di
cultura
enogastronomica
e
turismo
Anno
3
-
Numero
19
-
Marzo
2012
Copia di cortesia
Poste Italiane S.p.a. Spedizione in abbonamento postale -70% DCB Milano
Periodico
Con il patrocinio di
Speciale Vinitaly
Presenti a “Vinitaly 2012” Padiglione 10 - Stand D5
“Chi no ghe piaxe el vin, che Dio ghe toga l’aqua” (A chi non piace il vino, Dio gli tolga l’acqua): così recitava l’antico saggio detto dei veneti, forse esagerando un po’ nella punizione da dare a chi in fondo se la dà già da sé privandosi dell’elisir che “esalta la gioia di vivere, dispone all’ottimismo, dà acutezza e agilità all’ingegno, ali all’ispirazione” (come scriveva Ortensio Lando, un bizzarro scrittore del ‘500). In milioni di pagine sono state descritte ed esaltate nei secoli le qualità del vino, il suo prezioso aiuto per il progresso e la salute dell’umanità; i più grandi poeti, scienziati, filosofi hanno celebrato le lodi del vino: da Platone (“Dioniso con il vino ha regalato allegrezza e amore”) a Tucidide (“I popoli del Mediterraneo emersero dalla barbarie quando impararono a coltivare la vite e l’ulivo”), fino a Leonardo (“Et però credo che molta felicità sia agli uomini che nascono dove si trovano i vini buoni”). Galeno e Oribasio “Il vino giova ai nervi, risana gli occhi, dona appetito agli svogliati, allegrezza ai contristati, scaccia il freddo dai corpi, concilia il sonno, mitiga l’acerba natura dei rabbiosi vecchi” e ricordavano che, come testimonia Plutarco “…a Sparta si lavavano i fanciulli col vino per farli vigorosi, pieni di spirito, sani e con la pelle più soda” E così concludevano: “…non merita dunque il vino somme lodi, facendo gli uomini d’aspri e difficili, piacevoli e affabili? dei mutoli fecondi? dei timidi, securi e franchi?”
Dal 25 al 27 marzo avrà luogo a Verona la 46° edizione del Vinitaly, la più importante rassegna mondiale dei vini più preziosi alla quale nessuno vorrà certo mancare; ma se fra le persone che amate c’è un astemio, vi prego, portatelo con voi, regalategli il viaggio e il soggiorno nella città di Giulietta e forse potrete compiere il miracolo. Con dolcezza, con amore, con tenerezza cercate di farlo ravvedere, fategli comprendere l’abisso di grigiore nel quale vive, ricordategli, con Eschilo, che “dove non è vino non è amore né alcun altro diletto” e che “il vino è un composto di amore e di luce” come scrisse Galileo Galilei. Se gli volete bene, se vi vuol bene, ne uscirete vittoriosi; il vostro amore acquisterà forza e calore e ricorderete le notti del Vinitaly fra le più esaltanti della vostra vita perché, come assicurava Ovidio, un altro grande poeta amante del vino, “la notte amore e vino non chiedono nessuna moderazione. È priva di pudore la notte: Bacco e Amore non conoscono la paura”. Cin cin, prosit, salute.
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Gustare l’Italia
La redazione
Editoriale
Eppure, nonostante queste e numerevoli altre testimonianze, c’è ancora qualcuno che non ama il vino, lo rifiuta e pratica la sobrietà, il peccato che scriveva, ancora Ortensio Lando, “…fa gli uomini malinconici, intronati et pusillanimi”. Appartengono alla triste schiera degli astemi, coloro che si ostinano a prendere le distanze da noi saggi bevitori che, quando fra cent’anni, lasceremo questa valle di lacrime, ci ritroveremo a brindare in Paradiso dove - come assicurò Gesù - “si beve il succo della vite”.
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Vino e tecnologia Nomarcorc®, quando il tappo è tutto
Sommario marzo 2012
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La manifestazione Vinitaly 2012
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Oltre il Vinitaly Verona: vino & amore
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Oltre il Vinitaly/2 Verona degli innamorati
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Vino: luci e amore
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La stagione del vino Che vendemmia è stata?
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L’intervista Difendiamo l’agricoltura del Sud
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Vino 2.0 Con Winecode® il vino non ha segreti
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Un territorio, un vino Pignoletto dei Colli Bolognesi DOC
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Fuori dal coro Il “talebano” del Pignoletto
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Associazioni Le donne del vino
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Il personaggio Vincenzo Buonassisi
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Conoscere il vino Le sigle del vino
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Vino e cucina Il vino in pentola
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I Musei del Vino Il Museo del Vino e dell’arte contadina di Alberobello
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Turismo del vino Il turismo salverà le nostre cantine
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Novità in cantina In nuovi nati di cantina Albea
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Iniziative Incontri e iniziative al Museo del Vino
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Il vino dei VIP “Mieru, mieru”
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Le lune di Gustare l’Italia “Osteria della Villetta”
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Sotto esame Chi giudica i giudici?
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La provocazione Ipertrofìà dell’Io
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Concorsi & C. La “bufala” di Cannes
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Libri da mangiare
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Diabolic eno-gastro-turistic Quiz
GUSTARE L’ITALIA - Periodico di cultura enogastronomica e turismo - Anno 3 - Numero 19 Marzo 2012 - Reg. Trib. di Milano n° 201 del 14/04/2010 - Editore: Linea Editoriale srl - Via Milanese, 5/11 - 20099 Sesto San Giovanni (MI) - Iscrizione ROC (Registro Operatori della Comunicazione) 21940 - ISSN code 2279-7998 Direttore Responsabile: Massimo Balletti - Direttore Responsabile: Cino Tortorella - Art Director: Daniele Colzani Impaginazione: Daniele Colzani - Giovanni Di Gregorio - Segreteria di Redazione: Rodolfo Puoti Concessionaria pubblicità: Linea Editoriale Advertising Responsabile Trattamento Dati Personali: Sebastiano Cucuzza - L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiedere gratuitamente la rettifica o cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs 196/2003 scrivendo a: info@lineaeditoriale.it
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Gustare l’Italia
La manifestazione
© Ufficio Stampa Verona Fiere (2)
di Piero Valdiserra
Vinitaly 2012
Parafrasando una vecchia canzone di Francesco Guccini, “un altro anno è andato e la sua musica ha finito”: e noi siamo di nuovo qui a parlare di Vinitaly. Tranquilli, non vi annoieremo con le solite statistiche e con le solite dichiarazioni roboanti su spazi espositivi pieni all’inverosimile, aziende in crescita del tot percento, visitatori in aumento, operatori esteri in arrivo da tutto l’orbe terracqueo. Tutte cose vere, per carità, ma anche tutte cose che conoscete benissimo. No, stavolta vorremmo richiamare la vostra attenzione su poche cose. Poche cose, tre per la precisione, che ci stanno più a cuore. Come avrebbe detto Steve Jobs, “tre cose, tutto qui, niente di eccezionale: solo tre cose”… Punto primo, e si tratta di una novità. Forse la novità principale di quest’anno: Vinitaly
cambia la data e cambia la cadenza settimanale. La fiera veronese tradizionalmente si svolgeva all’inizio di aprile, con apertura il giovedì e chiusura il lunedì della settimana successiva. Dall’edizione 2012 si parte domenica 25 marzo e si arriva a mercoledì 28 marzo In sintesi: manifestazione più corta di un giorno; non più a inizio aprile ma a fine marzo; non più giovedì - lunedì ma domenica - mercoledì. Non siamo indovini, ma azzardiamo una previsione. Per i visitatori italiani (che, non dimentichiamolo, sono il 70% del totale) potrebbe trattarsi di un peggioramento. Fino all’anno scorso infatti il taglio del nastro al giovedì consentiva un avvio “dolce” della rassegna, con il pubblico professionale che poteva concentrarsi, e in larga parte lo faceva,
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Gustare l’Italia
© Ufficio Stampa Verona Fiere (2)
nei primi due giorni; lasciando poi il fine settimana all’afflusso e alla legittima curiosità di un pubblico più grande e meno specializzato. Quest’anno Vinitaly apre i battenti di domenica, e la partenza è quindi necessariamente bruciante e promiscua: tutti insieme appassionatamente, cioè, addetti ai lavori, dilettanti allo sbaraglio e semplici beoni. Con prevedibili, maggiori ingorghi nei padiglioni, e in sovrappiù con un giorno in meno a disposizione (4 anziché 5). Il tutto, lo avrete capito, ci lascia molto perplessi. Dal Vinitaly la vedono diversamente: il cambiamento è stato pensato per favorire l’accesso degli operatori professionali internazionali, che avranno più giorni di rassegna (dicono proprio così a Verona, più giorni: come questo sia possibile quando i giorni calano da 5 a 4 non è dato saperlo) per incontrare le aziende espositrici. In buona sostanza, sull’esempio di altri saloni esteri, si è preferito partire nel fine settimana. Qualche amico e collega, da noi interpellato, ha commentato che l’edizione 2012 avrebbe potuto essere un’edizione “di prova”, salvo poi fare marcia indietro se i fatti non avessero dato ragione agli organizzatori. Ma gli organizzatori so-
no partiti in quarta, decisi come pompieri, avendo in mente le abitudini di visita degli stranieri. Anche se siamo in Italia. E questo introduce il nostro secondo punto. Vinitaly, corre l’obbligo di sottolinearlo, pensa soprattutto ai mercati esteri. Che c’è di male, direte voi, se il colosso delle fiere veronesi issa orgoglioso la bandiera tricolore sul mondo del vino? Niente di male, naturalmente, anzi è magnifico se viene promossa sempre più a livello internazionale la produzione italiana, vero punto di eccellenza del nostro settore agroalimentare. Ma questo non deve far dimenticare il mercato interno, che bene o male rappresenta ancora il primo polmone delle aziende vitivinicole del nostro Paese. Un mercato, quello interno, che negli anni è stato flagellato da campagne antialcoliche scriteriate e suicide, è stato annichilito e intimidito dalla legislazione sulle patenti a punti, ed è stato infine massacrato dalla crisi economica generale. Con il risultato che i consumi domestici sono precipitati rapidissimamente, nell’indifferenza generale.
