Periodico
di
cultura
enogastronomica
e
turismo
Anno 1 - Numero 4 - Settembre 2010
La tenuta Cà da Meo di Magda Pedrini è il risultato di un profondo amore per una terra che, grazie alla sua particolare posizione, da origine a coltivazioni assolutamente straordinarie nell’ambito dei vitigni che producono eccezionali Gavi docg. Da questa storia così carica di sentimenti umani e di lavoro nascono i vini della Tenuta che arrivano ad arricchire di stile e di gusto le nostre tavole. Tel. +39 0143 667923 Fax +39 0143 667929 • www.magdapedrini.it • E-mail: nuovacadameo@virgilio.it
Il prossimo settembre si svolgerà in Carnia la “Sagra del formaggio di malga” che si tiene da tempo immemorabile a Enemonzo (UD). Scendono dai monti i pastori con i loro tesori; con le stesse bestie, la stessa lavorazione, sotto lo stesso cielo hanno fatto lo stesso formaggio, eppure ogni forma sarà uno scrigno di sapori e profumi diversi. A Pienza i fratelli Mancini hanno ereditato un frantoio a cilindri e con grande sacrificio finanziario lo hanno trasformato in un frantoio a pietra per ottenere l’olio fragrante di una volta. A Zibello le signore della Buca, una trattoria ormai centenaria, inventano straordinari culatelli facendoli maturare in un ambiente che è stato perfezionato da più generazioni, vicino al grande fiume dal quale ogni sera si alza la nebbia che va a dare il suo umido abbraccio ai salami addormentati. A Farigliano (CN) in una zona dove si conosceva solo la “tuma langarola”, Giuseppe Ocelli decise qualche anno fa di recuperare alcuni formaggi che si producevano agli inizi del secolo e dei quali si era persa la memoria. Con molta pazienza e con l’aiuto di anziani quel suo sogno è diventato una realtà: sono stati recuperati dal passato formaggi dei quali era rimasto solo il ricordo; come se un fortunato antiquario avesse salvato dall’oblio cinque capolavori. A Santeramo in Colle (BA) i fratelli Benagiano - con molti sacrifici - continuano a produrre la pasta con trafile di bronzo e la lenta essicazione, come si usava 200 anni fa, in modo che la ricchezza delle sostanze contenute nel grano arrivi intatta al nostro organismo per arricchirlo e proteggerlo. A Putignano i fratelli Gigante hanno creato un’azienda biologica in un terreno senza fertilizzanti di sintesi chimica, senza antiparassitari o altri additivi, dove pascolano animali, molti dei quali allo stato brado, che possono nutrirsi con le erbe e i fiori che trovano e le loro carni e il loro latte hanno sapori che è sempre più raro gustare nella produzione industriale. Questi sono soltanto alcuni esempi dell’artigianato gastronomico che si trova in Italia; costoro dovrebbero essere aiutati e difesi come si aiutano e difendono i grandi artisti che danno lustro e vanto alla nostra patria o le opere d’arte sottoposte alle infamie del tempo. Invece spesso lo Stato con leggi e balzelli e assurdi regolamenti si prodiga per metterli in difficoltà. Per quanto tempo si terrà ancora la Sagra di Enemonzo? Le malghe sono ridotte ormai a poche decine e si assottiglia ogni anno il numero dei pastori che prendono la via dell’alpe. A Zibello una legge demenziale dovrebbe obbligare chiunque produca salumi artigianali a piastrellare le cantine fino al soffitto con la conseguenza di alterare il fattore umidità compromettendo la stagionatura. Si direbbe che qualcuno stia studiando con accanimento il modo migliore per convincere i pochi rimasti a desistere, a mettersi in riga con tutti coloro che si sono arresi alla routine, con il risultato che tra qualche anno, se vince la burocrazia, finirebbe il prodotto artigianale di alta qualità e si raggiungerebbe lo scopo – sognato forse da qualche industriale poco serio – di non avere più nessun termine di paragone, di far perciò trionfare la mediocrità. Paragonare un cibo ad un altro cibo, un vino ad un altro vino è fondamentale per migliorare la qualità dei prodotti e di conseguenza la qualità della vita. “Gustare l’Italia” si impegna a dar voce e ad aiutare chiunque persegua lo scopo di salvaguardare il frutto dell’esperienza di intere generazioni facendosi - se è il caso - promotore di iniziative per sensibilizzare l’attenzione dello Stato e dei consumatori.
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Gustare l’Italia
Editoriale
Gli artigiani del gusto
Sommario settembre 2010
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IN CUCINA
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E’ tempo di... Funghi
14
I piatti del ricordo La “madeleine” di Elio
19
I Saggi Degustatori
20
La Querceta, oasi di gusto
24
L’artigiano in cucina Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi Medagliani fa tutti e due
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IN TAVOLA
30
A tavola con le stelle La cena della vergine
38
Le lune di Gustare l’Italia Da Giovanni
44
L’artigiano in tavola L’arte della tavola a portata di GPS
49
IN CANTINA
50
Un vino da scoprire Il Calbanesco
Gustare l’Italia
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52
I sapori del vino Luci ed ombre
60
La fontina degli Arpian
68
La “Bataille des Reines”
55
In giro per... La Valle d’Aosta
73
RUBRICHE
56
Il turismo in Valle d’Aosta
74
I ristoranti Expo “Il luogo” di Aimo e Nadia
80
Le ricette dell’unita d’Italia
84
Brindisi d’autore
86
Il carrello della spesa
88
Il cibo nel cinema
90
I libri da mangiare
92
Appuntamenti
96
QUIZ Sei un vero gourmet?
98
INDICE RICETTE
Periodico di enogastronomia e turismo - Anno 1 - Numero 4
Settembre 2010 - Testata registrata presso il Tribunale di Milano
Direttore Responsabile: Massimo Balletti - Direttore Editoriale: Davide Rampello - Cino Tortorella Caporedattore: Marinella Croci Responsabile Dipartimento Grafico: Daniele Colzani Grafica e impaginazione: Daniele Colzani - Giovanni Di Gregorio Responsabile Diffusione: Roberto Zanutto Concessionaria pubblicità: Press Video Edizioni Pubblicità Responsabile Trattamento Dati Personali: Paola Cattaneo L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiedere gratuitamente la rettifica o cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs 196/2003 scrivendo al Responsabile del Trattamento Dati Personali: Press Video Edizioni - Via Rosellini, 5 - 20124 Milano
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Gustare l’Italia
© Gianni Renna
In cucina
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Gustare l’Italia
Forse nessun dono della natura ha colpito la fantasia degli uomini come il fungo, questa creatura “strana” che appare all’improvviso sulla terra o sugli alberi o anche sottoterra e non deriva da un fiore ma nasce già frutto che porta a maturazione dei semi che si chiamano “spore”; e le spore danno vita alla vera pianta che si chiama “micelio” e dal micelio nascono nuovi funghi e dai funghi le spore e dalle spore il micelio e il ciclo continua… Pur non essendo dei fiori, hanno spesso colorazioni molto vivaci; ve ne sono multicolori – rossi, gialli, verdi, violetti - e addirittura luminescenti. Alcuni profumano di anice, iris, lavanda, cuoio, altri emanano sentori di alloro,
Autunno - Il fungo “Il cielo ride un suo riso turchino benché senta l’inverno ormai vicino. Il bosco scherza con le foglie gialle benché l’inverno già senta alle spalle. Ciancia il ruscel col rispecchiato cielo, benché senta nell’onda il primo gelo. E sorto è ai pie’ d’un pioppo ossuto e lungo un fiore strano, un fiore a ombrello, un fungo”. (poesia di Marino Moretti)
È tempo di...
di Arabella Pezza
Funghi
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aglio, finocchio o pepe. Sono fra le espressioni più misteriose della natura e proprio per questo sono da sempre così affascinanti. Per gli inesperti la parola “fungo” può provocare una sensazione fisica positiva (l’acquolina in bocca per i buongustai) oppure una sensazione psicologica negativa dettata della paura del veleno. Eppure le specie di funghi sicuramente mortali sono pochissime e non bisogna dimenticare che sono numerosi anche i fiori e le piante di cui si può morire (la Belladonna, la Cicuta, l’Elleboro…). Su settecento specie di funghi circa duecento sono mangerecce, una ventina velenose, mentre tutte le altre sono assolutamente innocue.
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Nei secoli però molte sono state le leggende, le credenze popolari, i pregiudizi che si sono creati intorno ai funghi senza alcun fondamento scientifico e spesso addirittura in contraddizione l’un con l’altro: non è vero ad esempio che i funghi mangiati dalle lumache non siano velenosi; non è vero che quelli acri, pepati o amari siano pericolosi; non è vero che i funghi che durante la cottura fanno annerire l’aglio, il prezzemolo o l’argento non si debbano mangiare; non è vero che perdono il veleno se lavati col l’aceto, né che diventano velenosi se morsi dalle vipere. Per conoscere i funghi è indispensabile avere delle nozioni di botanica e riconoscere almeno le specie più pericolose, per evitarle. Fino a qualche anno fa era consuetudine leggere sui giornali in autunno di intere famiglie avvelenate dai funghi; nel 1965 furono moltissimi gli avvelenamenti gravi ed un cinquantina addirittura mortali; l’abbondanza di pioggia, l’assenza di vento e le temperature miti avevano favorito una forte produzione di funghi di ogni specie e i raccoglitori occasionali, ignari
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del pericolo, raccolsero e cucinarono anche la mortale Ammanita falloide, il Cortinarius orellanus, l’Entoloma lividum e la Lepiota helveola. Da allora le cose sono molto cambiate ed è sempre più raro apprendere di qualcuno che sia dovuto ricorrere ad una lavanda gastrica per avvelenamento da funghi. Per fortuna: perché se ci si dovesse privare di questi doni della natura si rinuncerebbe a cibi straordinari; nei secoli i funghi hanno sollecitato la fantasia dei cuochi i cui piatti hanno scalato la hit-parade delle preferenze gastronomiche dei gourmet. Nella zona mediterranea i funghi si possono trovare sia in pianura, sia in montagna. Ci sono funghi che appaiono solo in primavera o estate, altri solo in inverno inoltrato, anche se l’epoca media della maggior produzione coincide col periodo delle grandi piogge: l’autunno. In questa stagione la natura ci regala i
più preziosi: gli ovoli, i porcini, e soprattutto il re di tutti i funghi, il divino misterioso “magnatum pico” quello che Giovenale chiamava “cibo degli dèi”, Plinio “gioiello della terra”, Brillat Savarin “il diamante della tavola”: sua maestà il tartufo. E’ il tartufo un fungo ipogeo, si nasconde sottoterra e va conquistato come i tesori nascosti nell’isola dei pirati, ma dei tartufi parleremo più diffusamente nel numero di novembre di “Gustare l’Italia” poiché, anche se in qualche regione per ragioni puramente commerciali si facciano fiere di tartufi ad ottobre (ad Alba, ad Acqualagna, a Dovadola), è da novembre che questo dono della terra esprime al meglio la sua magìa, il suo incantesimo, il suo puro piacere. Arrivederci a novembre dunque per i tartufi ma per questo inizio di autunno accontentiamoci dei prataioli, dei finferli, dei galletti, dei chiodini o dei deliziosi carboncelli delle Murge, senza però dimenticare che vi sono anche specie di funghi che possono essere come nel caso del Prataiolo bispora, la cui coltivazione ebbe inizio in Francia verso la metà
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dell’Ottocento e oggi in Italia va diffondendosi su scala industriale. Tuttavia, da sempre, si usa “andare a funghi”, cioè organizzare delle scampagnate per raccoglierli; è importante tenere a mente poche, semplici norme: raccogliere gli esemplari nella loro interezza; deporli all’interno di un cestello di vimini o di paglia, così che restino areati; non coglierli subito dopo la pioggia; annusarli sempre. Dopo averli raccolti non è necessario lavarli prima di cuocerli, basta completare la pulizia con uno straccetto umido. Per alcune specie è però necessario eliminare il gambo in quanto diventa legnoso durante la cottura. I funghi cotti non servono solo come piatto di contorno, bensì possono venire utilizzati anche come condimento, come ripieno o come piatto unico (come ad esempio le grosse Vescie). Il modo più semplice per conservare i funghi è l’essicazione, che li mantiene particolar-
mente profumati. Possono venire essiccati tutti i funghi mangerecci a carne non fibrosa: i Porcini, le Vescie, i Prataioli… alcuni si possono anche preparare sott’olio o sott’aceto (ottimi i Prataioli coltivati). Da non dimenticare, infine, che oltre ad essere decisamente eclettici e sapidi, i funghi offrono anche un nutrimento gradevole e sano, ricco di vitamine. Rilevante è inoltre il loro contenuto in proteine, vicino a quello del latte e delle uova, e di minerali quali il fosforo, il potassio, il bromo, il ferro e il rame. E’ stato accertato che circa 300 grammi di funghi freschi coltivati sono sufficienti al fabbisogno giornaliero di gran parte delle vitamine necessarie ad una persona adulta; ma un vero gourmet non si interessa a questi particolari “tecnici”, cerca nei funghi i sapori, i profumi, le sensazioni che riescono a creare i grandi che dei quali vi diamo qui di seguito qualche ghiotto esempio.
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Le ricette proposte sono dello chef Denis Ferrari del ristorante “Teatro Verdi” di Cesena
Pressata di polipo con olive su insalatina di funghi all’aceto balsamico Ingredienti: g. 800 di piovra o polipo - g. 100 di olive verdi - g. 200 di funghi bianchi - olio extravergine di oliva - 5 cucchiai di aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia - 1 bicchiere d’aceto - di vino bianco - 1 cucchiaio di semi - di coriandolo - gambi di prezzemolo - 4 chiodi di garofano - la scorza di 1 limone - (solo la parte gialla) - acqua . Per il court-bouillon: 1 carota - 1 costa di sedano - 1 cipolla - foglia di alloro - 1 porro - 1 scalogno - 1 pugno di sale grosso - pepe bianco in grani Preparazione: in un tegame capace preparare un court-bouillon con tutti gli ingredienti elencati, in abbondante acqua salata. Quando questa bolle, aggiungere il polipo e cuocere per circa 50 minuti. Scolarlo, metterlo in uno stampo, aggiungere le olive denocciolate e metterci un peso sopra. Raffreddare in frigorifero o nel reparto congelatore. A parte spellare i funghi, tagliarli a fettine sottili e condirli con una vinaigrette di sale, pepe, olio extravergine e alcune gocce di aceto balsamico. Affettare poi il polipo con l’affettatrice e adagiarlo sopra i
Ricette
funghi.
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Filetto di rombo in crosta e salsa di erbe aromatiche Ingredienti: 4 filetti di rombo - di circa g. 120 cadauno - g. 150 di patate - g. 100 di carote - g. 200 di zucchine 1 bicchiere di brodo di pesce - g. 200 di funghetti freschi - spicchio di aglio - 2 scalogni di Romagna - 20 di timo - g. 10 di maggiorana - g. 20 di origano - g. 30 di capperi - agar agar o 1 cucchiaino - di Maizena - olio extravergine di oliva - sale e pepe bianco q.b. - 1 noce di burro Preparazione: pulire bene i filetti di rombo, condirli con sale e pepe, metterli in forno a 180°C per 5 minuti. Nel frattempo sbollentare in acqua salata le patate tagliate sottili, metà delle zucchine affettate e le carote tagliate a fette longitudinalmente. Adagiare sul pesce prima le rondelle di patate, quindi le strisce di zucchine e carote. Rimettere in forno a 190°C per altri 10 minuti. Pulire le erbette aromatiche e tritarle finemente, insieme ai capperi. A parte, in un tegame con olio, far appassire lo scalogno e unirvi la parte verde delle restanti zucchine; farle trifolare con pepe e sale, quindi aggiungervi un bicchiere di brodo di pesce e addensare con agar agar. Togliere dal fuoco e versare nel mixer insieme alle erbe aromatiche. In un altro tegame trifolare in olio con uno spicchio d’aglio i funghetti tagliati a fette, salati e pepati e profumati con foglie di timo. Estrarre i filetti di rombo dal forno e adagiarli sopra alla salsa di erbe aromatiche e zucchine. Porre nei piatti con a fianco i funghetti trifolati.
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di Felice Maratea
I piatti del ricordo
La “madeleine” di Elio Per ognuno di noi c’è il sapore e il profumo di un cibo ci riporta indietro nel tempo, in un altro luogo, accanto a persone care che forse non ci sono più; è quello che si chiama “effetto madeleine” perché il primo ad averlo descritto è stato Marcel Proust nel suo copolavoro “A’ la recherche du temps perdu”. Certo c’è una madeleine anche per Elio, il simpatico leader delle Storie Tese, che in realtà è l’ing. Stefano Belisari dal momento che vanta una laurea in ingegneria al Politecnico, la più prestigiosa università milanese. Incontro Elio-Stefano alla reggia di Colorno, trasformata in una scuola di grande cucina di cui è preside (meglio: “magnifico rettore”) Gualtiero Marchesi. Siamo l’uno accanto all’altra in attesa di una cena che sarà favolosa perché cucinata da chef tra i più famosi d’Italia, tutti allievi del grande Gualtiero. Fra un piatto e l’altro gli chiedo qual è la sua “madeleine”, quella che lo riporta indietro nel tempo, quella che preferisce più di ogni altro, quella che vorrebbe ritrovare in Paradiso quando, fra cento anni, vi approderà. Elio sorride e non ha esitazioni: “I tortelli di zucca di nonna Paola”. si lascia andare ai ricordi: è nato a Milano da genitori anch’essi della stessa città, ma se si risale ai nonni ecco che si incontrano due coppie di emigranti arrivati nel capoluogo lombardo alla ricerca di lavoro: gli uni, i nonni paterni, da Roseto degli Abruzzi, gli altri da
Ascoli Piceno e dal Mantovano, tutti e quattro sarti.Entrambe le nonne sono ottime cuoche e si contendono l’affetto del nipotino cercando di prenderlo per la gola; la nonna abruzzese, Francesca, con il timballo di lasagne che a Roseto viene fatto con le crespelle (anzi con le “scrippelle” come le chiamano), mentre nonna Gianna di Pomponesco, un paesino in provincia di Mantova, cerca di conquistarlo con i tortelli di zucca, i “turtei de sücca”, come dice lei.
