del cittadino
ginecologia Come il microbiota intestinale influenza la salute dell’intero organismo nelle donne
salute&benessere Conoscere il dolore per impostare la strategia terapeutica più efficace
stili di vita I rimedi detox che aiutano a liberare l’organismo dall’accumulo di tossine
febbraio 2016
pediatria e maternità Dalla Consensus su vitamina D in età pediatrica le raccomandazioni per prevenire l’ipovitaminosi D
Corso accreditato ECM Alimentazione e sport in diverse condizioni fisiopatologiche
L’alimentazione nell’adulto sportivo sano
editoriale
Corso Fad: “Alimentazione e sport in diverse condizioni fisiopatologiche” Da sempre impegnata nel campo della formazione alla prevenzione in ambito medico e nutrizionale, Professione Salute propone per il 2016 un nuovo corso Fad che prende in considerazione un binomio inscindibile per il mantenimento della salute e del benessere individuale ovvero l’importanza di un’alimentazione equilibrata abbinata a un esercizio fisico adeguato in soggetti con particolari esigenze. Il percorso formativo del corso Fad manterrà la stessa struttura delle edizioni precedenti e sarà articolato in cinque moduli didattici che analizzeranno nello specifico il legame tra dieta e sport nelle diverse condizioni fisiopatologiche: dall’adulto sano che pratica attività fisica fino all’anziano, soffermandosi sulle misure da adottare nel paziente in cura per patologie croniche, nella riabilitazione del paziente affetto da disturbi cardiovascolari e nel paziente oncologico. Il corso vuole essere un aggiornamento per il professionista che opera in ambito sanitario, il quale nella pratica clinica deve tenere conto dei bisogni specifici dei pazienti.
Giuseppe Roccucci Direttore responsabile
Giuseppe Roccucci
Esercizio fisico e dieta sana, cardini di benessere e salute L’attenzione che oggi si pone sul regime alimentare dimostra una maggiore consapevolezza circa lo stretto legame tra salute e stile di vita. L’attività fisica associata a una corretta alimentazione è in grado di portare benessere psicofisico a tutti i soggetti sani di qualunque età, di prevenire patologie cronico degenerative, mantenere il peso corporeo in un range di normalità, raggiungere e conservare una composizione corporea adeguata per età e sesso nonché coadiuvare la terapia di numerose condizioni patologiche, oltre a ritardare l’invecchiamento aggiungendo qualità di vita alla longevità.
Hellas Cena Direttore scientifico
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Professione Salute
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Gli sportivi, fra tutti, sono sicuramente coloro che da sempre hanno rivolto particolare attenzione all’alimentazione per ottenere una performance ottimale. Sono però spesso vittime di errate convinzioni che promettono risultati miracolosi e sono vulnerabili a regimi dietetici sbilanciati che possono compromettere il loro stato di nutrizione con manifestazioni carenziali subclinche. L’alimentazione dello sportivo richiede un’attenzione particolare, in quanto l’atleta, a seconda del tipo di attività fisica, della frequenza degli allenamenti e delle gare, è un soggetto che ha un fabbisogno nettamente superiore, e deve garantire un adeguato apporto energetico nonché la presenza di tutti i principi nutritivi in modo da soddisfare le necessità metaboliche, di turnover e di accrescimento dei tessuti. L’interesse nei confronti dell’attività fisica e dell’alimentazione oggi però non si limita allo sportivo ma è sempre più alla ribalta anche nella pratica clinica e in quella preventiva della popolazione generale. La ricerca ha oramai dimostrato ampiamente che l’aderenza a uno stile di vita attivo e a un’alimentazione corretta permette di migliorare una serie di condizioni fisiologiche e prevenire condizioni patologiche oramai frequenti e sempre più precoci come le malattie metaboliche, cardiovascolari e il cancro. La grande offerta di alimenti a elevata densità energetica e basso contenuto nutrizionale, associata alla sedentarietà tipica dei nostri tempi, non favoriscono il raggiungimento del completo benessere psicofisico, anzi, sono fattori di rischio per le principali malattie non trasmissibili. Tutto ciò ha portato la WHO (World Health Organization) a riconoscere l’esigenza di migliorare la dieta e aumentare il livello di attività fisica (WHO Global Strategy on Diet, Physical Activity and Health, May 2004) nonché a sviluppare delle Raccomandazioni (Global Recommendations on Physical Activity for Health) con l’obiettivo generale di fornire un orientamento sul rapporto dose-risposta tra frequenza, durata, intensità, tipo e quantità totale di attività fisica necessaria per la prevenzione delle malattie non trasmissibili. È compito prioritario di tutti coloro che si occupano di salute conoscere e promuovere una dieta equilibrata e una vita attiva a scopo preventivo e riconoscere la necessità di applicare i principi dietetici nonché gli esercizi fisici specifici per patologia nella pratica clinica. Prof. Hellas Cena Medico Specialista in Scienza dell’Alimentazione Università degli studi di Pavia 4
Professione Salute
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sommario
25 3 Editoriale
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Ne parliamo con
LA SANITà PRIVATA IN ITALIA E IL RUOLO DEL FARMACISTA NEL PERCORSO DI CURA Intervista ad Andrea Mandelli di Renato Torlaschi
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25 Salute&Benessere
L’ALIMENTAZIONE NELL’ADULTO SPORTIVO SANO
L’INTESTINO E IL MICROBIOTA CHE CI abita: LA PROSPETTIVA GINECOLOGICA
di Mara Oliveri e Anna Gerbaldo
di Alessandra Graziottin
Corso ECM 2016
29 Salute&Benessere
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LA FISIOLOGIA DEL DOLORE E LE TERAPIE FARMACOLOGICHE di Giampiero Pilat
33 Stili di vita
PURIFICARE L’ORGANISMO CON I RIMEDI DETOX NATURALI di Carla Carnovale
6
Professione Salute
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sommario 39
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Pediatria e maternità
Igiene orale
CARENZA DI VITAMINA D RIGUARDA OLTRE UN BAMBINO SU DUE
PARODONTITE: «LA TERAPIA VA SEMPRE PORTATA A TERMINE»
di Vincenzo Marra
di Andrea Peren
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Diritto di replica
liberalizzazione farmaci di fascia C: il punto di vista della Gdo
49 Attualità
55 Le aziende informano
Direttore responsabile Giuseppe Roccucci
Redazione Andrea Peren a.peren@griffineditore.it Lara Romanelli redazione@griffineditore.it Rachele Villa r.villa@griffineditore.it
Stampa Reggiani spa - Divisione Arti Grafiche Via Alighieri, 50 Brezzo di Bedero (VA)
Board scientifico
Grafica Grafic House, Milano
Abbonamento annuale Italia: euro 0,95 Singolo fascicolo: euro 0,19
Hanno collaborato Carla Carnovale, Anna Gerbaldo, Alessandra Graziottin, Vincenzo Marra, Mara Oliveri, Giampiero Pilat, Renato Torlaschi
Professione Salute periodico bimestrale Anno VII - n. 1 - febbraio 2016
Hellas Cena (Direttore) Donatella Ballardini Silvia Brazzo Mario Calzavara Mariano Casali Rachele De Giuseppe Massimo Labate Luca Marin Mara Oliveri Marco Rufolo
Vendite Stefania Bianchi s.bianchi@griffineditore.it, tel. 340.1246792 Giovanni Cerrina Feroni g.cerrinaferoni@griffineditore.it, tel. 346.2330694 Lucia Oggianu l.oggianu@griffineditore.it, tel. 338.9609937 Ufficio Abbonamenti Tel. 031.789085 - customerservice@griffineditore.it SIDeMaST
Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse
Registrazione del Tribunale di Como con il n. 4 del 14/04/2010 Editore Griffin srl unipersonale, piazza Castello 5/E 22060 Carimate (CO) Tutti gli articoli pubblicati su Professione Salute sono redatti sotto la responsabilità degli Autori. La pubblicazione degli articoli della rivista deve essere autorizzata per iscritto dall’Editore. Ai sensi della legge in vigore, i dati dei lettori saranno trattati sia manualmente sia con strumenti informatici e utilizzati per l’invio di questa e altre pubblicazioni o materiale informativo e promozionale. Le modalità di trattamento saranno conformi a quanto previsto dalla legge. I dati potranno essere comunicati a soggetti con i quali Griffin intrattiene rapporti contrattuali necessari per l’invio della rivista. Il titolare del trattamento dei dati è Griffin, al quale il lettore si potrà rivolgere per chiedere l’aggiornamento, l’integrazione, la cancellazione e ogni altra operazione prevista per legge. In base alle norme sulla pubblicità l’editore non è tenuto al controllo dei messaggi ospitati negli spazi a pagamento. Gli inserzionisti rispondono in proprio per quanto contenuto nei testi.
ne parliamo con
La sanità privata in Italia e il ruolo del farmacista nel percorso di cura A differenza di quanto accade nella maggioranza dei paesi europei, dove la spesa sanitaria privata è ampiamente intermediata dai sistemi di assistenza integrativa, in Italia questo avviene in minima
Intervista di Renato Torlaschi
parte e i costi ricadono in gran parte sul singolo cittadino
È
da anni che istituti di ricerca, associazioni di categoria e di cittadini e rappresentanze professionali denunciano la crescita costante della spesa sanitaria privata. Per restare a dati ormai consolidati, nel 2013 i cittadini hanno speso per ottenere prestazioni sanitarie una cifra pari al 22% della spesa sanitaria complessiva, vale a dire 31,6 miliardi. È poco? È molto? Lo abbiamo chiesto al presidente della Federazione ordine farmacisti italiani (Fofi) Andrea Mandelli, alla luce delle spinte sociali e delle decisioni politiche su questo tema. Dottor Mandelli, può darci una sua valutazione dell’entità della spesa sanitaria privata in Italia? Rispondere non è semplicissimo. È un dato per così dire fisiologico che, accanto alla spesa pubblica, vi sia una componente a carico del singolo cittadino anche in altri paesi che hanno adottato un sistema universalistico e solidale: è così in Francia, in Germania e in Gran Bretagna, dove la spesa privata varia dal 18 al 22% e non è un dato distante dalla media dei paesi Ocse. C’è però una differenza strutturale: mentre nel resto d’Europa buona parte di questa spesa è
intermediata dai sistemi di assistenza integrativa – sia quelli mutualistici sia quelli assicurativi – in Italia solo il 4,7%, cioè 1,4 miliardi di euro, segue questo percorso. Per la parte restante è il singolo che, come si suol dire, si rivolge al mercato per acquistare farmaci, test diagnostici, visite specialistiche e altre prestazioni. Qual è l’impatto sulla salute degli italiani? Questa struttura della spesa ha conseguenze importanti sul livello della tutela della salute: un sistema di questo tipo mina alla base il carattere universalistico della sanità italiana, che discende direttamente dal dettato costituzionale, creando un solco tra chi può acquistare direttamente la prestazione di cui ha necessità e chi non può, tanto è vero che nella classifica delle Regioni che vantano la maggiore spesa privata troviamo ai primi posti Lombardia (608 euro annui a testa), l’Emilia Romagna (581) e il Friuli Venezia Giulia (551), mentre nelle ultime posizioni ci sono Calabria (274 euro), Campania (263) e Sicilia (245), le stesse Regioni che presentano un quadro assistenziale spesso critico. Una classifica «ormai invariata da decenni», come si legge nello studio presentato lo scorso
Andrea Mandelli Presidente Fofi
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Professione Salute
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Intervista ad Andrea Mandelli
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dicembre da Fondo Est, l’ente di assistenza sanitaria integrativa del commercio, del turismo, dei servizi e dei settori affini. Ma non c’è soltanto questo aspetto da considerare: da sempre quello sanitario è ritenuto un settore “a fallimento del mercato”, in cui il gioco tra domanda e offerta non mette capo all’effettivo soddisfacimento delle esigenze. I motivi sono noti, ma soprattutto uno è fondamentale: l’asimmetria informativa, cioè l’impossibilità per il cittadino di stabilire di quale prestazione ha effettivamente bisogno e di valutare la qualità e la rispondenza di ciò che “acquista”.
stazioni sanitarie, e al primo posto troviamo i costi relativi a farmaci (26,6%), esami diagnostici e visite specialistiche (21,3%), prestazioni intramoenia (18,9%), tutte voci in aumento rispetto alla precedente rilevazione. Ma, al di là delle singole voci, secondo il rapporto il tema dei costi per curarsi è ormai divenuto trasversale e ricorre in tutte le indagini sulla tutela della salute. Il servizio sanitario universalistico è un imprescindibile ammortizzatore sociale, ma ha dei limiti che vanno corretti e in questa opera gli schemi di assistenza integrativa possono avere un ruolo fondamentale.
Qual è il compito della politica? È evidente che, a fronte di una situazione che vede una costante riduzione del finanziamento della sanità pubblica, ben al di là di quanto ammesso dagli ultimi governi, ci si deve porre il problema di fornire al cittadino che ha una capacità di spesa gli strumenti per far rendere al meglio in termini di salute il suo esborso e, dall’altra parte, di permettere alle fasce meno abbienti di accedere a un secondo pilastro dell’assistenza sanitaria attraverso meccanismi mutualistici e di condivisione del rischio, sia attraverso i fondi di categoria sia attraverso sistemi aperti su base volontaria. Non è un obiettivo a lungo termine, ma è una necessità di oggi: l’invecchiamento della popolazione, il problema dell’autosufficienza e i progressi nell’ambito dell’innovazione tecnica e farmaceutica suggeriscono la necessità di un profondo ammodernamento del nostro servizio sanitario nazionale, anche attraverso una crescente integrazione tra il primo e il secondo pilastro. Vale la pena di ricordare che, secondo l’indagine presentata da Censis e Rbm la scorsa estate, il 63,4% degli italiani teme per la copertura sanitaria futura. E il 54% indica come priorità del welfare la riduzione delle liste di attesa. Secondo i dati dell’ultimo rapporto Pit salute curato da Cittadinanzattiva-Tribunale dei diritti del malato, nell’11% dei casi, le segnalazioni giunte al Tribunale nell’anno 2014 riguardano proprio i costi sostenuti per accedere alle pre-
Nella società civile si moltiplicano gli appelli a confrontarsi costruttivamente su questo aspetto: cosa ne pensa? È un fatto che va salutato positivamente, tra le diverse iniziative, vorrei citare il convegno “La sanità nel welfare che cambia”, organizzato a Roma da Confindustria e Confcommercio il 10 dicembre scorso. Le possibili soluzioni non mancano, quello che serve è la volontà politica di valutarne la fattibilità e procedere alla loro applicazione. Da ultimo, ma non per importanza, il crescere di questa modalità di intervento potrebbe essere anche il motore della crescita dell’assistenza sul territorio, anche e innanzitutto quella offerta dal farmacista di comunità. Negli anni, grazie soprattutto ai progetti avviati dalla Federazione degli Ordini, si è avuta la conferma scientifica della possibilità di migliorare il percorso di cura, in collaborazione con il medico, attraverso le prestazioni professionali del farmacista a supporto dell’aderenza. Ma non solo: l’intervento del farmacista può far conseguire significativi risparmi, evitando aggravamenti di patologie, in particolare quelle croniche, ma anche riducendo sprechi ed errori. Un elemento di razionalizzazione che può rendere la stessa assistenza farmaceutica più “leggera” per il terzo pagante e l’esempio della vicina Svizzera, dove le casse malattia rimborsano una serie di prestazioni professionali proprio per ridurre gli oneri del capitolo assistenziale, mi sembra abbastanza eloquente. n
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2016
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L’apparato gastroenterico tra salute e patologia: ruolo di alimentazione e stile di vita
in diverse condizioni fisiopatologiche
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Il corso è costituito da 5 moduli didattici e darà diritto a maturare 21 crediti ECM Corso erogato nei fascicoli di Professione Salute e disponibile anche online
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I corsi sono svolti nell’ambito del programma ECM del Ministero della Salute, con modalità FAD (Formazione a Distanza). I crediti acquisiti con gli eventi formativi sono validi su tutto il territorio nazionale.
Corso ECM 2016 Modalità di Formazione a Distanza (FAD) riservato agli abbonati paganti*
Alimentazione e sport in diverse condizioni fisiopatologiche Responsabile scientifico Prof.ssa Hellas Cena Medico Chirurgo, Specialista in Scienza dell’Alimentazione, Università degli Studi di Pavia Programma del corso L’esercizio fisico e l’attività sportiva sono fondamentali per favorire il pieno sviluppo dell’organismo e per promuovere e mantenere uno stato di salute ottimale sia a breve che a lungo termine. Alla luce di tali considerazioni, nel corso Alimentazione e sport in diverse condizioni fisiopatologiche verranno approfonditi diversi aspetti: z come una alimentazione corretta ed equilibrata rappresenti il sistema più adatto per soddisfare i particolari bisogni energetici e nutrizionali degli sportivi, sia amatoriali che professionisti; z come nell’anziano, in seguito a modificazioni fisiologiche quali il rallentamento del metabolismo basale, la diminuzione della muscolatura scheletrica e una ridotta attività fisica, sia necessario un intervento nutrizionale adeguato unitamente a un corretto programma di esercizio fisico al fine di mantenere un buono stato di benessere sia fisico che cognitivo e psichico; z come un’alimentazione equilibrata e corretta, affiancata a un valido e continuo programma motorio, sia un’efficace misura da adottare nella cura di patologie croniche (diabete mellito di tipo 1), nella riabilitazione del paziente affetto da patologia cardiovascolare e nel paziente oncologico. Struttura del corso z Alimentazione nell’adulto sportivo sano (Mara Oliveri, Anna Gerbaldo) z Alimentazione ed esercizio fisico: raccomandazioni per l’anziano (Matteo Vandoni, Silvia Maffoni) z Esercizio e nutrizione nella riabilitazione della patologia cardiovascolare (Pietro Mariano Casali, Francesca Bicocca) z Alimentazione e attività fisica nel paziente oncologico (Luca Marin, Silvia Brazzo) z Ruolo di alimentazione e sport nel diabete di tipo 1 (Francesca Bicocca) Obiettivi del corso Il presente corso si prefigge di raggiunfìgere i seguenti obiettivi: z l’obiettivo specifico di alimentare in modo continuo le conoscenze delle figure professionali che lavorano in ambito sanitario; i contenuti forniti potranno essere “trasferiti” all’utente finale, con ripercussioni in termini di “aumento di competenze” della comunità in cui si è chiamati ad agire; z l’obiettivo più generale di contribuire al mantenimento e rafforzamento del network comunicativo con le varie figure professionali in un percorso verso l’implementazione e lo sviluppo delle loro competenze individuali in ambito preventivo, che potrà avere importanti ripercussioni “a cascata” in termini di “guadagno di salute” di tutta la popolazione. Modalità di somministrazione del corso e accreditamento ECM In ogni numero di Professione Salute a partire dal n. 1/2016 e per tutto il 2016 (gennaio-dicembre) sarà pubblicato un modulo composto da un articolo e da un questionario di valutazione. Tutti i moduli pubblicati sulla Rivista saranno disponibili online su sito www.fadmedica.it, dove sarà possibile, modulo per modulo, rispondere ai questionari di valutazione. L’erogazione dei crediti ECM avverrà al superamento di tutti i questionari. Tutti gli iscritti al corso riceveranno le informazioni necessarie per l’accesso online e la compilazione dei questionari.
