Traumatologia forense 6/2018

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traumatologia aspetti clinici e medico legali in traumatologia

Direttore scientifico Prof. Fabio M. Donelli

CASI CLINICI

99 Danno clinico: complessa valutazione nel plurileso 99 Politraumatismi e morti tardive: la relazione causale 99 Politrauma con importante componente psichiatrica

MONOGRAFIE

99 Lesioni traumatiche da incidente stradale 99 Liquidazione del danno terminale: la proposta milanese 99 Azione di “rivalsa” in ambito sanitario CORSO FAD

99 Valutazione dell’invalidità in ortopedia in responsabilità civile

giugno

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Griffin Editore / www.griffineditore.it



traumatologia forense / giugno 2018

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SOMMARIO

Traumatologia Forense Periodico semestrale Anno IV - numero 6 - giugno 2018 Direttore responsabile Giuseppe Roccucci g.roccucci@griffineditore.it Redazione Lara Romanelli - l.romanelli@griffineditore.it Rachele Villa - r.villa@griffineditore.it Segreteria di redazione e traffico Maria Camillo - Tel. 031.789085 customerservice@griffineditore.it Consulenza grafica Marco Redaelli - info@creativastudio.eu Stampa: Starprint srl - Bergamo

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Editoriale Fabio M. Donelli

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Caso clinico 1 Danno clinico: complessa valutazione nel plurileso Tiziano Villa, Fabio M. Donelli, Fabio M. Fontana, Mario Gabbrielli

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Caso clinico 2 Politraumatismi e morti tardive: la relazione causale Silvia D. Visonà, Matteo Moretti, Antonio Osculati

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Caso clinico 3 Politrauma con importante componente psichiatrica Roberto Baggio, Daniele C.A. Borgogno, Gianluca Landi, Fabio M. Fontana, Fabio M. Donelli

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Monografie Lesioni traumatiche da incidente stradale Andrea Costanzo

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Liquidazione del danno terminale: la proposta milanese Maria Rosa Galletti

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Azione di “rivalsa” in ambito sanitario Luca Nocco

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ECM/Modulo 2 • Semeiotica clinica e strumentale Fabio M. Donelli, Giacomo Gualtieri, Daniele Capano • Valutazione delle macro e delle menomazioni policrone Mario Gabbrielli, Giulia Nucci • Criteriologia medico-legale nell’identificazione del nesso causale Mario Tavani • Valutazione delle micropermanenti Domenico Vasapollo, Luca Pieraccini, Marco Monti

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BOARD SCIENTIFICO Direttore scientifico Prof. Fabio M. Donelli specialista in Ortopedia e Medicina legale. Professore a contratto Università degli Studi di Milano. Coordinatore di studio di traumatologia forense della Società Siot

Comitato scientifico Dott. Renzo Angeloni già direttore Sod Spalla e Arto Superiore, Aou Careggi Prof. Francesco M. Avato ordinario di Medicina legale Avv. Roberto Baggio avvocato civilista Prof. Giuseppe Basile professore a contratto Istituto di medicina legale di Ferrara Prof. Claudio Buccelli ordinario di Medicina legale, Università di Napoli; past president Simla Prof. Fabio Buzzi, ordinario di Medicina legale, Università di Pavia

Avv. Lorenzo Isoppo avvocato del Foro di Parma Avv. Ernesto Macrì consulente avvocato Siot Dott. Roberto Marruzzo specialista in Ortopedia e Medicina legale Prof. Massimo Martelloni direttore Uo di Medicina legale Azienda USL2 di Lucca Prof. Giuseppe Martini ordinario di Fisiatria, Università di Siena Avv. Enrico Moscoloni vicepresidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano Prof. Luigi Pastorelli docente a contratto di Teoria del rischio, direttore scientifico del BigDataLab dell’Università di Tor Vergata Prof. Giuseppe Peretti ordinario in clinica ortopedica, direttore Scuola di specialità in Ortopedia, Milano

Prof. Giorgio Maria Calori direttore Uoc Chirurgia ortopedica riparativa e Risk Management Ist. Ortopedico Gaetano Pini di Milano, presidente Estrot

Prof. Roberto Pessina professore a contratto Bicocca Monza

Prof. Rodolfo Capanna ordinario di Ortopedia, Università di Pisa, past president Siot

Prof. Pietro Randelli ordinario in Ortopedia, Università degli Studi di Milano

Prof.ssa Rossana Cecchi direttore Istituto di Medicina legale, Parma

Prof. Pietrantonio Ricci ordinario di Medicina legale, Università di Catanzaro

Prof. Alberto Corradi già direttore Scuola di specializzazione in Ortopedia e Traumatologia di Milano

Dott. Patrizio Rossi dirigente medico II livello Inail, Roma

Dott. Paolo Costigliola dirigente medico UO Malattie Infettive A.O. Univ. S. Orsola-Malpighi di Bologna Prof. Carlo De Rosa docente a contratto Scuola di specializzazione in medicina legale e delle assicurazioni - Università degli Studi di Catanzaro Prof. Francesco De Stefano ordinario di Medicina legale, Università di Genova Prof. Giuseppe Dell’Osso ordinario di Medicina legale Prof. Marco D’Imporzano Primario Emerito di Ortopedia e Traumatologia presso l’Istituto Ortopedico Gaetano Pini di Milano Prof. Natale Mario Di Luca ordinario di Medicina legale, Roma Prof. Carlo A. Frigo associato presso Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria - Politecnico di Milano

On. Dott. Michele Saccomanno presidente Nuova Ascoti Prof. Giuseppe Sessa presidente Siot, ordinario di Clinica ortopedica, Università di Catania Dott. Luigi Solimeno Direttore Unità operativa complessa traumatologia d’urgenza Fondazione Irccs Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano Dott. Riccardo Tartaglia direttore Centro gestione rischio clinico e sicurezza del paziente, Regione Toscana Prof. Mario Tavani ordinario di Medicina legale, Università degli Studi dell’Insubria Prof. Domenico Vasapollo già direttore Scuola di specializzazione di Medicina legale, Bologna Prof. Andrea Verzeletti direttore Istituto di Medicina legale di Brescia Prof. Pierluigi Viale ordinario di Malattie infettive, Università di Bologna

Prof. Mario Gabbrielli ordinario di Medicina legale, Università di Siena

Dott. Alberto Zerbi direttore Uo di Radiologia, Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano

Prof. Mario Gallo sovrintendente sanitario centrale Inail

Prof. Gianfranco Zinghi già primario terza divisione Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna

Prof. Giorgio Guidetti presidente Società italiana di vestibologia

Prof Riccardo Zoia ordinario di Medicina legale e presidente Simla

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EDITORIALE

Prof. Fabio M. Donelli Direttore scientifico di Traumatologia forense

Le aspettative del paziente La valutazione delle prestazioni sanitarie deve tener conto necessariamente dei risultati che esse ottengono: si tratta di percorsi spesso complessi che sono condizionati da molteplici fattori e se fondamentale importanza ha la natura della patologia da contrastare e trattare, una pari rilevanza hanno anche altri fattori come le condizioni di base del soggetto, quali l’età e le eventuali comorbilità. Tra gli altri fattori da considerare sta assumendo sempre più importanza il comportamento del paziente, cioè la più o meno stretta aderenza alle cure e il non porre in atto comportamenti in grado di amplificare le conseguenze patologiche e di rendere inutili i (corretti) trattamenti posti in atto. Non è un caso che l’argomento sia stato recentemente posto in risalto da Jama (Journal of American Medical Association) che ha evidenziato come l’efficacia delle prestazioni sanitarie possa essere migliorata dalla collaborazione del paziente. Si tratta di una sfida che deve essere raccolta anche nel nostro Paese. Nel contratto tra medico e paziente si instaura un rapporto di cooperazione, al centro del quale vi è la salute del curando: questo obiettivo comune impone al medico l’obbligo di curare, ma anche il paziente dovrebbe attenersi alle cure. È giusto ricordare la normativa sul consenso pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 16/1/2018, Legge n. 219 del 22/12/2017, la quale ribadisce che “Nessun trattamento può iniziare se privo del consenso libero e informato in cui si precisa che dev’essere rispettata la volontà del paziente… ” e introduce le disposizioni anticipate di trattamento (DAT): un soggetto maggiorenne, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo aver acquisito adeguate informazioni sulle conseguenze delle sue scelte, può attraverso la DAT esprimere la propria volontà in materia di trattamenti sanitari. All’articolo 5 poi si affronta il tema della pianificazione condivisa delle cure cui il medico deve attenersi qualora il paziente non possa più esprimere un parere. Quanto sopra ricordato evidenzia un’asimmetria nel rapporto medico-paziente in quanto non impone un’uguale adesione alle terapie da parte del paziente. Infatti per ottenere i migliori risultati, i pazienti dovrebbero evitare comportamenti che possano condizionare l’evoluzione delle patologie fino ad apparire come autonome cause di insuccesso, quali: optare per una scelta terapeutica non corretta; non presentarsi alle visite di controllo; non eseguire le terapie prescritte in caso di copertura antibiotica o profilassi anti-tromboembolica; tenere comportamenti incongrui. Se il paziente non si attiene a un comportamento corretto si potrebbe infatti configurare un concorso nella genesi degli eventi dannosi, fino a poter escludere ogni responsabilità dei sanitari. Non deve essere poi trascurato il fatto che in caso di prestazioni a carico del Servizio Nazionale Sanitario ogni insuccesso potrebbe configurare uno spreco di risorse pubbliche. Si deve realizzare quindi una vera e proppia alleanza terapeutica tra medico, paziente e strutture sanitarie, al fine di ottenere i migliori risultati possibili. Fabio M. Donelli

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traumatologia CASO CLINICO


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CASO CLINICO

Danno clinico: complessa valutazione nel plurileso Valutazione del danno in un caso di grave politraumatismo che ha interessato un pedone vittima di sinistro stradale

Tiziano Villa*, Fabio M. Donelli**, Fabio Massimo Fontana***, Mario Gabbrielli**** * Specialista in Ortopedia e Traumatologia, G.B. Mangioni, Lecco GMV ** Specialista in Ortopedia e Traumatologia e Medicina legale, Università degli Studi di Milano. Coordinatore del gruppo di traumatologia forense della Società italiana di ortopedia e traumatologia (Siot) *** Psichiatra, Bergamo **** Medicina legale, Università di Siena

Presentiamo il caso di un paziente di anni 47, operaio metalmeccanico, coniugato con due figli, scolarità liceale. Dalla disamina della copiosa documentazione clinico-sanitaria fornita e dalle dichiarazioni rese risulta comprovato che il periziato, pedone che attraversava la pubblica via, venne coinvolto in un sinistro stradale con dinamica di urto, caricamento con infrazione del parabrezza dell’autoveicolo e successiva proiezione contro altro automezzo in sosta e dunque al suolo con grave politraumatismo a causa di un’autovettura che non rispettava la dovuta precedenza. Immediata l’attivazione dei soccorsi e la percezione della gravità dell’evento, il periziando veniva infatti immediatamente soccorso e trasportato mediante autolettiga in codice rosso all’ospedale di zona

ove veniva sottoposto ad accertamenti clinico-strumentali per trauma maggiore e ricoverato nell’Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia del nosocomio. Ricostruzione anamnestico-documentale Sintesi delle fasi salienti La diagnosi riporta: “politrauma, frattura biossea multifocale di gamba destra esposta stabilizzata con FE multiassiale, lussazione gleno-omerale anteriore ridotta e contenuta in Desault, ferite abrase e lacero-contuse multiple e traumatismo commotivo del capo, con amnesia peritraumatica e disturbi del comportamento per alternanza di episodi di agitazione psicomotoria, aggressività eterodiretta a

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CASO CLINICO / Danno clinico e plurileso

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periodi di lucidità e collaborazione con disturbi critici, ideativi e inappropriatezza delle risposte”. Durante il ricovero venivano condotte visite specialistiche neurologiche seriate e politrasfusioni con sangue omologo da banca per anemizzazione. In ventesima giornata post-traumatica, il paziente veniva dimesso con raccomandazione alla prosecuzione della terapia antitromboembolica, deambulazione in scarico articolare assoluto all’arto inferiore destro e mantenimento dei dispositivi immobilizzanti all’arto superiore e gamba destri, sino a rivalutazione specialistica ambulatoriale oltre a follow-up di neuroimaging. Seguivano visite specialistiche fisiatriche e ortopediche con riscontro di persistente sintomatologia algica e ipomobilità della spalla destra oltre a ritardo di consolidazione della nota frattura biossea di gamba con lieve vizio assiale in recurvato. In quarantesima giornata post-traumatica veniva convertito il sistema di fissazione esterna alla gamba destra secondo la metodica di Ilizarov per persistente instabilità della frattura, mentre in 85esima giornata fu programmato un intervento chirurgico di sintesi interna per posizionamento di infibulo endomidollare bloccato, oltre a tenolisi dei

di controllo che veniva riposizionata in sede nella medesima giornata). Seguivano plurime valutazioni specialistiche ortopedico-traumatologiche e fisiatriche, con riscontro di normale decorso post-operatorio e progressiva graduale ripresa funzionale dell’arto inferiore destro oltre a persistente limitazione funzionale della spalla destra. In 150esima giornata post-traumatica il periziando venne ricoverato nell’Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia con diagnosi di: “algia spalla destra post-traumatica” per essere sottoposto a intervento chirurgico di acromionplastica, bursectomia e reinserzione artroscopica dei tendini sovra-sottospinato, mediante duplice ancoretta metallica e dimesso in seconda giornata post-chirurgica con raccomandazione al mantenimento del tutore articolare per tre settimane, terapia analgesica sintomatica, crioterapia locale a cicli, idrokinesiterapia a 15 giorni e rivalutazione clinica ambulatoriale.

tendini tibiale anteriore ed estensore proprio dell’alluce per fibrosi cicatriziale (l’intervento era complicato da vizioso posizionamento della vite di bloccaggio distale, evidente all’esame radiografico

mento. I test di valutazione delle funzioni cognitive superiori e psicometrici somministrati evidenziavano un lieve deficit della memoria episodica.

Diagnosi della relazione psichiatrica Viene prodotta altresì una relazione psichiatrica concludente con la diagnosi di: “sindrome da disadattamento con sintomi ansiosi e depressivi”, meritevoli di terapia neurolettica e percorso psicologico-psicoterapico per il loro conteni-


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Esami salienti: diagnostica per immagini ed esami strumentali > 25 febbraio 2015. Studio mediante metodica di risonanza magnetica della spalla destra evidenziante i postumi di frattura del trochite omerale con persistente edema della spongiosa ossea della testa omerale, tendinopatia flogistica acuta e degenerativa del tendine sovraspinato in assenza di lesioni a tutto spessore apprezzabili in entesopatia degenerativa della cuffia dei rotatori e iniziale impingement sottoacromiale per morfologia costituzionale arcuata dell’acromion oltre a tenovaginite del capolungo-bicipitale e degenerazione dei labbri glenoidei. > 6 maggio 2015. Studio radiologico della gamba destra con riscontro di corretto posizionamento del fissatore esterno tipo Ilizarov ma persistente comminuzione ed evidenza delle rime fratturative al III medio della diafisi tibiale con rari fenomeni osteoriparativi. > 8 luglio 2015. Studio radiologico della gamba destra evidenziante i postumi di frattura biossea di gamba destra, complessa per comminuzione in sede tibiale con evidente callo osseo riparatore in sede peroneale e scarsi fenomeni osteoriparativi in sede tibiale. > 10 maggio 2017. Studio elettromiografico sensitivo-motorio degli arti inferiori con riscontro di sofferenza del nervo sciatico destro con marcata compromissione del nervo peroneo comune.

ďƒ˜ Fig. 1 a-b-c: studio RM della spalla destra, evidente edema osseo persistente del trochite omerale in postumi fratturativi con riduzione dello spazio sottoacromiale e alterato segnale dei tendini sovra e sottospinato da entesite in entesopatia cronica

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CASO CLINICO / Danno clinico e plurileso

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Conclusioni Il periziando si sottoponeva alle cure fisiche e riabilitative, nonché farmaco-terapiche come da indicazioni. Dalla documentazione medica esaminata e dianzi descritta in sintesi, da dati storico-clinici e dall’attuale visita medico-legale risulta comprovato che il periziato, per i traumi subiti nel sinistro dell’8 gennaio 2015, ebbe a riportare le seguenti lesioni: “valido politrauma con traumatismo commotivo del capo, frattura complessa biossea esposta di gamba destra che ha richiesto intervento chirurgico urgente di stabilizzazione per fissazione esterna e damage control, con successiva conversione a fissazione esterna secondo llizarov per vizio in procurvato e ritardo di consolidazione e ulteriore conversione a fissazione interna, per conclamato persistente ritardo di consolidazione con evoluzione in senso pseudoartrosico della frattura tibiale, frattura-lussazione della spalla destra con frattura composta del trochite omerale e lesione evolutiva del tendine sovraspinato in entesopatia degenerativa preesistente silente della cuffia dei rotatori che ha richiesto intervento chirurgico artroscopico di acromionplastica, bursectomia e reinserzione dei tendini sovra-sottospinato mediante duplice ancoretta, trauma distorsivo del rachide cervicale, policontusioni e ferite abrase e lacero-contuse multiple anche in

Stato attuale del paziente Ancora oggi l’infortunato e i familiari lamentano: ºº cervicalgia cronica postero-laterale destra e in misura minore sinistra di media entità, con rigidità e limitazione articolare, irradiazione del dolore alle spalle e alla regione dorsale; ºº spalla dolorosa destra cronica elettiva in regione deltoideo-pettorale e allo spazio sottoacromiale, con limitazione funzionale e soggettivo pregiudizio all’adempimento delle normali attività quotidiane nonché professionali, impossibilità antalgiche al mantenimento del decubito laterale destro; ºº algia cronica all’arto inferiore destro, scarsamente responsiva ai FANS, con tumefazione cronica del piede che si accentua nelle ore serali, limitazione della capacità deambulatoria con spostamenti autonomi riferiti come possibili solo per brevi tragitti. Accusa inoltre cedimenti articolari talora antalgici, difficoltà allo svolgimento delle normali attività quotidiane, professionali con impossibilità a mantenere una posizione statica; cefalea cronico-ricorrente, turbe del sonno per alterazione del ritmo sonno-veglia, difficoltà all’addormentamento e risvegli frequenti. La sofferenza psicologica manifestatasi a seguito del trauma ha evocato intense reazioni emotive che hanno

aree fotoesposte”. All’anamnesi patologica remota risulta: “nega ulteriori traumi, interventi chirurgici e patologie pregresse/in atto a carico di organi/apparati degni di nota”.

interferito in modo significativo e invalidante con il precedente normale funzionamento cognitivo, affettivo, sociale e lavorativo del periziando; ºº dal punto di vista comportamentale, il