Volete una prova? Andatevi a prendere le dichiarazioni dei responsabili di Vinitaly, del loro ufficio stampa, dei loro reparti marketing e promozioni, per non parlare di tutta la stampa di settore in coro: tutti quanti a osannare le magnifiche sorti e progressive dei mercati esteri, nessuno o quasi a occuparsi dei consumi italiani. E sì che siamo da millenni il Paese del vino, il Paese che non solo fa ma anche beve vino. O dovremmo forse dire: beveva? Il nostro terzo punto, a chiusura di queste considerazioni di commento, vuole però essere improntato all’ottimismo. Vinitaly, con i suoi numeri da primato, resta comunque una realtà incrollabile; anzi, si rafforza sempre più. 4.200 espositori, 156.000 visitatori, di cui 48.000 stranieri da oltre 110 Paesi. Quest’anno viene inaugurato anche lo spazio dedicato ai vini biologici e biodinamici. Una dimostrazione impressionante di forza e di vitalità economica. E un’ eccezione rimarchevole nel panorama fieristico nazionale. Forse non tutti sanno infatti che le fiere sono ormai un settore in declino strutturale, come le acciaierie, i cementifici e gli zuccherifici nei decenni scorsi. Un settore che ha subito e subisce la concorrenza silenziosa e terribile delle nuove tecnologie (internet in testa), che rendono sempre meno conveniente spender tempo e denaro per visitare una rassegna espositiva. Nonostante ciò, e nonostante tutto, Vinitaly resta un
pilastro imprescindibile, e rappresenta a sua volta - a dispetto delle sue tante pecche – un ulteriore punto di eccellenza del sistema Italia. Teniamocelo stretto, dunque, anche se per un verso o per l’altro può farci venire qualche mal di pancia. Abbiamo aperto con Guccini e vogliamo chiudere con Dalla. Diceva il piccolo grande Lucio nella sua canzone “L’anno che verrà”: “ma la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione, e tutti quanti stiamo già aspettando”. Confidiamo che il nuovo anno del vino, che il Vinitaly 2012 andrà a suggellare, porti a tutti gli operatori, grandi e piccoli, di massa o di nicchia, italiani o stranieri, un segnale di speranza. Di cui tutti abbiamo veramente bisogno.
Gustare l’Italia
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46 th edition
NEW DATES
SUNDAY 25 WEDNESDAY 28 MARCH 2012 VERONA
New date.
Same passion.
vinitaly.com Together with
Organized by
“Dove non è vino non è amore né alcun altro diletto” - Eschilo
Perché il Vinitaly è nato a Verona? Nell’antichità l’Italia tutta veniva chiamata “enotria”, terra del vino, per la ricchezza dei suoi vigneti, l’abbondanza e la varietà dei suoi vini. Molte altre regioni avrebbero potuto pretendere di ospitare questa manifestazione: per esempio Palermo, la capitale dell’isola del Nero d’Avola, del Marsala, del Bianco d’Alcamo, del Cerasuolo di Vittoria, dei rossi che ricevono forza e vigore dai terreni vulcanici dell’Etna. La parola “vino” è comparsa per la prima volta in Sicilia incisa su un antico vaso risalente al V° secolo. Il vino esisteva nell’isola già prima della colonizzazione ellenica; narra la leggenda che Adranos, personificazione dell’Etna, dio del fuoco e delle armi, possedeva una muta di feroci cani molossi che avevano il com-
pito di scortare a casa i fedeli che avevano approfittato troppo delle libagioni che avvenivano nel tempio. Purtroppo nel lungo periodo della dominazione araba la coltivazione della vite non ebbe un grande sviluppo; le leggi coraniche definiscono il vino “sudiciume di Satana” anche se poi assicurano che “gli eletti berranno in Paradiso il prezioso vino” ed è curioso che il Marsala, il più prestigioso tra i vini liquorosi, prende il nome dalla città che gli arabi chiamarono Marsa-el-Allah (porto di Dio). Il Vinitaly avrebbe potuto nascere anche a Napoli, la bella capitale della regione della Schola Salernitana che fin dall’anno 1000 metteva il vino nella più alta considerazione per le sue virtù medicamentose con le sue cinque
Oltre il Vinitaly
di Felice Maratea
Verona: vino & amore
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qualità: “forza, bellezza, fragranza, freschezza e vivacità”. Si aggiunga che in Campania crescevano rigogliosi i vigneti dai quali nascevano le uve che si trasformavano nei vini più amati. L’imperatore Tiberio aveva fatto costruire la sua villa a Capri anche perché era goloso del vino prodotto nell’isola bella, al punto che i capresi avevano cambiato il suo nome in Biberio. Su una coppa del VII secolo a.c. trovata a Ischia si legge: “Sono la coppa di Nestore/chi berrà da questa coppa/sarà preso dal sottile e affascinante incanto di Afrodite dalla splendida corona” Inoltre la Campania era molto apprezzata per il Falerno, forse il vino più famoso dell’antichità, creato - narra la leggenda - da Bacco ospite di Falerno, un vecchio pastore, per ringraziarlo della sua generosa ospitalità; era il vino definito “ardente” da Orazio e “immortale” da Marziale che certo contribuì a rendere più piacevole gli ozi che a Capua che furono fatali ad Annibale. Il Vinitaly avrebbe potuto nascere anche in Puglia, il granaio d’Italia e la cantina d’Europa per i suoi straordinari vini: Primitivo, Bombino, Negroamaro, Malvasia, Verdeca, nero di Troia
che per anni hanno risalito la penisola in anonimi contenitori per andare a dare forza e vigore a certi languidi vini del Nord Italia e di Oltralpe. Nessuno certo avrebbe avuto da meravigliarsi se il Vinitaly fosse stato inventato nella regione del Chianti e dei superbi rossi di Montalcino o nella Liguria del Vermentino, del Pigato, delle Cinque Terre o del superbo Rossese del Ponente. E perché no, un Vinitaly a Milano, nella regione dei vigneti della Valtellina, gli spumanti di Franciacorta che nulla hanno da invidiare ai più celebri champagne, i rossi dell’Oltrepo, i delicati Chiaretti del Garda ... Così come, avrebbe certo le carte in regola il Piemonte con i suoi vini generosi che nascono sulle colline delle Langhe e del Roero, nelle vallate alpine, nel Monferrato, la regione del vitigno Nebbiolo che si trasforma per magia in Barolo, Barbaresco, Carema, Gattinara e Ghemme. E potremmo continuare citando i vini del Lazio, del Trentino, delle Marche (il delizioso “Lacrima” di Morro d’Alba), dell’Emilia Romagna, la terra del Sangiovese, il santo più venerato da quelle parti... E invece il Vinitaly nasce in Veneto, in una delle sue più belle città, a Verona. Viene inaugurato nel 1967 e in pochi anni diventa la più importante rassegna enoica del mondo.
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Non poteva che accadere così Verona aveva in sé, nella sua storia, nella sua memoria, nel suo territorio ricco di filari e di vitigni dai nomi gioiosi Dindarella, Fiorellina, Rossetta, Bigolona, Molinara... tutto quanto necessario per realizzarvi un grande avvenimento dedicato al vino. • “Il vino è amore e luce”, così scriveva Galileo Galilei. E Verona è la città della passione di Romeo e Giulietta. • “Il vino è bellezza”: Verona è “una delle città più belle al mondo”, come si leggeva fin dal 1818 nel “Manuale du voyager en Italie” “l’aria vi è pura e vive, la terra gentile e ricca. Il carattere dei veronesi dolce e allegro, le donne bellissime, eleganti e sensuali”. • “Il vino è allegria”: “Dioniso ha donato il vino agli uomini per alleggerire il loro fardello, per allontanare i malumori della vecchiaia rinnovando la bellezza e allontanando la tristezza” scriveva Platone. E Verona dall’inizio del ’900, nella “Guida spirituale alle Osterie Italiane” viene chiamata “Osteria dei popoli” perché aveva ben 400 osterie in una delle quali, quella “della Luna”
l’autore avrebbe voluto riposare per sempre: “ Dove avrai tu riposo, o stanco pellegrino? Entro la bella Luna, nel più ricolmo tino”. • “Il vino è serenità”: Hemingway, che era debitore ai vini veronesi, di molte bellissime pagine (arrivava a berne anche due o tre bottiglie al giorno quando scriveva) così definisce il Valpolicella nel libro “Across the river into the trees”: “… leggero, amabile, cordiale come la casa di un fratello con il quale si va d’accordo”. • “Il vino è tradizione”: e nel veronese ancora oggi di producono il Recioto e l’Amarone, orgogli della viticoltura, seguendo l’antichissimo procedimento che Benedetto del Bene così descriveva in una relazione presentata ai primo dell’800 all’Accademia di Agricoltura: “Scelti i grappoli più zuccherini, si asportarono le ali, in veronese “le recie” (orecchie) da cui il
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termine “Recioto”, si stendono con delicatezza sopra i graticci di canna palustre (arèle) e si conservano in granaio fino a Natale prima di mostarle”. Il vino è leggenda. A proposito dell’uva Corvina che è vitigno fondamentale del Recioto e dell’Amarone oltre che il Bardolino e il Vapolicella, si narra una poietica leggenda: “Viveva nella zona della valle un umile contadino, Bertrando, che coltivava con fatica una terra aspra e avara; il vino che le sue vigne producevano era un bianco asprigno che certo non voleva tanti sacrifici, ma il poveretto non si lamentava mai e rendeva grazie al Signore. Un giorno, era vicino il tempo della vendemmia, scorse un corvo ferito, lo raccolse con delicatezza e lo curò con cuore fino alla guarigione. Quando l’uccello ebbe ripreso le forze si alzò in volo, ma prima di andare via volteggiò sui filari toccando con le ali i grappoli stenti, i miseri acini al contatto divennero nerissimi chicchi di dolcissima uva che fu appunto chiamata Corvina”. • Il vino è sensualità. E nel primo libro “Dell’istoria della città di Verona” di Gerolamo Della Corte si narra di Teodato, re degli Ostrogoti insaziabile amatore il quale “fra gli altri vizi che ebbe, fu molto goloso e amico del vino, onde essendo a Roma se ne faceva portare da Verona, avendone, nel tempo che vi fu, gustati molti che gli erano molto piaciuti. Sono quelli della Valle Pulicella e sono delicatissimi e da Plinio e da Virgilio sono di poco postposti al Falerno; di questi adunque si faceva portare Teodato gran quantità a Roma”.