*Per informazioni: tel. 031.789085 e-mail: customerservice@griffineditore.it
corso ecm
A cura di Mara Oliveri
Biologo Specialista in Scienza dell’Alimentazione
Anna Gerbaldo
Corso di laurea in Dietistica Università di Pavia
L’alimentazione nell’adulto sportivo sano
N
ella storia dell’uomo il concetto di massimizzazione della performance sportiva, intesa come abilità a portare a termine un impegno fisico nelle più svariate situazioni, è noto sin dall’antichità. Già i grandi condottieri ribadivano il ruolo di assoluta centralità che l’alimentazione gioca sulle capacità fisio-metaboliche dell’uomo: fornendo a ogni soldato una razione alimentare (“posca”, costituita-da germogli di cereali, fichi secchi e formaggi), i Romani hanno reso evidente come l’alimentazione fosse già parte di una logica finalizzata. In ambito più specificatamente sportivo, già dai tempi dei Giochi Olimpici del 14
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500 a.C. gli atleti avvertono la necessità di sostenere la propria prestazione attraverso una dieta particolare con grandi quantità di carne, pane, frutta secca, miele, ecc. Talvolta si diffondevano dei luoghi comuni tra gli atleti: curiosa è l’idea che questi dovessero, per ottimizzare la loro prestazione, mangiare carni di animali con caratteristiche simili a quelli della disciplina sportiva praticata, quindi i corridori avrebbero dovuto preferire carne di antilope e i saltatori quella di gazzella. In generale, possiamo dire che mentre in passato l’alimentazione degli atleti era orientata prevalentemente alla prescrizione di regimi
nutrizionali, a volte assai bizzarri e fantasiosi, da proporre solo in occasione dell’evento gara, oggi più modernamente si pensa prevalentemente in termini di una vera e propria preparazione nutrizionale dell’atleta da realizzare durante tutto l’arco dell’intera stagione sportiva. Questo perché dall’idea di una dieta strutturata ma “spot”, fornita in occasione di un evento straordinario (la gara), si è passati a considerare l’adeguata e corretta alimentazione dell’atleta come uno dei cardini fondamentali per promuovere quella condizione di completo e valido stato di buona salute, fisica e psichica, che è premessa indispensabi-
alimentazione e sport in diverse condizioni fisiopatologiche
vamente e significativamente al grado di istruzione e al livello socio-economico, quando paragonati a una popolazione di controllo (non atleti)(1). Tuttavia, a fronte di una sempre maggior quota di soggetti interessati e della progressiva richiesta di informazioni nutrizionali, molti atleti seguono un’alimentazione che non soddisfa i loro obiettivi nutrizionali. Tra le principali criticità rilevate si riportano: scarsa conoscenza degli alimenti e della loro preparazione, scarsa conoscenza della nutrizione applicata a diversi tipi di impegno fisico che le discipline sportive richiedono e ricorso all’utilizzo di sostanze che promettono di ottimizzare la prestazione a scapito dell’obiettivo di salute. Il presente modulo ha lo scopo di chiarire quale sia la quantità di calorie e la loro distribuzione in termini di macronutrienti da fornire all’atleta per raggiungere e mantenere quella condizione psico-fisica che gli consentirà di sostenere la propria performance nei vari contesti ambientali. Particolare attenzione sarà rivolta allo stato di idratazione dell’atleta e al bilancio idrico-salino. L’idratazione e il bilancio idrico-salino come punto di partenza
le per il raggiungimento della migliore prestazione atletica. Oggigiorno la nutrizione in ambito sportivo è argomento seguito da milioni di entusiasti del fitness e dello sport che, in tutto il mondo, praticano le più varie attività: dalla corsa al ciclismo su strada, dalle attività organizzate in palestra alle arti marziali, ed ha quindi smesso di essere una questione riguardante esclusivamente gli atleti di élite. Recentemente è stato descritto come le conoscenze nutrizionali in atleti di tutti i livelli con età maggiore di 13 anni, di ambo i sessi, fossero più elevate nelle donne e correlate positi-
L’acqua è un componente fondamentale dell’organismo umano e un suo nutriente acalorico; è tra i più importanti fattori in grado di influire sulla prestazione sportiva e sulla salute dell’atleta. L’acqua corporea totale (Total Body Water, TBW) si compone fondamentalmente di due compartimenti idrici: l’acqua intracellulare (Intra Cellular Water, ICW, indicata anche come liquido intracellulare, LIC, contenente K, Mg e fosfati) ed extracellulare (Extra Cellular Water, ECW, indicata anche come liquido extracellulare, LEC, contenente Na, bicarbonati e cloruri). All’interno di questi l’acqua si distribuisce seguendo la concentrazione dei soluti, ovvero l’osmolarità, in quote rispettive di circa 2/3 e 1/3 (2). Il controllo del bilancio idrico dell’organismo è un processo finemente regolato attra-
verso il controllo dell’osmolarità e del volume dell’ECW, chiamando in causa l’ormone antidiuretico (ADH), la sete, il sistema renina-angiotensina-aldosterone, il peptide natriuretico atriale (ANP) e cerebrale (BNP). Grazie a questi meccanismi, l’osmolarità viene mantenuta costante subendo variazioni minime e di breve durata. L’organismo mantiene il proprio patrimonio idrico cellulare ed extracellulare regolando la sola componente extracellulare; la composizione intracellulare si equilibrerà poi con l’ECW; lo spostamento minimo dell’acqua da ICW a ECW viene percepito da osmorecettori che evocano la sensazione di sete (3). Il ricambio di acqua è un processo continuo in cui l’acqua introdotta e disponibile per l’organismo (derivante da bevande, dalla parte acquosa di alimenti solidi e dal metabolismo ossidativo dei macronutrienti) deve bilanciare le uscite che avvengono tramite le urine, le feci, la respirazione, la sudorazione e la perspiratio insensibilis; si stima inoltre che la produzione endogena derivante dalla metabolizzazione di macronutrienti, per un soggetto sedentario, sia intorno ai 250-300 ml/die e aumenta nell’esercizio fisico, soprattutto se di particolare intensità (2). Uno stato di idratazione ottimale è correlato a un minor rischio di disidratazione, a un più basso rischio di traumi muscolari e al ripristino più rapido delle condizioni fisiche ottimali. Secondo i Larn (2), l’assunzione adeguata (AI) di acqua negli uomini adulti sani è di 2,5 L/die e nelle donne adulte sane di 2,0 L/die, tenendo conto dell’acqua da bevande e da alimenti ma senza considerare l’acqua metabolica; questi valori si riferiscono a un basso livello di attività fisica, con clima temperato e sono stimati sulla base dei consumi medi di popolazione, sul volume urinario minimo per eliminare i soluti a livello renale e dalle relazioni tra apporto d’acqua ed energetico. Non vi sono indicazioni rispetto al limite massimo di assunzione, che si presume irrealistico se superiore alla velocità di escrezione renale (2). febbraio 2016
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Sebbene un’idratazione efficiente influisca positivamente sulla performance e permetta un recupero più rapido, specialmente dopo uno sforzo intenso, non sempre gli atleti assumono liquidi secondo una strategia strutturata, osservando quantità adeguate e tempi opportuni. Nello sportivo la situazione di più frequente riscontro è la disidratazione. Nella pratica sportiva e nell’attività fisica regolare le cellule muscolari impegnate nell’utilizzazione dell’ATP producono calore con conseguente innalzamento della temperatura corporea, elemento sfavorevole alla prestazione atletica e alla salute dello sportivo. Pertanto il corpo umano deve mettere in atto meccanismi di termodispersione per salvaguardare l’integrità dell’organismo, che lavora in modo ottimale entro un range limitato di temperatura (37-38 °C a livello rettale). Il meccanismo termodisperdente di gran lunga più efficace nello sportivo è la sudorazione e la perdita di calore attraverso evaporazione del sudore, che si avvia quando la perdita di calore per convezione, irradiazione, conduzione e respirazione divengono insufficienti alla preservazione dell’equilibrio termico; per ogni g (ml) di acqua evaporata, si disperdono 0,58 kcal. Si ritiene che la massima sudorazione possibile sia pari a 1800 ml/ora di lavoro muscolare; negli atleti impegnati per lungo tempo in sport di intensità elevata si possono osservare perdite di liquidi fino a 5-6 kg. La produzione di sudore è a sua volta influenzata dal tipo di vestiario, dalla temperatura ambientale, dalla ventilazione e dalla percentuale di umidità. In condizioni di elevata umidità o scarsa ventilazione, il processo di evaporazione può essere in parte o del tutto compromesso; in questa situazione il fisico tenta di abbassare la temperatura producendo altro sudore che però non evaporerà, con il rischio di conseguente aumento di temperatura, calo ponderale da disidratazione e perdita di sali (4). Il sudore è normalmente ipotonico rispetto ai fluidi corporei, mentre l’osmolarità dell’ICW e 16
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dell’ECW è equivalente (280-290 mOsm/L H2O), poiché gli scambi d’acqua tra ICW ed ECW tendono a bilanciare la loro osmolarità seguendo il gradiente di pressione osmotica. Nell’atleta il sudore conserva la sua caratteristica di ipotonicità rispetto al plasma, con concentrazioni basse di Na e Cl; tuttavia, con sudorazioni abbondanti questi elettroliti possono andare persi in modo significativo: per una riduzione di circa il 6% del peso corporeo con l’attività sportiva, si possono perdere il 5% e il 7% del contenuto corporeo totale rispettivamente di Na e Cl. A preservarli in parte intervengono fenomeni adattativi dell’atleta, quali il miglior riassorbimento del Na indotto dall’azione dell’aldosterone sul rene e dotti escretori delle ghiandole sudoripare. La produzione di aldosterone può, per contro, favorire una maggior perdita di K con il sudore e con le urine. Alcuni studi dimostrano che la concentrazione plasmatica di K, più elevata durante l’attività sportiva, scende poi ai limiti inferiori della nor-
ma (4) e la sua perdita può arrivare fino all’1% del contenuto corporeo totale. Stessi valori si possono riscontrare per la perdita di Mg intracellulare. Anche se possono all’apparenza sembrare variazioni percentualmente piccole, considerando la loro quantità totale nell’organismo e i molteplici ruoli svolti, perdite di tali entità di K e Mg possono favorire l’insorgenza di affaticamento muscolare o anche di spasmo muscolare (crampo). Gli effetti dell’alterazione del bilancio idro-salino possono dare disidratazione o iperidratazione distinte in: ipotonica, isotonica e ipertonica, come riassunto in tabella 1. La disidratazione si definisce come una carenza del volume idrico totale nell’organismo, le cui principali manifestazioni sono l’ipovolemia (diminuzione del volume ematico) e la riduzione del peso corporeo (PC). Le cause possono dipendere da alterato introito contemporaneo o meno a eccessiva perdita dovuta a diuresi profusa, vomito, diarrea, abbondante sudora-
alimentazione e sport in diverse condizioni fisiopatologiche
tabella 1 - effetti dell’alterazione del bilancio idrico effetti
LEC
Volemia collasso cardiocircolatorio
s
LIC
Iperosmolarità vario grado della volemia
s
Disidratazione ipotonica Iperidratazione isotonica
s Perdita NaCl
s LIC
s Assunzione acqua + NaCl diuresi
s LEC
Iperidratazione ipertonica
s Assunzione NaCl ingestione acqua di mare
s
s Assunzione acqua
s
Iperidratazione isotonica
LIC e s LEC s LIC
Conseguenza più grave edema cerebrale s Volemia edema s Diuresi volemia collasso cardiocircolatorio Conseguenza più grave edema cerebrale s
Disidratazione ipertonica
alterazione
s
Disidratazione isotonica
causa s Perdita acqua + NaCl (sudorazione intensa, vomito, diarrea, uso diuretici, alterazioni patologiche della funzione renale) s Perdita acqua (aumento perspiratio insensibilis nella febbre, ipertermia, iperventilazione)
s
DISFUNZIONE
LIC, liquido intracellulare; LEC, liquido extracellulare
zione, ecc. Le variazioni giornaliere del volume idrico negli individui sani attivi servono a controbilanciare eventuali cambiamenti nel contenuto di soluti; tali variazioni sono generalmente asintomatiche e non oltrepassano l’1% del peso corporeo. La disidratazione può essere di entità lieve (1-3% di peso corporeo in adulti e bambini >10 kg e 5% di peso corporeo in bambini <10 kg), moderata (3-10% di peso corporeo) o grave (>10% di peso corporeo). Ciascuna di queste manifestazioni è caratterizzata da una serie di sintomi e segni clinici e da anomalie di laboratorio più o meno significative. È fondamentale che ogni atleta sia in grado di riconoscere eventuali sintomi da disidratazione che possono essere da lievi a importanti, quali il senso di fatica e di sete, cefalea, tachicardia, bocca secca, vertigine, astenia, crampi muscolari, irrequietezza e diminuzione della performance fisica. L’ipoidratazione tipica negli atleti è caratterizzata da ipovolemia ipe-
rosmotica; se le riserve idrico-saline non vengono adeguatamente rifornite, il soggetto va incontro a disidratazione. La reintegrazione delle perdite idro-saline dipende da molteplici fattori; per sport di breve durata e modesta intensità può essere sufficiente la sola acqua, purché all’interno di un
programma nutrizionale ricco di frutta e verdura a reintegrare i minerali eventualmente persi. Per attività intense e prolungate la sola acqua può non risultare sufficiente al reintegro completo delle perdite totali; in tali circostanze può essere utile l’utilizzo di soluzioni idro-saline contenenti Na e Cl e che siano ipotoniche o isotoniche rispetto al plasma; tali soluzioni possono contenere – facoltativamente – altri elettroliti quali K, Mg e Ca, anche se sono di raro riscontro le situazioni di una loro carenza imputabili alle perdite con il sudore. Il meccanismo che rende efficace il reintegro con bevande energetiche idro-saline è lo stimolo che il glucosio e il sodio esercitano nel riassorbimento dell’acqua a livello intestinale. La presenza contemporanea di glucosio, Na e K facilita il movimento passivo dell’acqua per mezzo della creazione di un gradiente osmotico favorevole all’afflusso di liquido nel torrente circolatorio. A sua volta l’assorbimento del glucosio è facilitato dalla contemporanea presenza di Na. La circolare del 30 novembre 2005, n. 3 del ministero della Salute relativa alle Linee guida sulla composizione, etichettatura e pubblicità dei prodotti dietetici per sportivi (Gazzetta Ufficiale n. 287 del 10 dicembre 2005) riporta i seguenti requisiti per i prodotti con minera-
tabella 2 - concentrazione degli elettroliti nei prodotti destinati a reintegrare le perdite idro-saline
Ione Concentrazione
mEq/l mg/l
Sodio
20-50 460-1150
Cloro (*)
non più di 36
1278
Potassio (*)
non più di 7.5
292
Magnesio (*)
non più di 4.1
50
Indicazioni del ministero della Salute in merito ai requisiti per i prodotti con minerali destinati a reintegrare le perdite idro-saline causate dalla sudorazione conseguente all’attività muscolare (*) La presenza di questi ioni è auspicabile
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li destinati a reintegrare le perdite idro-saline causate dalla sudorazione conseguente all’attività muscolare svolta: z l’apporto calorico deve essere derivante per almeno il 75% da carboidrati semplici e/o maltodestrine; z il tenore energetico deve essere compreso tra 80 e 350 kcal/l di acqua; z l’integrazione con vitamina C ed eventualmente con altri nutrienti è facoltativa; z nella forma pronta per l’uso, la concentrazione degli elettroliti deve essere la seguente (vedi tab. 2) Alla luce di quanto sopra descritto, se da un lato è vero che non può esistere una regola standard per definire volume e frequenza di assunzione dei liquidi a causa dell’ampia variabilità individuale nelle richieste e dei molti fattori che influenzano la quantità di liquidi persi (per esempio, durata e intensità dell’attività fisica, condizioni ambientali e caratteristiche del soggetto), è altrettanto vero che si possono fornire indicazioni di carattere generale ma personalizzabili, al fine di non incorrere in errori grossolani nell’organizzare un piano per il mantenimento del bilancio idrico. Di seguito alcune delle regole proposte dall’American College of Sport Medicine (5) utili all’atleta per mantenere uno stato di idratazione ottimale: z bere 500 cc di liquidi 2 ore prima dell’esercizio fisico (per dare il tempo di assorbire ed eventualmente espellere l’eccesso); z durante lo sforzo fisico bere a intervalli regolari sin dall’inizio; z i liquidi ingeriti devono essere più freschi della temperatura ambiente e aromatizzati con gusti piacevoli (per favorirne l’assunzione); z durante la prima ora di attività sportiva si raccomanda di reintegrare solo liquidi; dopo i primi 60 minuti è consigliabile aggiungere una giusta quantità di carboidrati ed elettroliti; z dopo l’ora, la quantità di zuccheri da somministrare (maltodestrine o glucosio) deve essere pari a 30-60 g l’ora, per es. 600-1200 ml di soluzione contenente dal 4 all’8% di carboidrati; 18
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più è lungo l’impegno sportivo e più facile è disidratarsi (-30% delle capacità prestative, del grado di benessere e della concentrazione); z non aspettare lo stimolo della sete ma bere prima, durante e dopo la attività; z un metodo facile per valutare la dose necessaria di acqua è la misurazione del peso corporeo prima e dopo lo sforzo fisico; z un’eccessiva introduzione di acqua può, per contro, portare a iponatriemia. z
Intake energetico e macronutrienti
La componente più importante per un allenamento e una prestazione sportiva ottimale è rappresentata da un adeguato intake calorico per supportare la spesa energetica e mantenere forza, resistenza, massa muscolare e, nel complesso, un buono stato di salute. Nel nostro organismo quasi tutte le reazioni cellulari e i processi che richiedono energia vengono alimentati dalla conversione di adenosina trifosfato (ATP) in adenosina difosfato (ADP), ovvero dalla scissione di legami con liberazione di una grande quantità di energia, pari a circa 7,5 kcal/mole. L’organismo ha una riserva modesta di ATP nei muscoli e una scorta di energia disponibile sotto forma di fosfocreatina (PC). Carboidrati, grassi e proteine vengono metabolizzati per rifornire il sistema di ATP; il glucosio è stoccato nel muscolo sotto forma di glicogeno (circa 400 g in un sogget-