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paziente lamenta un deterioramento dei rapporti familiari e coniugali per la comparsa di iperemotività, facile irritabilità, ansia e disturbi di tipo afasico. Le condizioni menomative di cui sopra e gli esiti cicatriziali percepiti come deturpanti hanno cagionato l’instaurarsi di un disturbo distimico con deflessione del tono dell’umore per la progressiva presa di coscienza del proprio stato di disabilità e difficoltà all’adempimento delle ordinarie occupazioni, spesso possibili solo mediante il supporto di terze persone. Il paziente è stato costretto a numerose rinunce con impossibilità nel proseguire nelle attività ludico-ricreative sportive precedentemente svolte (corsa, bicicletta, arrampicata in montagna); la componente cognitiva dell’impotenza appresa è un fattore critico per l’insorgenza e il perdurare di uno stato depressivo. Complicano il quadro descritto dei disturbi somatici con spiccata meteoropatia. Nei disturbi psicopatologici successivi a trauma psichico l’azione lesiva è rappresentata dall’evento stressante in grado di modificare l’integrità psichica della persona attraverso l’espressione di una sintomatologia clinica (la malattia), la cui persistenza nel tempo compromette l’efficienza psichica del soggetto. La sintomatologia pschica manifestata dal soggetto non si descrive in un quadro di normale reattività all’evento psicolesivo ma configura l’insorgenza di un

Esame obiettivo All’esame obiettivo si nota: ºº soggetto normotipo di media età, in buone condizioni generali di nutrizione e sanguificazione, sensorio e psiche integri, facies composita, decubito indifferente, tono e trofismo muscolare normali, destrimane; ºº capo, non si osservano macroscopiche deformità. Si apprezza esito cicatriziale in regione frontale lievemente discromico di 10,3 cm esteso sino alla regione temporale, visibile ictu oculi a distanza di conversazione; ºº rachide cervicale in asse; miocontratture antalgiche diffuse della muscolatura spinale; non spinalgie pressorie alla digitopressione sui rilievi osteoarticolari al tratto cervicale; succussione rachidea debolmente dolorosa al tratto cervicale; movimenti di flesso-estensione dolorosi e limitati di 1/5 circa; movimenti di inclinazione laterale e rotazione attivi e passivi dolorosi e limitati di 1/2 circa; ºº spalla destra normoconformata, normoatteggiata. A tratti distinguibili gli esiti cicatriziali da accesso iatrogeno artroscopico. Ipomiotrofia brachiale e antibrachiale subcentimetrica in arto dominante con ipomiotrofia dei cingoli e del muscolo deltoideo; diffusa dolorabilità della metaepifisi prossimale omerale; Yochum test +; Jobe Test francamente po-

disturbo psicopatologico vero e proprio di natura depressiva. Il paziente in oggetto è tuttora in cura farmacologica (antidepressivi e ansiolitici) e ha eseguito un periodo di psicoterapia della durata di un anno.

sitivo; Test di Neer debolmente positivo; Palm-up positivo; Test dell’apprensione debolmente positivo - cassetto negativo; arco doloroso positivo a 70° ma possibile fino a 130° con intensificazione della

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CASO CLINICO / Danno clinico e plurileso

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sintomatologia algica e compenso scapolare; articolarità attiva e passiva dolorosa e limitata di 1/4 circa; alle prove steniche deficit del muscolo sovraspinato (3+/5) e dei muscoli deltoideo e pettorale (4-/5) e bicipitale (4-/5); ºº arto inferiore destro, il quadro clinico può essere riassunto in asse normoatteggiato; ipomiotrofia circonferenziale di coscia di 2 cm e minus di gamba di 1 cm; plurimi esiti cicatriziali rubri, distrofici, da fissazione esterna e da tenolisi; versamento endoarticolare e diffusa dolorabilità delle interlinee articolari con lassità di grado II allo stress in varo-valgo e cassetto anteriore positivo con plus centimetrico oltre a segni di condropatia post-traumatica; articolarità attiva e passiva dolorosa già a 70° di flessione ma limitata ai massimi gradi; accosciamento doloroso e incompleto, alle prove steniche ipomiostenia del complesso quadricipitale e dei muscoli ischio-crurali (F4-/5); tumefazione strutturata del complesso caviglia-piede di circa 1 cm con algia al decorso del PAA e del tendine tibiale anteriore; articolarità attiva e passiva dolorosa e limitata di ½ circa su tutti i piani; segni di lassità capsulo-ligamentosa dolente con cassetto astragalico facilmente evocabile. Stress della sottoastragalica dolente; impossibile per riflesso antalgico la deambulazione in talo-e-

parsa di disturbo tipo afasico in occasione del colloquio clinico e visita medica (durati circa 90 minuti) verosimilmente connesso, come evidenziato dallo specialista psichiatra, non a un disturbo del linguaggio-funzioni cognitive superiori bensì a crisi ansiose durante la descrizione degli eventi e manovre semeiologiche valutative magnificanti/oggettivanti per riscontro clinico obiettivo, i deficit funzionali lamentati nei distretti corporei traumatizzati. Non sono evidenti dati oggettivi patologici a carico degli altri organi e apparati rilevanti ai fini del presente accertamento.

quinismo. Evidente deficit di estensione attiva del primo dito; ºº EON negativo, evidenti oscillazioni pluridirezionali parzialmente compensate alla prova di Romberg. Si segnala com-

mediante duplice ancoretta e tenotomia del capolungo-bicipitale oltre ad acromionplastica e bursectomia con residua limitazione articolare, sintomatologia algico-disfunzionale cronica, ipomiostenia dei cingoli scapolare

Diagnosi medico-legale Sindrome cervicale cronica post-traumatica di media entità da menomazioni permanenti da trauma distorsivo del rachide cervicale, strumentalmente accertata e sostenuta anche dalla discinesia del modulo neuro-muscolare, cervico-scapolo-omerale di significato compensatorio per le limitazioni funzionali oggettivabili alla spalla destra. Postumi anatomici e soggettivi di frattura-lussazione della spalla destra, strumentalmente accertata e aggravante un quadro clinico silente di entesopatia degenerativa della cuffia dei rotatori, con lesione evolutiva del tendine del muscolo sovraspinato (vedi esami di risonanza magnetica) che ha richiesto trattamento cruento artroscopico di reinserzione


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e pettorale e del muscolo deltoideo e bicipitale determinanti discinesia del modulo cervico-scapolo-omerale per compenso funzionale cronicizzato. Postumi anatomici e soggettivi di frattura biossea, pluriframmentata, scomposta ed esposta di gamba, complicata da ritardo di consolidazione, che ha richiesto plurimi interventi chirurgici necessari all’espletamento dei processi osteoriparativi con residua sintomatologia algico-disfunzionale cronica e sensibile limitazione funzionale del complesso anatomo-funzionale piede-caviglia-gamba-ginocchio, sindrome aderenziale recidiva ai tendini tibiale anteriore ed estensore proprio dell’alluce con compromissione della capacità deambulatoria. Postumi cicatriziali da ferita lacero-contusa al volto condizionanti pregiudizio estetico per visibilità ictu oculi a distanza di conversazione e plurimi esiti cicatriziali all’arto inferiore destro non attenuabili se non mediante utilizzo di indumenti lunghi sino alla caviglia. Sindrome generale soggettiva da esiti di traumatismo cranio-encefalico commotivo, strumentalmente accertato che si manifesta con cefalea cronico-ricorrente, soggettive turbe del sonno (intese come difficoltà all’addormentamento e risvegli frequenti), compromissione dell’attenzione, disturbi mnestici a breve termine e soggettiva maggiore irritabilità nel contesto di un disturbo distimico cronico dell’adattamento più che attendibile che deve essere valutato e ponderato nel con-

lesione accertata è facilmente dimostrato applicando i classici criteri medico-legali di riferimento eziologico (cronologico, topografico, adeguatezza qualitativa e quantitativa della causa lesiva presunta, esclusione di altre possibili eziologie). Non sono ad oggi auspicabili trattamenti medico-chirurgici che possano garantire un miglioramento del quadro anatomo-clinico-funzionale lamentato a carico dei distretti traumatizzati. Le lesioni sono allo stato stabilizzate, e pertanto si può procedere a una valutazione del danno. I dati clinici che non sono da escludere, vista la natura del trauma e la tipologia delle lesioni strumentalmente accertate sono: ºº comparsa di infezioni/osteomieliti tardive legate alla discontinuazione dei tegumenti per i necessari interventi chirurgici di riduzione e osteosintesi e per l’esposizione ab-intrinseco dei monconi fratturativi (frattura esposta biossea di gamba con comminuzione) con inevitabile contaminazione esterna. In questo caso si dovrà procedere a intervento chirurgico di rimozione dei mezzi di sintesi, toilette chirurgica dei tessuti molli e dell’osso sino ad ampie resezioni, antibioticoterapia prolungata ed eventuale fissazione esterna di apparecchio gessato immobilizzante o innesti ossei autologhi e/o da banca; ºº comparsa di intolleranza ai mezzi di sintesi residui con necessità di ulteriore in-

testo di un paziente macroleso con efficacia psico-lesiva del trauma.

tervento chirurgico di rimozione; ºº aggravamento post-traumatico del quadro degenerativo artrosico documentato alla spalla destra e asintomatico prima del trauma in oggetto con evolutività

Giudizio medico-legale Il nesso di causalità tra l’evento lesivo e la

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CASO CLINICO / Danno clinico e plurileso

peggiorativa delle limitazioni articolari e funzionali già descritte. I postumi sono stabilizzati. L’evoluzione della lesione accertata, secondo quanto risulta da dati storico-clinici e dall’attuale esame medico-legale condizionò un danno biologico temporaneo e permanente in ambito di RC. L’inabilità biologica temporanea durò equitativamente per 450 giorni, da articolarsi in considerazione della graduale attenuazione e stabilizzazione del quadro clinico acuto iniziale e della progressiva ripresa funzionale. La guarigione clinica non avvenne con il completo recupero dello stato psicofisico anteriore al sinistro de quo. Residuano le menomazioni permanenti descritte a carico dell’arto superiore destro, inferiore destro, rachide cervicale e sistema nervoso centrale e apparato fisiognomico che sono causa di modificazione peggiorativa dello stato di salute e di indebolimento della validità psicofisica della persona dell’infortunato. Facendo riferimento ai più accreditati barèmes desumibili dalla letteratura medico-legale (1,2,3,4), stimando l’effettiva incidenza del complesso delle menomazioni stesse sull’integrità psicofisica della persona dell’infortunato comprensiva delle limitazioni dinamico-relazionali, l’invalidità permanente nel caso in esame risulta essere pari al 33-35% circa di danno biologico permanente in ambito di RC ricordando che per consolidate dottrina e giurisprudenza nel danno biologico sono ricompresi il danno estetico, il danno alla vita di relazione, il danno alla capacità lavorativa generica, ecc. Deve essere poi affrontata la valutazione del danno alla capacità di produrre reddito del sogget-

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to. A questo proposito va preliminarmente valutato se il danno permanente incida o comunque possa incidere sull’esplicazione dei compiti connessi all’attività lavorativa svolta dal soggetto: in caso di risposta positiva si dovrebbe fare una sola descrizione delle negative ripercussioni, ma spesso siamo chiamati a esprimere anche una valutazione numerica. Sarà poi il soggetto a dover dimostrare che a quella valutazione corrisponda un’effettiva riduzione del reddito; se questo non si verifica (evento pressoché costante nei lavoratori dipendenti che percepiscono solitamente lo stesso reddito di prima dell’incidente) la valutazione può servire al giudice per incrementare la valutazione economica, in considerazione del fatto che il lavoro sarà comunque svolto con maggior usura. Nel caso di specie, il soggetto aveva avuto una limitazione nella movimentazione carichi da parte del medico competente. Tenuto conto che trattasi di operaio metalmeccanico, si può affermare che il danno alla capacità lavorativa specifica è attorno al 30%. Non vanno trascurati inoltre: > il problema della sofferenza morale, temporanea e permanente, con un punteggio di 100/100 secondo il vigente orientamento per quanto concerne la sofferenza temporanea (visto il raggiungimento massimo del punteggio di 20 in tre colonne verticali: iter clinico oltre un anno, plurimi interventi chirurgici, rinunce quali-quantitative alte) e 26/100 permanente (interpretando la recente tabella valutativa) (3); > il danno riflesso. Il problema del danno riflesso sui familiari dei macrolesi è estremamente dibattuto: il danno biologico perma-


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nente deve essere rigidamente dimostrato (pressoché costantemente si tratta di valutazioni psichiatriche) mentre il danno morale riflesso, in passato limitato ai casi mortali, con la sentenza della Cassazione 4186 del 1998 è stato esteso ai familiari dei macrolesi e si riconosce come configurabile per danni permanenti del congiunto di entità notevole, superiori al 50-60%, non potendosi peraltro escludere anche per danni minori in cui sia validamente provato. Il caso oggetto di discussione tratta di un uomo di 43 anni all’epoca dei fatti, marito e padre, che veniva coinvolto in un violento politraumatismo fratturativo con grave ripercussione sulle capacità produttive e all’adempimento delle ordinarie mansioni proprie della vita comune. In questo caso, il fatto lesivo ha sicuramente alterato il complessivo assetto dei rapporti personali all’interno del nucleo familiare, venendo a condizionare progettualità di vita futura nonché, rimarchevole dilatazione dei bisogni e dei doveri, oltre alle necessità assistenziali di cui il paziente ha certamente richiesto, almeno nelle fasi di stabilizzazione della malattia, con assiduità, specie alla moglie. Assai rilevanti, ai fini del presente elaborato, appaiano i risvolti di un’ulteriore pronuncia della Suprema Corte del 2011 allorquando sembra affermarsi definitivamente la risarcibilità del danno da lesione del rapporto parentale a seguito di lesioni subite dal prossimo congiunto:

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del relativo ristoro tenersi in considerazione la sofferenza (o patema d’animo) anche sotto il profilo della sua degenerazione in obiettivi profili relazionali”; > sono ipotizzabili spese future, periodici cicli di riabilitazione e cure fisiche, per la maggior parte dispensabili dal Servizio Sanitario Nazionale e supporto psicologico/psichiatrico in regime privatistico-libero-professionale che, verosimilmente, si concluderà entro un anno. L’infortunato fu costretto a esborsi di denaro per visite mediche, esami strumentali, cure fisiche e acquisto di farmaci. Tali spese, essendosi rese necessarie per la diagnosi e cura della lesione accertata, sono da qualificarsi come spese mediche, da giudicarsi congrue e quindi da risarcirsi secondo documentazione. Bibliografia 1. Bargagna M, Canale M, Consigliere F, Palmieri L, Umani Ronchi G. Guida orientativa per la valutazione del danno biologico, edita sotto l’egida della Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni, Milano 2001. 2. Umani Ronchi G, Bolino G, Fedeli P, Palmieri L. La valutazione medico-legale del danno biologico in responsabilità civile, Milano 2006. Ronchi. 3. Genovese U, Mastroroberto L, Ronchi EF. Guida alla valutazione medico-legale dell’invalidità permanente, Giuffré Editore 2015. 4. Guida SIMLA, Giuffré Editore 2015.

“Al prossimo congiunto di persona che abbia subito lesioni a causa di fatto illecito costituente reato spetta il risarcimento del danno non patrimoniale sofferto in conseguenza di tale evento, dovendo ai fini della liquidazione

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Politraumatismi e morti tardive: la relazione causale Valutazione delle cause di decesso innescate da complicanze tardive rispetto alle lesioni e agli interventi riparativi del trauma

Silvia Damiana Visonà, Matteo Moretti, Antonio Osculati Dipartimento di Sanità Pubblica, Medicina Sperimentale e Forense, Sezione di Medicina Legale e Scienze Forensi, Università di Pavia

Accade con una frequenza non trascurabile che il medico legale sia chiamato a valutare la relazione causale tra grandi traumatismi coinvolgenti l’apparato muscolo-scheletrico e/o gli organi interni e il decesso dell’individuo che non avviene nell’immediatezza del fatto o nei primi momenti dopo il sinistro ma che interviene, in modo più o meno atteso, dopo giorni, mesi o anche anni. Abbiamo ritenuto di fare una riflessione su questo, tutt’altro che nuovo problema medico-legale, poiché abbiamo rilevato sempre più frequentemente che valutazioni espresse per gli uffici giudiziari o per le parti in causa (sia in ambito penalistico sia civilistico) seguano metodologie argomentative e correlazioni logiche e biologiche nei modi più disparati creando, talora, una grande confusione anche nel delicato cimento di affrontare l’argomento nei due diversi ambiti del diritto. Vale subito la pena precisare che l’applicazione metodologica corretta non è affatto diver-

sa da quella della valutazione medico-legale delle relazioni causali tra gli eventi; avuto riguardo, dunque, delle implicazioni biomediche declinate nelle necessità del diritto. Capita frequentemente che pazienti vittime di politraumatismi, generalmente gravi ma non solo, vedano in un primo momento un’evoluzione positiva dei trattamenti riparativi ricostruttivi e di sostegno delle funzioni vitali, miglioramenti che talora giungono sino al momento della riabilitazione, vale a dire in una fase di consolidamento dal punto di vista anatomico della lesione e alla soglia della ricerca della funzionalità perduta per quanto possibile. In questi casi, tutti i medici legali hanno frequente esperienza di possibili inversioni di tendenza rispetto all’andamento apparentemente favorevole, sino a un declino determinato dall’insorgere di patologie nosologicamente diverse, ovvero dal presentarsi di complicanze tardive rispetto alle lesioni e, soprattutto, agli interventi riparativi del trau-

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ma. Prendasi, ad esempio, le infezioni che coinvolgono le protesi di qualsiasi tipo nella chirurgia ortopedica. Metodologia di rilevazione dei nessi causali in medicina legale La storia della medicina legale moderna poggia su alcuni capisaldi fondamentali tra cui la cosiddetta criteriologia medico-legale mirabilmente stigmatizzata dal Cazzaniga (criteri cronologico, topografico, di adeguatezza modale, di continuità fenomenologica, di esclusione di altra causa). Va da sé che dal punto di vista didattico e logico e nondimeno indicativo dei casi più semplici, questa metodologia di rilevazione delle relazioni causali in medicina legale è un passo formativo necessario che l’aspirante specialista deve possedere con assoluta sicurezza e consapevolezza. Ciò non toglie che sempre di una schematizzazione si tratta e che la variegata e infinita casistica che si propone al terapeuta e al medico legale, non sempre può collimare perfettamente con strumenti di tipo schematico ancorché di elevatissimo pregio. Nella pratica medica attuale, per esempio, assistiamo a procedure che ai tempi di questa schematizzazione criteriologica non erano neppure pensabili. Ad esempio, i presidi rianimatori hanno subito un’evoluzione straordinaria e nondimeno quelli terapeutici ricostruttivi, soprattutto in ambito ortopedico. Ciò impone al medico legale contemporaneo di prestare un’attenzione molto particolare ai fenomeni biologici patologici che si sviluppano tra il trauma e il decesso per poter fornire un valido supporto all’ambito giuridico in ordine alla relazione causale e/o concausale tra i due fenomeni,

