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Periodico di cultura enogastronomica e turismo
Anno 3 - Numero 21 - Giugno 2012
Speciale “Made in Italy�
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Gustare l’Italia
Editoriale
In dieci anni l’Italia ha dimezzato le quote di mercato in Cina, nel Paese che nel 2020 sarà il primo mercato al mondo, passando dal 14,2% nel 2001 al 6,5% del 2011. Oggi cento bottiglie di vino che vengono importate solo 6 sono italiane mentre ben 55 provengono dalla Francia. Eppure i nostri vini sono molto apprezzati dai cinesi e costano anche meno di quelli dei cugini d’oltralpe. Le ragioni di questa incongruenza sono molto semplici: i produttori francesi investono ingenti risorse per aiutare gli importatori a collocare i propri prodotti sul mercato, mentre gli italiani continuano a utilizzare modelli superati e non riescono a “far sistema”. È questa una delle tante assurdità che riguardano il “made in Italy”, soprattutto per ciò che attiene alla sfera della gastronomia. Prodotti apprezzati in tutto il mondo spesso non riusciamo a venderli o permettiamo che vengano imitato in modo grossolano. Gli esempi più clamorosi: il Parmigiano, in numerosi nazioni viene copiato anche nel nome: parmesao, parmesan, regianito, sarvecchio parmesan e così via… e lo stesso accade per l’olio, la pasta, i prosciutti, le salse, i vini… Finora si è fatto poco e niente per impedire questa situazione che produce gravi danni alla nostra economia; basterebbe dare un’occhiata a ciò che si fa negli altri paesi per la difesa dei loro prodotti (e magari in imitarli). Al primo posto in questa opera viene la Francia: fino alla metà del secolo scorso qualsiasi nazione (Italia compresa) poteva impunemente chiamare “champagne” i proprio vini spumanti; in pochi anni sono riusciti a impedire in modo drastico che questo accadesse: si pensi che il comune di Champagne, situato nel cantone di Vaud in Svizzera, ha dovuto rinunciare a riportare il nome del paese sui vini prodotti nel suo territorio, anche se non spumanti. E lo stilista Yves Saint-Laurent ha dovuto annullare il lancio di un profumo che voleva chiamare “Champagne”… In Italia, nella zona del Collio in Friuli, si produce da secoli il vino Tocai dal color paglierino dorato, profumo delicato e gradevole, sapore asciutto, pieno, con lieve gusto amarognolo. Dal 31 marzo 2007 la Corte Europea ha stabilito che il nome Tocai non può essere più utilizzato perché in Ungheria c’è il Tokaj prodotto con uve Furmint e Harsievelu che danno un vino liquoroso molto alcolico, lontano anni luce dalla piacevolezza del nostro. L’Argentina per difendere i proprio prodotti e migliorarne la produzione ha annunciato il blocco delle importazioni dall’Italia che lo scorso anno vi aveva esportato 264 tonnellate di salumi e così sta per accadere in Spagna e in Brasile. Questi sono soltanto alcuni esempi di ciò che si fa negli altri paesi per difendere i propri prodotti mentre in Italia per lunghi anni siamo stati a guardare. Da un po’ di tempo però qualcosa si sta finalmente muovendo grazie ad organizzazioni nate per la difesa del “made in Italy” e all’opera di alcuni politici che si sono svegliati hanno incominciato a fare arrivare a Strasburgo le proteste in difesa dei nostri prodotti. Che è poi la difesa della nostra economia. È ciò che raccontiamo in questo numero di “Gustare l’Italia” La redazione
SPECIALE “MADE IN ITALY” 6
L’intervista Italiani nel mondo: intervista a Franco Narducci
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L’agroalimentare italiano sotto assedio
Sommario giugno 2012
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“Tarocco” e i suoi fratelli
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Lotta alla contraffazione: i numeri del 2011
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Contro le frodi alimentari al servizio dei cittadini
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Un’agenzia contro l’agropirateria
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Tutti uniti in difesa del “made in Italy”
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GDO straniera a sostegno del “made in Italy”
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Vola all’estero il 20% del “made in Italy”
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Lo spumante italiano conquista il mondo
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Solo prodotti italiani per le bevande alla frutta
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Topo Gigio, il “Top” del “made in Italy”
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Quando il nome di un popolo diventa “brand”
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Il progetto “True Italian” e l’Italian Sounding
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Gustare l’Italia
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Continuano a prenderci in giro!
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Vino italiano: questione di qualità
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E’ tempo di eno-turismo
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Agriturismo?
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“Il Mulino” un agriturismo vero
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Mario Fongo, il “panatè”
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“Forme di luce”
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Le “lune” di Gustare l’Italia “La Grotta”
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“Spazio Abbadesse”, tradizione e modernità
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Alla scoperta di “Città della Chianina”
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La Valtiberina toscana
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Consumi & tradizioni Come sono cambiati gli italiani a tavola
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Tavole nascoste La storia d’Italia è servita “À la carte”
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Libri da mangiare
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Ultim’ora Acquisti solidali per il Parmigiano “terremotato”
GUSTARE L’ITALIA - Periodico di cultura enogastronomica e turismo - Anno 3 - Numero 21 - Giugno 2012 Reg. Trib. di Milano n° 201 del 14/04/2010 - Editore: Linea Editoriale srl - Viale Marche, 64 - 20159 Milano Iscrizione ROC (Registro Operatori della Comunicazione) 21940 - ISSN code 2279-7998
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Gustare l’Italia
di Cino Tortorella
Italiani nel mondo: intervista a Franco Narducci
L’intervista
Intervistiamo l’On. Franco Narducci, Presidente UNAIE (Unione Nazione Associazione Immigrati ed Emigrati) Onorevole Narducci, quali sono i prodotti della gastronomia italiana dei quali i nostri connazionali residenti all’estero sentono maggiormente la mancanza? Ognuno ha le proprie nostalgie a seconda della regione dalla quale proviene, perché ha nei suoi ricordi i sapori e i profumi dei cibi più tradizionali. Sono tante nel mondo le comunità di emigrati di vari popoli: spagnoli, irlandesi, portoghesi, francesi… Ma pochi hanno un legame così profondo con le loro tradizioni alimentari come gli emigrati italiani che hanno continuato a cercare i prodotti della loro terra e sono riusciti a farli apprezzare e amare anche dalle altre comunità. Il risultato è che la nostra cucina è ai primi posti nel mondo per gradimento; il successo dello stile italiano trova conferma nella diffusione dei nostri prodotti all’estero dove ci sono decine di migliaia di ristoranti che valorizzano esclusivamente la nostra cucina; soltanto a Zurigo, dove risiedo, ce ne sono oltre 150. Quali sono i prodotti della gastronomia italiana più apprezzati all’estero? In assoluto il più gradito, in ogni parte del mondo, è la pizza; se qualcuno, cento anni fa, avesse avuto l’idea di brevettare, per esempio, la “pizza margherita” oggi con le royalties guadagnate sarebbe l’uomo più ricco del mondo.
Franco Narducci, vicepresidente della III Commissione (Affari Esteri e Comunitari) e Presidente UNAIE (Unione Nazionale Associazioni Immigrati ed Emigrati)
La pizza è forse il cibo più coinvolgente, il più allegro, amato da giovani e anziani e alla portata di tutte le borse. Purtroppo la pizza si può realizzare anche con prodotti non italiani; farina, acqua e pomodori si possono trovare in ogni parte del mondo; quali sono i prodotti assolutamente “made in Italy” più desiderati all’estero? Sono quelli fondamentali dell’ alimentazione mediterranea, la “mediterranean diet”: pasta, olio, vini, formaggi, salumi.
Gustare l’Italia
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difendere il “formaggio di fossa”, il “lardo di Colonnata”, i fagioli di Sorana o di Lamon, le lenticchie di Castelluccio? Come difendere il prosciutto di Parma, di San Daniele, di Langhirano in sede estera oltre il diritto dei marchi registrati? Eppure dobbiamo riuscirci e ce la stiamo mettendo tutta e con tutti i canali, anche a livello informatico. Per i vini abbiamo faticato molto; abbiamo pagato l’immagine negativa che avevamo nel mondo dopo lo scandalo del metanolo che i nostri concorrenti hanno sfruttato abbondantemente senza risparmiarci nessun attacco Oggi però il vino italiano è ai primi posti nel mondo per esportazione. Con la stessa determinazione ce la faremo anche per difendere gli altri nostri prodotti d’eccellenza.
© Consorzio del Prosciutto di Parma
Tutti prodotti che molti cercano di imitare addirittura scimmiottando i nomi in modo di farli credere autenticamente italiani: palenta, parmesao, mortadela, cambozola, parmesan, regianito, olio romulo… Per anni le autorità italiane sono rimaste a guardare, a differenza delle altre nazioni che hanno difeso con energia i prodotti nazionali. Da qualche tempo però ci si sta svegliando anche da noi grazie anche ad alcuni colleghi europarlamentari che a Strasburgo hanno fatto sentire la nostra protesta. Alcuni provvedimenti sono risultati importanti per l’economia nazionale, abbiamo vinto alcune battaglie ma molto resta ancora da fare. Oggi ci sono varie organizzazioni nate per difendere il “made in Italy”, in primo luogo “Ciao Italia”, e naturalmente anche l’UNAIE; i prodotti più facili da difendere sono i vini, ma come
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Gustare l’Italia
Dobbiamo impedire i danni che ci arrivano delle frodi a danno del cibo Made in Italy anche all’estero; infatti, secondo i dati elaborati da Coldiretti, il fatturato da frode a danno del prodotto italiano di qualità ha raggiunto nel mondo i 60 miliardi di euro. Più del doppio delle esportazioni dei prodotti originali. I vini francesi però sono al primo posto per volume di affari nell’esportazione. Questo perché se li fanno pagare di più; i francesi sono più bravi di noi a valorizzare i loro prodotti attraverso la pubblicità; si sta però cominciando a capire che la qualità dei nostri vini supera spesso quelli francesi ed è perciò antieconomico pagarli di più. In Cina, che tra dieci anni sarà il primo mercato al mondo, i nostri vini sono molto apprezzati, eppure su 100 bottiglie che importiamo, solo 6
sono italiane mentre le francesi sono al 55%. II produttori francesi investono ingenti risorse per aiutare gli importatori a collocare i propri prodotti sul mercato mentre gli italiani continuano a utilizzare modelli superati; posso però dire che le cose stanno cambiando. Gli italiani stanno imparando a “fare sistema”, gli altri ci copiano il parmigiano, il pecorino, il prosciutto… anche noi dobbiamo cominciare a copiare qualcosa. Per esempio? Ad avere più orgoglio nazionale, a valorizzare i nostri prodotti che sono i migliori al mondo, a essere meno individualisti. Gli italiani dovrebbero amare la propria terra con la passione degli emigrati, di chi ha dovuto lasciare la Patria per andare in cerca di lavoro, di chi quando riassapora i cibi della tradizione è assalito dalla nostalgia fino alle lacrime...
Gustare l’Italia
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Chi è Franco Narducci È nato a S. Maria del Molise (IS) nel 1947, primo di quattro figli. Sposato con Patrizia ha due figli, Rebecca e Maximilian, nati in Svizzera, che amano moltissimo l’Italia, la sua cultura e la sua lingua. Dopo la maturità tecnica ha iniziato gli studi all’Università di Napoli, facoltà di Economia e Commercio, interrotti successivamente per trasferirsi in Svizzera dove risiede dal 1970. Ha lavorato per un decennio nel settore dell’ingegneria edile e ha partecipato attivamente alla vita associativa degli italiani immigrati in questo Paese, dedicando il suo impegno alle ACLI, in particolare, nelle sue strutture di base. Il mercato del lavoro e le sue trasformazioni hanno rappresentato un punto centrale dei suoi interessi professionali e culturali; si è occupato vari anni di formazione professionale per i cittadini italiani giovani ed adulti residenti in Svizzera. Fra le altre sue attività ha promosso importanti progetti formativi finalizzati ad una qualificata integrazione professionale dei cittadini italiani residenti nel territorio elvetico, progetti elaborati, organizzati e attuati in stretto accordo con le Istituzioni svizzere e italiane. Nel dicembre 1998 è stato eletto Segretario Generale del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE), carica ricoperta fino al 2006. Nel CGIE ho dato un forte impulso, fin dalla 1° Conferenza degli Italiani nel Mondo (anno 2000), all’affermazione dei diritti dei residenti all’estero e alla riflessione sulle giovani generazioni lontane dall’Italia. Alle elezioni politiche del 2006 è risultato il Deputato primo eletto della lista Unione Prodi, ripartizione Europa. Durante la legislatura è stato nominato presidente del Comitato permanente sugli italiani all’estero e il 28 settembre del 2007 è stato eletto, a Trento, Presidente dell’Unione Nazionale delle Associazioni Immigrati ed Emigrati, a cui aderiscono le più importanti associazioni regionali degli italiani residenti all’estero. Rieletto nella XVI Legislatura, ricopre l’incarico di Vicepresidente della Commissione Affari esteri e comunitari della Camera dei Deputati. Il poco tempo libero che gli rimane a disposizione lo dedica alla famiglia, alle letture e agli eventi sportivi, una passione che in passato lo ha portato ad essere per 8 anni presidente del Fortuna Villmergen, una squadra di calcio della Lega dilettanti svizzera, che per quasi 40 anni ha rappresentato i valori sportivi italiani.
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Gustare l’Italia
La battaglia ai falsi e ai tarocchi che insidiano il nostro agroalimentare si inasprisce sempre di più e raggiunge traguardi importanti. Lo dimostrano le cifre in aumento del numero dei controlli, che nel 2011 hanno portato al sequestro più di 500 tonnellate di prodotti, per un valore di 37 milioni di euro. Una più che necessaria azione di contrasto al fenomeno dilagante della contraffazione, in grado si generare nel mondo un “business illegale” di ben 60 miliardi di euro l’anno: soldi
“scippati” al nostro agroalimentare, di cui 3 miliardi direttamente sottratti al comparto agricolo. Lo afferma la Cia - Confederazione Italiana Agricoltori, commentando quanto emerso nella conferenza stampa del ministero alle Politiche agricole sull’attività degli organismi di controllo nel 2011. Il numero crescente di ispezioni ci descrive un impegno maggiore delle autorità competenti nella direzione della tutela del nostro patrimonio agricolo, ma è anche una testimo-
© Assolatte
Made in Italy/1
in collaborazione con Confederazione Italiana Agricoltori
L’agroalimentare italiano sotto assedio
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Apprezziamo quindi l’impegno e i risultati delle autorità competenti, ma bisogna fare di più per tutelare un comparto che da solo vale il 15 per cento del Pil e che rappresenta un patrimonio culturale e gastronomico ricchissimo. Adesso servono misure “ad hoc” come l’istituzione di una “task-force” in ambito Ue per contrastare truffe e falsificazioni alimentari; sanzioni più severe contro chiunque imiti prodotti a denominazione d’origine; un’azione più decisa da parte dell’Europa nel negoziato Wto per un’effettiva difesa delle certificazioni Ue; interventi finanziari, sia a livello nazionale che comunitario, per l’assistenza legale a chi promuove cause (in particolare ai consorzi di tutela) contro chi falsifica prodotti alimentari.
© Consorzio del Prosciutto di Parma
nianza del grande danno economico subito dal settore e del rischio che corrono i consumatori in termini di sicurezza alimentare. Eppure l’Italia conta il maggior numero di prodotti certificati: oltre il 22 per cento di quelli registrati a livello europeo. A questi vanno aggiunti gli oltre 400 vini Doc, Docg e Igt e gli oltre 4mila prodotti tradizionali censiti dalle Regioni e inseriti nell’Albo nazionale. Una lunghissima lista di prodotti costantemente esposti al “fuoco” del “taroccamento”, che oltre alle vere e proprie frodi, di solito rappresentate dai prodotti che entrano “clandestinamente” dall’estero e vengono introdotti nei nostri mercati, sono costantemente minacciati dal più ampio fenomeno dell’“Italian sounding”.
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in collaborazione con Coldiretti
Made in Italy/2
“Tarocco” e i suoi fratelli “Palenta” croata per indicare invece la polenta, tipico prodotto del territorio veneto e veronese: questo è solo l’ultimo esempio di contraffazione e pirateria nell’agroalimentare. “Il fatto che per effetto della falsificazione vengano sottratti all’agroalimentare nazionale ben 164 milioni di euro al giorno dimostra che il contrasto all’evasione fiscale, la lotta alla contraffazione e alla pirateria rappresentano per le Istituzioni un’area di intervento prioritaria per recuperare risorse economiche utili al Paese e generare occupazione”, ha affermato il presidente della Coldiretti Sergio Marini a commento dei risultati della prima relazione sulla contraffazione e pirateria nell’agroalimentare elaborata dalla Commissione Parlamentare di inchiesta.
La lotta alla contraffazione alimentare è considerata prioritaria dalla maggioranza dei cittadini anche rispetto ad altri settori come il tessile: le frodi a tavola sono le più temute da sei italiani su dieci, secondo una indagine Coldiretti/Swg. Ai rischi per la salute si sommano i danni d’immagine provocati al Made in Italy che nell’alimentare è il più copiato a livello internazionale per i grandi risultati raggiunti sul piano della qualità. A essere colpiti sono i prodotti più rappresentativi dell’identità alimentare come è stato evidenziato dall’esposizione della Coldiretti sui casi più eclatanti di pirateria alimentare divisi per regione. Se sul piano nazionale le recenti operazioni hanno scoperto falsa mozzarella di bufala dop, ma anche vino ed olio etichettati come doc e dop senza documenti di tracciabilità, a livello internazionale sono state scovate aberrazioni, dalla “palenta” croata aconserva di pomodoro “Contadina” trasformata in California, dal “Parma salami” del Messico al “Parmesao” del Brasile, dallo “Spicy thai” pesto statunitense all’olio “Romulo” con tanto di lupa che allatta venduto in Spagna al “Chianti” prodotto in California, ma anche una curiosa “Mortadela” siciliana dal Brasile, senza dimenticar il “Cambozola” prodotto in Germania e il provolone “Made in Wisconsin”. Altro caso emblematico di falso Made in italy nel mondo: il Consorzio di tutela del radicchio Igp di Treviso denuncia che a New York è stato commercializzato del falso radicchio Igp.
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In barba a tutte le regole sulla tutela comunitaria del prodotto, il prodotto porta un’etichetta dove è scritto “Radicchio Treviso, grown in Holland, eat right America” ed è in vendita promozionale a 9,99 dollari in un negozio di ortofrutta. Nonostante da uno studio Coldiretti-Eurispes sia emerso come il falso “Made in Italy” copra oltre il 75% del mercato mondiale, sottraendo enormi possibilità di export alle nostre aziende, finora si pensava che il fenomeno fosse limitato a cibi “simbolo” (come il Parmigiano) e facilmente conservabili.