Figura 1 - Lavoro muscolare e metabolismo energetico
to di 80 kg), una riserva che non deve mancare perché l’organismo non attinga energia dalle proteine, “mangiando” così parte della massa muscolare (4). Dal punto di vista “meccanico” la maggiore quantità di energia viene utilizzata in presenza di due condizioni strettamente connesse allo sforzo fisico: z l’aumento della frequenza cardiaca, cui segue un maggior apporto di sangue ai muscoli; z l’aumento della frequenza respiratoria, cioè miglior ossigenazione e migliore eliminazione di anidride carbonica con la respirazione. Tanto gli sport aerobici, a bassa intensità e a lunga durata, quanto quelli anaerobici, che
tabella 3 - livello di esercizio fisico, frequenza cardiaca (FC), substrati e sistemi energetici Livello intensità esercizio fisico Attività (esempi)
Leggero
Moderato
Intenso
Cammino Corsa Corsa veloce a passo svelto
Molto intenso Corsa estrema
FC (VO2 max)
<60%
60-70%
75-90%
>90%
Substrato energetico
Grassi
Grassi e zuccheri
Zuccheri e grassi
Zuccheri
Anaerobico Sistema energetico Aerobico Aerobico Aerobico anaerobico Si riesce Respirazione a parlare Si parla a fatica normalmente
È difficile parlare
Non si riesce a parlare
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gramma di allenamento di media intensità possono soddisfare le proprie esigenze di macronutrienti con una classica dieta composta dal 45-60% di carboidrati (3-5 g/kg di peso corporeo), 10-15% di proteine (0,8-1 g/kg di peso corporeo) e 25-30% di grassi (0,5-1 g/kg di peso corporeo), mentre atleti che si allenano in modo intenso devono incrementare la quantità di carboidrati e modulare l’apporto proteico (4). Pertanto, per determinare le calorie giornaliere e le più corrette proporzioni tra nutrienti da inserire nella preparazione nutrizionale di un atleta, è necessario conoscere in dettaglio la sua condizione personale (livello di allenamento di partenza), lo stato nutrizionale/ponderale e le caratteristiche del programma di allenamento, al fine di individuare il substrato prevalente che verrà utilizzato nelle varie fasi previste dal programma stesso o dalla specifica attività praticata (4). Carboidrati
prevedono uno sforzo intenso in mancanza di ossigeno, determinano un incremento delle richieste metaboliche (4). Per attività prevalentemente aerobiche in cui prevalgono in allenamento carichi di media intensità e di lunga durata, i substrati energetici di riferimento sono grassi e zuccheri, mentre per discipline in cui sia prevalente la fase anaerobica il glucosio è il carburante di riferimento (4). Semplificando, intensità dello sforzo e durata dell’esercizio influenzano più di qualunque altra variabile il contributo fornito dai vari sistemi energetici per soddisfare le esigenze caloriche; questo contributo è dinamico e varia al variare della durata e dell’intensità dell’attività praticata, come sintetizzato in tabella 3 e figura 1 (4). Seppur descritti separatamente, i sistemi energetici non funzionano indipendentemente l’uno dall’altro; sia per le attività lievi sia per le attività intense, i sistemi energetici sono integrati, con il prevalere di uno rispetto agli altri. Più in dettaglio, i fattori determinanti la scelta
del substrato energetico utilizzato dai muscoli durante l’esercizio sono: z durata z intensità z tipo di esercizio z stato di allenamento z stato nutrizionale del soggetto z eventuali condizioni fisiopatologiche del soggetto. La richiesta energetica varia in base a peso, altezza, età, sesso e metabolismo basale e a seconda del tipo, della frequenza, dell’intensità e della durata dell’esercizio fisico. Per soggetti che praticano attività fisica regolare lievemoderata (30-40 minuti al giorno per 3 volte alla settimana), l’intake calorico può generalmente essere allineato ai fabbisogni calcolati per la popolazione generale ma per atleti di élite con allenamenti intensi e di lunga durata si può arrivare a un significativo aumento del fabbisogno energetico (per es. fino a 10000 kcal/die)(6). Ad esempio, individui che affrontano un pro-
La prima fonte di glucosio per il muscolo è rappresentata dal glicogeno immagazzinato. Quando si esaurisce, i meccanismi di glicogenolisi e, successivamente, di gluconeogenesi forniscono il glucosio necessario ai muscoli (4). Durante un esercizio fisico con una durata superiore ai 90 minuti, come la maratona, le scorte di glicogeno muscolare si abbassano progressivamente. Quando arrivano a un livello critico, il corpo non è in grado di mantenere un esercizio ad alta intensità. In termini pratici, l’atleta è esausto e deve fermarsi oppure diminuire l’intensità dello sforzo (4). Per ovviare a questa problematica, è necessario effettuare il “carico di glicogeno” o comunque seguire una dieta ad alto tenore di carboidrati, così che venga massimizzata la scorta di glicogeno (4). La quantità di carboidrati richiesti dall’organismo dipende dal fabbisogno energetico dell’atleta, dal tipo di sport, dal sesso e dalle condizioni ambientali esterne. Indicativamente, si va dai 5 ai 7 g/kg di peso corporeo febbraio 2016
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per gli allenamenti ad intensità moderata e dai 7 a 10 g/kg di peso corporeo per gli sport di resistenza (4). Proteine
Il fabbisogno proteico degli atleti nelle varie fasi – dall’attività al recupero – è stato oggetto di numerosi studi negli ultimi 20 anni; gli end point considerati, oltre al mantenimento del bilancio dell’azoto in equilibrio, sono: l’aumento di resistenza allo sforzo breve o prolungato, l’aumento della massa e della forza muscolare. Ancora oggi la definizione dei fabbisogni proteici specifici per le singole attività e per ogni singolo atleta, a seconda del tipo, durata e frequenza di allenamento, resta una tematica attuale, ampiamente dibattuta e in continua evoluzione (4). In questa sede tracciamo delle linee di comportamento generali, considerando quanto è stato definito nelle revisioni più recenti rispetto ai fabbisogni proteici di atleti adulti sani: z nelle attività dilettantistiche e nelle attività programmate di intensità medio-bassa è sufficiente modulare l’apporto energetico in proporzione alle variazioni del dispendio, mantenendo le proporzioni tra macronutrienti suggerite dalla IV revisione dei Larn 20
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(2); l’apporto proteico sarà quindi sovrapponibile a quanto indicato per la popolazione adulta sana tra 18-59 anni e pari a 0,9 g/kg/ die (da alcuni autori riferito come range 0,81,0 g/kg/die)(2); z per prestazioni aerobiche superiori a 60 minuti è richiesto un surplus proteico rispetto alla popolazione generale, necessario per il ricambio delle proteine tissutali muscolari e per coprire, in caso di attività prolungate (>90 minuti) e di intensità elevata, il costo energetico e il recupero post-esercizio: in questi casi infatti una quota proteica può essere utilizzata come substrato energetico in relazione alla simultanea disponibilità (o meno) di carboidrati e grassi. Il range di fabbisogno indicato è 1,2-1,4 g/kg/die (4); z il fabbisogno proteico, specialmente negli sport di forza, può differenziarsi in quantità necessaria per il mantenimento (quantità minima di proteine per mantenere l’equilibrio azotato) e quantità necessaria per ottenere un bilancio azotato positivo; l’intake suggerito è tra 1,2/1,4-1,7 g/kg/die a supportare il momento di allenamento finalizzato all’incremento della massa magra (4); z negli atleti di élite impegnati in attività che richiedono grandi masse muscolari è rilevato che un apporto di 1,6 g/kg/die, ottenuto senza utilizzo di integratori o supplementi, è in
grado di soddisfare le aumentate richieste (4); z le donne hanno un turnover proteico stimato inferiore agli uomini, mentre gli anziani hanno un catabolismo maggiore rispetto ai più giovani; questo dato è da considerare nella valutazione della quota proteica da fornire (4). Per completezza in tabella 4 si riportano le indicazioni fornite da altra fonte bibliografica (7), in cui si evidenzia che l’intake stimato varia nel range tra 0,8-1,7 g/kg/die. Per sintetizzare, al di là dei luoghi comuni che spesso inducono a un eccessivo intake proteico, non è raccomandato superare il doppio della quota indicata dal PRI (Population Reference Intake) per la popolazione adulta sana (e comunque non oltre i 2 g/kg/ die); di fatto non è provata l’efficacia sul miglioramento della performance fisica per intake proteici superiori a questi livelli. Inoltre, diete iperproteiche possono compromettere l’intake glucidico, riducendolo e inficiando così la possibilità di riuscire a sostenere la performance, possono causare sovraccarico renale ed epatico e possono contenere una significativa quantità di grassi di tipo saturo; in taluni casi l’eccesso aminoacidico può aumentare il rischio di disidratazione per via dell’aumento delle necessità di acqua necessaria alla loro metabolizzazione.
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tabella 4 - stima del fabbisogno proteico nelle varie attività Group Protein intake (g/kg/day) Sedentary men and women
0.8-1.0
Recreational endurance athletes Moderate-intensity endurance athletes
0.8-1.0
Resistance athletes (steady state) Resistance athletes (early training)
1.0-1.2
Elite male endurance athletes Football, power sports
1.2
1.5-1.7 1.6 1.4-1.7
Fonte: Burke and Deakin, Clinical Sports Nutrition, 3rd Edition, McGraw-Hill Australia Pty Ltd, 2006.
elettrofisiologica del cuore, può ridurre la pressione sanguigna e l’insorgenza di crampi muscolari e sembra migliorare la performance (8). L’integrazione con omega-3 è stata associata anche al miglioramento di abilità quali i tempi di reazione e di decisione e alla stabilizzazione dell’umore. Tuttavia è utile ricordare che non è stata definita una dose soglia oltre la quale si possono avere effetti avversi, quali sanguinamento; in attesa di futuri risultati che chiariscano tutte le condizioni in cui si possono ottenere dei benefici, il tipo migliore di olio per l’integrazione, le dosi e i tempi ottimali di somministrazione per specifici outcome, si suggerisce un approccio prudenziale al loro utilizzo e secondo le raccomandazioni fornite dai Larn (2). In ogni caso, la quota lipidica introdotta giornalmente non deve superare il 30% delle calorie totali; intake inferiori al 15% dell’energia totale giornaliera non portano benefici ma, per contro, possono essere responsabili di deficit di vitamine liposolubili e di AGE.
Grassi
I grassi, oltre a fornire l’energia per l’allenamento, apportano acidi grassi essenziali necessari per le membrane cellulari, per la pelle, per gli ormoni e per il trasporto di vitamine liposolubili. I lipidi sono i maggiori carburanti, se non i più importanti, per gli esercizi a leggera-moderata intensità e per gli allenamenti aerobici a lunga durata. Alcuni tipi di grassi poli-insaturi, gli AGE (acidi grassi essenziali), hanno anche una funzione antinfiammatoria, sono protettivi nei confronti del sistema cardiovascolare, migliorano la funzione endoteliale, contribuiscono a mantenere l’adeguato profilo lipemico; in questo senso giocano un ruolo rilevante nel mantenimento dello stato di salute dello sportivo, più esposto agli stress ossidativi causati da esercizio fisico intenso. Recentemente si è osservato che la supplementazione con olio di pesce ricco in grassi omega-3 riduce lo stress ossidativo causato da esercizio estremo, può ridurre il ritmo cardiaco sia a riposo sia durante l’attività, forse a causa di un effetto diretto sulla funzione
Allenamento, gara e recupero
Nell’alimentazione applicata allo sport, l’orario d’inizio dell’allenamento o della gara condiziona la suddivisione dei pasti e spuntini (ben definiti in numero e contenuto energetico-nutrizionale), tempi e modalità di consumo nell’arco della giornata. Generalmente, per motivi fisiologici, l’allenamento deve iniziare a digestione pressoché ultimata (circa tre ore dopo un pasto completo). Il tempo necessario alla digestione è variabile in funzione della quantità, della qualità e delle modalità di preparazione dei cibi assunti: pasti a elevato contenuto proteico (carni) richiedono tempi di digestione di circa tre ore; cibi a prevalente contenuto lipidico richiedono circa due ore, mentre i carboidrati complessi richiedono circa un’ora. Qualora non vi fosse tale disponibilità di tempo è necessario intervenire sulla distribuzione dei pasti nell’arco della giornata definendone, inoltre, il contenuto energetico-nutrizionale (4). Gli obiettivi del pasto che precede l’allena-
mento sono due: non deve far sentire fame al soggetto e deve mantenere un livello ottimale di glucosio nel sangue per l’esercizio muscolare. Gli sportivi che si allenano al mattino presto prima di mangiare o di bere rischiano di avere un basso livello di glicogeno a livello epatico e questo può influenzare la performance, soprattutto se si tratta di un allenamento di resistenza (4). Quando si è in prossimità di una gara, il fattore durata è quello che più di ogni altro indirizza le scelte nutrizionali. A seconda della durata della gara, ci sono specifiche necessità. Nelle gare di durata inferiore a 1 ora, generalmente l’intervento nutrizionale si limita a sorvegliare l’idratazione e non è necessario che il comportamento alimentare si discosti da quello del periodo di allenamento: alimentazione equilibrata, suddivisione possibilmente in cinque pasti (tre pasti principali e due spuntini), consumo a orari stabiliti in relazione all’impegno agonistico (4). Nelle gare di durata compresa tra 1 e 3 ore è necessario integrare acqua e carboidrati. Infine, nelle gare di durata superiore alle 3 ore (come ad esempio nella maratona) l’intervento nutrizionale è finalizzato ad assicurare una concentrazione ottimale di glicogeno e acqua, indispensabili a coprire le richieste energetiche del muscolo per tutto l’arco della gara e a prevenire la disidratazione, unitamente a un’integrazione salina. Inoltre, poiché la quantità di glicogeno muscolare ed epatico rappresenta un fattore limitante la prestazione, l’atleta deve modificare la propria alimentazione nei giorni immediatamente precedenti l’impegno agonistico, al fine di saturarne le scorte per un’adeguata performance (4). Di pari importanza è l’alimentazione dopo la gara o l’allenamento, che ha lo scopo di ristabilire l’equilibrio metabolico-nutrizionale. Il ripristino di questo equilibrio deve essere veloce, affinché l’atleta possa intraprendere il prima possibile e al meglio una seduta di allenamento o una gara. A tale scopo il glucosio si è dimostrato il più adatto fra gli zuccheri febbraio 2016
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ad assicurare il più rapido ripristino del glicogeno muscolare. Infatti, poiché la velocità di sintesi del glicogeno è influenzata dall’entità della sua assunzione e dal momento in cui questa inizia (è massima nelle prime due ore successive alla fine dell’esercizio) è risultata ottimale una razione glucidica di 0,7g/kg peso ogni 2 ore. Tale consumo dovrebbe iniziare subito dopo la fine dell’impegno fisico (4). L’aggiunta di 5-9 g di proteine ogni 100 g di carboidrati ingeriti dopo l’allenamento può aumentare il livello di sintesi di glicogeno, procura gli aminoacidi per la riparazione muscolare e promuove il miglioramento del profilo degli ormoni anabolizzanti (4). Conclusioni
In sintesi, l’alimentazione dell’atleta non deve discostarsi qualitativamente dai concetti della dieta mediterranea; ciò che dovrà essere adattato sono: il contenuto energetico, la quota di carboidrati e l’apporto idro-salino. Il fatto che l’uomo sia sopravvissuto per anni mangiando nei modi più svariati secondo tradizioni e cul-
ture differenti suggerisce che vi sono più modi efficaci per fornire energia e nutrienti con funzioni plastiche; all’atleta però servono substrati che siano allo stesso tempo efficienti nel fornire combustibile e siano in grado di “promuovere” il minor impegno metabolico e la maggior resa per l’organismo. Il successo atletico deriva da una corretta commistione tra patrimonio genetico favorevole, la “volontà di fare”, un’opportuna disciplina, un allenamento corretto e un adeguato approccio nutrizionale ed è difficilmente perseguibile in assenza di uno stato di salute inteso come benessere psico-fisico. Una nutrizione appropriata supporta l’esercizio fisico, migliora la performance atletica e riduce i tempi di recupero. Pertanto, l’esperto in ambito nutrizionale ha un ruolo cruciale nel determinare le corrette opzioni e strategie, al fine di aiutare l’atleta o colui che intraprende una regolare attività fisica a raggiungere o a mantenere lo stato di salute, contribuendo a correggere e/o a prevenire l’instaurarsi di eventuali deficit nutrizionali (6). n
Bibliografia 1. Heaney S, O’Connor H, Michael S, Gifford J,
Naughton G. Nutrition knowledge in athletes: a systematic review. Int J Sport Nutr Exerc Metab. 2011 Jun;21(3):248-61. 2. Società Italiana di Nutrizione umana (SINU).
LARN-Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana-IV Revisione. Sics, Edizione, 2014. 3. Sgambato F, Prozzo S, Caporaso C,
Milano L, Sgambato E, Piscitelli GL. La fisiopatologia clinica delle ipersodiemie. Italian Journal of Medicine 2007;(1)2:6-18. 4. Mahan KL and Escott-Stump S. Krauses’s
Food & Nutrition Therapy-12th Edition. Saunders Elsevier. 5. American College of Sports Medicine
http://www.acsm.org 6. World Health Organization. Global
recommendations on physical activity for health. 2010. 7. Burke and Deakin, Clinical Sports Nutrition-3rd
Edition; McGraw-Hill Australia Pty Ltd; 2006 8. Mickleborough TD. Omega-3
polyunsaturated fatty acids in physical performance optimization. Inizio moduloInt. J. Sport Nutr. Exerc. Metab. 2013;23:83-96.