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ovvero individuare con una sufficiente sicurezza un’interruzione di questo nesso, talché un fenomeno indipendente, e di per sé sufficiente, possa determinare la morte. Questo esercizio può sembrare banale ma se lo è in alcuni casi, è tutt’altro che facile in numerosi altri. Il criterio cronologico è molto spesso di scarso aiuto nel dirimere la questione e altrettanto spesso confondente sia nel far propendere nel caso di una sua brevità alla sussistenza di una relazione efficiente, sia al contrario ad allontanare l’opinione del nesso nel caso di una sua prolungata durata. A tale proposito, inseriremo a titolo di esempio due casi occorsi alla nostra osservazione che ci paiono significativi per la dimostrazione di queste due affermazioni. Atteso che il criterio temporale può essere fallace, l’opinione di scrivere queste righe è che, altrettanto, quello topografico possa assolutamente avere le stesse caratteristiche di confondimento. Classico è l’esempio di un’affezione polmonare che può insorgere a causa del prolungato allettamento che non consente una meccanica respiratoria efficiente e che comunque vede la competenza immunitaria, in un grave politraumatizzato, compromessa dalle lesioni stesse oltre che, talora, dalle necessarie terapie. Altrettanto, per esempio, può dirsi della tromboembolia anche massiva che, come ognuno di noi sa, purtroppo non è sempre prevenibile anche con adeguata profilassi. Criterio guida per il medico legale Queste considerazioni sintetiche, ma frutto di esperienza pluridecennale, ci portano a considerare il fatto che il criterio guida che deve orientare il medico legale nella valu-


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tazione di questa peculiare ma importante fattispecie è quello, soprattutto, dell’idoneità dei mezzi nell’accezione più ampia possibile che la biologia e la fisiopatologia ci consente di ricostruire. È quindi necessario non solo valutare con attenzione massima l’evoluzione clinica del paziente, non soltanto sotto il profilo traumatologico (anche nella fase, come dicevamo, riabilitativa) ma anche avere continua contezza dell’inferenza tra gli esiti, in qualsiasi fase di evoluzione del trauma, le comorbilità qualora ci siano e la modificazione della funzionalità dell’organismo, in funzione di una maggior predisposizione a contrarre patologie apparentemente disgiunte ma che non sarebbero insorte laddove la persona non avesse subito le menomazioni attribuibili al politrauma. Una chiosa a parte merita la frequente eventualità che nel progredire degli eventi in fase precoce-tardiva o addirittura molto tardiva insorgano complicanze di tipo cardiaco che portino direttamente o indirettamente al decesso. È questo un aspetto particolarmente delicato poiché – se da una parte è lampante che un politrauma in un cardiopatico possa ingenerare nei primi momenti dopo il sinistro una sollecitazione della funzionalità cardiaca che può innescare uno scompenso, che a sua volta risulti refrattario alle terapie e porti al decesso –, una tale situazione, da un punto di vista anche temporale ma soprattutto biologico, avuto riguardo per esempio della per-

come effetto, ad esempio, di una frattura poliframmentaria degli arti inferiori, piuttosto che di bacino. Naturalmente non può considerarsi con lo stesso criterio una situazione che a partire dal medesimo trauma vede il paziente completamente stabilizzato dal punto di vista cardiocircolatorio e l’insorgere di un problema cardiaco in un contesto biologico che non ci consente di connettere la sua situazione di politraumatizzato abbondantemente stabilizzato a quella della defaillance ischemica o aritmica che può condurre al decesso. Come si vede, se il concetto in astratto può sembrare molto semplice, spesso i piani nella pratica concreta si embricano e i dubbi non sono facili da risolvere. In casi consimili, solo l’attenta analisi della funzionalità di tutti gli apparati dell’individuo ci può permettere di esprimere un giudizio rispetto all’interdipendenza, ovvero all’indipendenza dei due eventi: trauma e decesso. Queste considerazioni valgono come un invito ad essere assolutamente approfonditi nella valutazione di tutti gli aspetti clinici di un individuo spesso durante lunghe degenze. Dobbiamo essere certi di aver valutato con attenzione non solo le funzionalità cardiocircolatorie, la limitazione motoria collegabile alla tromboembolia piuttosto che alle infezioni polmonari ma anche alla funzionalità epatica, o renale, piuttosto che agli equilibri metabolici: solo in questo modo il nostro sarà un giudizio motivato su basi cliniche e, di

dita ematica, della necessità di interventi chirurgici particolarmente impegnativi, allo stesso impegno emozionale che un traumatismo soprattutto se grave certamente determina, deve essere considerata chiaramente

conseguenza, solidamente medico-legali. Non dimentichiamoci che nella pratica della medicina legale, e di questo argomento in particolare, esistono e non sono rari i casi in cui la risposta non può essere definitiva e

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certa. Ciò per la complessità del percorso che abbiamo appena descritto. Ebbene, in questi casi il consulente del magistrato, il perito, e nondimeno il consulente delle parti ha il dovere non solo deontologico, ma strettamente tecnico-professionale di arrestarsi e ammettere l’impossibilità di esprimere un giudizio definitivo quando ciò non gli è possibile. Non dimentichiamo, ad abbundantiam, che ritrovarsi in un ambito penalistico ovvero in uno civilistico, ci impone una valutazione proprio sul nesso di causa che la giurisprudenza ci insegna essere estremamente diverso, avendo sempre il massimo riguardo di rimanere nell’alveo medico, ancorché medico-legale e a non travalicare mai, per nessuna ragione l’ambito giuridico; così come il medico legale deve astenersi dall’inferire la sussistenza o l’assenza di una “colpa” che è concetto giuridico e di esclusivo appannaggio dei giuristi, altrettanto, pur essendo chiaramente preparato in ambito anche giurisprudenziale, è bene che si astenga dal citare sentenze di qualsiasi tipo. Ciò non toglie che è doveroso fornire al giudice, a seconda dell’ambito giuridico in cui ci si trovi, gli strumenti necessari al fine di decidere. E allora, non può non sapere il medico legale che la consolidata giurisprudenza penale necessiti per i suoi fini, dell’individuazione di un nesso di causa che si approssimi alla certezza statistica e che comunque non sia differente da ogni altra relazione causa-effetto che il giudice penale deve

nevole dubbio”. Molto differentemente concorde e consolidata giurisprudenza civilistica richiede una valutazione del rapporto causale per dare seguito ai concetti giuridici della correlazione tra causa ed effetto di entità probabilisticamente molto diversa: notoriamente è necessario che la probabilità della sussistenza del nesso sia superiore all’ipotesi contraria. Va da sé che anche qui la teoria appare perfino banale ma le applicazioni sono spesso tutt’altro che semplici. In conclusione, vogliamo ribadire un forte richiamo all’adozione di un unico rigorosissimo criterio biologico e di individuazione di eventi fisiopatologici tra loro connessi in maniera dimostrata e dimostrabile. Solo dopo tale esercizio, che va molto al di là dell’applicazione di schematismi formali, possiamo ricavare un’idea della forza logica di una relazione tra fenomeni che è compito del medico legale descrivere in termini biologici ma con un linguaggio e con una proiezione che siano fruibili negli ambiti giudiziari, applicando solo a posteriori per ciascuno le peculiarità che li contraddistinguono.

valutare in tutti gli ambiti. Non a caso, giurisprudenza ancora piuttosto recente ha fatto proprio il concetto derivato dalla common law di impostazione anglosassone, per cui un fatto debba essere accertato “oltre ogni ragio-

amnesia per l’evento. In ambiente ospedaliero furono evidenziate fratture vertebrali e del femore sinistro, rapidamente trattate conservativamente. Durante gli accertamenti diagnostici, l’uomo manifestò improvvisa

Caso clinico 1 Illustriamo il caso di M.L., quarantatreenne con anamnesi patologica remota muta, che mentre era in sella alla propria bicicletta fu investito da un’autovettura, venendo sbalzato al suolo dopo una fase di caricamento. All’arrivo dei soccorritori l’uomo era cosciente con parametri vitali stabili ma presentava


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perdita di coscienza e insufficienza respiratoria esitate in uno stato vegetativo persistente. Una risonanza magnetica encefalica eseguita in emergenza evidenziò diffuse lesioni parenchimali ischemiche: fu sospettato un danno conseguente a embolia grassosa, originatasi dalle fratture ossee. In seguito, fu indispensabile il continuo supporto delle funzioni vitali del paziente (con ventilazione assistita, infusione di amine, nutrizione enterale tramite gastrostomia endoscopica percutanea-Peg, somministrazione di diuretici, antiaggreganti, antiepilettici). Dopo una decina di giorni di ricovero in condizioni cliniche critiche ma sostanzialmente stabili, M.L. iniziò a manifestare complicanze infettive coinvolgenti principalmente l’apparato respiratorio, inizialmente responsive alle terapie antibiotiche impostate. Queste recidivarono però più volte nei mesi successivi, con progressivo peggioramento delle condizioni cliniche dell’uomo, culminato con il suo decesso, verificatosi a quasi tre mesi di distanza dal sinistro stradale. Gli accertamenti medico-legali eseguiti hanno consentito di comprovare che la causa del decesso dell’uomo era da identificarsi in un’insufficienza multiorgano, rappresentante l’evoluzione terminale della lunga malattia innescata dalle lesioni traumatiche riportate a seguito dell’investimento, che hanno determinato inevitabilmente complicanze di natura infettiva, embolica e cardiocircolatoria. La morte dell’uomo va quindi posta in correlazione causale diretta con il sinistro stradale. Caso clinico 2 Un uomo di 68 anni, G.F., con anamnesi positiva per pregressi episodi di cardiopatia ische-

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mica, venne urtato a bassa velocità da un’auto mentre era in sella alla propria bicicletta, cadendo a terra e riportando un trauma facciale, con frattura delle ossa nasali. Tenuto in osservazione in ambiente ospedaliero, il paziente presentava lieve disorientamento, gonalgia e febbre. Agli accertamenti radiologici venne evidenziato un addensamento polmonare, evidentemente già in atto precedentemente al sinistro stradale. Dopo trattamento con antidolorifici e impostazione di terapia antibiotica, si assistette a un rapido miglioramento del quadro clinico, tanto che il paziente fu dimesso a domicilio il giorno seguente. Due giorni dopo, l’uomo allertò il servizio di emergenza lamentando dolore epigastrico persistente. L’elettrocardiogramma eseguito dai soccorritori direttamente sul posto risultava indicativo per una sindrome coronarica acuta di tipo non STEMI. Durante il trasporto in ospedale mediante ambulanza, il quadro clinico evolse verso l’arresto cardiorespiratorio, non responsivo alle prolungate manovre rianimatorie. Gli accertamenti medico-legali permisero di individuare la causa della morte di G.F. in una sindrome coronarica acuta, con conseguente shock cardiogeno, in un quadro di severa cardiopatia ischemica cronica, coronarosclerosi trivasale e aterosclerosi generalizzata. Non risulta in alcun modo possibile affermare che il sinistro stradale abbia avuto un ruolo causale né concausale nel determinismo del decesso dell’uomo. L’incidente potrebbe al massimo aver rappresentato una mera occasione (quindi una condizione favorente ma non necessaria né sufficiente per produrre l’evento) che favorì l’innescarsi di alterazioni cardiologiche che portarono poi al decesso.

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Politrauma con importante componente psichiatrica Valutazione del danno considerando ogni componente traumatologica, psichica e modifiche alla vita familiare e sociale del danneggiato

Roberto Baggio*, Daniele C.A. Borgogno*, Gianluca Landi.**, Fabio M. Fontana*** Fabio M. Donelli**** *Avvocato, Foro di Milano **Specialista in Medicina legale, Consulta Nazionale dei Giovani Medici Legali Universitari *** Specialista in Psichiatria, Milano ****Specialista in Ortopedia e Traumatologia e Medicina legale, Università degli Studi di Milano, coordinatore del gruppo di studio di traumatologia forense della Società italiana di ortopedia e traumatologia (Siot)

Il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. “si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica”1. Il tema del risarcimento del danno non patrimoniale ha animato a lungo il dibattito di studiosi del diritto poiché i suoi risvolti pratici coinvolgono direttamente il sistema assicurativo; all’interno di questo tema si impone inevitabilmente la questione della risarcibilità del danno cosiddetto esistenziale e del suo rapporto con il danno morale e biologico. Nel 2006 le Sezioni Unite hanno attribuito autonoma rilevanza alle voci risarcitorie che compongono il danno non patrimoniale: “per danno esistenziale si intende ogni pregiudizio che l’illecito datoriale provoca sul fare areddituale del

soggetto […]. Peraltro il danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva e ulteriore (propria del c.d. danno morale) […]”2. Per quanto sopra esposto la vittima di un incidente stradale da cui derivi una macrolesione − o altra ipotesi (exempli gratia in materia di responsabilità medica) − subisce, per l’effetto, un danno morale (identificabile nel patema d’animo o sofferenza interiore ovvero nella lesione arrecata alla dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana), un danno biologico (da intendersi come lesione al bene salute), nonché un danno esistenziale (costituito dallo sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto danneggiato).

1 Cass. civ., Sez. un., 24 giugno 2008-11 novembre 2008, n. 26972.

2 Cass. civ., Sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572.

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CASO CLINICO / Esiti di politrauma da incidente stradale

A tal proposito, per quanto attiene strettamente alla disciplina medico-legale, giova ricordare come “il danno biologico consiste nella menomazione permanente e/o temporanea all’integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali, passibile di accertamento e di valutazione medico-legale e indipendente da ogni riferimento alla capacità di produrre reddito […]. Nel caso in cui la menomazione stessa incida in maniera apprezzabile su particolari aspetti dinamico-relazionali e personali, la valutazione è completata da indicazioni aggiuntive da esprimersi in forma esclusivamente descrittiva […]”3. Pertanto, ove come conseguenza della responsabilità di terzi si sviluppi anche una pa3 Decalogo della Simla per la valutazione medico-legale del danno alla persona, IV Giornate Estensi di Medicina Legale e delle Assicurazioni, Ferrara dal 28 al 30 novembre 2001.

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tologia psichiatrica, questa deve essere considerata sotto un duplice profilo che non è una duplicazione del danno ma una semplice, accurata, soggettiva e puntuale valutazione di tutte le conseguenze lesive. Sotto il primo profilo, la patologia psichiatrica concorre alla determinazione della macrolesione permanente, dunque alla valutazione del danno biologico totale. Sotto il secondo profilo può anche aggravare notevolmente il danno morale e il danno esistenziale, alterando le abitudini di vita o contribuendo a farlo, con modifica dei rapporti sociali, familiari e relazionali, con possibilità pure di alterazione dei rapporti parentali, tra cui in primis col coniuge, con i consequenziali diritti risarcitori che insorgono anche a favore di quest’ultimo, ove sotto un profilo causale si possano ritenere soddisfatti i criteri di riconducibilità tra in-


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cidente subito e lesioni non patrimoniali riportate e dedotte. Presentazione del caso clinico Un uomo di 43 anni stava guidando la propria automobile nei limiti di velocità consentiti e all’interno della propria corsia di marcia, quando improvvisamente, un autoveicolo che proveniva dalla direzione opposta invadeva la sua corsia di marcia causando un impatto frontale; nell’incidente veniva inoltre coinvolto il suo figlio minore di 9 anni, trasportato sul veicolo guidato dal padre. I due venivano accompagnati tramite autoambulanza al più vicino ospedale locale, dove, dopo i primi accertamenti, all’uomo veniva riscontrata una “frattura di polso chiusa, contusione anca, contusioni multiple, lesione di Pipkin IV, testa femorale sinistra”; veniva ricoverato lo stesso giorno presso l’Unità Operativa di ortopedia dell’ospedale, dove restava per dodici giorni (il figlio risultò illeso). Nello specifico, durante il ricovero veniva riscontrata: una frattura della testa femorale sinistra, associata a una frattura del margine postero-superiore dell’acetabolo sinistro (frattura di Pipkin IV), una frattura meta-epifisaria distale di radio intra-articolare sinistro, oltre a contusioni multiple. Veniva pertanto confezionato un apparecchio gessato brachio-metacarpale per la frattura del polso sinistro, e un apparato gessato pelvipodalico per la frattura di femore e acetabolo; alla dimissione si ipotizzava una rimozione degli apparecchi gessati dopo 25 giorni. Successivamente veniva trasferito in altra struttura, per fisiokinesiterapia e rieduca-

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zione motoria e poi nuovamente ricoverato a circa un mese dall’incidente, per i successivi 20 giorni; durante la degenza venivano rimossi gli apparecchi gessati, alla dimissione prescritta deambulazione con canadesi. Inoltre a distanza di tre mesi dall’incidente, veniva certificata “ ...sindrome soggettiva del traumatizzato”, tanto da necessitare la prescrizione di amitriptilina. A quattro mesi dall’incidente abbandonava le canadesi. Dopo sette mesi si rilevava “esiti di frattura osteocondrale lamellare antero-superiore della testa del femore sinistro, consolidata con lieve deformazione della convessità della volta cefalica femorale nella sede di frattura. Esiti consolidati di frattura marginale postero superiore della parete acetibolare omolaterale. Minima falda di versamento nell’articolazione coxo-femorale sinistra, presenza in corrispondenza della testa femorale sinistra posteriormente di formazione geodica di circa 9 mm di diametro. Presenza di sottile falda di versamento nella borsa trocanterica sinistra. Presenza di sottile falda fluida in corrispondenza dell’inserzione tendinea del semi-membranoso, del semi-tendinoso e del bicipite femorale a livello della tuberosità ischiatica sinistra, con calcificazioni in quadro di tendinopatia inserzionale”. A otto mesi dall’incidente, la risonanza magnetica del ginocchio sinistro refertava: “non lesioni focali ossee in atto, né traumatico-fratturative ossee recenti. Ispessimento misto tendinosico tendinitico patellare del quadricipitale, soprattutto del rotuleo con reattività flogistica del retinacolo sovra-patellare, senza lesioni. Ispessimento strutturale con edema flogistico in postumi distrattivi di basso grado, non completamente risolti dell’inserzione femorale del

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CASO CLINICO / Esiti di politrauma da incidente stradale

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legamento collaterale laterale e del terzo medio prossimale del legamento collaterale mediale, ma senza discontinuità né avulsioni. Aspetto modicamente assottigliato dei corpi meniscali, soprattutto del mediale, senza interessamenti lesivi. Legamenti crociati continui, presenza di versamento flogistico nella guaina del pivot centrale. Minuta raccolta oblunga cistica sinovitica nella borsa del gastrocnemio-semimenbranoso senza distensioni, che risale sino all’inserzione femorale delgastrocnemio mediale. Note edematose dei corpi di Hoffa in sotto-patellare”. Qualche giorno dopo, un’ulteriore risonanza magnetica della colonna refertava: “il disco intersomatico L2/L3 presenta una erniazione posteriore mediana lateralizzata destra contenuta che impronta il sacco durale: erniazione paramediana destra contenuta nel disco intersomatico L3/L4, con impronta sul sacco durale. Il disco intersomatico L4/L5 e il disco intersomatico L5/S1 protrudono in sede mediana”. Il danneggiato riprendeva il lavoro dopo oltre un anno dal sinistro. A distanza di oltre 19 mesi dall’incidente, un referto neurologico riportava “quadro di depressione inibita”, mentre a due anni dall’evento lesivo, il Centro psichiatrico presso cui si era rivolto formulava una diagnosi di “sindrome ansioso-depressiva con somatizzazioni”. A distanza di oltre tre anni dall’incidente, il medico competente aziendale lo dichiarava “inidoneo in modo permanente al lavoro”: nello specifico la vita

Fase stragiudiziale e giudiziale Sulla base di una consulenza medico-legale in cui veniva individuato il danno biologico permanente (comprensivo della componente traumatologica e di quella, di maggiore entità, psichiatrica) con indicazione della diminuzione di capacità lavorativa specifica, il legale della parte attrice formulava una richiesta risarcitoria alla compagnia d’assicurazioni del proprietario del veicolo che aveva causato il sinistro, comprensiva di ogni danno subito (per quanto attiene alla valutazione medico-legale si precisa che le percentuali indicate nei maggiori barème di riferimento rappresentano valori orientativi medi; in ambito di responsabilità civile, infatti la norma contempla delle tabelle di legge solo per l’ambito RCA, micropermanente, L. n° 27/2001; per completezza la stima del danno biologico in persona con stato anteriore contrassegnato da preesistenze deve considerare se la menomazione è coesistente o concorrente; nel caso di coesistenze non si procederà a una somma aritmetica; nel caso di preesistenze concorrenti le percentuali del danno biologico devono essere modificate a seconda delle interazioni). Corrisposta inizialmente una somma contenuta, a copertura delle spese mediche e di cura, la compagnia assicurativa, a seguito di un considerevole carteggio intercorso, inviava poi una somma a titolo di tacitazione di ogni richiesta.

familiare e sociale subiva radicali cambiamenti e i pensieri ricorrenti erano incentrati sull’incidente e sulle sue conseguenze, nonostante il bambino coinvolto si fosse nel frattempo ripreso senza gravi conseguenze.