I numeri del fenomeno “tarocco” Ma che addirittura la contraffazione potesse arrivare a prodotti freschi, deperibili e oltretutto meno facilmente riconoscibili dal consumatore, sembrava impossibile. E invece è successo. Segno che i prodotti agroalimentari italiani sono apprezzati in tutto il mondo e senza differenze o barriere tra le varie tipologie; ma anche che qualcuno sta lucrando su un brand che non è suo. E l’episodio assume contorni ancora più inquietanti se i concorrenti sleali non sono paesi terzi, ma membri della stessa Unione Europea. Gli studi che si sono occupati del falso “Made in Italy” nel mondo sono diversi: si va dal rapporto Censis del 2009 (“Il fenomeno della contraffazione nel mondo e le ricadute sul mercato italiano”), a quello di Coldiretti ed Eurispes del 2011.
All’estero, oltre il 70% delle paste di grano duro sarebbero “taroccate”, l’85% degli aceti e il 54% del prosciutto crudo. A livello mondiale, le stime indicano che il giro d’affari dell’Italian sounding superi i 60 miliardi di euro l’anno (164 milioni di euro al giorno), cifra 2,6 volte superiore rispetto all’attuale valore delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari (23,3 miliardi di euro nel 2009). Da tempo Coldiretti è impegnata in un progetto di tutela e valorizzazione del vero Made in Italy agroalimentare Occorre, pertanto, fermare gli esempi di imitazione e contraffazione di prodotti agroalimentari italiani. Il rischio è che si associno indebitamente ai prodotti esteri valori riconosciuti e apprezzati dai consumatori stranieri, come quelli del vero Made in Italy agroalimentare, in primis la qualità. Si tratta di una concorrenza sleale nei confronti dei produttori nazionali con il rischio che, soprattutto nei Paesi emergenti come la Cina, si radichi tra i consumatori un falso “Made in Italy” che non ha nulla a che fare con il prodotto originale e che toglie invece spazio di mercato ai prodotti autentici.
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in collaborazione con Coldiretti Verona
Made in Italy/3
Lotta alla contraffazione: i numeri del 2011 Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Mario Catania ha presentato i risultati dell’attività operativa 2011, in ambito agroalimentare, dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, del Comando Carabinieri politiche agricole e alimentari, del Corpo forestale dello Stato e della Guardia Costiera-Capitanerie di Porto. Gli organismi di controllo hanno effettuato, nel 2011, un totale di 79.167 controlli e sequestri per 36.854.189 euro, le sanzioni amministrative contestate sono state 8.737 e 1.304 le persone segnalate all’Autorità giudiziaria. Ognuno degli organi di controllo ha un’area specifica di intervento e l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, Icqrf, è l’organo di controllo ufficiale del Ministero delle politiche agricole e forestali, attraverso controlli sulla qualità, genuinità e identità dei prodotti agroalimentari e dei mezzi tecnici di produzione agricola, è da sempre impegnato nel contrasto agli illeciti, alle frodi e alle contraffazioni che portano alla concorrenza sleale e minano i diritti dei consumatori. L’Icqrf, nel 2011, ha effettuato 43.452 controlli, contestato 5.513 sanzioni amministrative e sequestrato beni per un valore di 14.988.690 euro. Il Comando Carabinieri Politiche agricole e alimentari, con un organico di 80 uomini, opera a supporto ed integrazione dei controlli amministrativi svolti dagli altri organismi di vigilanza del Ministero.
Mario Catania, Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali
I controlli straordinari attivati dai Nac, i Nuclei Antifrodi Carabinieri, sono infatti sviluppati con indagini di polizia giudiziaria, secondo metodiche proprie delle investigazioni tecniche e scientifiche, e pertanto sono orientate ad individuare le aree di macro-illegalità che assumono rilievo penale. Due sono essenzialmente le macroaree di intervento dei Nac: le frodi comunitarie e le frodi agroalimentari. Nel 2011 i Nac hanno controllato 1768 aziende, 332 sono le denunce e 187 le violazioni amministrative contestate, hanno accertato illeciti contributi comunitari per oltre 8 milioni di euro, sequestrato oltre 7 mila ltonnellate di prodotti alimentari, e sottratto al circuito illegale beni per un valore di 209 milioni di euro.
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Il Corpo forestale dello Stato Nucleo agroalimentare e forestale ha effettuato 6.171 controlli, sequestrati 12.610 kg di prodotti per un valore di 970.000 euro e segnalato all’Autorità giudiziaria 187 persone. Infine il Corpo delle Capitanerie di Porto Guardia Costiera ha effettuato 27.776 controlli: in particolare, oltre la metà degli accertamenti effettuati dalle Capitanerie di porto si è concentrata nei punti di sbarco che rappresentano il crocevia di transito del prodotto ittico verso la catena della commercializzazione. Inoltre, a tutela del consumatore finale e a garanzia della libera e regolare concorrenza, il personale del Corpo ha eseguito molteplici ispezioni presso tutti quegli esercenti dediti alla compravendita all’ingrosso ed al dettaglio del pesce e ha chiuso 18 esercizi commerciali oltre a sequestrare 186.771,29 kg di prodotti. Il ministro Catania intervenendo ha dichiarato: “È opportuno evitare duplicazioni e puntare a razionalizzare e semplificare i controlli nel settore agroalimentare, ma dobbiamo sempre ricordarci che quello italiano è il miglior sistema produttivo del mondo anche perché può far leva su un elevato sistema di controlli. Destrutturarlo sarebbe un terribile autogol per il sistema delle imprese: la qualità del controllo è garanzia della qualità delle nostre produzioni. La nostra attenzione alle contraffazioni e alle frodi alimentari è rivolta, naturalmente, sia al mercato nazionale che a quello estero. Il Prosecco è
una storia di successo del Made in Italy agroalimentare che viene contraffatta all’estero. In Europa il prodotto gode di una protezione sufficientemente garantita, però resta ancora molta strada da fare. Per esempio, stiamo portando avanti la battaglia per ottenere l’obbligo, per ogni Stato membro, di perseguire le contraffazioni sul proprio territorio senza aspettare la denuncia del Paese che si ritiene danneggiato Al di fuori della Comunità europea, nei mercati dei Paesi terzi come l’Australia, prodotti come il Prosecco non vengono tutelati. In questo caso dobbiamo attivarci in sede di Organizzazione mondiale del commercio e pensare di tutelarci anche ricorrendo alla registrazione dei marchi. Un’attività su cui il Mipaaf interviene proattivamente, assistendo i nostri operatori nella registrazione dei prodotti sui più importanti mercati del mondo”.
15 Gustare l’Italia
in collaborazione con Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari
Made in Italy/4
Contro le frodi alimentari, al servizio dei cittadini Il Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari, con un organico di 80 uomini, opera a supporto ed integrazione dei controlli amministrativi svolti dagli altri organismi di vigilanza del Ministero delle Politiche Agricole e Alimentari. I controlli straordinari attivati dai NAC, i Nuclei Anti- frodi Carabinieri, sono infatti sviluppati con indagini di polizia giudiziaria, secondo metodiche proprie delle investigazioni tecniche e scientifiche, e pertanto sono orientate ad individuare le aree di macro-illegalità che assumono rilievo penale. Secondo quanto sancito dal d.Lgs. 5 Ottobre 2000, n. 297 E dal d.P.R. 22 Luglio 2009, n. 129, due sono essenzialmente le macroaree
di intervento dei Nuclei Antifrodi Carabinieri: • le frodi comunitarie, • le frodi agroalimentari. Questo modello operativo esclusivo ha consentito di caratterizzare l’elevata efficienza operativa degli 80 uomini dei NAC come dimostrano i risultati conseguiti nel 2011: 1768 aziende controllate, 332 denunce e 187 violazioni amministrative contestate, accertati illeciti contributi comunitari per oltre 8 milioni di euro, oltre 7 mila le tonnellate di prodotti alimentari sequestrati, 209 milioni il valore dei beni sequestrati sottratti al circuito illegale.
L’azione di contrasto alle frodi. Falso olio extra vergine d’oliva in realtà olio d’oliva “deodorato”, falso pomodoro DOP, ed altri prodotti falsamente indicati “biologici” a denominazione di origine o con marchi di qualità, alimenti privi delle indicazioni sulla tracciabilità, in cattive condizioni e scaduti di validità: queste le principali irregolarità riscontrate nei circuiti di commercializzazione nazionale ed internazionale
Gustare l’Italia 16
e che hanno portato agli imponenti sequestri di oltre 7 mila tonnellate di prodotti alimentari nel corso del 2011. Nello stesso periodo le numerose verifiche ispettive hanno visto i Nuclei Antifrodi Carabinieri (NAC) di Roma, Parma e Salerno operare in tutto il territorio nazionale con controlli su 835 aziende, sulla grande distribuzione organizzata, nei principali centri commerciali e nei mercati generali, verificando in particolare l’osservanza della normativa nazionale ed europea a tutela della qualità alimentare, specie in riferimento agli obblighi sulla tracciabilità degli alimenti. Ingenti sequestri hanno riguardato in particolare 9 mila litri di olio “deodorato” proveniente dall’estero e commercializzato in Italia come olio extravergine d’oliva, altre 3 mila tonnellate di olio lampante proveniente da paesi extracomunitari, 28 tonnellate di mais ogm
commercializzato come mais semplice privo delle indicazioni sulla tracciabilità, falso pomodoro DOP destinati anche all’esportazione negli USA. Di rilievo anche un’efficace azione di respingimento attivata con l’Agenzia delle Dogane di oltre 3 mila tonnellate di grano tenero falso “biologico” di provenienza straniera. I NAC ricordano ai consumatori che possono consultare il sito istituzionale del Reparto sul link: http://www.carabinieri.it/Internet/Cittadino/consigli/tematici/, inoltrare segnalazioni alla casella di posta elettronica: ccpacdo@carabinieri.it, oppure contattare direttamente il numero verde 800 020320. Per i casi più gravi e urgenti il cittadino può sempre rivolgersi ad una delle oltre 4600 Stazioni dei Carabinieri diffuse su tutto il territorio nazionale.
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in collaborazione con Confagricoltura
Made in Italy/5
Un’agenzia contro l’agropirateria
Contraffazione e agropirateria: una vera e propria aggressione al sistema agricolo e a tutto l’agribusiness (che vale oltre il 15% del Pil del Paese e garantisce più del 10% dell’occupazione nazionale), con danni economici e di immagine incalcolabili. Nel 2011 il valore dell’export dell’agroalimentare ha superato i 30 miliardi di euro, ponendosi ai primi posti (con l’8%) nel totale delle esportazioni del nostro Paese. La questione è stata affrontata nella sessione plenaria del Consiglio Nazionale Anticon-
traffazioni (CNAC), al ministero dello Sviluppo Economico, a cui ha preso parte il vicepresidente di Confagricoltura, Salvatore Giardina: “E’ problema complesso e di difficile soluzione perché non esiste ancora una legislazione in campo internazionale. In qualche caso esistono accordi bilaterali per la tutela delle denominazioni che consentono di fronteggiare il fenomeno, ma i costi dei controlli sono mol-
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to elevati. Là dove, invece, non ci sono regole l’agropirateria non può neppure essere perseguita.” Il fenomeno, potenzialmente riguarda tutte le denominazione d’origine, anche se oggi di fatto colpisce un numero molto limitato di prodotti, molto importanti però dal punto di vista economico (l’80% del fatturato delle Dop e Igp è fatto da sette prodotti). E non va trascurato il fatto che i controlli sui casi di agropirateria e contraffazione sono a carico dei Consorzi di tutela e che i costi, dalla denuncia fino alla sentenza definitiva in un eventuale processo, sono molto elevati, visto anche l’alto numero dei casi. Per contenere i costi dei Consorzi sarebbe utile creare un’Agenzia europea per la lotta all’agropirateria, che si occupi di effettuare i controlli e di perseguire legalmente i colpevoli, anche su segnalazione degli Stati membri, dei
Consorzi di tutela e dei consumatori. Una strada per vincere le usurpazioni potrebbe essere quella dell’indicazione di origine in etichetta. Per questo in ambito WTO bisogna intervenire a fianco degli USA, sia come Italia, sia come Ue, nel ricorso contro la decisione del Panel che si è espresso contro l’indicazione obbligatoria delle carni bovine e suine, ritenendola discriminatoria. Di pari passo si dovrebbero rilanciare, sempre in sede Wto due temi importanti: la tutela del sistema comunitario delle indicazioni geografiche (assente dal negoziato che sinora ha privilegiato gli aspetti relativi alla riduzione delle tariffe doganali e dei sostegni) e quello degli standard tecnici ed in campo ambientale e sociale. Per quanto riguarda l’“Italian sounding”, per Confagricoltura, vanno create regole nuove. “Prima di arrivare ad un inquadramento internazionale della materia almeno all’interno della UE, la recente pubblicazione del regolamento UE 1169/11 sull’etichettatura dovrebbe aiutarci a combattere questo fenomeno”.
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P e r i o d i c o
d i
c u l t u r a
e n o g a s t r o n o m i c a
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t u r i s m o
L’unità d’Italia è stata costruita anche a tavola ed è molto ben rappresentata dai nostri prodotti tipici: auspichiamo una filiera agroalimentare tutta italiana.
© Assist Group
di Saverio Carlo Buttigilione
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Quando il nome di un popolo diventa “brand”
Anche il nome di una nazione può diventare brand cioè marchio commerciale: succede quando un popolo per storia, cultura e ingegno si distingue nel creare nuovi prodotti innovativi in un comparto, come è successo all’Italia alla fine del secolo scorso in quello del Tessile Abbigliamento, imponendo ai mercati globali lo stile di vita nel vestirsi alla Moda Italiana. E’ successo che il “made in Italy” nella moda si sia imposto al mondo con il lavoro dei sarti italiani Valentino, Versace, Gucci, Armani, Trussardi, Ferrè che sono diventati griffes internazionali trasformandosi in fabbriche manifat-
turiere favorendo la nascita di altre come Benetton, Prada, Della valle, Costume National, Diesel. Da qualche anno anche nell’enogastronomia e agroalimentare il brand “Italia” è diventato sinonimo di qualità, gusto e sapore tipico inimitabile, salubrità. Inimitabile??? Si è scatenata una guerra commerciale nel mondo, come si era già fatto nella moda, per imitare e copiare l’enogastronomia italiana, con marchi ed etichette che assomigliassero nel nome a quello dei prodotti “tipici” italiani per poter sfruttare questo “valore aggiunto”
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nel prezzo e nella possibilità di vendita di tutt’altri prodotti. Un mio amico docente universitario nato in Puglia, Paolo De Castro, diventato Ministro alle Politiche Agricole ha fatto di tutto per difendere in sede europea il Parmigiano Reggiano, specie dalle imitazioni interne al continente come quelle francesi, e ci è riuscito, facendo legiferare regole restrittive. Questo Ministro mi ha invitato a Bari all’incontro con la collega spagnola quando insieme firmarono il protocollo d’intesa per porre all’attenzione dell’Unesco la candidatura della “Dieta mediterranea” quale patrimonio dell’umanità, innescando un processo al quale si sono aggregate altre nazioni rivierasche del nostro mare, produttrici di gastronomie salutari all’allungamento della vita (come certificò il dottor Ancel Keys nel 1950 col suo studio su 12.000 persone di sette nazioni del mondo) ed ora questo risultato è stato raggiunto. Questo Ministro ora è diventato Presidente della Commissione Agricoltura al Parlamento Europeo ed ha fatto fare una legge che “impone” nell’etichettatura dell’olio extravergine
Paolo de Castro, Presidente della Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento Europeo
d’oliva “..non solo il luogo dove viene molito ma anche quello dove le olive vengono raccolte” affinché sia il consumatore a decidere cosa comprare, se è vero come è vero che per Olio Italiano viene spacciato di tutto, l’obiettivo di De Castro è la tracciabilità di tutti i prodotti alimentari. La sua Puglia sta diventando laboratorio d’eccellenza di queste buone prassi, tanto è vero che l’Assessore Regionale Dario Stefàno ha istituito il marchio unico regionale “Prodotti
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di Puglia”, un cappello informativo che certifica qualità, salubrità e tracciabilità, grazie anche al disciplinare messo a punto dall’Istituto Agronomico Mediterraneo diretto da Cosimo Lacirignola ed ai controlli anche via TAC effettuati dall’Università di Bari. La Puglia è la più grande regione al mondo produttrice di olio d’oliva extravergine che, oltre che buono al gusto (provatelo su una fetta di Pane di Altamura con pomodorini di Torre Guaceto, presidio Slowfood, oppure sulla pasta Benagiano di Santeramo, fatta con le trafile in bronzo a lenta essiccature, una pasta di cui andava ghiotto Giuseppe Garibaldi che fu
eletto deputato nella vicina Andria), ha incredibili caratteristiche antitumorali come mi ha tante volte spiegato il caro amico Francesco Schittulli, presidente della Lega italiana per la lotta ai tumori. L’enogastronomia per l’Italia è poi un potente attrattore turistico generatore di buona economia, che in questi tempi di inaudita crisi occupazionale, finanziaria e di valori, rappresenta il futuro per le nuove generazioni. Proprio la Puglia, in tal senso ne è buona testimone, Il 23 maggio in Provincia di Bari il rettore Salvatore Messina dell’Università Europea per il Turismo ha presentato alle istituzioni, insieme ai docenti di tante Università straniere appositamente venuti, il lavoro conclusivo con 19 proposte di incoming turistica, frutto di cinque mesi di forum in tante località regionali insieme agli imprenditori alberghieri, ai sindaci ed agli stakeholders locali, lavoro che oltre al barocco
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di Lecce, al Castel del Monte di Federico II e ai Trulli di Alberobello o al mare del Gargano, ha proposto come fil rouge l’enogastronomia pugliese nella cornice dei castelli e delle masserie di produzione. Il 30 maggio “Golf People Magazine” di Milano viene in Puglia a presentare il nuovo distretto del Golf ed anche in questa occasione ci sarà lo sposalizio fra sport e gastronomia. Io stesso dopo anni di lavoro come produttore televisivo grazie al quale ho portato nelle mie trasmissioni TV le eccellenze delle filiere enogastronomiche sono stato sollecitato ad occuparmi, nella veste di project manager, di uno showroom permanente a Milano, “Food & Moda”, in vista dell’Expo 2015. Ma tutta l’Italia ha prodotti tipici enogastronomici che sono la vera ricchezza di questo popolo che non può e non deve esserne scippato. Secondo la CIA falsi e tarocchi “rubano” 7 milioni l’ora e 60 miliardi l’anno al “made in Italy”, nel supermarket mondiale del “bidone” i nostri prodotti sono i più clonati! Nasce un grande progetto internazionale per la promo/commercializzazione dei prodotti enogastronomici italiani in tutto il mondo. Dal 26 luglio al 12 agosto, in occasione dei Giochi Olimpici di Londra, True Italian Food & Wine
Ltd, società inglese controllata della Assist Group, organizzerà importanti Eventi nella hospitallity house del Comitato Olimpico Italiano, allestita nei 6 piani del Queen Elisabeth II Centre presso Westminster, anche con un ristorante “True Italian Food & Wine”, proprio negli spazi della lounge di Casa Italia. Nell’articolo che segue descriveremo più in dettaglio il progetto “True Italian”.