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La lotta fra “scrippelle” e “turtei” è aspra e dura ma presto, man mano che il bimbo cresce, non c’è più gara e la vittoria, anzi il trionfo, va a nonna Gianna e ai suoi favolosi e inarrivabili tortelli. Preghiamo Stefano di chiedere a nonna Gianna di darcene la ricetta per i lettori di “Gustare l’Italia” ed egli ci dice che lo farà molto volentieri, ma ci avverte che sarà del tutto inutile perché se non son fatti con le materie prime che adopera la nonna: con “quella” farina, “quella” mostarda, “quegli” amaretti, non avranno lo stesso sapore; e se anche si riuscisse a procurare tutti gli ingredienti, sarebbe altrettanto inutile se non saranno fatti dalle sue mani. Come se si dessero ad un pittore i colori usati dal Botticelli per dipingere la Primavera e gli si chiedesse di rifare lo stesso quadro. Comunque proviamoci: incominciamo dalla sfoglia. Chi la farà ? Nonna Gianna fa sfoglie da quando era bambina e calcola di averne fatte tante da ricoprire l’intera provincia. “Quando la sfoglia è fatta deve sembrare al tatto delicata come il velluto” - dice la nonna. Dove sono le “sfogline” ancora capaci di fare una sfoglia così? Eppure è così che si conquistano i mariti e poi anche i nipoti. Occorre poi inoltre fare attenzione al tipo di zucca da adoperare. Perfette sono quelle dette “americane”: gialle, pesanti, dalla nerva-
tura molto pronunciata. Maturano in luglio e vanno conservate con grande attenzione, con la cura che si deve ad un cibo prezioso. E’ bene tenerle appese per il picciuolo per evitare ammaccature che ne comprometterebbero il delicato sapore. La nonna le tiene addirittura nella bambagia. Sono arrivate dall’America verso la metà del ‘500, insieme alle patate, ai pomodori, ai peperoni perché Elio potesse mangiare a Natale i “turtei” della nonna senza i quali per lui non sarebbe Natale. Chi per primo ha avuto la genialità di mettere la zucca nei tortelli ? Quante generazioni si sono succedute prima di arrivare alla perfetta armonia di nonna Gianna?
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Elio non riesce ad immaginare che ci fu un tempo in cui non esistevano, un cupo medioevo gastronomico senza tortelli di zucca. Chi poi sarà stato il primo ad aver la fantastica intuizione di aggiungere gli amaretti alla zucca? E quale genio culinario ha dato il tocco magico della mostarda? Per la mostarda occorrerebbe un capitolo a parte. C’è da premettere intanto che nel mantovano ci sono forse cento modi di cucinare i tortelli di zucca; cambiano di città in città, di quartiere in quartiere addirittura di casa in casa … perciò c’è chi giura sui sacri testi che la mostarda giusta è quella fatta con pere, prugne, albicocche e mele, altri, (i modenesi, pazzi!) la
ignorano nella loro ricetta e la sostituiscono con il pangrattato; nonna Gianna segue la tradizione di Parma e Ferrara e ritiene che perfetta sia quella di mele. A questo punto non è ancora finito: con che cosa si condiscono? Anche qui i pareri sono discordi: c’è chi sostiene che vadano esaltati col solo burro (meglio se mantovano o parmigiano) e altri, considerati eretici, li preferiscono ricoperti di ragù; nonna Gianna è un’ eretica e i tortelli li vuole al ragù (e col parmigiano, ça va sans dire). Mentre Elio mi racconta queste cose continuano ad arrivare in tavola cibi che dovrebbero essere eccezionali ma che, pensando ai tortelli di nonna Gianna, sembrano banali e scipiti. “Per me non sarebbe Natale senza i “turtei de sücca” - afferma serio Elio - e tremo al pensiero di quando la nonna smetterà di farli; ogni anno mi dice che l’anno prossimo passerà la mano alla sorella più giovane. Quanti anni ha la sorella più giovane? “Novantuno. La nonna ne ha 93 anche se ne dimostra trenta di meno. Credo che la cucina della nonna faccia bene alla salute”. E che cosa bevi sopra i tortelli? Rigorosamente Lambrusco Mantovano, un vino senza etichetta, nero come il demonio, che arriva alla nonna dalla campagna per misteriose vie . Dice Elio. E di colpo anche il vino che stiamo bevendo, che pure è di una marca pregiata, diventa una bevanda anonima.
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TORTELLI DI ZUCCA Ingredienti per 4 persone: 500 gr di farina; 4 uova; 1 kg di polpa di zucca gialla; 100 gr di amaretti; 150 gr di mostarda di mele; 300 gr di Parmigiano; 1 limone; 100 gr di burro; noce moscata; sale q.b. Preparazione: cuocere la zucca, scolarla e passarla al setaccio. Tritare gli amaretti, unire le mandorle e la mostarda. Aggiungere la zucca, il Parmigiano, la buccia del limone grattugiata e amalgamare bene il tutto fino ad ottenere un composto omogeneo. Preparare la sfoglia per i tortelli con le uova e la farina. Tagliarla in quadrati di circa 8 cm di lato e riporre al centro di ognuno una noce di ripieno.
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Ricette
Š Gianni Renna
Richiuderli e cuocerli in abbondante acqua salata per circa 3-5 minuti e condirli con burro fuso.
Viene istituito da “Gustare l’Italia” un Osservatorio Gastronomico (o del Buongusto) che si pro-
© Gianni Renna
l progetto prevede di riunire sotto la presidenza di un’illustre personalità un gruppo di esperti denominato il “Simposio dei Saggi Degustatori” che dovranno individuare quei prodotti (vini,olii, salumi, dolci, paste alimentari etc…) degni di essere indicati ai consumatori come prodotti di eccellenza e di potersi fregiare della “Gold Medal”. Il Simposio sarà costituito da sette gourmet che, pur essendo
esperti nell’arte del buon mangiare e del buon bere, non abbiano interessi nel business della gastronomia. I Saggi Degustatori daranno i propri consigli e suggerimenti in forma gratuita e disinteressata e la loro ricompensa consisterà nel contribuire ad aiutare, sostenere, incoraggiare quegli artigiani che difendono la qualità e la genuinità dei loro prodotti spesso con grandi sacrifici, a volte nel disinteresse delle istituzioni e l’insofferenza di una certa industria. I componenti del Simposio, del quale fanno parte illustri nomi del mondo della cultura, dell’arte, dello spettacolo, riceveranno i prodotti da giudicare ed emetteranno i propri giudizi nella più assoluta liberta ed indipendenza. Tali giudizi verranno pubblicati su “Gustare l’Italia” che diventerà l’organo ufficiale del Simposio; con l’ausilio dei Saggi Degustatori, la rivista collaborerà a tracciare il sentiero che permetterà ai nostri consumatori di districarsi fra le varie informazioni che li frastornano, a indicare ciò che meglio può soddisfare non sola la gola ma lo spirito e la mente alla ricerca della felicità cui ogni uomo aspira.
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I Saggi Degustatori
pone di segnalare i prodotti di alta qualità e prestigio della gastronomia.
di Roberto Bianco - Foto di Mirko Lo Russo
La Querceta, oasi di gusto I primi prodotti che verranno sottoposti al giudizio dei Saggi Degustatori arrivano dal Sud, da un’azienda agricola circondata da boschi di querce, un’oasi nella Murgia pugliese a metà strada fra Putignano e Gioia del Colle a circa 40 chilometri da Bari
La Querceta è la giovane moderna realtà creata dai fratelli Gianluca e Piero Gigante che qualche anno fa quando papà Francesco decise di affidare loro la direzione dell’azienda di famiglia produttrice di carni, salumi e latticini, furono subito d’accordo di impegnare tutte le loro risorse per trasformare l’azienda attrezzandola con le tecnologie più avanzate al fine di ottenere prodotti di alta qualità senza però dimenticare le tradizioni del passato e le esperienze di chi li aveva preceduti.
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Non è facile imporre la qualità in un attività dove regnano pressapochismo, imbrogli, sofisticazioni, non è facile per chi vuol realizzare prodotti di prestigio competere con chi mette sul mercato merce scadente a prezzi irrisori fra l’indifferenza e a volte la connivenza di chi dovrebbe controllare e punire, ma i fratelli Gigante non si sono spaventati; Gianluca, il più anziano, ha fatto il servizio militare nei Carabinieri e dopo un anno di servizio era stato addirittura tentato di restarvi, ma sfortuna-
tamente per l’Arma e felicemente per l’agricoltura pugliese ci ha ripensato e ritornato a Putignano si è dedicato con il fratello a rinnovare la Querceta. La prima decisione è stata quella di puntare sul “biologico”, quello vero, quello troppo spesso tradito e mortificato da agricoltori che dietro a questo aggettivo mascherano prodotti dozzinali, a volte addirittura dannosi per la salute dei consumatori solo per poterli vendere a prezzi più elevati. Per i fratelli Gigante coltivare biologicamente non ha voluto dire seguire la moda, ma continuare una filosofia di vita tramandata da generazioni. In agricoltura ci sono le varietà cosiddette antiche che non hanno bisogno di difese chimiche perché la Natura stessa ha affinato negli anni il modo di difendere da sola le sue creazioni e l’uomo ha imparato ad assecondarla
senza prevaricarla o violentarla, semplicemente seguendo i suoi suggerimenti e facendo tesoro delle esperienze maturate nei secoli. Niente fertilizzanti di sintesi chimica dunque, niente antiparassitari sulle piante e sul territorio, niente conservanti o coloranti o altri additivi chimici sui prodotti, con il risultato di eliminare i rischi tossicologici per il consumatore, di aggiungere ai prodotti sostanze antiossidanti, sali minerali, vitamine e di arricchirne e intensificarne i sapori. Non c’è rischio di avvelenamenti nelle falde acquifere della Querceta e gli animali, molti dei quali, vivendo allo stato brado liberi nei campi possono tranquillamente nutrirsi con le erbe ed i fiori che trovano così che le loro carni e il loro latte hanno sapori che è sempre più raro gustare nella produzione industriale.
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Per quanto riguarda il latte e i suoi derivati inizialmente l’attività dell’azienda era indirizzata esclusivamente ai prodotti tradizionali della Valle d’Itria: mozzarella, burrate, ricotte, caciocavalli…. ma da qualche anno si è deciso di puntare sulla stagionatura proprio grazie alla purezza della materia prima, ed è così possibile gustare formaggi che sono rimasti anche fino a 36 mesi nella cantina della masseria diventando di giorno in giorno sempre più squisiti. Fantastici e inarrivabili quelli ottenuti dal latte di mucche podoliche; è facile che un’azienda casearia di grandi dimensioni allevi questi bovini; le mucche normali vivono la gran parte
della loro vita nelle stalle seguendo un alimentazione controllata e la loro resa in latte è di circa 25/30 litri; le mucche podoliche dalle lunghe corna, discendenti dal Frostosauros Macroceros dei Paesi nell’Europa Meridionale vivono invece in assoluta libertà mangiando quello che trovano nei campi; fanno pochissimo latte (3/4 litri al giorno) ma di qualità superiore; nel loro latte e nei formaggi che ne derivano si ritrovano i profumi delle erbe e dei fiori dei quali si sono nutrite ed è una gioia gu-
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starli soprattutto in primavera quando la natura regala i suoi frutti più preziosi. Naturalmente il prezzo di questi prodotti non può competere con chi non ha problemi nel ricorrere a modi scorretti nella produzione e la battaglia non è delle più facili: sarebbe come se un pugile affrontasse un match di boxe con un braccio legato; dovrebbero essere gli Enti preposti all’antisofisticazione a privilegiare la qualità e fare in modo che il rapporto qualitàprezzo non sia sempre a favore di chi imbroglia. Come ci si difende ? Non è un segreto che molti caseifici realizzino i loro prodotti con “pasta filata” detta anche “pasta tedesca” perché arriva per la maggior parte dalla Germania (ma anche da altri Paesi dell’Est Europeo dove spesso sono ignorati i più elementari principi dell’igiene); si tratta di un additivo del quale si ignora ancora oggi la vera composizione che ha il compito di abbassare il costo di produzione e certo l’abbassano in modo determinante se si tiene conto che con un chilo di pasta filata si riesce a produrre quattro chili di mozzarelle con la semplice aggiunta di acqua. Gianluca Gigante sostiene che il 90% delle mozzarelle italiane è creato con una percentuale altissima di questa pasta (la sua è un affermazione di assoluta gravità che ci proponiamo di riferire alle competenti Autorità per avere una risposta che ci tranquillizzi) ma intanto basterebbe, per la corretta informazione da dare al consumatore, che sull’etichetta di una confezione di mozzarelle fosse obbligatorio segnalare la presenza di queste sostanze. In attesa che qualcuno intervenga a contrastare questo andazzo che mette nei seri guai i
produttori onesti (il prezzo del latte in questo periodo è in caduta libera) i fratelli Gigante stanno provvedendo da soli a difendersi; oltre ad affidarsi al gusto dei consumatori - un vero gourmet riesce con facilità ad avvertire la differenza fra un prodotto caseario “trattato” e le delizie gastronomiche della Querceta - hanno provveduto ad eliminare la gran parte degli intermediari che si frappongono fra il produttore e il consumatore facendo inevitabilmente lievitare i prezzi. Attualmente i prodotti della Querceta, oltre ai mercati regionali arrivano anche al Nord e perfino all’Estero (soprattutto in Olanda dove sono molto apprezzati per il rapporto qualità - prezzo). Non è una lotta facile e le Autorità dovrebbero porre maggiore attenzione nell’aiutare questi giovani che sono una ricchezza per il futuro del Paese e sono di esempio per molti giovani che grazie a loro stanno riscoprendo il piacere del lavoro nei campi. La “filiera corta” (dal produttore al consumatore) è dunque una maniera efficace per combattere la concorrenza truffaldina e noi di “Gustare l’Italia” daremo il nostro contributo, mettendo a disposizione le nostre pagine a chi è impegnato nella lotta per la difesa della qualità e della supremazia dei prodotti italiani, una lotta importante per la nostra economia ma anche per la nostra cultura. Noi siamo stati conquistati dai prodotti della Querceta ma adessola parola passa ai Saggi Degustatori: riceveranno a casa in tempo brevissimo le mozzarelle, le burrate, la ricotta, i caciocavalli freschi e stagionati, l’olio e i salumi che si producono alla Querceta (mi accorgo di non avervi parlato di questi ultimi che sono
ottenuti dai maiali allevati come a loro piace,l iberi di sguazzare dove gli pare, liberi di nutrirsi a loro piacimento) ed esprimeranno il loro giudizio, severo ed inappellabile, in assoluta libertà. Se come mi auguro il responso sarà positivo, i fratelli Gigante potranno esporre sulla loro Azienda la prima gloriosa “Gold Medail” di “Gustare l’Italia”.
I gourmet che a loro volta desiderano gustare le delizie della Querceta, potranno richiederlo scrivendo all’indirizzo mail info@querceta.com (e se diranno di essere lettori della nostra rivista, avranno diritto ad uno sconto). Chi ha pazienza potrà attendere la primavera perché per allora sarà pronto un Agriturismo (10 camere) e chi avrà la ventura di approdare alla Querceta, potrà gustare, piacere ormai rarissimo, il latte “appena munto” così come lo bevevano i nostri nonni. Godranno inoltre di ciò che è difficile da esportare anche se si è bravi e determinati come i Gigante: il sole, l’aria, la magia di questa favolosa regione che è la Puglia.
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di Arabella Pezza - Foto di Andrea Idini
L’artigiano in cucina
Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Medagliani fa tutti e due
Dietro ad un grande ristorante c’è sempre un prezioso lavoro di artigiani; sono quelli che assicurano i prodotti più esclusivi che realizzano con fedeltà alla tradizione. Ogni grande chef ne ha un piccolo esercito sul quale sa di poter contare per avere le carni più pregiate, gli olii più sapidi, le paste, gli ortaggi, i vini, la frutta, per realizzare le loro creazioni. E lo stesso vale per gli artigiani che forniscono gli “arnesi da lavoro”, gli strumenti necessari spesso ideati apposta per gli chef che non si accosterebbero ai fornelli senza averli a disposizione.
Gualtiero Marchesi è certo un artista della cucina, ma un aiuto alla sua arte, alle sue invenzioni gli è stato dato - non ne fa mistero - dalle creazioni di Eugenio Medagliani, terza generazione dell’azienda che dal 1860 produce utensili da cucina, dai più semplici ai più sofisticati. Ho un appuntamento con Medagliani per un’intervista. Siamo alla fine di luglio; da domani l’azienda chiuderà per un mese di ferie. E’ un pomeriggio d’estate luminoso e silenzioso, Milano si sta svuotando e i pochi rimasti in città si osservano con un misto di complicità e di circospezione.