Ritenute comunque del tutto insufficienti le somme corrisposte rispetto ai danni non patrimoniali realmente subiti, gli avvocati convincevano la compagnia a corrispondere comunque le medesime somme senza alcuna


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rinuncia (tale importo veniva dunque incassato a titolo dichiarato di semplice acconto sul maggior dovuto). Vista l’impossibilità di addivenire a un’ipotesi transattiva concordata tra le parti, gli avvocati del danneggiato depositavano un ricorso per accertamento tecnico preventivo, ex art. 696 bis c.p.c., ove già formulavano i quesiti peritali che il giudice avrebbe potuto richiedere ai propri consulenti tecnici d’ufficio, insistendo perché venisse nominato sia lo specialista in medicina legale esperto di traumatologia, sia lo specialista in psichiatria (dovendo il ricorso essere incentrato sulle patologie psichiatriche maturate e sui radicali cambiamenti di vita del soggetto danneggiato). Il giudice accoglieva tout court i quesiti già formulati dalla difesa del danneggiato e nominava come consulenti tecnici di sua fiducia uno psichiatra e un medico legale; i CC TT ben analizzavano le conseguenze riportate dal danneggiato a titolo di danno biologico a seguito dell’incidente, con particolare risalto al profilo psichiatrico. In particolare veniva rilevato in sede di CTU come il soggetto soffrisse di un disturbo depressivo maggiore grave sia con manifestazioni psicotiche sia con la presenza di un delirio mistico, rilevato in precedenza dalla psichiatra del Cps (Centro psico sociale) presso cui era già in cura. Sintomatologia psichica manifestata dal paziente Lo psichiatra sottolineava come gli aspetti depressivi misti a delirio prevalentemente a sfondo mistico fossero effetti dissociativi prodotti da gravi traumi psichici, quali trau-

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mi violenti da tortura e da guerra e ne faceva quindi risalire l’eziopatogenesi all’intenso stress prodotto dal sinistro. In particolare, si rilevava la presenza di una grave regressione narcisistica con il blocco delle tre funzioni dell’Io secondo Fenichel e Crocq, riconducibili all’incidente stradale in atto (filtrazione, amore e presenza; in particolare si evidenziava come il blocco della funzione di filtrazione si potesse riscontrare nella sua difficoltà a identificare altri stimoli oltre a quelli provenienti dall’accaduto; il blocco della funzione di amore veniva riscontrato nella sua difficoltà di relazioni affettive, nel fatto di sentirsi incapace di qualsiasi relazione amorosa, con importante calo della libido che non trovava la sola causa nei ben noti effetti collaterali dei farmaci che stava assumendo; mentre il blocco della funzione di presenza veniva evidenziato dalle sue difficoltà di relazione sociale, mai minimamente soddisfacenti, in netta opposizione con la conduzione della sua vita nel periodo antecedente il sinistro). Il quadro clinico psicopatologico manifestato dal periziando era caratterizzato da un andamento cronico con umore deflesso, intenso stato d’ansia, apatia e abulia, disturbi del sonno e marcato calo della libido. In particolare emergevano ripetutamente durante i colloqui, intensi sentimenti autosvalutativi con vissuti di colpa per i traumi riportati dal figlio e per la riduzione delle sue capacità lavorative a causa delle disfunzionalità residuate dall’incidente. I sentimenti autosvalutativi, di pessimismo e di mancanza di progettualità apparivano conseguenti alla presa di coscienza dell’im-

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CASO CLINICO / Esiti di politrauma da incidente stradale

possibilità nel poter riprendere le proprie capacità di funzionamento lavorativo come prima dell’evento traumatico, evidenziando i vissuti di lutto da perdita dell’immagine di sé sia come lavoratore sia come capofamiglia. In sostanza, l’intensa sofferenza psicologica manifestatasi a seguito della noxa traumatica ha evocato intense reazioni emotive che hanno progressivamente interferito in modo significativo e invalidante con il precedente normale funzionamento psichico, affettivo, sociale e lavorativo del periziando. Il paziente ha eseguito trattamenti psicofarmacologici con antidepressivi (Venlafaxina a pieno dosaggio) e ansiolitica con scarso beneficio sull’aspetto depressivo. La sintomatologia psichica manifestata dal soggetto non era descrivibile in un quadro di un epifenomeno di normale reattività all’evento psicolesivo ma era suggestiva dell’insorgenza postraumatica di un disturbo psicopatologico vero e proprio di natura psicotica e depressiva, per la sua gravità di grande importanza ai fini della valutazione medico-legale complessiva.

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Valutazione del danno biologico In sintesi, alla luce dell’esposizione e della valutazione dei dati di acquisizione clinica e anamnestica, il danneggiato riportava – quali conseguenze eziologicamente derivanti dall’incidente - esiti di politrauma ad

tica ed ernia mediana paramediana destra L3-L4, contenuta sul sacco durale. Dal punto di vista psichiatrico si è riscontrato un “disturbo depressivo maggiore con sintomi psicotici in comorbilità con disturbo d’ansia”. Il quadro clinico, gli esiti politraumatici e i profili psichiatrici, conducevano il CTU a confermare un danno biologico globale del 35%, con diminuzione della capacità lavorativa specifica, in pari percentuale rispetto alla sua attività precedente (operatore socio sanitario). Depositata la relazione d’ufficio presso il tribunale ove era stato promosso l’ATP (accertamento tecnico preventivo) ex art. 696 bis c.p.c., veniva promossa l’azione di merito, il giudizio di cognizione in cui venivano chiamati il proprietario dell’autovettura che aveva causato l’incidente e la sua compagnia d’assicurazioni, ancora indisponibile a transigere sulla base delle risultanze della consulenza d’ufficio. Nell’atto di citazione venivano analiticamente individuati i danni non patrimoniali derivanti dall’incidente, ovvero il danno biologico – anche per quanto emerso in sede di ATP – e i danni morali ed esistenziali, con specifico riguardo ai mutamenti di vita del soggetto rispetto allo status quo ante, alle alterazioni della vita sociale e relazionale, posto che la giurisprudenza ha più volte chiarito come non vi possano essere automatismi nella liquidazione del danno.

alta energia, con frattura postero-superiore dell’acetabolo sinistro, frattura della testa del femore sinistro, frattura meta-epifisaria intra-articolare del radio sinistro, contusioni toraciche, lombo-sciatalgia post-trauma-

Onus probandi incumbit ei qui dicit, non ei qui negat, e quindi, la descrizione dei cambiamenti di vita, il raffronto tra situazione attuale e precedente, nelle relazioni sociali e amicali, nelle abitudini di vita e nelle dinami-


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che relazionali, anche familiari, deve essere quanto più possibile dettagliato e specifico, supportato dalla documentazione prodotta agli atti ovvero, in subordine, dalle prove testimoniali con specifici e mirati capitoli di prova indicanti i fatti da dimostrare. Quod non est in actis non est in mundo, e infatti, il giudice fonda il proprio giudizio sulle prove che abbiano trovato rituale ingresso nel processo. Conclusioni La recente sentenza della Suprema Corte del settembre 2017 ribadisce ancora una volta: “Con riguardo alla liquidazione del danno non patrimoniale, ai fini della c. d. ‘personalizzazione’ del danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i meccanismi tabellari cui la sentenza abbia fatto riferimento (e che devono ritenersi destinati alla riparazione delle conseguenze ‘ordinarie’ inerenti ai pregiudizi che ‘qualunque’ vittima di lesioni analoghe ‘normalmente’ subirebbe), spetta al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, le ‘specifiche’ circostanze di fatto, ‘peculiari’ al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze ‘ordinarie’ già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata del danno non patrimoniale assicurata dalle previsioni tabellari; da queste ultime distinguendosi siccome legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale nella specie considerata, caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore o all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi

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aspetti funzionali, di per sé tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento (in un’ottica che, ovviamente, superi la dimensione ‘economicistica’ dello scambio di prestazioni), meritevoli di tradursi in una differente (più ricca e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità”4. Per consentire al giudice di poter effettuare una personalizzazione del danno rispetto alle tabelle milanesi, deve essergli fornito un apporto probatorio idoneo a dimostrare conseguenze ulteriori rispetto a quelle normalmente consequenziali, secondo l’id quod plerumque accidit, conseguenze ordinarie che invece sono già comprese nei valori tabellari, in quanto comuni e già prevedibili ex ante. Nel caso sottoposto a disamina, la compagnia assicurativa si è poi resa disponibile a transigere integralmente la vertenza all’inizio del procedimento di cognizione, poco dopo l’avvio della causa e a seguito della trattativa intercorsa è stata infine conciliata con un riconoscimento totale – rispetto alle Tabelle dell’Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano – del danno biologico e delle inabilità temporanee, con un risarcimento dell’ulteriore danno morale ed esistenziale, tramite il conteggio massimo in aumento della personalizzazione dei danni, oltre al risarcimento derivante dalla diminuzione della capacità lavorativa specifica, per somme totali versate a favore del danneggiato pari a otto volte quelle offerte a tacitazione definitiva, prima dell’effettuazione dell’ATP. 4 Cass. Civ., 21 settembre 2017, N. 21939.

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Lesioni traumatiche da incidente stradale Analisi delle dinamiche del sinistro stradale, dei suoi effetti sul corpo umano e valutazione economico-sociale

Andrea Costanzo Specialista e docente di Ortopedia e Traumatologia dell’Università Roma Sapienza Presidente Socitras (Società Italiana di Traumatologia della Strada)

L’attenzione verso la sicurezza stradale e l’impegno nella prevenzione degli incidenti e delle loro conseguenze sono notevolmente aumentati nel corso degli ultimi anni in Italia. Ne sono prova le numerose iniziative di studio, i programmi sperimentali, le campagne di sensibilizzazione che si moltiplicano ad opera di istituzioni, enti locali, amministrazioni provinciali, università. L’incidente stradale è un fenomeno complesso e le lesioni che ne derivano sono provocate da dinamiche molto più complicate di quelle coinvolte nella genesi di lesioni da arma da fuoco o arma bianca. Le immagini dei crash test evidenziano a quale complesso gioco di forze siano sottoposti i corpi degli occupanti e come queste varino a seconda che essi siano cinturati o meno, a seconda del tipo di airbag, a seconda della struttura del veicolo e dei componenti l’abita-

colo. E lo stesso può dirsi per l’investimento di un pedone o per l’incidente con motociclo. Esistono infatti lesioni “tipiche” ma esistono anche fenomeni quasi inspiegabili, ben noti a chi si occupa di soccorso, quali ad esempio la morte sul colpo di un occupante e lesioni minori dell’altro. Analisi della dinamica del sinistro stradale La corretta analisi di un incidente stradale, per avere una visione chiara della sua dinamica e quindi dei suoi effetti sul corpo umano, richiede la valutazione del legame tra l’energia cinetica, posseduta dal mezzo prima dell’urto, e la massa e la velocità del veicolo stesso. Senza entrare nel merito dei dettagli, per i quali si rimanda alla documentazione scientifica disponibile, ricordiamo che l’energia

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cinetica di un corpo in movimento è pari al semiprodotto della massa per il quadrato della velocità posseduta dal corpo stesso: E = ½ m V2 Nell’urto, venendosi a determinare una variazione della suddetta energia cinetica, occorrerà valutare le aliquote di essa che verranno trasformate in lavoro; e nel valutare le aliquote del valore da addebitare sia al mezzo che all’uomo, occorrerà tener presente le caratteristiche meccaniche di ognuno. Occorrerà quindi valutare: ºº l’energia che si dissipa per trasformazione in lavoro dovuto a resistenze passive come frenata, variazione di traiettoria ecc.; ºº l’energia trasformata in lavoro elastico e successivamente plastico per deformazione del mezzo meccanico; ºº l’energia residua trasferita all’uomo, il quale sia pure in minima parte, con la deformazione e la rottura dei suoi distretti organici assorbe un’aliquota dell’energia stessa. La dinamica dell’impatto di un veicolo contro altri veicoli od ostacoli si può quindi riassumere nelle condizioni di alterazione di quiete o di moto che il veicolo possedeva prima dell’urto con la conseguenza di creare accelerazioni e quindi forze in relazione alle caratteristiche fisiche del mezzo, delle traiettorie e delle velocità iniziali. Gli occupanti del veicolo, che rappresentano un secondo sistema in esso contenuto e che risentono a loro volta delle accelerazioni alle quali viene sottoposto il veicolo stesso, reagiscono in relazione alle loro masse e ai vincoli di ritenuta con il mezzo, determinando altre

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condizioni di perturbazione al loro stato di quiete o di moto preesistente. Per esempio, in una simulazione effettuata a 55 miglia all’ora che corrispondono a 80 Km all’ora in un impatto contro un altro autoveicolo, sulla prima autovettura si arriva a una accelerazione di 19 G. A seguito dell’impatto l’energia cinetica si trasforma in lavoro di deformazione del mezzo meccanico e il corpo trattenuto a livello del torace, dalle cinture e dal sedile subisce un’accelerazione di 24 G, mentre la testa e il rachide cervicale in relazione alle loro caratteristiche di grande mobilità che permettono loro di assumere spostamenti rapidi e di notevole ampiezza per i movimenti di flesso-estensione, di inclinazione laterale e di rotazione subiscono una forza di 58 G (3). Inoltre due vetture della stessa massa e della stessa cilindrata, a seguito dell’impatto frontale contro barriera rigida a 64 Km/h possono subire una deformazione diversa l’una dall’altra a seconda della resistenza della loro struttura. Una vettura si può mostrare deformata nella parte anteriore e non nell’abitacolo, un’altra vettura invece può presentare gravi deformazioni dell’abitacolo (rottura del parabrezza, deformazione del montante superiore, intrusione della ruota, incastramento dello sportello) che produrranno senz’altro lesioni traumatiche a carico di vari organi e apparati degli occupanti. Traumatologia della strada: lesioni e complicazioni L’impatto innesca, quindi, un susseguirsi di fasi che cominciano con l’urto della vettura contro l’ostacolo (fisso o mobile che sia) prosegue con l’impatto del corpo contro le


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strutture dell’abitacolo e con il conseguente rebound (contraccolpo) e infine con l’impatto degli organi endocavitari contro l’involucro che li contiene (cervello, organi endotoracici ed endoaddominali). Il cervello che pesa normalmente 1,5 Kg circa, in seguito a impatto a 10 Km/h sarà soggetto a una forza di 15 Kg, se l’impatto si verificasse a 50 Km/h agirà su di esso una forza di 65 Kg, infine a 108 Km/h subirebbe una forza di 162 Kg. Durante la proiezione del corpo in avanti si verificheranno importanti lesioni al capo da impatto diretto contro il parabrezza con o senza sfondamento di quest’ultimo; e anche lesioni al torace, che nel caso del guidatore avvengono per schiacciamento contro il volante con compressione della gabbia toracica e conseguenti fratture costali. Nel caso specifico, è logico pensare a ulteriori complicazioni polmonari (pneumotorace) e degli organi mediastinici (emopericardio, chilotorace, ecc.). Le lesioni alle spalle e agli arti superiori sono dovute all’eccessivo sforzo cui il guidatore si sottopone nel tenersi al volante, oppure all’istintiva proiezione in avanti delle braccia che hanno gli altri passeggeri nel tentativo di proteggersi. Anche l’addome, per proiezioni in avanti, viene a urtare contro il volante o il cruscotto, nel caso del conducente, o contro lo schienale dei sedili anteriori, nel caso dei passeggeri dei sedili posteriori. Inoltre l’addome può subire lesioni della parete o degli organi interni in seguito a un eccesso di azione compressiva esercitata dal tratto orizzontale della cintura di sicurezza in caso di incongrua postura del soggetto cinturato e/o malposizionamento

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della cintura. In questi casi infatti il bacino può scivolare in avanti (effetto submarine). La lussazione traumatica dell’anca avviene invece a causa di un impatto di notevole violenza che si verifica in senso disto-prossimale lungo l’arto inferiore. È il classico meccanismo degli incidenti automobilistici frontali nei quali il conducente del veicolo, premendo istintivamente sul pedale del freno, contrae l’arto e lo irrigidisce impedendo lo smorzamento dell’urto nel gioco articolare. L’urto si trasmetterà quindi lungo tutto l’arto nel caso in cui questo sia contratto in estensione nel tentativo di frenare; mentre, quando ci sia un violento contatto del ginocchio, atteggiato in flessione a 90° contro il cruscotto, la forza cinetica si trasmetterà solamente dalla diafisi femorale determinando la perdita e i rapporti tra testa e cotile; perdita che viene facilitata dal fatto che il bordo anteriore e quello posteriore sono meno sviluppati del superiore o tetto. È facile riscontrare in questi casi una lussazione complicata da un frammento del bordo acetabolare. Molto spesso le lussazioni e le fratture di femore e le lesioni al ginocchio sono dovute alla forza che si esercita nel fissare il corpo, sia nel caso di un avanzamento del pavimento da retropulsione del motore, in autoveicoli a trazione anteriore, sia nel caso di propulsione in avanti del sedile a causa dell’impatto. Le fratture del piatto tibiale si verificano generalmente per trauma indiretto, cioè una compressione esercitata dal condilo femorale sull’emipiatto corrispondente, come nelle cadute dalla motocicletta; oppure sollecitazioni valgizzanti o varizzanti applicate rispettivamente alla faccia laterale o interna del gi-

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nocchio, come nel caso del pedone colpito da paraurti d’auto. Per quanto riguarda le lesioni pelviche, il loro meccanismo di produzione è dato per esempio, da un urto frontale tra un motociclo e un ostacolo; in questo caso il conducente o il passeggero può essere proiettato in avanti a gambe divaricate producendo nella successiva ricaduta un impatto sulle tuberosità ischiatiche, impatto che genera forze tangenziali agenti sulle articolazioni sacro-iliache. Se invece il conducente urta l’ostacolo frontalmente a gambe divaricate si produce per una compressione antero-posteriore la diastasi della sinfisi pubica. Nel pedone, tale tipo di lesione dipenderà soprattutto dalla direzione dell’impatto con trauma diretto. Un’altra modalità è data dall’arrotamento. Bisogna ricordare in questi casi le complicazioni derivanti dalle lesioni degli organi pelvici (vescica, uretra membranosa, ecc.). Le gravi fratture della colonna dorsale sono per lo più causate da ribaltamenti di autovetture, oppure dalla proiezione di motociclisti sul guard rail; in ogni caso, per provocare tali gravi fratture, il trauma dovrà essere di particolare violenza e verrà complicato da lesioni mieliche per compressione o sezione del midollo spinale. Per quanto riguarda la frattura di rotula, dobbiamo ribadire l’importanza del trauma da cruscotto così come per la rottura isolata del

caso contrario, le lesioni possono diffondersi lateralmente dando luogo a rotture associate, in particolare triadi postero-esterne. Altro meccanismo di lesione del legamento crociato posteriore avviene per caduta dalla moto a ginocchio flesso con impatto al suolo della tibia.

legamento crociato posteriore. Affinché tale rottura sia isolata, l’energia del trauma deve ridursi dopo la rottura del crociato e il ginocchio non deve essere né in rotazione interna né in rotazione esterna. In

lo dei costi e nel caso degli incidenti stradali il costo per la collettività e quello operativo di assistenza sanitaria che è ingente, come risulta intuitivo e come è dimostrato da numerosi studi.