questionario di valutazione 1. Secondo i Larn, l’assunzione adeguata (AI) di acqua negli uomini e nelle donne adulte sane è rispettivamente di: a) 2,5 L/die e 2,0 L/die b) 1,5 L/die e 2,0 L/die c) 1,5 L/die per entrambi d) 1,0 L/die per entrambi
b) può essere sufficiente la sola acqua, purché all’interno di un programma nutrizionale ricco di frutta e verdura, a reintegrare i minerali eventualmente persi c) non vi sono indicazioni a riguardo d) è necessario l’utilizzo di soluzioni idro-saline contenenti Na e Cl e che siano ipotoniche o isotoniche rispetto al plasma
2. Le principali manifestazioni della disidratazione sono: a) solo ipovolemia (riduzione del volume ematico) b) solo riduzione del peso corporeo c) ipovolemia e riduzione del peso corporeo d) aumento del peso corporeo
4. Per attività intense e prolungate: a) la sola acqua può non risultare sufficiente al reintegro completo delle perdite totali; può essere utile l’utilizzo di soluzioni idro-saline contenenti Na e Cl e che siano ipotoniche o isotoniche rispetto al plasma b) può essere sufficiente la sola acqua c) può essere sufficiente la sola acqua purché all’interno di un programma nutrizionale ricco di frutta e verdura a reintegrare i minerali eventualmente persi d) non vi sono indicazioni a riguardo
3. Per sport di breve durata e modesta intensità: a) la sola acqua può non risultare sufficiente al reintegro completo delle perdite totali
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5. Per attività principalmente aerobiche in cui prevalgono in allenamento carichi di media intensità e di lunga durata, i substrati energetici di riferimento sono: a) grassi b) zuccheri c) grassi e zuccheri d) proteine 6. Per discipline in cui è prevalente la fase anaerobica, il carburante di riferimento è/sono: a) glucosio b) grassi c) zuccheri d) grassi e zuccheri 7. Per soggetti che praticano attività fisica regolare lieve-moderata (30-40 minuti al giorno per 3 volte alla settimana): a) l’intake calorico può generalmente essere allineato ai fabbisogni calcolati per la popolazione generale b) si può arrivare a un significativo aumento del fabbisogno energetico (per es. fino a 10000 kcal/die) c) si ha una diminuzione del fabbisogno energetico d) non vi sono indicazioni specifiche a riguardo 8. Per atleti di élite con allenamenti intensi e di lunga durata: a) l’intake calorico può generalmente essere allineato ai fabbisogni calcolati per la popolazione generale b) si può arrivare a un significativo aumento del fabbisogno energetico (per es. fino a 10000 kcal/die) c) si ha una diminuzione del fabbisogno energetico d) non vi sono indicazioni specifiche a riguardo 9. La quantità di carboidrati richiesti dall’organismo per gli allenamenti ad intensità moderata: a) è pari a 5-7 g/kg di peso corporeo b) è pari a 7-10 g/kg di peso corporeo c) è >15 g/kg di peso corporeo d) è <5 g/kg di peso corporeo 10. La quantità di carboidrati richiesti dall’organismo per gli sport di resistenza: a) è pari a 5-7 g/kg di peso corporeo b) è pari a 7-10 g/kg di peso corporeo c) è >15 g/kg di peso corporeo d) è <5 g/kg di peso corporeo
11. L’apporto proteico di adulti sani nelle attività dilettantistiche e nelle attività programmate di intensità medio-bassa è pari a: a) 0,9 g/kg/die b) 1,2-1,4 g/kg/die c) 1,4-1,7 g/kg/die d) 1,6 g/kg/die 12. L’apporto proteico di adulti sani per prestazioni aerobiche superiori a 60 minuti è pari a: a) 0,9 g/kg/die b) 1,2-1,4 g/kg/die c) 1,4-1,7 g/kg/die d) 1,6 g/kg/die 13. L’apporto proteico, negli atleti di élite impegnati in attività che richiedono grandi masse muscolari, è pari a: a) 0,9 g/kg/die b) 1,2-1,4 g/kg/die c) 1,4-1,7 g/kg/die d) 1,6 g/kg/die 14. Quale di queste affermazioni inerente ai grassi è scorretta? a) La quota lipidica introdotta giornalmente deve superare il 30% delle calorie totali b) I grassi apportano acidi grassi essenziali necessari per le membrane cellulari, per la pelle, per gli ormoni e per il trasporto di vitamine liposolubili c) Gli AGE (acidi grassi essenziali) hanno anche una funzione antinfiammatoria d) La quota lipidica introdotta giornalmente non deve superare il 30% delle calorie totali 15. Quale di queste affermazioni inerente l’allenamento, la gara e il recupero è scorretta? a) Gli obiettivi del pasto che precede l’allenamento sono due: deve fare in modo di non far sentire fame al soggetto e deve mantenere un livello ottimale di glucosio nel sangue per l’esercizio muscolare b) Nelle gare di durata inferiore a 1 ora, generalmente l’intervento nutrizionale si limita a sorvegliare l’idratazione e non è necessario che il comportamento alimentare si discosti da quello del periodo di allenamento c) Nelle gare di durata superiore alle 3 ore (maratona), l’intervento nutrizionale è finalizzato ad assicurare una concentrazione ottimale di glicogeno e acqua d) L’alimentazione dopo la gara o l’allenamento non riveste importanza nel mantenimento dell’equilibrio metabolico-nutrizionale
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L’intestino e il microbiota che ci abita: la prospettiva ginecologica
A cura di Prof. Alessandra Graziottin Direttore del centro di Ginecologia H. San Raffaele Resnati, Milano Presidente Fondazione Graziottin per la cura del dolore nella donna www.alessandragraziottin.it www.fondazionegraziottin.org
P
erché una ginecologa dovrebbe interessarsi di microbiota intestinale? Per tre buone ragioni. La prima è che l’essere umano è un ecosistema con due gambe, con un vero e proprio “super-organismo” a livello intestinale, capace di condizionare in modo articolato salute e malattia generale e, nello specifico, ginecologica, molto più di quanto attualmente si apprezzi. Dentro di noi esiste infatti uno dei più complessi e affascinanti ecosistemi di natura. Il microbiota gastrointestinale è composto da un numero di batteri pari a 6 volte il totale delle cellule che compongono l’intero cor-
po umano e da almeno quattro milioni di tipi di batteri diversi. Questi coinquilini vivono in stretto e mutualistico contatto con la mucosa intestinale con cui dialogano nella salute e nella malattia. I principali batteri che popolano l’apparato sono i Bifidobatteri, i Lattobacilli e gli Eubacterium, ma ve ne sono numerosissime altre specie (di cui la maggioranza non è stata ancora identificata). Tutti insieme svolgono funzioni per noi essenziali. Per esempio: z favoriscono la biodisponibilità di alcuni nutrienti e il metabolismo delle calorie contenute nei cibi: molte sindromi carenziali in gineco-
L’efficienza del microbiota intestinale è un fattore chiave per il benessere dell’intero organismo. Le alterazioni della flora batterica intestinale possono influenzare anche patologie ginecologiche
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«Il migliore comandante non è colui che riporta cento vittorie in cento battaglie ma chi sottomette l’avversario, senza nemmeno dare battaglia. Egli è il migliore in assoluto […] Conoscere l’altro e se stessi: vittoria senza rischi. Conoscere il terreno e le condizioni ambientali: vittoria su tutti i fronti»
Sun-Tzu L’arte della guerra, VI sec. a.C.
logia hanno come trigger un malassorbimento intestinale; variazioni del microbiota intestinale possono contribuire all’obesità; z sintetizzano diverse vitamine; z regolano l’espressione del sistema immunitario nella mucosa intestinale grazie all’azione sul sistema dei linfociti associato all’intestino (Gut Associated Lymphoid Tissue, Galt); z sostengono e contribuiscono alla peristalsi intestinale, aspetto su cui gli ormoni sessuali (estrogeni, progesterone e testosterone) hanno un ruolo fondamentale, sinergico e di modula26
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zione del microbiota stesso, ancora poco apprezzato: basti pensare, per esempio, all’aumento dei sintomi da sindrome dell’intestino irritabile (Irritable Bowel Syndrome, Ibs) in fase mestruale o a quanto menopausa e invecchiamento si associno a un rallentamento del transito intestinale, fino a una franca stitichezza e riduzione della capacità digestiva e di assorbimento di nutrienti (anche a parità di conservazione dell’apparato dentario); z proteggono la mucosa intestinale – e dunque l’intero organismo – dalle aggressioni di microrganismi patogeni, prevenendo così la comparsa di molte infezioni. Una protezione articolata, sia attraverso la formazione di biofilm fisiologici intestinali extracellulari, che contrastano i biofilm patogeni, sia attraverso una singolare sinergia di riparazione, potenziamento e rinforzo delle chiusure intercellulari (tight junctions) che migliorano e ottimizzano la capacità della mucosa intestinale stessa di essere un’efficace e selettiva frontiera, sia per i germi sia per allergeni complessi. Queste azioni sono particolarmente ben documentate nel caso dell’Escherichia coli di Nissle, capace di una specifica azione di modulazione del microbiota intestinale grazie all’azione diretta antimicrobica, mediante produzione di batteriocine, e all’azione di rinforzo della funzione di frontiera della mucosa intestinale, grazie al dialogo biunivoco (cross-talk) con le cellule della mucosa stessa, attraverso appunto la formazione di un biofilm fisiologico extracellulare protettivo, produzione di difensine e rinforzo delle tight junctions. Un’azione di eccellente efficacia biologica, che va a ridurre la “ sindrome dell’intestino che perde” (o “coi buchi”, “leaky gut sydrome”), responsabile di molte patologie anche a declinazione ginecologica. L’Escherichia coli di Nissle vanta inoltre proprietà immunomodulanti, grazie alla riduzione delle citochine pro-infiammatorie – Interleuchina 2 (IL-2), Tumor Necrosis Factor alpha (TNF alpha) Interferone gamma (IFN gamma) – e aumento delle citochine antinfiammatorie .
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La seconda ragione è critica dal punto di vista clinico: l’intestino è il vero “mandante occulto” di moltissime vaginiti e cistiti recidivanti, campo di cui mi occupo da decenni. Includere l’intestino nel progetto di prevenzione e terapia è indispensabile se non si vuole cadere nel fallimentare minimalismo terapeutico di usare antibiotici in modo indiscriminato e sempre più patogeno. Agire sui fattori predisponenti, precipitanti e di mantenimento, in primis a livello intestinale, è certamente più fisiopatologicamente corretto e terapeuticamente più efficace. Usare con intelligenza clinica probiotici, prebiotici e microorganismi strategicamente utili come, ad esempio, l’Escherichia Coli di Nissle, lassativi di massa, in caso di stipsi propulsiva, ma anche opportune terapie ormonali sostitutive, quando appropriate, è vincente sul fronte terapeutico. La terza, e non ultima ragione, è che “le donne ragionano con la pancia”. Dato pragmatico estremamente stimolante da un punto di vista scientifico, clinico e culturale, per una ginecologa che ami la prospettiva internistica e la visione multisistemica (e non solo “uterina”) della salute della donna. È vero che noi donne abbiamo, più degli uomini, un “cervello viscerale” ossia una centrale neurovegetativa ed emozionale di risposta al mondo situata nell’intestino. Oltre il 90% della serotonina, che è il neurotrasmettitore principe che regola il tono dell’umore, non si trova nel cervello ma nella parete dell’intestino. Ecco perché la pancia esprime bene il nostro umore e il nostro stress. L’aspetto più affascinante riguarda il microbiota. È curioso il modo in cui i nostri inquilini intestinali influenzano il nostro cervello, le
emozioni, i pensieri. Per esempio: z a piccole quantità, componenti dei batteri stimolano il nostro sistema immunitario innato, e questo è ottimo; z proteine dei germi possono creare reazioni crociate con antigeni umani e causare seri problemi nel nostro sistema immunitario: molte intolleranze, allergie alimentari ma anche malattie autoimmuni hanno questa base; z i batteri possono produrre sostanze neurotossiche, come l’azoto e il D-acido lattico: un cervello intossicato e infiammato pensa malissimo; z i batteri possono anche produrre ormoni e neurotrasmettitori, che influenzano il cervello, ma rispondono anche ai nostri ormoni e alle loro fluttuazioni. Il che spiega meglio il gonfiore di pancia (meteorismo) premestruale, nonché la depressione e l’irritabilità associate,o la tendenza progressiva alla stitichezza dopo la menopausa. Gli antibiotici sono bombe atomiche per il microbiota: per tornare alla normalità possono non bastare due anni. Ecco perché bisogna usarli con prudenza e visione clinica a lungo termine. Importante, la qualità degli alimenti condiziona il microbiota, nel bene e nel male. Noi siamo quel che mangiamo. E pensiamo, con il cervello e con la pancia, anche in base a quel che mangiamo. Infine, l’intestino parla al cervello e il cervello parla all’intestino: z i batteri stimolano i nervi del cervello enterico (intestinale) e questi modificano l’attività cerebrale, inclusi il sonno, la risposta allo stress, la soglia del dolore, la memoria, perfino la lucidità del pensiero; z possono modulare o concorrere a malattie autoimmuni, come sopra accennato, come la celiachia o la sclerosi multipla, con rapporti in corso di studio z il cervello può modificare a sua volta la composizione e il lavoro del microbiota intestinale, per via nervosa e ormonale. Non solo nelle donne, ma in tutti gli esseri umani. Come non appassionarsi a questa prospettiva? n
approfondimenti I probiotici sono microrganismi viventi che possono essere integrati in vari tipi di prodotti, come alimenti, medicinali e supplementi dietetici. Nello specifico, con il termine “probiotico” si fa riferimento a quei microrganismi viventi che hanno dimostrato di avere effetti benefici sulla salute. Le specie di Lactobacillus e di Bifidobacterium sono quelle che vengono utilizzate più comunemente come probiotici.
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«Nel trattamento del dolore cronico bisogna essere creativi» dice il farmacologo Diego Fornasari. Facciamo il punto sulla fisiologia del dolore, sulle classificazioni e sulle terapie farmacologiche, dal paracetamolo ai Fans, fino agli oppiacei
La fisiologia del dolore e le terapie farmacologiche
I
l dolore è un fenomeno assolutamente fisiologico, che ci consente se possibile di prevenire o comunque di contenere i danni che il mondo esterno può causare all’organismo. A partire da questa premessa Diego Fornasari, farmacologo presso il Dipartimento di biotecnologie mediche e medicina traslazionale dell’Università di Milano, ha aperto un corso dedicato al low back pain descrivendo i meccanismi che producono la sensazione del dolore, in un processo «estremamente complesso del quale noi oggi percepiamo qualcosa come se guardassimo in una stanza attraverso il buco della serratura: conosciamo più cose rispetto a pochi anni fa, ma molto di più è quello che ancora non sappiamo». Tutto parte da uno stimolo, di natura meccanica, chimica o termica che viene catturato dai
nocicettori, i sensori del dolore presenti un po’ dovunque nel corpo e soprattutto nella pelle, in alcuni organi interni, nella polpa dentaria e nel periostio. Lo stimolo viene trasdotto, ossia produce una attività elettrica e poi trasmesso, con un meccanismo neurologico attraverso il quale raggiunge il cervello. C’è poi una modulazione, in cui il segnale doloroso può essere amplificato o inibito sia prima che dopo l’arrivo alle aree corticali. La modulazione è attivata da diversi input e, oltre allo stesso stimolo doloroso, possono intervenire fattori emotivi, processi cognitivi, sostanze endogene ma anche farmaci o tecniche antalgiche. La fisiologia del dolore è completata da quel processo elusivo che è la percezione, attraverso il quale il segnale nocicettivo diventa fenomeno soggettivo, con risposte variabili da un individuo all’altro. In genera-
di Giampiero Pilat
Diego Fornasari
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le si possono distinguere una via ascendente, in cui l’informazione viaggia dalla periferia al cervello da una discendente in cui, in svariati casi, la sensazione dolorosa viene soppressa, grazie al rilascio di neurotrasmettitori come la noradrenalina e la serotonina. Proprio la via discendente che libera noradrenalina è responsabile per esempio dell’analgesia da stress, meccanismo biologico che impedisce di percepire il dolore in condizioni di tensione, come per esempio durante un combattimento. approfondimenti
Classificare il dolore
Il dolore nocicettivo compare in seguito a un evento lesivo. Lo stimolo viene percepito a livello periferico e trasmesso al sistema nervoso centrale, dove viene memorizzato. Può essere somatico, se causato da una lesione dei tessuti, o viscerale, se causato da alterazioni a carico degli organi interni.
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La conoscenza della fisiologia del dolore è fondamentale per capire in cosa consista la transizione verso il dolore cronico caratterizzato, come rileva Fornasari, non tanto dalla durata, come abitualmente si crede, ma «dal cambiamento delle regole del gioco, ed è su questo che si innesta la terapia farmacologica». Ecco che allora un primo strumento utile per orientarsi meglio è una classificazione del dolore, che si può distinguere in nocicettivo, infiammatorio acuto, infiammatorio cronico e neuropatico, oltre a quello misto in cui sono presenti componenti diverse e ad altre tipologie come il dolore meccanico strutturale, quello per cui ad esempio una persona obesa sente un dolore alle ginocchia a causa del carico del peso sull’articolazione. Il dolore nocicettivo, del tutto fisiologico, è quello che compare in reazione a un evento lesivo, per esempio di natura traumatica. Il dolore infiammatorio è legato appunto alla presenza di una infiammazione, che può interessare diverse strutture ed è caratterizzato dalla attivazione dei nocicettori periferici; se quello acuto rientra ancora in un ambito fisiologico, con il dolore infiammatorio cronico entriamo nella patologia, così come nel
caso del dolore neuropatico, associato ad alterazioni permanenti della struttura anatomica e dei rapporti funzionali dei neuroni spinali e cerebrali. «Nell’infiammazione, gli agenti sensibilizzanti primari – spiega Fornasari – sono le prostaglandine; sono prima di tutto loro che sensibilizzano a livello periferico; se poi il dolore persiste sono probabilmente le citochine a dare fastidio. Naturalmente questi impulsi raggiungono la sinapsi centrale, che si modifica a sua volta con l’apertura dei recettori Nmda del glutammato; il calcio è il secondo messaggero, che attiva le chinasi, che vanno nel nucleo della cellula nervosa e ne modificano l’espressione genica. Nel momento in cui andiamo verso una cronicizzazione, si ha insomma una profonda modificazione della via del dolore. Ma parlando di mal di schiena interessa anche il dolore neuropatico, che spesso subentra progressivamente complicando il quadro del dolore infiammatorio cronico e prevede interventi farmacologici che non possono essere semplicemente antinfiammatori». Terapie farmacologiche a confronto
Ma quali sono le strategie terapeutiche per contrastare il dolore cronico? Le conoscenze delle vie del dolore ci indicano che le strade possibili sono tre: ridurre la sensibilizzazione periferica, ridurre la sensibilizzazione centrale o potenziare le vie discendenti. «Ad agire a livello periferico – ricorda il farmacologo milanese – sono i farmaci antinfiammatori non steoidei, i Fans, tra cui gli inibitori selettivi della COX-2, che possono essere utilizzati ma in maniera oculata e per tempi stabiliti a causa degli effetti avversi. Ci sono inoltre i glucocorticoidi e anche tra questi principi la scelta deve essere attenta, visto che non sono tutti uguali ma hanno caratteristiche farmacocinetiche diverse». Per ridurre la sensibilizzazione c’è invece il paracetamolo, con efficacia limitata ma che può essere somministrato a lungo «ed è interessante anche perché i suoi meccanismi sono complementari con quelli di quasi tutti gli altri farmaci. Possiamo anche agire bloccando i canali del
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calcio e dunque il passaggio degli impulsi dolorosi, diminuendo la sensibilizzazione centrale della sinapsi; a questo scopo abbiamo però farmaci (come la chetamina o il metadone) che hanno una marea di effetti avversi e quindi sono pochissimo utilizzati al di fuori del setting ospedaliero. Abbiamo poi i farmaci che vanno sui recettori oppiodi: quelli che con una classificazione un po’ antiquata vengono definiti oppiacei deboli (codeina, tramadolo, buprenorfina) o forti (come morfina e ossicodone), agonisti dei recettori e quindi in grado di potenziare il meccanismo analgesico». La terza possibilità è quella di potenziare le vie discendenti, e per raggiungere questo obiettivo si usano farmaci che provengono da un setting diverso, quello psichiatrico: «si tratta degli inibitori della ricaptazione della serotonina (Ssri) e della noradrenalina (Nari), grazie ai quali questi neurotrasmettitori persistono più a lungo, producendo un effetto analgesico». Ma Fornasari indica una strategia ancora migliore: combinare i trattamenti terapeutici, agendo così su più fronti contemporaneamente, con l’ulteriore importante vantaggio di poter ridurre il dosaggio dei farmaci e con esso gli effetti avversi. Come spesso accade, la conferma arriva da una revisione Cochrane (1), secondo la quale nel dolore neuropatico l’associazione di due farmaci permette di ottenere risultati migliori. In questo senso, un farmaco molto interessante è il tapentadolo che, con una sola molecola, permette di colpire due bersagli: si tratta infatti di un analgesico centrale che ha due diversi meccanismi di azione, essendo agonista dei recettori μ e inibitore del reuptake della noradrenalina. È un oppioide più potente della morfina estremamente efficace sul dolore nocicettivo, viscerale, infiammatorio e neuropatico. L’opzione dei farmaci oppiacei
Sull’utilizzo degli oppiacei nella terapia del dolore cronico è in corso un dibattito che si sta sviluppando specialmente oltreoceano: danno dipendenza? «Quello che si è visto – spiega Diego Fornasari –
rapporto legge 38: oppiacei in crescita ma livelli di consumo sono bassi Sono stati resi noti in maggio i dati del rapporto sullo stato di attuazione della legge 38/2010 sulle cure palliative e la terapia del dolore. Dati che, come ha spiegato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, «dimostrano che l’uso delle terapie contro il dolore non è più un tabù e che sono sempre di più le persone che ricevono un’assistenza adeguata nel momento di massima fragilità». Nel rapporto si legge di un aumento contenuto del consumo dei farmaci analgesici non oppioidi tra il 2012 e il 2014, mentre per gli analgesici oppioidi l’incremento è stato maggiore: del 26% su scala nazionale e di oltre il 30% in alcune regioni, ma nonostante questo incremento l’uso degli oppioidi in Italia rimane marginale. «Il 17% della popolazione mondiale risiede negli Stati Uniti e in Canada, dove avviene il 92% del
è che il rischio di dipendenza c’è ma non è generalizzato; per esempio, dopo i sessant’anni non si diventa dipendenti. Esistono fattori di rischio per la dipendenza, che può svilupparsi in pazienti giovani o che hanno problematiche psichiatriche; inoltre, chi ha avuto una dipendenza precedente sicuramente la riproduce». Ma si può quantificare questo rischio? Gli studi prospettici di cui disponiamo oggi ci mostrano che circa tre pazienti su cento sviluppano dipendenza: un dato piuttosto basso, che indica come la dipendenza non sia il problema principale legato all’utilizzo degli oppiodi per trattare il dolore cronico. Tuttavia, esattamente come accade per esempio con i Fans, bisogna usarli con cautela e nei casi in cui sono davvero indicati. Un aspetto importante è che non dobbiamo cronicizzare la terapia: se prescrivo un oppiaceo devo dire al paziente per quanto tempo, altrimenti il paziente si spaventa e rifiuta il farmaco. Quando l’oppiaceo avrà svolto il proprio compito, di bloccare il passaggio eccessivo degli stimoli dolorosi attraverso la sinapsi centrale, occorre diminuire progressivamente il dosaggio e cercare qualcos’altro, come si fa con gli antidepressivi: nel trattamento del dolore cronico bisogna essere creativi». n
consumo globale di oppioidi e derivati della morfina – ha spiegato Guido Fanelli, presidente della Commissione ministeriale per l’attuazione della Legge 38 –. Il consumo medio procapite di questi farmaci è pari a 800 mg di equivalenti in morfina nella popolazione statunitense, 0,64 mg nei Paesi dell’Africa sub-sahariana, 2 mg in Italia. Il rischio che abbiamo a livello internazionale è la double failure: se fossimo troppo restrittivi nel contenere l’uso degli oppioidi, rischieremmo di impedirne l’accesso alla stragrande maggioranza dei Paesi del mondo; all’estremo opposto, con la carenza di attenzione si rischierebbe l’abuso che si sta verificando negli Stati Uniti. In Italia abbiamo livelli di consumo bassi, come confermato anche da questa analisi. Dobbiamo, quindi, continuare a crescere in maniera appropriata e regolamentata» ha concluso l’esperto.