• Il vino è piacere soprattutto a tavola. Ai grandi vigneti che la circondano non poteva non corrispondere una grande gastronomia per fare di Verona un’isola felice. Ed è ciò che si è verificato con la sua cucina. La zona collinare prospera di vini eccezionali si unisce a una pianura opulenta di frutti e cereali, l’olio prodotto fra la Val Pantena e il Garda è un ordinamento dei più raffinati Il riso uno dei migliori al mondo, e così le carni, il formaggio, il burro... Grande è la ricchezza del ricettario della cucina veronese ma i piatti storici, perfetti per essere esaltati dai grandi vini della regione, sono gli gnocchi, le “paparele con i figadini”, il “ri-
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sotto col tastasal”, la “pastissada de caval”, il lesso con la “salsa pearà” Il “risotto col tastasal”, fatto con l’impasto di carne di maiale condito con sale e pepe nero frantumato grossolanamente; le “paparele e figadini” (regaglie di pollo con pasta rigorosamente fatta in casa “perché la paparela sia bona, deve menare el culo la padrona”), la “pastissada de caval” fatta risalire dalla leggenda popolare ad una battaglia di Teodorico contro gli Eruli, vinta la quale dopo un lungo assedio, per compensare i veronesi dei diggiuni vennero concesse le carni dei cavalli uccisi, aromatizzate con spezie e verdure e innafiate con generose coppe di Amarone. Anche la “pearà”, la salsa che a Verona accompagna il lesso, si rifà alla storia medioevale, alla povera Rosmunda costretta da re Alboino a brindare in un calice ricavato dal cranio di suo padre; dopo la sinistra libagione (che cosa bevve: Recioto, Bardolino, Soave?) il cuoco di corte improvvisò una salsa dal sapore piccante per renderle più facile la digestione e inventò appunto la “pearà” (che si potrebbe tradurre in “salsa pepata” anche se in realtà ha un sapore delicatissimo ed è il pepe che si mette nell’ultimo momento a renderla piccante). Il piatto storico veronese sono però gli gnocchi anche perché sono legati al Carnevale du-
rante il quale vengono distribuiti gratuitamente nelle vie dei quartieri storici, sotto la direzione del “papà del gnoco”, il re del Carnevale. Se non li avete mai assaggiati, provateli durante il Vinitaly in uno dei tanti, ottimi ristoranti della città: sono fatti con la pasta di patata da gnocchi appunto e traggono la loro forma caratteristica dalla grattugia (detta in veronese “gratacasola”) sulla quale vengono fatti scorrere perché si riempiano di buchi nei quali poi si raccoglierà il sugo. I veronesi vi citerebbero subito i versi di Berto Barbacani, il più noto poeta dialettale: “… e ti lavora gratacasola, daghe el miracolo de la parola. faghe i so’ brufoli a fior de pansa Che in esultansa i ridarà…” Questi sono dunque alcune delle ragioni per le quali il Vinitaly non poteva non nascere a Verona… Anche se però, in fondo, pensandoci bene, anche a Palermo, Bari, Cagliari, Torino, Bologna, Firenze, Napoli…
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L’amore per la qualità Il rispetto per la tradizione Benagiano Pastificio srl Corso Italia 138-140/b - 70029 Santeramo in Colle (Ba) Tel. 080-3036036 - E-mail: benagiano@benagiano.it - Website: www.benagiano.it
Ci sono luoghi dove il cielo è sempre azzurro, gli uomini liberali e generosi, le donne sincere e amorevoli; dove i cibi sono perfetti e i vini, ardenti e gagliardi, danno ali e forme alla fantasia, dove un rifugio è sempre pronto per accogliervi e regalarvi un riposo sereno. Sono questi i ristoranti galeotti dove vanno i “gourmet” innamorati che non si nutrono soltanto di sospiri e di sogni; ci vanno perché amano la vita e il bello, per festeggiare un incontro di gioia, per scacciare la nube che ha turbato il loro amore, per esaltarsi, per rallegrarsi… E se non c’è una ragione ne inventano una perché in questi luoghi si entra in una dimensione dove le categorie del tempo scompaiono, i dubbi si dissolvono come le brume del mattino e il futuro è soltanto una promessa di felicità. Ce ne sono in tutta Italia e li abbiamo raccolti in un libro di prossima uscita che si intitolerà appunto “I ristoranti galeotti”; ne abbiamo incontrati in tutte le regioni della nostra bella Italia e naturalmente anche in Veneto. Ai gourmet innamorati che si recheranno a Verona per il Vinitaly, vogliamo suggerirne al-
cuni vicino alla città di Giulietta dove potranno vivere un’esperienza che darà forza e calore al loro amore: “Villa del Quar” a San Pietro in Cariano, “Villa Fiordaliso” a Gardone Riviera e “Villa Franceschi” a Mira.
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© Ente Autonomo Fiera Verona (2)
di Jerry Calà
Oltre il Vinitaly/2
Verona degli innamorati
Villa del Quar Si trova a pochi chilometri dalla città dell’amore tenero e disperato di Giulietta. “Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona piangeva Romeo col cuore lacerato dalla passione - ma solo purgatorio, sofferenza, anzi l’inferno stesso...”. Se però, come oggi, avesse potuto spingersi con la sua donna fino a “Villa del Quar”, cinque chilometri fuori le mura, se avessero gustato ad un tavolo della “Villa del Quar” uno dei favolosi menu, se avessero goduto dei modernissimi impianti di fitness per la cura del corpo, se avessero riposato in una delle bellissime suite sorseggiando un Recioto o un Amarone, Shakespeare avrebbe scritto una tragedia immortale in meno ma ci sarebbero stati due innamorati felici in più. Suggeriamo perciò ai teneri e romantici gourmet innamorati di recarsi pure a vedere le bellezze veronesi, di andare in commosso pellegrinaggio alle case dei Montecchi e dei Capuleti, sostino pensosi davanti alla tomba
- vera o finta - dell’infelice Giulietta, ma la loro meta sia poi San Pietro in Cariano, perché là ritroveranno allegria e serenità con la cucina e le camere di “Villa del Quar”. Per info: Hotel Villa del Quar - Via Quar, 12 - 37029 Verona - Tel. 045.6850149 - www.hotelvilladelquar.it
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Villa Fiordaliso Il Lago di Garda è a circa mezz’ora da Verona ed è ricco di luoghi che due innamorati dovrebbero visitare; di prammatica è una visita al Vittoriale bric-a-brac di cimeli e ricordi dannunziani, dove l’Orbo Veggente visse innumerevoli amori: leciti e illeciti, banali e fantasiosi, appassionati e frettolosi con donne di ogni genere: principesse, serventi, attrici, modiste, duchesse e contadine, minuziosamente descritti dai molti biografi. Una emozione da non perdere è una piccola crociera, possibilmente soli, per raggiungere i luoghi amati ed esaltati da artisti e poeti di ogni epoca: da Virgilio a Dante a Goëthe a Schiller, a Catullo. Una sosta a Sirmione dove Catullo nacque e visse gli ultimi anni della sua vita, è assolutamente obbligatoria per G.I. passionali che avranno a portata di mano il libro dei versi dedicati alla bella e perfida Lesbia, odio e amore della sua giovinezza. Ma se gli innamorati sono anche due gourmet, sarà di rigore la sosta a Villa Fiordaliso a Gardone Riviera. La bellezza può stordire. Accade, a volte, quando ci si trova di fronte ad un capolavoro
d’arte o ad una meraviglia della natura e si prova come un mancamento. A questo fenomeno si dà il nome di “sindrome di Stendhal” poiché fu proprio l’autore de “Il rosso e il nero” a descriverla per primo. Il lago di Garda è uno dei luoghi che possono provocare questo inebriante straniamento ed è per questo che molti, affascinati dalle sue rive, ne sono stati colpiti. In questo lago di incanti numerosi dovrebbero essere i ristoranti galeotti per gli innamorati del cibo, del vino e dell’amore e invece la gran parte sono locali anonimi, privi di personalità, indirizzati a turisti distratti e frettolosi.
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Fra le rare eccezioni spicca “Villa Fiordaliso”, un luogo sognato dai gourmet che stanno vivendo un amore appassionato. Costruita alla fine dell’Ottocento a pochi passi dal lago in uno stile fra il Neoclassico e il Liberty, circondata da un giardino ricco di piante e di fiori, è stata nel corso degli anni più volte sfiorata dalla Storia.
Negli anni Venti vi soggiornò a lungo Gabriele D’Annunzio nel periodo in cui l’architetto Maroni ristrutturava il complesso che sarebbe diventato il Vittoriale; qualche anno dopo divenne la residenza del generale Wolf comandante delle truppe tedesche dal ’43 al ’45 nel periodo della Repubblica di Salò e per alcuni mesi ospitò anche Benito Mussolini e Claretta
Petacci, che qui vissero gli ultimi giorni del loro tragico amore. Nella suite che prende il nome dalla sfortunata amante ci sono ancora i mobili - letto, comodini, armadi, secretaire - che aveva fatto arrivare dalla sua casa di Roma. L’esperienza di trascorrere a “Villa Fiordaliso” alcuni giorni - e alcune notti - per i due innamorati potrebbe essere esaltante; se la passione fosse al culmine, quando l’amore diventa febbre, delirio, desiderio ardente, se fosse tempo di plenilunio, se il lago fosse in tempesta “capace - come scriveva Virgilio di sollevarsi con flutti e fremito di mare” - non sarebbe difficile, complici i vini e la cucina, provare l’emozione della “sindrome di Stendhal”. Per info: Villa Fiordaliso - Corso Giuseppe Zanardelli, 132 - 25083 Gardone Riviera (BS) - Tel. 0365.20158
Villa Franceschi Venezia è il sogno romantico di ogni innamorato; ogni amore riceve calore e passione da un soggiorno nella città dei Dogi; amanti di tutto il mondo vi arrivano in cerca di conferme
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e suggestioni, in ogni angolo di questa città e non soltanto in San Marco, a Rialto e alla Cà d’Oro, ma anche nei luoghi più nascosti ed ignorati dal turismo; tutto è affascinante e seducente per gli innamorati… per tutti, tranne per coloro che oltre ad essere innamorati sono anche dei gourmet, perché a Venezia - incredibile - non è stato possibile trovare un ristorante galeotto. Così come non l’abbiamo trovato a Capri, a Taormina, a Portofino e in molti altri luoghi d’Italia votati all’amore. Per fortuna ne abbiamo scoperto uno poco lontano da Venezia, a soli 10 chilometri, su quella Riviera del Brenta che i veneziani considerano una continuazione del Canal Grande, sul fiume dove si specchiano le splendide ville costruite nei secoli scorsi per le vacanze dei signori della Serenissima. Questo miracolo lo si deve ai Dal Corso, una famiglia che da quasi un secolo ormai occupa
un posto importante nella storia della ristorazione veneta. Se due Gourmet Innamorati dopo il Vinitaly desiderano conoscere Venezia si rechino tranquillamente a Mira, perchè “Villa Franceschi” è oggi una stupenda realtà, il rifugio galeotto che mancava a Venezia, la meta di chi è alla ricerca oltre che di poesia, del buon mangiare, del buon bere, del buon dormire. È l’approdo per amanti il cui amore non ha bisogno di conferme perché è al colmo della passione, senza incertezze, senza cedimenti; costoro scelgono Mira perché vuol dire Venezia e se non conoscono ancora la regina della Laguna il soggiorno a “Villa Franceschi” sarà l’ultima tessera per completare il mosaico di un amore perfetto.