Conclusioni Un aspetto oggi di attualità è quello del costo economico e sociale che rappresenta da molti anni uno dei problemi più delicati della statistica economica. La valutazione economica degli incidenti stradali pone nel nostro Paese seri problemi legati alla mancanza d’informazione sul fenomeno; infatti non vi sono nelle statistiche ufficiali rilevazioni di dati economici ad esso relativi. Gli unici dati presenti sono di carattere epidemiologico; tra questi hanno caratteristiche di completezza e affidabilità solo quelle relative al numero dei morti, mentre quelli riguardanti i feriti, a parte i problemi di affidabilità, non riportano né una distribuzione dei casi per scala di gravità, né un’indicazione dell’esito di questi eventi in termini di disabilità acquisita e nemmeno quindi una misura del grado di disabilità stessa. Tuttavia, per una razionale allocazione delle risorse pubbliche e per un efficiente impiego delle stesse nell’azione di prevenzione e cura, è necessario almeno conoscere il livel-


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Liquidazione del danno terminale: la proposta milanese Una seria e approfondita indagine è stata effettuata dall’Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano

Avv. Maria Rosa Galletti Studio Legale Rinaldi e Associati, Milano

In ragione della peculiarità della categoria del danno terminale nel variegato sistema della responsabilità civile, l’Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano – operante da molti anni presso gli uffici giudiziari milanesi, composto da medici legali, professori universitari, avvocati e magistrati, ha ritenuto opportuno effettuare un’indagine approfondita al riguardo elaborando una compiuta e interessante proposta, sia dal punto di vista definitorio sia liquidatorio. L’Osservatorio ha ben compreso come il “trattamento” del danno terminale determini rilevanti implicazioni dal punto di vista della “giustizia sostanziale” e necessiti di una regolamentazione unitaria che possa essere uniformemente applicata su tutto il territorio nazionale; dopo una ricognizione dello “stato dell’arte” a livello giurisprudenziale, ha inoltre ritenuto che fosse venuto il momento di elaborare una definizione omnicomprensiva di detto danno e di proporre un criterio

tabellare di liquidazione dello stesso che fosse in grado di renderne la quantificazione omogenea, non irrisoria e differente dall’ormai ripudiato danno tanatologico1, ad opera delle Corti di merito. Danno terminale: definizioni e criteri di liquidazione La nozione di danno terminale (nella sua duplice accezione di danno biologico terminale e di danno morale terminale/catastrofale) nasce dall’esigenza, avvertita dalla giurisprudenza di legittimità, di ricercare2 – a fronte dell’o1 A tal proposito, si vedano i lavori presentati dall’Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano al convegno del 3 febbraio 2017 “Tabelle milanesi di liquidazione del danno alla persona: nuove proposte?” (http://milanosservatorio.it/gruppo-danno-non-patrimoniale-alla-persona); in particolare, si veda il contributo di Hazan “Come si liquida il danno terminale? La proposta di Milano”. 2 Colasanti, “Danni da morte e risarcimento. Permane il rischio duplicazioni”, in Dir. giust., 2004, 21, 73. Cass., Sez. Un. 11 novembre 2008 n. 26972 in Giust. civ. Mass. 2008, 11, 1607, Giust. civ. 2009, 4-5, 913 con nota di Rossetti, As-

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rientamento, ribadito da ultimo dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 15350 del 22 luglio 2015), negazionista circa il ristoro del danno da morte3 − nuovi strumenti mediante i quali riconoscere una forma di risarcimento direttamente al danneggiato che dall’illecito abbia subito una lesione tale da condurlo alla morte, qualora quest’ultima non abbia avuto luogo istantaneamente. Così operando, si è giunti al riconoscimento del danno terminale, suddiviso poi in danno biologico terminale e in danno morale terminale (o danno da lucida agonia o anche catastrofale). Il danno biologico terminale è stato definito4 come il danno biologico che, tra il sinistro e la morte, produce la lesione del diritto alla salute (e il conseguente danno alla persona che da essa deriva), entrando a far parte del patrimonio della vittima nello stesso momento in cui si produce la lesione e riferito, nel caso di lesione, all’intero periodo compreso tra la data del sinistro e il decesso5. Tale danno ha natura temporanea, non sfociando nella produzione di alcun postumo permanente (il quale, per converso, dal punto di vista medico-legale,

sicurazioni 2008, 4, 441 con nota di Gussoni, Riv. dir. comm. 2009, 4-5-6, 43 con nota di Scotti, Resp. civ. prev. 2009, 1, 38 con nota di Monateri. 3 Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 22 luglio 2015 hanno ribadito che il danno da morte istantanea (o intervenuta entro breve tempo dalle lesioni) non lede il bene giuridico della salute, ma il diverso bene della vita; che, in quanto esclusivamente fruibile in natura da parte del titolare, la perdita del bene della vita è insuscettibile di reintegrazione per equivalente (Cass. Sez. Un. 22 luglio 2015 n. 15350). 4 Cass., Sez. III, 10 febbraio 1999, n. 1131, in Giust. civ. Mass., 1999, 310. 5 Cass., Sez. III, 27 dicembre 1994, n. 11169, in Giust. civ., 1995, I, 3081; Cass., Sez. III 8 luglio 2014 n. 15491 in Giustizia Civile Massimario 2014, rv 631749, con nota di Giusti, “La giurisprudenza sul danno biologico e morale terminale: natura e liquidazione” in Resp. civ. prev 2015, 3, 889.

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presuppone che la malattia sia cessata e che l’organismo abbia riacquistato un equilibrio stabile6), bensì esitando nella morte7 che lo rende massimo nella propria entità e intensità. Dal punto di vista temporale, poi, la giurisprudenza ha sempre richiesto, ai fini dell’accoglimento della richiesta di risarcimento per danno biologico terminale, che tra lesione e decesso intercorra un “apprezzabile lasso di tempo”8, in quanto solo in tale periodo il danneggiato subisce un’effettiva lesione alla salute e il diritto al relativo ristoro entra nella propria sfera giuridica. Ciò premesso, quando un lasso di tempo possa dirsi apprezzabile è questione lasciata alla valutazione dei giudici di merito, che sinora non hanno adottato una soluzione univoca9. Nel tentativo di introdurre un criterio uniforme tra le suddette valutazioni, la Suprema Corte10 ha chiesto alle Corti di merito di considerare il cosiddetto spatium 6 Cass., Sez. III, 16 maggio 2003, n. 7632 in Giust. civ. Mass. 2003, 5, Resp. civ. prev. 2003, 1049 con nota di Facci, Assicurazioni 2003, II, 94 con nota di Rossetti, Danno e resp. 2003, 1081 con nota di Caputi, Foro it. 2003, I, 2681, Guida al diritto 2010, 27, 89 “Il consolidarsi di postumi permanenti può quindi mancare in due casi: o quando, cessata la malattia, questa risulti guarita senza reliquati; ovvero quando la malattia si risolva con esito letale. […] Ne consegue che quando la morte è causata dalle lesioni, dopo un apprezzabile lasso di tempo, il danneggiato acquisisce (e quindi trasferisce agli eredi) soltanto il diritto al risarcimento del danno biologico da inabilità temporanea e per il tempo di permanenza in vita”. 7 Cass., Sez. III, 23 febbraio 2004, n. 3549, in Danno resp., 2004, 1199; e in Dir. giust., 2004, 21, 31, con nota di Rossetti, “Danno biologico, ecco il decalogo anche sul trasferimento ereditario”. 8 Così, Cass. Sez. III, 10 febbraio 1999, n. 1131 cit. 9 In taluni casi, il decorso di alcune ore tra il sinistro e la morte non è stato ritenuto idoneo a integrare la fattispecie risarcitoria (Trib. Nocera Inferiore, Sez. II, 19 dicembre 2012, n. 1065, in www.dejure. it); in talaltri, neppure tre giorni tra l’evento e il decesso sono stati ritenuti sufficienti (Cass., Sez. III, 26 settembre 1997, n. 9470, in Giust. civ. Mass., 1999, 115, Giur. it., 1998, 1589). 10 Cass., Sez. III, 2 aprile 2001, n. 4783, in Giust. civ., 2001, I, 1788, Resp. civ. prev , 2001, 555, con nota di Ziviz, “Attesa consapevole della morte e danno psichico”; Cass., Sez. III 23 febbraio 2004, n. 3549, cit.


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vivendi non da un punto di vista meramente temporale − e quindi, di fatto, a prescindere entro certi limiti dalla durata dello stesso − ma da un punto di vista sostanziale, valutando l’esistenza e la consistenza del danno e procedendo al riconoscimento del danno biologico terminale nel caso in cui tale valutazione risulti positiva. Chiarita la struttura del danno biologico terminale, la giurisprudenza si è preoccupata di individuarne i criteri di liquidazione. Ponendo a base del ragionamento la premessa secondo la quale la lesione prodotta, sfociata poi nell’evento infausto assuma una gravità di livello massimo, è stato osservato che l’aggravamento progressivo del danneggiato, che porta alla sua morte, impone di utilizzare in sede di liquidazione fattori di personalizzazione assai elevati, non potendo il danno biologico terminale “essere liquidato attraverso la meccanica applicazione di criteri contenuti in tabelle che nella generalità dei casi sono predisposte per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità temporanee o permanenti di soggetti che sopravvivono all’evento dannoso”11. Si potrà quindi fare alternativo ricorso al criterio equitativo puro ovvero all’applicazione tabellare purché adeguatamente personalizzata dal giudice12. Da ultimo, poiché il danno biologico terminale presuppone una lesione all’integrità fisica (tutelata dall’art. 32 Cost.) è stato osservato come lo stesso sorga a prescindere dallo stato di coscienza o meno della vittima13, essendo 11 Così, Cass., Sez. III, 30 gennaio 2006, n. 1877, in Giust. civ. Mass., 2006, 1. 12 Cass., Sez. III, 16 maggio 2003, n. 7632, cit. 13 Cass., Sez. III, 28 agosto 2007, n. 18163, in Giust. civ., 2008, I, 689.

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sufficiente l’obiettiva insorgenza della lesione e non già la conoscenza soggettiva che della stessa, la vittima può o meno aver avuto14. Il danno morale terminale può essere invece definito come il danno non patrimoniale che deriva direttamente dalla sofferenza patita dalla persona che, in ragione delle lesioni sofferte assiste nel periodo di tempo compreso tra l’evento che ha provocato le lesioni e la morte derivante delle stesse, alla perdita della propria vita15. Presupposto indefettibile per il risarcimento del danno in parola, secondo la Corte di Cassazione, è la consapevolezza in capo alla vittima dell’imminenza della morte16. È stato infatti affermato che “la paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali, è un danno non patrimoniale risarcibile solo se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente, sicché, in difetto di tale consapevolezza, non è nemmeno concepibile l’esistenza di tale danno, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni. In mancanza di consapevolezza di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali, non sussiste danno da lucida agonia, anche quando 14 Cass., Sez. III 1° dicembre 2003, n. 18305, in Danno resp., 2004, 143; Cass., Sez. III, 19 ottobre 2007, n. 21976, in Giust. civ. Mass., 2007, 10, Riv. it. med. leg., 2008, 1198; Cass., Sez. III, 19 ottobre 2016, n. 21060 in Diritto & Giustizia 2016 con nota di Savoia “il danno biologico terminale […] si è ravvisato sempre esistente, per effetto della ‘percezione’ anche ‘non cosciente’, della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della sua vita”. 15 Cass., Sez. III, 21 marzo 2013, n. 7126 in Giust. civ. Mass. 2013, Arch. giur. circ. e sinistri 2013, 6, 603, Diritto e Giustizia online 2013 con nota di Villa; Cass., Sez. III, 13 dicembre 2012, n. 22896, in Resp. civ. prev., 2013, 643. 16 Cass., Sez. III, 24 marzo 2011, n. 6754 in Foro it. 2011, 4, 1035.

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MONOGRAFIA / Liquidazione del danno terminale

la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni”17. A ciò conseguono rilevanti implicazioni dal punto di vista probatorio, giacché chi invoca il risarcimento del danno morale terminale dovrà, attraverso la produzione in giudizio della relativa cartella clinica, dimostrare la durata della sopravvivenza della vittima e, eventualmente mediante l’espletamento di idonea CTU, provare che il soggetto leso sia stato cosciente dell’imminente perdita della vita nell’intervallo di tempo intercorrente tra l’evento lesivo e la morte18. Al riguardo, deve osservarsi come nella pratica siano frequenti i casi di soggetti che, dopo aver riportato lesioni gravissime, abbiano versato prima del decesso in uno stato di coma o in uno stato vegetativo permanente19 o ancora nella cosiddetta locked-in syndrome20. La presenza o meno con la relativa prova di una di queste fattispecie la cui rilevazione impegnerà l’ausilio delle conoscenze della scienza medica, potrà essere dirimente nel riconoscimento o nell’esclusione della “consapevolezza” in capo alla vittima, con tutte le conseguenze delineate dalla giurisprudenza in tema di riconoscimento del dan17 Cass., Sez. III, 13 giugno 2014, n. 13537 in Foro it. 2014, 9, 2470 con nota di Pardolesi, Riv. it. med. leg. 2015, 1, 283 con nota di Bonaccorsi. 18 Cendon, “Trattato breve dei nuovi danni”, I, 2014, 761.

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no. Per quanto attiene alla quantificazione del danno morale terminale, la stessa, stante l’entità del pregiudizio, secondo l’orientamento della Suprema Corte,non potrà che condursi secondo un criterio equitativo puro21. Tale operazione, data la natura e gravità della fattispecie, non dovrà però mai dare come risultato la liquidazione di una somma irrisoria e per nulla correlata al danno stesso22. In sede di giudizio equitativo, il giudice dovrà quindi considerare fattori come l’età della vittima, la gravità delle lesioni e delle cure effettuate, nonché le sofferenze patite durante il periodo di eventuale stato di ricovero23. Si tenga presente inoltre (ciò, come vedremo, non viene condiviso dall’Osservatorio di Milano) che la giurisprudenza tende ad ammettere, qualora ne ricorrano i presupposti, il contemporaneo riconoscimento − in relazione al medesimo intervallo di tempo intercorrente tra la lesione e la morte della vittima − del danno biologico terminale e del danno morale terminale operando così una sorta di cumulo risarcitorio24. Danno terminale: la proposta di Milano Preliminarmente, l’Osservatorio milanese rileva che (*) dal punto di vista definitorio, la figura del danno terminale conosce grande incertezza venendo talvolta inquadrato come

19 Defanti, “Soglie Medicina e fine della vita”, 2007, 177. “I pazienti in SVP (Stato vegetativo permanente) sono permanentemente privi di coscienza. […] Nel coma manca la vigilanza, a causa della depressione funzionale del tronco encefalico, mentre questa è conservata nello SVP. La consapevolezza, invece, manca in entrambe le patologie”.

21 Cass., Sez. III, 31 ottobre 2014, n. 23183 in Giustizia Civile Massimario 2014, rv 633238.

20 Defanti, Op. cit., 176 “I soggetti colpiti, pur essendo vigili e coscienti e perlopiù in grado di respirare autonomamente, non possono muovere gli arti, né parlare, masticare, deglutire; […] L’osservatore attento riconosce, invece, che il paziente è in grado di muovere volontariamente gli occhi e, concordando con lui un codice basato sul movimento delle palpebre e quello oculare verso l’alto o il basso, può stabilire una comunicazione e rendersi conto della sua integrità intellettiva”.

23 Cass., Sez. III, 13 dicembre 2012, n. 22896, cit.

22 Cass., Sez. III, 16 maggio 2003, n. 7632, in Foro it., 2003, I, 2681; in Dir. giust., 2003, 23, 72, con nota di Rossetti, “Danno biologico e morte della vittima. La Cassazione prova a mettere ordine nella materia”. In tale sentenza veniva riconosciuto un danno morale terminale per una agonia di 10 giorni, pari a 30 milioni di lire. 24 Cass., Sez. III, 31 ottobre 2014, n. 23183 cit.; Cass., Sez. III, 16 novembre 2011 n. 24016 in Resp. civ. prev. 2012, 1557. Giusti, Op. cit., 889.