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di Saverio Carlo Buttigilione e Paola Ciribilli
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Il progetto “True Italian” e l’Italian Sounding
Il progetto “True Italian Food & Wine” prevede l’apertura in franchising di una rete di ristoranti, caffetterie e punti vendita in 6 paesi: Usa, India, Brasile, Russia, Germania e Cina per la distribuzione di prodotti agroalimentari italiani selezionati, certificati e a marchio di tutela. L’obiettivo è di dare vita a una concreta azione di supporto alle imprese di settore, soprattutto di quelle medio piccole, nel processo di internazionalizzazione, ma anche di valorizzare e promuovere il patrimonio agroalimentare italiano. Ogni punto vendita “True Italian Food & Wine” intende infatti essere anche una sorta di
polo di informazione e di divulgazione all’estero della cultura dell’Italian style a tavola. “True italian Food & Wine” nasce in risposta ad un duplice fenomeno, molto diffuso negli anni recenti: da un lato la scarsa capacità delle imprese agroalimentari italiane di fare fronte a una domanda crescente di prodotti agroalimentari italiani, dovuta soprattutto a quella dei nuovi mercati (India, Cina, Brasile, Russia), dall’altro il giro di affari dell’Italian sounding. Buona parte delle imprese che operano nel settore agroalimentare hanno dimensioni limitate, così come limitati sono i loro budget e i loro volumi.
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Quattro prodotti agroalimentari su dieci sono realizzati con materia prima estera e uno su tre è un vero e proprio falso. Basta un dato per comprendere la complessità del problema: in oltre il 50% della spesa l’etichetta è anonima. Tra i casi più eclatanti i prosciutti: due su tre sono prodotti con maiali stranieri e sono venduti per italiani. Per quanto riguarda i formaggi, il 50% sono prodotti con latte estero. Circa il 45% delle mozzarelle sono prodotte con latte e anche cagliate straniere. Più’ del 60% del latte a lunga conservazione non è prodotto in Italia. Tutto questo si riflette immancabilmente sulla spesa, sull’alimentazione degli italiani e sul sistema agricolo nazionale.
© Assist Group
La risposta alla domanda e il processo di internazionalizzazione risulta quindi spesso difficile e antieconomico. Resta però il fatto che, in particolare nel settore dell’enogastronomia, l’appeal del Made in Italy tiene e i prodotti italiani sono riconosciuti e desiderati in tutto il mondo. L’Italian sounding è il fenomeno di imitazione e contraffazione dei prodotti agroalimentari italiani nel mondo, che altera la regolarità della competizione per immissione nel mercato di prodotti con costi e prezzi più bassi dei prodotti di qualità italiana. Ogni mese le famiglie italiane, senza saperlo, portano sulle tavole prodotti stranieri, falsi “Made in Italy” e spendono più di 5 miliardi di euro, per un totale annuo di oltre 60 miliardi di euro.
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In buona sostanza, per ogni prodotto agricolo realizzato nei campi o negli allevamenti italiani si genera, tra contraffazioni e imitazioni, un business cinque volte più grande. II fenomeno è noto anche con la definizione di Italian sounding, ovvero la commercializzazione di prodotti che portano nomi di marchi che “suonano italiani”, e che in realtà sono prodotti e venduti utilizzando in maniera impropria parole, immagini, marchi e ricette che si richiamano all’Italia. Questo genera un danno enorme per le aziende del nostro Paese, sia in termini di giro d’affari sia di immagine, dal momento che i prodotti contraffatti conservano nella maggior parte dei casi un basso contenuto qualitativo. Prosciutti, olio di oliva, formaggi, salumi, prodotti ortofrutticoli, vini: nessun comparto è ri-
sparmiato dal falso, operato sia da italiani residenti all’estero sia da multinazionali straniere. E gli “agropirati” si camuffano dietro le sigle più strane e singolari. Si va dal Parmesao (Brasile) al Regianito (Argentina), dal ParmaHam (Usa) al Daniele Prosciutto & company (Usa), dall’Asiago del Wisconsin (Usa) alla Mozzarella Company di Dallas (Usa). E ancora dalla Tinboonzola (Australia) alla Cambozola (Germania, Austria e Belgio), al Danish Grana (Usa), le penne Napolita (Lancashire), i fusilli Di Peppino (Austria), e poi il Brunetto, Napoli Tomato, Caffè Mario... Per rispondere a queste esigenze e per far fronte ad una domanda internazionale crescente di prodotti agroalimentari Made In italy, nasce “True Italian Food & WIne” che prevede l’apertura di 3 diversi formati distributivi:
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• un Bakery Cafè: il “True Italian Espresso” • un Casual Dining Restaurant: il “True Italian Ristorante” • uno Speciality Food Store: il “True Italian Emporio” .
L’apertura dei format “True Italian Food & WIne” avverrà in 5 anni in 6 paesi, per un totale di circa 150 aperture. La creazione della rete franchising è anticipata dall’apertura in ciascuno dei mercati di riferimento di un flagship store denominato, “True Italian Casa Italia”, di oltre 1.000 mq, gestito direttamente dalla casa madre, che rappresenta il fulcro del piano di marketing e comunicazione. Il progetto “True Italian Food & WIne” è basato sulla selezione di prodotti e produttori 100% Italiani, che garantiscano la miglior qualità al prezzo più basso possibile. I prodotti selezionati verranno distribuiti attraverso caffetterie, ristoranti, empori creando una rete franchising che avrà il supporto continuo della casa madre. “True Italian Food & WIne” prevede inoltre l’introduzione di un programma di formazione e di valorizzazione professionale rivolto a giovani italiani under 30. Si tratta di un progetto didattico che prevede l’istituzione di un programma di studio incentrato sull’approfondimento della conoscenza del prodotto agroalimentare italiano, sulle tecniche di preparazione, sulle tradizioni gastronomiche e culinarie dei nostri territori e sulla loro promozione a livello internazionale.
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in collaborazione con Aicig
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Tutti uniti in difesa del “Made in Italy”
L’AICIG - Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche - è l’associazione nazionale costituita tra i Consorzi di tutela riconosciuti dal Mipaaf ai sensi dell’art. 14 della Legge 21 dicembre 1999, n. 526. La maggioranza dei Consorzi di tutela italiani ha individuato nella formula associativa, senza scopo di lucro, la chiave strategica competitiva per tutelare, valorizzare e promuovere all’unisono le rispettive indicazioni geografiche. Quest’ultime, espressioni del patrimonio agroalimentare del nostro Paese, rivelano le identità storico-culturali dei distretti di riferimento, e vanno protette. Nell’ottica, dunque, di fornire a queste realtà distrettuali il sostegno che meritano, seguendo tra l’altro la naturale evoluzione di settore, prende vita l’AICIG. Il sistema associativo tra Consorzi di tutela realizzato per la prima volta in Italia si basa su una convinzione e cioè quella di far funzionare gli accoppiamenti giudiziosi (indicazioni geografiche territorio, cultura e turismo) facendoli agire all’unisono.
I grandi ed i piccoli Consorzi hanno scelto di unirsi per discutere i temi principali del settore in maniera trasversale ed individuare delle linee guida congiunte nell’obiettivo condiviso di perseguire la frode e tutelare le indicazioni geografiche. Gli scopi principali dell’Associazione sono supportare la politica delle indicazioni geografiche in sede nazionale, comunitaria e internazionale, nonché favorire lo sviluppo omogeneo del settore, promuovendo un costante confronto tra tutti i Consorzi Soci. In sintesi AICIG nasce al fine di: • favorire lo sviluppo del settore delle IG, promuovendo un confronto permanente tra i Consorzi di tutela riconosciuti anche se appartenenti a filiere differenti; • sostenere la politica delle IG in ambito nazionale, comunitario ed internazionale, in collaborazione con il Mipaaf; • monitorare l’evoluzione del settore delle IG. L’aspetto che maggiormente gratifica l’attività quotidiana di AICIG è l’instaurarsi
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di frequenti collaborazioni anche trasversali tra grandi e piccoli consorzi operanti in comparti merceologici differenti. Questo infatti è lo scopo primario dell’Associazione, ovvero quello di conseguire un maggiore coordinamento dell’intero settore che agisca compatto verso obiettivi condivisi. Nel corso degli anni poi le attività di AICIG hanno subìto un costate incremento, esse abbracciano ormai diversi ambiti e sarà importante in futuro mantenere alta l’attenzione in tutte le direzioni. Il sistema dei Consorzi è ormai una realtà e lavora a tempo pieno per consolidare l’importante ruolo di interlocutore privilegiato con le Istituzioni nazionali e comunitari che si è guadagnato in questi ultimi anni. Nell’ambito dei cambiamenti a livello legislativo, l’Associazione sta sostenendo alcuni punti fondamentali per il corretto sviluppo del settore:
• un ruolo meglio definito e di maggior rilievo per i Consorzi di tutela su tutto il territorio comunitario, • una protezione maggiore verso le pratiche scorrette a danno delle nostre produzioni anche attraverso un sistema di tutela ex-officio, • la possibilità, per i Consorzi, di regolamentare i volumi produttivi per trovare un equilibrio tra domanda e offerta. In tal senso sono stati organizzati numerosi incontri e riunioni in ambito comunitario presso il Parlamento Europeo e la Commissione Europea, dove Aicig ha incontrato interlocutori sensibili alla problematiche esposte nonché volti alla risoluzione delle stesse. Anche a livello nazionale l’Associazione collabora costantemente con il Mipaaf (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali) con il quale è in essere un protocollo d’intesa per un corretto aggiornamento delle normative di settore.
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Sono stati compiuti passi importanti che serviranno in futuro per consolidare il ruolo dei Consorzi, delle rispettive produzioni e, più in generale, per dare credibilità all’intero sistema. Da un punto di vista differente, si sottolinea che l’Associazione ha avviato rapporti con il Sistema Camerale poiché è fortemente convinta che la sinergia con il Sistema Camerale potrà generare in futuro grandi benefici. Partendo poi dalla convinzione che la crescita di competenza e professionalità di settore possa contribuire ad eliminare pratiche concorrenziali scorrette nei confronti delle Dop e Igp, l’AICIG ha organizzato in collaborazione con gli organi competenti del Mipaaf, dei corsi di formazione per gli Agenti Vigilatori dei Consorzi che hanno contribuito alla crescita di questa importante figura.
Possono divenire Soci dell’Associazione tutti i Consorzi di tutela riconosciuti dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ossia l’associazione che dimostri la partecipazione nella compagine sociale dei soggetti che rappresentano almeno i 2/3 della produzione controllata dall’organismo di controllo e ritenuta idonea alla certificazione e che comunque abbia fatto domanda di riconoscimento al Mipaaf. L’art. 14 della Legge 21 dicembre 1999 n. 526 stabilisce che i Consorzi di tutela riconosciuti Mipaaf hanno funzioni di: tutela, promozione, valorizzazione informazione del consumatore e cura generale delle IG. L’Aicig rappresenta almeno il 93%, in termini economici, delle produzioni italiane ad indicazione geografica. Per info: www.aicig.it
I Consorsi aderenti all’AICIG • Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP • Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia DOP • Asiago DOP • Bra DOP • Bruzio DOP • Caciocavallo Silano DOP • Castelmagno DOP • Chianti Classico DOP • Clementine di Calabria IGP • Dauno DOP • Fontina DOP • Garda DOP • Gorgonzola DOP • Grana Padano DOP • La Bella della Daunia DOP • Limone Costa d’Amalfi IGP • Limone di Sorrento IGP • Mela Alto Adige IGP • Montasio DOP • Mortadella Bologna IGP • Monti Iblei DOP • Mozzarella di Bufala Campana DOP • Nocciola del Piemonte IGP • Oliva Ascolana del Piceno DOP • Pane di Altamura DOP • Parmigiano Reggiano DOP • Pecorino Romano DOP • Pecorino Toscano DOP • Piave DOP • Pomodoro di Pachino IGP • Pomodoro S.Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino DOP • Prosciutto di Modena DOP • Prosciutto di Parma DOP • Prosciutto di San Daniele DOP • Prosciutto Toscano DOP • Provolone Valpadana DOP • Quartirolo Lombardo DOP • Radicchio Rosso di Treviso e Variegato di Castelfranco IGP • Raschera DOP • Riso di Baraggia Biellese e Vercellese DOP • Riviera Ligure DOP • Robiola di Roccaverano DOP • Sabina DOP • Salame Brianza DOP • Salame Cremona IGP • Salamini Italiani alla Cacciatora DOP • Speck Alto Adige IGP • Stelvio DOP • Taleggio DOP • Terra di Bari DOP • Terra d’Otranto DOP • Terre di Siena DOP • Toma Piemontese DOP • Val di Mazara DOP • Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP • Zampone Modena Cotechino Modena IGP •
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di Angelo Sala
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GDO estera a sostegno del Made in Italy Per aumentare l’export dei prodotti alimentari è prioritario il coinvolgimento della grande distribuzione estera. Il messaggio è arrivata dal convegno “Cibus Global Award”, che ha presentato il primo studio quali-quantitativo mai realizzato sulla presenza del food “Made in Italy” sugli scaffali dei supermercati di Europa, Stati Uniti ed Asia. Una squadra di “osservatori” ha lavorato per mesi per studiare e classificare l’esposizione dell’alimentare italiano nella Gdo estera; in sintesi pur essendo penalizzati dall’assenza di insegne italiane cresce esponenzialmente l’interesse da parte delle catene internazionali per l’offerta dell’industria italiana. “Cibus Global Award”, organizzato dal Gruppo Food e Fiere di Parma, ha anche premiato le catene distributive estere che si sono distinte per parametri di valutazione vanno dall’ampiezza dell’assortimento al numero di referenze a scaffale, dalle promozioni alle at-
tività informative instore. Per effettuare le rilevazioni, il Gruppo Food si è avvalso della collaborazione dei migliori esperti nei rispettivi mercati di riferimento: Retail Watch per il mercato europeo, Mra per quello americano, BTG Group per quello asiatico. Per la Gdo in Europa il primo classificato è la catena tedesca Edeka, per il vasto assortimento, per l’eccellente ordine e visibilità del prodotto italiano in scaffale, specie nelle merceologie dei salumi e dei formaggi (secondo e terzo classificato l’inglese Waitrose e la francese Carrefour). Per la Gdo statunitense il primo classificato è la catena Central Market, premiata per il grande coinvolgimento del consumatore nell’esperienza di acquisto del food italiano, con assaggi e corsi (secondo Whole Foods e terzo Balducci’s). Per la Gdo asiatica (Cina, Corea e Giappone) il primo premio è andato alla catena giapponese Isetan, per la gran cura messa nelle
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promozioni del prodotto italiano come le settimane delle “Italian Fairs”, seguita dalla cinese City Super e dalla giapponese Kinokunya. Le osservazioni sulla Gdo europea hanno evidenziato che le industrie italiane dovrebbero privilegiare l’investimento sui prodotti a marchio commerciale delle varie catene, che stanno aumentando molto il livello qualitativo tanto da competere con i prodotti di marca, cercando però di evidenziare al massimo sulla confezione la tipicità italiana, accompagnandola possibilmente con informazioni sul prodotto. Negli Stati Uniti il problema è rappresentato dalla vastità del prodotto imitativo, tanto che sugli scaffali spesso convivono prodotti autentici italiani e prodotti falsi. La domanda di prodotto italiano è crescente in tutto il Paese, non limitandosi a New York ed alle grandi città, con una grande richiesta di pasta, sughi e formaggi. Ma il popolo dei “foodies”, il cui numero sale costantemente, reclama anche l’arrivo di insaccati, il prosciutto fresco in primis, penalizzato da una legislazione particolarmente protezionista. Le migliori catene puntano su assaggi, informazione e servizio particolare in corsia, cioè
personale in grado di spiegare il prodotto ed aiutare il consumatore ad orientarsi. Più complesso il discorso sulla Gdo asiatica, dove il prodotto italiano se non viene spiegato rischia di non essere venduto, con l’eccezione della pasta che è un prodotto dove l’italianità trionfa. Si vende bene anche l’olio, cui fa concorrenza l’olio spagnolo, e stanno conquistando spazi anche i formaggi ed i salumi. Esemplare l’esempio della Cina dove la presenza radicata di catene francesi ed inglesi favorisce il consumo dei prodotti di quei Paesi. Anche in Asia la chiave è la formazione, quindi la illustrazione del prodotto, attraverso assaggi, degustazioni, corsi e personale qualificato in grado di spiegare. Per quanto riguarda Cina (l’analisi si è limitata alle catene di Shangai) e la Corea il cibo italiano è acquistato solo dalle fasce alte della popolazione, attratte dal lifestyle italiano, mentre in Giappone, dove la cucina europea è molto conosciuta da anni, tutti i prodotti italiani hanno grandi potenzialità di penetrazione, anche i prodotti bio.
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La quota della produzione agroalimentare “Made in Italy” destinata all’estero ha raggiunto per la prima volta una percentuale record del 20 % per effetto congiunto della crescita delle esportazioni del 7% e della stagnazione dei consumi interni che sono calati in quantità del 2%. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti in occasione dell’apertura del Cibus, il salone internazionale dell’alimentazione, sulla base dei dati Ismea relativi al primo bimestre del 2012. Nel settore del vino, che è la prima voce dell’export agroalimentare “Made in Italy”, il valore delle esportazioni ha addirittura superato quello realizzato sul mercato nazionale a dimostrazione del cambiamento in atto.
Nei nuovi mercati emergenti come il Messico e l’India cresce infatti la domanda di cibo italiano con numeri incoraggianti. In Cina è stato lo spumante italiano a far registrare il maggior aumento della domanda con il consumo che è piu’ che triplicato (+235 %) nel 2011 anche grazie alla presenza di almeno 2,7 milioni di persone con un patrimonio personale netto di oltre 6 milioni di yuan (oltre 600.000 euro) che apprezzano il cibo italiano. Complessivamente il valore delle spedizioni all’estero dei prodotti agroalimentari “Made in Italy” ha oltrepassato per la prima volta lo scorso anno i 30 miliardi, un importo superiore alla voce autovetture, rimorchi e semirimorchi ferma a 25 miliardi.