Bibliografia 1. Chaparro LE, Wiffen PJ, Moore RA, Gilron
I. Combination pharmacotherapy for the treatment of neuropathic pain in adults. Cochrane Database Syst Rev. 2012 Jul 11;7:CD008943.
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Purificare l’organismo con i rimedi detox naturali di Carla Carnovale
Periodicamente, e soprattutto durante i cambi di stagione, è essenziale depurare l’organismo per favorire l’eliminazione delle tossine accumulate che possono incidere negativamente sulla qualità di vita
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enso di gonfiore e pesantezza addominale, intestino irritato e affaticamento del fegato sono tutti fastidiosi sintomi che costituiscono dei campanelli di allarme e suggeriscono la necessità di favorire un’efficace depurazione dell’organismo, prediligendo uno di stile di vita che salvaguardi il benessere dell’apparato digerente. In merito esistono diverse scuole di pensiero, metodi e rimedi naturali adattabili a seconda delle proprie necessità e basati prevalentemente sul consumo di una dieta ricca di frutta e verdura e di integratori alimentari oppure rimedi fitoterapici specifici che aiutano ad alleviare una grande varietà di sintomi quali stanchezza, costipazione, difficoltà nella digestione, gonfiore e irritabilità. Pulizia disintossicante: come e quando
Ogni individuo dovrebbe prendere coscienza dell’importanza di sottoporsi a una regolare depurazione per favorire una periodica pulizia disintossicante. Sebbene infatti il corpo uma-
no possieda un’enorme ed efficiente capacità di rinnovamento, è necessario che gli vengano garantite le condizioni giuste per farlo. Molti scelgono sapientemente di effettuare una pulizia preventiva nei cambi di stagione, dedicandosi ai diversi rimedi per favorire i processi depurativi dell’organismo; ma la disintossicazione deve essere intesa come un processo continuo, che permetta di raggiungere l’obiettivo primario di una condizione di salute psicofisica ideale. Quotidianamente tutti noi siamo continuamente esposti ai molti agenti nocivi presenti nei cibi, nell’aria, nell’acqua; è essenziale acquisire consapevolezza in merito e agire febbraio 2016
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di conseguenza per far sì che il processo di depurazione risulti efficace. Essere coscienti inoltre del perché questo accade, ci permette non solo di poter gestire, ma soprattutto di prevenire, con piccoli accorgimenti quotidiani, tutti quei sintomi spiacevoli e caratteristici di un organismo affaticato. Senso di gonfiore addominale e affaticamento del fegato
approfondimenti Il carbone vegetale è un integratore alimentare efficace in caso di problemi digestivi, soprattutto quando si associano a sintomi come aerofagia e meteorismo. Oltre ad adsorbire direttamente i gas intestinali, trattiene anche parte dei batteri che li producono esplicando una blanda azione disinfettante.
Molto spesso una dieta non equilibrata è una delle cause principali di questi sintomi. Il consumo di cibi industriali, affumicati, raffinati chimicamente, l’uso quotidiano di troppi grassi e zuccheri a discapito di un regime alimentare ricco di frutta, verdura cruda e fibre, possono alla lunga causare una serie di condizioni in cui il corpo umano non è in grado di lavorare in maniera adeguata, nonostante un’apparente regolarità intestinale. L’eccesso di lipidi, infatti, soprattutto quelli saturi ed idrogenati, sovraccarica il sistema epatobiliare disturbando l’equilibrio funzionale del fegato, l’organo difensivo per eccellenza, deputato a disintossicare l’organismo. Inoltre, quando durante la cottura dei cibi si raggiungono elevate temperature, i condimenti subiscono delle alterazioni importanti e originano sostanze tossiche che contribuiscono ad appesantire il fegato. Anche l’alcol e gli alcaloidi contenuti ad esempio in caffè, tè, cioccolato, contribuiscono, soprattutto se assunti a dosi elevate, a indebolire
Più movimento e MENO stress per disintossicare l’organismo Per incrementare l’eliminazione di sostanze nocive dall’organismo è essenziale prediligere uno stile di vita sano e dedicare mezz’ora al giorno all’attività fisica. È molto utile prendersi cura del proprio corpo, facendo lunghe docce calde, sauna e brevi docce fredde per stimolare il metabolismo, riattivare la circolazione sanguigna e favorire l’eliminazione di impurità e scorie dall’organismo. Inoltre, restare lontani dallo stress garantirà risultati migliori. Lo stress, può infatti stimolare gli
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spasmi del colon che avendo molte terminazioni nervose che lo collegano al cervello, nei momenti di tensione può causare la fastidiosa sensazione di disagio all’altezza dell’addome. Se seguiamo questi piccoli accorgimenti e un regime alimentare corretto, basterà osservare la lingua (specchio di tutto il sistema digestivo) per renderci conto che stiamo procedendo bene. Una lingua rosa pulita indica che tutti gli organi digestivi sono puliti; al contrario, ogni tipo di patina sulla lingua significa che gli organi sono intasati.
il fegato. Il leggero dolore localizzato nella parte superiore destra dell’addome che si avverte in certi casi, ci allerta sulla necessità di intervenire. Favorire una disintossicazione efficace mediante un corretto regime alimentare
È fondamentale selezionare quei cibi che con le loro proprietà ci aiutano a farci sentire meglio e più leggeri. Sono da preferire alimenti che contengono fibre, le quali trattengono acqua e aumentando il volume favoriscono la peristalsi intestinale, come legumi, cereali, verdura, frutta e semi, eccellenti fonti di fibra naturale. Tra i cibi indicati durante il processo di depurazione è bene prediligere: z asparagi, ricchi di fibre, potassio e con un basso contenuto calorico. Possiedono eccellenti proprietà diuretiche e depurative e sono particolarmente utili nella protezione del fegato; z carciofi, una delle verdure anti-gonfiore per eccellenza. Promuovono la funzionalità epatica, favorendo la secrezione biliare e migliorando la salute di fegato e intestino; z ravanelli, rucola, verdure ricche di acqua, quindi contro il gonfiore intestinale e la ritenzione idrica; z finocchi, ottimi aiutanti per mantenere il
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ventre piatto, contrastano la stitichezza; z cavolo, valido aiuto per alleviare le irritazioni intestinali; z carote, sedano, barbabietole, ottime nel favorire il funzionamento e la depurazione del fegato. Anche la frutta è un toccasana, su tutti: z ananas, aiuta a depurare l’organismo, sollecita l’intestino pigro e favorisce digestione; z fragole, ricche di vitamine e minerali, stimolano la diuresi e hanno un’azione depurativa e disintossicante; z kiwi, oltre a essere un frutto tra i più ricchi di vitamina C è unico nel tenere a bada il gonfiore addominale; z papaya, con un alto valore nutrizionale, sconfigge la pancia gonfia; z succo di pompelmo, favorisce la produzione di enzimi disintossicanti nel fegato, aiutando a eliminare le sostanze dannose. È fondamentale infine bere molti liquidi durante il processo di disintossicazione: acqua minerale che idrata l’organismo, favorisce la digestione e la diuresi oppure tisane. Erbe medicinali e integratori alimentari
Al fine di coadiuvare il processo di purificazione dell’organismo, è estremamente utile asso-
ciare alla terapia nutrizionale, specifici rimedi naturali di tipo integrativo. Ad oggi, sono moltissimi i prodotti disponibili sul mercato; ogni integratore alimentare e prodotto fitoterapico è stato appositamente studiato e commercializzato per rispondere e soddisfare le più disparate e specifiche esigenze. Per rispondere a un pubblico sempre più vasto ed esigente e venire incontro a un numero crescente di bisogni, sono state inoltre formulate differenti formulazioni (capsule, compresse, opercoli, sciroppi, tisane). Qui di seguito si riportano a titolo esemplificativo, i prodotti composti da estratti di origine vegetale, (sia monocomposti che pluricomposti), maggiormente utilizzati allo scopo di promuovere un’azione depurativa, lenitiva e drenante. z Tarassaco: stimolante della funzione biliare che agisce accelerando la peristalsi intestinale, l’espulsione delle feci e l’eliminazione dei liquidi in eccesso. Favorisce la buona digestione. z Cardo mariano: dalle ben noti proprietà epatoprotettrici, utile come disintossicante epatico. z Aloe vera e melissa: di valido aiuto per la fisiologica funzionalità dei processi depurativi dell’organismo e per svolgere un’azione lenitiva per il tratto gastrointestinale. z Pilosella, betulla, tè di Giava, tarassaco, solidago, meliloto: combattono naturalmente la ritenzione idrica, stimolando l’eliminazione dei liquidi in eccesso; utili per sostenere le funzioni depurative fisiologiche dell’organismo. z Camomilla: esplica un’azione spasmolitica e calmante sull’apparato gastrointestinale con conseguente riduzione delle difficoltà digestive e della scarsa motilità gastrica e intestinale. z Ortica, salvia, timo, anice, biancospino: stimolano gli organi purificatori (fegato, reni, intestino) e riducono le fermentazioni intestinali. z Angelica, finocchio, menta piperita, liquirizia: svolgono un’azione eccitante sulla motilità dello stomaco e dell’intestino, sulla produzione della bile con conseguente azione stimolante sulla peristalsi intestinale; svolgono anche l’azione antifermentativa e carminativa con conseguente espulsione dei gas intestinali. n febbraio 2016
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Carenza di vitamina D riguarda oltre un bambino su due A dispetto di quanto si possa credere, l’ipovitaminosi D non è affatto debellata e colpisce anche nei Paesi ricchi. Scarsa
di Vincenzo Marra
esposizione solare e obesità sono alcune fra le cause a determinarla. Una recente consensus approntata da società scientifiche pediatriche punta a fornire corrette indicazioni in materia
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pauracchio per i genitori, la carenza di vitamina D in età pediatrica nonostante le raccomandazioni che giungono da medici e pediatri continua a rappresentare una condizione particolarmente diffusa nella fascia di età 0-18, addebitabile a stili di vita scorretti e poco salutari. Immediato è il collegamento con il rachitismo carenziale, patologia caratterizzata da una ridotta mineralizzazione del tessuto osseo neoformato e da ridotta o assente calcificazione endocondrale della cartilagine di accrescimento, con successiva deformazione, disturbo che conta sempre più casi anche nei Paesi industrializzati. Ma le conseguenze negative per lo stato di salute legate a ipovitaminosi D non si fermano qui. Secondo recenti studi scientifici, infatti, tale condizione deficitaria potrebbe determinare una maggiore incidenza di diabete mellito, infezioni respiratorie, asma, dermatite atopica, malattie allergiche, infiammazioni croniche, persino depressione e autismo. Un quadro molto serio, dunque, che non permette in alcun modo superficiali sottovalutazioni di sorta. febbraio 2016
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Le raccomandazioni degli esperti
Nell’ottica di promuovere adeguate indicazioni terapeutiche si inserisce la recente consensus sulla vitamina D in età pediatrica, promossa dalla Società italiana di pediatria (Sip) e dalla Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps), in collaborazione con la Federazione medici pediatri (Fimp). Tale documento, il primo del genere nel nostro Paese, fornisce le raccomandazioni mirate alla prevenzione dell’ipovitaminosi D in età pediatrica, individuando i soggetti a rischio e indicando le modalità di profilassi e di trattamento. «La principale novità del documento è rappresentata dalle recenti acquisizioni scientifiche relative alle azioni extrascheletriche della vitamina D nel bambino e nell’adolescente – spiega Giuseppe Saggese, presidente della Conferenza permanente dei direttori delle scuole di specializzazione in pediatria e coordinatore e scientifico della consensus –. Sino ad ora sapevamo che la vitamina D previene malattie dell’apparato osseo, come il rachitismo e l’osteoporosi, perché favorisce nell’organismo i processi di assorbimento del calcio, elemento costitutivo dell’apparato scheletrico. Nuove evidenze suggeriscono che la vitamina D ha un
tabella 1 - maggiori fonti alimentari di vitamina d Alimento
Vitamina D (µg per 100 g)
Olio di fegato di merluzzo Sgombro, crudo
8.2
Salmone, crudo
7.1
Salmone, grigliato
5.9
Tuorlo d’uovo
4.9
Fonte: European Food Information Council (Eufic).
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ruolo positivo in alcune patologie autoimmuni, come il diabete mellito 1 e l’artrite idiopatica giovanile, ma anche nell’asma, nel broncospasmo e nelle infezioni respiratorie ricorrenti. Alcuni studi hanno messo in luce che i bambini con queste infezioni hanno livelli più bassi di vitamina D e si è visto anche che la vitamina D ne migliora il decorso. Si tratta di letteratura recente ancora oggetto di approfondimento – ha precisato Giuseppe Saggese – ma i risultati sono incoraggianti e aprono nuove prospettive di utilizzo della vitamina D. In attesa di dati definitivi i pediatri devono comportarsi usando i principi del buonsenso e facendo riferimento alle raccomandazioni della consensus». Carenza di vitamina D: quali conseguenze?
Esistono due forme di vitamina D: l’ergocalciferolo, assunto con il cibo, e il colecalciferolo sintetizzato dall’organismo. La vitamina D rappresenta un regolatore del metabolismo del calcio, favorisce dunque anche una corretta mineralizzazione dello scheletro e contribuisce a mantenere nella norma i livelli di calcio e di fosforo nel sangue. È una vitamina liposolubile, viene quindi accumulata nel fegato, per cui non è necessario assumerla con regolarità attraverso i cibi, dal momento che il corpo la rilascia a piccole dosi quando il suo impiego diventa necessario. La vitamina D è scarsamente presente negli alimenti, con l’unica eccezione rappresentata dall’olio di fegato di merluzzo, mentre salmone, sardine, sgombro, latte e derivati, uova, fegato e verdure verdi ne contengono discrete quantità (vedi tab. 1). La maggior parte della vitamina D viene sintetizzata all’interno dell’organismo attraverso l’azione dei raggi del sole, a partire da derivati del colesterolo presenti nella pelle. La carenza di tale vitamina comporta il rischio di rachitismo nei bambini, con conseguente deformazione delle ossa e arresto della crescita, e di osteomalacia negli adulti, una intensa forma di decalcificazione ossea che si presenta quando la struttura esterna dell’osso è integra ma all’in-
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terno si registra un contenuto insufficiente di minerali. La mancanza di vitamina D rende inoltre i denti più deboli e maggiormente soggetti alla carie. Al contrario, un eccesso di vitamina D può causare calcificazioni diffuse negli organi, contrazioni e spasmi muscolari, vomito, diarrea. Generalmente la normale esposizione ai raggi del sole è sufficiente a coprire il fabbisogno di vitamina D negli adulti, e va quindi integrata solo durante la fase di accrescimento e durante la gravidanza e l’allattamento. Essendo recepita prevalentemente dai raggi del sole, una carenza di tale vitamina può derivare da abitudini che impediscono l’esposizione solare del corpo per lunghi periodi di tempo. Comportamenti poco sani quali l’abuso di alcol e il consumo di sostanze stupefacenti possono contribuire a ridurre le concentrazioni di vitamina D presenti nell’organismo. Categorie a rischio
La maggior parte delle persone è in grado di ottenere la vitamina D di cui necessita attraverso una dieta sana ed equilibrata e mediante l’esposizione al sole estivo. Alcuni soggetti, in momenti particolari della vita, possono tuttavia mostrare delle carenze di tale nutriente o dei fabbisogni superiori e avere quindi bisogno di integrarlo sotto stretta osservazione medica: in questa categoria rientrano in primo luogo i bambini nel pieno della crescita, le donne durante la gravidanza e l’allattamento, gli over 65 e i soggetti che per determinate circostanze non si espongono sufficientemente al sole (come coloro che si trovano costretti a stare casa per lunghi periodi). Gli studi epidemiologici disponibili evidenziano un’elevata prevalenza di ipovitaminosi D in età pediatrica – persino superiore al 50% – su tutto il territorio italiano; e anche gli adolescenti rientrano tra i soggetti particolarmente a rischio. La profilassi con vitamina D durante il primo anno di vita risulta dunque essere fondamentale per garantire uno stato vitaminico D adeguato e per prevenire forme di rachitismo carenziale.