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Incontro Eugenio Medagliani nel suo “spazio” di via Oslavia, nei pressi della stazione di Lambrate; mi accoglie con una battuta - e sarà solo la prima di una lunga serie - “Sei tu il fotografo?”, mi domanda. Non lo conosco, così resto un po’ spiazzata - “No, veramente io sarei l’intervistatrice…”. Ride di gusto - e dopo rideremo molto anche insieme - e mi invita ad accomodarmi alla sua scrivania, coperta di carte.
Inizia subito a raccontarmi le mille cose che, nonostante gli ottant’anni splendidamente portati e dei quali va molto fiero, realizza ogni giorno: da 35 anni è Direttore della rivista “Il cuoco” (il magazine ufficiale della Federazione Italiana Cuochi) che viene distribuito ai 22 mila soci, dei quali ben 800 sono chef italiani sparsi in tutto il mondo; da 22 collabora col mensile “A Tavola” e, da pochi mesi, con “Gourmet Italia”. Nel corso degli anni ha anche partecipato a svariate trasmissioni televisive e ha inventato il premio “Prospettiva cucina”: ogni anno viene premiato chi ha sempre esercitato una professione sognando però di realizzarsi come cuoco e - alla fine - ha deciso di mollare tutto per concretizzare i propri desideri di chef. “Cammina bene l’uomo quando sa dove andare” - mi spiega serio Eugenio - “ è il profondo significato della frase di Antoine de Saint”Exupéry (autore del “Piccolo Principe”) che ho sempre tenuto presente nella mia attività di piccolo imprenditore, cercando di individuare, con un misto di ispirazione e di intuizione geniale, con tenacia e determinazione,
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uno “spazio” strategico da occupare sul mercato. La mia azienda somiglia ad una bottega di medievale memoria, inserita in un settore in cui sono riuscito a ritagliarmi una nicchia di mercato, dove la strategia è intuito, il controllo di gestione è “navigazione a vista”, la gestione dei dipendenti si fonda sul rapporto diretto e
sulla conoscenza personale; pensa che alcuni dei nostri operari sono i nipoti di quelli che hanno iniziato con mio nonno. Dietro un’apparente disorganizzazione si riconosce l’armonia di un disegno coerente che è, a sua volta, una forma d’ordine “. Eugenio mi racconta che l’azienda nasce un anno prima dell’Unità d’Italia; si trattava di una bottega di lattoniere in via Borgospesso (bourg spess, cioè borgo delle case costruite quasi una sull’altra, popolari insomma), ai limiti della periferia della città di allora. Era una via di artigiani e di operai, dalle attività rumorose e maleodoranti. Pasquale, suo nonno, era rimasto orfano di padre a sette anni e, giunto a Milano, gli era stato offerto un
lavoro come aiuto garzone in una bottega di lattoniere, in cambio di vitto e alloggio; ogni domenica aveva il permesso di presenziare alla prima messa e poi tornava, naturalmente a piedi, nella sua Pavia a trovare la mamma. Grazie alla gran voglia di lavorare dopo una trentina d’anni riuscì a rilevare l’azienda e addirittura ad aprire una nuova attività in una bottega più ampia, in via San Pietro all’Orto. Qui entrarono a lavorare i figli Piero e Giannino, “il padre dei cuochi italiani”, oltre che di Eugenio, fino all’infelice agosto 1943 quando le bombe dei liberatori bruciarono La Scala, la Galleria e anche la bottega della famiglia Medagliani. Nel dopo guerra Giannino volle che il figlio andasse all’Università; Eugenio si iscrisse alla facoltà di chimica pura a Pavia e studiò fino a quando - 4 anni dopo - il padre, che aveva riaperto una piccola attività di forniture di utensili da cucina, non lo richiamò a Milano per lavorare insieme. “Passai così dalla chimica pura alla chimica della gastronomia” - ammette. E con risultati notevoli, visto l’incredibile successo della sua azienda. Da Medagliani è possibile non solo trovare ogni genere di utensile da cucina o strumento per la cottura, ma anche apprendere il senso di forma e funzione in rapporto alle modalità di utilizzo e alle finalità cui sono destinati gli “attrezzi”. Inoltre, oggi Simone, il figlio di Eugenio, ha aperto anche lo “Spazio Medagliani”, un’area attrezzata per dimostrazioni dal vivo che danno
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corpo alla “cultura della cottura”; infine, da non dimenticare le pubblicazioni della casa editrice consociata “Bibliotheca Culinaria” che riguardano - ça va sans dire - l’universo della gastronomia. Tutti i più grandi chef sono passati da Medagliani, a cominciare da Gualtiero Marchesi, forse il più grande di tutti., “Conobbi Gualtiero Marchesi 56 anni fa, quando era ancora agli inizi, e da allora ci legano affinità naturali, passioni in comune e un profondo rapporto di lavoro e di amicizia. Gualtiero mi parlava di vivande e del modo giusto per cuocerle e io studiavo gli utensili e i materiali più idonei per realizzare le sue idee, tra i quali la pentola per cuocere gli spaghetti dritti, così che la pasta possa poi essere usata come base di appoggio per carni o pesci”. Mi mostra le prime pentole create per il Maestro: in rame, una per il bollito, l’altra per la casseula, hanno il diametro uguale all’altezza (minor costo, minor spazio, maggior calore). Perché “la natura premia i comportamenti più economici”, mi spiega; e mi spiega anche che la cucina, così come il sesso, deve soddisfare
tutti e 5 i sensi “anche il tatto che è il più importante in quanto se non sentissimo il dolore moriremmo. Nel mondo animale il senso più sviluppato è l’olfatto; in quello umano la vista”. “Calderaio umanista”: così si definisce Eugenio Medagliani (i calderai erano gli artigiani che fabbricavano pentole in rame); e grazie alle sue intuizioni e alla sua professionalità oggi guida un’azienda leader nel settore. Noti chef di cucina italiani e stranieri si rivolgono alla sua esperienza per poter eseguire alla perfezione le loro creazioni gastronomiche. Ma Eugenio, raffinato gourmet, cucina? “Mai cucinato”. Lo osservo dubbiosa… forse mi prendendo in giro; perché osservando le sue straordinarie pentole di rame, che si richiamano a una matrice ottocentesca, mi sembra impossibile che non le abbia mai volute adoperare. “Ci ha sempre pensato mia moglie, una donna di una bellezza unica, che ha posato come modella per numerosi grandi artisti”. E mi mostra una sua foto con orgoglio.
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© Gianni Renna
In tavola
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Foto di Gianni Renna
di Cino Tortorella e Davide Rampello
A tavola con le stelle
La cena della vergine La grande cena di questo numero di “Gustare l’Italia” è dedicata ai nati sotto al segno della vergine che, iniziato il 23 agosto, ci accompagnerà fino al 22 di settembre.
E’ il sesto segno dello zodiaco ed è governato da Mercurio, il dio dell’eloquenza e del commercio, il messaggero degli dei raffigurato con le ali ai piedi. La pietra portafortuna è lo zaffiro, il giorno fortunato il mercoledì, il colore il grigio. Sono nati sotto questo segno scienziati come Antoine Lavoisier e Luigi Galvani, scrittori e poeti come Ludovico Ariosto, Johann Von Goethe, Lev Tolstoj, musicisti come Arnold
Schonberg e Leonard Bernstein, attori come Vittorio Gassman, Greta Garbo e Sean Connery, atleti come Fausto Coppi, Josè Altafini, Ruud Gullit, Ronaldo, cantanti come Michael Jackson, Andrea Bocelli, Barry White. Il simbolo astrologico della Vergine è rappresentato da una giovane donna che reca un fascio di spighe. I nati in questo periodo sono introversi e molto attenti ai canoni estetici; non amano il disordine e la trascuratezza nell’abbi-
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gliamento. Rispettosi delle regole sono ossessionati dal timore di commettere errori che possano nuocere non soltanto a sé stessi e, poiché non sopportano le critiche, mettono un’attenzione quasi maniacale in tutto ciò che fanno, con il risultato di conseguire spesso grandi risultati; non sono però mai soddisfatti e, raggiunto un traguardo, tendono subito a ricercarne un altro. In amore sono fedeli e attenti a coccolare il proprio partner coprendolo di attenzioni. Ma se traditi sono capaci di vendette tra le più atroci perché non conoscono il perdono. A tavola sono per una cucina tradizionale ma realizzata in modo perfetto e con i prodotti più costosi; i loro ristoranti ideali sono “La Frasca” di Milano Marittima, “Il Luogo di Aimo e Nadia” di Milano, “La Locanda Da Alia” di Castrovillari, “Villa Contessa Rosa” di Fontanafredda. Quest’ultimo è diretto da Cesare Giaccone, uno dei più gradi chef italiani che, dal natio Albaretto della Torre nell’alta Langa, cedendo alle lusinghe di Oscar Farinetti - l’inventore di Eataly - che lo voleva a dirigere la cucina del
suo ristorante - è sceso a Serralunga d’Alba. E’ a lui, nato con ascendente Vergine, chiediamo di creare la cena ideale per i compagni di zodiaco. Cesare è uno chef geniale e fantasioso, legato alla sua terra che ama e della quale conosce i prodotti che la natura elargisce con generosità. Negli anni i critici gastronomici si sono sbizzarriti ad attribuirgli vari aggettivi: geniale, fantasioso, estroso, unico, irripetibile ma anche scorbutico, scontroso, impossibile, indisponente… Luigi Veronelli, il primo che lo ha capito ed amato, lo ha definito “solare” e lo ha collocato nell’Olimpo dei dieci più grandi chef del mondo. Quando gli esprimiamo il nostro desiderio acconsente con entusiasmo e presto ci presenta il menu che vorrebbe proporre. A questo punto non ci resta che invitare (idealmente) i vip della Vergine e, naturalmente, nessuno rifiuta di partecipare a questa cena eccezionale. Ed ecco arrivare i primi ospiti; dapprima è un gruppo di cantanti tra i quali riconosciamo Carmen Consoli (4 settembre), Ornella Vanoni (22 settembre), Rita Pavone (23 agosto) e Ombretta Colli (21 settembre), che non ha dimenticato di essere stata una cantante prima di darsi con successo alla politica; è poi la volta di Alex Britti (23 agosto), Franco Califano (14 settembre) con il nostro
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Art Director Daniele (2 settembre) circondati da belle donne: Gloria Estefan (1 settembre), Cameron Diaz (30 agosto), Natalia Estrada (3 settembre) ed Elisabetta Canalis (12 settembre). A bordo di una minuscola Smart arrivano ora gli Argento, padre e figlia: Dario (7 settembre) e Asia (20 settembre). In un gruppo di uomini di spettacolo ecco Pupo (11 settembre) eccezionalmente senza il Principe Filiberto, Amadeus (4 settembre), Pippo Franco e Giuliano Gemma (entrambi nati il 2 settembre), Maurizio Costanzo (28 agosto). Fa ora un rumoroso ingresso un gruppo di stelle del calcio; tra gli altri vediamo Franz Beckenbauer (11 settembre), Fabio Cannavaro (13 settembre) Ronaldo (22 settembre) e Pato (2 settembre). Da un taxi scendono poi gli ultraottantenni, ma ancora in gamba, Sergio Zavoli (21 settembre) e Andrea Camilleri (6 settembre). Chiudono la sfilato Mariangela Melato (19 settembre), Virna Lisi (8 settembre) e Sophia Loren (20 settembre), sempre splendide e affascinanti nonostante la non più tenera età. Ci sono proprio tutti nel bel giardino della villa ai margini del Bosco dei Pensieri, tra piante secolari, vigneti e noccioleti. Come benvenuto hanno gustato uno spumante della tenuta Fontanafredda, il “Rosa Rosè”, fresco e allegro come l’amore di due diciottenni. Un “cicerone” ricorda che si trovano in un luogo storico, in quello che fu il villino di campagna che vide gli amori della “Bela Rusin” (Rosa
Vercellana) e Vittorio Emanuele II, il Re che con l’aiuto del Conte di Cavour e di Giuseppe Garibaldi, realizzò l’Unità d’Italia. Vittorio Emanuele amava nell’ordine: la Caccia, le Donne, il Vino e il Cibo. La Politica veniva all’ultimo posto e, ad ogni modo, ci pensava Camillo Benso. Quando se ne andava a caccia nelle campagne intorno a Torino spesso terminava le giornate a letto con le contadinelle della zona che poi ricompensava regalando loro una Privativa (rivendita di Sali e Tabacchi); ancora oggi i paesi della zona hanno il più alto concentramento di tabaccherie di tutta Italia. Quando conobbe la “Bela Rusin” (appena
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quattordicenne) ne fu talmente innamorato che invece della Privativa le regalò la favolosa tenuta di Fontanafredda e dopo la morte di Maria Adelaide d’Asburgo, la sua consorte ufficiale dalla quale aveva avuto ben 9 figli, ne fece la sua moglie “morganatica”. Cesare è ormai pronto, gli ospiti sono invitati a prendere posto ai tavoli perché un drappello di camerieri sta per servire la prima delle sue eccezionali creazioni, che darà il via alla cena:
Pescatrice in carpione con salsa di Arneis Un’invenzione perfetta per questa serata di fine estate, esaltata dallo stesso vino che fa parte degli ingredienti, un Arneis delle colline che circondano la villa. Nelle pagine successive troverete la lista degli ingredienti di ogni piatto e il modo di prepararlo. Ma non provate a realizzarlo, se non possedete il dono dell’arte della cucina; troppo spesso le ricette dei capolavori di grandi cuochi (scritte o dettate dalla televisione) sono del tutto inutili e impossibili da ricreare. Sarebbe come se si desse ad un’aspirante pittore l’elenco dei colori usati da Leonardo per dipingere la Gioconda: carminio - gr 120, ocra - gr 78, terra di Siena - gr 97… e poi lo si invitasse a realizzare il quadro che è al Louvre. Non è però tempo di distrarsi perché è già arrivato il secondo piatto:
Asparagi al Sole Rosso Così è scritto sul menu dettato da Cesare, che è anche un poeta. E’ un’altra delizia per la vista e per il palato che il Dolcetto “La lepre”, un altro vino della tenuta, rende perfetta. L’inizio è stato davvero felice; Cesare vuole certo superarsi e non c’è dubbio che ci stia riuscendo, anche se questo non è il periodo in cui dà il meglio di sé stesso; la sua stagione ideale inizierà tra poco, ai primi di otto-
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bre, e si protrarrà fino a dicembre; è la stagione in cui le Langhe indossano l’abito di gala che ha i colori intensi e delicati dell’autunno e la magia dei tartufi si impadronisce della sua cucina: è allora che i baffi di Cesare si fanno frementi e diventano simili a vibrisse, con le quali “sente” i suoi piatti per avvicinarli alla perfezione. Anche adesso, però, vuole dare il meglio della sua fantasia per soddisfare e conquistare un simile “parterre” di personaggi e propone il piatto che sta arrivando sulle tavole dei vip:
Straccetti di ortiche con ragù di faraona al pomodoro fresco Al quale seguirà il
Insalatina di faraona con frutti di primavera entrambi accompagnati da un Barbera d’Alba che a Fontanafredda hanno chiamato “Papagena”, come il personaggio del Flauto Magico di Mozart; e di Papagena, questo vino ha la vivacità e la sensualità che completano e danno armonia ai sapori dei cibi.
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Ma è intanto arrivato il
Capretto alla Cesare Qualcuno si sorprende di questa scelta che sembra banale in una cena dedicata a personaggi così illustri. Ma quando gli ospiti lo gusteranno ne resteranno affascinati; non c’è pranzo cucinato da Cesare senza il capretto che fin dall’inizio cuoce a vista sullo spiedo lambito dalle fiamme di ceppi di ginepro. Egli sostiene che la carne di capretto sia il cibo ideale per gli innamorati perché è la più sensuale delle carni. Il vino perfetto per accompagnare questo cibo è Barolo Lazzarito, quello preferito da Vittorio Emanuele quando la Rosina gli cucinava il piatto che più amava: la Gallina all’aglio. Siamo ormai alla fine della cena; sta arrivando ora in tavola uno dei più strepitosi dessert piemontesi, reinvetato da Cesare, che è anche un raffinato pasticcere:
Bonet piemontese E’ la conclusione di una cena che sarebbe stata perfetta per dei gourmet innamorati perché la cucina di Cesare, piena d’amore, è fatta per chi si ama. Molti ospiti torneranno certo con i loro partner per gustare la sua cucina e poi riposare in una delle camere che ha protetto gli amori della “Bela Rusin”. E se non avranno una passione in corso se ne inventeranno una, troveranno un partner che sia un vero gourmet, si assicureranno che ci sia posto in una
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delle camere della Villa e si metteranno fiduciosi in viaggio. Dopo qualche giorno trascorso a Fontanafredda anche un amore di breve passato o di incerto futuro acquisterà solidità e consistenza. Le invenzioni della cucina di Cesare, i vini, l’aria di Langa e in autunno il profumo stordente dei tartufi compiranno il miracolo. I suoi ospiti ideali sono gli amanti trasgressivi perché la trasgressione è la forza della sua cucina; la routine, la consuetudine, le ripetizioni non gli assomigliano perché ogni suo piatto, anche se fatto con gli stessi ingredienti, è sempre nuovo e diverso e l’ultimo tocco è quello della sua fantasia. Qualche amore è però certo sbocciato anche questa sera; abbiamo visto occhiate complici tra Anastacia (17 settembre) e Mickey Rourke (16 settembre), tra Cameron Diaz (30 agosto) e Juan Pablo Montoya (20 settembre), tra Natalia Estrada (3 settembre) e David Copperfield (16 settembre). Sapremo presto dai settimanali specializzati in gossip se la cucina di Cesare ha colpito ancora.