Per info: Hotel Villa Franceschi - Via Don Minzoni, 28 - 30034 Mira (VE) - Tel 041.4266531 - www.villafranceschi.com
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“Da quando la Luna e i Pianeti apparvero in cielo, nessuno vide mai cosa più preziosa del purissimo vino. Per questo mi chiedo con stupore: i venditori di vino che cosa possono comprare di meglio di quello che hanno venduto?” Omar Khayam 21 Gustare l’Italia
Speciale Vino
Vino: luci e amore
di Angelo Solci
Che vendemmia è stata? Vendemmia 2011: la più scarsa degli ultimi 60 anni, - 14% su quella dell’anno precedente. Complice clima, estirpazioni (la crisi di questi anni ha ridotto sensibilmente il “Vigneto Italia”) e “vendemmia verde” (l’Unione Europea compensa quelli che tagliano completamente i grappoli verdi, evitando in questo modo le superproduzioni). Qualità a macchia di leopardo, buona per uve
La vendemmia 2011 sarà ricordata come quella di un anno record per la scarsità di uve raccolte; è la più magra degli ultimi 60 anni con 40,3 milioni di ettolitri (pari a circa 58 milioni di quintali di uva), un quantitativo inferiore del 14% sul 2010. Bisogna risalire all’immediato dopoguerra, nel 1948 quando si produssero 40,4 milioni di ettolitri. Da ricordare la vendemmia del 1947 passata alla storia come una delle migliori del secolo - forse la numero uno - anche per la scarsità della raccolta. Nonostante le bizzarrie del tempo (il clima in questi ultimi vent’anni si è modificato diventando di tipo sub-tropicale per la violenza dei suoi fenomeni), la vite fino a metà agosto è riuscita a superare i momenti di criticità, gli sbalzi di temperature e le piogge, anche se fuori periodo, non si sono scostati di molto con l’esigenze fisiologiche della pianta Il tutto è stato successivamente vanificato dal caldo torrido di un’estate che, dopo una partenza incerta, sembrava non volere finire mai. Infatti le ultime due settimane di Agosto e il mese di Settembre hanno polverizzato tutti i record di caldo lasciando il segno sulle
© Emanuela Cattaneo
La stagione del vino
precoci e tardive.
vendemmie delle varie regioni, ridimensionando la quantità, ed in alcuni casi anche la qualità. Il Veneto con 7.930.000 ettolitri si conferma, per il quinto anno consecutivo, la regione più produttiva, seguita da Emilia Romagna,
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Puglia e Sicilia, tutte insieme producono il 60% del vino italiano. La vendemmia 2011 si annunciava come annata memorabile (inizio estate) purtroppo il clima ed un Settembre torrido ,in modo particolare, non hanno “fatto la differenza”. I riscontri di cantina, che rappresentano sempre la verità - impariamo a diffidare dagli annunci giornalistici precoci - sensazionalistici - e memorizziamo quanto saggiamente ripete il Giuan nazionale (Trapattoni) “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”- confermano buoni livelli per le uve precoci e per le vendemmie tardive, in tutti i vini si riscontrano gradazioni alcooliche elevate ed una conseguente bassa acidità, con perdita di freschezza per i vini bianchi e qualche problema per le Basi Spumanti, bisognose di una modesta gradazione ed una buona acidità. Per i vini rossi la forte concentrazione polifenolica (sostanze coloranti e tannini) assicura una ricca struttura e corposità ed una buona longevita. Prima di dare uno sguardo alle regioni più enoiche, desidero evidenziare un dato che mi sembra piuttosto significativo ed importante : la vendemmia del 2011 è salva grazie all’impegno di 30 mila lavoratori stranieri che garantiscono la raccolta delle pregiate uve italiane. Nel corso degli anni è cresciuta tra i filari la presenza dei lavoratori stranieri che sono diventati una componente indispensabile dei principali distretti vitivinicoli. Mi astengo da ogni facile commento, pensando alla moltitudine di giovani italiani, soprattutto al Sud, alla ricerca di “lavori non pesanti”.
La vendemmia regione per regione Piemonte: anticipo della vendemmia iniziata a metà Agosto con Chardonnay seguito da Moscato e Brachetto, il culmine si è avuto da metà settembre con i Dolcetti e le Barbere, seguiti come sempre dai Nebbioli di Barbaresco e Barolo. Qualità a macchia di leopardo buone. Lombardia: come per il Piemonte anticipo vendemmiale soprattutto per le basi spumanti di Franciacorta e Oltrepò, risultate comunque ricche di alcool, da seganlare fortissime grandinate in Oltrepo che hanno distrutto, con la loro veemenza da tornado, 700 ha di vigneto. Qualità buona e punte di ottimo per i vini rossi. Trentino Alto Adige: anticipo di vendemmie con quantità nella media. Vini base spumanti
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Sud Italia: forte calo di produzione per gli abbandoni e per il clima con problemi di maturazione che si sono sommati ad attacchi precoci di Oidio (malattia crittogamica) comunque ben contenuti. Buoni i rosati e buoni/ ottimi i vini rossi. Sicilia: forte calo di produzione per abbandoni e per vendemmia verde. Attacchi di oidio e peronospora ben contenuti dai viticoltori. Produzione di buona qualità per gli affermati vini bianchi e rossi della regione ed anche per il Marsala, buna produzione di vini da dessert. Sardegna: diminuzione di produzione per il Vermentino comunque di buona qualità, ottimi i vini rossi ed i vini da dessert. La vendemmia 2011 dimostra che pur nelle avversità climatiche si ottengono vini di buona qualità, grazie alla ricerca scientifica ed alle moderne tecnologie viticole/enologiche che hanno trasformato la nostra produzione da contadina ad “alto artigianato” definito Viticoltura ed Enologia di precisione. Non ci resta che verificare di persona: il prossimo Vinitaly rappresenta un parter eccezionale.
© Emanuela Cattaneo
alcoolici e vini bianchi un po’ meno freschi e fruttati, vini aromatici meno intensi. Buona/ ottima per i vini rossi. Veneto: anticipo come in tutte le regioni, buona produzione di Prosecco e di Soave in quantità e qualità, buoni i vini rossi, eccellente la produzione di Amarone. Friuli Venezia Giulia: anche in questa regione il caldo ha costretto ad un anticipo di vendemmia, come nell’Oltrepo anche nel Collio Goriziano tornadi di grandine hanno seriamente danneggiato vaste aree viticole, ritorno a vini bianchi friulani tradizionali (grassi e alcoolici) e vini rossi di corpo. Emilia Romagna: positiva annata per i Lambruschi, nella media le altre produzioni. Toscana e Centro Italia Tirrenico: vini bianchi anticipati di buona qualità, vini rossi ottimi con punte di eccellenza. Annata favorevole per i SuperTuscan e per le denominazioni più importanti: Chianti Classico, Brunello di Montalcino e Bolgheri. Centro Italia Adriatico: calo di produzione con buona tenuta per i vini bianchi, punte di eccellenza per i vini rossi.
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www.champagne-devilmont.fr
L’arôme de la séduction.
cuvée prestige brut grande réserve brut rosé millésime premier cru
brut blanc de blancs
cuvée prestige brut millésime
di Cino Tortorella
Difendiamo l’agricoltura del Sud Intervista a Dario Stefàno Assessore alle Risorse Agroalimentari della Regione Puglia e coordinatore della Commissione Politiche Agricole, nell’ambito della Conferenza Stato Regioni.
L’intervista
Com’è andata, secondo il suo punto di vista, l’ultima vendemmia in Puglia? E’ stata anche quest’anno una ottima annata, con punte di eccellenza in diversi territori della Puglia. Abbiamo raggiunto un importante risultato di cui vado particolarmente fiero, perché ha infranto finalmente un muro che sembrava incrollabile: abbiamo superato il 40 % in vinificazione di qualità, cioè DOC e IGT, e quindi proseguiamo a grandi passi verso il traguardo del 50% programmato per il 2015. Certo, “esportiamo” ancora più del 30% di prodotto primario su altre filiere regionali “arricchendo” così di contenuto le bottiglie e le etichette di altre regioni. Ma sono molto fiducioso perché il sistema ha compreso bene di avere le potenzialità per poter esprimere un protagonismo assoluto. Sta per iniziare la 46a edizione di Vinitaly. Quale messaggio vuole mandare agli operatori del settore che arriveranno a Verona dal tutto il mondo per conoscere, valorizzare e diffondere la qualità dei vini della Sua terra? Chi sceglie un vino italiano, sceglie insieme alla etichetta il territorio di provenienza, la storia delle sue genti, le tradizioni, il folklore, un insieme di valori che danno significato alla degustazione.
In questo quadro, oggi la Puglia può competere alla pari con i migliori vini, perché di quella tradizione i vini pugliesi, con i propri vitigni autoctoni ed i territori di produzione, sono protagonisti assoluti. La realtà è oggi, quindi, quella di un sistema Puglia che ha generato un brand che fa tendenza, una realtà finalmente orgogliosa e consapevole delle proprie potenzialità e i sempre più prestigiosi risultai delle nostre aziende lo testimoniano con chiarezza. Negli ultimi anni oltre ad aver consolidato la notorietà per i propri vini rossi, la Puglia ha saputo qualificarsi anche sui bianchi e produrre un vero e proprio boom intorno alle bollicine. Un fenomeno che rappresenta l’esempio di come l’innovazione di prodotto possa essere
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una opportunità per una valorizzazione della propria storia. Parliamo infatti di bollicine prodotte dai principali vitigni autoctoni pugliesi: modernità ancorata alle nostre radici più autentiche. Nel suo libro “Come mettere un punto e a capo” lei scriveva di aver scelto quel titolo perchè vuol dire “non accontentarsi mai degli obiettivi raggiunti e seguire con determinazione il desiderio di affrontare nuove sfide con il massimo impegno”. Quali sono le sue nuove sfide? Sono orgoglioso di aver realizzato l’investimento più ambizioso, quello di portare l’agricoltura al centro delle politiche di sviluppo regionale, anche attraverso un rapporto di connessione sinergica con gli altri settori produttivi. Se pensiamo ad esempio al connubio agricoltura-turismo o agricoltura-ambiente, e a cosa ciò ha generato in termini di flussi turistici, pensiamo ad uno dei migliori modi per sostenere i produttori. Rappresentano una bella sfida anche i due impegni che ho assunto: la riorganizzazione della mappatura delle DOC pugliesi, al fine di
orientare meglio il consumatore e la tracciabilità delle nostre produzioni, allo scopo di certificarne sempre meglio l’autenticità e difenderle dalle imitazioni. Scriveva ancora che con la Sua nomina ad Assessore alle Risorse Agroalimentari sarebbe stato per lei un ottimo banco di prova per far tornare ad essere l’agricoltura pugliese, l’architrave del sistema economico e sociale. Pensa di essere a buon punto di questo ambizioso proposito? Le consegno un dato che racchiude in sé il senso della mia sfida. Proprio il 2011 è stato l’anno della svolta sul fronte dei giovani: si avviano più di 2000 nuove imprese agricole pugliesi ad iniziativa di giovani donne e uomini sotto i 40 anni e la Facoltà di Agraria registra il boom storico di iscrizioni al primo anno dimostrando definitivamente che le nuove generazioni della Puglia tornano a legare i propri progetti di vita all’agricoltura, non vista più come una scelta di serie B. Tutto questo mi fa essere molto fiducioso, poiché in questi elementi leggo le giuste premesse per una inversione di rotta.