Le indicazioni della consensus per i neonati
Il documento in questione raccomanda la profilassi con vitamina D in tutti i neonati indipendentemente dal tipo di allattamento. Infatti, il latte materno contiene quantità di vitamina D insufficienti per la prevenzione del deficit di tale vitamina. D’altronde un bambino allattato artificialmente, considerando il fabbisogno idrico e il contenuto di vitamina D delle formule (circa 400 UI/l), è in grado di assumere un litro di latte formulato solo quando raggiunge un peso di circa 5-6 kg, quindi alcuni mesi dopo la nascita. Inoltre, al raggiungimento di tale peso, i lattanti vengono generalmente svezzati con riduzione nell’assunzione della quota di latte formulato. In assenza di fattori di rischio specifici si raccomanda di somministrare 400 UI/die di vitamina D, mentre in presenza di fattori di rischio per il relativo deficit (vedi tab. 2) possono essere somministrate fino a 1.000 UI/die di vitamina. Si raccomanda, altresì, di iniziare la profilassi con vitamina D fin dai primi giorni di vita proseguendo per tutto il primo anno di vita, mediante una somministrazione giornaliera (la somministrazione di vitamina D2 o D3 risulta efficace in egual misura). Il nato pretermine presenta un rischio rilevante di alterazioni del metabolismo osseo fino al possibile sviluppo della cosiddetta “malattia metabolica dell’osso” o “osteopenia della prematurità”, condizione caratterizzata da una ri-
tabella 2 - fattori di rischio di deficit di vitamina d di possibile riscontro nel primo anno di vita
z Soggetti di etnia non caucasica con elevata pigmentazione cutanea z Insufficienza epatica cronica z Insufficienza renale cronica z Malassorbimenti (ad esempio fibrosi cistica, malattie infiammatorie croniche intestinali, celiachia alla diagnosi, etc.)
z Terapie croniche: antiepilettici (fenobarbital, fenitoina), corticosteroidi per via sistemica, farmaci antiretrovirali, antimicotici per via sistemica (ketoconazolo)
z Regimi dietetici inadeguati (ad esempio dieta vegana) z Nati da madri con fattori di rischio di deficit di vitamina D durante la gravidanza Fonte: Consensus vitamina D in età pediatrica (Sip, Sipps, Fimp).
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approfondimenti È possibile comunque prendere in considerazione, soprattutto nei casi di scarsa compliance, la profilassi effettuata mediante somministrazione intermittente (dosi settimanali o mensili per una dose cumulativa mensile di 18.000-30.000 UI di vitamina D) a partire dal 5°-6° anno di vita e in particolare durante l’adolescenza.
duzione significativa del contenuto minerale osseo a livello scheletrico e da un aumentato rischio di frattura. Pertanto la promozione di uno stato vitaminico D ottimale gioca un ruolo di fondamentale importanza per il bambino prematuro, al fine di ottimizzare l’assorbimento intestinale di calcio e fosforo e promuovere i processi di mineralizzazione ossea. La consensus raccomanda nel nato pretermine con peso alla nascita inferiore a 1.500 grammi un apporto di 200-400 UI/die di vitamina D. Quando il neonato raggiunge un peso di almeno 1.500 grammi e viene alimentato con alimentazione enterale totale si raccomanda un dosaggio di 400-800 UI/die di vitamina D fino ad un età post-concezionale pari a 40 settimane (tale indicazione vale anche per i neonati che presentano alla nascita un peso superiore a 1,5 Kg). Profilassi con vitamina D in bambini e adolescenti
Nelle fasi successive all’età pediatrica, dopo il primo anno e fino all’adolescenza (1-18 anni), la profilassi con vitamina D deve essere considerata nei soggetti con fattori di rischio deficit di tale vitamina, con particolare attenzione rivolta agli individui con scarsa esposizione alla luce solare durante l’estate (periodo dell’anno in cui la sintesi cutanea di vitamina D è più efficace) e durante l’adolescenza. L’efficacia della radiazione solare nel promuovere la sintesi di vitamina D è condizionata da molti fattori come la latitudine, il momento della giornata e la stagione dell’anno durante le quali ci si espone al sole, l’inquinamento atmosferico, la percentuale di cute esposta, anche in base al tipo di vestiario che si suole indossare, il grado di pigmentazione cutanea e l’utilizzo di filtri solari. Nei soggetti con scarsa esposizione solare la profilassi con vitamina D può essere considerata nel periodo di tempo compreso tra il termine dell’autunno e l’inizio della primavera (novembre-aprile). In caso di fattori di rischio permanenti di deficit di vitamina D, come ad esempio specifiche condizioni patologiche (fibrosi cistica, malattie epatiche, insufficienza renale cronica, tubercolosi, 42
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terapia cronica con farmaci anticomiziali o corticosteroidi, eccetera), la profilassi dovrebbe essere somministrata durante tutto l’anno. L’apporto giornaliero raccomandato di vitamina D dopo il primo anno fino all’adolescenza è pari a 600 UI/ die (nei soggetti a rischio di deficit, la somministrazione giornaliera può arrivare a 1.000 UI/die). Nel bambino e nell’adolescente obeso si consiglia, invece, la profilassi con vitamina D alla dose di 1.000-1.500 UI/die durante il periodo compreso novembre e aprile. Nel soggetto obeso, infatti, per garantire uno stato vitaminico D adeguato sono necessari apporti di vitamina D 2-3 volte superiori rispetto ai fabbisogni consigliati per l’età. Quando, poi, oltre all’obesità si associa ridotta esposizione solare durante l’estate si consiglia la profilassi nel corso di tutto l’anno. Inoltre, per tali soggetti si ribadisce l’importanza di promuovere l’esposizione alla luce solare e l’attività fisica all’aria aperta nel periodo estivo. La supplementazione durante la gravidanza
La promozione di uno sufficiente stato vitaminico D è di estrema importanza anche durante la gravidanza, in considerazione delle ripercussioni negative che può causare l’ipovitaminosi D materna sul feto e sul bambino. A tal proposito la presente consensus raccomanda di somministrare come profilassi una supplementazione vitaminica pari a 600 UI/die (la quale può aumentare fino a 1000-2000 Ul/die in presenza di fattori di rischio per il deficit di vitamina D) a tutte le donne gravide e a quelle che allattano. n
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Parodontite: «la terapia va sempre portata a termine»
«A
livello della salute sistemica c’è stata un’inversione: gli studi di Wagner Marcenes (1, 2) ci hanno fatto vedere che l’impatto sulla salute della popolazione negli ultimi vent’anni di carie ed edentulia parziale è sceso, mentre è aumentato l’impatto della parodontite grave, con numeri da vera epidemia». Lo ha detto Maurizio Tonetti, presidente della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (Sidp), al Padiglione Italia in Expo nell’ambito della Sido Consensus Conference “Ogni bocca ha la sua lingua”, programma di prevenzione multietnica. Secondo i dati forniti dall’esperto, la parodontite oggi è un problema dai numeri spaventosi: 750 milioni di persone nel mondo ne sono ammalate nella forma grave, quella forma che è in grado di portare alla perdita dei
denti. Solo in Italia i pazienti con parodontite sarebbero 8 milioni, e 3 milioni quelli con parodontite grave. «Il problema è che nonostante trent’anni di sforzi di prevenzione, informazione a livello di salute pubblica e a livello professionale non siamo riusciti a erodere in maniera convincente il 10-15% di prevalenza della forma grave della malattia nella popolazione – spiega Tonetti –. Questo quadro ha portato la Società italiana di parodontologia e implantologia (Sidp), assieme alla Federazione europea di parodontologia (Efp), all’Accademia americana di parodontologia (Aap) e alla Federazione di parodontologia Asia-Pacifico a catalizzare questo sforzo globale per cercare di cambiare le cose e impegnarci in modo diverso». Questo panel di esperti ha redatto un docu-
di Andrea Peren
Un panel mondiale cerca le soluzioni per contenere l’esplosione della malattia parodontale, anche nella sua forma grave, in tutto il mondo. Tra i consigli c’è quello di portare sempre a termine la terapia per non rischiare di «coltivare» la malattia
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mento che identifica 9 azioni a livello preventivo, 3 a livello diagnostico e 14 azioni a livello terapeutico per affrontare il problema. Un documento sul quale si aprirà un confronto a livello planetario. La prevenzione
Maurizio Tonetti
Bibliografia 1. Marcenes W, Kassebaum NJ, Bernabé E,
Flaxman A, Naghavi M, Lopez A, Murray CJ. Global burden of oral conditions in 19902010: a systematic analysis. J Dent Res. 2013 Jul;92(7):592-7. 2. Kassebaum NJ, Bernabé E, Dahiya M, Bhandari B, Murray CJ, Marcenes W. Global burden of severe periodontitis in 1990-2010: a systematic review and meta-regression. J Dent Res. 2014 Nov;93(11):1045-53.
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A differenza di quello che viene percepito dalla popolazione, la parodontite grave non è una patologia della terza età, anzi. Riporta Tonetti che «il picco d’incidenza è tra i 30 e i 40 anni e il determinante sociale più importante per lo sviluppo di parodontite è la mancanza di accesso alle cure nella terzaquarta decade di vita». In ottica preventiva la prima indicazione è quella di cercare di far capire ai pazienti che il sanguinamento gengivale è un fattore di rischio per la trasformazione della gengivite in malattia parodontale ed è un segnale precoce di malattia. «Il sanguinamento gengivale deve diventare linfonodo sentinella per la prevenzione» ha detto Tonetti. Un secondo punto chiave è la motivazione e l’istruzione dei pazienti alla corretta igiene orale e in questo ambito è importante «che queste indicazioni vengano date da un professionista e non dalla pubblicità». Sempre dal lato del paziente, è importante mettere in guardia dall’automedicazione, perché l’utilizzo di alcuni prodotti, quando efficaci, ha l’effetto di alleviare o mascherare i sintomi, mentre l’obiettivo deve essere quello di identificare l’origine del problema ed eventualmente curarlo. È poi importante che le strategie di prevenzione siano sviluppate sulla base di una diagnosi e del profilo di rischio del paziente: non esiste infatti un sistema di prevenzione che va bene per tutti e c’è quindi la necessità di personalizzare. Il professor Tonetti riferisce della necessità di una implementazione universale dello screening parodontale e sottolinea come non sia possibile fare prevenzione professionale senza diagnosi: «fare prevenzione da so-
la è inappropriato se il paziente ha bisogno di trattamento». La rimozione meccanica professionale della placca è importante ma non può essere l’unico elemento: «la prevenzione secondaria per tutta la vita nei pazienti è importante, ma ovviamente non è e non può essere basata solo su una pulizia periodica, che viene spesso proposta come specchietto per le allodole per attirare pazienti negli studi – ammonisce Tonetti –. Ci sono altre componenti che devono emergere». Diagnosi e trattamento
Gli esperti mondiali di parodontologia ritengono che sia fondamentale muoversi secondo un approccio a tre livelli: autodiagnosi del paziente (il sanguinamento delle gengive), screening parodontale del professionista (per identificare paziente sano, paziente con gengivite e paziente con parodontite) ed eventuale pianificazione del trattamento quando necessario. Oggi esistono dei meccanismi di terapia efficaci, ma sembra che non siano ancora uniformemente utilizzati dai professionisti: «esistono degli standard di cura – sottolinea Tonetti – ma purtroppo ancora oggi molte terapie proposte non sono basate sull’evidenza scientifica». Anche il fai-da-te naturalmente non è efficace e la parodontite non può certo essere gestita in autonomia dal paziente con dentifrici, collutori o rimedi di erboristeria o solo con la pulizia periodica dal dentista. Una volta messa in atto la terapia, poi, è necessario che venga portata a termine. Un’indicazione che può sembrare banale, ma che evidenzia una preoccupante realtà: il paziente dopo un primo ciclo di cure percepisce un miglioramento e può accadere che decida di interrompere la terapia, che invece è lunga e complessa, richiede tempo e successivi appuntamenti per arrivare a fine corsa. Il rischio, spiega Maurizio Tonetti, è addirittura che la terapia, se non portata a termine, in un certo senso “coltivi” la malattia». n
diritto di replica
Liberalizzazione farmaci di fascia C: il punto di vista della Gdo La questione della vendita dei farmaci di fascia C presso le parafarmacie e i corner della grande distribuzione è un tema caldo, che negli ultimi tempi è stato al centro di un’accesa polemica tra le categorie coinvolte. Secondo la presidente di Federfarma, Annarosa Racca, come si evince da alcune dichiarazioni rilasciate in occasione dell’intervista pubblicata su Professione Salute di dicembre 2015, questo tipo di liberalizzazione non porterebbe né risparmi per i cittadini né un aumento dei posti di lavoro qualificati per i laureati in farmacia, ma favorirebbe solo gli interessi della Gdo. Di opinione assolutamente contraria è invece la grande distribuzione organizzata, nello specifico parliamo di Conad, che ha fatto pervenire alla redazione di Professione Salute una lettera di replica all’intervista in questione, nella quale l’amministratore delegato Francesco Pugliese precisa il proprio punto di vista sull’argomento. «Ribadiamo – afferma Pugliese – che Conad non ha intenzione di smantellare il sistema di organizzazione delle farmacie e a nulla serve richiamare gli effetti che la crescita della Gdo ha prodotto sulla vita dei piccoli esercizi commerciali. Resta da capire, semmai, cosa abbiano da spartire con la tutela della salute dei cittadini i vari prodotti che nelle farmacie affiancano i farmaci snaturando la funzione del servizio farmaceutico». Pugliese contesta inoltre le affermazioni che la volontà della Gdo sia esclusivamente quella di “fare profitti con il farmaco”. Relativamente alla tipologia di contratto applicata, l’ad di Conad precisa infatti che: «il contratto collettivo nazionale di lavoro delle farmacie private e quello del commercio (applicato ai dipendenti delle parafarmacie Conad) so48
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no similari sia dal punto normativo sia economico, anche se il confronto tra settori diversi non è semplice. Con 100 parafarmacie in funzione e un fatturato annuo di 80 milioni di euro – a fronte di un giro d’affari del gruppo Conad di oltre 12 miliardi di euro – non facciamo business. Diamo però un servizio ai cittadini e assicuriamo convenienza, nel pieno rispetto della tutela della salute perché è un servizio erogato da un farmacista. Non è perciò il caso di prendersela con i farmacisti delle parafarmacie, quasi fossero professionisti diversi dai colleghi che lavorano in farmacia». Alle affermazioni della presidente Annarosa Racca, la quale sostiene che il settore delle farmacie è uno dei più liberalizzati in assoluto, Pugliese controbatte: «Il Fondo monetario internazionale, nel 2013, definiva il mondo delle associazioni professionali in Italia “un sistema con una delle regolamentazioni più restrittive tra i Paesi dell’Ocse, con una competizione limitata, un’offerta ristretta e rendite protette con un conseguente aggravio dei costi per imprese e famiglie”. Per l’Istituto Bruno Leoni in materia di liberalizzazioni l’Italia resta al palo in Europa, con un indice del 67 per cento che la relega al tredicesimo posto nella classifica Ue». E continua: «Con la liberalizzazione dei farmaci di fascia C le farmacie perderebbero dai 45 ai 55 euro al giorno mantenendo comunque una posizione dominante nel mercato. Ma sull’altro piatto della bilancia ci sarebbero 5 mila nuovi posti di lavoro, 3 mila nuove aziende, investimenti per 700 milioni. A costo zero per lo Stato e per il Servizio Sanitario Nazionale. Per non dire del risparmio annuo per i cittadini compreso tra 450 e 890
milioni di euro (se applicato uno sconto tra il 15 e il 30 per cento) (fonte: Nicola Salerno, Valutazione di impatto della riforma delle farmacie, Reforming n°22, gennaio 2015), considerando che i farmaci di fascia C – con obbligo di ricetta medica (bianca) e non rimborsabili dal SSN – hanno un prezzo medio di 11,8 euro, 3,7 euro più elevato rispetto a quello dei farmaci senza obbligo di ricetta. Visto che, secondo i dati Federfarma, il giro d’affari delle farmacie è composto per il 49 per cento dai farmaci di fascia A, per il 12 per cento dai farmaci di fascia C, per il 9 per cento dall’autocura (Sop e Otc) e per il restante 30 per cento da prodotti non farmaceutici (parafarmaco, omeopatici, prodotti per l’infanzia, igiene e bellezza etc.), la liberalizzazione della fascia C riguarderebbe solo il 12 per cento del fatturato delle farmacie. Oggi le farmacie raccolgono dal libero mercato il 40 per cento del proprio fatturato (prodotti non farmaceutici più farmaci senza obbligo di ricetta), riuscendo a farlo senza sminuire la propria professionalità e con buoni risultati, visto che nei primi sei mesi del 2015 è stato proprio il mercato commerciale – quello liberalizzato – a far registrare il migliore trend di crescita, +4,8 per cento rispetto al primo semestre del 2014». Infine, riguardo alla possibilità di praticare sconti sui medicinali senza ricetta, Francesco Pugliese conclude dicendo: «non ci risulta siano applicati nella misura che la legge del 2005 consentirebbe. Sul fatto che la farmacia, determinante per mantenere un elevato livello di servizio al cittadino, “debba essere messa in condizione di affrontare il nuovo contesto in modo efficace e con tutti gli strumenti necessari”, abbiamo un’opinione diversa».