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danno biologico terminale o come danno catastrofale a matrice morale, senza che, secondo quanto osservato dalla Sezioni Unite del 22 luglio 2015, a tali categorizzazioni corrispondano autentiche differenze sostanziali;

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(**) nelle Corti di merito vi è una “assoluta anarchia liquidativa”25 che conduce a risarcimenti disomogenei, pur in presenza di fattispecie analoghe sul piano fattuale26. A fronte delle molteplici definizioni inerenti il danno

TRIBUNALE DI MILANO - LIQUIDAZIONE DEL DANNO TERMINALE - TABELLE 2016 Danno non patrimoniale TERMINALE, comprensivo della componente biologica temporanea: valori standard di liquidazione e percentuali massime di personalizzazione

Giorni

fino a 3

Giorni 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27

importo complessivo

fino a 30.000,00

1.000,00 1.991,00 2.972,00 3.944,00 4.906,00 5.859,00 6.803,00 7.737,00 8.662,00 9.577,00 10.483,00 11.380,00 12.267,00 13.145,00 14.013,00 14.872,00 15.722,00 16.562,00 17.393,00 18.214,00 19.026,00 19.829,00 20.622,00 21.406,00

aumento personalizzato (massimo sconvolgimento)

importi progressivi giornalieri

oltre 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51

22.180,00 22.945,00 23.701,00 24.447,00 25.184,00 25.911,00 26.629,00 27.338,00 28.037,00 28.727,00 29.407,00 30.078,00 30.740,00 31.392,00 32.035,00 32.668,00 33.292,00 33.907,00 34.512,00 35.108,00 35.694,00 36.271,00 36.839,00 37.397,00

52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75

37.946,00 38.485,00 39.015,00 39.536,00 40.047,00 40.549,00 41.041,00 41.524,00 41.998,00 42.462,00 42.917,00 43.362,00 43.798,00 44.225,00 44.642,00 45.050,00 45.448,00 45.837,00 46.217,00 46.587,00 46.948,00 47.299,00 47.641,00 47.974,00

76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100

48.297,00 48.611,00 48.915,00 49.210,00 49.496,00 49.772,00 50.039,00 50.296,00 50.544,00 50.783,00 51.012,00 51.232,00 51.442,00 51.643,00 51.835,00 52.017,00 52.190,00 52.353,00 52.507,00 52.652,00 52.787,00 52.913,00 53.029,00 53.136,00 53.234,00

max +50%

 Tab. 1: tabelle 2016 Tribunale di Milano

25 Hazan, Op. cit., 5. 26 Cfr. Trib. Milano, 1 agosto 2015; Trib. Milano, 9 giugno 2014; Trib. Nola, 31 gennaio 2011; Trib. Firenze, 23 febbraio 2015; C. App. Roma.

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MONOGRAFIA / Liquidazione del danno terminale

terminale nei confronti delle quali le Sezioni Unite si sono limitate a una mera ricognizione e della disparità di trattamento in sede di liquidazione, l’Osservatorio ha ritenuto di formulare una propria proposta definitoria-liquidatoria fondata sui principi di unitarietà e omnicomprensività mutuati dalle note pronunce di San Martino27. Nel tentativo, quindi, di evitare duplicazioni delle voci di danno e inaccettabili disparità di trattamento, l’Osservatorio propone una “definizione omnicomprensiva del danno terminale, tale da ricomprendere al suo interno ogni aspetto biologico e sofferenziale connesso alla percezione della morte imminente”, specificando che la stessa deve “intendersi comprensiva dei pregiudizi altrove definiti come danno biologico terminale, da lucida agonia o morale catastrofale” con esclusione quindi della “separata liquidazione del danno biologico temporaneo ‘ordinario’ da intendersi quindi assorbita”28. Dalla definizione così elaborata, l’Osservatorio ricava una serie di corollari a completamento della fisionomia del danno in commento: (*) il nomen “terminale” presuppone che il danno terminale sfoci nell’evento morte ed esclude, parimenti, che esso possa protrarsi per un periodo di tempo eccessivamente esteso. L’Osservatorio suggerisce l’individuazione di un numero massimo di giorni, convenzionalmente individuato in cento, oltre il quale il danno terminale non può configurarsi tornando ad essere risarcibile il solo danno biologico temporaneo ordinario; (**) stabilito il limite massimo, occorre indi-

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viduare la soglia minima. L’Osservatorio milanese, concordemente all’orientamento della Corte di Cassazione, ritiene che non possa parlarsi di danno terminale qualora la morte sia stata immediata o sia avvenuta a breve distanza dall’evento29. Tra le lesioni e il decesso deve intercorrere un lasso temporale apprezzabile, tale da consentire la prova di una sofferenza psicologica; (***) presupposto indefettibile per il riconoscimento del danno terminale è la “comprovata percezione della fine imminente”30, ossia la consapevolezza dell’approssimarsi della morte da parte della vittima (ritenuta insussistente qualora quest’ultima abbia versato in stato di incoscienza)31. Criteri di liquidazione Premesso quanto sopra, l’Osservatorio elabora un metodo tabellare teso a “valorizzare il danno nei cento giorni assunti quale parametro temporale di riferimento” muovendo dall’idea sostenuta dall’esperienza medico-legale, secondo la quale il danno terminale “tende a decrescere con il passare del tempo, dal momento che la massima sofferenza è usualmente percepita nel periodo immediatamente successivo all’evento lesivo per poi scemare nella fase successiva32”. Tale metodo tabellare assegna a ciascun giorno di sofferenza un valore economico progressivamente decrescente sino a coincidere, a partire dal centunesimo 29 Il riferimento corre a Cass. Sez. Un. 22 luglio 2015 n. 15350, cit. la quale considera le “questioni relative al risarcimento dei danni derivanti dalla morte che segua dopo un apprezzabile lasso di tempo alle lesioni”.

27 Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972-5, in Resp. civ. prev., 2009, 38, con note di Monateri, Navarretta, Poletti, Ziviz, Chindemi, Scognamiglio e Citarella.

30 Hazan, Op. cit., 14.

28 Hazan, Op. cit., 9.

32 Hazan, Op. cit., 21.

31 Cass., Sez. III, 13 giugno 2014, n. 13537, cit. Contra, Cass., Sez. III, 20 maggio 2015, n. 10246, cit.


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giorno e sino alla morte, con la valutazione del danno biologico temporaneo ordinario. Nell’eventualità in cui la percezione della fine intervenga nel danneggiato successivamente all’evento lesivo, soltanto dal quel momento potrà sorgere ed essere quantificato il danno terminale che si protrarrà fino alla morte e per un massimo di cento giorni. Più nel dettaglio, l’Osservatorio propone che, in relazione ai primi tre giorni successivi all’evento, il giudice possa liquidare il danno terminale secondo equità ma entro un tetto massimo di 30.000 euro (cosiddetto “pozzetto”) non ulteriormente personalizzabile. La previsione di un “pozzetto” è stata introdotta quale correttivo inteso a consentire un’adeguata valorizzazione di quelle situazioni di eccezionale gravità, caratterizzate dallo straordinario sconvolgimento emotivo derivante dall’evento dannoso (tali situazioni, normalmente, si verificano nell’immediatezza dell’evento o subito dopo la prima percezione del pericolo di vita)33. Il giudice, dopo aver attinto al “pozzetto” in misura variabile dipendente dalle circostanze di specie, applicherà per i giorni successivi un metodo scalare. A partire dal 4° giorno successivo all’evento lesivo, ovvero all’intervenuta percezione dell’imminente morte, il valore monetario pro die diminuirà sino a giungere, al 100° giorno, a un valore di 98 euro, minimamente aumentato rispetto a quanto previsto, per ogni giorno, dalle tabelle milanesi per il danno biologico temporaneo standard (i.e. 92 euro). A decorrere dal 4° giorno, l’Osservatorio ritiene comunque ammessa la possibilità di una personalizzazione del danno, in relazione 33 Così Hazan, Op. cit., 21.

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alle circostanze del caso concreto purché non si superi il limite del 50% del valore espresso dalla tabella di base34. Conclusioni L’Osservatorio milanese, ricorrendo a un approccio equitativo-convenzionale, aspira a dare certezza, oltre che dal punto di vista definitorio, anche e soprattutto dal punto di vista liquidatorio, nel tentativo di garantire coerenza tra le decisioni delle Corti territoriali, evitando da un lato di dar corso a liquidazioni irrisorie (o sostanzialmente coincidenti con il danno biologico standard) e dall’altro cercando di contenere il danno terminale entro un valore che non finisca per confondersi con il danno da morte immediata, attualmente negato dalla Suprema Corte. Da ultimo, dal punto di vista meramente applicativo, non può che darsi atto del fatto che sebbene la predisposizione di una tabella che contempli dei parametri liquidativi del danno terminale sia un’esigenza già avvertita in dottrina35, bisognerà attendere qualche tempo per verificare se la proposta dell’Osservatorio avrà, in ambito giurisprudenziale36, gli stessi echi delle tabelle milanesi relative alla liquidazione del danno biologico37, ad oggi adottate in larga parte dai tribunali nazionali.

34 Hazan, Op. cit., 24. 35 Giusti, Op. cit., 889. 36 L’Osservatorio (Hazan, Op. cit., 29 ss.) ha già rilevato una prima applicazione della proposta di liquidazione del danno terminale in commento ad opera del Tribunale di Pavia (sentenza del 26 gennaio 2017). 37 Quanto alla cosiddetta efficacia paranormativa delle tabelle milanesi, Cass., Sez. III, 7.6.2011, n. 12408 in Foro it. 2011, 9, 2274, Arch. circ. sinistri 2011, 9, 674, Resp. civ. prev. 2011, 10, 2018 con nota di Ziviz.

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traumatologia MONOGRAFIA


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MONOGRAFIA

Azione di “rivalsa” in ambito sanitario Disciplina normativa e ultime novità introdotte con la riforma Gelli-Bianco in ambito sociosanitario

Avv. Luca Nocco Dottore di Ricerca in diritto comparato della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa Professore associato abilitato in diritto privato Avvocato del Foro di Pisa

Il presupposto dell’azione di “rivalsa” è costituito dal fatto che un soggetto debba rispondere civilmente per l’operato di un altro, normalmente un proprio ausiliario o collaboratore. In virtù dell’art. 1228 del codice civile infatti: “salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro”; inoltre, ai sensi dell’art. 2049 del codice civile, “i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”. Azione di rivalsa in ambito sanitario Tali norme sono sempre state ritenute applicabili anche all’ambito sanitario; le aziende, in particolare, rispondono dell’o-

perato del proprio personale indipendentemente dalla tipologia contrattuale che lega quest’ultimo alle prime e anche in assenza di alcun rapporto contrattuale (si pensi ad esempio agli studenti neolaureati che spesso frequentano “spontaneamente” i reparti prima ancora di entrare nelle scuole di specializzazione). Da ultimo, la recente legge di riforma n. 24/2017 ha recepito il costante orientamento giurisprudenziale, stabilendo (art. 7 commi 1 e 2) che: “la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose. La disposi-

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MONOGRAFIA / Azione di rivalsa in ambito sanitario

zione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina”. Definizione di azione di rivalsa Per azione di “rivalsa” si intende, dunque, il meccanismo processuale in virtù del quale il soggetto che è stato condannato a risarcire un danno a un terzo chiede di essere ristorato dell’esborso subito domandando la restituzione della somma a colui il quale ha commesso il fatto illecito. Più precisamente si parla di azione di responsabilità amministrativa qualora il soggetto condannato a risarcire i danni sia un ente pubblico; in questo caso il processo si svolge dinanzi alla Corte dei Conti e la richiesta di risarcimento del danno erariale viene formulata formalmente dalla Procura regionale. Qualora invece il danno sia stato risarcito da un soggetto privato, l’azione di rivalsa si svolge dinanzi al giudice ordinario. Altra ipotesi ancora è l’azione di regresso, tipica dei casi in cui vi è un’obbligazione solidale, ossia un obbligo risarcitorio gravante su più coobbligati in cui il danneggiato può chiedere il risarcimento per l’intero a ciascuno dei coobbligati; quello di questi ultimi che avrà pagato potrà poi agire in regresso contro gli altri, chiedendo la restituzione di quanto abbia pagato in eccesso rispetto alla sua quota. Recita infatti l’art. 2055 del codice civile:

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“Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali”. Esiste infine un’ultima figura analoga concettualmente a quelle della rivalsa, del regresso e della responsabilità amministrativa, ossia il diritto di surrogazione dell’assicuratore. L’art. 1916 comma 1 del codice civile stabilisce che “l’assicuratore che ha pagato l’indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell’ammontare di essa, nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili”. Il che significa che, qualora ad esempio la struttura sanitaria sia stata condannata al pagamento di una somma a titolo risarcitorio e l’assicurazione debba tenerla indenne, la compagnia potrà chiedere la restituzione della somma pagata al soggetto responsabile (ad esempio il medico o l’infermiere). Regole generali in materia di responsabilità amministrativa Premesso dunque, quali siano i presupposti per l’azione di rivalsa (e azioni assimilabili), passiamo ad affrontare gli aspetti processuali concentrandoci immediatamente sull’azione “di rivalsa” in ambito pubblico che è quella che presenta gli aspetti più problematici. Occorre anzitutto ricordare che, a mente dell’art. 1 comma 1 della L. 14.1.1994 n.


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20, “la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali. In ogni caso è esclusa la gravità della colpa quando il fatto dannoso tragga origine dall’emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimità, limitatamente ai profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo. Il relativo debito si trasmette agli eredi secondo le leggi vigenti nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi”. In virtù del successivo comma 1-bis, “nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione di appartenenza, o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”. Il comma 1-quater a sua volta prevede che “se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso” e, infine, il comma 2 sancisce che “il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta”. Queste sono le norme di interesse in questo settore, per molti versi profondamente de-

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rogatorie rispetto alla disciplina civilistica. Un esempio ne è il potere di riduzione e la limitazione della responsabilità alla colpa grave. Altro esempio è la regola generale della parziarietà (essendo del tutto di scuola – in questo campo – l’ipotesi cui al comma 1-quinquies secondo il quale “i soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo sono responsabili solidalmente”) che si contrappone alla regola sopra enunciata della solidarietà passiva di cui all’art. 2055 del codice civile: il che significa che ognuno risponde solo per i danni, o la parte del danno, a lui riferibili. Infine, si noti l’intrasmissibilità dell’obbligo risarcitorio agli eredi (non essendo concepibile, nei casi di nostro interesse, un indebito arricchimento dell’agente). La riforma Gelli-Bianco (L. 24/2017) Negli ultimi anni, il passaggio di numerose Regioni a meccanismi di auto-assicurazione o auto-ritenzione dei rischi ha amplificato un problema in precedenza poco evidenziato, ossia quello del danno erariale. Nel momento in cui è presente una copertura assicurativa di responsabilità civile, infatti, laddove l’azienda sia condannata al risarcimento del danno, il relativo onere finanziario va a gravare sull’assicurazione. In tal caso tutt’al più, l’esborso e quindi il danno erariale può essere costituito dall’eventuale franchigia oppure dalle somme che l’azienda sia condannata a pagare in eccesso rispetto al massimale di polizza.

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MONOGRAFIA / Azione di rivalsa in ambito sanitario

Con il passaggio a un sistema di auto-assicurazione invece, non esistendo più alcuna copertura assicurativa, ogni condanna o accordo transattivo determina un danno erariale in quanto è l’azienda che deve provvedere direttamente al pagamento. È per questo motivo che la legge di riforma appena approvata si dilunga ampiamente sul tema dell’azione di rivalsa, cui dedica l’art. 9.

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I presupposti per l’esercizio dell’azione di “rivalsa” Anzitutto, si prevede esplicitamente che “l’azione di rivalsa nei confronti dell’esercente la professione sanitaria può essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave” (art. 9 comma 1), parificando sotto questo aspetto gli operatori sanitari pubblici e quelli privati. Quanto alla nozione di colpa grave, nei giudizi dinanzi alla Corte dei Conti è verosimile che essa continui a ricalcare, com’è normalmente avvenuto sino ad oggi, quella che viene comunemente elaborata in sede civile. Se l’esercente la professione sanitaria non è stato parte del giudizio o della procedura stragiudiziale di risarcimento del danno, l’azione di rivalsa nei confronti di quest’ultimo può essere esercitata soltanto successivamente al risarcimento ed è esercitata, a pena di decadenza, entro

sanitari la “spada di Damocle” della responsabilità amministrativa o per rivalsa. L’art. 13 impone poi sia alla struttura sanitaria sia alle imprese di assicurazione di comunicare all’esercente la professione sanitaria l’instaurazione del giudizio promosso nei loro confronti dal danneggiato entro 45 giorni dalla notifica dell’atto introduttivo ovvero di comunicare, entro il termine di dieci giorni, l’avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato con invito a prenderne parte (art. 13, come modificato dalla l. 3/2018). L’omissione, la tardività o l’incompletezza delle comunicazioni prescritte determina l’inammissibilità delle azioni di rivalsa o di responsabilità amministrativa nei confronti dell’esercente la professione sanitaria. In virtù di tale previsione, l’esercente la professione sanitaria è posto nelle condizioni di pianificare le proprie scelte difensive e di non trovarsi di fronte a decisioni giudiziali senza essere stato messo nella condizione di partecipare al giudizio o venendo a sapere, soltanto ex post, della conclusione di un accordo transattivo riguardante fatti che lo coinvolgono. Costituiscono espressione di principi abbastanza consolidati in giurisprudenza quelli espressi nell’art. 9 commi 3 e 4, nei quali si ribadisce che la decisione pronunciata nel giudizio promosso contro la

un anno dall’avvenuto pagamento (art. 9 comma 2). Quest’ultima previsione costituisce un’importante innovazione della riforma, volta a ridurre i tempi entro i quali pende sui

struttura o contro l’impresa di assicurazione non fa stato nel giudizio di rivalsa se l’esercente la professione sanitaria non è stato parte del giudizio e si specifica che la transazione non è opponibile all’eser-


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cente la professione sanitaria nel giudizio di rivalsa. Se peraltro notiamo che anche in passato era stato escluso che “la sentenza pronunciata nel procedimento civile per il risarcimento del danno, promosso dal danneggiato nei confronti della P.A., (abbia) efficacia di giudicato nel giudizio di responsabilità amministrativa, avanti alla Corte dei conti, ancorché al giudizio civile abbia partecipato il pubblico dipendente, autore del fatto lesivo, convenuto in solido con l’Amministrazione” (Corte Conti SS.RR. n. 114A/1971), si comprende che, sotto questo aspetto, non solo non vi è stato un ampliamento di tutela per i sanitari ma forse addirittura una riduzione. Invece molto opportuna è l’innovazione di cui all’art. 9 comma 7 ancora attinente ai rapporti tra i giudizi civile e contabile, ove si stabilisce che nel giudizio di rivalsa e in quello di responsabilità amministrativa il giudice può desumere argomenti di prova dalle prove assunte nel giudizio instaurato dal danneggiato nei confronti della struttura o dell’impresa di assicurazione solo se l’esercente la professione sanitaria ne è stato parte. In passato infatti, l’utilizzabilità nel giudizio di responsabilità amministrativa di prove formatesi in altro giudizio era stata reiteratamente affermata, anche qualora il sanitario non avesse partecipato a tale giudizio. Veniva al riguardo richiamata “conforme giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale ‘il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto