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Gli aceti di Cesare: tradizione, passione e cultura “Ho cominciato a produrre aceti di monovitigno negli anni ’70, seguendo l’antica tradizione piemontese che si stava purtroppo dimenticando. Sono ottenuti da vini Barolo, Moscato, Arneis e Barbera dei produttori di Langa, travasati gradualmente in botti di gelso, rovere e ciliegio”. CESARE GIACCONE Località San Bernardo, 9 - Albaretto della Torre (CN) Tel. +39 0173.520141 - info@acetodibarolo.it
di Felice Maratea Foto di Gianni Renna
Da Giovanni Questa rubrica rubrica è dedicata ai ristoranti immeritatamente ignorati o sottovalutati dalle varie Guide; “Gustare l’Italia” ha deciso di colmare questa lacuna e manda i suoi degustatori in giro per lo stivale, alla ricerca dei ristoranti che meritano di essere maggiormente valorizzati; e poiché “soli” e “stelle” sono già stati da tempo prenotati, non ci resta che la “luna” per segna-
Le lune di Gustare l’Italia
lare i locali degni di attenzione da parte dei gourmet più esigenti.
La nostra Luna illumina oggi un ristorante non proprio trascurato dalle guide gastronomiche ma che, a parere di chi scrive, avrebbe diritto ad un’attenzione maggiore da parte dei severi critici che attraversano l’Italia per emanare le loro sentenze inappellabili; qualche stella, qualche forchetta, qualche gambero in più certo lo meriterebbe l’elegante lo-
cale di Cortina d’Alseno, il bel paese immerso nel verde e nel silenzio delle colline del piacentino. Siamo nel cuore del ducato di Parma e Piacenza dove regnò dal 1815 al 1847 Maria Luisa di Borbone, la moglie di Napoleone bella e passionale. Ancora oggi si ritrova il ricordo felice del suo governo, oltre che in molti palazzi e monumenti, nella “erre” dalla
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gente di queste parti, un dolce difetto di pronuncia che ricorda quella francese ma meno aggressiva, più musicale, più dolce e sensuale. Proprio come il carattere di chi vi è nato. A Cortina d’Alseno il tempo ha battiti lenti, le ore trascorrono nella quiete; è il luogo ideale per chi è in cerca di tranquillità e di riposo ma anche di sapori del passato. Troveranno tutto ciò nel ristorante “Da Giovanni” situato in una bella casa di campagna dove oggi c’è chi vi arriva anche in elicottero grazie alla spiazzo accanto alla costruzione, ma nel settecento era una posta per cambiare i cavalli delle carrozze che lasciavano la via Emilia dirette a Genova per la “Via dell’olio” (così chiamata perché la percorrevano i commer-
cianti che andavano nel capoluogo ligure ad acquistare il prezioso liquido). Diventata un’osteria alla fine dell’Ottocento fu acquistata cinquant’anni fa da Giovanni Besenzoni che con la moglie Carolina, straordinaria cuoca, aveva deciso di farne una trattoria dove poter gustare i cibi della tradizione cosentina. Il successo fu immediato e la voce si sparse in breve tempo; chi voleva riassaporare i piatti di un lontano passato doveva recarsi da Giovanni dove la Carolina realizzava indimenticabili manicaretti, sopratutto i “Pisarei e fasò”, una ricetta del Quattrocento. I “pisarei” sono un tipo di pasta fatta a mano; il nome non è proprio elegante (chiedete il significato a Renato o leggetelo nel dizionario
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italo - piacentino), i fagioli sono quelli “dell’occhio”, carnosi e sensuali. Qualche anno dopo si aggiunse alla conduzione della trattoria il figlio Renato che aveva da poco sposato la bella Maria Teresa anche lei ottima cuoca, e così la continuità fu assicurata. Oggi i compiti dei Besenzoni sono così suddivisi: Maria Teresa, amorevolmente assistita dalla suocera, è la regina dei fornelli; il figlio Nicola è il simpatico perfetto maitre in sala; e Renato, da quando non c’è più papà Giovanni, procura le materie prime, gli inarrivabili salumi per la gran parte realizzati in proprio e della scelta dei vini alcuni di questi anche di propria produzione. Nella cantina sono presenti oltre a nobili vini italiani, i migliori di Emilia Romagna e soprattutto quelli di Parma, Modena e Piacenza. Sono vini di non grande nobiltà e con una pessima stampa perché spesso prodotti in
modo superficiale, ma Renato ha compiuto un’accurata scelta tra i prodotti del territorio e propone il meglio in assoluto rendendo così giustizia a questi vini piacevoli e generosi che Sante Lancerio, il messo incaricato da Papa Paolo II a cercare i vini da bere nelle tappe dei suoi viaggi, aveva definito “belli come sono belle le maschere, le rotelle et ancora le donne”e Andrea Bucci, medico di Papa Sisto V, li aveva trovati “di gusto delizioso, piccanti, di soave odore e spumanti mentre si versano”. Deliziosi e spumeggianti sono i due vini che produceva papà Giovanni: il rosso Gutturnio e il bianco Ortrugo. Il Gutturnio, dal nome poetico e tenebroso, è un uvaggio di Barbera e Bonarda, vispo e brioso, allegro, tutto sapore e colore, perfetto per i salumi e per la ruvida cucina piacentina. È un vino che mal sopporta i viaggi e solo quando lo si beve sul posto esprimere al me-
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glio le virtù. Si beve abbastanza fresco e ha la consistenza dei sogni giovanili. L’Ortrugo è ottenuto da un vitigno autoctono rarissimo e quasi in via d’estinzione. Il suo matrimonio ideale è con i soavi culatelli che Renato realizza con antica sapienza. In cucina regna la tradizione più ghiotta e rigorosa e Maria Teresa ne è l’interprete attenta e puntuale. E se qualche volta cede all’ispirazione del momento a alla fantasia, le asseconda nel rispetto dei prodotti che le arrivano dalla cam-
pagna, dalle colline, dall’orto. “Avere ospiti significa farsi carico della loro felicità” è una sua bellissima frase sulla quale dovrebbero meditare moltissimi chef anche fra i più titolati. Alcuni suggerimenti tratti dal suo menù: “Insalatina di gallina rossa verniciata con vinaigrette all’aceto balsamico e tartufo nero della Val d’Aveto”, “Timballo di cavolverza, code di gamberi e salsa curry” “Trancio di storione al gutturnio” e, immancabili e superbi, i “Pisarei e fasò bazzotti”.
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È questo un piatto non proprio leggero eppure secondo i piacentini è ideale per una cena romantica preludio ad una notte appassionata. Non è proprio un cibo leggero, forse anche un pò eccessivo ma da queste parti si dice che se in Paradiso non ci saranno i “Pisarei e fasò” mancherà qualcosa alla completa beatitudine. Così come dal resto il Paradiso non sarebbe perfetto senza una delle più alte invenzioni gastronomiche di questa terra benedetta: il
cibo divino e afrodisiaco come i tartufi, i caviale, i testicoli di cigno, le ostriche, le radici di mandragola; sto parlando di sua maestà il culatello. Avvicinarsi al culatello la prima volta è come scoprire Mozart, come dare il primo bacio d’amore, come tuffarsi nelle acque incontaminate di un lago alpino in una quieta sera d’estate. Il culatello è un cibo inventato per l’allegria in una terra dove è proibita la malinconia, dove
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i pensieri evaporano come al mattino le nebbie fiumarole che vi hanno trascorso la notte. Quale geniale poeta ha pensato per primo di isolare la parte della coscia del maiale per destinarla a diventare culatello, rifilarla, salarla, vestirla del “sunsen” e legarla dandogli la caratteristica forma a pera? Come ha potuto intuire che le nebbie del grande fiume avrebbero dato l’ultimo tocco insieme al buio e al silenzio per portare la sua creazione alla perfezione? Quante melodie eterne di Verdi si devono al culatello? Quanti deliziosi racconti del Mondo Piccolo di Giovannino Guareschi? Oggi è difficile trovare l’autentico culatello; purtroppo l’industria se ne è impadronita ed è riuscita a violentarlo e ad alterarlo così come ha fatto con altri prodotti: dal “formaggio di fossa” al “lardo di Colonnata” ai “fagioli di Sorana” alla “mozzarella di bufala” all’aceto balsamico… e l’elenco potrebbe purtroppo continuare. Per fare un autentico culatello occorre innanzitutto che sia ottenuto da maiali cresciuti in libertà e nutriti con cibi genuini senza aggiunta di additi-
vi chimici; ed una volta insaccati il tempo per portarli alla preparazione non può essere inferiore ai 24 mesi; oggi la gran parte di quello che arriva sulla nostra tavola è ottenuto da maiali allevati in batteria e realizzato anche in soli 10 mesi. “Da Giovanni” si può ancora gustare, come nel bel tempo andato, quello che d’Annunzio chiamava “delizia golosa” e se ne diceva “cupidissimo amatore”. Se il grande Gabriele si trovasse oggi a passare dalle parti di Cortina, se potesse gustare il culatello di Renato, se potesse gustare le creazioni gastronomiche di Maria Teresa, scriverebbe articoli di fuoco contro certi critici gastronomici che danno a “Da Giovanni” valutazioni pari a quelle di certi locali banali; e sarebbe certo d’accordo con noi che alla famiglia Besenzoni diamo la nostra Luna, piena e risplendente.
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della Redazione
L’artigiano in tavola
L’arte della tavola a portata di GPS
Da sempre i turisti sono attratti dal fascino della Toscana, considerata uno dei luoghi più belli al mondo per la struggente dolcezza del suo paesaggio, la tranquilla serenità del suo cielo, la ricchezza del suo patrimonio artistico e culturale, ma anche per la sua cucina autentica, senza orpelli e infingimenti, da gustare in silenzio e in raccoglimento. Da qualche giorno visitarla sarà ancora più piacevole e sorprendente grazie ad un’iniziativa di Artex (Centro per l’Artigianato Artistico) che ha scelto e schedato in Google Map i laboratori e le botteghe dei migliori artigiano toscani dei quali fornisce indirizzi, fotografie e video. Sono più di 300, sono i maestri che con l’argento, il vetro, il rame, la ceramica realizzano ancora piatti, pentole, tegami, bicchieri, suppellettili e ogni altro oggetto per la cucina e
la tavola con l’arte, la sapienza e l’eleganza che giungono da un lontano passato. Visitandoli si scopre un’altra Toscana, oltre a quella più nota dei monumenti e delle grandi opere, una più segreta ma ricca di sorprese; si può entrare nel vivo dei processi creativi, osservare da vicino le tecniche, fare la conoscenza di un artigianato che è stato certo d’aiuto agli artisti della scultura e dell’architettura, senza il quale non sarebbe stato forse possibile realizzare i capolavori che tutto il mondo ci invidia. Grazie ad Artex è nato un nuovo modo di fare turismo perché gli artigiani sono stati inseriti su Google Map, dov’è possibile trovare tutte le indicazioni per compiere dei percorsi nelle località preferite. Gli itinerari possono essere pedonali o automobilistici e si possono scaricare sul sito www.collezionitoscane.it.
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Cliccando sul bottone “itinerari dell’artigianato” si avranno tutte le informazioni che occorrono. Gli appassionati saranno poi lieti di apprendere che un’altra originale iniziativa è nata grazie ad Artex; si intitola ”Artour il Bello in piazza”; fino all’otto dicembre, per 10 week-end si potrà assistere ad una mostra itinerante del più prezioso artigianato: a Cortona saranno esposti in quei giorni oggetti unici ed irripetibili del più alto artigianato toscano. Nell’attesa possiamo noi suggerire l’itinerario per un week end in provincia di Siena che parte da Colle Val d’Elsa e arriva a Cetona; è obbligatorio visitare la vulcanica Industria Ceramica, che dal 1911 realizza pentole in coccio e stoviglie in terracotta in materiale naturale, molto resistente per poter cuocere a fuoco lento i cibi della tradizione. Sempre a Colle Val d’Elsa è obbligatorio visitare la Cristalleria Colle Vilca, anch’essa fedele al rispetto della tradizione e dello stile con i quali si creano bicchieri e brocche che sono vere opere d’arte. Nel laboratorio si può assistere alla soffiatura, modellatura e rifinitura dei pezzi che da una massa incandescente per opera degli artigiani diventano autentici oggetti d’arte. Ci sono sommelier che rifiuterebbero di versare un grande vino se non da queste brocche, in questi bicchieri; così come ci sono degli chef, anche grandi chef internazionali, che rifiuterebbero di cucinare le loro creazioni senza le pentole, i tegami e le padelle che Cesare Mazzetti e la moglie Iolanda realizzano con passione nella loro Rameria di Montepulciano, continuando la tradizione famigliare che si tramanda dal 1800. Visitare il loro laboratorio è come entrare in un museo,
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perché Cesare vi custodisce con amore e rispetto tutti gli arnesi con cui lavoravano il padre e il nonno. A pochi km da Montepulciano, a Cetona, si possono visitare e ammirare le splendide opere di Franco Cicerchia nel Laboratorio Ceramiche Pippo, che prende il nome dal padre fondatore della bottega. Franco si è dedicato all’Accademia di Belle Arti di Perugia e con un particolare procedimento, che consiste in varie fasi di smaltatura e cottura che lo rendono unico, crea sculture di altissimo livello senza però dimenticare la tradizione paterna nella produzione di piatti e pentole. Questo è soltanto uno dei tanti percorsi che grazie ad Artex si possono fare spaziando in tutte le provincie. Molti grandi chef toscani devono a questi
artigiani buona parte del loro successo, così come lo devono a chi procura le materie prime fedeli alla tradizione; dietro un grande ristorante c’è sempre il prezioso lavoro di veri artisti che, spesso con grandi sacrifici, restando fedeli ad una tradizione che è cultura e ricchezza, continuano a creare gli ingredienti e gli oggetti per cuocerli senza i quali ogni cucina si impoverirebbe e scadrebbe nel grigiore e nell’anonimato del fast food.
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© Gianni Renna
In cantina
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di Angelo Solci
Un vino da scoprire
Il Calbanesco Ricordo la prima volta che incontrai il Calbanesco: mi trovavo alla Frasca di Castrocaro, dal grande Gianfranco Bolognesi; Gianfranco me lo propose in abbinamento ad un piatto straordinario, capretto del Carnaio arrostito con patate e cipolline al forno: “Senta questo vino, lo produce un signore mio amico a Ricò Di Meldola nella vallata del Ridente a pochi km da qui”. Me lo servì senza farmi leggere l’etichetta; vidi scendere nel bicchiere un vino rosso granata che diede un leggero sfavillio sul viola brillante. Dall’aroma che mi avvolse, nel quale avvertì subito un preciso sentore di tartufo nero, capii che si trattava di qualcosa di importante. Gianfranco mi guardava con aria divertita: “Allora?” - chiese. Provai a indovinare: “Mi sembra una grande Sangiovese” - azzardai -. Fece di no con la testa - “Se non mi avesse detto che è prodotto a pochi km da qui, penserei ad un Brunello di ottima stoffa o a un Nobile di Montepulciano…” – Sorrise: “Non si sforzi… non lo sa nessuno. E’ stato battezzato Calbanesco perché è prodotto dall’azienda Le Calbane ma di che vitigno si tratti lo ignoro. L’uva dalla quale è prodotto sembrava a prima vista Sangiovese ma ad una più attenta osservazione ci siamo accorti che non lo era affatto. Lo facemmo controllare dall’Istituto Agrario dell’Università di Bologna ma dovettero arrendersi anche loro: quel vitigno non assomigliava a nessun’altro conosciuto. Venne così battezzato Calbanesco”. Mi piacque questo nome perché mi ricordava un personaggio di Shakespeare, Calibano, uno spirito demoniaco che nella tempesta è contrapposto ad Ariele, il folletto dell’aria. Ogni grande vino rosso nasce sotto il segno del fuoco ed ha perciò qualcosa di infernale (forse è per questo che i Langaroli chiamano “infernotto” la cantina?), così come i grandi bianchi sotto il segno dell’aria. Sono segno di fuoco e lo mettono il fuoco nelle vene i grandi rossi del sud, quelli dell’Etna e del Vesuvio naturalmente, l’Aglianico del Vulture, il Primitivo, lo spietato rosso di Trani, il Cirò, e sono segnati dal fuoco i superbi piemontesi, dal Barbera al Barbaresco al Barolo, i veneti e i friulani, dal Merlot al Refosco nero e ruggente (“Un re più fosco io
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non conosco del buon Refosco”) e i marchigiani del Conero e di Morro d’Alba, i toscani e i liguri, tutti i rossi di ogni colore, rubino, viola, nero, vermiglio, sanguigno, rossi fieri e sfavillanti, violenti, stordenti, avvolgenti, peccaminosi… E sono segni d’aria i grandi vini bianchi, non soltanto gli Champagne e gli spumanti che già nelle loro bollicine richiamano dell’aria la lievità, ma l’elegante Chardonnay, il fine Tocai, l’etereo Verdicchio, l’Albana, il Greco, la
Falanghina, la Catalanesca e tanti altri bianchi rilucenti, gentili, limpidi, casti, leggeri, inebrianti, biondi in tutte le gradazioni dell’oro, oro di spighe, di chiome di madonne rinascimentali… Di Calbanesco purtroppo se ne producono solo poche centinaia di bottiglie e sarà perciò difficile ottenerne una, ma se ci riuscirete con lusinghe o minacce, provate poi a creare il piatto che maggiormente vi intriga… provate e sarete felici.