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Lorenzin: farmaci con ricetta, questione estranea al ddl concorrenza Secondo il ministro della Salute Beatrice Lorenzin si tratta di «un tassello che regge un intero sistema» e in quanto tale non può essere il tema di un disegno di legge che tratta di concorrenza sostanzialmente estraneo alla sanità, di cui la farmacia è un presidio integrante
La vendita dei farmaci di fascia C con ricetta non è un argomento che può essere affrontato in un provvedimento sulla concorrenza. Non si considera infatti che si tratta di un tasello che regge un intero sistema. Questa la netta presa di posizione del ministro della Salute Beatrice Lorenzin, che ha recentemente ribadito di non aver mai cambiato opinione in merito al tema della distribuzione dei medicinali con ricetta al di fuori delle farmacie: «Non si tratta di liberalizzarli, si tratta di venderli nei supermercati. E io non sono d’accordo» ha dichiarato. Secondo il ministro, infatti «è stato affrontato un tema specifico del sistema sanitario e della filiera dell’organizzazione sanitaria in un ddl liberalizzazione e concorrenza. Non si comprende che quel ‘pezzettino’ di organizzazione fa tenere insieme tutto il sistema della distribuzione del farmaco, della farmacia territoriale, del controllo dei prezzi del farmaci. Se il Governo - e non il ministro della Salute ma un altro ministro - intendeva chiedere una riforma del sistema di distribuzione del farmaco, si doveva aprire un altro tipo di lavoro. Insomma poteva essere anche fatto, ma in modo diverso. È un tema complesso che non si può affrontare con l’accetta». La vendita dei farmaci di fascia C deve rimanere in farmacia Lorenzin ricorda che si è costruito tutto il Patto per la Salute e il sistema di prevenzio-
Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin
ne «con una collaborazione con le rete delle farmacie, che saranno farmacie di servizio. La farmacia è un luogo, soprattutto nelle località più remote - di campagna, di montagna nei paesini isolati che sono tanti in Italia - che permette di erogare una serie di servizi ai cittadini oltre alla semplice distribuzione». E aggiunge: «La farmacia, e parliamo anche di quelle comunali, spesso è il primo presidio sanitario». Maggiore sicurezza con la distribuzione dei farmaci più sensibili in farmacia Sulla divisone in farmaci da banco e farmaci con ricetta, il ministro interviene in ma-
niera chiara ribadendo: «significa che alcuni prodotti hanno la necessità di essere erogati con ricetta e di avere un controllo da parte delle farmacia. Tra i farmaci in fascia C con ricetta ci sono gli psicofarmaci. Abbiamo voluto mantenere una specificità della farmacia. Ma per farla reggere sono necessarie alcune caratteristiche. È aperta la notte, si trova in ogni comune, porta il farmaco a casa quando è necessario». Ma bisogna anche garantirne la sostenibilità, e la distribuzione dei farmaci di fascia C con ricetta è parte integrante di questa possibilità, secondo il ministro. «È il motivo - aggiunge il ministro della Salute Beatrice Lorenzin - per cui non si può fare una riforma della distribuzione del farmaco in Italia, che si ‘tiene’ con tanti tasselli, in un modo semplicistico, superficiale e fatto con l’accetta. Se si deve fare una riforma della distribuzione del farmaco e si decide di farla, allora ci si siede ad un tavolo. Si considerano tutti i parametri delicati che riguardano questa questione e si affronta. Fatta in questo modo è fare una cortesia alla grande distribuzione. E tutto questo non ha nulla a che fare con la liberalizzazione. Ma molto ha a che fare con il commercio, che è una cosa molto diversa rispetto alla tutela e alla distribuzione del farmaco che, non a caso, è un istituto che viene gestito ad hoc e in modo specifico», conclude Lorenzin. febbraio 2016
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Istat: buona la salute degli italiani, stabile il numero dei malati cronici Il 69,9% dei residenti in Italia ritiene di essere in buona salute, ma il 38,3% è affetto da una patologia cronica. Ipertensione, artrosi e allergie le più diffuse, mentre le malattie del sistema circolatorio e i tumori sono tra le prime cause di morte. Diminuiscono in maniera significativa i numeri dei ricoveri
Italiani sempre più longevi e in buona salute. È quanto emerge dall’edizione 2015 dell’Annuario statistico italiano redatto dall’Istat, che offre un patrimonio di dati statistici solido e strutturato e molte chiavi di lettura sui principali temi ambientali, sociali ed economici che interessano il Paese. Prosegue nel 2014 l’incremento della speranza di vita: per gli uomini da 79,8 del 2013 a 80,2 anni e per le donne da 84,6 a 84,9. «Nel 2015 – si legge nel capitolo Sanità e Salute dell’Annuario statistico italiano – il 69,9 per cento della popolazione residente in Italia ha dato un giudizio positivo sul proprio stato di salute, rispondendo “molto bene” o “bene” al quesito “Come va in generale la sua salute?”. Il dato è stabile rispetto all’anno precedente. La percentuale di persone che dichiarano di godere di un buono stato di salute è più elevata tra gli uomini (73,4 per cento) che tra le donne (66,5 per cento)». Lo svantaggio del sesso femminile, a parità di età tra i due generi, è evidente dopo i 45 anni: nella fascia di età 45-54 anni il 72,5% degli uomini si considera in buona salute contro il 68,6% delle coetanee; le differenze maggiori si hanno tra i 65-74 anni (44,3% contro il 36,6%) e dopo i 75 anni (29,6% contro il 21,6%). «A livello territoriale – riporta ancora l’annuario – la quota di persone che si dichiara in buona salute è più elevata nel Nord-est 50
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(72,3 per cento), mentre meno al Sud e nelle Isole (rispettivamente 68,7 per cento e 68,5 per cento). Tra le regioni italiane le situazioni migliori rispetto alla media nazionale si rilevano soprattutto a Bolzano (85,8 per cento), a Trento (78,8 per cento) e in Valle d’Aosta (72,4 per cento), mentre quella peggiore si ha in Calabria (60,8 per cento) e in Sardegna (64,7 per cento)». Malati cronici: invariati i numeri rispetto al 2014 Oltre alla percezione dello stato di salute, indicatore globale delle condizioni di salute della popolazione molto utilizzato anche in ambito internazionale, un altro importante valore per determinare lo stato di salute di una popolazione è la diffusione di patologie croniche, che nel nostro Paese assume una particolare rilevanza visto l’elevato invecchiamento della popolazione. «Il 38,3 per cento dei residenti in Italia – si leg-
ge nell’annuario Istat – ha dichiarato di essere affetto da almeno una delle principali patologie croniche rilevate (scelte tra una lista di 15 malattie o condizioni croniche). Il dato risulta stabile rispetto al 2014. Le patologie cronico-degenerative sono più frequenti nelle fasce di età più adulte: già nella classe 55-59 anni ne soffre il 51,5 per cento e tra le persone ultra settantacinquenni la quota raggiunge l’85,2 per cento». Le più colpite dalle patologie croniche sono le donne, in particolare superata la soglia dei 55 anni. In termini di diffusione delle patologie croniche, l’analisi riporta l’’ipertensione al primo posto (17,1%), a seguire l’artrosi/artrite (15,6%), le malattie allergiche (10,1%), l’osteoporosi (7,3%), la bronchite cronica e l’asma bronchiale (5,6%) e il diabete (5,4%). Uso dei farmaci Per quanto riguarda l’impiego di farmaci, il 41% della popolazione ne ha fatto uso nei
i numeri dell’assistenza di base Entrando nel merito dell’assistenza territoriale che ruota attorno alla figura del medico di famiglia, principale riferimento per le cure di base del cittadino, l’annuario curato dall’Istat conta circa 45 mila medici di medicina generale nel 2012: con un valore che va da 7,8 a 7,6 medici
ogni 10 mila abitanti, il numero di assistiti per medico è pari a 1.156 assistiti. Per quanto riguarda l’offerta di medici pediatri, sul territorio nazionale nel 2012 operano circa 7.700 medici pediatri: circa 9 ogni 10 mila bambini fino a 14 anni.
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casi totali) e a tumori (10,7%). Fra le donne sono frequenti anche i casi dovuti a complicazioni legate alla gravidanza (16,5% del totale delle dimissioni ospedaliere femminili).
Mortalità per gruppi di cause e sesso (Anno 2012, rapporti per 100.000 abitanti).
due giorni precedenti l’intervista. Nello specifico, sono le donne le maggiori consumatrici. Il numero dei fruitori aumenta con l’avanzare dell’età: «per entrambi i sessi si raggiunge la metà della popolazione già dai 55 anni fino a raggiungere l’89,1 per cento tra le donne» dichiarano dall’Istat. Tumori e malattie circolatorie tra le prime cause di morte Nel 2012 in Italia si sono verificati circa 613 mila decessi, 295.831 uomini e 317.689 donne, riconducibili per il 66% a malattie del sistema circolatorio e a tumori. Nello specifico, precisa l’annuario: «Tra 15 e 29 anni, il 58,5 per cento dei decessi maschili avviene per cause di natura violenta contro il 37,8 di quelli femminili. La mortalità infantile più elevata si registra in Campania, Sicilia, Calabria e Puglia». Il grafico in questa pagina offre una sintesi delle principali cause di morte. Suicidi In Italia nel 2012 si sono registrati 4.258 suicidi (7,2 ogni 100 mila abitanti). Si tratta prevalentemente di uomini con 3.325 casi rispet-
to ai 933 delle donne. Per entrambi i sessi la mortalità per suicidio cresce al crescere dell’età: si passa da 1,6 suicidi per 100 mila abitanti sotto i 24 anni a 6,5 tra i 25 e i 44 anni, a 9,6 fra i 45 e i 64 anni fino ad arrivare a 11,1 per le persone di oltre sessantacinque anni, circa sette volte più alta rispetto alla classe più giovane. Tempi di ricovero più brevi Continua il processo di deospedalizzazione che ha determinato una progressiva e significativa diminuzione dei ricoveri nel tempo: «Negli ultimi cinque anni le dimissioni ospedaliere hanno fatto registrare una riduzione media annua del 4,5% – riferisce l’Istat – e una riduzione complessiva del 16,7% rispetto al 2009. Tra il 2012 e il 2013 la diminuzione dell’attività ospedaliera per acuti è stata del 4,3%. Considerando i dati provvisori relativi al primo semestre 2014, diffusi dal Ministero della salute, la riduzione rispetto al primo semestre 2013 è pari al 9,2%». I principali motivi legati all’ospedalizzazione sono riconducibili, per entrambi i sessi, a malattie del sistema circolatorio (14,1% dei
Stili alimentari e abitudine al fumo di tabacco Sono comportamenti salutari quelli che emergono dall’analisi sugli stili alimentari degli italiani: il pranzo costituisce, infatti, ancora nella gran parte dei casi il pasto principale (67,2% della popolazione di 3 anni e più) e molto spesso è consumato a casa (73,4%), soprattutto al Sud, offrendo così una qualità superiore in termini di scelta degli ingredienti rispetto ai pasti consumati fuori casa. Inoltre cresce di un punto percentuale rispetto al 2014 il numero degli italiani che non rinuncia a fare una buona colazione: l’81,2 per cento della popolazione (sopra i 3 anni) fa una colazione che può essere definita “adeguata”, ovvero non solo limitata al caffè o al tè, ma nella quale vengono assunti alimenti più ricchi di nutrienti come latte e cibi solidi (biscotti, pane, ecc). Per quanto riguarda l’abitudine al fumo di tabacco si osserva una sostanziale stabilità del fenomeno rispetto al 2014: la quota di fumatori tra la popolazione di 14 anni e più nel 2015 si attesta intorno al 19,6%. A non rinunciare alla sigaretta sono soprattutto gli uomini con il 24,6% dei fumatori, mentre le fumatrici tra le donne scendono al 15%. Inoltre, nonostante sia noto che l’esposizione al fumo di tabacco possa favorire l’insorgenza di patologie cronico-degenerative soprattutto a carico dell’apparato respiratorio e cardio-vascolare, l’abitudine al fumo di tabacco è molto diffusa nelle fasce di età giovanili ed adulte: «In particolare – stima l’Istat – tra i maschi la quota più elevata si raggiunge tra i 25 e i 34 anni e si attesta al 33,0 per cento, mentre tra le femmine si raggiunge tra i 55-59 anni (20,8 per cento)». febbraio 2016
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Integratori: in farmacia sono la seconda quota di mercato dopo il farmaco etico La filiera italiana dell’integratore alimentare punta su innovazione e qualità per venire incontro alle richieste del consumatore sempre più esigente in un mercato che, a dispetto degli altri settori, non sembra conoscere crisi e conta un volume di vendite pari a 183 milioni di confezioni all’anno
L’integratore alimentare gioca un ruolo da protagonista nell’healthcare insieme al farmaco e il mercato italiano è leader in Europa per dimensioni, crescita e articolazione. Gli integratori alimentari valgono oggi oltre 2,5 miliardi di euro, di cui il 92,1% venduti in farmacia, e rappresentano la seconda quota di mercato dopo il farmaco etico con una crescita nell’ultimo anno di quasi il 9% che supera il farmaco di automedicazione. L’integratore è oggi un prodotto per il consumo di massa per la gestione di esigenze molto articolate e specifici ‘disturbi’, e nell’ultimo anno ha registrato vendite per circa 183 milioni di confezioni rispondendo ai bisogni di un consumatore con esigenze di salute sempre più evolute. Numerose sono le motivazioni d’uso degli integratori, non necessariamente legate a carenze nutrizionali ma a un rinnovato impiego dei prodotti che ha generato lo sviluppo di nuove categorie: ad esempio nell’area cardiovascolare, dei ‘disturbi’ invernali e dell’affaticamento. Medico e farmacista sono riferimenti centrali nella scelta d’acquisto di un integratore che rientra ormai nella pratica clinica quotidiana: metà dei medici di medicina generale e un terzo degli specialisti li consigliano abitualmente perché ne riconoscono l’utilità clinica sulla base di un razionale scientifico. 52
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Federsalus presenta il primo osservatorio della filiera italiana dell’integratore alimentare Accanto alle aziende specializzate, l’industria degli integratori si compone di aziende di primo livello di matrice farmaceutica, cosmetica e che spesso operano anche nell’industria del food. Le imprese del settore rispondono all’evoluzione dei bisogni di salute e di benessere con investimenti in qualità e innovazione. Lo dimostrano le principali evidenze emerse dalla prima indagine del Centro Studi FederSalus sulla filiera italiana degli integratori alimentari che ha coinvolto 108 tra le aziende associate. I ricavi industriali superano un miliardo di euro, l’occupazione è cresciuta del 51% nell’ultimo anno, in controtendenza rispetto alla crisi, il 58% ha aumentato il fatturato estero e complessivamente la quota dell’export è pari al 18,6% del valore della produzione. È una fotografia molto approfondita quella emersa dall’indagine, il primo capitolo di una serie di analisi che saranno promosse dal nuovo Centro Studi FederSalus. Le informazioni ottenute dalle imprese associate a FederSalus (162 in totale) sono statisticamente molto significative e rappresentative dell’intero comparto della produzione e distribuzione degli integratori alimenta-
ri. La mappatura, così disegnata, consente di inquadrare al meglio lo stato di salute del settore e conferma l’utilità dei progetti strategici pianificati per la crescita dell’Associazione. «L’integratore gioca ormai un ruolo da protagonista in ambito healthcare e l’industria italiana è leader in Europa – ha dichiarato Marco Fiorani, Presidente FederSalus – ma si muove all’interno di un quadro regolatorio ancora acerbo e poco rappresentativo della realtà della domanda e dell’offerta, che richiede parametri e regole chiare ma anche coerenti con la natura e la destinazione d’uso dei prodotti. Le evidenze del Centro Studi FederSalus saranno uno strumento molto importante per migliorare la consapevolezza dei decision makers in questa direzione».
attualità
Salute dei migranti: un’iniziativa per garantire l’accesso ai farmaci Un progetto importante, voluto dal ministero della Salute e dall’Agenzia italiana del farmaco, rivolto non solo ai migranti ma anche alle fasce più vulnerabili della popolazione, che consentirà di raccogliere informazioni sanitarie e veicolare la cartella clinica del migrante in tutto il territorio europeo
L’accesso alle cure farmacologiche è un diritto inalienabile della persona, a prescindere dal suo status giuridico e dalle condizioni socio-economiche. Su questo principio si basa la nuova iniziativa congiunta Aifa-ministero della Salute dal titolo “Accesso ai farmaci, un diritto umano”, un progetto lanciato in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2016 nell’Anno del Giubileo della Misericordia, che si è svolta il 17 gennaio. «Questa iniziativa dell’Aifa – ha dichiarato il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin – riguarda un tema su cui il Ministero è particolarmente sensibile e attivo: l’assistenza ai migranti. La possibilità di avere a disposizione un database con una cartella clinica che accompagni la storia del migrante e possa essere veicolata su tutto il territorio europeo è un’ulteriore risorsa che il nostro Paese mette a servizio della salute pubblica, della solidarietà e della sicurezza». L’iniziativa vuole approfondire l’assistenza sanitaria e farmaceutica nelle popolazioni migranti, tema particolarmente delicato dal momento che il loro stato di salute è messo a rischio dalle condizioni di vita generalmente precarie. Questa popolazione speciale di pazienti necessita, quindi, di un approccio terapeutico mirato e pertanto il primo obiettivo è di raccogliere e sistematizzare le informazioni disponibili sul profilo di salute dei migranti arrivati in Italia, sulle patologie identificate e sui trattamenti ricevuti nel corso della loro permanenza.