© Consorzio del Parmigiano Reggiano
di Federico Danesi
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Vola all’estero il 20% del Made in Italy
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© Consorzio del Prosciutto di Parma
Le performance positive registrate sui mercati internazionali dal settore piu rappresentativo dell’economia reale dimostra che il Paese può tornare a crescere solo se investe nelle proprie risorse che sono i territori, l’identità, la cultura e il cibo ha affermato il presidente della Coldiretti Sergio Marini nel sottolineare che “l’agroalimentare e una leva competitiva formidabile per trainare il “Made in Italy” nel mondo”. A crescere all’estero nel 2011 - sottolinea Coldiretti - sono stati i settori più tradizionali del “Made in Italy” come i formaggi, a partire da grana e parmigiano reggiano che sono i più esportati con una crescita del 21% ma anche il vino (+12%), l’olio di oliva (+9%), la pasta (+8%), i prodotti da forno (+7%) e di salumeria (+7%). Se il comparto più dinamico è quello dei formaggi e latticini, che nel complesso fanno segnare un successo del +15% per l’aumento delle vendite all’estero dovuto, oltre che al grana padano e parmigiano reggiano (+21%), anche al gorgonzola + 13% e al pecorino, in ripresa con l’8% dopo una difficile crisi.
Stabile il comparto frutticolo, dovuta soprattutto alle mele (+22%) che hanno controbilanciato il forte calo delle esportazioni di frutta estiva e agrumi mentre fortemente negative sono state le esportazioni di ortaggi (8%), colpite ingiustamente anche dalla psicosi ingiustificata generata dal batterio killer. Tra i principali Paesi di destinazione dell’agroalimentare tricolore si sono verificati aumenti in valore verso la Germania (+5%), la Francia (+9%) e il Regno unito (+3%), con un incremento medio nella Unione Europea del 6%. Crescono però a ritmi molto più sostenuti le richieste nei Paesi extraeuropei (+15%), tra i quali spicca soprattutto il ruolo degli Stati Uniti (+10%) ma va segnalato anche il boom del vino italiano in Cina con una crescita del 65%.
di Claudio Sisto (Direttore Tecnico Cantine Museo Albea)
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Lo spumante italiano conquista il mondo Con 294 milioni di bottiglie esportate nel mondo (+19%) è record storico per lo spumante italiano le cui qualità hanno conquistato addirittura i palati raffinati dei cugini d’oltralpe che sempre piu’ numerosi tradiscono il proprio champagne.
E’ quanto afferma la Coldiretti sulla base dei dati Istat dai quali si evidenzia che il tradizionale nazionalismo dei francesi è stato sopraffatto dal boom per lo spumante italiano in Francia dove sono state esportate 8,7 milioni di bottiglie con un aumento del 44%. Un riconoscimento che ha trainato il successo a livello internazionale dove ad apprezzare di piu’ lo spumante sono la Germania con 55 milioni di bottiglie (+7%) e gli Stati Uniti con 46 milioni di bottiglie (+25%) ma anche la Russia con 35 milioni di bottiglie (+25&). Anche grazie a questo successo il vino e gli spumanti sono diventati la voce piu’ importante dell’export agroalimentare nazionale, superando quota 4,4 miliardi di euro, con un aumento del 12% rispetto allo scorso anno, secondo una analisi della Coldiretti.
I consumi interni Il valore delle esportazioni ha superato nel 2011 i consumi nazionali che sono cresciuti dell’1 per cento per un valore attorno ai 4 miliardi che porta il fatturato del settore vitivinicolo a 8,5 miliardi. Un risultato che è il frutto di 650mila ettari di vigneto, 250mila aziende vitivinicole e del lavoro di
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1,2 milioni di persone che direttamente o indirettamente sono impegnate nel settore. Una punta di diamante del “Made in Italy” che deve oggi affrontare la sfida dei cambiamenti climatici che cambia anche la distribuzione sul territorio dei vigneti che tendono ad espandersi verso l’alto. La testimonianza più importante è la presenza della vite anche a quasi 1200 metri di altezza come nel comune di Morgex e di La Salle, in provincia di Aosta, dove dai vitigni piu’ alti d’Europa si producono le uve per il “Blanc de Morgex et de La Salle Dop”.
I numeri record dell’export
© Consorzio di Tutela Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG (2)
All’estero la metà del fatturato viene realizzato nei Paesi dell’Unione europea, con la Germania (+8%) in testa tra i paesi comunitari che apprezzano il vino “Made in Italy” seguita dalla Gran Bretagna (+10%). Circa un quinto del fatturato estero è stato però otte-
nuto negli Stati Uniti con un aumento record in valore del 15% nel 2011. La vera sorpresa viene pero’ dai paesi asiatici a partire dalla Cina dove le esportazioni di vino sono aumentate del 64%) mentre continua a crescere la Russia (+14%). Il risultato sui mercati esteri è di buon auspicio per la vendemmia 2011 che è risultata di buona qualità ma su livelli produttivi da minimo storico con un calo record della produzione del 14% attorno ai 40 milioni di ettolitri. Sul piano qualitativo oltre il 60%della produzione è stata destinata a uno dei 517 vini Docg, Doc e Igt riconosciuti in Italia. Per effetto del crollo nella vendemmia l’Italia perde il primato quantitativo mondiale nella produzione a favore della Francia balzata oltre i 50,2 milioni di ettolitri (+11% rispetto al 2010), ma rimane davanti alla Spagna dove il calo è stato contenuto al 2 per cento per un totale di 39,9 milioni di ettolitri.
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di Giancarla Bonaglia
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Solo prodotti italiani per le bevande alla frutta Un testo unificato di tre disegni di legge per regolare la produzione e la vendita delle bevande analcoliche al gusto ed all’aroma di frutta e di quelle con denominazioni di fantasia e con il nome di un frutto. E’ quanto stato messo in cantiere dalla commissione Agricoltura della Camera dei deputati. L’obiettivo è di garantire il consumatore, favorire il consumo di frutta e promuovere i prodotti italiani. Nel complesso il testo all’esame della Commissione - spiega il presidente della Commissione Paolo Russo - “mira non soltanto ad aumentare la percentuale minima di frutta nelle bevande e ad abbassare le calorie ma anche a favorire la trasparenza dei consumi e l’utilizzo di materia prima italiana. Sostenere la pratica di una corretta alimentazione - ha aggiunto - è una strada che va perseguita con decisione, puntando soprattutto ad elevare la qualità dei prodotti immessi sul mercato. Più che scoraggiare l’utilizzo del cosiddetto junk food con iniziative di tipo protezionistico, il cui risvolto negativo potrebbe essere quello di alimentare “il gusto del proibito”, occorrerà lavorare - conclude Russo - per creare le basi di un’offerta alimentare più sana e meno insidiosa per la salute”. Ma ecco nel complesso il testo all’esame della Commissione Agricoltura.
1 - Aumento della percentuale minima di frutta nelle bevande Il 20% nel caso di bevande analcoliche con denominazioni di fantasia. Non più il 12% così come previsto dall’articolo 1 della legge 286/1961. Almeno del 20% in più dovrà essere anche il contenuto di succo nelle bevande analcoliche commercializzate con il nome di uno o più frutti. Attualmente la quantità è regolata dall’articolo 4 del DPR 719/1958 che richiede la presenza di un contenuto di succo non inferiore a 12 grammi per 100 cc.
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2 - Zuccheri In attuazione della direttiva 2012/12/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 aprile 2012, che modifica la direttiva 2001/112/CE del Consiglio, concernente i succhi di frutta e altri prodotti analoghi destinati all’alimentazione umana, “dal 28 ottobre 2015 i succhi di frutta non possono contenere zuccheri aggiunti”. 3 - Etichettatura d’origine della frutta e del prodotto L’obbligo, cioè, di indicare in etichetta l’origine o la provenienza del prodotto, vale a dire il luogo dove è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale, il luogo di coltivazione della frutta utilizzata e la percentuale del frutto naturale contenuto. 4 - Bollino made in Italy Un logo nazionale che identifichi le bibite analcoliche “a base di frutta”, i “succhi di frutta” e i “nettari”, che utilizzino esclusivamente frutta nazionale e per i quali tutte le fasi di produzione e trasformazioni si siano svolte sul territorio nazionale. Previste anche campagne annuali di valorizzazione del logo, programmate dai dicasteri
delle Politiche Agricole, dello Sviluppo economico e della Salute, che serviranno anche a sensibilizzare i consumatori sui benefici derivanti da un maggiore consumo di frutta. 5 - Controlli ed analisi sulle bevande Controlli a campione, sui prodotti che dichiarino in etichetta l’origine o provenienza nazionale o che utilizzino il logo nazionale, da parte dell’ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari. L’ICQRF realizzerà anche programmi straordinari di lotta, attività possibile anche grazie al 50% delle entrate dovute alla irrogazione delle sanzioni destinato all’Ispettorato. 6 - Inasprimento delle sanzioni La contraffazione delle indicazioni di origine e provenienza dei prodott alla base di queste bevande, cosi come del logo potrà essere punita anche con la reclusione per 2 anni e con la multa fino a 20mila euro, così come previsto dall’articolo 517-quater del codice penale per la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.
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di Lucia Tortorella
Topo Gigio, il “Top” del made in Italy Alcune settimane fa, Cino Tortorella, il Direttore Editoriale della nostra rivista ha spedito al Presidente del Consiglio Mario Monti la seguente lettera:
“Egregio Presidente Monti, avendo letto la proposta di autocandidatura di Michele Santoro e di Carlo Freccero alla Direzione Generale e alla Presidenza della Rai, ho pensato, forse con un po’ di presunzione, che anch’io potrei avere qualche motivo per avanzare la stessa richiesta. Ho perciò stilato il curriculum che le allego con la speranza di avere qualche probabilità di essere preso in considerazione”. Tortorella ha anche indicato Topo Gigio come collaboratore: “Gigio è entrato nel mondo dello
spettacolo nel lontano 1959, due anni dopo il sottoscritto, ha partecipato a migliaia di spettacoli in tv e a teatro”.
“gratuitamente al servizio della Rai”. Progetto di fondo: “Ridare alle famiglie italiane la Tv dei Ragazzi indecentemente cancellata dalla programmazione Rai”. Tortorella - si legge ancora - ha concluso con una nota ironica: “Se la mia proposta non verrà
presa in considerazione non farò lo sciopero della fame, come minacciato da Freccero, poiché considero troppo importante mangiare. E mangiare bene”.
© Maria Perego
Il personaggio
Il nostro Direttore ha assicurato infine a Monti che lui e Topo Gigio metteranno tutta la loro esperienza
Cino Tortorella ha tenuto a precisare che, in caso di nomina, avrebbe svolto il suo compito a titolo assolutamente gratuito, a differenza di topo Gigio che se chiamato ad adempiere al suo incarico, non intende rinunciare a una ricompensa sottoforma di un’abbondante razione di groviera. La lettera è stata ripresa dai più importanti quotidiani: Corriere della Sera, Libero, Il Messaggero, la Gazzetta di Parma, Metro... e ha avuto attenzioni anche da parte dei telegiornali delle reti più importanti.
In seguito a questa notevole eco mediatica sono arrivate alla nostra redazione numerose segnalazioni da parte di lettori che si offrivano di pensare loro a soddisfare le richieste gastronomiche di Topo Gigio.
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La segnalazione che più ci ha colpito è quella che è arrivata da Barcellona inviata da una catena di ristoranti intitolata proprio al nostro Topo nazionale. Abbiamo scoperto a questo punto che i ristoranti che contengono nell’insegna il nome di Topo Gigio sono parecchi nel mondo: in Spagna sono 7, oltre a Barcellona sono presenti ad Alicante, Benidorm, Madrid, ma altri sono a Londra, a Cardiff, a Francoforte sul Meno e perfino a Chicago e Johannesburg. In italia c’è un ristorante Topo Gigio a Bagni di Lucca e uno a Venezia in onore di Maria Perego, la signora che ha ideato il personaggio tanto amato dai bambini di molto generazioni in Italia e in altre nazioni. Gigio continua, nei ristortanti che portano il suo nome, a ricordare all’estero i prodotti esclusivi del made in Italy così graditi dai gourmet di tutto il mondo.
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Da un’indagine condotta dalla nostra redazione, nei ristoranti Topo Gigio, si possono gustare i cibi della tradizione italiana realizzati con cura e attenzione grazie ai prodotti che arrivano dal Bel paese: formaggi, oli, salumi... accompagnati dai nostri vini. E’ questo un risultato che certo farà molto piacere a Peppo Mazzullo che dal 1959 ha prestato la sua voce al Topo famoso nel mondo quanto (e a volte di più) di Mickey Mouse. Da un’indagine di una rivista compiuta qualche anno fa, è risultato che Gigio è il personaggio dello spettacolo italiano più famoso nel
Topo Gigio con lo showman Ed Sullivan
mondo; è apparso con successo in trasmissioni televisive in Argentina, Bolivia, Brasile, Chile, Colombia, Ecuador, Germania, Giappone, Messico, Olanda, Paraguay, Peru, Uruguay ed in Venezuela. Enorme successo ebbe anche nel “The Ed Sullivan Show” della CBS, con ben 92 presenze, divenendo quasi un ospite fisso: si pensi che Frank Sinatra ci andò solo poche volte. In Uruguay, la squadra di calcio dell’Huracán Buceo di Montevideo, che attualmente milita in seconda divisione del campionato di calcio del Paese sudamericano, ha adottato Topo Gigio come propria mascotte. Peppo, per seguire Gigio in giro per il mondo, ha imparato a parlare perfettamente inglese, spagnolo e portoghese. da qualche tempo dsi è ritirato nella sua Sicilia che ha sempre avuto nel cuore e lì coltiva personalmente la sua campagna e ne cucina i frutti con l’abilità di un grande chef. Tutti continuano a ricordare Topo Gigio in Italia e nel mondo. Gli unici che lo hanno dimenticato sono i dirigenti RAI. Evidentemente non hanno figli, nè nipoti e forse non sono mai stati bambini. Qui di seguito vi indichiamo un ipotetico menù “Topo Gigio” con le ricette a lui dedicate da alcuni ristoranti che portano il suo prestigioso nome.
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• Pizza “Topo Gigio” Pomodoro, mozzarella e rucola • Calzone “Topo Gigio” Pomodoro, mozzarella, gamberetti e prosciutto • Spaghetti alla “Topo Gigio” Spaghetti al pomodoro con tonno, capperi e aglio • Cannelloni alla “Topo Gigio” Cannelloni con ripieno di carne e verdure • Ravioli alla “Topo Gigio” Ravioli con crema fresca, prosciutto e Parmigiano • Fettuccine alla “Topo Gigio” Fettuccine con crema fresca, prosciutto, funghi champignon e formaggio • Tortellini alla “Topo Gigio” Tortellini con panna, prosciutto e Parmigiano • Scaloppine alla “Topo Gigio” Scaloppine di vitello con salsa al Marsala • Petto di pollo alla “Topo Gigio” Petto di pollo con crema di prosciutto e formaggio • Insalata “Topo Gigio” Pomodoro, cipolla, lattuga, peperoni rossi e verdi, asparagi, carote, cavolo rosso, cetrioli, lenticchie, ceci, fagioli preparati, mais
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di Grillo Parlante
La provocazione/1
Continuano a prenderci in giro! Mi riprometto di farmi prestare da Beppe Grillo uno dei suoi più clamorosi “Vaffa…” da inviare a Cannes agli organizzatori del “Mondial du Rosè” che si è tenuto il mese scorso nella capitale della della Côte d’Azur. Già nell’edizione di “Gustare l’Italia” dedicata al Vinitaly avevamo denunciato la “bufala” che i cugini di Oltremare continuano a realizzare ai danni dei nostri vini, fra l’indifferenza dei produttori e delle autorità che dovrebbero difendere il “Made in Italy”. Il “Mondial du Rosè” è nato nel 2004; gli organizzatori che lo hanno pomposamente definito “le plus important concuors du mond” hanno dichiarato che nasceva “con l’intento di valorizzare e premiare la volontà e l’ambizione dei vinaioli - produttori che danno vita a un vino dalle esigenze tecniche ed enologiche quanto mai complesse”. Nell’edizione del 2011 aveva partecipato una ventina di paesi che si erano contesi le 276 medaglie (d’oro e d’agrento) che dovevano premiare i vini migliori. Di queste soltanto 14 erano toccate ai prodotti italiani: 7 ai Chiaretti del Garda, 2 ai Rosati Pugliesi, 1 al Veneto e 4 ai Cerasuoli d’ Abruzzo (l’unica d’oro assegnata all’Italia).
Aveva fatto meglio la Spagna con 23 medaglie, ma al primo posto si era piazzata una nazione con ben 208 medaglie totali. Sfidavamo i nostri lettori a dirci qual era questa nazione offrendo premi e cotillon a chi per primo avesse dato la risposta esatta che era – pensate un po’- la Francia; la nazione organizzatrice del concorso aveva battuto tutti i suoi avversari e si era imposta con i suoi vini. Incredibile! Straordinario! Inaspettato! Nessuno in Italia – tranne la nostra rivista protestò o gridò allo scandalo (o alla presa in giro); certa stampa italiana aveva addirittura
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definito il “Mondial du Rosè” come il più prestigioso evento internazionale dedicato ai vini in rosa e aggiungendo: “i nostri vini hanno sbaragliato la concorrenza”. Avevamo commentato quell’articolo scrivendo che “se essersi aggiudicato 14 medaglie su 276, e di queste una soltanto d’oro meno della Repubblica Ceca e della Bulgaria (che come è noto sono Paesi famosi in tutto il mondo per la loro tradizione enologica) vuol dire “sbaragliare” gli avversari, sarà bene rivedere il significato di questo verbo”. Concludevamo che a noi quanto era accaduto a Cannes sembrava una colossale, presa in giro, quella che in Italia si definirebbe “bufala”, “pacco”, “fregatura”, “sola”, “canzonatura”, “bidone”, “imbroglio” e magari anche “truffa”. Abbiamo atteso con curiosità i risultati della nona edizione del mondial du rosè sperando che finalmente in Francia si fossero ravveduti e pentiti di quanto accaduto negli anni precedenti si siano decisi finalmente a svolgere una gara corretta e seria?. Ed ecco il risultato: le medaglie questa anno sono aumentate da 276 a 307 ma l’Italia è passata dal quarto al settimo posto con sei medaglie in meno, preceduta Spagna, Ungheria, Romania, Repubblica Ceca e perfino dalla Svizzera (ncredibilmente abbiamo fatto meglio della Bulgaria!). Indovinate quale nazione è stata la regina incontrastata del concorso con ben 58 medaglie d’oro, 139 d’argento e chissà quante di bronzo?