Risotto con ragu’ di verza e quaglia al rosmarino Ingredienti per 4 persone: 350 g di riso Carnaroli; 1 scalogno; 4 quaglie; 100 g di verza; ½ bicchiere di vino bianco; 2 rametti di rosmarino; 1 carota; 1 costa di sedano; 1 cipolla; 10 bacche di ginepro; 1 spicchio d’aglio; 1 bicchiere di vino rosso; 100 g di Parmigiano grattugiato; 50 g di burro; brodo di carne; olio extra vergine d’oliva; sale e pepe q.b. Preparazione: disossare le quaglie, far rosolare in forno le ossa con un filo d’olio. Tagliare a pezzetti la cipolla, la carota, il sedano, far appassire lentamente in un tegame, aggiungere le ossa delle quaglie e bagnare con ½ bicchiere di vino rosso. Far evaporare, aggiungere un rametto di rosmarino, le bacche di ginepro e coprire con acqua fredda; far bollire lentamente fino a ridurre di 2/3, filtrare e tenere in caldo. Tagliare molto finemente la verza e salspicchio d’aglio intero. Tagliare a pezzetti la carne del petto di quaglia e cuocere in forno le cosce condite sale, pepe e rosmarino. Tritare lo scalogno, appassirlo in un tegame con l’olio, aggiungere il riso, far tostare e bagnare con il vino rosso; continuare la cottura aggiungendo poco alla volta il brodo bollente. Aggiungere a fine cottura la verza e la carne del petto saltata brevemente in padella. Mantecare con rosmarino tritato, Parmigiano e burro. Disporre al centro dei piatti il risotto, adagiarvi sopra le cosce di quaglia e condire il tutto con ristretto di vino e quaglia. La ricetta proposta è del Ristorante “La Frasca” di Milano Marittima - tratta da “Il Lusso della Semplicità” di Gianfranco Bolognesi
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Ricette
tarla in padella con un filo d’olio e lo
© Gianni Renna
di Angelo e Piero Solci
I sapori del vino
Luci ed ombre Per poter diventare dei provetti degustatori i buoni propositi non bastano; occorre “studiare” (bere con cognizione) e studiare conoscendo le regole e la grammatica necessarie: cioè quell’insieme di norme che devono essere rispettate per permettere a chi parla e a chi ascolta di potersi intendere in modo corretto. Dobbiamo necessariamente cominciare dall’alfabeto ed imparare la terminologia adatta ai diversi aspetti della degustazione. Iniziamo considerando l’aspetto visivo: la bottiglia è stata stappata con l’attenzione che merita la divina bevanda e il vino è stato versato nel bicchiere. E’ quasi superfluo dire che il bicchiere deve essere sempre di vetro o meglio ancora di cristallo, sottile, limpido, senza colore o sfumature. Qualcuno usa in casa - e purtroppo anche in certi ristoranti - bicchieri a calice di vetro verde o giallo oro per i vini bianchi. Errore grossolano perché in questo modo si perde uno dei primi piaceri che dovrebbe darci il vino: e soprattutto ci impedisce di dare il primo giudizio che riguarda appunto l’aspetto visivo. A questo proposito, una volta osservato il vino nel bicchiere, possiamo dare uno dei seguenti giudizi:
Stato di limpidezza • limpido: trasparente senza velature o corpi estranei; • brillante: trasmette luce; • lucido: luminoso in senso statico;
• opaco: non trasparente e senza luce; • velato: in parte limpido e in parte opaco a onde; • torbido: presenza d’impurità che non fanno filtrare la luce chiara; • tartrati: impurità granulari o filiformi.
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Fluidita’ • scorrevole: con buona fluidità; • oleoso: denso con la dinamicità dell’olio; • archetti: presenza di glicerina (sono ampi e stretti).
Effervescenza • perlage: bollicine che salgono e lo determinano (fine, grossolano, persistente, breve); • spuma: effervescente che si può presentare ricca, scarsa, persistente, breve. Da una successiva analisi del colore distingueremo i vini nelle seguenti categorie:
Vini Bianchi • bianco carta: incolore quasi come l’acqua; • giallo verdognolo: con in più l’ombra verdolina; • giallo paglierino scarico: color paglia sbiadita; • giallo paglierino: la paglia normale; • giallo paglierino carico: la paglia bagnata; • giallo oro; • giallo ramato: color oro tendente al rame (oro antico); • giallo ambrato: tonalità più scura, tipico dei vini liquorosi, passiti da dessert. Tutte queste tonalità possono avere riflessi verdognoli dorati o ambrati più o meno accentuati.
Vini Rosati • rosa pallido: come i petali dell’omonimo fiore; • rosa antico; • cerasuolo: ricorda le ciliegie con sfumature chiare; • chiaretto: un cerasuolo più carico e brillante; • buccia di cipolla: tra il rosa carico e il giallino.
Vini Rossi • rosso granata; • rosso granata scuro;
• rosso rubino scarico; • rosso rubino; • rosso rubino carico; • rosso porpora: tonalità intensa con tendenza al viola; • rosso amaranto: tipico della ciliegia molto matura; • rosso ramato: con riflessi. Queste tonalità possono avere riflessi mattonati e ramati, con unghia arancione. Sono considerati difetti le sfumature bluastre, volpine e marroni. Vi raccomandiamo: studiate, studiate… E vi salutiamo con questa rima di Dante: “… guarda il calor del sol che si fa vino giunto all’umor che dalla vite cola”.
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In giro per...
La Valle d’Aosta
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Come è ormai tradizione l’estate valdostana
della gastronomia, delle discipline sportive…
ha proposto ai turisti sempre più esigenti e raffi-
senza naturalmente dimenticare i bambini.
nati, una seria di avvenimenti che si sono succe-
Gli innamorati della musica hanno potuto sce-
duti senza sosta da giugno ad agosto e conti-
gliere fra spettacoli di assoluto livello artistico
nueranno per tutto settembre.
come il Festival Musicastelle che dopo il succes-
Ci sarà poi una breve pausa per far riprendere
so dell’edizione 209 ha presentato nella splendi-
fiato agli operatori turistici e poi si ricomincerà a
da cornice dei castelli medioevali, artisti di fama
novembre con una nuova fantastica stagione
internazionale come Eleonora Abbagnato, la pri-
sciistica.
ma ballerina dell’Opera di Parigi che nello stu-
Chi ha avuto la ventura di trascorrere le vacanze
pendo Parco del Castello di Fenis si è esibita nel
nella Valle ha potuto partecipare ad eventi di
balletto “Chopin e la danza” per ricordare il bi-
grande fascino dedicati al pubblico più eteroge-
centenario della nascita del grande compositore
neo; ce n’era davvero per tutti i gusti: per gli
polacco.
manti della musica, del ballo, della moda, della
Sempre al Castello di Fenis si è tenuto un con-
cultura, del circo, del teatro, delle arti figurative,
certo unico ed esclusivo di Franco Battiato con
La Valle d’Aosta
diella Redazione
Il turismo in Valle d’Aosta
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la Royal Philarmonic Orchestra di Londra, mentre al Forte di Bard si è reso omaggio alla musica brasilian con i concerti di Caetano Veloso e Toquinho. E ancora in tema di musica e castelli grande successo ha avuto la rassegna itinerante “Chateaux en musique” che ha proposto ad un pubblico di appassionati le esibizioni di raffinati concerti di musica barocca e rinascimentale nei castelli di Issogne, Introd, Verrès, Aymaville, Quart, Fenis e Saint Pierre. L’ormai tradizionale festival “Aosta Classica” ha inoltre ospitato al Teatro Romano artisti come Pat Metheny ed il mitico trio statunitense Crosby, Still and Nash. Il folklore e la tradizione sono stati ricordati nella millenaria “Foire d’Etè” che ha presentato l eccellenze dell’artigianato valdostano. Lo sport ed il tempo libero hanno avuto ampio spazio nel carnet delle manifestazioni ma gli sciatori hanno come sempre avuto per meta preziosa le piste del Plateau Rosa. Non sono stati naturalmente dimenticati i ragazzi che hanno potuto prendre parte a manifestazioni ideate per loro come la “Mont Blanc Mania” di Courmayeur o “Morgex per giocare”, che ha visto i bambini protagonisti di giochi, gare di disegno e divertimenti vari. Una parte di grande rilievo l’hanno infine avuta le manifestazioni dedicate alla gastronomia come “Calici di stelle” e la “Fehta dou Lar” di Arnad che hanno visto la partecipazione di un folto pubblico di gourmet desiderosi di gustare le eccellenze dei prodotti locali; ma le sagre e le feste gastronomiche sono state innumerevoli: dalla “Sagra del dolce” di Champdepraz alla “Sagra della fiocca” di Avis, dalla “Sagra della trota e del vin blanc” di Morgeux alla “Festa del pane nero”
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di Champorcher, dalla “Sagra dei formaggi” di Antey-Saint-Andre alla “Sagra della fontina” di Oyace, da “Brindisi sotto le stelle” di Saint Pierre alla “Sagra del cinghiale” di Pontey, e così via. Anche settembre non sarà da meno perché continueranno le serate dei “Saveurs du Val d’Aoste”; i ristoranti che partecipano all’iniziativa ogni venerdì proporranno eventi multi-sensoriali: un insieme di sapori, profumi, colori, tradizioni e suoni per conoscere gli aspetti più caratteristici del territorio valdostano. Il format rivolto agli ospiti prevede 12 luoghi, 12 prodotti tipici, 12 cantine e 12 ristoranti. Il momento della degustazione è sempre accompagnato da musiche e voci che intonano vari repertori: dalle arie di opera e operetta, alle canzoni anni ’40-’50-’60, fino ai cnti tradizionali
© Fernandoz
della Valle. Le due manifestazioni più importanti di settembre avranno però luogo il 12 e il 26 del mese; sono la “Maratona dei Giganti” e la “Désarpa”.
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La “Maratona dei Giganti” La prova, che per tipologia di percorso è stata definita “la più impegnativa al mondo”, consiste nel percorrere l’intero perimetro della Valle sui sentieri che si trovano ai piedi delle vette più alte delle Alpi nel tempo massimo di 150, ovvero 6 giorni e 6 ore. Il percorso è molto impegnativo e complesso: 330 km la lunghezza complessiva del circuito, 24.000 i metri di dislivello affrontati dai partecipanti, 25 i colli sopra quota 2000 metri con un picco massimo di 3000 metri in corrispondenza del Col Lauzon, il colle più alto della Val d’Aosta: insomma un’Impresa con la “I” maisucola a cui saranno ammessi tutti gli appassionati over 20 per il cui svolgimento è richiesta, ovviamente, un allenamento specifico alla resistenza, una grande motivazione ed un profondo ed incondizionato amore per la natura visto che non è previsto nessun premio.
La “Dèsarpa” L’ultima domenica di settembre di ogni anno pari, il Comune di Aosta in collaborazione con l’Assessorato all’Agricoltura, organizza una festa per la “dèsarpa”; il 26 di questo mese Piazza Narbonne nel capoluogo della regione sarà trasformata in un giardino montano e per i visitatori sarà come compiere un’escursione sulle alture dove gli “arpian” hanno trascorso più di tre mesi per realizzare le loro straordinarie creazioni. Il momento clou della giornata sarà quando il corteo dei bovini, capre e pecore appena discesi dai monti attraverseranno le vie del centro storico fra due ali di folla festante. Sotto i portici di Piazza Chanoux e in Piazza Plouves saranno allestite bancarelle con i prodotti caseari valdostani: tome fresche e stagionate, burro, Valle d’Aostra Fromadzo D.O.P e naturalmente le superbe fontine. Saranno presenti anche anche i prodotti legati alla secolare tradizione agroalimentare ella Valle: il jambon de Rosses, il lard d’Arnad, il miele dalle cento sfumature
cromatiche:
millefiori, rododendro, castagno, tiglio, tarassaco…e poi ancora i superbi vini valdostani delle cantine più prestigiose.
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di Cino Tortorella
La fontina degli Arpian Se la Fontina fosse una donna - e formaggio femmina certamente è - apparterrebbe alla categoria di quelle apparentemente prive di lusinghe che all’inizio ti lasciano quasi indifferente ma poi ti fanno innamorare perdutamente: bisogna conoscerle, scoprirle, conquistarle. Così la Fontina; più di una volta io l’avevo in-
contrata senza esserne particolarmente attratto, forse anche perché venivano spacciati per Fontina anonimi formaggi provenienti da chissà dove, persino dalla Svezia o dagli Stati Uniti… il colpo di fulmine si verificò a Cervinia quando lo chef Roberto Pession dell’Hermitage mi servì uno straordinario fuyot di asparagi
con la fonduta (il fuyot è lo speciale contenitore in terracotta dove lo si cuoce). Quante altre volte avevo assaggiato la fonduta senza ricavarne particolari emozioni? Il mistero mi fu svelato da Mimì Feroli che, con la sorella Silvia detta Cicci, il cognato Attilio Neyroz e il nipote Corrado, ha creato l’Hermitage, un affascinate Relais & Chateaux e in assoluto il più raffinato ed elegante hotel della Valle d’Aosta: la Fontina per la fonduta proveniva dall’alpeggio di Avuil, dove ci sono l’erba più squisita e i fiori più colorati del Breuil. L’alpeggio, acquistato alla fine dell’Ottocento dai nonni di Mimmì e Cicci, era gestito da Sulpizio detto Sulpì, un pastore che da ottant’anni a ogni inizio estate saliva fin lassù per creare la sua fantastica Fontina. Era uno degli ultimi pastori a praticare i gesti di una tradizione secolare; la Fontina, infatti, è uno dei pochi formaggi che va fatto col latte freschissimo entro due ore al massimo dalla mungitura e sull’alpe di Arvier, mentre i mungitori erano all’opera nella stalla, era già pronta sul fuoco la grande caldaia di rame nella quale, senza perdere un instante, incominciava la lavorazione. Quando a settembre Sulpì ridiscendeva a valle il suo prezioso carico di Fontine veniva depositato in una cantina dell’Hermitage scavata nella roccia, dove le forme si conservavano morbide e fragranti.
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Da qualche anno però Sulpì se n’è volato più in alto del suo alpeggio e nessuno ha preso il suo posto ad Avuil che ha seguito il destino di molti pascoli d’alta montagna rimasti tristemente abbandonati; eppure all’Hermitage la Seupa alla Valpellinentze, la tartiflette, la seupetta cogneintze e tutti gli altri piatti valdostani che richiedono la Fontina hanno conservato la stessa fragranza di allora. Il merito è di Attilio Neyroz che, girando le montagne della Valle alla ricerca delle piante e dei frutti per creare il suo Genepy e le sue strepitose grappe di mirtilli, lamponi, maresche e pigne selvatiche, conosce uno per uno tutti gli ultimi arpian, gli alpigiani che, da La Thuile ad Ayas, continuano a fare la Fontina come mille anni fa. Proprio oggi Attilio deve andare a fare acquisti in un maso sopra Valtournanche… si parte. La salita è lunga e faticosa, a volte la vettura sembra chiedere pietà. Verso le 3 del pomeriggio arriviamo all’alpe dominata dalla grande roccia del Bec Carré; le mucche sono al pascolo intente a brucare questa erba fresca e profumata, prima che l’inizio dell’autunno le riporti a valle a trascorrere i lunghi mesi invernali nutrendosi solo di fieno. Sono mucche rigorosamente valdostane: le pezzate rosse, placide e tranquille, sono le più adatte a produrre latte, mentre tra le nere, impazienti, nervose e aggressive, ogni anno una - dopo molti combattimenti eliminatori che si svolgono in tutta la Valle nei giorni di festa – viene incoronata all’arena di Aosta Croix Noir la gloriosa regina delle corna. Sono subito conquistato dalla pace e dalla serenità del luogo; la giornata qui è scandita da ritmi sempre uguali: sveglia alle 2 di notte per la prima mungitura; alle 4 si inizia la lavorazione del latte che, immesso nella grande caldaia, si trasforma in Fontina mentre le 90 mucche si sparpagliano nei prati. Alle 12 rientrano nella stalla mentre le forme del prezioso formaggio, ciascuna di circa 9 kg, sono ormai pronte per essere marchiate con la fascera, il numero che contraddistingue la famiglia degli alpigiani. Una pausa per il pranzo frugale, un paio d’ore per un breve riposo e incomincia la fatica pomeridiana: un caffè, una spruzzata d’acqua sul viso e si riscende nella stalla per la seconda
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mungitura mentre al piano di sopra, in un angolo della casera, è già pronta, ripulita e luccicante la caldaia di rame appesa a un robusto gancio, il tor. Siamo arrivati in tempo per assistere a questa seconda fase; il latte appena munto riporta i profumi dei fiori e dell’erba dei prati, sa di violette, di genziane, di negritelle e degli altri fiori che verranno imprigionati nelle forme di Fontina, ha l’apparenza della panna montata ma se lo tocchi si dissolve. Quando il latte arriva a 36° bisogna aggiungere il caglio liquido e lasciarlo riposare per poco più di mezz’ora, il tempo necessario perché maturi e assuma spessore. Quindi, con il moudeun, un aggeggio di legno simile ad un enorme pettine, si inizia la rottura della cagliata. Prima si forma una croce, poi si spezza la pasta molle con larghi cerchi concentrici. Ne assaggio un pezzo: è dolce, delicata, col sapore dell’infanzia. Quando la pasta è matura viene tolta dalla caldaia e, avvolta in teli di iuta, viene messa in tondelli di legno sotto le presse che le toglieranno gli ultimi residui di siero e le conferiranno la forma definitiva.