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di legge, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse o anche altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse, al fine di trarne non solo semplici indizi o elementi di convincimento, ma anche di attribuire loro valore di prova esclusiva, il che vale anche per una perizia svolta in sede penale o una consulenza tecnica svolta in altre sedi civili’ (v. Corte di cassazione, Sezione seconda, n. 8585 dell’11 agosto 1999; e v. anche, nel medesimo senso, Corte di cassazione, Sezione prima, n. 8 del 4 gennaio 2000; idem, Sezione seconda, n. 2839 del 1° aprile 1997; idem, Sezione terza, n. 623 del 20 gennaio 1995; idem, Sezione seconda, n. 10972 del 20 dicembre 1994; idem, Sezione terza, n. 12091 del 20 dicembre 1990)” (così ad esempio Corte dei Conti sez. Sardegna 19.9.2008 n. 1834). Il potere riduttivo nell’ambito del solo danno erariale Resta invece limitato al solo danno erariale, e quindi al danno verificatosi nell’ambito di strutture pubbliche, senza alcuna possibilità di applicare analoga previsione ai sanitari operanti all’interno di strutture private, il già richiamato potere riduttivo previsto dall’art. 52 del RD 12.7.1934 n. 1214 (“[…] La Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto”) e dall’art. 1 comma 1 bis della L. 14.1.1994 n. 20 (“Nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione di appartenenza, o da altra amministrazio-

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ne, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”). In passato è stato osservato che l’esercizio del potere riduttivo dell’addebito da parte del giudice contabile consente allo stesso, dopo aver accertato l’entità del danno, di valutare il comportamento del soggetto responsabile in relazione alle condizioni alle quali il medesimo ha agito, nonché il grado di influenza che tale comportamento ha avuto nella produzione dell’evento dannoso. Pertanto, in un’ipotesi di responsabilità di medico anestesista per la morte del paziente fu valutata la recente immissione nell’attività sanitaria, la giovane età, la mancanza di esperienza professionale, elementi questi, sintomatici di una ridotta capacità operativa nell’esercizio della professione (C. Conti Sez. I, 26-11-1990, n. 244). In altri casi, il potere riduttivo è stato esercitato “tenuto conto delle particolari circostanze che hanno accompagnato la vicenda all’esame (intervento urgente su paziente in grave stato tossico, omessa diagnosi sulla peritonite da parte del medico di famiglia)” (Corte dei Conti sez. Veneto 12.7.2002 n. 544), e non sono mancate sentenze che hanno preso in considerazione elementi anche spuri rispetto al comportamento assunto dal sanitario nella vicenda ogget-

l’attività lavorativa svolta in precedenza”. Sotto questo aspetto la legge introduce un utile parametro volto a orientare l’esercizio del potere riduttivo nell’art. 9 comma 5, a mente del quale ai fini della quantificazione del danno “si tiene conto delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l’esercente la professione sanitaria ha operato”.

to di controversia, come nel caso deciso dalla Corte dei Conti, Sez. Lombardia, 20.8.2007, n. 451, allorché si è tenuto conto della “iniziale correttezza del trattamento terapeutico intrapreso” ma anche di “tutta

la propria attività al di fuori di una struttura o che presti la sua opera all’interno della stessa in regime libero-professionale ovvero che si avvalga della stessa nell’adempimento della propria obbligazione

Il limite di ogni azione di “rivalsa” È tuttavia innegabile che la maggiore innovazione è contenuta nel periodo successivo dell’art. 9 comma 5 come modificato dalla l. 3/2018, il quale dispone che “l’importo della condanna per la responsabilità amministrativa e della surrogazione di cui all’articolo 1916, primo comma, del codice civile, per singolo evento, in caso di colpa grave, non può superare una somma pari al triplo del valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale conseguiti nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo”. Analoga previsione è contenuta nel successivo comma 6 con riferimento ai professionisti operanti nell’ambito di strutture private, con minime modifiche per quanto riguarda il parametro retributivo e con l’esclusione dell’applicabilità all’esercente la professione sanitaria che svolga


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contrattuale assunta con il paziente. Inoltre, per i tre anni successivi al passaggio in giudicato della decisione di accoglimento della domanda di risarcimento proposta dal danneggiato, l’esercente la professione sanitaria, nell’ambito delle strutture pubbliche, non può essere preposto a incarichi professionali superiori rispetto a quelli ricoperti e il giudicato costituisce oggetto di specifica valutazione da parte dei commissari nei pubblici concorsi per incarichi superiori. È quasi superfluo notare che l’innovazione avente ad oggetto l’importo massimo della condanna a titolo di rivalsa avrà un significativo impatto anche sui premi delle polizze assicurative attinenti alla copertura di tale rischio, rendendole molto più alla portata dei sanitari e favorendone dunque l’acquisto. Conclusioni È quasi banale attendere che i primi pronunciamenti giurisprudenziali facciano chiarezza sulle diverse zone d’ombra della legge. Ad esempio, non è chiaro se i limiti previsti dall’art. 9 siano applicabili anche all’azione di regresso. Probabilmente una riforma più completa avrebbe necessitato un più radicale riassetto processuale. La mente corre, al riguardo, al contenuto del progetto di legge “Tomassini” presentato nel 1996 e riproposto nel 2001, in entrambi i casi senza esito. Tale progetto prevedeva il difetto di legittimazione passiva per i sanitari nel caso in

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cui il danno fosse stato provocato nell’ambito di prestazioni ospedaliere. Il paziente, pertanto, avrebbe potuto introdurre un’azione risarcitoria nei confronti della sola struttura; quest’ultima, in caso di soccombenza o di transazione comportante esborso di denaro, avrebbe potuto rivalersi nei confronti del responsabile dinanzi alla Corte dei Conti, nei soli casi di dolo o di colpa grave. Non c’è dubbio che tale innovazione avrebbe comportato significativi dubbi di costituzionalità, peraltro probabilmente infondati. Analoga previsione, infatti, è tuttora contenuta all’art. 574 del D.Lgs. 297/1994 (Testo Unico Istruzione), con riferimento alla responsabilità patrimoniale del personale direttivo, docente, educativo e non docente della scuola materna, elementare, secondaria e artistica dello Stato e delle istituzioni educative statali per danni arrecati per comportamenti degli alunni sottoposti alla vigilanza. Il problema, più che giuridico dunque, sarebbe stato politico e come tale non merita di essere affrontato in questa sede.

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CORSO ECM A DISTANZA 2018

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Valutazione dell’invalidità in ortopedia in responsabilità civile CORSO FAD RISERVATO AGLI ABBONATI PAGANTI DESCRIZIONE DEL CORSO Il medico, nello svolgimento della propria attività professionale, è inevitabilmente condizionato dal timore del contenzioso medico-legale. Di conseguenza è nata una medicina, cosiddetta difensiva, che ha condizionato al punto tale le decisioni clinico-diagnostiche, da rappresentare un costo insostenibile per il Servizio sanitario pubblico. La politica sanitaria degli ultimi anni è stata pertanto rivolta, oltre che a comprimere il contenzioso medico-legale, a garantire un’appropriatezza delle prescrizioni mediche. In questo panorama, il corso vuole offrire una conoscenza giuridica volta a meglio comprendere le normative vigenti e i reali spazi di autonomia, all’interno dei quali il medico possa operare. DIRETTORE SCIENTIFICO Fabio M. Donelli, specialista in Ortopedia e Medicina legale, professore a contratto Università di Milano, coordinatore del gruppo di studio di Traumatologia forense della società Siot STRUTTURA DEL CORSO Modulo 1 Valutazione del quadro anatomo-clinico. Autori: Fabio M. Donelli (specialista in Ortopedia e Medicina legale, professore a contratto Univ. di Milano, coordinatore del gruppo di studio di Traumatologia forense/Siot), Giacomo Gualtieri (specialista in Medicina legale) Inquadramento dello stato anteriore. Autori: Giacomo Gualtieri, Gianluca Landi (specialisti in Medicina legale), Fabio M. Donelli (specialista in Ortopedia e Medicina legale, professore a contratto Univ. di Milano, coordinatore del gruppo di studio di Traumatologia forense/Siot), Daniele Capano (specializzando in Medicina legale, Univ. Siena) La diagnostica per immagini di tipo invasivo. Autore: Alberto Aliprandi (Direttore Diagnostica per immagini, Istituti Clinici Zucchi, Monza) Danno da perdita di capacità lavorativa specifica. Autori: Mario Gabbrielli, Matteo Benvenuti (Medicina legale, Univ. Siena, Policlinico) Modulo 2 Semeiotica clinica e strumentale. Autore: Fabio M. Donelli (specialista in Ortopedia e Medicina legale, professore a contratto Università di Milano, coordinatore del gruppo di studio di Traumatologia forense della società Siot), Giacomo Gualtieri (specialista in Medicina legale), Daniele Capano (specializzando in Medicina legale, Università degli Studi di Siena) Valutazione delle macro e delle menomazioni policrone. Autori: Mario Gabbrielli, Giulia Nucci (Medicina legale, Università di Siena, Policlinico) Criteriologia medico-legale nell’identificazione del nesso causale. Autore: Mario Tavani (ordinario di Medicina legale) Valutazione delle micropermanenti. Autori: Domenico Vasapollo (Già Direttore della Scuola di specializzazione in Medicina legale, Univ. di Bologna), Luca Pieraccini (specialista in Medicina legale), Marco Monti (medico chirurgo) MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE DEL CORSO E ACCREDITAMENTO ECM Sul n. 5/2017 e sul n. 6/2018 di Traumatologia Forense verranno pubblicati due moduli composti da quattro articoli ognuno e da un questionario di valutazione. Tutti i moduli pubblicati sulla Rivista saranno disponibili online sul sito www.fadmedica.it, dove sarà possibile rispondere al questionario di valutazione. L’erogazione dei crediti ECM avverrà al superamento del questionario. Tutti gli iscritti al corso riceveranno le informazioni necessarie per l’accesso online e la compilazione del questionario. Per informazioni generali contatta l’Editore Griffin srl – Maria Camillo (ufficio abbonamenti); Tel. 031.789085; customerservice@griffineditore.it Per informazioni tecniche sullo svolgimento del corso contatta il provider ECM Fad Medica srl – Andrea Mecci (responsabile formazione) - Tel. 06.90407234 – info@fadmedica.it


CORSO ECM/MODULO 2

Semeiotica clinica e strumentale Fabio M. Donelli*, Giacomo Gualtieri**, Daniele Capano*** * Specialista in Ortopedia e Medicina legale, professore a contratto Università di Milano, coordinatore del gruppo di studio di Traumatologia forense della società Siot ** Specialista in Medicina legale *** Specializzando in Medicina legale, Università degli Studi di Siena

La semeiotica è la branca della medicina che insegna a rilevare e a interpretare i segni della malattia e addestra l’operatore al rilievo sistematico dei segni soggettivi e obiettivi. Rappresenta, quindi, una parte fondamentale del procedimento clinico diagnostico. Attualmente si avvale sempre più della moderna semeiotica strumentale. La semeiotica fisica si fonda sull’anamnesi e sull’esame obiettivo, che rimangono reperi fondamentali per l’accertamento. Questa evoluzione è in particolar modo evidente in traumatologia, dove la frequente necessità di procedere rapidamente al trattamento specifico, può portare a ridurre il timing nella scelta della terapia adeguata. Valutazione del danno in ortopedia In ambito medico-legale, l’inquadramento diagnostico riveste particolare importanza ai fini della valutazione della patologia traumatica, in quanto il tema è oggetto di con-

tenzioso per il risarcimento del danno, con particolare riferimento al nesso di causalità. La finalità della valutazione del danno in ortopedia e traumatologia si può identificare oggi con una semeiotica specifica, che si avvale delle varie forme della semeiotica strumentale, secondo i principi della Evidence Based Medicine (Ebm).

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ECM-MODULO 2 / Semeiotica clinica e strumentale

La valutazione diagnostica dovrà basarsi sulla Diagnosis Related Estimate (Dre) e sull’ampiezza dell’escursione articolare Range of Motion (Rom), metodica utilizzata per identificare la limitazione funzionale dell’articolarità del soggetto: repere considerato nei parametri dell’American Medical Association. È noto che la semeiologia dell’apparato locomotore (esame fisico), dovrà vertere sull’ispezione (descrizione del quadro anatomo-clinico) dell’allineamento e della postura. Il mantenimento della postura è dato in modo dinamico dall’apparato locomotore, che deve avere una perfetta morfologia, sia funzionale sia estetica, del tronco e delle estremità. L’esame fisico dovrà vertere sulla palpazione e sull’esecuzione di test specifici per l’apparato muscolo-scheletrico. L’anamnesi ha un ruolo determinante nell’indirizzo diagnostico; l’anamnesi fisiologica è rilevante per comprendere la possibile patologia; l’anamnesi patologica remota va raccolta con attenzione in quanto potrebbe essere ricondotta a un quadro clinico dello stato anteriore e riconoscere l’eventuale presenza di condizioni clinico-patologiche che potrebbero rappresentare controindicazioni nell’intervento proposto. Nel caso di infortunistica stradale o di infortunio sul lavoro, sarà necessario descrivere la biomeccanica dell’evento che permetterà al medico una diagnosi mirata sul distretto anatomico leso. Nel caso di politraumatismo è necessaria un’accuratezza diagnostica per non trascurare quadri traumatici minori.

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In caso di contenzioso, l’anamnesi patologica remota è rilevante per l’accertamento del nesso di causalità. Ricordiamo, infine, che una corretta valutazione dell’apparato locomotore deve comprendere: ºº esame statico, valutazione funzionale morfologica di ispezione e palpazione; ºº esame dinamico, valutazione della mobilità attiva e passiva; ºº esame funzionale, valutazione anatomo-clinica, associata all’imaging routinaria e tridimensionale e agli esami strumentali quali test valutativi per problematiche riconducibili all’evento traumatico subito (dalla Gait Analisys, ai sofisticati test neuroradiologici per l’equilibrio, ai test delle problematiche oculomotorie e a quelli dei disturbi dell’articolazione temporo-mandibolare e della patologia post-traumatica della colonna). Si ricorda, infine, che l’esame funzionale dovrebbe comprendere anche: ºº l’indagine di goniometria articolare, idonea per valutare la limitazione dell’articolarità lesa; ºº l’esame dell’apparato muscolare per il tono e il trofismo ed esame semeiologico per valutare l’eventuale dismetria e ipermetria, associato a una teleradiografia degli arti inferiori per valutare la dismetria e ipermetria reale e non apparente; ºº l’esame dello Snp (sistema nervoso periferico)/accertamento neurologico per evidenziare le complicanze nervose di un determinato traumatismo, la localizzazione di un deficit nervoso e la stabilizzazione della diagnosi neurologica.


CORSO ECM/MODULO 2

Valutazione delle macro e delle menomazioni policrone Mario Gabbrielli*, Giulia Nucci* Medicina Legale, Università di Siena, Policlinico

La valutazione percentuale del danno biologico permanente in un soggetto che ha subito una grave menomazione conferma l’esistenza di criticità del sistema di risarcimento del danno, attualmente vigente nell’ambito della responsabilità civile: infatti nel caso del danno alla persona, il risarcimento è in realtà un indennizzo, in quanto non si può mai arrivare al ristoro completo del danno ma solo a una compensazione economica. E se tale compensazione può risultare equa nel caso di menomazioni di modesta entità (cosiddetti microdanni), nei macrodanni la natura indennitaria mostra tutti i suoi limiti. Valutazione percentuale del danno biologico permanente Il sistema percentualistico della valutazione porta infatti a un’ipervalutazione delle menomazioni più lievi: facendo riferimento alle più accreditate tabelle risulta, ad esempio, che la perdita del mignolo sia valutata nella misura dell’8% e anche menomazioni veramente minimali hanno un riconoscimento − anchilosi interfalangea distale

dell’indice, 2% − che deriva dalla necessità di risarcire comunque chi ha subito un danno. Queste valutazioni risultano però ipertrofiche quando si confrontano con le valutazioni dei danni più elevati, che si trovano per forza “compresse” dai limiti del sistema, posto che non si possa superare la soglia del 100% (per taluni autori, del 99%, essendo la morte il 100% di danno biologico). Per esemplificare questa distorsione si portano due esempi di menomazioni interessanti lo stesso apparato osteoarticolare: la perdita anatomica di un arto inferiore, a qualsiasi livello della coscia, è valutata nella misura del 45-60% (a seconda della possibilità o meno di applicare protesi) e la perdita degli arti inferiori il 65-80%. Il fatto che il valore economico del punto non sia fisso ma cresca con il crescere del grado del danno biologico, non pare sufficiente a compensare questa sproporzione nella valutazione delle menomazioni. Il limite dei 100 punti è ancora più evidente quando si vengono a realizzare più menomazioni: alla sindrome da sezione midollare e alla menomazione più drammati-

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ECM-MODULO 2 / Valutazione delle macro e delle menomazioni policrone

camente evidente, e cioè la tetraplegia, si aggiungono varie altre compromissioni, quali i disturbi cardiovascolari, della funzionalità gastrointestinale, della capacità sessuale e il dolore: in questo caso il danno è evidentemente valutato in modo limitato anche se si arriva al 100% (1), mortificando la valutazione del complesso delle singole voci. Un altro momento di criticità del sistema percentualistico si realizza nel caso in cui un soggetto già affetto da una grave menomazione venga a subire un’ulteriore lesione: si pensi al tetraplegico che per un nuovo evento traumatico perde l’udito; in questo caso, fortunatamente limite, ma che si può realizzare, si dovrebbe assegnare il valore di zero alla nuova menomazione. È evidente che in qualche modo si debba giungere a una valutazione dell’ulteriore danno, valutazione che come autorevolmente affermato da Domenici dovrà tener conto dell’ulteriore compromissione delle condizioni di vita del menomato (2). Le menomazioni policrone L’esempio sopra riportato serve a introdurre la questione altrettanto spinosa delle valutazioni policrone e cioè quando in un soggetto già menomato sopravviene un’altra menomazione. Classicamente le menomazioni preesistenti si distinguono in coesistenti (se interessano un apparato diverso) e concorrenti (se insistono sullo stesso apparato interessato dalla nuova menomazione): si tratta di una distinzione scolastica che trova una più corretta applicazione in ambito assicurativo sociale (Inail) anche attraverso formule dedicate (Gabrielli), ma che stride con il concetto di danno biologico che prevede la

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valutazione dell’unitarietà della persona. In linea di massima si tende a non tener conto della menomazione preesistente in caso di coesistenza e a procedere a una valutazione complessiva nel caso di menomazioni concorrenti: lo stato preesistente potrà così aumentare, o non modificare, o addirittura diminuire l’entità della menomazione sopravvenuta. In caso di menomazioni concorrenti si è affermato il principio della valutazione del maggior danno conseguente alla nuova menomazione: così ad esempio, se il soggetto già presentava un’anchilosi della tibio-tarsica (12%) al momento in cui per un nuovo evento si realizza un’anchilosi anche della sottoastragalica, si procede alla valutazione del danno complessivo (18%) e la valutazione del danno biologico conseguente al nuovo evento deriverà dalla differenza tra la nuova condizione e le preesistenze (6%), il cui corrispettivo monetario sarà però maggiore rispetto a quello del semplice 6%, in quanto deriverà dalla differenza tra il 18% e il 12%. Questo criterio trova applicazione anche nei casi di responsabilità professionale nel caso in cui si realizzi per errore terapeutico un maggior danno rispetto a quello che sarebbe comunque conseguito a una lesione. Bibliografia 1. Papi L, Gori F. Funzioni neurologiche centrali e nervi cranici, in Linee guida per la valutazione medico-legale del danno alla persona in ambito civilistico. Giuffrè Editore, Milano, 2016 p. 169. 2. Domenici R, Metodologia valutativa del danno biologico permanente, in Linee guida per la valutazione medico-legale del danno alla persona in ambito civilistico .Giuffrè Editore, Milano, 2016 p. 46.