Sì, bravi, l’avete capito: la patria dei 19 Luigi, della Pucelle d’Orleans, di Charles De Gaulle, e oggi di François Holland: la Francia. Anche questa volta nessuno ha protestato, la stampa gastronomica italiana ha trovato questo risultato assolutamente ragionevole e qualcuno è stato anche molto contento del fatto che abbiamo raddoppiato il numero di medaglie d’oro: da una a due (vinte rispettivamente dall’Azienda di Bisol di Valdobbiadene per il Desiderio Jeio Cuvèe Brut Prosecco Spumante e all’Azienda Vigneti del Vulture di Melfi per il Pipoli IGT). Conosciuti questi risultati, abbiamo pensato di confrontarli il “1° Concorso Enologico Nazionale Vini Rosati d’Italia” svoltosi a Bari il 20-
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21 aprile con conclusione a Otranto il 5 maggio scorso; vi hanno partecipato 288 aziende di tutte le regioni d’Italia tranne Liguria e Val d’Aosta nel corso della quale sono state assegnate 18 medaglie (oro-argento-bronzo) ai rosati delle sei tipologie previste dal concorso: • Vini Tranquilli rosati a denominazione di origine (DOP - DOC); • Vini Tranquilli rosati a indicazione geografica (IGP - IGT); • Vini Frizzanti rosati a denominazione di origine (DOP - DOC); • Vini Frizzanti rosati a indicazione geografica (IGP - IGT); • Vini Spumanti rosati a denominazione di origine (DOP - DOC); • Vini Spumanti di qualità rosati (VSQ).
Se il concorso ideato dal dottor Dario Stefàno si fosse svolto con gli stessi criteri del “Mondial du Rosè”, le aziende di Puglia avrebbero certo fatto la parte del leone, invece in Puglia non ci sono state bufale o bidoni; il concorso si è svolto nella serietà più assoluta e i vini sono stati giudicati nell’anonimato da otto commissioni di assaggiatori nominati per estrazione dall’Assoenologi che ha avuto la responsabilità di controllare tutte le operazioni previste. Soltanto tre vini pugliesi sono stati giudicati meritevoli di medaglie: due d’argento e una di bronzo. Invitiamo gli organizzatori di Cannes a recarsi a Bari per imparare come si svolge una manifestazione seria, attendibile, corretta.
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di Piero Valdiserra
Punti di vista
Vino italiano: questione di cultura Le ricorrenti campagne d’opinione contro i consumi di prodotti alcolici prescindono spesso da una considerazione di fondo, che è di basilare importanza nel nostro Paese. Detto in due parole: la tradizione italiana dei consumi alcolici è radicalmente diversa da quella di altre nazioni. Ed è bene tenerlo sempre presente. L’Italia è da tempi immemorabili la culla del vino. Da noi esiste la più ampia varietà ampelografica del mondo. Il nettare di Bacco è da millenni sulle tavole quotidiane, dal nord al sud della Penisola, ed è la base identitaria più antica e più diffusa dei consumi - alcolici e non. In questo noi siamo differenti, molto differenti dagli altri popoli, soprattutto da quelli del Nord Europa. In Italia non abbiamo mai conosciuto nulla di simile al gin craze (la mania per il gin), che segnò l’Inghilterra del XVIII secolo al punto da indurla a una prima forma di proibizionismo antialcolico. Non abbiamo conosciuto neppure l’ubriachezza di massa da vodka, tipica dell’Unione Sovietica dei tempi di Breznev. Né siamo il Paese i cui abitanti, nel fine settimana, prendono sistematicamente e programmaticamente la sbronza da superalcolici, come invece accade in molte città della Scandinavia. Siamo un popolo di bevitori, in larghissima parte moderati, di vino. Questo dovremmo tenerlo a mente, e spiegarlo bene ai politici che scrivono e approvano le leggi - ma che non sono necessariamente tenuti a saperlo. Così si eviterebbero, ad esempio, le esasperazioni da etilometro che imperversano sulle
strade italiane: esasperazioni che nascono dall’aver voluto fotocopiare, nel Belpaese, provvedimenti legislativi nati ad altre latitudini per (ben) altri tipi di abusi alcolici. La cultura italiana del vino, insomma, è un’altra cosa rispetto alla cultura nordica della vodka, del gin, del whisky: e questa differenza è prima di tutto responsabilità nostra (di noi giornalisti, cioè, di noi che amiamo intrattener-
ci con la pubblica opinione) chiarirla ed esplicitarla in maniera semplice e comprensibile a tutti, per favorire un dibattito corretto e per preparare la strada a decisioni equilibrate del legislatore. E qui, purtroppo, noi giornalisti dobbiamo fare ammenda: troppo spesso ci perdiamo in sagre, degustazioni, pranzi e cene, trascurando in molti casi di dare il nostro appoggio, coerente e convinto, ai sacrosanti diritti storici della nostra civiltà vitivinicola. La civiltà, anche quella nel bicchiere, non è infatti un dato immutabile ed eterno: per preservarla, occorre difenderla giorno per giorno, con l’intelligenza e l’impegno di tutti.
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di Piero Valdiserra
Le manifestazioni
E’ tempo di eno-turismo Giugno la falce in pugno, diceva una volta il proverbio. Giugno il tralcio in pugno, potremmo ribattere oggi. Il tralcio, ma anche il grappolo, la bottiglia, il calice Eh già, non sono più i tempi delle battaglie del grano dell’Italia contadina, mentre invece sono sempre più di tendenza le gite fuori porta alla scoperta delle delizie dell’enogastronomia e del tipico. E quando la stagione si mette al bello, l’esercito degli enoturisti - alcuni milioni di persone, nel nostro Paese - si mette in marcia per degustazioni, assaggi e abbinamenti di territorio. Con buona pace della crisi economica incombente. Ecco allora che nel mese di giugno c’è una grande fioritura di manifestazioni ed eventi dedicati a Bacco, lungo tutta la Penisola. Per i lettori di “Gustare l’Italia” ne abbiamo selezionate alcune tra le più sfiziose:
“Italia in Rosa” Moniga del Garda, 1/3 giugno Sul Lago di Garda, sponda bresciana, torna l’appuntamento annuale dedicato ai vini rosati, in una delle loro patrie di elezione - questa è infatti la culla dei deliziosi Chiaretti. Un momento importante, rappresentativo e ben organizzato per riflettere su una tendenza ormai consolidata del bere, quella appunto dei rosati: prodotti che fino a non molti anni fa erano letteralmente emarginati e discriminati dagli intenditori, mentre oggi costituiscono una alternativa fresca, giovane, disinvolta, particolarmente gradita nei mesi caldi dell’anno. A “Italia in Rosa” non manca l’opportunità di degustare, e confrontare, i tanti nettari color salmone delle varie regioni italiane, dal Ve-
neto al Trentino, dall’Abruzzo alla Puglia, senza ovviamente dimenticare le bollicine rosé. Per info: www.italiainrosa.it
“Vini nel Mondo” Spoleto, 1/3 giugno In Umbria, cuore verde d’Italia, e in una delle sue città più belle e suggestive, Spoleto, si svolge “Vini nel Mondo”, in concomitanza con il primo weekend del mese. ncontri, spettacoli, eventi speciali - compresa la notte bianca del vino - fanno accorrere all’iniziativa spoletina un pubblico dalle dimensioni ormai imponenti, stimato sulle 200mila persone. A conferma del fatto che ambiente naturale, storia, cultura ed eccellenze enogastronomiche possono convivere assieme in una
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“Gutturnio Festival” Carpaneto Piacentino, 2/3 giugno
cornice di eleganza e di buongusto. E, particolare non trascurabile, con un successo di pubblico crescente… Per info: www.vininelmondo.org
“Vinoforum” Roma, 1/16 giugno. Poteva forse mancare Roma? Certo che no. La Città Eterna si affaccia sulla scena enogastronomica alla sua maniera; anzi, prende la scena. L’appuntamento capitolino infatti si segnala per la durata (la prima metà del mese di giugno) e per l’ampiezza e la varietà delle iniziative che mette in campo. “Vinoforum” rinnova la tradizione delle grandi fiere campionarie di un tempo, e lo fa mettendo a disposizione degli addetti ai lavori, degli appassionati e dei curiosi un programma ricchissimo di presentazioni, degustazioni, abbinamenti. Che cosa c’è di più seducente che sorseggiare qualche calice prestigioso ed esclusivo sulle rive del Tevere? Per info: www.vinoforum.net
Questa segnalazione ci fa molto piacere, perché ci permette di ricordare una terra bellissima, dal fascino discreto e sottile, che non tutti ancora conoscono; e che invece merita una visita attenta e partecipe. Stiamo parlando del piacentino, precisamente di Carpaneto Piacentino, che al Castello Scotti Da Vigoleno ospita una ricca “due giorni” di degustazioni, approfondimenti, acquisti e incontri diretti con produttori e cantine della zona. Protagonista assoluto il Gutturnio Frizzante, vero genius loci della provincia più occidentale d’Emilia. Senza dimenticare le altre eccellenze locali come le carni, i salumi e i formaggi. Per info: www.gutturniofestival.it
“Radici del Sud” Savelletri di Fasano, 7/11 giugno La costa brindisina, in uno dei suoi punti più affascinanti, ospita l’appuntamento annuale dedicato ai vitigni autoctoni del Sud. La vicinanza stessa della stupenda Egnazia, l’antica città - porto da cui ci si imbarcava per l’Oriente, fa di questa manifestazione una sorta di celebrazione dell’orgoglio enologico della ex-Magna Grecia.
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I vini presenti sono infatti quelli di Puglia, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia. Il programma dell’evento è decisamente nutrito, e molto interessante soprattutto per gli addetti ai lavori. Il finale è aperto al pubblico, con assaggi e abbinamenti di prodotti tipici. Per info: www.ivinidiradici.com
“Florence Wine Event” Firenze, 8/10 giugno “È primavera, svegliatevi bambine...” cantava un tempo, con la sua voce inconfondibile, Alberto Rabagliati. E oggi, sullo scorcio finale della primavera, si risveglia la Firenze del buon bere con il “Florence Wine Event”.
Giunta alla sua sesta edizione, è una manifestazione concepita per promuovere le eccellenze del vino italiano e per valorizzare l’Oltrarno fiorentino. La sede è il cortile dell’Ammannati di Palazzo Pitti. L’atmosfera che vi si respira è quella tipica del quartiere, a metà strada fra l’aristocratico e il popolare, e consente così di coinvolgere piacevolmente sia i fiorentini sia i tanti turisti già presenti in città. Per info: www.florencewinevent.com
“Terroir Vino” Genova, 11 giugno È l’evento annuale organizzato dalla commissione degustatrice di “Tigullio Vino”, il celebre wine magazine presente ormai da molti anni sul web. Una giornata sola, lunedì 11 giugno, ospitata presso i Magazzini del Cotone, nel Porto Antico di Genova.
È previsto un banco d’assaggio di qualità superiore, riservato a vini e oli d’eccellenza, con la presenza annunciata di un folto gruppo di operatori dell’informazione enogastronomica. Gli eventi collegati sono decisamente singolari: la non-conferenza su vino, cibo e interazione online, le degustazioni dal basso, il confronto fra i vignaioli “del garage”, il baratto-day. Per info: www.terroirvino.it
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“Chianti Classico è” Castellina in Chianti, 1 giugno/27 luglio La rassegna è promossa dal Consorzio Chianti Classico che comprende una serie di appuntamenti vinicoli e gastronomici. Venerdì 1° giugno aprirà il calendario l’evento “Il Classico e l’altra faccia del Giapponese”: il vino Chianti Classico di Querceto, in-
IV edizione, dedicato alla promozione della nuova annata del “re dei vini”. “Io Barolo - tra le strade del Barolo” vedrà il Comune di La Morra diventare per un giorno idealmente il territorio dell’intera Langa del Barolo: ogni piazza ospiterà infatti un paese produttore del grande vino, con i propri produttori a dare in degustazione al pubblico il Barolo 2008. Per info: www.stradadelbarolo.it
“Laghi divini” Bracciano,15/17 giugno
sieme a tutte le altre etichette aziendali, omaggeranno la cucina giapponese. Nei venerdì successivi saranno tante le sorprese gastronomiche ma anche vinicole che tra hamburger, bollicine, pesce e cucine etniche offriranno un modo per restare in contatto con la natura, lontani dal caos metropolitano. Per info: www.classico-e.it
Oltre all’imperdibile occasione di degustare vini provenienti dalle sponde dei laghi di tutta Italia in abbinamento con i migliori prodotti locali, la manifestazione offre l’opportunità di approcciarsi per la prima volta al mondo del vino o di approfondirne la conoscenza attra-
“Io, Barolo” La Morra, 3/24 giugno La Strada del Barolo e grandi vini di Langa e l’Enoteca del Barolo, in collaborazione con la Cantina Comunale di La Morra e l’Unione dei Comuni del Barolo propone nel mese di giugno “Io, Barolo”, evento arrivato ormai alla
verso un percorso di mostre, incontri, seminari, proiezioni ed esposizioni. Il tutto valorizzando i territori di produzione nelle loro componenti geografiche, artistiche e culturali. Per info: www.laghidivini.it
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Il termine “agriturismo” è stato inventato negli anni sessanta del secolo scorso, ma solo nel 1973 è entrato nella legislazione: dapprima a livello locale (nella provincia autonoma di Trento) e poi, dieci anni dopo, nelle leggi dello Stato. Le norme che regolano l’attività sono molto precise e riguardano l’ospitalità e la ristorazione per coloro che intendono svolgere questo lavoro, e il loro rispetto comporta una notevole detrazione delle tasse dovute da alberghi e i ristoranti normali, oltre ad ottenere aiuti finanziari da parte delle Regioni e sostegni dall’Unione Europea. Il fine è quello di valorizzare il territorio e il suo patrimonio rurale e per questo esistono
regole che devono essere rispettate: innanzitutto l’attività si deve svolgere in edifici già esistenti nelle aziende agricole (è questo un notevole contributo nella difesa del paesaggio) e i pasti serviti agli ospiti devono essere prevalentemente costituiti da prodotti delle campagne dei proprietari o delle aziende agricole vicine. Alla fine del secolo scorso gli agriturismi erano circa 10.000, oggi secondo la Coldiretti sfiorano le 20.000 unità con oltre 380.000 coperti e 200.000 posti letto. Le regioni con l’offerta maggiore (45%) sono quelle del Nord (con ai primi posti Toscana, Trentino Alto Adige e Lombardia), seguite dal Centro (34%) e dal Sud (21%).
La provocazione/2
di Grillo Parlante
Agriturismo?
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© Emanuela Cattaneo (2)
Il fatturato, che supera il miliardo di euro, è certamente molto importante per l’economia nazionale e se le ragioni per le quali sono nati fossero rispettate, gli agriturismi sarebbero di considerevole aiuto per la nostra agricoltura. Purtroppo spesso questo non accade e molte strutture si spacciano per agriturismi senza avere i requisiti necessari. Nel ponte del primo maggio scorso la Guardia di Finanza ha compiuto un blitz per smascherare gli esercizi che dichiarano falsamente di svolgere attività di agriturismo; i risultati sono stati drammatici e non hanno fatto che confermare quello che in fondo si sapeva già e che molte volte era stato denunciato fra l’indifferenza delle autorità. Il termine “agriturismo” è troppo spesso utilizzato da aziende che con gli scopi per i quali è nato non hanno nulla a che vedere, provocando danni economici e di immagine al settore. Chi si reca in un agriturismo lo fa soprattutto per godere l’ospitalità in un ambiente sereno, vicino alla natura e per gustare cibi tipici creati con gli ortaggi e le verdure, appena raccolti, con le uova di galline che razzolano libere e non si nutrono di intrugli chimici, con la carne di polli e conigli che non provengono dai campi di concentramento di certe aziende magnificate dalla televisione, e bevendo vini dei vigneti che circondano l’azienda. Questo è ciò che, per legge, dovrebbero fornire le aziende autorizzate nell’esercizio dell’agriturismo, e se ci si imbatte in chi si
spaccia per tali senza averne i requisiti, ben venga la Guardia di Finanza a controllare e a multare. La Coldiretti consiglia a chi sceglie la vacanza in un agriturismo (soprattutto agli ospiti stranieri che sono stimati ormai nell’ordine del 27% del totale) di controllare il rapporto dell’azienda con l’attività agricola, accertarsi che nel menù che viene proposto siano presenti i prodotti stagionali e tipici della zona. Suggerisce inoltre, prima di partire, di prendere contatto con l’Azienda nella quale si sta per arrivare per chiedere dettagliate informazioni su che cosa viene offerto, sui prezzi, sulle mete interessanti da visitare, sulle attività ricreative e culturali che si possono frequentare.
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di Cino Tortorella
“Il Mulino”, un agriturismo vero Una delle principali ragioni per le quali sono nati gli agriturismi riguardano i cibi che devono essere esclusivamente del territorio, delle aziende dei proprietari o di aziende vicine. Questo obbligo stabilito dalla legge, importantissimo per l’economia delle regioni, viene spesso ignorato ance in modo clamoroso: qualche settimana fa mi è capitato di pranzare nel ristorante di una azienda di Calabria che vanta il titolo di “agriturismo”. In tavola mi sono stati portati grissini confezionati chissà dove, formaggio “grana padano”, una mediocre bottiglia di vino del Friuli,
Ospitalità italiana
Nel ponte del primo maggio scorso è stato compiuto in tutta Italia un blitz della Guardia di Finanza per smascherare gli esercizi che dichiarano falsamente di svolgere attività di agriturismo senza rispettare le regole stabilite dalla legge; sono norme severissime alle quali dovrebbe attenersi chiunque voglia intraprendere questa attività, ma che vengono troppo spesso disattese fra l’indifferenza delle Autorità che dovrebbero controllare. Il risultato è stato deprimente; solo una azienda su tre è risultata in regola, confermando quello che già si sapeva.