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Fra le prime iniziative che lei ha intrapreso da Assessore, c’è stato l’insediamento di un tavolo tecnico permanente per l’affermazione del marchio “prodotti di Puglia” a garanzia di produttori e consumatori. A che punto è questo progetto? E’ la scelta più ambiziosa che abbiamo voluto abbracciare. L’obiettivo è quello di legare i nostri prodotti alla certificazione della tracciabilità della filiera pugliese a garanzia dei produttori, sempre più esposti al fenomeno dell’agropirateria, che spesso si appropria del nostro appeal per diffondere prodotti realizzati altrove ma spacciati come pugliesi, ma anche dei consumatori ai quali vogliamo dare certezza negli acquisti e, quindi, assicurare la qualità e la sicurezza alimentare di cui
le nostre eccellenze sono da sempre bandiera di riferimento in ambito internazionale. Oggi siamo nella fase di adesione delle imprese che si manifesta sempre più massiccia e che, quindi, ci incoraggia ad accelerare sulla strada intrapresa. La gran parte delle Guide gastronomiche, come scrive da tempo la nostra rivista, penalizza costantemente il Sud spesso ignorando o sottovalutando ristoranti e alberghi del meridione con notevole danno per il turismo e l’economia. Cosa intende fare per invertire questa tendenza? Non credo, come pure più di qualcuno sostiene, che sia una scelta deliberata quella di penalizzare il Sud. C’è in effetti una insuffi-
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ciente presenza che credo però derivi forse da un nostro deficit di strategia e da una sottovalutazione della componente comunicativa e di marketing. Siamo cosi certi di non poterci rimproverare niente in fatto di organizzazione ristorativa? Occorre chiedersi se intorno ci sia un contesto diffuso capace di valorizzare la nostra cultura enogastronomica o piuttosto se scadiamo nella imitazione di altri modelli che non ci appartengono? Forse occorre avviare una riflessione, autentica, su tutto questo. Quali sono i provvedimenti più immediati che il Governo dovrebbe prendere per il rilancio del settore agroalimentare? Purtroppo sullo sfondo di uno scenario di per sé già difficile, si incastrano oggi elementi di novità particolarmente negativi, oneri insostenibili quali Imu, gasolio e costi contributivi. Il governo nazionale dovrebbe procedere ad una revisione della manovra economica che sta penalizzando pesantemente il settore e adottare misure ed interventi che riducano i costi e segnino una traccia per la ripresa dello sviluppo e della competitività delle nostre aziende. Coltivo sempre la speranza che si giunga ad individuare una soluzione che ci faccia supportare un settore produttivo che nell’ultimo biennio così tormentato dalla crisi ha prodotto Pil, ricchezza, aumenti della occupazione, trainando l’export nazionale. Il mio auspicio è che l’attuale governo reintroduca il Decreto della Presidenza del Con-
siglio dei Ministri sull’Agricoltura cancellato dal Governo precedente che aveva così tagliato i finanziamenti e le funzioni delegate in materia di agricoltura, spina dorsale per il sistema agricolo. La sua reintroduzione ridarebbe ossigeno ai nostri territori, alle imprese, agli addetti ai lavori e assicurerebbe continuità ad un processo di crescita ed ai servizi necessari a sostenerlo. Ciò consentirebbe alle Regioni di assicurare controlli funzionali, il miglioramento genetico per la zootecnia, il supporto istituzionale alla promozione dei nostri prodotti agricoli sui mercati, il mantenimento degli standard di sicurezza alimentare raggiunti che rendono così ricercato il nostro brand in tutto il mondo.
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di Piero Solci
Le sigle del vino Impariamo a conoscere meglio il significato di alcune sigle che tutelano, garantiscono e salvaguardano la qualità dei vini che consumiamo e portiamo quotidianamente sulle nostre tavole
Conoscere il vino
D.O.C. La sigla DOC (Denominazione Origine Controllata) è un marchio di origine italiano che certifica la zona di origine e delimitata della raccolta delle uve utilizzate per la produzione del vino sul quale è apposto il marchio; esso viene utilizzato per designare un prodotto di qualità e rinomato, le cui caratteristiche sono connesse all’ambiente naturale ed ai fattori umani e rispettano uno specifico disciplinare di produzione approvato con apposito decreto ministeriale. Tali vini, prima di essere messi in commercio, devono essere sottoposti in fase di produzione ad una preliminare analisi chimico-fisica e ad un esame organolettico che certifichi il rispetto dei requisiti previsti dal disciplinare; il mancato rispetto dei requisiti ne impedisce la messa in commercio con la dicitura DOC. Il marchio fu ideato negli anni Cinquanta dall’avvocato romano Rolando Ricci, funzionario dell’allora Ministero dell’Agricoltura. Alcuni esempi di vini DOC sono: il Montepulciano e il Trebbiano d’Abruzzo, il Cirò, il Falanghina, il Lacryma Christi, il Gutturnio, il Bonarda, l’Ortrugo, il Lambrusco Grasparossa, il Lambrusco Salamino, il Sangiovese, il
Trebbiano di Romagna, l’Est! Est!! Est!!! di Montefiascone, il Frascati, il Cinque Terre Sciacchetrà, il Lacrima di Morro d’Alba, il Biferno, il Barbera d’Alba, l’Erbaluce di Caluso, il Locorotondo, lo Squinzano, il Cannonau, il Malvasia delle Lipari, il Moscato di
Pantelleria, il Teroldego Rotaliano, il Lago di Caldaro, il Lugana, il Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene.
D.O.C.G. La sigla DOCG (Denominazione Origine Controllata e Garantita) è un marchio di origine italiano che indica al consumatore l’origine geografica di un vino. Il nome della DOCG è indicato obbligatoriamente in etichetta e consiste o semplicemente nel nome geografico di una zona viticola (ad esempio Barolo, comune in provincia
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di Cuneo o Carmignano, comune in Provincia di Prato), o nella combinazione del nome storico di un prodotto e della relativa zona di produzione (ad esempio Vino Nobile di Montepulciano, il nome con cui è noto storicamente il vino prodotto a Montepulciano, in provincia di Siena). La categoria dei vini DOCG comprende i vini prodotti in determinate zone geografiche nel rispetto di uno specifico disciplinare di produzione, approvato con apposito Decreto Ministeriale. Le DOCG sono riservate ai vini già riconosciuti a denominazione di origine controllata (DOC) da almeno cinque anni che siano ritenuti di particolare pregio, in relazione alle caratteristiche qualitative intrinseche, rispetto alla media di quelle degli analoghi vini così classificati, per effetto dell’incidenza di tradizionali fattori naturali, umani e storici e che abbiano acquisito rinomanza e valorizzazione commerciale a livello nazionale ed internazionale. Tali vini, prima di essere messi in commercio, devono essere sottoposti in fase di produzione ad una preliminare analisi chimicofisica e ad un esame organolettico che certifichi il rispetto dei requisiti previsti dal disciplinare; l’esame organolettico inoltre deve essere ripetuto, partita per partita, anche nella fase dell’imbottigliamento. Per i vini DOCG è infine prevista anche un’analisi sensoriale (assaggio) eseguita da un’apposita commissione; il mancato rispetto dei requisiti ne impedisce la messa in commercio con il marchio DOCG. Alcuni esempi di vini DOCG sono: Aglianico del Vulture Superiore, il Fiano di Avellino, il Greco di Tufo, l’Albana di Romagna, il Franciacorta, il Verdicchio dei Castelli di Jesi, il Barolo, il Roero, il Dolcetto di Dogliani, il Brunello di Montalcino, il Chianti, l’Amarone della Valpolicella.
I.G.T. La sigla IGT (Indicazione Geografica Tipica) è la terza delle quattro classificazioni dei vini riconosciuti dal Governo Italiano, indica vini da tavola di qualità prodotti in aree generalmente ampie. I requisiti sono meno restrittivi di quelli richiesti per i vini a denominazione di origine controllata (DOC). Questa categoria comprende i vini da tavola prodotti in determinate regioni o aree geografiche (autorizzate per legge), talvolta secondo un generico disciplinare di produzione; essi possono riportare sull’etichetta, oltre all’indicazione del colore, anche l’indicazione del o dei vitigni utilizzati e l’annata di raccolta delle uve. La menzione IGT può essere sostituita dalla menzione Vin de pays per i vini prodotti in Valle d’Aosta, e dalla menzione Landwein per i vini prodotti nella provincia di Bolzano.
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Generalmente in questa categoria rientrano i vini da tavola di qualità ma inferiori rispetto ai vini a Denominazione di Origine Controllata e a denominazione di origine controllata e garantita (DOCG). È opportuno precisare inoltre che la collocazione di un vino tra gli IGT è dovuta sia a scelte commerciali, sia all’impossibilità, per la loro composizione (vitigni utilizzati), di rientrare nei disciplinari dei vini di qualità delle zone di produzione (DOC e DOCG). Alcuni esempi di vini IGT sono: l’Alto Tirino, il Grottino di Roccanova, il Condoleo, il Pompeiano, il Malbo Gentile, l’Alto Livenza, il Civitella d’Agliano, il Golfo dei Poeti, il Kurni, il Rotae, il Rosa del Golfo, il Trexenta, il Mitterberg, il Cannara.
la pressione interna alla Bottiglia non deve essere inferiore ai 3,5 Bar.
V.S.Q.P.R.D., V.F.Q.P.R.D., V.L.Q.P.R.D. e V.S.A.Q.P.R.D. Altro non sono che variazioni della categoria VPQRD a seconda della tipologia di vino e più precisamente:
- VSQPRD: (Vino Spumante di Qualità Prodotto in Regioni Determinate): spumanti VSQ che sono prodotti secondo un disciplinare DOC o DOCG; - VSAQPRD (Vino Spumante Aromatico di Qualità Prodotto in Regioni Determinate): spumanti VSAQ che sono prodotti secondo un disciplinare DOC o DOCG;
V.Q.R.P.D. La sigla VQRPD (Vini di Qualità Prodotti in Regioni Determinate) sta ad indicare tutti quei vini la cui zona di raccolta è definita in appositi disciplinari. In Italia sono tutti i vini DOC e DOCG.
V.D.T. La sigla VDT (Vino Da Tavola) indica un ottenuto nella comunità europea, non classificabile in altra categoria, purchè di titolo alcolometrico compreso tra 8,5% e 15%.
V.S.Q. e V.S.A.Q. Le due sigle indicano rispettivamente tutti gli spumanti la cui presa di spuma avviene in almeno un mese per i vini aromatici (VSAQ Vini Spumanti Aromatici di Qualità) come il Moscato, il Malvasia o il Brachetto, od in 9 mesi per gli spumanti metodo classico (VSQ - Vini Spumanti di Qualità). In entrambi i casi
- VFQPRD (Vino Frizzante di Qualità Prodotto in Regioni Determinate): indica tutti quei vini frizzanti che appartengono ad una DOC o DOCG, con una pressione interna compresa tra 1 e 2,5 Bar; - VLQPRD (Vino Liquoroso di Qualità Prodotto in Regioni Determinate): vini DOC e DOCG con titolo alcolometrico compreso tra 15% e 22%. I Vini Passiti si distinguono per la possibilità di aggiungere mosto di uve concentrato o alcol durante la vinificazione.
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della Redazione
Nomacorc®, quando il tappo è tutto Per meglio comprendere il successo di Nomacorc® è sufficiente sapere che in soli dieci anni, da quando fu fondata a Zebulon (North Carolina) nel 1999, ha prodotto e venduto 10 miliardi di tappi. La curiosità che la lega all’Italia è che proprio la vendita del diecimiliardesimo esemplare è avvenuta proprio in Italia, all’azienda pugliese Cantele.
La tecnologia Nomacorc®
© Nomacorc
Vino e tecnologia
Il requisito fondamentale che fa delle chiusure Nomacorc® qualcosa di diverso da qualsiasi altro tappo sintetico è il processo, brevettato, di co-estrusione.
