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OlivierO TOscani
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WE LIVE ON IMAGES
80 YEARS OUT FROM THE CROWD: FACE TO FACE WITH OLIVIERO TOSCANI, WHO TAKES US ON A TOUR OF HIS NEW STUDIO IN CASALE MARITTIMO 80 ANNI VISSUTI FUORI DAL CORO: FACCIA A FACCIA CON OLIVIERO TOSCANI, CHE CI ACCOMPAGNA NEL SUO NUOVO STUDIO A CASALE MARITTIMO text Matteo Parigi Bini photo Dario Garofalo
His studio, which he built on the estate’s highest elevation, surrounded by vineyards, dominates the view: in front of it, beyond the cypress trees, the sea spreads out with the islands of Corsica, Capraia and Gorgona; further down, to the left, the winery, some farmhouses and his house; to the right, perched on a hill, the small town of Casale Marittimo. “In 1961, in my first year at the art school in Zürich- Oliviero Toscani tells us- I met a boy called Antonio Tabet who invited me over to his holiday home in Bolgheri. I spent time going around the hills and painting: the olive trees, the landscape. I asked him if I could come back, because I had never felt so attached to a place before. Although Milan is my city, I’ve never been quite fond of it. When, in the late 1960s, my family and I used to vacation on the island of Panarea, my wife asked me to buy a house there, she liked the place. But after thinking it over, I decided that if I was ever to buy a house, it would be in the place where I used to paint as a boy. On September 10, 1970, I showed her this place for the first time. In the eighties, there were no mobile phones, so in order to stay in touch with the rest of the world, I went to Casale where there was a telephone box and I made all my calls from there, with the editors-in-chief of fashion magazines all over the world. That is how I worked the first years. I’ve been living here since then. I took up my residence here in 1972 and mine was the first civil wedding celebrated in the local town hall!” Oliviero is seated at his desk where, amidst the many books scattered here and there, we catch a glimpse of his autobiography, Ne ho fatte di tutti i colori, released in February by La nave di Teseo, but he is already working on his next book, Die Deutschen des einundzwanzigsten jahrhunderts. He stands up and welcomes us with a broad and rewarding smile on his face: he has just turned 80, but the glint of light in his bright and visionary eyes is that of a boy. Dal suo studio, che ha costruito nel punto più alto della tenuta, circondato dalle vigne, si domina il paesaggio: davanti, oltre i cipressi, l’immensità del mare dove si scorgono la Corsica, Capraia e la Gorgona; più in basso a sinistra, la cantina, alcuni casali e la sua casa; a destra su una collina, il borgo di Casale Marittimo. “Nel 1961 ero al primo anno alla scuola d’arte di Zurigo – ci racconta Oliviero Toscani - e c’era un ragazzo che si chiamava Antonio Tabet che mi invitò in vacanza a casa sua, a Bolgheri. Andavo in giro tra le valli e dipingevo: gli ulivi, il paesaggio. Gli chiesi se sarei potuto tornare, perché non mi ero mai sentito così attaccato a un luogo. Anche se Milano è la mia città, non mi ci sono mai sentito legato. Quando, alla fine degli anni ’60 io e la mia famiglia andavamo a Panarea, mia moglie mi chiese di comprare una casa lì, le piaceva. Ma dopo averci riflettuto, decisi che se avessi dovuto comprare una casa, sarebbe stata nel posto dove andavo a dipingere da ragazzo. Il 10 settembre 1970 le ho fatto vedere questo luogo per la prima volta. Negli anni ’80, ancora non esistevano i telefonini, quindi per lavorare con il resto del mondo andavo a Casale dal tabaccaio dove c’era una cabina telefonica e mi mettevo lì a fare tutte le telefonate con i vari direttore dei giornali di moda di tutto il mondo, per i primi anni ho lavorato così. Da allora io abito qui. Ho la residenza dal ’72 e il mio, è stato il primo matrimonio laico celebrato nel comune di questo paesino!” Oliviero è alla sua scrivania, dove tra i tanti libri sparsi qua e là, si intravede anche l’inconfondibile copertina della sua autobiografia Ne ho fatte di tutti i colori uscita a febbraio per La nave di Teseo, ma sta già sta lavorando al prossimo libro, Die Deutschen des einundzwanzigsten jahrhunderts (Il volto dei nuovi tedeschi). Si alza e ci accoglie con un sorriso pieno e gratificante: ha compiuto da poco 80 anni, eppure quel lampo di luce negli occhi vivaci e visionari è quello di un ragazzo.