Gustare l’Italia 58
l’olio di una oscura ditta toscana, e nel menù mi si proponevano “gnocchi alla romana”, “baccalà alla vicentina” e addirittura “arrosto di struzzo”… Qualche giorno dopo però ho avuto la ventura di soggiornare in una cittadina della stessa provincia dove un amico mi aveva assicurato avrei trovato un “vero” agriturismo; mi disse che era stato uno dei primi ad essere visitato dagli agenti della Finanza nel famoso blitz, e costoro dopo un accurato controllo se
ne erano andati complimentandosi con il proprietario. Ho fatto così la felice conoscenza de “Il Mulino” di Corigliano Calabro, nascosto nel verde di agrumeti e uliveti nella piana di Sibari, a pochi passi dal blu intenso del mar Jonio. Ho scoperto un relais di gran classe che non tradisce gli scopi di difesa del territorio, per i quali è nato; è stato voluto da Giorgio Aversente un gentiluomo calabrese come è ormai difficile incontrarne, un industriale del Sud concessionario di ben sei marche di automobili, proprietario di Tele A1, una televisione che copre gran parte del Meridione d’Italia, innamorato della sua terra che vuole valorizzare ed esaltare in questa iniziativa alla quale si è dedicato con entusiasmo e passione. L’agriturismo che si estende per molti ettari, sorge sui resti di un mulino del ’700 recuperato con grande rispetto da chi ha saputo unire
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Il santuario di Santa Maria delle Armi
l’antico al design più moderno, facendone un luogo di relax in un ambiente all’insegna dell’eleganza e della bellezza. Mi sono ritrovato in un luogo dove il tempo è senza tempo, dove i pensieri si perdono nella quiete della campagna, accarezzati dall’aria nella quale si avverte il profumo del mare che è lì a due passi. La piana di Sibari, è uno dei luoghi più prestigiosi dell’antichità, la città che nel VII e VI secolo avanti Cristo era la località di maggior fascino della Magna Grecia, famosa per le bellezze naturali e il lusso dei costumi dei suoi abitanti (ancor oggi si dice “sibarita” per indicare chi ricerca nell’arte e nella vita il godimento più intenso). Assistendo a un tramonto sulla sua spiaggia si può capire perché i Greci sono arrivati su questa sponda per realizzarvi la più alta e raffinata civiltà che il mondo abbia conosciuto.
Giorgio Aversente, forse l’ultimo dei “sibariti”, ha realizzato “Il Mulino” come sarebbe piaciuto ai signori della Grecia di 2700 anni fa, unendo in armonia le bellezze della natura ai più esclusivi ritrovati della tecnologia moderna per il benessere e il piacere offrendo 16 camere arredate con eleganza, con modernissimi servizi, tv satellitare e con vasca di idromassaggio, alle quali è stato dato il nome dei frutti tipici della zona: Sanguinello, Clementina, Bergamotto, Cedro, Tarocco… Tutto è curato con attenzione e amore per la serenità dei fortunati ospiti, ma l’impegno maggiore è dedicato alla cucina. Quando si è accolti nella deliziosa sala in pietra viva che poggia sui ruderi dell’antico mulino visibili dal pavimento in vetro, ogni
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pranzo o cena è un tuffo nel passato, nei profumi, nelle fragranze di un tempo lontano che non vuol essere dimenticato. Se poi l’ospite è un calabrese che da anni ha lasciato la sua magica terra, sarà per lui un piacere ancora più intenso perché ogni piatto che gli sarà servito, gli riporterà i ricordi dell’infanzia, i sapori dimenticati e ritrovati in un trionfo di genuinità e naturalezza: formaggi, confetture, pollame, olio, pane e paste fatte in casa, vini, tutti realizzati con i prodotti che la natura regala con generosità nell’azienda agricola della proprietà; a questi si unisce il pesce freschissimo e i frutti di mare che i pescatori agli ordini de “Il Mulino” procurano quotidianamente. È questo un esempio perfetto di come deve essere condotto un vero agriturismo: un luogo di pace e di serenità che riporta alla tradizione, all’amore per la terra, un luogo che ti fa dimenticare la vita frenetica e delirante della città, un rifugio perfetto per innamorati. È consigliabile non andarci da soli; se si sta vivendo un amore vivo e intenso quella è la metà ideale.
Se poi gli innamorati hanno il desiderio di visitare luoghi di assoluta bellezza, di interesse storico e d’arte, ecco una ragione in più per recarsi a Corigliano, perché tutta la provincia ne è ricca: l’aerea archeologica e il museo di Sibari, l’imponente castello Ducale, il borgo mediovale di Altomonte, i paesi di lingua e cultura “arbereshe“ (albanese), il Parco del Pollino ricco di fiori e di erbe. Questo Parco è particolarmente apprezzato dai gourmet perché è possibile gustare dai pastori, gli ultimi di una civiltà agropastorale, il favoloso “butirro”, il caciocavallo con l’anima di burro fatto con il latte della “annichiarica”, la vacca che ha figliato da poco e che ha perciò il latte più gustoso e grasso, o la “giuncata”, la ormai quasi introvabile “formaggetta” schiacciata così chiamata per l’abitudine di raccogliere la cagliata in canestri di giunco.
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Un altro luogo da visitare è il seicentesco santuario di Santa Maria delle Armi a Cerchiara Calabra, scavata nel vivo della roccia a mille metri d’altitudine sulle pendici del monte Sellaro; oltre a essere un luogo d’arte e di intensa spiritualità vi si gode una veduta emozionante sul panorama che si distende nell’azzurro dello Jonio. La chiesetta ricoperta di marmi policromi è il luogo più mistico e romantico per offrirsi una promessa d’amore ma è doveroso avvertire che questa visita potrebbe rivelarsi una esperienza pericolosa, perché è a notevole “rischio matrimonio” per gli innamorati che ancora non hanno affrontato il fatale passo. Tutto a i “Il Mulino” può sembrare predisposto per amori liberi e segreti, un luogo ideale per chi non chiede altro che silenzio e privacy, lontani anni luce dal pensiero di concludere la vacanza con una cerimonia nuziale. In realtà il luogo è pericolosissimo perché nell’agriturismo c’è anche una cappella privata dove è possibile sposarsi e un prete è sempre pronto a materializzarsi per accogliere il fatidico “sì”.
Bastano alcune telefonate ed ecco accorrere amici e parenti che non finiranno mai di ringraziare i freschi sposi per aver loro fatto conoscere un luogo di tale bellezza e per avere gustato nel pranzo nuziale i favolosi piatti della cucina. Non resta poi agli sposi che scegliere una delle deliziose camere matrimoniali… E se nove mesi dopo torneranno a “Il Mulino” con un bambino appena nato, Giorgio Aversente regalerà il soggiorno gratuito. Per info: www.relaisilmulino.it
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Mi trovavo a San Damiano d’Asti per partecipare alla “Nota d’Oro”, il concorso canoro per bambini giunto alla sua 38° edizione. L’organizzatore, Don Antonio il parroco, che in questa sua iniziativa mette passione ed entusiasmo mi ha chiesto, come fa ormai da trent’ anni, di prender parte allo spettacolo, e come sempre non ho potuto rifiutare perché Don Antonio è una delle più belle persone che io conosca: buono e generoso che da anni con i suoi parrocchiani realizza opere di solidarietà per i bambini che in qualche parte del mondo soffrono miserie e privazioni. Un altro motivo che mi impedisce di rifiutare il suo invito è dovuto a fatto che Don Antonio,
dimenticando che la Gola è uno dei sette vizi capitali punito con la pena più dura descritta da Dante nel canto VI dell’inferno, riesce a convincermi offrendomi come ricompensa gli straordinari prodotti che la sua regione regala con generosità e fra questi, ai primi di novembre, profumatissimi, irresistibili, sensualissimi tartufi. Partecipare alla “Nota d’Oro” è perciò anche un goloso ritorno in questa terra benedetta da Dio; so che riposerò nelle quiete stanze del Leon d’Oro di Canale, l’albergo di Ilaria Arduino che continua con mamma Vittoria l’attività avviata più di cento anni fa da nonna Rusin; so che cenerò nel piacevole ristorante di Elio, “La
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di Felice Maratea
Mario Fongo, il “panatè”
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Lanterna” e gusterò i piatti della più stretta tradizione longarola che la moglie, la simpaticissima donna Lucia prepara in cucina. La sera del 18 maggio mi trovavo appunto a San Damiano a cena da Elio, in attesa di partecipare alla “Nota d’Oro”, quando vidi arrivare un signore che non conoscevo, un tipo simpatico e ben piantato, che si presentò così: “Sono Mario Fongo, il panatè di Rocchetta Tanaro. Mi hanno detto che lei è un buon gourmet e che scrive sulla rivista “Gustare l’Italia”. Le ho portato un po’ di roba che faccio nel mio forno. Spero che le piaccia. Buon appetito”. Ha messo sul tavolo alcune confezioni di prodotti e se ne andato senza che potessi dire
una parola. Avrei voluto trattenerlo per ringraziarlo e perché la sua presenza e le sue parole avevano portato una ventata di allegria; il suo viso era una esplosione di simpatia su un corpo che più langarolo non si può e che, quando ho gustato i suoi prodotti, mi sono accorto che assomiglia alle sue creazioni: allegro, schietto, autentico. Come ho appreso in seguito da Don Antonio, la storia della famiglia Fongo è legata alla nascita del primo forno di Rocchetta nel 1945, e da allora niente è cambiato e continua a sfornare prodotti genuini di altissima qualità come 70 anni fa anche se attenta alle tecnologie più moderne. Ho così potuto gustare le sue invenzioni tra le quali la più clamorose, ottenute da un impasto di farina, acqua, sale e olio di oliva che un paziente e sapiente lavorazione e cottura al forno rende gustose e friabili; sono sottilissime fette lunghe mezzo metro che Mario ha chiamato “Lingue di Suocera” perché - dice - “solo le suocere hanno una lingua così lunga”. Le ha realizzate in varie versioni: classiche, al parmigiano reggiano, al rosmarino, e anche al peperoncino (queste ultime però per rispetto alla mamma della sua bella moglie le ha chiamate “Lingue del diavolo”).
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Nel forno dei Fongo vengono realizzati ogni giorno cibi della più antica tradizione piemontese sempre più rari: i grissini per esempio, quelli “stirati” classici a base di farina, sale, malto, olio extravergine con o senza strutto; e i più tradizionali grissini che i piemontesi conoscono con il nome di “grissini rubatà” quelli autentici, storici, inimitabili che è sempre più difficile trovare nelle panetterie, quelli che ogni autentico gourmet vorrebbe vedere sulle tavole dei un ristorante invece di delle tristi imitazioni insipide e banali racchiuse nei sacchetti gialli. Anche i rubatà dei Fongo sono creati in diversi versioni, una più piacevole dell’altra: al sesamo, al rosmarino, alle olive taggiasche, alle noci. Paolo Massobrio racconta che quando ha portato a casa per la prima volta quelle “croste di pane sottilissime, saporite, immense nella loro fragranza, la cena che le accolse fu solenne. Un applauso continuo. E non sembrava suggestione, quelle lingue del Mario, accidenti, erano davvero buone!” Ho fatto la stessa esperienza: ho portato le lingue e i grissini ad una cena importante dove si festeggiava il 36° anniversario delle nozze
con Maria Cristina, la deliziosa compagna, che mi ha regalato Guido, Chiara e Lucia, i meravigliosi figli che con Davide avuto dalla mia prima moglie, sono la ricchezza della mia vita. Le “Lingue di Suocera” e i “rubatà” hanno aggiunto piacevolezza e allegria a una straordinaria cena. Ho rivolto un pensiero riconoscente a Mario augurandomi di avere a tavola i suoi prodotti anche quando festeggerò il 50°anniversario. Per info: www.mariofongo.com
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della Redazione
Il produttore/2
“Forme di luce”
Una narrazione degustativa dell’incontro tra Luce, il primo vino ad aver interpretato in modo originale un territorio tradizionalmente vocato alla produzione del Brunello e il formaggio Forma di Luce, affinato da Hansi Baumgartner nel suo laboratorio Degust di Bressanone. “Forma di Luce” è il risultato di un progetto davvero unico: un nuovo formaggio nato dall’incontro tra l’arte affinatoria di Hansi Baumgartner e Luce: il primo vino prodotto a Montalcino unendo la rotondità e la morbidezza del merlot alla struttura del sangiovese, in una perfetta sintesi di equilibrio e di eleganza. “Forma di Luce” è il frutto più recente di quella armonia del gusto che Luce ricerca da
sempre nell’incontro con un complice d’eccellenza. Possiamo dire che come in altre occasioni in passato, Luce ha trovato un carattere che gli assomiglia, una personalità che, come lui, ama prendersi la libertà di innovare la tradizione che ha nel sangue”. “Tratti comuni a mondi diversi – spiega Hansi Baumgartner - come la mineralità e la sapidità, mi hanno guidato nella ricerca. Vi è mineralità nei suoli di Montalcino dove nascono le uve di Luce, così come si ritrova nel latte che è stato selezionato per realizzare questo prodotto. Ed è la mineralità, unita all’elegante tannicità di Luce, a bilanciare la componente grassa del formaggio, i cui intensi profumi si
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fondono con il vino esaltandone la ricca componente fruttata. Un’esperienza che nasce dalle affinità e prosegue nei contrasti, regalando sensazioni inaspettate”.
Il formaggio “Forma di Luce”, dopo una stagionatura naturale in grotta di circa sei mesi, viene affinata con carbone vegetale e olio di vinacciolo e successivamente decorata da alghe e lamina d’oro. La forma è sostanza e la sostanza dà la forma: l’armonia tra Luce e il “suo” formaggio non si ferma alla sola sfera gustativa, ma si completa diventando estetica: sul fondo scuro brillano raggi dorati di sole, che rimandano ad altri raggi, ad altri profumi, per un’unica emozione. Hansi Baumgartner, non a caso soprannominato “l’orafo del latte”, è un affinatore di formaggi tra i più apprezzati. Dopo l’esperienza come chef si è dedicato con passione alla riscoperta, alla selezione e all’affinamento di produzioni casearie di nicchia. Nel suo negozio-laboratorio “Degust”, nei pressi di Bressanone, ai sapori della tradizione più antica si affiancano sorprendenti interpretazioni e proposte piacevolmente innovative.
Il vino Luce nasce a Montalcino da una perfetta unione di uve Sangiovese e Merlot maturate al sole di alcuni dei vigneti più alti di questa pregiata zona vinicola. Un vino inimitabile - la prima annata è il 1993 da una fortunata collaborazione tra le famiglie Frescobaldi e Mondavi. Dal 2006, a seguito dell’uscita della
famiglia Mondavi, Luce fa capo a Tenute di Toscana srl. Lamberto Frescobaldi, seguendo il solco dei due fondatori, è responsabile dello sviluppo enologico di questo grande vino. A Montalcino, in provincia di Siena, l’azienda Luce della Vite si estende su 192 ettari di terreno - fra vigneti in produzione e di nuovo impianto, circa 30 sono vitati - in un territorio caratterizzato da condizioni microclimatiche e pedologiche ottimali; con un’altezza sul livello del mare compresa tra 350 e 420 metri, la tenuta è una delle più elevate della zona.
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di Cino Tortorella
Le lune di Gustare l’Italia
“La Grotta” “La Grotta” di Sasso Marconi (Bo) frazione Mongardino, meglio nota come “la trattoria della Bruna” dal nome della bella e prosperosa proprietaria: un altro clamoroso esempio di locale dimenticato o sottovalutato dalle guide gastronomiche, in aiuto del quale è necessario l’intervento delle forze corazzate di “Gustare l’Italia” che faranno giustizia.
ai nostri lettori. Intanto, a beneficio di chi non è mai stato dalla Bruna e voglia verificare l’obiettività della nostra reazione al disinteresse dei critici, vi raccontiamo cos’è per noi il locale di Mongardino. Vi si arriva in poco più di mezz’ora dal centro di Bologna percorrendo la Porrettana che da Casalecchio porta a Sasso Marconi.
Ignorato dalla Michelin, dall’Espresso, dal Sole 24 ore, dal Gambero Rosso, solo un breve cenno sulla guida del Touring Club Italiano che gli regala due povere forchette…nemmeno fosse la “Pensione Mariuccia” di Rocca Sgurgola. Ed è invece un’elegante trattoria, immersa nel verde delle colline bolognesi dove si possono gustare al meglio i cibi della tradizione emiliana. Perché? È l’interrogativo che rivolgiamo ai responsabili delle guide sopra citate sperando di ricevere una esauriente risposta che trasmetteremo
Siamo soltanto a sei chilometri dalla statale, spesso trafficatissima, ma sembra di essere entrati in un’altra dimensione; a perdita d’occhio non si vede un edificio che turbi la serenità del paesaggio, le colline si succedono alle colline come “un oceano di montagne in ondate successive” così scrisse Byron; in lontananza soltanto il Santuario di San Luca e qualche fattoria immersa nel verde. Mongardino è una frazione di Sasso Marconi; poche case intorno a quella che un tempo era una stazione per il cambio di cavalli a uso
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delle carrozze che da Verona si dirigevano verso Firenze evitando il passo della Futa; nel 1918 nonno Adelmo Negri vi aprì una trattoria che subito diventò popolare in tutta la zona per la qualità della cucina. Da allora si sono succedute quattro generazioni che, aggiungendo esperienza a esperienza, sono giunte fino ad Andrea, oggi uno dei migliori interpreti della cucina bolognese e a Maria Cristina sua sorella che in sala accoglie con un sorriso luminoso i felici avventori. La tradizione da queste parti non è una parola vuota, non è un luogo comune, e la parola “rivisitazione” è ignorata, significa al massimo “alleggerimento”. Andrea ha mosso i primi passi in cucina giovanissimo accanto a nonna Ada e ha imparato da lei i piatti classici che hanno fatto guadagnare a Bologna, oltre all’aggettivo di “dotta”, anche quello di “grassa”: lasagne, tagliatelle al ragù, strichetti, fritto misto… ma soprattutto tortellini. Ha poi compiuto varie esperienze in Italia e all’estero, più che altro per imparare le moderne tecniche di cottura, senza mai tradire la cucina regionale; nessuna scuola gli ha insegnato a rendere più gustosi i tortellini, più appetitose le lasagne, più fragrante il fritto misto… Ha insomma avuto la fortuna di incominciare l’iter scolastico direttamente dall’università. Di suo ha messo passione, impegno, sensibilità; con dei genitori e dei nonni come i suoi non occorreva altro per diventare un grande chef.
E che sia davvero bravo, tra i migliori della provincia di Bologna, deve essere vero se un critico severo fino alla perfidia come Raspelli lo ha definito “angelo della cucina” e ha scritto che in certi suoi piatti “c’è la dolcezza, la tenerezza, la struggenza delle carezze di una nonna, dei baci di una mamma, delle coccole del primo amore”. Andrea, come ogni vero chef è anche un ottimo sommelier: nella bella cantina de “La Grotta” ha messo insieme più di 400 etichette dei migliori vini d’Italia anche se per la sua cucina basterebbero i prestigiosi vini dei Colli Bolognesi e in particolare quelli che produce il padre, il signor Paolo, al “Poggiolo” nella tenuta di famiglia a Monte San Pietro: il Merlot, il Cabernet Sauvignon, il Barbera vivo e frizzante e soprattutto il profumato Pignoletto. Dal “Poggiolo” arrivano anche i polli, i conigli, la cacciagione, gli ortaggi e la frutta che rendono così gustosa e fragrante la cucina di Andrea.
