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FARE IL PUNTO... PER POI SPOSTARLO

Abbiamo deciso di raccontare Eccentrica, la nuova collezione permanente del Centro Pecci, anche dal punto di vista di chi ha vissuto i primi entusiasmanti anni del Centro.

Stefano Collicelli Cagol, oggi direttore del Centro, ha intervistato per noi Liliana Moro che partecipò a una mostra collettiva curata da Amnon Barzel, geniale direttore del Pecci degli esordi. Allora come oggi la voglia di sondare e scoprire i territori incontaminati del contemparaneo.

Stefano Collicelli Cagol: Nel 1991, lei è tra i giovani artisti che partecipano alla mostra Una Scena Emergente. Artisti Italiani Contemporanei, ci racconta la sua prima volta al Centro Pecci?

Liliana Moro La prima volta che ho esposto lì fu una grande emozione perché si trattava della mia prima mostra in un’istituzione artistica e fu un’ottima esperienza. Il museo era diretto da Amnon Barzel, che ho sempre stimato molto, credo abbia avuto un’idea molto avanzata per quegli anni in un momento in cui si avvertiva un cambio nell’arte, si emergeva dalla Transavanguardia e esplodeva nuovamente l’Arte Povera. L’allora direttore decise di organizzare una mostra con i giovani che avevano poche esperienze, ma con un’idea di grande rispetto per il loro lavoro. Diede a ognuno la stessa cifra di produzione, le opere entrarono poi in collezione, dando modo così di testimoniare l’arte che si faceva in quel momento. La mostra aveva il numero

11 che ritornava: 11 artisti per 11 stanze di 11x11 metri. Io ero stata coinvolta da Adriano Trovato; facevamo entrambi parte del gruppo di Lazzaro Palazzi, un collettivo di artisti che vivevano a Milano e avevano studiato con Luciano Fabro. Avevamo la regola che qualora qualcuno di noi fosse stato invitato a una mostra avrebbe coinvolto gli altri a cui si faceva estendere l’invito. Io condivisi la sala con Stefano Arienti, che sebbene non fosse parte del collettivo era comunque un artista con cui c’era un forte dialogo. SCC: Può raccontare le tre opere che ha presentato in quella occasione? Una di queste, Favilla, è parte di Eccentrica. Le collezioni del Centro Pecci, l’allestimento permanente della collezione in un’ala del Centro, su progetto dello studio di design Formafantasma, che aprirà al pubblico il 6 maggio. LM La progettazione ha subito l’infuenza di uno spazio grande come quello delle sale del Centro Pecci. Favilla è un grande pezzo di gommaspugna chiuso in una rete metallica verde da giardinaggio ed è sollevato da terra da 8 carrelli elevatori usati dai meccanici per le macchine in ofcina. All’epoca mi piaceva lavorare con la gommaspugna per la sua capacità di assorbimento: della luce, dei suoni, degli odori, di tutto quanto le succede intorno, un materiale che si trasforma. Il secondo lavoro è Che idea! cinque palette da giardino con manico di metallo per raccogliere la polvere ciascuna con una lampadina che si accende a illuminare il niente, il terzo lavoro era costituito da una fla sul muro di timbrini di animali simili a quelli che ci facevano usare alle elementari negli anni Sessanta, con sotto un mangianastri portatile appoggiato a uno sgabello che riproduceva il sonoro del flm di Frank Capra Mr Smith va a Washington, una pellicola sulla capacità di accettare compromessi.

SCC: Che ricordi ha del Centro e della sua esperienza?

LM Ne sentivo l’energia, vedevo sempre delle bellissime mostre, era un nuovo museo in una città non così centrale rispetto alla tradizione del mondo dell’arte contemporanea. L’esperienza fu estremamente positiva, anche perché fu fondamentale per conoscere altre artiste e artisti come Daniela De Lorenzo, Paolo Canevari. Mi ha permesso di incontrare la comunità artistica toscana. Grazie a questa mia esperienza al Centro Pecci ho conosciuto il grandissimo Pier Luigi Tazzi e un giovane Sergio Risaliti. Venni poi invitata dal critico Saretto Cincinelli che scrisse uno dei testi più belli sulla mia ricerca. Ritornai poi per la chiusura della Galleria Schema a Firenze, nel 1994, che fu per me un grandissimo onore.

SCC: Ha qualche aneddoto che ci vorrebbe raccontare?

LM Mi ricordo che mi chiedevano spesso il perché del titolo dell’opera Favilla. Era il nome di una spugna per grattare che penso esista ancora. Mi piaceva questa analogia con la gommaspugna che usavo nell’opera. Ci fu molta curiosità relativa alla mostra, visto che raccoglieva una generazione nata negli anni Sessanta ancora poco conosciuta, mi capitò di conoscere critici milanesi a Prato, nonostante venissero dalla città dove vivevo. Il CID/Arti visive, l’archivio dedicato al contemporaneo, poi, era importantissimo, assieme alla prima scuola per curatori, furo- no due innovazioni, di cui Prato si dotò. Un aneddoto divertente è un ricordo che, da giovane artista che ero, mi capitò di ascoltare una conversazione in mostra senza essere riconosciuta tra due collezionisti, proprio a fanco alla mia opera, cercavano di indovinare il costo partendo da una stima dei materiali.

SCC: Finalmente oggi un’ala del Centro Pecci è dedicata in modo permanente alla sua collezione. Da artista cosa signifca per lei questa presenza all’interno degli spazi di un’istituzione che quest’anno compie 35 anni?

LM La collezione, per un’istituzione che ha come missione divulgare e cogliere il flo delle ricerche di più di trent’anni, e quindi recente (anche se artisti come me stanno venendo storicizzati ora) è un lavoro importante perchè è necessario mettere dei punti fermi su una narrazione. Non ci sono solo gli eventi per un nuovo pubblico che devono tenere in vita un museo. Prima vivevamo in un mondo più lento, e si aveva modo di osservarlo meglio, a volte le cose vanno sedimentate anche attraverso lo scorrere del tempo. Alla mostra del Pecci seguì quella del 1994 al Castello di Rivoli SOGGETTO-SOGGETTO a cura di Ida Gianelli, Giorgio Verzotti e Francesca Pasini, che svolse un ruolo di ricognizione su una generazione, ma che non fu poi seguita nel decennio successivo da un’attività che registrasse i cambiamenti come avvenne in Francia o nel Regno Unito per gli artisti e le artiste della mia generazione. Oggi è importante ascoltare i giovani che si stanno afacciando al mondo dell’arte ma anche aiutarli a crescere attraverso critiche costruttive. La ricerca, sia di un’artista che di un’istituzione, è fondamentale. Serve fare il punto... per poi poterlo spostare!

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