Oliviero Toscani was born in Milan in 1942. His father was Fedele Toscani, a famous press reporter. Since 1972 he has been a resident in Casale Marittimo, Tuscany
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Oliviero Toscani’s studio in Casale Marittimo: built on the estate’s highest elevation, surrounded by vineyards, it dominates the view
4 Oliviero’s studio is on the family estate, where his son Rocco produces wine and oil. A project born out of Toscani’s vision. He purchased the property in the 1970s, because he felt a deep sense of belonging to this place
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When you were 30, where did you picture yourself at 80?
At the age of 20, I trusted no one over 30, I looked at the 40-year-olds as old. And to think that now I am the same age as Mick Jagger and Muhammad Ali. People of my generation grew up without knowing how to reach the age of 80. I’m not sure whether it’s a good or bad thing, but had I known that I would live this long, I probably would have taken it easier. I realize that I’ve grown old because my body, this wreck, is not what it used to be.
How did you decide to do this job?
My father worked as a reporter for Corriere della Sera. I grew up in the world of communication. I was, from the outset, more interested in communication than photography- photographers are mere executors, that’s not what I do. When I decided to go down this career path, my father told me that the first thing I had to do was to study both the technique and the art. I attended a school of applied arts in Zürich for five years, a very prestigious school. Photography was born to show the places and people: even if you had never been to Paris, you could see what it was like by looking at pictures of it. The world is conditioned by images, we live on images. Before photography, people were ignorant. 90% of the things we know about, we learned them just by looking at a picture. War, for instance: you’ve never experienced it first-hand but only through images, and yet you are terrified by it. Then, in the 1960s, fashion magazines appeared and photographers were required to have the creativity that was not demanded of reporters. My photography is made up of creativity: I invent, choose, put together. I am an author, a scriptwriter, a film director, the director of photography and also the cameraman. I am the artistic director of myself. Photography is like writing: everyone knows how to write, but not everyone is a writer or a poet. The same goes for photography.
Is portrait photography the way you express yourself?
I’m not a landscape photographer, but I take pictures of whatever has to do with the human condition. I’m unmoved by nature, but when I look at the Cisa (the highway connecting Tuscany, Liguria and Emilia Romagna, editor’s note), I realize how amazing human intervention on nature is. As a photographer, I am a
Quando avevi trent’anni come ti immaginavi a 80?
A 20 mi dicevo di non fidarmi di nessuno che avesse più di 30 anni, quelli di 40 li consideravo già vecchi. Pensa che ho l’età di Mick Jagger e Muhammad Ali, a questa nostra generazione nessuno ha mai detto come arrivare a 80 anni. Non so se sia un bene o un male, ma se avessi saputo di vivere così a lungo forse sarei stato più quieto. Mi accorgo di avere una certa età perché il mio corpo, questo vecchio rottame, non è più quello di una volta.
Come hai scelto di fare questo mestiere?
Mio padre faceva il reporter al Corriere della Sera. Vivevo nel mondo della comunicazione. Da subito mi sono interessato più alla comunicazione che alla fotografia - i fotografi sono degli esecutori, io non faccio quel mestiere. Quando decisi di intraprendere questo percorso, mio padre mi disse che per prima cosa avrei dovuto studiare sia la tecnica che l’arte. Mi feci cinque anni di scuola d’arte applicata a Zurigo, una delle più prestigiose. La fotografia è nata per far vedere i luoghi e le persone: non avevi mai visto Parigi, ma vedevi foto della città. Il mondo è condizionato dall’immagine, viviamo di immagine. Prima della fotografia c’era ignoranza. Il 90% delle cose che conosciamo, le conosciamo perché abbiamo visto una fotografia: pensa alla guerra, non l’hai mai vista dal vivo ma solo attraverso immagini, eppure ne provi terrore. Poi negli anni ’60 sono nati i giornali di moda, e la fotografia di costume ha richiesto quella creatività non necessaria ai reporter. La mia fotografia è fatta di creatività: inventi, scegli, componi. Prima di tutto sei un autore, poi uno sceneggiatore, un regista, il direttore della fotografia e infine anche cameraman. Io sono il direttore artistico di me stesso. Fotografare è come scrivere: tutti sanno scrivere, ma non tutti sono scrittori o poeti. Lo stesso vale per la fotografia.