Nel frattempo le mucche sono tornate al pascolo pomeridiano… Per raggiungere la perfezione le forme di Fontina, frutto del lavoro di un’intera giornata, dovranno riposare almeno 100 giorni nella cantina seminterrata di una baita a metà strada tra l’alpeggio e Valtournanche. E’ difeso e protetto come il caveau di una banca e le forme che vi giacciono - che a fine stagione saranno circa 700 - sono certo preziose come lingotti d’oro. Al centro del pavimento sterrato scorre un ruscello d’acqua che ha il compito di tenere costantemente le forme alla temperatura di circa 10°. La Fontina, infatti, si mantiene con la sua caratteristica dolcezza e con la crosta rosea fino alla fine della primavera solo se viene lasciata in queste cantine dove l’acqua ne conserva l’umidità. Un giorno sì e un giorno no bisogna procedere alla salatura che consiste nello spargere sale in modo omogeneo sulla crosta così che possa penetrare in profondità. Le forme più stagionate, allineate sulle assi di legno, a destra hanno la superficie scura e
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profumata e sono pronte per arricchire i più tradizionali piatti valdostani. Le altre, di fronte a sinistra, sono pallide e comunque squisite per il loro sapore fresco e ancora giovane. Per gustare una Fontina perfetta consiglio proprio di andare in Valle d’Aosta, dove dà il meglio di sé. Non che la Fontina dei caseifici e delle latterie sia un prodotto scadente, anzi. Il Consorzio Produttori Fontina è molto attento nella difesa della qualità e molti sono gli ispettori che girano per le valli e controllano quotidianamente i produttori anche durante l’inverno, per assicurarsi che il fieno sia esclusivamente di erbe valdostane e che siano rispettate le regole previste dalla Denominazione di Origine Protetta (DOP) ottenuta - dopo una lunga battaglia. Basti pensare che delle 450.000 forme prodotte annualmente solo l’80% riesce ad avere il marchio che ne certifica l’assoluta genuinità e perfezione, mentre un 20% viene scartato perché presenta qualche difetto. Ormai il 65% della Fontina in commercio è vernenga, cioè prodotta in inverno (a differenza della maggenga estiva). Forse però il Consorzio dovrebbe segnalare la differenza e anche il prezzo dovrebbe essere diverso per premiare chi si sottopone alle fatiche dell’alpeggio. I produttori giù in valle mettono il latte appena munto in contenitori in attesa che passi il camion del Consorzio che lo porta al centro di produzione dove, mescolato col latte degli altri consorziati, viene lavorato con tecniche ultramoderne. A parte il rischio elevato che l’iter produttivo non avvenga nel tempo previsto, sarebbe co-
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me se in una zona di grande vocazione vinicola per fare il vino si mescolassero i grappoli dei diversi vitigni: il prodotto ottenuto può anche essere ottimo ma certo manca d’identità. Ogni alpeggio è per la Fontina, e per qualsiasi altro formaggio, come il cru per il vino; cambia sapore a seconda della posizione del terreno,
della sua esposizione al sole, della ricchezza e del tipo di erbe e fiori. Proprio a fine settembre cade il giorno della désarpa e, dopo la mungitura e il pascolo del mattino, le mucche scenderanno a valle e per lunghi mesi daranno l’addio all’erba fresca dei prati. Poi le forme di Fontina verranno portate al Consorzio, dove saranno sottoposte al vaglio della giuria che dovrà saggiarne la qualità e verificare l’assenza di ogni difetto, prima di concedere l’apposizione del marchio DOP. D’ora in poi quando gusterò la Fontina, quella vera, risentirò il profumo del latte appena munto, caldo, profumato e rivedrò i visi della famiglia Neyroz e degli alpigiani: facce dure ma serene, schiette, orgogliose. Facce che vorrei incontrare tutti i giorni. E dirò di nuovo grazie a loro e a tutti coloro che lavorano lassù, tra mille difficoltà, con ritmi e sacrifici che al di là del guadagno forse solo una quieta poetica follia può spiegare.
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Le ricette proposte sono dello Chef Roberto Pession del Ristorante “La Chandelle” dell’Hotel Hermitage di Breuil - Cervinia
Patata farcita con fonduta e tartufo nero pregiato Ingredienti per 4 persone 10 piccole patate - 100 gr. di ricotta 1 scalogno - 1 dl. di olio extra vergine d’oliva 150 gr. di tartufo nero per la fonduta 100 gr. di fontina - 1 cucchiaino da the di farina tipo “00” - 50 dl. di latte - 2 tuorli d’uovo Preparazione: Tornire le patate, tagliarle a metà, svuotarle con uno scavino e cuocerle a vapore. Tritare lo scalogno, cuocerlo nell’olio e aggiungere la ricotta. Con questa crema riempiamo le patate e le teniamo in caldo. Tagliare la fontina a pezzi e metterla in un pentolino con il latte le uova e la farina setacciata, cuocere fino ad arrivare al primo bollore girando continuamente con un mestolino tenere in caldo. Dividere la fonduta nei piatti, le patate farcite con una fetta di tartufo sopra e il resto del tartufo nel
Ricette
piatto come decorazione.
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Soufflè di asparagi con la nostra fonduta e tartufo nero Ingredienti per 4 persone per il soufflè 200 gr. di asparagi verdi - 10 gr. di burro - 2 tuorli d’uovo - 4 albumi - 40 gr. di parmigiano - aglio rosmarino - sale - pepe per la fonduta 100 gr. di fontina - 1 cucchiaino da the di farina tipo “00” - 50 dl. di latte - 2 tuorli d’uovo 100 gr. di tartufo nero Preparazione: pelare gli asparagi e cuocerli in poca acqua, tagliare le punte e lasciarle da parte. Frullare i gambi dopo averli soltati con il burro, l’aglio e il rosmarino. Aggiungere il parmigiano i tuorli sale e pepe egli albumi montati a neve mettere i soufflè negli stampi a pozione (non più di ¾) Cuocere a 180° per 20 minuti Tagliare la fontina a pezzi e metterla in un pentolino con il latte le uova e la farina setacciata, cuocere fino ad arrivare al primo bollore girando continuamente con un mestolino tenere in caldo. Dividere la fonduta nei piatti, sfornare i soufflè appoggiarli sulla fonduta e tagliare il tartufo a lamelle
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Ravioli su fonduta di fontina e tartufo nero Ingredienti per 4 persone Per il ripieno 800 gr. di spinaci selvatici - 200 gr. di mascarpone - 50 gr.di prezzemolo - 2 tuorli d’ uovo - 50 gr. di parmigiano sale - pepe - noce moscata. per la pasta 200 gr. di farina di semola di grano duro - 6 tuorli d’uovo - 1 dl. di olio per la fonduta 100gr.di fontina - 1cucchiaino da the di farina tipo “00” - 50 dl. di latte - 2 tuorli d’uovo 100 gr. Di tartufo nero Preparazione: impastare la farina di semola con i tuorli e l’olio fino ad ottenere una massa pronta da sfogliare. Cuocere gli spinaci in abbondante acqua salata,tritarli con il prezzemolo e aggiungere il mascarpone,i tuorli, il parmigiano sale pepe e noce moscata. Tagliare la fontina a pezzi e metterla in un pentolino con il latte le uova e la farina setacciata, cuocere fino ad arrivare al primo bollore girando continuamente con un mestolino tenere in caldo. Sfogliare la pasta molto sottile e formare i ravioli con abbondante ripieno.cuocere in abbondante acqua salata. Dividere la fonduta nei piatti,i ravioli e tagliare il tartufo nero
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di Arabella Pezza
La “Bataille des Reines” La prima volta che ho sentito nominare la “Bataille des Reines” ho subito pensato a qualcosa di medievale: mi immaginavo le dame dei celeberrimi castelli valdostani a combattere tra di loro, forse per conquistare il cuore di un principe, forse per dimostrare alle altre chi fosse - che so - la migliore a organizzare banchetti o ricevimenti. Insomma, il mio pensiero era lontano anni luce a quelle che invece sono realmente “les Reines” valdostane. A mia discolpa c’è però da dire che ero una giovane e innocente fanciullina sedicenne, appena arrivata in Valle d’Aosta, che ancora non conosceva gli usi e le tradizioni locali. E proprio a causa della mia giovane timidezza per parecchio tempo ben mi sono ben guardata dal chiedere delucidazioni; sopravvivevo - ingenua! - nella mia ferma con-
vinzione che dame e regine combattessero tra di loro chiuse in regge e castelli abbarbicati tra monti e vallate. Quando finalmente ho scoperto che la “Bataille des Reines” in verità altro non è se non una tradizione folkloristica che si svolge ogni anno in Valle e si conchiude con la finale che si svolge all’interno dell’arena Croix-Noire di Aosta, mi è quasi caduto un mito. Ma come: io sognavo ad occhi aperti splendide sovrane in abiti di broccato e velluto e invece scopro che si tratta di vacche? Anzi, di “vatse”, come le chiamano in patois i valdostani. Infatti, la Bataille consiste in due mucche di razza valdostana pezzata nera che si misurano spingendosi con le corna; vince la prima che allontana l’avversaria.
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Mi spiegarono poi che la prima Bataille avvenne nella Comba di Vertosan (una località molto suggestiva tra i comuni di La Salle e di Avise) e nel 1892 il noto poeta patois valdostano Jean-Baptiste Cerlogne le dedicò la poesia “La bataille di vatse a Vertozan”. Nel 1947 si svolse invece la prima edizione moderna nello stadio di Aosta. Insomma, da tempi immemorabili queste agili vacche valligiane si scontrano tra di loro durante una vera e propria battaglia e io non solo ne ignoravo l’esistenza, ma non avevo mai neppure assistito ad un combattimento! E’ stato allora che ho deciso di assistere al primo appuntamento di una delle eliminatorie estive (durante l’estate, per qualche settimana, il circuito delle Batailles de Reines si ferma per permettere alle mandrie di salire in
alpeggio e per concedere un pò di riposo alle reines prima dell’inizio delle finali). Mi sono informata, ho cercato qualcuno che potesse accompagnarmi (sì, tremavo all’idea di assistere da sola allo scontro) e - armata dei miei migliori propositi -– sono partita alla scoperta di questa intrigante e per me misteriosa realtà. In Valle d’Aosta queste “reines” sono le rappresentanti più battagliere della razza valdostana, quelle che animano le lotte anche all’interno delle mandrie. Posseggono caratteristiche morfologiche che le distinguono dalle compagne: una corporatura possente e muscolosa, la fronte larga, dotata di corna robuste, orientate normalmente in avanti. I combattimenti avvengono spontaneamente già durante la mescolanza all’nterno di una
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stessa mandria (o di più mandrie) come in occasione della salita in alpeggio dell’estate. Le “batailles programmate”, come quella alla quale mi accingevo ad assistere io, sono invece organizzate dall’Association Régionale Amis Batailles de Reines, su di un’area appositamente scelta ed adeguata e contro un’avversaria assegnata a sorteggio. Durante l’incontro quello che mi ha maggiormente colpito è che non c’è forzatura a lottare da parte dell’allevatore, che rimane tra gli spettatori, tutti molto numerosi e partecipi; la competizione è leale, l’animale lotta contro un suo simile ad armi pari e non c’è lo scopo di eliminare l’avversaria, bensì di ottenerne la sottomissione con una più o meno onorevole sconfitta. Proprio per questo ho assistito a tutta la battaglia davvero positivamente impressionata e anche parecchio coinvolta; alla fine dell’incontro ho deciso che mai e poi mai mi sarei persa la finale (che quest’anno si svolgerà il 24 ottobre ad Aosta). Questi combattimenti hanno assunto un grande interesse non solo nel mondo agricolo, ma fanno anche parte di una cultura e di una tradizione di cui tutti i valdostani vanno molto orgogliosi: hanno ragione.
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Rubriche
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Il vero gourmet che arriverà per la prima volta a Milano in occasione della Grande Esposizione del 2015 sarà certo curioso di visitare i ristoranti dove poter incontrare il meglio della cucina del nostro Paese, i sapori autentici e genuini della nostra terra. “Gustare l’Italia” vuol dare il proprio contributo a questo legittimo desiderio e segnalerà quei locali ai quali il turista goloso non dovrà rinunciare per nessuna ragione. Presentiamo quindi due personaggi che hanno portato nel capoluogo lombardo le creazioni gastronomiche della Toscana.
Quando Aimo ha compiuto sessant’anni i figli Stefania e Andrea gli hanno regalato un album di fotografie che ripercorre la storia dei genitori: “una grande, bellissima storia fatta di chiari e di scuri, di gioie e dolori, una storia d’amore della nostra terra e i suoi frutti” dice la dedica. Aimo e Nadia non l’hanno mai tradita la loro terra; i suoi frutti, le suggestioni, i ricordi sono
presenti in ogni nuova creazione sempre legata ad antichi sapori, ad antiche ricette reinterpretate con sensibilità e rispetto. Sono arrivati a Milano negli anni ‘50 come molti altri loro conterranei; in quegli anni nella maggior parte dei ristoranti Milanesi non si parlava che il dialetto musicale dei paesi a cavallo fra la Lucchesia e la provincia di Pistoia: Pescia, Chiesina Uzzanese, Altopascio… nel-
I ristoranti Expo
di Davide Rampello - Foto di Gianni Renna
“Il luogo” di Aimo e Nadia
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la Guida dell’ “Accademia della cucina” voluta da Orio Vergani, fra i 44 ristoranti di Milano segnalati, ben 21 erano toscani e toscano era tutto il personale, dal maitre all’ultimo degli sguatteri, arrivati dalla Valdinievole e dintorni e ciascuno sicuro - come i soldati di Napoleone - di avere il bastone di maresciallo nel proprio zaino. Fra questi c’era un ragazzotto, figlio di una buona cuoca, che ogni anno in periodo di fiera partiva da Pescia per venire a dare un aiuto alla Paolina in Via Palazzo Reale. Si chiamava Aimo Moroni ed aveva una gran voglia di lavorare e di imparare. Troppo spesso nella ristorazione va di moda l’improvvisazione: c’è chi apre un ristorante perché ha fatto una scommessa, perché ha avuto una eredità, per sfizio, per gioco, perché ha fatto uno stage di quindici giorni da Gualtiero Marchesi e si crede subito generale. Aimo è uno dei pochi che ha incominciato da soldato semplice; lo troviamo infatti quattordicenne in Piazza Mercanti a lavare i piatti da Giacchino, a scolare verdure, a fare - come si dice - “l’interno”. A occhio pronto attento e subito viene promosso “aiutante di spesa”. Prima insieme al proprietario e presto da solo comincia a frequentare l’Ortomercato che, da all’ora, ancora oggi dopo 60 anni, rivisita ogni mattina alla ricerca del meglio. A poco più di 20 anni con la madre e una graziosa brunetta arrivata - naturalmente - da Pescia, prende in gestione la sua prima trattoria.
In realtà si tratta di una diecina di tavoli in una sala annessa ad una tabaccheria in Via Copernico nella vecchia Milano, ma in poco tempo i loro piatti rigorosamente toscani diventano famosi nel quartiere anche per la qualità dei prodotti scelti con un’attenzione quasi maniacale. Il matrimonio con Nadia gli dà la carica per compiere il passo decisivo, il sogno di ogni emigrato: avere un locale tutto suo. C’era nell’allora estrema periferia di Milano, in Via Montecuccoli ancora da asfaltare una locanda nata negli anni ’30 come osteria (gioco di bocce, vino e pesciolini fritti). Il proprietario si lascia incantare da quei due simpatici giovani e concede un pagamento molto dilazionato facendo credito al loro entusiasmo e alla loro voglia di lavorare.