Negli stabilimenti produttivi di Stati Uniti, Belgio e Cina (per il mercato orientale) vengono assemblate, secondo quantitativi top-secret, porzioni di polietilene fino a formare il materiale finale che viene, appunto, “estruso” in un unico tubo con diverse concentrazioni. A questo tubo un secondo strato dello stesso materiale, trattato diversamente, viene applicato a caldo all’esterno completando così la co-estrusione, che fa dei tappi Nomacorc® dei prodotti monomateriale (quindi privi di colle e perfettamente riciclabili al contrario di altre chiusure come agglomerati di sughero, a vite o in vetro) dalle straordinarie caratteristiche di costanza e affidabilità.
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Essendo tutti i tappi frutto di un processo meccanico ipercontrollato sono tutti identici e hanno sempre la stessa permeabilità ai gas, in particolare all’ossigeno, e nessun problema di sentori di tappo (TCA), un difetto che rovina circa un milione di bottiglie di vino al giorno nel mondo. L’evoluzione della ricerca Nomacorc® si è concretizzata con la gamma Select Series, lanciata sul mercato nel 2011, con chiusure che hanno un’apparenza ed una consistenza quasi indistinguibile dal tappo di sughero naturale. L’estremità delle chiusure Select Series hanno una rugosità simile alla corteccia e dei bordi smussati grazie a usando un’avanzata tecnica di taglio. Usando un processo registrato brevettato, che consente di stampare una grafica più dettagliata rispetto alla marchiatura a fuoco usata sui tappi naturali, i prodotti Select Series sono le prime chiusure alternative che possono essere stampate sulle estremità.
Un po’ di storia L’idea di creare un tappo sintetico per sostituire il tappo in sughero è nata nella mente di
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Particolare del processo di estrusione
Gert Noël, fondatore della NMC s.a. nel 1950, che in occasione di serate in famiglia si ritrovò più volte di fronte a bottiglie di vino con sentore di tappo. Un gruppo di sviluppo dell’idea fu rapidamente costituito da uno dei figli, Marc Noël, fondatore nel 1980 della Nomaco Inc. in Carolina del Nord. Dopo molti anni di ricerca, il prodotto finale venne elaborato negli Stati Uniti prima di essere presentato, nel 1999 in California, ai professionisti del mondo vinicolo. Grandi gruppi viticoli come Kendall-Jackson e Southcorp approvarono il concetto, capace di risolvere il problema crescente del sapore di tappo. In tale contesto, il tappo Nomacorc® rappresenta un prodotto con forte potenziale. Si decise di creare una società il cui obiettivo sarebbe stato di concentrarsi esclusivamente sullo sviluppo di questo progetto in un nuovo sito di produzione specifico.
E’ così che nasce, nel 1999, la Nomacorc LLC a Zebulon, in Carolina del Nord. Nel 2000, Nomacorc si insedia anche in Belgio per coprire il mercato europeo, dal quale arrivava una forte richiesta. Nomacorc® si dedica esclusivamente allo sviluppo di soluzioni professionali ed industriali per la tappatura del vino.
Il Gruppo Nomacorc® oggi
produzione negli Usa, Belgio, Austria e Cina, Nomacorc produce più di 2 miliardi di chiusure all’anno. Lavorando con rinomati istituti di ricerca in tutto il mondo, la società è leader nel settore delle chiusure per il vino anche per quanto riguarda la ricerca sulla gestione dell’ossigeno.
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Nomacorc® è il leader mondiale nella produzione di chiusure alternative per vino ed il primo brand per i vini fermi in molti paesi quali Francia, Germania e Stati Uniti. Orientato all’innovazione tecnologica, il Gruppo produce il complesso dei suoi prodotti con il processo brevettato di co-estrusione. Come risultato, le chiusure Nomacorc® garantiscono consistenza, una prevedibile gestione dell’ossigeno e totale protezione dai cattivi sentori dovuti all’ossidazione, alla riduzione ed al sapore di tappo. I prodotti Nomacorc® sono riciclabili al 100% e sono disponibili attraverso una vasta rete di distributori ed agenti in 6 continenti. Con 500 dipendenti in tutto il mondo e con impianti di
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Foto m. Piazza
NONINO OlTre ceNT’aNNI dI dIsTIllazIONe cON meTOdO arTIgIaNale
I Nonino imbottigliano esclusivamente Grappa e Acquaviti ottenute da materie prime fresche, distillate con metodo artigianale nei propri alambicchi discontinui a vapore a Ronchi di Percoto, invecchiate in barriques e imbottigliate senza aggiunta di caramello. www.nonino.it
Grappa Nonino il Merlot
33050 Percoto, Udine / Italy T. +39 0432 676331
della Redazione
Con Winecode®, il vino non ha segreti stema WineCode®... e scoprire così un nuovo mondo del vino a portata di mano! Un WineCode® è assegnato ad ogni cantina e ad ogni vino che è inserito nel sistema. I codici assegnati diventano di proprietà della cantina e non saranno mai riassegnati ad altri. Il sito web mobile della cantina contiene tutte le informazioni sulla cantina, i cataloghi dei vini, mappe Google e servizi di navigazione, contatti, video promozionali, le notifiche degli eventi, ecc. Il contenuto del sito è adatto a vari modelli di cellulari e tablet. La piattaforma informatica del nostro server riconosce automaticamente il modello di cellulare e ottimizza il contenuto digitale collegato a seconda delle caratteristiche del dispositivo. La piattaforma identifica anche la lingua selezionata sul telefono e trasmette il contenuto nella lingua del cliente (se disponibile) ed è in grado di fornire servizi in varie lingue occidentali e orientali, come russo, cinese e giapponese.
WineCode Sicilia Dalla collaborazione tra l’Istituto Regionale della Vite e del Vino (Sicilia) e WineCode® nasce “WineCode Sicilia”, la prima guida enoturistica per tablet e smartphone. Disponibile su Apple Store da poco più di un mese e da pochi giorni anche su Android Mar-
© Farm Computer System S.r.l.
Vino 2.0
WineCode® è un nuovo sistema di codifica mobile dedicata al mondo del vino, con il quale è possibile avere accesso alle informazioni relative all’origine e caratteristiche di ogni bottiglia di vino, ovunque e in qualsiasi momento, usando i telefoni cellulari. Il sistema WineCode® ridefinisce il concetto di comunicazione mobile: tutto ciò di cui avete bisogno è un cellulare o tablet con una fotocamera. Usando il software gratuito, si legge il codice QR sulla bottiglia per essere connessi al si-
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ket, “WineCode Sicilia” guida il turista e l’appassionato di vini nel suo percorso reale e virtuale alla scoperta delle cantine e dei territori di Sicilia. Fantastici i servizi forniti sui tablet come l’ iPad dove una dettagliatissima mappa del territorio evidenzia la posizione delle cantine ordinate dalla più vicina alla posizione del turista. E’ sufficiente sfiorare sulla mappa una posizione segnalata per conoscere il nome della cantina e tutte le informazioni relative. Per ogni cantina, e sono già 193 quelle inserite, sono disponibili informazioni che vanno dalla disponibilità di servizi di vitto, alloggio e degustazioni alla descrizione dettagliata dei vini prodotti, del territorio e della zona di produzione. Spesso le descrizioni sono corredate di video dei produttori che illustrano i propri vini. Il turista può farsi guidare nella visita da percorsi proposti dall’Istituto che ripercorrono le Strade dei Vini di Sicilia o prepararsi la propria strada dei vini selezionando le cantine preferite da visitare. L’applicazione si integra perfettamente con le altre applicazioni del tablet: si può attivare automaticamente il software di navigazione stradale per raggiungere la cantina che riceve
le coordinate GPS corrette e verificate direttamente dall’App “Winecode Sicilia”. E’ un vero strumento pratico di consultazione e guida durante il viaggio, è multilingue. in grado di portare il turista di qualsiasi nazionalità fin sulla porta delle cantine di Sicilia. Migliaia di appassionati da tutto il mondo, in particolare da USA e paesi Asiatici, hanno installato l’applicazione da Apple Store, che è completamente gratuita e multilingue. L’App è stata presentata lo scorso febbraio a Perugia nel corso dell’International Wine Turism Conference e l’evento ha fatto impennare il numero di installazioni della applicazione nel mondo. Dati delle cantine sono aggiornati continuamente e possono essere inserite tutte le cantine di Sicilia non ancora presenti. L’App intende migliorarsi come ogni servizio digitale facendo tesoro dei suggerimenti dei produttori e degli utenti. Un successo che a detta del Direttore del Istituto Dott.Dario Cartabellotta è un nuovo punto di partenza e mai un punto di arrivo su cui fermarsi o adagiarsi per l’Istituto Regionale delle Vite e del Vino divenuto Istituto Regionale dei Vini e Oli di Sicilia.