Il ritratto è il tuo modo di esprimerti?
Io non fotografo paesaggi, ma fotografo tutto ciò che ha a che fare con la condizione umana. La natura non mi commuove, però quando guardo la Cisa (la strada statale 62 che collega Toscana, Liguria e Emilia Romagna, ndr), mi rendo conto di come sia incredibile l’intervento umano sulla natura. Come fotografo mi sento testimone del mio tempo. Sono un situazionista: mi interessano
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The stud farm of Tenuta Toscani
witness of my time. I’m a situationist: I’m interested in the situations around me. The 1960s were the years of press photographers but, instead, I took pictures of Mary Quant’s miniskirt, which changed the world.
You took over 80,000 portraits in your lifetime, but what faces, what people left their mark on you?
The outcasts, those who nobody cares about. Those who just stand there and have no idea why you have any interest in them. Simple people are always ready to help, unlike top models who have never given me anything at all.
Let’s talk about your advertising campaigns. Which was the most difficult one?
In order to understand if and to what extent you are doing something really extreme that will be successful, you need, first of all, to feel uncomfortable about it, because that means that you’re going against your own morality. That’s the moment you actually become interesting. What’s more, you must do something you’ve never done before, by adding elements that no one has ever even conceived possible in that context. And you must not let yourself be influenced by moralists and conformists. If I could go back, I would pay even less attention to those telling me that it’s too much, that I can’t do it, that I don’t pass the politically correct test.
Tuscany is your home. When did you fall in love with this place?
In 1955, my father, mother and I were driving from Milan to Sicily and we stopped in front of Bolgheri’s Viale dei le situazioni che mi circondano. Negli anni ’60 c’erano i fotoreporter ma io fotografavo la minigonna di Mary Quant, che è stata una rivoluzione in tutto il mondo.
Nella tua vita hai fatto più di 80.000 ritratti, ma quali sono i volti, le persone che ti hanno segnato di più?
I reietti, quelli che non interessano a nessuno. Coloro che si mettono lì e non capiscono come tu possa essere interessato a loro. Le persone più semplici sono disponibili, non certo le top model che non mi hanno mai dato assolutamente niente.
Parliamo delle tue campagne pubblicitarie, qual è stata la più complessa?
Per sapere se fai qualcosa di veramente estremo che avrà un risultato, devi prima esserne imbarazzato, perché vuol dire che vai aldilà perfino della tua morale. Solamente allora, diventi interessante. Soprattutto, non devi fare qualcosa che hai già fatto, ma introdurre degli elementi che in quel contesto lì non erano neanche mai stati pensati. Inoltre, non devi farti influenzare da quelli che ti fanno le censure morali, né dalle reazioni di perbenismo. Se tornassi indietro starei ancora più attento a non ascoltare tutti quelli che ti dicono che è troppo, che non si può, che vogliono rimettere le cose sui binari del politicamente corretto.
La Toscana è casa tua, quando ti sei innamorato di questo luogo?
Nel 1955, con mio padre e mia madre mentre andavamo in macchina in Sicilia da Milano, ci fermammo davanti
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Another photo of Oliviero Toscani with his estate and Casale in the background His biography, Ne ho fatte di tutti i colori, was released in February by La nave di Teseo, but he is already working on his new book, Die Deutschen des einundzwanzigsten jahrhunderts (Il volto dei nuovi tedeschi)
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Cipressi. The only poem I had learned in school so far was Davanti a San Guido. Right there, for the first time, I was able to establish a connection between what I had learned in school and the real world. So this place remained stamped in my memory, and I later decided to settle here.
How did you become passionate about horses?