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Questa è la stagione ideale per un pranzo o una cena da consumare alla Grotta perché si svolge all’aperto sull’ampia terrazza che dà sul giardino di tigli e castagni; qui gli ospiti vengono accolti come vecchi amici con il calore autentico degli emiliani, dalla Bruna la dolce sorridente mamma di Andrea, un’esplosione di simpatia in un corpo che più emiliano non si può. È il ritratto della cucina del figlio: allegra, gustosa, genuina, autentica, schietta, sensuale. Vengono poi affidati alle cure di Maria Cristina che svolge il compito di perfetto “maitre” e consiglia il menu e l’eventuale abbinamento dei vini. Vorrei però sostituirmi a lei e suggerire ai distratti responsabili di certe guide il mio menu preferito. Consiglierei intanto di non andare a Mongardino da soli; vi si rechino se possibile con un partner, e se non hanno un amore in corso se ne inventino uno, perché la Bruna ha una particolare attenzione nei confronti degli innamorati; sceglierebbe per loro il tavolo più appartato sulla veranda e darebbe il benvenu-
to con un antipasto di prodotti della zona scelti tra i migliori piccoli produttori dei colli circostanti: salami, prosciutti, ciccioli e mortadella, con le favolose cipolle sott’olio e lo straordinario squacquerone, un nome rabelaisiano per un delizioso formaggio da spalmare sulle “crescentine” ancora calde.
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Dopo questa ouverture alla quale aggiunge piacevolezza l’allegro Pignoletto della casa si sceglierà tra i primi, tutti realizzati secondo la più classica tradizione, tutti piacevoli: ci sono naturalmente piatti classici come le “tagliatelle alla bolognese” o i “tortelloni come erano una volta” con ricotta di vacca bianca modenese, o “le tagliatelle fritte” (in bolognese “tajadela fretta”) un antico piatto riscoperto da Andrea che lo serve su una zuppetta di scalogno… Ma mi permetto di consigliare agli autorevoli giudici, sempre che abbiano seguito il mio consiglio e siano in piacevole compagnia, “i tortellini”, niente di più coinvolgente, di più afrodisiaco dei veri autentici, inarrivabili, sublimi “tortellini”, quelli dei quali la leggenda fa risalire il merito dell’invenzione proprio ad Afrodite, la dea dell’amore, della quale ricorderebbero l’ombelico, una delle più straordinarie invenzioni gastronomiche nella storia dell’umanità (forse sto esagerando, ma quando penso ai tortellini…). Purtroppo oggi nei ristoranti italiani è sempre più difficile trovarli al meglio; gli indirizzi dei locali dove si cucinano dei tortellini “assoluti” vengono scambiati tra gli appassionati con lo
stesso mistero di un bookmaker che confida il nome del cavallo che vincerà il Gran Premio. Uno di questi, certo ai primissimi posti, è quello della Grotta di Mongardino dove “le sfogline” agli ordini di donna Bruna continuano a fare i tortellini come li facevano le nonne e le nonne delle nonne. “Tortellini”, dunque, e naturalmente in brodo di gallina o, meglio ancora, nel brodo regale degli inarrivabili capponi della tenuta di famiglia, dove crescono liberi e felici di essere sacrificati alla gioia di pochi eletti. Li prepara una contadina bravissima a “capponare” i galli, per la qual operazione occorre un’abilità particolare. Ci ha provato a suo tempo anche la Bruna ma il marito l’ha pregata di lasciar perdere perché gli faceva senso.
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Per il vino da abbinare a questa preziosa creazione non è necessario ricorrere a marche prestigiose; c’è il Barbera vivace della tenuta di famiglia, “Il Poggiolo”; è un vino ruspante, non ha quarti di nobiltà, non è citato nelle guide, non si trova nelle enoteche raffinate, ma ha il profumo della giovinezza e dell’amore. La cena potrebbe continuare con le “salsicce di maiale spianate” o il “galletto al sale grosso e rosmarino” o “l’agnello di razza appenninica” cotti nel camino a legna; la mia predilezione si indirizza però verso il “gran fritto misto dolce e salato” un altro tradizionale piatto della cucina petroniana il cui segreto fa parte dell’eredità assicurata ad Andrea da nonna Ada.
Prima di concludere la cena ci può stare un assaggio di formaggi delle colline circostanti con le marmellate che la Bruna realizza con la frutta del “Poggiolo”. Al momento del dessert Maria Cristina, attenta e premurosa, presenterà altre pregevoli creazioni: dalla “torta di riso” al “gelato di crema in guazzetto di ciliegie o di cachi”, ma se fossi in compagnia, non rinuncerei per nessuna ragione al mondo a un’altra invenzione di Andrea che ritorna dal passato: l’antico “fritto di fiori d’acacia, di sambuco e di rosa canina”, un leggero e soffice omaggio agli innamorati.
Se il nostro critico, sempre che sia in piacevole compagnia, dopo una cena come quella descritta, decide di non affrontare il viaggio di ritorno, suggeriamo di farsi riservare una camera a “Le Mingarine”, un delizioso Bed&Breakfast a pochi metri da “La Grotta” voluto qualche tempo fa da una simpatica coppia, Maria e Maurizio Garagnani, i quali, dopo un’esperienza commerciale che li ha tenuti per molti anni lontani dall’Italia, hanno scelto di ritirarsi nella terra della loro infanzia. Hanno acquistato una bellissima villa di fine Ottocento con un’elegante balaustra che dà su vigneti, boschi e uliveti e
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l’hanno trasformata nel più simpatico rifugio per viandanti in cerca di un sereno riposo nella quiete; sono quattro camere, arredate con semplice eleganza, che prendono il nome dal colore delle stoffe, dei tappeti e dei bagni: gialla, verde, turchese e blu. Sul grande terrazzo c’è anche il solarium e nella cantina la possibilità di degustare i migliori oli e vini dei Colli. Dopo la cena dalla Bruna vi si arriva percorrendo il bel viale fiancheggiato da cedri e tassi secolari e si verrà accolti come vecchi amici con il calore autentico degli emiliani. Maurizio avrà provveduto a far trovare nella camera prescelta un grande vino da meditazione: l’Albana di Romagna passito della tenuta Uccellina di Bertinoro, poesia liquida. Se dopo una cena come quella descritta e, magari, una notte alle Mingarine, il nostro critico non sentirà il dovere di attribuire alla Grotta di donna Bruna, non dico soli o stelle ma qualche gamberetto, qualche forchetta, qualche cappello, qualche centesimo in più, sarà bene che si faccia visitare da un buon psicologo perché certo è afflitto da problemi esistenziali di notevole gravità.
Per quanto ci riguarda, noi di “Gustare l’Italia” non abbiamo problemi nell’assicurargli la nostra più luminosa e sorridente “luna piena”.
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della Redazione
“Spazio Abbadesse”, tradizione e modernità che comprendevano le antiche “Cascine delle Badesse” salvato dal degrado che ha interessato gran parte delle costruzioni rurali milanesi. Il recupero di questo luogo legato alla storia e alla tradizione meneghina è dovuto all’“Immobiliare Abbadesse” dell’Ing. Antonio Savia che ne ha fatto un luogo dove, conservandone le linee e il fascino originale, convivono un residence con appartamenti di lusso completamente arredati e dotati di ogni confort, sale
Locali storici
Martedì 12 giugno Milano si arricchirà di un nuovo ed elegantissimo “Coffee & Brunch” in via Oldofredi 19 nelle vicinanze della nuova sede della regione Lombardia e a fianco ella sede di Uniocamere. Il taglio del nastro per l’inaugurazione avverrà alle ore 20 alla presenza di Autorità e personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e della cultura. L’“Abbadesse Coffee & Brunch” è una nuova perla del complesso circondato dalle mura
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L’Ing. Antonio Savia
© Maurizio Casati (2)
adibite a uffici e altri ambienti che si prestano alle più diverse esigenze di rappresentanza, in un’ottica sia aziendale, sia artistica e culturale adatte a soddisfare qualsiasi esigenza istituzionale o aziendale, la vetrina ideale per chi vuole farsi conoscere a Milano. La vicinanza con la nuova sede amministrativa regionale, infatti, non è soltanto fisica; nel contesto del rinnovato quartiere dell’Isola, che si propone come centro decisionale, anche questo spazio condivide la filosofia del recupero della tradizione arricchita da tutti i vantaggi della modernità. È per questo motivo che, in una cornice di architettura medievale, è dotato di tutto quanto è reso possibile dalle nuove tecnologie: videoconferenze con traduzione simultanea
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della cucina con momenti spettacolari di grande livello. Artisti internazionali fra i più celebri sono già stati contattati per dare vita a questa iniziativa preziosa per Milano che presto riceverà da tutto il mondo gli ospiti dell’Expo 2015.
© Maurizio Casati (2)
degli interventi, impianti audio-video d’avanguardia, possibilità di avere una regia mobile per filmare i momenti più significativi, un servizio marketing e un ufficio stampa che possono affiancare quelli dei clienti o promuoverne direttamente le iniziative. Da martedì 12 giugno si inaugurerà il “Coffee & Brunch” in attesa di realizzare il sogno dell’ing. Savia, quello di regalare ai milanesi un locale che farà concorrenza a “Les Folies Bergeres” e al “Moulin Rouge”. Tutto è pronto per questo evento: un grande “open space”, un locale unico nel suo genere che offrirà la formula “Cena & Spettacolo”, coniugando la migliore espressione
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L’amore per la qualità Il rispetto per la tradizione Benagiano Pastificio srl Corso Italia 138-140/b - 70029 Santeramo in Colle (Ba) Tel. 080-3036036 - E-mail: benagiano@benagiano.it - Website: www.benagiano.it
© Associazione Nazionale Città della Chianina
di Paolo Bonagura
Le città di Res Tipica
Alla scoperta di “Città della Chianina”
La razza chianina è per storia, bellezza, fascino una delle razze bovine più apprezzate al mondo, testimoniato anche dall’esportazione che ha avuto nel tempo. Conosciuta da 2000 anni, citata dagli autori latini, “Bos magnus et albus”, la chianina era utilizzata da Etruschi e Romani come razza da lavoro e, per il suo candido mantello, nei cortei trionfali e nei sacrifici alle divinità. Ma nell’antichità non avevano compreso il vero valore della chianina, oggi nota a livello internazionale per uno dei prodotti più apprezzati dai turisti stranieri, la “bistecca alla fiorentina”. E’ proprio per difendere la genuinità degli allevamenti chianini e per diffondere la bellezza dei paesaggi che, nel 2005, 34 Comuni dell’Italia “di mezzo” (dalla zona del livornese pas-
sando per gran parte della Toscana e dell’Umbria fino alla Tuscia) si son dati la mano per costituire l’associazione nazionale “Città della Chianina”. La realtà di questa zootecnia di qualità ha segnato i territori. Ogni anno a fine settembre si svolge a Ponte Presale di Sestino la “Mostra Nazionale degli allevamenti bovini di razza Chianina allo stato semibrado e stabulazione libera iscritti al L.G. nazionale”, con vendite all’asta di capi provenienti dalle Regioni che oggi hanno investito in questa “razza regina” Il “Centro fiere, servizi e selezione manze”, sorto appositamente per una moderna organizzazione agli appuntamenti zootecnici, è una punta avanzata della ricerca e del miglioramento genetico e vi arrivano i migliori soggetti
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L’educazione ad una “tavola consapevole” si basa non solo su ricette classiche ma soprattutto sulla gastronomia della tradizione locale. Una attrattiva che sposta i palati raffinati anche da località lontane e che sintetizza nel motto “Mordi, gusta e resta” un atteggiamento culturale volto a reclamare qualità, trasparenza e correttezza degli allevamenti e dei territori chianini.
© Associazione Nazionale Città della Chianina
scelti dai tecnici dell’ANABIC (Associazione Nazionale Allevatori Bovini Italiani Carne, che ha appena compiuto 50 anni) e dall’associazione allevatori nelle stalle di Toscana, Umbria, Lazio, per essere messi in selezione, avviati al pascolo ed essere battuti all’asta, alla quale concorrono grandi e piccoli allevatori desiderosi di migliorare i loro allevamenti con capi chianini certificati. Nel periodo della Mostra nazionale gli organizzatori confortano l’evento collettivo con il percorso , un calendario di cene a tema che si sviluppa nei ristoranti del territorio e richiama palati raffinati. “Città della Chianina” ha - tra gli obiettivi quello di far conoscere e “gustare” “i paesi delle mucche felici”. Nel corso del 2011 è stato lanciato, unitamente agli appassionati “costruttori” de “Le strade della Chianina”, anche il concorso gastronomico “Oscar della chianina”, dodici cene/confronto tra piatti di chianina e di altre razze bovine, accompagnati da olio nuovo e magnatum pico. Le cene vogliono diffondere fra i consumatori il valore del vitellone bianco dell’Appennino centrale confrontato con altre carni, e difendere il patrimonio zootecnico locale.
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C’è l’arte di Piero, la patria di Michelangelo, il matematico Pacioli e… il “dio Tevere”: ma la terra dei geni oggi è anche la culla che genera l’eccellenza della gastronomia: la razza Chianina. Questi accostamenti arditi traducono l’impresa di costruire, anche in queste terre tra valli e montagna appenninica, l’incantamento per un territorio dove l’uomo e la natura hanno combinato connubi prestigiosi. La moderna razza chianina è stata selezionata altrove, da progenitori conosciuti da Etruschi e da Umbri, ma ai giorni nostri ha trovato la sua espansione e nuova patria - tra le varie terre d’altura nella Valtiberina toscana. Oggi qui si alleva circa il 60% della produzione della Provincia di Arezzo, con 130 aziende e 5.000 capi in selezione. L’attività zootecnica interessa una superficie territoriale che supera i 70.000 ettari. E’ una storia recente, fiorita negli ultimi quarant’anni, quando la crisi della montagna e della agricoltura tradizionale generò una nuova classe di operatori in zootecnia: gente che accettava la sfida del moderno, che voleva inglobarsi tra le élite del prodotto eccellente, che sfidava la voglia di emigrare per restare e farsi imprenditori della propria terra. A godere i benefici di questa nuova “stagione dei campi” sono stati soprattutto i Comuni montani, come Sestino, Badia Tedalda, Pieve S.Stefano. Ma oggi si sono riaperte stalle anche in pianura e la Chianina, che raccoglie attorno a sé
le generazioni giovani di allevatori, interessa tutti i Comuni, in forma individuale o associata come a Montemercole, nel Comune di Anghiari. Ed è significativo di una situazione il fatto che l’idea di costituire l’associazione nazionale delle “Città della Chianina” sia germinata qui e che la Comunità Montana della Valtiberina Toscana sia stata un socio sollecito a sostenere la proposta.
© Associazione Nazionale Città della Chianina
di Giancarlo Renzi - Presidente Associazione Nazionale Città della Chianina
La Valtiberina toscana
Questa presenza, che tappezza di “lenzuoli bianchi” le colline e i prati naturali quando le Chianine escono dalle stalle e iniziano la stagione allo stato brado, cesella e mantiene protetti un territorio, un ambiente e un paesaggio, che costituiscono l’arca dentro la quale trovano soddisfazione il turista furetto e l’amante di una “Piccola Grande Italia”, scrigno di multiversi patrimoni culturali.
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L’Associazione Res Tipica è stata creata dall’ANCI nel 2003 per promuovere in Italia e nel mondo le identità territoriali e ad oggi riunisce 27 Associazioni di Identità, 1.842 Comuni, 4 Unioni di Comuni, 40 Province, 2 Regioni, 51 Comunità Montane, 8 Enti Parco, 8 Strade del Vino, 11 Camere di Commercio, per un totale di quasi 2000 Enti locali.
ASSOCIAZIONE ITALIANA PAESI DIPINTI
Il network, rivolto principalmente ai Comuni di piccole e medie dimensioni, intende preservare e favorire l’immenso patrimonio che incorpora i saperi delle comunità, le caratteristiche dell’ambiente e le produzioni tipiche, trasformando questo grande capitale culturale e sociale in qualità della vita e in occasioni di sviluppo sociale ed economico rispettoso dei valori e della cultura locale.
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Come si comportano gli italiani a tavola? Mangiano più formaggi freschi o stagionati? Più pane o pasta? Il pranzo è ancora il pasto più “importante” oppure è stato sostituito dalla cena? È possibile trovare una risposta a queste e molte altre domande in una monografia stilata dall’INRAN, l’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione. Leggendola, si scoprono molte interessanti novità. Vediamone alcune, con i relativi com-
menti di Raffaela Piccinelli, nutrizionista dell’INRAN, e Laura D’Addezio, statistica dell’INRAN, che hanno collaborato a questa indagine e scritto la monografia.
Latte e mozzarella: i più gettonati Per quanto riguarda il latte, il consumo medio giornaliero è risultato pari a 116 grammi, quello di yogurt alla frutta (il più consumato) 10 gr., seguito dallo yogurt bianco (7 gr.) e dallo yogurt di altri tipi (2,5 gr.).
Consumi & tradizioni
in collaborazione con Assolatte
Come sono cambiati gli italiani a tavola
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© Assolatte (2)
Riguardo ai formaggi, il primo posto è occupato dalla mozzarella vaccina (23 gr.) seguita dal parmigiano (7 gr.), dalla mozzarella di bufala (4 gr.), dalle caciotte (3 gr.) e poi via via dagli altri. • Commento: “Gli alimenti appartenenti al gruppo “Latte e derivati” sono stati consumati dalla qua-si totalità del campione (99%). Considerando il consumo di alcuni di questi alimenti per classi di età possiamo notare che nei bambini fino ai 9 anni il consumo di “latte” è superiore ai 250 g in media al giorno, ma questo consumo diminuisce a partire dall’adolescenza e che gli adulti e gli anziani hanno un maggior consumo di “yogurt e latti fermentati”. Per quanto riguarda i “formaggi” sono gli adolescenti e gli adulti a consumarne di più (più di 60 gr. in media al giorno).”
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bientale in termini di emissioni di gas ad effetto serra e di consumo di risorse idriche, sarebbe bene quindi cominciare a sostituire la carne rossa con quella bianca e con i legumi”.