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di Piero Valdiserra
Un territorio, un vino
Pignoletto dei Colli Bolognesi DOC
Pignoletto è il nome del vitigno autoctono felsineo da cui si ottiene un vino unico, delizioso ed esclusivo: è giustamente considerato il “Re dei Colli Bolognesi”. Le normative del Ministero dell’Agricoltura e Foreste, in base alle quali il Consorzio Vini Colli Bolognesi è il responsabile che ne tutela la qualità e la sincerità, consentono per almeno l’85% le uve dell’omonimo vitigno. Per il restante 15%, le uve devono provenire da vitigni a “bacca bianca non aromatici”, autorizzate e prodotte solo nel comprensorio Colli Bolognesi. Di questo vitigno particolarissimo non esistono precise e certe documentazioni scritte, ma tanti riferimenti sapienti e fondati. Plinio il
Vecchio nella sua “Naturalis Historia”, scritta nel I secolo d.C., afferma di un vino chiamato “Pino Lieto” che “non è abbastanza dolce per essere buono”, e quindi non apprezzato, poiché è noto che gli antichi romani amavano il vino dolcissimo: da tali affermazioni si può inferire che nell’antichità il Pignoletto era già conosciuto. Il Tanara, nel 1654, col suo trattato “Economia del Cittadino in Villa”, fa precisi riferimenti ad “Uve Pignole” che sono coltivate nelle colline della provincia bolognese. La foglia è pentagonale e trilobata, di colore verde cupo, lucida e liscia superiormente, mentre la pagina inferiore è più chiara. Il grappolo è medio, ma compatto o mediamente
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spargolo, allungato e quasi cilindrico con alatura; mentre l’acino è medio, di forma allungata e di colore verde ambrato. Il tralcio legnoso è lungo, robusto ed elastico, ma poco ramificato e di sezione ellittica; il fusto è di buona vigoria su terreno collinare calcareo, argilloso, molto drenato e ricco di micro e macro elementi, che danno al Pignoletto quelle caratteristiche e particolarità tanto apprezzate e piacevoli. Il germogliamento è abbastanza precoce, verso la seconda decade di aprile, e la maturazione delle uve si ha da metà settembre ai primi di ottobre. L’utilizzazione di queste splendide e particolari uve è solo per la vinificazione, per ottenere così un prodotto decisamente unico. La coltivazione del vitigno è a cordone speronato o a Guyot. Il vino, che ha ottenuto la DOC nel 1985, ha un bel colore giallo paglierino scarico con ri-
flessi verdolini e profumo delicato, fruttato, intenso dei fiori di biancospino; ha sapore secco, armonico, asciutto ed abbastanza persistente; inoltre è fresco di acidità. Il Pignoletto viene prodotto in varie “vesti”: fermo, con caratteristiche e tipicità inalterate; frizzante a fermentazione naturale e presa di spuma in autoclave (charmat) o, per produzioni limitate, anche a rifermentazione naturale in bottiglia; superiore (fermo) con gradazio-
ne alcolica naturale delle uve del 12% vol. La bottiglia è del tipo “bordolese a spalla alta” e tappo raso di sughero, con l’indicazione in etichetta dell’annata di produzione delle uve. Ci sono anche dei tipi spumante metodo Charmat, a rifermentazione termo-regolata in autoclave, e metodo classico, con minimo 9 mesi di rifermentazione in bottiglia champagnotta con tappo a fungo di sughero. Ottimo aperitivo in quanto fruttato, delicato e leggero, è perfetto con antipasti all’italiana, di pesce e tigelle, verdure e uova. È da tutto pasto, ma soprattutto si abbina a carni bianche e formaggi freschi, che ne valorizzano le caratteristiche; coi tortellini in brodo è un autentico classico. Lo si apprezza in ogni occasione, poiché allieta qualsiasi incontro, e per coglierne appieno la tipicità si consiglia di degustarlo giovane, stappando al momento a 8°-10°C. Prodotto tradizionale dell’enogastronomia petroniana, il Pignoletto ha ampi margini per affermarsi commercialmente anche al di fuori della sua provincia: di sicuro interesse, per gli appassionati di altre città e di altre regioni, sono le versioni frizzante e spumante, soprattutto in un momento come quello attuale che tende a premiare il consumo delle bollicine. Lo scorso anno il Pignoletto ha avuto la D.O.C.G. limitata alla versione ferma: una nicchia di circa 100mila bottiglie, su cui i produttori hanno legittime ambizioni (molti infatti sono i premi già ottenuti ai concorsi internazionali, e molti i riconoscimenti entusiasti della critica enologica). Per info: www.collibolognesi.it
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di Piero Valdiserra
Fuori dal coro
Il “talebano” del Pignoletto Statura imponente, sguardo penetrante, aria perennemente concentrata e vigile: stiamo parlando del bolognesissimo Umberto Faedi, giornalista, critico e docente di materie enogastronomiche. Della sua terra Faedi è propugnatore competente e instancabile, con un occhio di particolare affezione per i vini autoctoni. Pignoletto in primis. Al punto da esser etichettato sempre più spesso, fra il serio e il faceto, come “il talebano del Pignoletto”. Da dove deriva tale soprannome? Lo chiediamo direttamente a lui. Umberto, da che cosa nasce il tuo soprannome di “talebano del Pignoletto”? Da una conferenza stampa di qualche tempo fa presso l’ASCOM di Bologna. In quella occasione, il signore che attendeva al rinfresco voleva propormi un calice di vino di fuori Bologna. Al che gli risposi che preferivo un semplice bicchier d’acqua. “Ah – mi fece lui – ma allora è lei il famoso talebano del Pignoletto…” Ti fa piacere o ti disturba questo nomignolo? Non mi disturba affatto. Anzi va benissimo, se può servire alla causa del Pignoletto. Perché serve essere talebani del Pignoletto? Per legittima difesa, mi verrebbe da dire. Se a Bologna non cominciamo a tutelare il Pignoletto, corriamo il rischio che ce lo portino via. Difendere a spada tratta questo vino equivale un po’ a difendere il nostro territorio, con la sua storia, la sua tradizione,
la sua ricchezza a tavola. Penso che sia il momento di passare al contrattacco. Chi dovrebbe passare al contrattacco? Un po’ tutti noi addetti ai lavori, senza dimenticare gli enti, le istituzioni, il Consorzio. Hai un messaggio da lanciare ai produttori? E a tutti gli operatori della filiera? Ai produttori di Pignoletto non posso che fare i miei complimenti, per gli sforzi e i sacrifici indefessi che hanno permesso di migliorare nel tempo la qualità del vino. A chi opera nella distribuzione dico: credete nel Pignoletto, proponetelo, promuovetelo in degustazioni, cene, incontri, convegni.
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E agli opinion leader che cosa diresti? Anche sommelier e giornalisti, soprattutto a Bologna, dovrebbero essere più convinti ed entusiasti nel caldeggiare il bianco di bandiera della nostra terra. Spesso invece si lasciano affascinare dai nettari più strani ed eccentrici, purché provenienti da lontano… Cosa si può fare subito per il Pignoletto? Vedrei bene una serie di iniziative concertate, che potrebbero coinvolgere le istituzioni, le associazioni, i ristoranti e le enoteche, con eventi e banchi d’assaggio, per arrivare a toccare il grande pubblico. Tanto per cominciare: con il Pignoletto Classico abbiamo la seconda D.O.C.G. bianca in regione, ma quanti lo sanno? Perché non lo si comunica di più, e meglio? Qual è il panorama attuale del Pignoletto? C’è una situazione in rapida evoluzione. L’assegnazione della D.O.C. Modena ha
dato un grande impulso ai produttori di oltre Panaro, che da sempre sono conosciuti per la loro intraprendenza commerciale. Sui Colli di Imola non mancano prodotti di notevole interesse e valore, né vignaioli sempre più agguerriti e determinati – un nome fra tutti: Umberto Cesari. La stessa D.O.C. Reno, in passato piuttosto silente, può cominciare a far parlare di sé con Pignoletti di indubbia caratura…In questo scenario di grande fermento, la zona storica dei Colli Bolognesi è forse quella in cui i progetti sono più individuali, episodici e poco raccordati fra loro. Se dovessi usare uno slogan, direi: periferia effervescente, cuore della zona classica a corrente alternata. Sui Colli Bolognesi c’è dunque bisogno di un talebano del Pignoletto? Direi proprio di sì. Anzi, ce ne vorrebbero tanti!
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di Anna Pesenti Buonassisi
Associazioni
Le “Donne del vino” Non molti sanno quanto sia antico il legame tra le donne e il vino. I primi riferimenti si trovano ne “L’epopea di Gilgamesh”, romanzo che risale a 5000 anni fa, scritto in caratteri cuneiformi. Sulle antichissime tavolette di argilla, su cui è scritto il romanzo, i Sumeri riportavano le vicissitudini del re Gilgamesh impegnato in un viaggio alla ricerca dell’immortalità. In un passo si narra che, avendo percorso molte leghe, il re fosse approdato sulla riva del mare, dove aveva incontrato Siduri, la donna con la coppa d’oro e i tini d’oro che vegliava sulle bevande fermentate e che gli aveva insegnato come oltrepassare la distanza che lo divideva dal segreto dell’immortalità. Molti studiosi affermano che in Oriente, circa diecimila anni fa, quando le tribù nomadi cominciarono a capire l’importanza di poter interagire con la natura e di potersi cibare dei prodotti della terra che loro stessi potevano coltivare, la donna avesse un ruolo fondamentale nella trasformazione delle derrate. È, quindi, probabile che sia stata proprio la donna ad essere l’input per attuare i processi di fermentazione sia dei cereali che dell’uva. E ancora in età romana, ed esattamente in età imperiale, Livia, moglie dell’imperatore Augusto, affermava di aver raggiunto la veneranda età di 86 anni in buone condizioni di salute, solo perché aveva sempre bevuto il vino Pucinum. Addirittura in questa epoca si ha il primo esempio di imprenditoria femminile collegata al vino: Caedicia Victrix era una matrona vissu-
ta nell’area napoletana, proprietaria di una tenuta dove produceva il Falerno che commercializzava esportandolo in tutto l’impero, come affermano le bolle delle anfore di vino trovate in Italia, Spagna, Africa, Gallia e Grecia. Nel Medioevo le più potenti badesse, reggenti dei monasteri, possedevano immense distese di terra che adibivano alla viticoltura, in quanto il vino era importante sia dal punto di vista religioso, sia da quello economico, sia come complemento della medicina; infatti la badessa Santa Ildegarda, nella sua opera di erboristeria, scriveva che le infiorescenze e le erbe dovevano essere macerate esclusivamente nel vino. Nel 1700 e nel 1800 abbiamo testimonianze
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del legame speciale tra la zarina Caterina di ed è quello più pregnante, valorizzato per la Russia e il Tokay e tra la favorita di Luigi XV, sua importanza storica perché collegato all’evoluzione della civiltà delle diverse popoMadame de Pompadour, e lo Champagne. A proposito di Champagne fu proprio nel lazioni del mondo, essendo strettamente con700 che Madame Nicole Barbe-Ponsardin ne nesso con la terra, la tradizione, la comunicacreò una nuova marca e lo portò alla ribalta a zione, l’arte, la cultura in senso lato. Non bisogna dimenticare che, grazie al suo livello internazionale. Questo breve excursus è servito a dimostra- spirito materno ed accudente, quando una re come l’attività dell’Associazione Nazionale donna si prende a cuore qualcosa la cura e la “Le Donne del Vino” si immette nel panorama supporta disinteressatamente per renderla e di una tradizione tutta al femminile che vede la farla essere il meglio possibile: così “Le Donne sua nascita agli albori della storia e che è an- del Vino” stanno facendo con il prodotto che tanto le appassiona. data incrementandosi sempre di più. D’altra parte è proprio l’istinto sensibile e “Le Donne del Vino” sono la dimostrazione tangibile di come il genere femminile si sia affer- brillante di una produttrice toscana, Elisabetta mato sempre più nel mondo del vino, sia nella Tognana, che ha permesso la nascita dell’Ascura della produzione e della comunicazione, sociazione, diventata uno dei sodalizi più attivi sia nell’ambito della ricerca, sia in quello del e conosciuti nel vasto e intricato panorama giornalismo di settore, nonché nella degusta- che ruota attorno all’universo enologico. zione e nell’enogastronomia. L’Associazione “Le Donne del Vino” è nata nel 1988 per riunire produttrici di vino che svolgono attività di marketing, donne impegnate in questo settore e che sono enotecarie, sommeliers, ristoratrici, e giornaliste: tutte accomunate da un legame viscerale con il vino, alimentato alla base da una profonda e irrefrenabile passione personale e professionale. All’articolo 3 dello Statuto dell’Associazione, intitolato “Scopi e finalità”, si puntualizza che essa “ha lo scopo di migliorare la conoscenza del vino attraverso tutti i canali possibili, organizzando incontri, degustazioni, dibattiti, tavole rotonde, viaggi studio, corsi di aggiornamento, con particolare attenzione al mondo femminile”. Da queste parole si evince che il vino viene da un lato sicuramente preso in considerazione come proUn ritratto di Barbe-Nicole Clicquot Ponsardin dotto commerciale, ma dall’altro,
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È significativo che le donne abbiano un ruolo sempre più ragguardevole in un ambito di impronta prettamente maschile e che proprio loro, unendosi insieme, siano riuscite ad arricchirlo con la saggezza della loro femminilità che mette insieme quella delicatezza che sa rispettare l’armonia organizzativa e sociale indispensabile per la sopravvivenza di un’azienda con la determinazione di voler crescere e con la tenacia di non voler demordere mai, nonostante gli ostacoli e il lavoro duro, pur di promuovere questo inebriante prodotto. Tre sono le ragioni fondamentali che hanno portato a questo sodalizio dell’Associazione de “Le Donne del Vino”: la presa di consapevolezza che le donne, da sempre impegnate a lavorare nelle aziende vinicole quasi nell’ombra, hanno acquisito in modo esponenziale sulle loro capacità imprenditoriali; il loro ingresso in settori limitrofi a quello vitivinicolo, come la ristorazione e le enoteche; il cambiamento che si è prodotto nel mondo delle consumatrici, per le quali è diventato necessario
saper distinguere personalmente un vino di qualità, in modo da gustarlo in modo consapevole ed essere in grado di abbinarlo al cibo sia per una soddisfazione propria che per accogliere in modo impeccabile e raffinato i propri commensali o i propri clienti. L’Associazione ha una delegata per ciascuna regione d’Italia; inoltre il Consiglio Direttivo è composto da una Presidente, l’attuale è Elena Martusciello, e da due Vicepresidenti, le attuali sono Cristina Ascheri e Nadia Zenato, da otto Consigliere, da una Tesoriera, dal Consiglio dei Probiviri e da una Segretaria. Cinque le Presidenti che si sono avvicendate alla guida dell’Associazione dopo la fondatrice: Adele Vallarino Gancia, Franca Maculan,
Il Presidente dell’Associazione Donne del Vino, Elena Martusciello, tra le vigne
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Pia Donata Berlucchi
Giuseppina Gregorio Viglierchio, Pia Donata Berlucchi ed Elena Martusciello. In particolare Pia Donata Berlucchi si è particolarmente distinta per l’impronta di incentivazione letteraria e culturale che ha dato all’Associazione tramite diverse iniziative come quella del libro “Il Racconto mai scritto”, mentre Elena Martusciello sta puntando maggiormente all’accrescimento del marketing, tramite per esempio l’organizzazione di viaggi, come quello in Canada, fortemente voluto al fine di dare nuovo slancio all’esportazione del vino italiano di qualità, o quello in California per confrontarsi con la realtà di questa terra e riscontrarne le similitudini e le differenze con la nostra, sempre per poter avere uno spunto per migliorare le nostre produzioni. Visto il successo dei viaggi, la Presidente Martusciello ha già dichiarato la sua ferma intenzione di organizzarne altri.