«L’Aifa – ha precisato il presidente dell’Aifa, Mario Melazzini – ha avvertito il dovere etico e sociale di promuovere e proteggere, attraverso l’uso appropriato dei farmaci, la salute di malati vulnerabili, quali sono i migranti, gli emarginati e le fasce deboli della popolazione, e favorire una maggiore comprensione dei diritti e delle modalità di accesso alle cure da parte di questi pazienti. L’accesso alle cure è infatti un diritto dell’uomo, sancito dalla Costituzione e dai trattati internazionali, e l’Aifa con il sostegno del Ministero, non poteva sottrarsi alla responsabilità di porre un’attenzione speciale a una realtà fragile sempre più presente sul nostro territorio, quale quella dei migranti» Il direttore generale dell’Aifa, Luca Pani, ribadisce la necessità di interventi mirati in soccorso dei soggetti più deboli: «Dalla particolare attenzione che da alcuni anni l’Aifa dedica alle popolazioni speciali e vulnerabili, è emersa una realtà sommersa, di pazienti fragili e senza voce, provati da lunghi viaggi e da condizioni di salute precarie, che giunti nel nostro Paese hanno bisogno di un’attenzione e una cura speciale anche attraverso un accesso tempestivo e appropriato ai farmaci e approcci terapeutici mirati. Una sfida che l’Aifa e il Ministero della Salute, che ha dato impulso all’iniziativa, sono pronti a raccogliere. Infatti acquisire informazioni sui trattamenti cui vengono sottoposti questi
pazienti e sui loro effetti, ci consentirà di conoscere meglio pazienti con background genetico e stili di vita differenti che dobbiamo comunque essere in grado di trattare in modo sicuro ed efficace». Nell’ambito dell’iniziativa, sul portale istituzionale dell’Agenzia Italiana del Farmaco è attiva una nuova sezione, in italiano e inglese, all’interno dello spazio “Rapporti internazionali”, che conterrà tutti gli aggiornamenti relativi ai diritti umani in campo internazionale e alle news per i pazienti. Un ulteriore obiettivo è la creazione di un network per lo scambio di informazioni che coinvolga, oltreché Aifa e Ministero, le principali istituzioni e organizzazioni attive nel campo dell’assistenza sanitario-farmacologica ai migranti, per rendere possibile l’acquisizione e l’analisi di dati da utilizzare in ambito regolatorio, ad esempio per il monitoraggio dell’appropriatezza delle prescrizioni e dell’aderenza alle terapie in questa categoria di pazienti. Tra i farmaci ad applicazione topica più utilizzati per le cure ai migranti spiccano antiparassitari, antibiotici, antibiotici in associazione a corticosteroidi e Fans, antimicotici e corticosteroidi. Per i farmaci a somministrazione sistemica la priorità va a preparazioni orali, soprattutto antibiotici (macrolidi, penicilline, fluorochinoloni e cefalosporine), seguiti da farmaci analgesici e antipiretici, antimicotici, antivirali e antiparassitari. febbraio 2016
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Farmaci più sicuri e meno sprechi con il nuovo bugi@rdino L’introduzione del foglietto illustrativo smart è un servizio innovativo, economico ed ecologico, che permette sia agli operatori sanitari sia ai cittadini di essere sempre aggiornati su ogni farmaco in tempo reale. Un’iniziativa voluta dalla Federazione degli ordini dei farmacisti che semplificherà il lavoro del farmacista
Un servizio al passo coi tempi che risolve l’annosa questione delle modifiche dei foglietti illustrativi, che creava non pochi problemi di gestione delle scorte da parte delle farmacie e allo stesso tempo rappresentava un costo elevato per la collettività. “Bugiardino digitale” è un’applicazione per smartphone Android e iPhone che permette di ricevere sul proprio dispositivo il foglietto illustrativo aggiornato di qualsiasi medicinale, soggetto a prescrizione o da automedicazione. «Il foglietto illustrativo digitale è la risposta dei farmacisti alla necessità, ormai quasi universale, di disporre delle informazioni nel modo più rapido e più comodo, a maggior ragione quando si tratta di informazioni importanti per la propria salute e quella dei propri cari» ha dichiarato il senatore Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani, in occasione della presentazione del nuovo servizio, che ha ricevuto il patrocinio dell’Agenzia Italiana del Farmaco. Che cosa cambia Fino a poco tempo fa, quando il foglietto illustrativo di un farmaco subiva modifiche, anziché ritirare il medicinale e procedere a un nuovo confezionamento, il farmacista era tenuto a stampare il nuovo foglietto illustrativo e a consegnarlo al paziente. Si parla di numeri ingenti se consideriamo che l’Ai54
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fa autorizza circa 5.000 variazioni all’anno di foglietti illustrativi, come ha sottolineato Anna Rosa Marra, responsabile dell’Ufficio Autorizzazioni all’Immissione in Commercio dell’Aifa. Tuttavia non sempre la stampa di diversi fogli risultava comoda per il paziente e pratica per il farmacista e di qui il ricorso a questa modalità al passo con i tempi ed ecologica perché efficace nel ridurre gli sprechi. «Grazie a questo sistema – ha dichiarato Claudio Maiocchi, Managing Director di Digital Solutions, la società che realizzato tecnicamente l’app – gli utenti potranno scaricare gratuitamente l’applicazione, effettuare la registrazione e ricevere gli aggiornamenti dei foglietti illustrativi in modo semplice e sicuro. Bugiardino digitale è la soluzione ottimale che automatizza il procedimento di aggiornamento, apportando un grosso beneficio sia agli operatori del settore sia ai cittadini che avranno la sicurezza di essere sempre aggiornati su ogni farmaco in tempo reale». «È evidente che questo strumento risponde anche ad altre esigenze. Per esempio – ha spiegato Mandelli – è abbastanza frequente che il paziente, una volta aperta la confezione, perda o getti il foglietto illustrativo del medicinale: una circostanza potenzialmente pericolosa sempre, ma in particolare quando si tratta di farmaci che non si impiegano di frequente. Grazie all’app è possibile recupe-
rare sempre e comunque il foglietto illustrativo corrispondente senza incorre in errori. Mi sembra un contributo importante alla sicurezza dell’impiego dei medicinali. Inoltre con il sistema il paziente può costruire una banca dati personale dei farmaci che ha assunto e assume». Il servizio ai cittadini è inoltre completato da una “web app” (in fase di attivazione) accessibile all’indirizzo www.bugiardinodigitale.it. Come funziona Il Bugiardino Digitale ha un funzionamento molto semplice. Il farmacista, dopo aver scaricato e installato sul suo computer il software Bugiardino Digitale, al momento della scansione del codice a barre del farmaco riceve comunicazione dal sistema nel caso in cui sia presente un foglietto illustrativo aggiornato; se il paziente dispone di uno smartphone in cui è installata l’app, comunicando attraverso il tesserino sanitario o direttamente, il suo codice fiscale o l’indirizzo e-mail al farmacista, riceverà immediatamente il nuovo foglietto in formato digitale. Questa semplicità d’uso consente di ridurre al minimo l’impegno del farmacista. Inoltre, fatto molto importante per i farmacisti, Bugiardino Digitale può operare con tutti i principali software in uso nelle farmacie italiane, a garanzia di una diffusione quanto più capillare possibile nelle farmacie italiane.
le aziende informano
Paracetamolo + ibuprofene: nuovo farmaco per stati infiammatori con sintomatologia mista
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al di gola, sinusite, otite, mal di denti, mal di schiena, dolori muscolari sono solo alcuni esempi dei cosiddetti “disturbi non differibili”, ovvero stati infiammatori con sintomatologia mista, associati a dolore e, a volte, febbre. Angelini ha presentato la prima e ad oggi unica combinazione a dose fissa di paracetamolo (500 mg) e ibuprofene (150 mg) approvata in Italia. La riduzione dei dosaggi, rispetto alle formulazioni tradizionali, consentirebbe un impiego più efficiente dei principi attivi e minori effetti collaterali, coniugando i vantaggi del paracetamolo a quelli dell’ibuprofene: in particolare, rispetto alle due molecole assunte separatamente, uno studio clinico (1) avrebbe dimostrato un’efficacia nel controllo del dolore su-
periore del 30%, l’aumento della durata dell’effetto analgesico e la maggior velocità di azione. «I disturbi non differibili sono l’insieme dei problemi che portano i pazienti, in cerca di risposte rapide ed efficaci, presso l’ambulatorio del medico di famiglia, impattando per il 30% sul suo carico di lavoro – evidenzia Pierangelo Lora Aprile, segretario scientifico e responsabile area medicina del dolore e cure palliative della Simg –. In queste situazioni è spesso presente un dolore di tipo infiammatorio e il medico di famiglia, nel 75% dei casi fino ad oggi, faceva riferimento ai Fans a dosaggio pieno come prima possibilità di cura, poiché difficilmente l’associazione con un antalgico dava garanzie di regolare assunzione. Grazie
all’attività sinergica tra le due molecole, che ha consentito di ridurne le dosi, l’associazione paracetamolo-ibuprofene ha un profilo di sicurezza maggiore e potrà essere utilizzata anche per tipologie di pazienti particolari, come anziani, diabetici o soggetti affetti da patologie cardiovascolari che non potrebbero assumere antinfiammatori ai dosaggi consueti». «L’associazione ibuprofene-paracetamolo, dal punto di vista farmacologico, permette di ottenere due vantaggi fondamentali – illustra Diego Fornasari, docente di farmacologia all’Università di Milano –. Il primo è a livello farmacodinamico e riguarda l’interazione fra i due principi attivi, che hanno meccanismi d’azione diversi e complementari: mentre l’ibuprofene è un
classico Fans che agisce inibendo gli enzimi implicati nei processi infiammatori, il paracetamolo è un analgesico ad azione centrale. La combinazione permette quindi di aggredire il dolore su fronti diversi, ottenendo un effetto terapeutico sinergico, superiore alla somma dei due farmaci presi singolarmente». La nuova associazione è un farmaco a prescrizione medica inserito in fascia C. 1. Fanelli A, Fornasari D, Lora Aprile P, Viganò R. La gestione farmacologica del dolore nei disturbi non differibili con la combinazione a dose fissa paracetamolo/ibuprofene. Fighting pain 2(4)2015: 17-26 Per informazioni: Angelini - www.angelini.it
SOLLIEVO al NASO CHIUSO CON Isomar Spray Decongestionante CON acido ialuronico
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aso chiuso, raffreddori, riniti, sinusiti o difficoltà respiratorie dovute a muco in eccesso sono alcuni dei sintomi dei disturbi tipici della stagione fredda. Per sfuggire a questi fastidi che coinvolgono l’apparato respiratorio è importante prendersi cura del proprio naso fin dai primi sintomi in modo delicato. Dall’esperienza Euritalia Pharma nasce Isomar Spray Decongestionante con acido ialuronico,
indicato per un pronto sollievo dal naso chiuso. Aiuta a mantenere la mucosa morbida per un rapido sollievo di adulti e bambini grazie ai suoi due componenti: l’acqua di mare ha azione decongestionante con una concentrazione salina intorno al 3% e allevia la congestione nasale per osmosi in modo delicato. Grazie all’azione fluidificante, aiuta a liberare il naso dal muco in eccesso e da batteri e virus, principali cause dell’irritazio-
ne nasale. L’acido ialuronico mantiene la mucosa morbida e dona al prodotto un’attività di protezione delle cellule dalla disidratazione, riducendo il rischio di secchezza e microlesioni all’interno delle cavità nasali che possono incorrere in caso di forti raffreddori, riniti allergiche e sinusiti. Il pratico formato da 100 ml consente di portare sempre con sé Isomar Spray Decongestionante con acido ialuronico, per una
pronta risposta ai sintomi del raffreddore anche fuori casa.
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le aziende informano
proflora, l’integratore che riequilibra l’ecosistema intestinale
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roflora è l’integratore alimentare simbiotico prodotto da Guna costituito da 6 diversi ceppi probiotici, associati con fibra prebiotica, in grado di favorire il riequilibrio della microflora intestinale nel caso in cui la sua composizione sia stata alterata da alimentazione impropria, terapie antibiotiche, diarrea, alcool o stress psico-fisico. Grazie a un innovativo processo produttivo brevettato, i microrganismi probiotici contenuti in Proflora si presentano in forma microincapsulata gastroprotetta. L’impiego di questa tecnologia migliora la capacità di sopravvivenza di tutti i ceppi probiotici durante
il transito gastroduodenale, consentendo in tal modo il raggiungimento dell’intestino da parte di un elevato numero di microrganismi vivi e vitali. La componente probiotica appartiene sia al genere Bifidobacterium che Lactobacillus e ha caratteristiche metaboliche tali da creare un effetto sinergico che assicura una
pronta colonizzazione dei diversi segmenti intestinali. Tra i 6 ceppi probiotici vi sono Lactobacillus rhamnosus LR06 e Lactobacillus plantarum LP02, entrambi in grado di produrre sostanze attive limitanti i batteri coliformi. La componente prebiotica è costituita da frutto-oligosaccaridi (Fos), in grado di stimolare selettivamen-
te lo sviluppo dei ceppi probiotici presenti in Proflora e di tutti i gruppi microbici benefici della microflora intestinale autoctona. Non essendo idrolizzati dagli enzimi digestivi, né assorbiti dalla mucosa del piccolo intestino, i Fos riescono a giungere intatti nel colon dove vengono fermentati selettivamente dalla componente benefica della microflora intestinale, in particolare dai Lattobacilli e Bifidobatteri. ProFlora è disponibile in confezioni da 10 e da 30 bustine da 2,5 g. Guna Tel. 02 280181 www.guna.it info@guna.it
sanstime, l’UNICO SIERO AL MONDO CHE RICOSTRUISCE L’ACIDO Jaluronico nel derma per via transdermica
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l siero SansTime (brevetto n. 2072032), a differenza di diversi prodotti anti-age in commercio, non contiene acido jaluronico, bensì i suoi precursori: acido glucuronico e N-acetyl glucosamina. Sono queste le due molecole che introdotte nel derma con un liposoma diventeranno, attraverso l’azione della jaluron sintetasi, acido jaluronico. Si tratta di acido jaluronico vero, quello naturale, poiché prodotto fisiologicamente attraverso un processo biochimico. L’acido jaluronico che si viene a forma56
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re dopo 20-25 giorni avrà raggiunto un peso molecolare di circa 500.000/600.000 dalton, sufficiente per produrre quell’idratazione profonda essenziale per la
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distensione delle rughe di superficie e già dalla prima settimana di utilizzo si noteranno importanti benefici sulle zone trattate. SansTime non è formulato come un cosmetico tradizionale, poiché è essenzialmente un veicolo transdermico che serve a introdurre nei fibroblasti del derma le due sostanze che formeranno l’acido jaluronico. Queto siero viene assorbito velocemente senza lasciare tracce di unto o grasso in superficie, lascia la pelle liscia e compatta. Si presenta senza conservanti, coloranti e profumo; non contiene sostanze di natu-
ra animale e non è stato testato su animali. SansTime si applica, secondo le necessità, sulle zone interessate del viso e del collo; si consiglia di massaggiare delicatamente fino ad assorbimento completo. Per le sue particolari caratteristiche formulative, si raccomanda di usare il siero da solo e prevalentemente di notte, poiché durante il riposo si ha una risposta più efficace. Medichem Tel. 02 9259028 www.medcos.it commerciale@medcos.it
le aziende informano
sistemi automatici rowa, mai così convenienti grazie agli incentivi della legge di stabilità
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l 2016 è l’anno giusto per investire in automazione grazie alle novità introdotte nella legge di stabilità approvata dal Senato il 22 dicembre scorso. Le farmacie interessate a innovare le proprie strutture potranno beneficiare di due nuovi incentivi statali: il maxi ammortamento e il credito di imposta, che rendono ancor più conveniente l’investimento in nuovi macchinari. Il primo consente una deduzione extra contabile al 140% per chi investe nel 2016, riconoscendo quindi un 40% in più del valore fiscale del bene. Il secondo, cumulabile al maxi ammortamento, concede dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2019 un credito d’imposta pari al 20% per
le piccole imprese del Mezzogiorno. I sistemi automatici Rowa rientrano tra i beni strumentali cui si applicano gli incentivi e le farmacie che intendono automatizzare il proprio magazzino con un investimento efficace e duraturo avranno ora un doppio beneficio: non solo l’ottimizzazione dei processi e il costante supporto al cliente che la tecnologia e i servizi Rowa offro-
no, ma anche il risparmio economico concesso dai nuovi dispositivi statali. L’automazione per le farmacie, oltre a offrire una panoramica a 360 gradi dello stock, ha diversi vantaggi: più tempo per la consulenza e la cura del cliente perché il farmacista non ha più la necessità di abbandonare il banco ed un guadagno di spazio nell’area vendita sfruttabi-
le per l’esposizione di ulteriori prodotti e per le soluzioni digitali di BD, che consentono ad esempio di presentare prodotti OTC in maniera moderna e interattiva. Da vent’anni Rowa è una tecnologia leader nell’ambito dell’automazione per farmacie. Dal 2015 CareFusion | Rowa è entrata a far parte di Becton Dickinson. L’unione delle diverse competenze permette a BD di fornire soluzioni affidabili e innovative, garantendo servizi di alta qualità per il back office e front office di farmacie private e ospedaliere. CareFusion Italy 327 Tel. 02 99990120 www.rowa-italia.it
jalutè-hyaluronic biorevitalizing gel per un trattamento antiaging personalizzato
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alutè-hyaluronic bio-revitalizing gel è una novità di Officina Cosmetologica. Si tratta di un gel intradermico a base di acido ialuronico naturale, nato per soddisfare tutti i tipi di pazienti in base alle specifiche esigenze e può essere usato anche in aree estese del corpo per trattamenti antiaging personalizzati con scopi preventivi, ristrutturanti e di mantenimento. Il prodotto è un dispositivo medico di Classe
III, per biorivitalizzazione completa collo-decolletè-viso-contorno occhi. L’acido ialuronico utilizzato in Jalutè è ottenuto per via biofermentativa a medio peso molecolare simile all’acido ialuronico endogeno, formulato a una concentrazione di 20 mg/ml in un tampone fisiologico,
senza alcuna modifica chimica: una garanzia di biocompatibilità e tollerabilità. Jalutè è indicato nel processo fisiologico di invecchiamento della pelle e consente di apportare, direttamente nell’area da trattare, la quantità di acido ialuronico necessaria a ripristinare la funzionalità dei tessuti. Esplica una naturale funzione idratante, consente di migliorare nettamente il trofismo e la trama cutanea con sostanzioso aumento
del turgore e dell’elasticità. Il gel si presenta in siringa preriempita da 2 ml, monouso con 2 aghi da 30 g, sterile e apirogena. Si consiglia di effettuare un ciclo iniziale di tre sedute di trattamento, a intervalli di una settimana l’una dall’altra, seguito eventualmente da sedute mensili di mantenimento. Officina Cosmetologica Tel. 02 36596679 info@officinacosmetologica.com www.officinacosmetologica.com
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le aziende informano
dalla tecnologia endocare l’obiettivo raggiunto della rinascita cellulare
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on Endocare Cellage Pro il concetto di antietà globale assume una nuova e più ampia dimensione innovativa per la doppia tecnologia nel fotoaging severo: IFC-CAF, ricco di fattori di crescita che agiscono sulle cellule madre cutanee e WhartonGel Complex, un biomateriale esclusivo dalle proprietà rigenerative. Grazie alla sua miscela di glucosaminoglicani (GAGs) solfatati, acido ialuronico e proteine, WhartonGel Complex promuove un’attività chemiotattica verso fibroblasti e cheratinociti; contri-
buisce a stimolare la produzione di collagene, fibronectina ed elastina; aumenta l’idratazione e fa-
vorisce infine la riduzione dei livelli di MMP. IFC-CAF è invece un ingrediente cosmetico ottenuto tramite estrazione biotecnologica da uova di lumaca “Helicidae”. Grazie al suo elevato contenuto proteico attiva le cellule madre cutanee, contribuisce a stimolare la loro differenziazione in cheratinociti e fibroblasti e facilita la loro migrazione verso epidermide e derma. Inoltre Endocare Cellage Pro - che possiede proprietà anti-glicanti, antiossidanti, anti inflammaging - include due prodotti per rivi-
talizzare, rigenerare, ristrutturare la pelle. La texture di Gelcream si presenta leggera e non grassa, non comedogena, per pelli da normali a grasse. La crema è invece caratterizzata da una texture ricca, extra comfort, adatta a pelli da normali a secche e consente una nutrizione della pelle di 24 ore. Entrambi i prodotti si presentano senza parabeni, Peg e allergeni. Difa Cooper Tel. 02 9659031 www.difacooper.com
amino-relax, per mantenersi in forma senza perdere il buonumore
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olgar, azienda fondata a New York nel 1947, ai vertici nei mercati internazionali nella produzione di integratori alimentari, vitamine, minerali, estratti erbali, aminoacidi e nutraceutici, ha messo a punto Amino Relax, integratore alimentare a base di griffonia, valeriana e vitamina B6. Una dieta equilibrata e alcuni alimenti in particolare possono influire sull’umore e sulla percezione di benessere e talvolta seguire una dieta ferrea può essere causa di stress. Amino-relax è particolarmente adatto a uomini e
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donne che desiderino sostenere il proprio benessere mentale, il tono dell’umore e controllare il senso di fame per riuscire a seguire in modo efficace diete alimentari, senza perdere il buonumore. I semi di griffonia forniscono il 5-idrossi triptofano (5-HTP), un aminoacido precursore della serotonina, neurotrasmettitore fondamentale per regolare l’umore, il sonno e l’appetito. La griffonia contribuisce a mantenere un normale tono dell’umore, favorisce il rilassamento, il benessere mentale e aiuta a con-
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trollare il senso di fame; l’estratto di valeriana facilita il rilassamento in caso di stress e il sonno; infine la vitamina B6 contribuisce alla riduzione della stanchezza e dell’affaticamento, favorisce il normale funzionamento del sistema nervoso e la normale funzione psicologica. Amino-relax non contiene zucchero, sale, lievito, frumento, soia, derivati del latte, conservanti, coloranti, aromi artificiali e derivati animali ed è adatto anche a vegetariani e vegani. Si consiglia l’assunzione di una capsula vegetale al giorno, pre-
feribilmente lontano dai pasti, la sera prima di coricarsi. Solgar Italia Multinutrient Tel. 049 8642996 info@solgar.it www.solgar.it