Pesce e legumi
Carne: più rossa che bianca Uno dei dati più significativi, sui quali gli stessi ricercatori si sono soffermati, riguarda il consumo di carne rossa, pari a circa 700 grammi (peso a crudo) alla settimana. In particolare, la carne di bovino è ancora saldamente in testa (43 g/die). Quella bianca di pollame è al secondo posto ma ben distanziata, visto che la quantità media giornaliera è pari a circa la metà. • Commento: «Un po’ preoccupante è la preferenza verso la carne rossa (manzo, vitello, suino, ovino e di cavallo, incluse le carni trasformate, quali insaccati, affettati, ecc.) che viene consumata in quantità ancora eccessive rispetto a quelle consigliate da World Cancer Research Fund e American Institute for Cancer Research, per la prevenzione di alcuni tumori (non più di 400-450 gr. di carne rossa alla settimana). È importante ricordare inoltre che il consumo di carne bovina è quello con il maggior impatto am-
Nei tre giorni di indagine, circa i 2/3 del campione ha consumato pesce (in media 45 gr. al giorno) con il merluzzo in testa, seguito dal tonno in scatola a pari merito con i crostacei. Riguardo ai legumi, invece, poco più di una persona su tre ne ha consumati: 11 grammi al giorno è il consumo medio giornaliero riferito al totale del campione, con i piselli al primo posto, seguiti dai fagioli. • Commento: «Per comodità molti consumatori scelgono di consumare pesce sotto forma di merluzzo (bastoncini o filetti congelati) o di tonno in scatola. Per questo gruppo alimentare così come per gli altri sarebbe bene variare la scelta e in particolare stimolare il consumo di piccoli pesci azzurri (alici, sardine, etc) che sono un’ottima
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fonte di acidi grassi polinsaturi, sono generalmente meno contaminati dei grandi pesci carnivori e il cui consumo ha un minor impatto ambientale. Invece i legumi, pur rappresentando una valida alternativa alla carne, soprattutto se mangiati insieme ai cereali, ed essendo un alimento base della dieta mediterranea, vengono consumati da pochi e in quantità ben al di sotto di quelle consigliate. Non facciamoli sparire dalle nostre tavole”.
Più pane che pasta Fra i cereali e derivati, il pane di frumento resta ancora sovrano incontrastato (94 gr/die), al secondo posto la pasta di semola (50 gr/die), mentre il consumo di riso è di circa 16 grammi. Fra i biscotti, al primo posto si trovano quelli secchi, i più semplici, seguiti dai cornetti e dai frollini. Meno graditi i prodotti integrali: fra biscotti e pane si superano appena i 4 grammi al giorno. • Commento: “Ogni giorno dovremmo mangiare anche pane, pasta o altri prodotti a base
di cereali, meglio se integrali, ricordando anche in questo caso di non aggiungere troppi condimenti” recitano le Linea Guida per una Sana Alimentazione Italiana, ed effettivamente nel nostro studio è emerso che il consumo di pane e pasta costituisce oltre la metà dei “cereali” consumati dall’intero campione. Anche se il modello di consumo alimentare nella popolazione italiana sta cambiando, questo risultato conferma in larga parte ancora l’aderenza al modello alimentare mediterraneo con i cereali come alimenti base, l’olio di oliva come condimento e il vino come bevanda alcolica”.
Mele, pomodori & lattuga Riguardo alla frutta e alla verdura, il consumo è risultato pari a 418 grammi al giorno. Per la frutta, il primo posto va alla mela (59 grammi), fra la verdura la lattuga (17 grammi). è la prima, dopo i pomodori, molto utilizzati oltre che a crudo come conserva.
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• Commento: “Nel loro insieme i consumi medi giornalieri del campione totale di frutta e ver-dura risultano, anche se di poco, al di sopra del minimo raccomandato dall’OMS, che indica come obiettivo minimo il consumo di circa 400 gr. al giorno tra frutta e verdura. Ma non è così per tutte le fasce di età: la frutta e verdura sono promosse dagli anziani e bocciate dai giovani. Grazie agli anziani, che fedeli alla nostra tradizione mediterranea, ne mangiano di più (circa 500 gr. al giorno: 260 gr. di frutta e 240 gr. di verdura), i consumi medi della popolazione risultano ancora in linea con le raccomandazioni internazionali”.
Cosa beviamo a tavola? A parte l’acqua (minerale 452 g/die + 196 di rubinetto), è il caffè la nostra bevanda preferita (81 gr/die) seguito, seppure a distanza, dal te (27 gr/die) a pari merito con i succhi di frutta e quindi dalle bevande a base di cola (19 gr/die). Per quanto riguarda le bevande alcoliche, il pre-
ferito è il vino rosso (50 gr/die) seguito dalla birra (25 gr/die) e dal vino bianco (14 gr/die). • Commento: “È utile richiamare l’attenzione sull’acqua: gli italiani, pur avendo a diposizione per dissetarsi un’alternativa poco costosa ed a basso impatto ambientale come l’acqua di rubinetto, continuano ad essere i primi consumatori in Europa di acque minerali”.
Dieta “fai da te” per il 30% Il 16% del campione ha seguito una die-ta nell’arco dell’anno precedente l’indagine, più le femmine che i maschi. Per quanto tempo? Il 20% per 1-3 settimane, il 34% per 1-4 mesi, il 42% per più di 4 mesi. Il motivo? Circa 2 su 3 per perdere peso. Nel 30% dei casi la dieta è stata fai da te, e questa percentuale sale al 64% fra gli adolescenti. Infine, qual è il rapporto degli italiani con gli integratori? Un’abitudine poco diffusa: l’82% degli italiani, infatti, non ne assume.
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• Commento: “Ad una analisi più attenta è emerso che coloro che hanno scelto una dieta “fai da te” sono in maggioranza persone normo-peso, mentre chi risulta obeso si rivolge per lo più al medico generico oppure allo specialista. Se è positivo che coloro che si trovano in una situazione di sovrappeso o obesità affrontino il problema rivolgendosi al proprio medico o ad uno specialista, ci deve far riflettere il fatto che le persone normo-peso optino spesso per una dieta “fai da te” perché potrebbero correre inutilmente dei rischi”.
le alimentare, mentre solo l’1% si dichiara vegetariano, vegetaliano, vegano. E il cibo etnico? Quasi la metà degli italiani non ne vuole sapere e solo l’8% degli intervistati ha espresso apprezzamento nei confronti dei cibi “non mediterranei”. • Commento: “Una delle regole fondamentali per una sana alimentazione è quella di fare sempre una prima colazione ed è importante che questa fornisca un adeguato apporto calorico per iniziare nel migliore dei modi la giornata. È interessante notare che anche se il 98% del nostro campione ha fatto questo pasto, l’apporto calorico che ne deriva è sottodimensionato (11% delle calorie giornaliere contro il 20% consigliato). A questo si associa un eccessivo apporto calorico dalla cena (38% delle calorie totali contro il 30% consigliato). I pasti però vengono quasi sempre consumati davanti alla televisione accesa. Gli italiani intervistati ritengono dunque di mantenere uno stile alimentare tradizionale e mediterraneo. Alcuni indicatori ci fanno, però, pensare che la realtà sia un po’ diversa da quella desiderata e che, in media, ci stiamo allontanando da questo modello”.
A tavola vince la tradizione Dal punto di vista calorico, il pranzo resta il pasto più ricco della giornata (circa il 43% delle calorie), contro il 38% della cena, l’11% della colazione, l’8% degli spuntini, ed è ancora la propria casa il luogo abituale in cui si mangia. La cucina tradizionale risulta ancora quella preferita dal 70% dei rispondenti, e quasi uguale è la percentuale di coloro che considerano i pasti come un modo per stare in famiglia. Ancora, oltre il 90% definisce ”mediterraneo e tradizionale” il proprio sti-
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Silenzioso protagonista dell’evoluzione storico-culturale della civiltà gastronomica. Testimone eloquente di grandi avvenimenti, di illustri personaggi e delle occasioni conviviali che caratterizzano la vita politica di uno Stato. E’ il menù: documento indispensabile per conoscere i gusti di un’epoca, seguirne l’evoluzione attraverso le differenze nella preparazione delle vivande e comporre quel vastissimo mosaico di usi, costumi e tradizioni propri di una Nazione. Partendo da questa angolazione, del tutto nuova, l’Accademia Italiana della Cucina - Istituzione Culturale della Repubblica Italiana - ha voluto contribuire all’anniversario dell’Unità
d’Italia con il libro “I menu del Quirinale”: 150 anni di storia italiana raccontati attraverso l’inedita collezione dei menu dei 4 re d’Italia e degli 11 Presidenti della Repubblica. Da Vittorio Emanuele III a Giorgio Napolitano, il momento conviviale diventa espressione dell’identità culturale del Paese, vero e proprio filo conduttore dei valori culturali e gastronomici della nostra storia. La raccolta di menù, che costituisce l’opera, proviene dalla collezione dell’Accademico Maurizio Campiverdi ed è integrata da alcuni menu messi a disposizione dagli Accademici Franco Chiarini, Giovanni Chiriotti, Domenico Musci e dall’Archivio Storico del Quirinale.
© Quirinale
in collaborazione con Accademia Italiana della Cucina
Tavole nascoste
La storia d’Italia è servita “À la carte”
Una suggestiva immagine del Salone delle Feste del palazzo del Quirinale
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© Quirinale
Il Re d’Italia Vittorio Emanuele III e Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Il cerimoniale dei pranzi di Stato Il pranzo tra Capi di Stato al Quirinale costituisce - al pari della cerimonia militare all’Altare della Patria - il momento più solenne di ogni visita ufficiale. Si tratta di un evento curato nel minimo dettaglio, a partire dall’abbigliamento tramandato dalla consuetudine del cerimoniale: cravatta nera per gli uomini, con decorazioni a rosetta, e abito lungo per le signore, con decorazione a fiocco. Ogni visita che si rispetti prevede che prima di sedersi a tavola, i due Capi di Stato si incontrino - alla presenza di pochi intimi - nella Sala del Brustolon per scambiarsi i doni e le onorificenze. Seguono poi le presentazioni ufficiali nella Sala dei Corazzieri, dove tutti gli invitati a tavola - annunciati dal Capo del Servizio del Cerimoniale di Palazzo - sfilano di fronte ai due Capi di Stato e alle loro consorti Il vero e proprio banchetto ha invece luogo nel Salone delle Feste, dove gli ospiti prendono posto a tavola rispettando l’ordine di posto già assegnato.
L’inizio di ogni pranzo viene poi sancito dai brindisi dei due Capi di Stato che vengono distribuiti in traduzione scritta a tutti i commensali. Al termine del convivio, con le rispettive consorti, seguiti dagli invitati, i due Capi di Stato ritornano nel Salone dei Corazzieri, dove vengono serviti caffè e liquori e dove avviene il congedo. In occasione dei pranzi di Stato, il numero dei convitati può raggiungere e talvolta superare il centinaio, dato che comporta una attenzione particolare alle temperature dei cibi. La scelta del menu deve assecondare il più possibile i gusti degli ospiti e soprattutto considerare le possibili esigenze dietetiche. Bisogna tener conto inoltre delle prescrizioni religiose (si pensi ai ci-
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bi kosher per gli israeliani o alla assoluta assenza di alcolici sulle mense per i più intransigenti musulmani) e delle richieste di vegetariani, celiaci.
I servizi di cucina e di sala
La “Cucina Grande” del Quirinale è stata completamente restaurata agli inizi degli anni Novanta nel rispetto dei canoni di funzionalità richiesti da una cucina moderna. L’intero ambiente è stato suddiviso in aree, ognuna delle quali riservata alle varie fasi che compongono il processo lavorativo. Dal locale destinato al ricevimento e al controllo delle merci si passa all’area riservata alla lavorazione e alla preparazione delle materie prime, fornita di abbattitori di temperatura per garantire la corretta predisposizione della catena del freddo per la conservazione degli alimenti. Separata, per esigenze termiche, troviamo la zona destinata alle preparazioni di pasticceria e gelateria, attrezzata con planetaria, pastorizzatore, mantecatore, temperatore, conservatore in negativo, forni. Degno di nota, all’interno della cucina, è l’imponente girarrosto in ghisa, risalente probabilmente alla fine dell’Ottocento o ai primissimi anni del Novecento, restaurato e lasciato nella sua collocazione originaria a memoria di
un passato professionale che, anche senza la tecnologia attuale, è stato vissuto con la stessa passione di oggi dai colleghi predecessori. L’“arte della cucina” trova poi il suo coronamento nell’unione con la passione e la competenza dimostrate dal personale destinato al servizio di sala. Nulla deve essere lasciato al caso: dal posizionamento della tavola alla perfezione della tovaglia, dal controllo accurato delle stoviglie, alla scelta degli elementi decorativi appropriati. Grande attenzione viene prestata al protocollo già nella fase preparatoria. I camerieri provano la sfilata per l’ingresso e il servizio degli ospiti - nel Salone delle Feste vengono ospitate in genere 120 persone e le portate del pranzo sono tre - che dovrà avvenire contemporaneamente e in maniera piuttosto veloce (circa 45 minuti) per lasciare agli invitati la possibilità di intrattenersi tra loro. Infine una curiosità sugli addobbi. I fiori che abbelliscono la Sala provengono dai mercati specializzati, dalle serre del Quirinale o, stagione permettendo, dalla tenuta di Castelporziano. Non devono essere eccessivamente profumati per non interferire con gli aromi delle vivande. Si preferiscono i colori rosa, rosso o arancione che meglio s’intonano all’arredo della sala. Gli addobbi floreali vengono sistemati ai piedi dei candelabri di bronzo dorato che ornano la tavola ed accesi dieci minuti prima del pranzo.
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della Redazione
Finger food - Viviana Lapertosa Bocconcini e monoporzioni da prendere con le mani, realizzati con vere e proprie ricette ispirate alla tradizione familiare o regionale italiana o ispirati ai piatti di famosi ristoranti. Al pari dei piatti, ecco allora che diventano protagonisti bicchierini, cucchiaini, forchettine, stoviglie di design e contenitori naturali. Un modo diverso per stuzzicare il palato moderno ed esigente che che cerca uno sfizio ma vuole anche sostanza. Edizione: Vallardi - Pagine: 256 - Prezzo: € 16,00
E’ pronto in tavola - Vito Tutti conoscono il Vito comico. Non tutti invece sanno della sua “carriera” ai fornelli: appassionato cuoco, gourmet e conduttore di fortunate trasmissioni televisive in cui si è cimentato cucinando in diretta. Per questa raccolta, l’attore bolognese ha messo nelle nostre mani più di cento ricette del suo segretissimo repertorio che prendono spun-
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ti da diverse tradizioni gastronomiche, in primis quella italiana ed emiliana, con variazioni suggerite dall’esperienza e dal gusto personali. Il tutto corredato da preziosi consigli che facilitano le preparazioni. E, a conclusione, ha voluto svelare le ricette tradizionali della sua famiglia (il padre, ad esempio, è da sempre cuoco volontario alle feste dell’Unità), con cui condivide la grande passione per la cucina. Edizione: Pendragon - Pagine: 164 - Prezzo: € 15,00
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Spaghetti,Wilma,insalatina e una tazzina di caffè - Wilma De Angelis I budini di Platinette, la peperonata di Rossana Casale, gli gnocchetti di Francesco Renga, gli involtini di Carla Fracci e persino un’insospettabile pasta e fagioli di Irene Grandi. Sono solo alcune delle ricette delle star a tavola raccontate da Lucio Nocentini. Era il 1978 quando Wilma debuttò ai fornelli televisivi in Telemenù: in tanti anni di spettacolo e di cucina ha avuto in regalo da cantanti, attori, ballerini, amici non famosi, centinaia di ricette che ora mette a disposizione del pubblico con una formula originale. Con Wilma il cibo e l’arte di mettere in tavola torna ad avere il sapore (e il sapere) dell’antica tradizionale orale, dove la ricetta anche del più classica carbonara può essere modificata con un piccolo trucco personale che la rende unica. Edizione: Mursia - Pagine: 304 - Prezzo: € 16,00
Low cost in cucina - Sara Covatti Non sapete come riciclare gli avanzi del pranzo luculliano per una festività o di una serata tra amici?e oggi avete la tentazione di gettare nel cassonetto le pietanze cucinate con tanta cura? Questo ricettario è la risposta a ogni vostro problema di avanzi: d’ora in poi, niente andrà buttato. Carne, pesce, verdure, latticini… tutto può essere trasformato in un nuovo piatto, ancora più gustoso dell’originale! Edizione: Aliberti - Pagine: 240 - Prezzo: € 14,90
Frutta e verdura nell’orto di casa - Jan Cooke Avete deciso di coltivare frutta e verdura, ma vi serve qualche consiglio? Non siete ancora convinti perché non sapete cosa aspettarvi? La risposta a tutti i vostri dubbi è questo libro: sarà per voi una guida utile e ricca di suggerimenti per dedicarvi con successo all’orticoltura. I primi tre capitoli del libro propongono una panoramica generale sull’organizzazione del lavoro, i tipi di suolo e i fertilizzanti, i metodi di coltivazione, i parassiti e le malattie. I successivi tre presentano in dettaglio frutta e verdura e i modi di impiego della serra. Se siete impazienti di cominciare, passate a pag. 10: la Guida rapida è quel che fa al caso vostro. Edizione: Il Castello - Pagine: 128 - Prezzo: € 12,00
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della Redazione
Acquisti solidali per il Parmigiano “terremotato” L’attivazione della mail, dimostrazione della volontà di ricominciare delle imprese colpite da sisma, è stata sollecitata dalle richieste dei cittadini che hanno intasato i centralini e la posta elettronica di Coldiretti in una sorta di gara di solidarietà. Coldiretti e i produttori coinvolti, pur nelle grandi difficoltà organizzative causate dal sisma, puntano ad estendere la vendita anche ad altre città, attraverso i negozi, le botteghe e i mercati di Campagna Amica. Per avviare l’iniziativa nel modo migliore occorre evitare le speculazioni sempre in agguato e dare ai consumatori le necessarie garanzie sulla qualità. Sono perciò in corso le opportune verifiche sul prodotto che può essere commercializzato, sulle modalità di acquisto e sui punti di vendita. Non appena Coldiretti sarà in grado di fornire informazioni in merito, lo farà con comunicati stampa ai media e sul sito www.coldiretti.it e alle stesse mail ricevute dai cittadini.
© Consorzio del Parmigiano Reggiano
Ultim’ora
Una mail per far ripartire l’economia e l’occupazione nelle zone colpite dal terremoto con l’agroalimentare che è il motore e il simbolo di questi territori. Per far fronte alle migliaia di richieste di chi vuole esprimere solidarietà acquistando Parmigiano Reggiano “terremotato” e gli altri prodotti agroalimentari tipici dei territori colpiti dal sisma, Coldiretti ha attivato la e-mail terremoto@ coldiretti.it a cui ci si può rivolgere per inviare richieste, specificando nome, indirizzo, telefono, prodotto e quantitativo cui si è interessati. Compatibilmente con la situazione di difficoltà che stanno vivendo i produttori verranno date - sottolinea Coldiretti - tutte le necessarie informazioni per contribuire concretamene a risollevare un comparto, come quello agroalimentare, che ha subito danni per 250 milioni di euro con crolli e lesioni ai magazzini di stagionatura, gli edifici rurali (case, stalle, fienili e serre), danni ai macchinari e perdita degli animali sotto le macerie.
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