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Sono da allora passati 50 anni, sono arrivati due figli, due stelle Michelin, riconoscimenti e apprezzamenti da ogni guida gastronomica italiana e straniera, ma entusiasmo e voglia di fare sono rimasti immutati. I francesi che di buona cucina hanno dato lezione a tutto il mondo misurano un buon ristorante anche dai chilometri che un cliente è disposto a fere per raggiungerlo: “mérite un détour” dicono (vale una deviazione )… ma di quanti chilometri? 10,50,100? A Milano ci sono oggi molti ristoranti segnalati dalle varie guide; quanti di questi valgono una deviazione, diciamo di 50 chilometri? Possiamo contarli sulle dita di una mano, ma fra questi c’è sicuramente il “Luogo di Aimo e Nadia”; sono passati più di 20 anni da quando sono felicemente approdati in Via Montecuccoli ma sembra che gli anni non siano trascorsi per la bella coppia; qualche anno fa Aimo
ha avuto un problema di salute che lui chiama un “pit stop” come quando i piloti di formula 1 si fermano ai box per ricaricare i serbatoi e cambiare le gomme. Era stato sul punto di rinunciare a riprendere la corsa, ma l’esitazione è durata davvero un attimo; uno sguardo a Nadia e alla figlia Stefania e subito ha riacceso i motori ed eccolo in piena forma per la felicità dei gourmet più esigenti. “Allora, Aimo, che cosa preparerai per chi arriverà a Milano in occasione dell’Expo?” “L’ospite che arriverà in Italia da ogni parte del mondo avrà anche il piacere di ritrovare in un ristorante i sapori che rappresentano il nostro Paese; dobbiamo impegnarci dunque, e l’invito lo estendo anche ai colleghi, per non far mancare in un menu, accanto ai piatti creativi, un bel risotto alla milanese o delle tagliatelle alla bolognese e, perché no? una “zuppa di cavolo nero e pane” secondo la migliore tradizione toscana, con ingredienti rigorosamente della nostra campagna. C’è in questo piatto tutta la storia della sua gente, della sua terra e
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rappresenta perfettamente la cucina italiana che non è una cucina di arte ma nasce quasi sempre da esigenze di risparmio e di bilancio, la cucina alla quale avevano cercato di dare nobiltà nell’800 Pellegrino Artusi (la Scienza in Cucina) e Lorenzo Stecchetti (la Tavola e la Cucina nei XIV e XV) ma che doveva aspettare gli anni 70 del 900 per essere rivalutata appieno quando gli Americani scoprirono le virtù straordinarie di quella che chiamavano “alimentazione mediterranea” (mediterranen diet), semplice e essenziale.” La zuppa di Aimo e Nadia non è altro che la “zuppa di magro alla contadina” quella che l’Artusi presentava così: “questa zuppa che per modestia si fa dare l’epiteto di contadina, sono persuaso sarà gradita da tutti, anche
dai signori, se fatta con la dovuta attenzione.” Tra gli ingredienti: fagioli bianchi, cavolo nero, cavolo verza, foglie di erbetta, cipollotti freschi, porri, carote, zucchinette, patate, gambi di sedano verde, finocchiella selvatica, prezzemolo, basilico, olio extravergine e naturalmente fette tostate di pane toscano raffermo. Sembra la ricetta più facile da realizzare; provate voi a trovare l’autentico cavolo nero toscano senza nervature così come deve essere: la foglia non molto grande, l’apparenza fragile quasi appassita, il profumo intenso e delicato, il sapore netto e incontrollabile … (a Milano gli intenditori si scambiano gli indirizzi di due o tre sicuri importatori e non lo rivelano che a pochi fortunati gourmet).
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Un altro discorso esclusivo va fatto per i fagioli (anzi: “I FAGIULI” come scriveva l’Artusi); devono essere assolutamente di Sorana, un minuscolo delizioso paese in Valdinievole. Sono forse i fagioli più cari e preziosi del mondo: chi riesce a trovarli li paga oggi intorno ai € 80,00 al chilo. Narra la leggenda che un contadino stava andando al mercato con due secchi di fagioli quando fu sorpreso da una pioggia torrenziale (una “burrascata” come si dice da quelle parti) che fece cadere l’asino e rovesciare le sacche di fagioli che si sparsero sul torrente Pescia. A primavera spuntarono le piante e poi quei legumi preziosi e delicati che oggi tutto il mondo gastronomico conosce e apprezza i “fagioli di Sorana”. Procurarseli è una vera caccia al tesoro se si pensa che se ne producono ogni anno pochi quintali e che in giro ci
sono falsari che spacciano per Sorana comunissimi “cannellini” (la differenza è di 70 € al chilo). L’olio naturalmente deve essere toscano, il pane deve essere tenuto raffermo (almeno 25 giorni). Va naturalmente accompagnato da un Chianti giovane, fresco e allegro come la risata di un bella donna, un “Gallo Nero” del Castello di Ama, per esempio. La zuppa andrebbe servita in piatto non troppo raffinato, l’ideale sarebbe la terracotta toscana. Se il turista arrivato a Milano per l’Expo 2015 ha nel suo albero genealogico un’ascendente toscano dovrà assaggiare questa zuppa in silenzio e con gli occhi chiusi facendo la massima attenzione all’armonia dei sapori, dei profumi, degli aromi che gli trasmetterà questo cibo antico.
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GOURMADIA s.r.l. Via Pacchioni, 365 - 47521 Cesena (FC) - ITALY Tel. +39 0547 23821 - Fax +39 0547 25791 Internet: www.lamadia.com - Email: lamadia@lamadia.com
di Cino Tortorella
Le ricette dell’unità d’Italia
L’anno prossimo si festeggerà il 150° anniversario dell’Unità d’Italia e per l’occasione sono previste numerose iniziative di carattere culturale, storico e scientifico. Tra queste però ne manca una che ricordi come l’Unità sia servita anche a valorizzare la gastronomia del nostro Paese. Ogni cucina locale, pur restando fedele alle proprie tradizioni, si è arricchita usando esperienze e prodotti di altre regioni. Per fare un esempio: il “Risotto alla milanese”, la cui ricetta originale risale al 1574, è oggi perfetto se si unisce al riso e burro della Lombardia il Parmigiano dell’Emilia, il midollo di bue del Piemonte, lo zafferano d’Abruzzo e il vino di Puglia; e così per molti altri cibi. Sarebbe perciò opportuno alle tante manifestazioni in programma aggiungerne una che riguardi il mondo della gastronomia. “Gustare l’Italia” si propone di colmare questa lacuna e chiederà ai più grandi chef di collaborare per onorare con le loro creazioni l’importante anniversario. Saranno scelti 50 tra i migliori d’Italia e ciascuno dovrà indicare tre proprie ricette o già esistenti o creata per l’occasione dove dovranno essere presenti più ingredienti di altre regioni ed ogni piatto sarà accompagnato da due vini: uno locale e l’altro di un’altra regione a scelta del sommelier. Le 150 ricette, che verranno raccolte in un volume, saranno presentate durante manifestazioni che si svolgeranno in varie parti d’Italia alle quali parteciperanno i migliori
gruppi folkloristici con canti e danze tradizionali. Ulteriori informazioni le troverete sul nostro sito www.gustarelitalia.it
Incominciamo con uno dei più grandi ristoratori Gianfranco Bolognesi che con i suoi fidi collaboratori Marco Cavallucci e Angelo Assirelli del Ristorante “La Frasca” il romantico e raffinato locale di Milano Marittima, ci propone tre ricette dove sono coinvolti i prodotti di 17 regioni italiane.
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Le ricette proposte sono degli Chef Marco Cavallucci e Angelo Asirelli del Ristorante “La Frasca” di Milano Marittima
Paccheri di Gragnano con calamaretti Ingredienti per 4 persone: 350 g di paccheri di Gragnano (Campania); 400 g di calamaretti; 1 arancia; 1 limone non trattato (Costiera Amalfitana); 1 mazzetto di basilico; 400 g di pomodorini di Pachino (Sicilia); 1 spicchio d’aglio; olio extra vergine d’oliva (Toscana); sale e pepe q.b. Preparazione: avare i pomodorini, versarli in una pentola, con acqua bollente per 30 secondi, quindi raffreddarli in acqua e ghiaccio; privarli della buccia e tagliarli in 4 parti. In una padella con un filo d’olio appassire lo spicchio d’aglio, alzare la fiamma e unire i pomodorini; salare e pepare. Cuocere per circa 3 minuti quindi unire il basilico. Pulire i calamaretti e lavarli bene, asciugarli e passarli velocemente in padella con i pomodorini; unire la scorza dell’arancia grattugiata. Cuocere i paccheri in abbondante acqua salata, scolarli e saltarli in padella con i calamaretti e il pomodoro. Servire con sopra le zeste di limone scottate per 3 volte in acqua e spolverate con polvere di arancia
Ricette
disidratata.
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Risotto bianco nero con stigmi di zafferano abruzzese Ingredienti per 4 persone: 140 g di riso Carnaroli (Lombardia); 140 g di riso venere; 12 capesante; 1 scalogno; 0,5 g di pistilli di zafferano (Abruzzo); fumetto di pesce; sale; olio di nocciola; olio extra vergine d’oliva (Liguria); vino bianco secco (Friuli). Preparazione: far appassire mezzo scalogno tritato in un tegame con un filo d’olio, versare il riso Carnaroli e farlo tostare; bagnare con il vino; continuare la cottura con il fumetto di pesce. Scolarlo e finire la cottura con il rimanente scalogno tritato, appassito con un filo d’olio e il fumetto di pesce; mantecare anche questo con l’olio alle nocciole. Pulire e lavare le capesante e cuocerle sulla griglia, condirle con il salfiore di Cervia. Disporre al centro dei piatti un poco di riso venere, adagiarvi attorno il riso Carnaroli, aggiungere i pistilli ammorbiditi con un poco di fumetto bollente. Servire con le capesante adagiate sopra il riso.
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Zuppa di piselli Ingredienti per 4 persone: 1 kg di piselli freschi; 1 kg di fave fresche; 500 g di asparagi d’Altedo (Liguria); 2 scalogni; 2 patate; 8 scampi; sale e pepe; farina; prezzemolo riccio; olio extra vergine d’oliva (Puglia). Preparazione: sgusciare gli scampi e, con i carapaci, preparare un brodo con i suoi odori Appassire lo scalogno tritato con un filo d’olio e aggiungere le patate tagliate a tocchetti, i piselli sgranati e le fave pelate; coprire col brodo dei carapaci e cuocere per circa 20 minuti; regolare di sale e pepe e passare al setaccio. Infarinare gli scampi tagliati a pezzetti e friggerli in abbondante olio assieme al prezzemolo. Versare la crema nel piatto fondo e disporvi sopra gli scampi e il prezzemolo fritti, quindi aggiungere le punte di asparagi precedentemente bollite e poi saltate in padella con un filo d’olio, sale e scalogno appassito. Condire con olio crudo e pepe macinato al momento.
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di Davide Rampello
“Beviamo amici, la notte amore e vino non chiedono moderazione. E’ priva di pudore, la notte. Bacco e Amore non conoscono la paura”. Ovidio Nello scorso numero di “Gustare l’Italia” abbiamo proposto ai nostri lettori di riprendere l’antichissima tradizione di inventare un brindisi, come si usava fare da quando l’uomo cominciò a provare gioia nel sedersi con degli amici intorno ad un tavolo per gustare cibi e bere un buon vino e sentì il desiderio di manifestare il proprio piacere improvvisando un discorso in prosa o in versi.
Brindisi d’autore
Abbiamo chiesto ai nostri lettori di inventare dei brindisi e di inviarli al nostro indirizzo e-mail (info@gustarelitalia.it ), ricordando che una giuria avrebbe scelto il più divertente o il più poetico che sarebbe stato premiato con bottiglie dei vini della Cantina Due Palme di Cellino San Marco. In molti hanno risposto al nostro appello e ci hanno inviato i parti della loro fantasia; siamo ancora lontani dai brindisi di Alceo o di Orazio, ma sono già abbastanza accettabili alcuni tentativi. La maggior parte è naturalmente dedicata ai piaceri della vita e soprattutto all’amore, ma qualcuno riguarda anche la poesia. Il primo in assoluto ad arrivare è stato inviato da Monselice (PD), l’ha scritto Giovanni che l’ha dedicato alla sua Sara: “Brindo alla mia donna, alla salute, all’allegria. Il resto vada in mona. E così sia”. Poetico Enrico di Saluzzo: “Brindo a te amore mio, poi bevo e mi tuffo nei tuoi occhi”. Anche Giulio di Monopoli ha le allucinazioni: “In fondo ad ogni bicchiere vedo il tuo sorriso”.
Corrado di Piacenza deve aver scritto il suo brindisi dopo il quinto bicchiere bevuto insieme alla sua Lucilla: “Verso lo Champagne nell’incavo della tua spina dorsale e lo bevo risalendo con la lingua come un salmone innamorato”. Chiara si è fatta un po’ aiutare da Lorenzo il Magnifico: “Chi vuol esser lieto sia, del doman non c’è certezza. Nell’ebbrezza del buon vino ogni giorno è una ricchezza”.
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E’ filosofo Giovanni da Opera (Milano): “Brindo con piacere e serenità alla vita che toglie ma che da basta saper capire ed accettare ciò che uno può o non può fare”.
Hanno continuato per altre tre pagine e ce n’è per tutti; alcuni francamente impubblicabili.
Un altro filosofo è Daniele di Pavia: “Bere insieme agli amici e al nostro amore porta gioia e allontana il dolore.” Un gruppo di buontemponi l’hanno buttata in politica e hanno improvvisato brindisi dedicati senza molta benevolenza a politici (di destra e di sinistra); ha incominciato Paolo da Monza: “Beviamo alla salute di Silvio Berlusconi basta che se ne vada al polo con Maroni”. Anche Enrico di Busto Arsizio non è stato tenero con il Premier: “Io bevo alla salute di Berlusconi Silvio basta che poi si butti in giù da Ponte Milvio”. Ermanno di Torino se la prende però con il leader del IDV: “Io per la par condicio brindo al buon Di Pietro; dopo però lo prendo a calci nel didietro”. C’è n’è anche per il Segretario dell’UDC: “Un calice ben colmo dedico a Pier Ferdinando ma tosto poi al diavolo di corsa io lo mando”. E Giulio di Milano: “E non dimentichiamoci poi della bella Bindi sbronziamola ed a nuoto mandiamola a Malindi”.
L’unico che ha visto d’accordo tutti è quello di Ernesto di Gallarate: “Brindiamo alla Carfagna la meglio del pollaio. beviam, beviam, beviamo poi insieme gran cuccagna”. La giuria ha deciso all’unanimità di premiare il brindisi di Emanuela da Milano. Il premio consiste in 24 bottiglie di “Melarosa”, l’ultima straordinaria invenzione delle Cantine Due Palme di Angelo Maci in Cellino San Marco, provincia - ovviamente - di Brindisi; è uno spumante rosato, allegro e sensuale come i sogni di una diciottenne innamorata. E’ lo stesso premio che arriverà a chi vincerà la gara dei brindisi del prossimo mese; per inventarli basta un po’ di fantasia, di allegria, di gioia di vivere, tutte doti che si trovano in fondo ad un bicchiere di buon vino. Il nostro indirizzo e-mail è info@gustarelitalia.it. Vi auguriamo una buona bevuta insieme ad amici e amanti e vi lasciamo con il poetico brindisi del vincitore: “In un giorno di felicità creativa Dio inventò l’amore. Era certo di aver fatto un grande dono all’Umanità. Si accorse però che mancava qualcosa per rendere il dono perfetto. Inventò allora la Poesia. Ma ancora non era soddisfatto. Finalmente creò il Vino. Brindiamo dunque, amici, al Vino, all’Amore e alla Poesia”.
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Emanuela da Milano
della Redazione
Il carello della spesa
Insieme a “Gustare l’Italia” nasce oggi un nuovo contenitore che sarà di grande aiuto per tutti i nostri lettori. Il portale è stato realizzato dall’”Idini Consulting Group”, un’importante Società del settore che può vantare collaboratori tra i più qualificati. Alla direzione del Gruppo c’è Piero Idini, forte di un’esperienza ormai ultratrentennale che lo ha visto tra i primi tecnici di Antenna Tre, la prima televisione privata fondata da Enzo Tortora, Cino Tortorella e Beppe Recchia nel 1977. Il sito, che è fin d’ora visibile all’indirizzo www.gustarelitalia.it, vuole essere un importante aiuto per i lettori che potranno sia seguire ricette, consigli e appuntamenti, sia scoprire le più vantaggiose eccellenze alimentari di tutt’Italia. La rubrica, che è allo studio, inizierà a partire dal prossimo mese; si tratta di un’iniziativa che nasce da una doppia esigenza: illustrare a tutti i lettori i migliori prodotti del nostro Paese e aiutare a crescere le
molte Aziende che, nonostante offrano articoli di altissima qualità, spesso sono ancora poco conosciute dal pubblico.
IDINI CONSULTING GROUP È un’azienda di consulenza leader nella gestione e nell’integrazione di sistemi e di servizi professionali, con particolare riferimento all’industria dei media e delle telecomunicazioni. Forte di un’esperienza trentennale nel settore broadcast entertainment e all’avanguardia nei servizi legati al web 2.0, ICG risponde a tutte le esigenze di comunicazione delle imprese che vogliono trarre il massimo vantaggio dalle nuove opportunità che il digitale e internet mettono a disposizione per un business di successo grazie a : Produzioni audiovisive - Web TV - Siti Web interattivi - E-commerce - Comunicazione multimediale e cross mediale - Digitalizzazione pubblicazioni editoriali Per informazioni: info@idini.tv
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di G. T.