CORSO ECM/MODULO 2

Criteriologia medico-legale nell’identificazione del nesso causale Mario Tavani Ordinario di Medicina legale

Data la rilevanza della determinazione in generale del nesso di causalità nei vari ambiti di operatività medico-legale, appare ovvia la necessità che per tale determinazione il processo analitico del perito non possa prescindere da un approccio metodologico affidabile, fondato su criteri scientificamente validi e quindi conformi alle richieste chiarificatrici del diritto. L’analisi del rapporto causale va così condotta attraverso la verifica di tutta una serie di criteri, la cui convergenza e concordanza dovrebbe consentire giudizi di ammissione o di esclusione del rapporto medesimo, talora non tassativi ma, se ben applicati, di significato probabilistico rilevante e come tale, giuridicamente significativo. Criteri medico-legali nell’analisi del rapporto causale Molto spesso negli scritti peritali – in qua-

lunque materia essi si collochino, penale, civile, assicurativa di legge o privata, ecc. – si legge che una determinata malattia e/o i suoi reliquati permanenti o la morte di una persona (in quanto fatti o fenomeni giuridicamente rilevanti) sono causalmente correlabili a un determinato evento di interesse giuridico rilevante, in base ai “classici” o “consueti” criteri “medico-legali”. Criteri elencati in vario modo e varia sequenza: criterio cronologico, criterio storico-anamnestico, criterio topografico, criterio clinico, criterio anatomo-patologico, criterio chimico-tossicologico, criterio genetico, criterio di idoneità qualitativa e quantitativa (modale), criterio della continuità fenomenica, criterio di esclusione, criterio epidemiologico, criterio statistico (e altri: chi volesse acculturarsi su detti criteri “classici” potrebbe studiare la fondamentale inarrivabile – se pur alla fine degli anni ’70 contestata – monografia di

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ECM-MODULO 2 / Identificazione del nesso causale

Antonio Cazzaniga, Criteriologia Medico-legale, relazione tenuta al XVI Congresso nazionale della Simla, Firenze, settembre 1959. La relazione, con presentazione di Caio Mario Cattabeni, fu pubblicata nel 1960 a Pavia e il volume originale è oggi difficilmente reperibile anche nel mercato librario antiquario: SEP, 1960). Nella pratica giudiziaria e talora di necessità anche peritale si utilizzano ovviamente anche altri criteri, per l’uso dei quali è raccomandabile la massima competenza, esperienza e prudenza. Tra questi, a mio parere di particolare interesse, quello denominato della possibilità scientifica. Tale criterio, da analizzarsi preliminarmente a qualsiasi valutazione, si rappresenta come il primo passo del ragionamento cosiddetto controfattuale, su cui si basa in particolare la teoria causale della conditio sine qua non. Nella considerazione di tale criterio, in rapporto alle molteplici peculiarità delle singole fattispecie, non potrà che farsi riferimento a leggi scientifiche (cosiddette di copertura) – e in particolare a leggi scientifiche universali o a leggi statistiche – sulla cui base si può giungere a una preliminare possibilità di ammissione del nesso o, per converso, a una sua tassativa esclusione ove risulti l’impossibilità scientifica che l’azione o l’omissione ipotizzate possano avere svolto un ruolo causale, pur con l’intervento di fattori concorrenti. Nell’ipotesi di nesso possibile o probabile non potrà prescindersi dalla considerazione degli altri criteri di valutazione per un eventuale giudizio di certezza o di più elevato grado di probabilità.

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Altrettanto spesso si legge ancor oggi negli elaborati peritali, della necessità ovvero opportunità di distinguere tra la “causa efficiente” (antecedente, necessaria e sufficiente a produrre l’effetto), identificandola per lo più nella causa unica o esclusiva e la “concausa” (necessaria ma non sufficiente, preesistente, simultanea o sopravvenuta rispetto all’evento poco rileva); e addirittura di “condizione” (fattore causale normalmente inidoneo a produrre qualsiasi effetto lesivo, ma che può condizionare in misura non determinabile l’effetto), situazione causale questa molto ragionevole per l’esperto biomedico ma poco credibile per il giurista, se è vero che un determinato evento o incide anche in misura minima non determinabile sulla produzione di un determinato effetto, e allora è da identificarsi in una concausa, o non lo è, in questo caso dovendosi a esso negare qualsiasi ruolo causale. È quasi superfluo ricordare che questi criteri “classici” dovrebbero essere utilizzati dal perito in vario modo in funzione di ammettere o meno, in termini di umana certezza, di alta probabilità clinica e scientifica, di probabilità quantizzabile e di esclusione, il nesso causale per soddisfare le esigenze di valutazione di un determinato evento sub specie juris. In medicina forense, se pur non frequentemente, taluni periti dimostrano la loro preparazione legale producendo valutazioni sulla base delle più recenti teorie generali della causalità materiale o fisica, della causalità lineare, di quella circolare, di quella cosiddetta dei sistemi; altri


ancora che in materia assicurativa utilizzano i principi che regolano la probability causation. Non è consentito qui anche solo fornire una fotografia di queste teorie causali. Vale solo la pena ricordare che secondo la teoria meccanicistico-riduzionista, una delle più usate, la realtà fenomenica si manifesta come un insieme di rapporti lineari tra cause – “variabili indipendenti” – ed effetti – “variabili dipendenti” –, le prime necessariamente antecedenti. La relazione causa/effetto può essere rappresentata geometricamente su un sistema di assi cartesiani come semiretta o curva aperta, a indicare che l’influenza (condizione) procede sempre in una e una sola direzione. E che al contrario, nella logica dei sistemi circolari un qualunque cambiamento di un qualunque punto del circolo causa cambiamenti anche di punti lontani secondo la logica lineare non tra loro rapportabili (ad esempio: l’accensione di un termostato causa non solo la variazione della temperatura dell’ambiente in cui è collocato ma anche di altre parti di un sistema reale che prevede la sua esistenza così che, alla fine, il prodotto dell’azionamento del termostato condiziona l’attività del termostato stesso). Queste valutazioni in medicina forense possono essere fornite solo da periti particolarmente esperti nel campo; e, a mio parere, utili soprattutto nella valutazione delle sequele di trattamenti sanitari di natura colposa, specialmente se commessi da una équipe eterogenea o da sanitari diversi in tempi diversi.

Valutazioni conclusive del medico legale Desidero concludere questo breve intervento sulla criteriologia medico-legale in punto di causalità, con qualche esemplificazione per evidenziare, da un lato, come le valutazioni conclusive del medico legale possano sembrare divergere da quelle fatte per la stessa fattispecie dal magistrato; e dall’altro come la più opportuna impostazione valutativa generale del perito, per non creare difficoltà di inquadramento giuridico di un determinato fatto da parte del magistrato, sia ancor oggi quella basata sulla causalità lineare (tra due fenomeni/eventi giuridicamente rilevanti A e B). Un medico legale intervenuto su mandato

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ECM-MODULO 2 / Identificazione del nesso causale

del PM, che gli aveva chiesto di accertare la causa e i mezzi produttivi della morte di un uomo verificatasi nel corso di un intervento chirurgico per un grosso tumore benigno dell’intestino, procede alle operazioni necroscopiche e osserva un emoperitoneo imponente, da lesione da taglio chirurgica dell’aorta addominale. Riferisce al magistrato che la causa della morte del soggetto sia da identificarsi in questa lesione aortica con catastrofica emorragia interna causata dal bisturi del chirurgo nel corso di un’operazione per la rimozione di un tumore benigno della parete intestinale. Il magistrato, nei suoi atti, “ribalta” i termini della seriazione causale: la morte del paziente è da attribuirsi a un’errata manualità chirurgica produttiva di un’emorragia interna rapidamente letifera da lesione della parete dell’aorta. È evidente che la seriazione causale scelta dal magistrato considera primariamente l’azione umana ritenuta giuridicamente rilevante e poi la sua conseguenza, la morte del paziente, che viene posta in rapporto causale con la condotta del chirurgo da giudicarsi nell’ottica della responsabilità penale. L’esempio vuol significare che il medico legale, in casi consimili, dovrebbe opportunamente concludere in perizia, indicando la causa accertata della morte di una persona (nel caso: emorragia interna letifera da lesione chirurgica intraoperatoria dell’aorta addominale), specificando se trattasi di causa di per se stessa sufficiente per sua natura a produrre l’effetto (la morte del paziente) in quei tempi e in quei modi, in assenza di altri fenomeni in-

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tervenuti, meccanici/chimici/fisici diversi da quelli intrinseci al momento causale (come a dire: trattasi di una causa unica e immediata, atteso che siano stati gli effetti iniziali prodotti dall’atto giuridicamente rilevante che hanno prodotto la morte del soggetto, e diretta, in quanto tra i due fenomeni – atto chirurgico e morte – si è sviluppata una serie ininterrotta di fenomeni concatenati di cui ognuno è al tempo stesso effetto dell’antecedente e causa del susseguente). Per quanto appena detto, sposando la teoria della causalità materiale lineare unidirezionale, il perito dovrà dunque considerare di volta in volta se la causa unica fu immediata oppure mediata, e così diretta oppure indiretta. Resta solo da ricordare quanto sottolineato spesso dai Maestri della Medicina legale in vario modo: se è vero che la criteriologia risulti indispensabile in sede peritale per valutazioni corrette, è pur vero che è illusorio pensare che possa risolvere i tanti problemi ingenerati dalla pratica medico-forense. È assolutamente necessario che, allorquando il perito medico-legale riconosca il nesso causale secondo la richiesta del magistrato, la sua valutazione non sia frutto di un convincimento personale rappresentato come verità tecnica acquisita, così oltrepassando i limiti imposti dal suo ruolo di consulente tecnico, ma frutto di un’analisi causale che non necessariamente deve giungere a conclusioni certe o altamente probabili, per evitare negativi condizionamenti di chi deve giudicare.


CORSO ECM/MODULO 2

Valutazione delle micropermanenti Domenico Vasapollo*, Luca Pieraccini**, Marco Monti*** * Già Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina legale, Università di Bologna ** Specialista in Medicina legale *** Medico chirurgo

La Legge 4 agosto 2017, n. 124 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 189 – del 14 agosto 2017, recante la “Legge annuale per il mercato e la concorrenza”, dopo un lungo e travagliato iter parlamentare. Il provvedimento, composto da un solo articolo e da 192 commi, contiene una serie di importanti correttivi rispetto alla versione primigenia, presentata dal Governo il 3 aprile 2015. Esso riguarda esclusivamente le vittime della strada. Tantissime le novità, e molteplici i settori toccati dalla nuova legge. Danno non patrimoniale: la disciplina normativa In tema di risarcimento del danno non patrimoniale, il comma 17 sostituisce l’articolo 138 (danno non patrimoniale per lesioni di non lieve entità) del Codice Assicurazioni private (Cap), e si demanda a un decreto del Presidente della Repub-

blica (Dpr), da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione, la preparazione di una specifica tabella unica1 su tutto il territorio della Repubblica, delle menomazioni all’integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti e del valore pecuniario da attribuire a ogni singolo punto di invalidità, comprensivo dei coefficienti di variazione corrispondenti all’età del soggetto leso. Le finalità dell’emanazione della tabella per le macrolesioni sono: da un lato di garantire il diritto delle vittime dei sinistri a un pieno risarcimento del danno non patrimoniale effettivamente subito, dall’altro di razionalizzare i costi gravanti sul sistema assicurativo e sui consumatori. I principi e i criteri che devono essere se1 La tabella unica, come precisato al comma 18, si applicherà “ai sinistri e agli eventi verificatisi successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto del Presidente della Repubblica”.

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ECM-MODULO 2 / Valutazione delle micropermanenti

guiti, nella redazione della tabella, tengono conto dei criteri valutativi del danno non patrimoniale ritenuti congrui dalla consolidata giurisprudenza di legittimità. Il comma 19 sostituisce l’articolo 139 del Codice Assicurazioni private e riguarda il danno non patrimoniale per lesioni di lieve entità. Tralasciando gli aspetti pecuniari del risarcimento e la definizione di danno biologico utilizzata2 è testualmente scritto che “in ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento 2 Per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito.

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clinico strumentale obiettivo, ovvero visivo, con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l’ausilio di strumentazioni, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente. Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati ovvero causi o abbia causato una sofferenza psicofisica di particolare intensità, l’ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella di cui al comma 4, può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 20 per cento. L’ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi del presente articolo è esaustivo del risarcimento del danno non


patrimoniale conseguente a lesioni fisiche”. In seguito, con non poca meraviglia da parte nostra, si demanda anche questa volta a un Dpr, per la predisposizione di una specifica tabella delle menomazioni dell’integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità3. Si rinvia, per mancanza di spazio, a quanto riportato dall’Associazione Melchiorre Gioia e dalla Società medico-legale del Triveneto sulle problematiche interpretative e operative della Legge 27/2012, oltre che ai pregiati lavori di Domenici e Ronchi4,5. Abrogato, dunque, l’art. 139 del Codice Assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e successive modifiche, il medico legale dovrà oggi valutare le micropermanenti secondo i dettami della novella legge (4 agosto 2017, n.124), pur non essendo stati chiariti i molteplici dubbi sollevati dalla legge previgente dai contorni molto opachi. E, ancor oggi, il legislatore, proponendo nel testo il riferimento alle cicatrici quali lesioni di lieve entità, confonde la lesione con la menomazione. Senza scomodare i Maestri della medicina legale, è utile al riguardo ricordare

che la lesione è il processo morboso in sé (ad esempio la frattura di tibia), mentre la menomazione è la conseguenza della lesione e consiste nella compromissione dell’efficienza fisica (o psichica) della persona, cioè nel deficit funzionale che ne deriva (difficoltà nella deambulazione). La menomazione susseguente deriva, quindi, dagli esiti stabilizzati della lesione e permane dopo la guarigione clinica della lesione stessa6. Trattasi di una condizione stabile e duratura, non necessariamente per tutta la vita ma certamente per un decorso di cui non sia prevedibile la cessazione nel tempo avvenire, essendo molto probabile la sua irreversibilità o inemendabilità.

3 È veramente incomprensibile tale punto, giacché le tabelle delle menomazioni all’integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità sono state approvate col Decreto ministeriale 3 luglio 2003. 4 Domenici R, Guidi B. Il danno nella prospettiva medico-legale; la vexata quaestio delle micro permanenti, in Danno e Responsabilità, 12, 11531157,2013. 5 Ronchi E. I commi 3-ter/3quater della legge n. 27 del 24 marzo 2012 e la corazzata Potemkin, in Riv. It. Med. Leg., 4, 1869-1874,2012.

6 Puccini C, Istituzioni di Medicina Legale, Ambrosiana, 2003.

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ECM MODULO 1-2 / Questionario di valutazione

Corso Ecm a distanza / Moduli 1-2 QUESTIONARIO DI VALUTAZIONE

1. Nel 1741 il francese Nicolas Andry chiamò ortopedia:  l’arte di prevenire e correggere nei bambini le deformità del corpo  l’arte di prevenire le deformità del corpo  l’arte di correggere le deformità del corpo  l’arte capace di far tornare a camminare gli infermi

2. L’esame clinico-obiettivo ortopedico per la valutazione del quadro anatomo-clinico:  al giorno d’oggi non corrisponde ai criteri delle good practice in ambito ortopedico  può essere considerato adeguato alle prove di efficacia (Evidence-based medicine) richieste per la valutazione, diagnosi, prognosi e terapia  è reso inutile dall’evoluzione delle tecniche diagnostiche moderne  non è contemplato nelle attuali linee guida

5. La SMILE syndrome è una patologia del:  gomito  spalla  anca  ginocchio

3. Quando due menomazioni si possono dire coesistenti?  quando insistono su uno stesso organo funzionale  quando insistono su organi contigui  quando insistono su uno stesso apparato

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quando insistono su aree anatomiche differenti

4. Come si calcola il cosiddetto “maggior danno”?  sommando tra loro tutte le preesistenze  danno globale meno danno preesistente  escludendo le preesistenze  danno preesistente meno danno globale

6. Le indicazioni allo studio artro-RM interessano:  lesioni massive della cuffia  instabilità congenite e traumatiche  lesioni del capo lungo del bicipite  lesioni condrali della glena 7. La compromissione della capacità lavorativa specifica:  rientra nel danno extrapatrimoniale  non è risarcita nel nostro ordinamento  costituisce danno patrimoniale  rientra nel danno morale


8. La valutazione percentuale della riduzione della capacità lavorativa specifica:  coincide con il grado del danno biologico permanente  può essere maggiore, minore o uguale rispetto al danno biologico permanente  si fa attraverso l’uso di tabelle di legge  non è compito del medico legale 9. La semeiotica fisica:  non è prevista dalle attuali linee guida  deve essere integrata necessariamente da esami strumentali  può contribuire a ridurre significativamente il timing delle scelte terapeutiche  contribuisce a formulare una diagnosi in assenza di sintomi 10. La valutazione diagnostica dovrà basarsi:  sull’integrazione dei reperti clinici e degli eventuali reperti strumentali  i reperti clinici devono essere obbligatoriamente integrati con quelli strumentali  facendo ricorso a servizi aggiuntivi diagnostici o terapeutici anche se non propriamente necessari  sulla Diagnosis Related Estimate (Dre) e sull’ampiezza dell’escursione articolare Range of Motion (Rom) 11. La valutazione massima del danno biologico permanente è:  al 100%  all’80%

 

al 60% al 90%

12. In caso di menomazioni preesistenti concorrenti, la valutazione delle ulteriori menomazioni sopravvenute:  può solo essere maggiorata  deve essere effettuata nell’ottica del danno differenziale  è fatta in via equitativa  non si può riconoscere un ulteriore danno 13. Per criteriologia medico-legale si intende comunemente l’insieme dei mezzi e dei sistemi per:  l’accertamento della verità processuale  l’accertamento della causalità materiale  la verifica della qualità delle valutazioni  la discriminazione del vero e del falso 14. Per nesso di causalità materiale si intende:  il rapporto corrente tra due fenomeni naturali  il rapporto corrente tra due fenomeni di rilevanza giuridica  il rapporto tra un fatto giuridicamente rilevante e le sue conseguenze dannose  il rapporto tra una determinata causa e un suo presunto aspetto 15. L’art. 139 del Codice Assicurazioni private è stato abrogato da:  legge 4 agosto 2017, n.124  decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209  decreto ministeriale 3 luglio 2003  legge 21 luglio 2010

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