There was this one horse, a Maremma foal, that had been put up for slaughter. My daughter persuaded me to buy it in order to save it. I started looking at it and I made a direct association between that horse and my childhood passion, that is, cowboys and Native Americans. In those years, I was working in California, I went to a horse show at the Cow Palace and I was so impressed by the way they were trained. I started buying horses, many of which became national champions in the United States. When I turned 40, I travelled from New York to Milan with the first two horses I had bought there. We were the first to train American horses and now we have forty of them, among the best horses in Europe. Gennaro Lendi trains here and he is a world champion, the first Italian to become a million dollar rider.
You now have an estate where you produce some excellent wines…
Up to the eighties, wine was not a priority here. In San Francisco, I saw some wonderful vineyards thrive and I asked myself why nobody did it here. One day, a Mr. Masson, a great Bordeaux wine producer, arrived here to look at some racehorses that were bred in the area. Masson gave Mario Incisa della Rocchetta half an hectare of Cabernet Sauvignon vine shoots. He planted them on his estate which borders on the Viale di San Guido. In the beginning, he gave the wine to his friends, until it was sent to a wine competition and awarded. But Cavallari is the man who invented Bolgheri. Pier Mario Meletti Cavallari ended up here with Veronelli by pure chance and bought Grattamacco. We do not know if Bolgheri’s legendary wine revolution was the result of a gift or of the perseverance of Marchese Incisa della Rocchetta ( as he himself writes in the famous letter to Veronelli), but we could have spent the whole day listening to Oliviero’s stories about Tuscany. Once again, he lives up to his reputation of always standing out of the crowd. al viale di Bolgheri. L’unica poesia che avevo studiato a scuola fino a quel momento era Davanti a San Guido. Lì, per la prima volta fui in grado di connettere ciò che avevo studiato con la realtà. Fu così che mi rimase in mente questo luogo dove poi ho deciso di mettere le mie radici.
Come nasce la tua passione per i cavalli?
C’era un cavallo, un puledro maremmano che stava andando al macello e mia figlia mi convinse a comprarlo per non mandarcelo. Cominciai a guardarlo e collegai il cavallo con la mia passione di quando ero ragazzino, ovvero i cowboy e i pellerossa. In quegli anni lavoravo in California, mi dissero che c’era uno show di cavalli al Cow Palace e rimasi estasiato dalla loro educazione. Iniziai a comprare cavalli, molti dei quali sono diventati campioni nazionali degli Stati Uniti. Quando ho compiuto 40 anni mi sono regalato un viaggio da New York a Milano con i primi due cavalli importati da là. Siamo stati i primi ad avere i cavalli americani e adesso ne abbiamo 40 in addestramento che sono i migliori cavalli d’Europa. Gennaro Lendi si allena qui ed è campione del mondo, il primo italiano a entrare nei million dollar rider.
Oggi hai una tenuta dove produci degli ottimi vini…
Fino agli anni ’80 qui il vino non era una priorità. A San Francisco vedevo crescere delle vigne stupende e mi chiedevo perché non lo facessero anche da queste parti. Un giorno arrivò qui - se ben ricordo - il signor Masson, un grande produttore di vino di Bordeaux interessato all’eccellenza dei cavalli da corsa che venivano allevati nella zona. Masson regalò mezzo ettaro di barbatelle di Cabernet Sauvignon a Mario Incisa della Rocchetta che lo piantò a Sassicaia nella sua tenuta che confina con il viale di San Guido. All’inizio lo regalava agli amici, fino a che un giorno fu portato a un concorso e fu riconosciuto. Ma è stato Cavallari a inventare Bolgheri. Pier Mario Meletti Cavallari venne qui con Veronelli per caso e comprò Grattamacco. Non sappiamo se quella leggendaria rivoluzione enoica di Bolgheri sia nata davvero da un dono o da dalla ostinata ricerca del marchese Incisa della Rocchetta (come lui stesso scrive nella famosa lettera a Veronelli), ma saremmo rimasti tutto il giorno a sentire le storie di Oliviero sulla Toscana che non smentisce neanche in questo caso il suo essere sempre fuori dal coro.