Molte sono nel cinema italiano le scene in cui si mangia, soprattutto nel film ambientati al Sud. Clamorosa è la sequenza dell’orgia di pastasciutta nel film “Miseria e nobiltà” con Totò, dove i protagonisti si abbandonano ad una vera e propria orgia a base di pastasciutta, mangiata - naturalmente - con le mani. Un’altra scena famosa è quella del film di De Sica, “L’ Oro di Napoli”, con un affranto Paolo Stoppa che, appena tornato dal cimitero dove è stata sepolta la moglie, viene invitato a partecipare ad una lauta cena secondo la tradizione partenopea. Il fresco vedovo dapprima si rifiuta (anche questo secondo tradizione), anzi, fa le viste di buttarsi dalla finestra per il dolore (dopo essersi assicurato che certo qualcuno lo tratterrà), ma infine non resiste di fronte ad un abbondante piatto di spaghetti che mangia tra le lacrime. Un altro delizioso momento a tavola è in un altro film di De Sica, “Ladri di biciclette”, dove il piccolo Enzo Scaiola, nella finzione cinematografica fi-
Il cibo nel cinema
glio del protagonista Lamberto Maggiorani, si esibisce in una gara con un altro ragazzino nel mangiare un succulento supplì alla romana, quelli detti al “telefono” perché la mozzarella contenuta all’interno, durante la cottura si scoglie e così, dividendo il supplì a metà, le due parti restano “unite” dai fili di mozzarella. E ancora ricordiamo la cena dei protagonisti del film “I soliti ignoti” quando, dopo la fallita rapina alla cassaforte di una ricca signora, si consolano con una pentola di una piacevolissima pasta e ceci trovata in cucina. Ma il vertice dell’umorismo - a mio avviso - è stato toccato da Alberto Sordi nel film “Un americano a Roma”; si svolge nella Roma del dopoguerra ed è la storia di un giovane romano ossessionato dalla mania di scimmiottare i suoi coetanei d’oltreoceano, nel parlare, nel vestire, perfino nel cibo. Dopo una giornata di lavora arriva a casa di sera tardi; il nonno gli ha preparato un piatto di maccheroni “cacio e pepe” che lui guarda come una provocazione. Non sia mai che un americano si lasci sedurre da un piatto così da burini; lui solo cibi americani mangia. E infatti prende alcuni vasetti di yogurt, di marmellata, di mostarda, li spalma sul pane e lo bagna con del latte mentre gli occhi continuano a cadere sui maccheroni. Al primo boccone però non ce la fa proprio a mandarlo giù (“ammazzala che zozzeria”) e dopo aver
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buttato via lo yogurt (“questo lo damo al sorcio”), il latte (“questo pe er gatto”), la mostarda (“questa p’ammazzà le cimici”) si rivolge al piatto preparato dal nonno: “a maccherò… tu m’hai provocato... e io me te magno...te distruggo!”. E lo fa fuori in poche forchettate. Alla prima del film proiettato al Sistina nel 1954 il pubblico si alzò in piedi e si esibì in una “standing ovation” (allora però non si chiamava ancora così). Ne sono passati anni e molti italiani si sono americanizzati davvero nel fast food e mangiano intrugli anche peggiori di quello di Sordi. Un tentativo di reazione a questo stato di cose si è avuto quest’anno con il film di Nico Cirasola “Focaccia Blues”, un docu-film del 2008 (racconta il luogo e i protagonisti di una vicenda realmente accaduta in Puglia: trae spunto dall’impresa di una piccola focacceria pugliese che, valorizzando i prodotti tipici, è riuscita a mettere in crisi un grande Mc Donald’s aperto nella città di Altamura. Il film descrive la vittoria del mondo piccolo e “glocale” che si oppone alla diffusione della globalizzazione intesa come massificazione dei gusti, grazie all’utilizzo di poche armi: la qualità, la genuinità e la simpatia). Alla sua proiezione non c’è stato, purtroppo, nessuna standing ovation.
FOCACCIA BLUES - Dal quotidiano “Il Foglio” Preghiera: “Davide, tu che proteggi chi affronta Golia, che hai fatto vincere un piccolo fornaio di Altamura costringendo la filiale locale del colosso Mc Donald’s alla chiusura per mancanza di clienti, adesso devi far diventare un successo Focaccia Blues, il film che racconta la storia incredibile ma vera della focaccia pugliese che si mangia l’hamburger, girato senza soldi però con tanto origano, pomodoro e olio extra vergine, e la più succulenta attrice barese, Tiziana Schiavarelli, e poi Renzo Arbore, Lino Banfi e Nichi Vendola goliardicamente coinvolti, e Michele Placido che pronuncia la frase che diventerà lo slogan di noi conservatori edonisti: abbiamo già tutto quello che ci serve per vivere meglio, basta sceglierlo. Davide, non ti chiedo un grosso sforzo, la cine-focaccia sfornata dal regista Nico Cirasola è molto più divertente di qual si voglia cine-panettone, e non avendo zucchero non fa ingrassare. Basta che tiri una fiondata a un paio di Blockbuster e il gioco è fatto”. Camillo Langone
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della Redazione
IL MANGIAROZZO 2010 - Carlo Cambi Più che una questione di etichetta è una questione di forchetta. È il “credo” de Il Mangiarozzo, l’antiguida alle osterie e trattorie d’Italia dove il conto è leggero, il servizio familiare, il menù di solida tradizione. Ma oggi Il Mangiarozzo - diventato un cult dell’enogastronomia nazionale narrata - è qualcosa di più. Perché segnala i luoghi dove coltivare il piacere della tavola e del convivio senza dover “accendere un mutuo”: anche quest’anno, inoltre, alcuni ristoratori hanno accettato di praticare uno sconto o di offrire un generoso assaggio a tutti i clienti che si presenteranno con una copia di questa guida. Ma non basta: Il Mangiarozzo è un saporito viaggio nell’Italia a tavola. È il racconto di donne e uomini per i quali il rapporto con l’agricoltura di specialità diventa menù scandito dalle stagioni, in cui la cucina è vissuta con passione per creare un rapporto fiduciario tra oste e cliente. È una cronaca dell’eccellenza quotidiana ma è anche un “manifesto” per dire basta agli chef astrusiani, per ridare giusto protagonismo ai cuochi e alle cuoche che da sempre interpretano la filiera
Libri da mangiare
corta e il chilometro zero.
PICCOLO RICETTARIO PER CUOCHI PERDIGIORNO - Roberta Deiana Un ricettario davvero insolito e brillante: 73 ricette riscritte in modo creativo e inaspettato, c’è la ricetta in terzine dantesche, quella in stile romanzo erotico, in stile noir anni ’50… e anche quella scritta come una canzone di Paolo Conte! Imperdibile la “Zuppa di pollo Buckowsky al Grand Hotel Roach”, esilarante.
OLTRE - DESSERT AL PIATTO - Loretta Fanella 36 dessert al piatto; 247 preparazioni; 34 procedure illustrate; 170 foto; 4 lingue: italiano, inglese, francese, spagnolo: ecco il primo libro di Loretta Fanella. “…un libro che si caratterizza per un’immaginazione così straripante che sembra proprio uscito da un racconto di fiabe… Il lettore ha di fronte a sé un libro che non fa che confermare che il mondo dei dessert rivendica il proprio ruolo nel panorama gastronomico e cammina con passo spedito verso un futuro impegnato nell’innovazione e la qualità, senza dimenticare le proprie radici… se teniamo in considerazione anche la sua giovane età possiamo soltanto affermare, senza ombra di dubbio, che l’Italia ha in Loretta Fanella uno dei fari presenti e futuri della ristorazione….”
Gustare l’Italia 90
(dall’introduzione di Ferran e Albert Adrià)
CRUDO E MANGIATO - Sandro Masci Crudo per scelta, comodità, abitudine, moda, vezzo o semplicemente per gola? Qualunque sia la motivazione, l’arte di preparare il crudo ha conquistato in questi ultimi anni tantissimi nuovi appassionati. Sono molte le tavole che mettono in bella mostra una varietà di pietanze create rigorosamente senza l’utilizzo di forni e fornelli. Ma non sempre è facile come potrebbe sembrare. Dietro l’apparente semplicità di piatti che non richiedono cotture tradizionali, si nascondono segreti e trucchi sorprendenti, per ottenere delle marinate con limone, aceti e agrumi, o abbinare ad arte una salsa, un condimento o un dressing, sempre privilegiando l’utilizzo di prodotti freschi.
KITCHEN REVOLUTION- Laura Rangoni Curcuma, kumquat, funghi shiitake, halibut, kren… Basta con la tradizione, il palato si ribella! Finalmente la cucina italiana si arricchisce di nuovi sapori e si vola in India, Giappone, Africa, Thailandia, Libano, Cina... Laura Rangoni, dopo il successo di Turisti per cacio, riprende a viaggiare alla ricerca di quegli ingredienti che ormai fanno parte della nostra tradizione gastronomica pur non essendo originari del Bel Paese. E così si scopre il nuovo volto della cucina italiana, entrata nel villaggio globale tramite l’uso di spezie, carni, verdure che provengono da paesi lontani ed esotici, o vicini e già conosciuti. Le ricette della tradizione vengono riscoperte e reinterpretate alla luce di una varietà infinita di nuovi sapori, colori e odori. Impossibile resistere... una vera e propria rivoluzione ai fornelli!
LA DIETA UNA VOLTA PER TUTTI - Primo Vercilli È un libro che insegna a mangiare meglio con un metodo alimentare facilmente gestibile e non stressante. Si legge come un romanzo e spiega la Nutrizione immuno funzionale, la frontiera più avanzata della medicina e della nutrizione. Con ricette di grandi chef La dieta non deve essere privazione ma scelta consapevole. Conoscendo il nostro corpo e valore e limiti degli alimenti possiamo raggiungere un vero equilibrio nutrizionale. Primo Vercilli, medico dietologo ed Elsa Mazzolini, giornalista, direttore del mensile La Madia, nel libro “La dieta una volta per tutti”, hanno approfondito l’analisi degli errori alimentari che ogni giorno commettiamo, anche quando pesiamo i cibi, ne escludiamo alcuni o ne utilizziamo troppo altri. Le regole devono essere soggettive ma non in base a suggestioni e mode. La ricerca parte da un test diagnostico che segnala l’impatto dei cibi sugli organi del nostro corpo - questa la novità del libro- e porta quindi a selezionare gli alimenti idonei. Si chiama Nutrizione immuno funzionale, medicina preventiva anche attraverso le scelte della tavola.
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della Redazione
FESTA DELLA CIPOLLA Cannara (PG) - 1/26 settembre 2010 Per info: www.festadellacipolla.it Rossa, dorata, dolce o tenera: ecco la cipolla di Cannara, declinata in mille modi, che per tutto il mese è viene degustata tra bancarelle, spettacoli di danza e assaggi.
SAGRA DELLA PATATA Oreno di Vimercate (MB) - 9/12 settembre 2010 Per info: www.oreno.it/Sagra/CCO/Sagra.html Dal 1968 questa sagra è ormai un appuntamento irrinunciabile per gli amanti di questo tubero che, nei tre giorni della kermesse sarà il protagonista indiscusso di tanti piatti come gli gnocchi le patate fritte, lesse o al forno, il purè di patate, la frittata, i dolci e il pane.
FESTIVAL DEL PROSCIUTTO DI PARMA
Appuntamenti
Parma, Langhirano e tutti i Comuni della zona di produzione - 10/19 settembre 2010 Per info: www.www.festivaldelprosciuttodiparma.com/default.aspx L’organizzazione dell’evento ha l’obietivo di internazionalizzare il Festival, attrarre visitatori da un bacino più ampio di provenienza
RICE - I SAPORI DEL RISO VIgevano (MI) - 17/19 settembre 2010 Per info: www.ricevigevano.it/it La prima edizione della manifestazione offrirà un nutrito calendario di iniziative dedicate al riso come i laboratori della terra, i laboratori del gusto, il mercato, i presìdi, le degustazioni, un modo suggestivo di raccontare la storia di questo cibo e i suoi innumerevoli usi.
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SAGRA DELL’ABBACCHIO Roiate (RM) - 19 settembre 2010 Per info: 06.9569334 Durante questa giornata di festa l’abbacchio viene cucinato poi nei modi più classici: costolette, carrè a corona o cosciotto al forno con le immancabili patate.
SAGRA NAZIONALE DEL GORGONZOLA Gorgonzola (MI) - 18/19 settembre 2010 Per info: www.prolocogorgonzola.191.it Zola e pane, zola e frutta, pizza e focaccia allo zola, risotto allo zola, zola e salumi… insomma, vale davvero la pena di partecipare a questa sagra per assaggiare questo celeberrimo formaggio declinato in mille versioni.
FESTA DEL PESCE Positano (SA) - 25 settembre 2010 Per info: www.festadelpesce.net Sulla spiaggia di Fornillo durante questo sabato di festa si friggono polipetti, totani, triglie e alici. Inoltre, anche la mitica paranza, insalate di polpo, totani e patate per tutti.
FESTA DEL BACCALA’ ALLA VICENTINA Sandrigo (VI) - 25-26 settembre 2010 Per info: www.baccalaallavicentina.it Il centro del mondo del baccalà è qui a Sandrigo, nei pressi di Vicenza. E - naturalmente - in occasione di questi due giorni di festa viene servito rigorosamente alla vicentina.
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COUS COUS FEST San Vito Lo Capo (TP) - 21-26 settembre 2010 Per info: www.couscousfest.it In occasione di questa celeberrima kermesse ben otto nazioni si sfideranno tra loro interpretando il cous cous secondo le proprie tradizioni locali, in una festa di musica e colori. E oltre a queste ghiotte degustazioni gastronomiche, anche laboratori culinari e tanta buona musica.
SAGRA DELL’UVA Cupramontana (AN) - 25 settembre/3 ottobre 2010 Per info: www.sagradelluva.com Cupramontana, città del Verdicchio; qui il vino è una vera e propria istituzione (c’è anche il museo internazionale dell’etichetta del vino) e lo si beve - benché bianco - prevalentemente con carni bianche o rosse (oltre che con pesce e verdure).
SAGRA DELLA MELA E DELL’UVA Villa di Tirano (SO) - 8/10 ottobre 2010 Per info: infotirano@provincia.so.it E’ una sagra in onore dell’uva “brugnola” e della “melavì”, le coltivazioni a monte e a valle dell’antico borgo. Nei giorni della manifestazione tutto è imperniato sui due frutti della terra; persino i ristoranti della zona propongono esclusivamente menu a tema.
MOSTRA DEL BITTO Morbegno (SO) - 15/17 ottobre 2010 Per info: www.oreno.it/Sagra/CCO/Sagra.html Con i suoi 103 anni di storia, l’evento è diventato una vetrina che rappresenta e valorizza non solo l’intera filiera agro-alimentare attraverso i Consorzi di tutela dei prodotti tipici, ma anche il comparto dell’artigianato e l’offerta turistica di un terra ricca di opportunità.
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della Redazione
Sei un vero gourmet? Dovete rispondere a questo test senza barare, senza consultare enciclopedie, siti internet, o chiedere lumi agli amici; se rispondete esattamente ad almeno 10 domande, potrete fregiarvi del titolo “vero gourmet”; da 5 a 9 potrete sempre vantarvi di essere un “buongustaio”; da 0 a 4 sarà bene cambiare i ristoranti nei quali vi recate di solito e smettere di seguire le trasmissioni televisive che trattano di cucina.
1) Che cosa sono i “pisarei” nella gastrono-
4) Uno dei più noti ristoranti italiani cono-
mia piacentina?
sciuto al mondo è l’“Harry’s bar” di...?
A) Gnocchetti
A) Venezia
B) Piselli
B) Firenze
C) Pesciolini di fiume
C) Verona
2) Quale guida gastronomica premia i miglio-
5) Quale dei vini che seguono non va d’ac-
ri ristoranti col punteggio in ventesimi?
cordo con il dolce?
A) Gambero Rosso
A) Moscato
B) L’Espresso
B) Albana Passita
C) Touring
C) Montepulciano d’Abruzzo
3) Quale famoso vino trentino viene citato nel
6) Quale di queste località è famosa per il prosciutto?
A) Cabernet
A) Castelmagno
B) Marzemino
B) Acqualagna
C) Teroldego
C) Langhirano
Quiz
“Don Giovanni” di Mozart?
Gustare l’Italia 96
7) Che
cosa significa il verbo
francese “chambrer” spesso riferito al vino? A) Riscaldare B) Raffreddare C) Portare a temperatura ambiente
8)
Dove si produce l’Amaro-
ne? A) Valsugana B) Valsesia C) Valpollicella
9) Qual è il più importante ingrediente della salsa “pearà”? A) Midolli di bue B) Cipolla C) eperoncino
10) Plinio e Virgilio consideravano il Falerno uno dei migliori vini dell’antichità: in quale regione si produceva?
14) Quale
vitigno è presente in misura del
A) Lazio
95% nello “Chateau Mouton Rothshild”, uno dei
B) Toscana
più grandi vini del mondo?
C) Campania
A) Merlot
11) Il re Stanislao che inventò il babà di dove
B) Pinot Noir C) Cabernet
era originario? A) Ungheria
15)
Che cosa è nella cucina brasiliana la
B) Napoli
“churrasqueira” che da il nome alle “churrascai-
C) Polonia
re”, i tipici ristoranti? A) Una salsa
12) Il Porto è un vino:
B) Il girarrosto
A) Spagnolo
C) Un tipo di pentola
B) Portoghese C) Portoricano
“strada del baccalà”? A) Veneto
1) a - 2) b - 3) b - 4) a 5) c - 6) c - 7) c - 8) c 9) a 10) c - 11) c - 12) b 13) a - 14) c - 15) b
13) In quale regione italiana è nata la prima
RISULTATI:
B) Liguria C) Friuli 97 Gustare l’Italia
Indice delle ricette
12
Pressata di polipo con olive su insalatina di funghi all’aceto balsamico
13
Filetto di rombo in crosta e salsa di erbe aromatiche
17
Tortelli di zucca
51
Risotto con ragù di verza e quaglia al rosmarino
65
Patata farcita con fonduta e tartufo nero pregiato
66
Soufflè di asparagi con la nostra fonduta e tartufo nero
67
Ravioli su fonduta e tartufo nero
81
Paccheri di Gragnano con calamaretti
82
Risotto bianco nero con stigmi di zafferano abruzzese
83
Zuppa di piselli
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L’arôme de la séduction.
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