Di grande rilievo sono stati i Convegni Nazionali sempre riguardanti argomenti variegati, ma di grande interesse culturale, come quello tenutosi a Napoli nel 2005 dal titolo “Donne e Vino: mito, storia e realtà attuale”, quello di Milano del 2006 in cui si è presentato il libro “Il Racconto mai scritto” e il successivo che, invece, spaziava su tematiche musicali, “DOMi...Due note per un incontro sul vino”, e di natura anche prettamente imprenditoriale, come quello del 2008, svoltosi nell’ambito del Vinitaly di Verona in occasione dei festeggiamenti per i vent’anni dell’Associazione, “Un percorso al Femminile dell’imprenditoria enogastronomica, dalla terra alla comunicazione”, e quello del 2009 che ha visto la presentazione di un altro libro, ma di matrice economica, “Scenari di Marketing del Vino - Una prospettiva al femminile” a cura di SDA Bocconi. Ormai è anche imperdibile la visita allo stand che “Le Donne del Vino” allestiscono in occasione del Vinitaly e soprattutto la visita al ristorante, già presente da tre anni, in cui alcune Associate Chef permettono di degustare piatti unici, tipici di alcune regioni, insieme con la squisitezza del vino appropriato ad esaltarne il gusto. Quest’anno passato nel trionfo dei festeggiamenti per l’Unità d’Italia sui tavoli bistrot o in comodi salottini gli intervenuti hanno potuto assaggiare, accompagnandole con un bicchiere scelto tra i 150 vini, amari e grappe pre-
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senti, le più diverse varietà di salumi, formaggi e dolci provenienti dalle regioni della nostra penisola, a sottolineare come “Le Donne del Vino” vogliano dimostrare che l’arte enogastronomica sia un fenomeno di alto livello in tutte le parti d’Italia, ossia di come le tradizioni regionali abbiano fatto scuola di cucina in tutto il territorio con la creazione di una miriade di prodotti tipici validi e sfiziosi. Io, che ho partecipato alla fondazione dell’Associazione, sono stata fiera del nostro ingresso nel 2005 all’interno dell’International Associated Women in Wine (I.A.W.I.W.) che comprende poco più di una decina di Nazioni nel mondo. Nel 2007 abbiamo avuto l’onore che il Convegno Mondiale dell’I.A.W.I.W., che ogni anno cambia ubicazione, si tenesse proprio nella nostra Italia ed esattamente a Merano; mentre nel Marzo 2011 l’Assemblea Mondiale dell’I.A.W.I.W. si è svolta presso i Campi Flegrei (Na). Non per niente la stampa mondiale ci ha definite un “Italian Phenomenon”. Tutto questo, però, ci è costato tanta fatica e abbiamo dovuto pagare il duro prezzo della serietà, dell’impegno, della professionalità, ma ci siamo riuscite mantenendo vive l’eleganza, la cultura e le tradizioni della nostra terra italiana, un sottile equilibrio fra razionalità e sentimento, un binomio straordinario che non è dato a tutti raggiungere. Donne semplici per lavori semplici perché legati a ciò che noi abbiamo di più sostanziale, ossia la nostra terra: questo caratterizza “Le Donne del Vino” di oggi, tra le quali si profilano sempre più ragazze giovani. Sono stata orgogliosa anche della targa che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ci ha conferito l’8 Marzo del 2011 in occasione della festa della Donna per il ruolo che il “gentil sesso” ha avuto in un settore italiano
di eccellenza, quale quello enogastronomico. Il riconoscimento, oltre a dimostrare che l’impegno dell’Associazione acquisisce sempre più importanza a livello nazionale, gratifica le Associate sul lavoro svolto. Cosa molto gradita è stato il fervido augurio che Napolitano ha rivolto all’Associazione affinché prosegua con zelo ed esiti sempre più proficui la propria attività. Tanti e prestigiosi riconoscimenti che sostengono e aumentano la mia ammirazione per ciò che le donne hanno fatto e stanno continuando a fare sempre per valorizzare nel modo migliore i prodotti che la terra ci offre.
“Le Donne del Vino” sono riuscite a diffondere a livello nazionale ed internazionale il valore culturale del vino, che, come testimoniano numerose opere artistiche del passato e arie famose della musica lirica, è sempre stato vicino alla musica, alla pittura, alla scultura, quindi testimone e protagonista di vera arte. La “Donna” è riuscita a recuperare questi valori che, presenti fin dall’antichità, erano stati messi da parte a favore del puro business. Ecco perché è certo che il vino dà tanto e ha dato tanto alle donne, ma che esso, se potesse parlare, dovrebbe ringraziarle perché sono solo loro che ne hanno permesso la sua riscoperta nella pienezza di ciò che rappresenta veramente.
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Prossima Apertura
Spazio Abbadesse, tra tradizione e modernità La scelta del luogo dove realizzare un evento - sia esso una mostra oppure un rinfresco, un convegno o anche solo una serata tra amici - non deve essere mai casuale. Per la buona riuscita di una manifestazione, la location non è importante, è fondamentale. Esistono luoghi che hanno un fascino particolare: sono quelli che hanno una storia da raccontare. Luoghi che portano il segno del lavoro dell’uomo e dove si respira un’aria unica, inconfondibile. La location dove realizzare eventi, soprattutto di rappresentanza e promozione, deve essere anche facilmente raggiungibile e comoda, magari nel centro di una grande città come Milano. Un luogo con queste caratteristiche, proprio nella metropoli meneghina, esiste, è Spazio Abbadesse: un grande open space su due livelli perfetto per manifestazioni ed eventi, ma anche per ospitare conferenze, corsi di formazione e show room. Spazio Abbadesse è un locale unico nel suo genere in quanto offre l’innovativa formula “Cena & Spettacolo”, dove la migliore espressione della cucina si coniuga con spettacoli di livello internazionale. Insomma, per soddisfare qualsiasi esigenza istituzionale o aziendale, Spazio Abbadesse è la vetrina ideale per chi vuole farsi conoscere a Milano.
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Il personaggio
Vincenzo Buonassisi Il 25 gennaio 2004 ci ha lasciato Vincenzo Buonassisi, grande giornalista e scrittore esperto di musica, televisione e costume ma con una grande passione: la gastronomia. E’ stato il primo a rendere la cucina spettacolare e al tempo stesso alla portata di tutti, scrisse oltre 40 libri di enogastronomia, in tv presentò per dieci anni “l’Almanacco del giorno dopo”, contribuì alla creazione dell’Accademia della Cucina, del “Piatto del Buon ricordo”, della rivista “Civiltà del bere”, ha partecipato a innumerevoli convegni, simposi, mostre e manifestazioni internazionali dedicate alla cucina italiana. Fu un esempio di critico gastronomico al quale dovrebbero far riferimento tutti coloro che si occupano di cibo e di vino; gentleman gentile e pieno di umanità non ha mai scritto un rigo negativo nei confronti dei ristoranti che era chiamato a giudicare; per rispetto di chi lavora se non apprezzava la cucina di un locale non lo scriveva, semplicemente non ci andava più. D’accordo con Anna Pesenti, signora dello spumante italiano, sua preziosa compagna di vita, “Gustare l’Italia” vuole ricordarlo dedicandogli il premio “Il vino in pentola” che verrà consegnato ad Alberobello nella regione che Buonassisi ha molto amato e alla quale ha dedicato molti
suoi articoli e libri “La Puglia dell’uva e al vino” e “Viaggio in Puglia”. Il premio se lo aggiudicherà l’autore della migliore ricetta dove sia presente anche il vino e sarà consegnato in occasione della “Mostra del libro di enogastronomia” che si terrà dal 25 al 27 maggio ad Alberobello.
Di seguito ne ricordiamo alcune segnalate da Buonassisi insieme all’articolo di presentazione che nell’aprile del ’96, in occasione della 30° edizione del Vinitaly, aveva scritto per “Sapori d’Italia” la rivista fondata e diretta da Cino Tortorella.
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il rosato, produce appunto effetti diversi; e c’è da dire poi che le cose cambiano ancora quando si usano vini di gradazione molto alta, come certi vini da dessert, oltre agli alcolici e i superalcolici. Ma ora dobbiamo chiederci: chi ha avuto per primo l’idea di aggiungere vino, o altro, in tegame o in pentola? Nel mondo greco e romano, di cui abbiamo ampia notizia, certamente nessuno: e prima, meno ancora. L’idea venne in età più vicina a noi; e si deve pensare che siano stati i francesi i primi a mettere vino nelle loro ricette. Questo avvenne presumibilmente quando nella loro civiltà la cucina venne sempre più acquistando prestigio e raffinatezza, dopo il Medioevo; sia per l’influsso del Rinascimento italiano, soprattutto ad opera dei cuochi al seguito delle regine medicee.
Vino e cucina
Se ci si mette, come feci io una volta, a elencare tutte le ricette di cucina in cui entra il vino: sono qualche centinaio. In più ci sono quelle con i liquori e i distillati. Il fatto è che il vino in buona parte sul fuoco evapora (è in gran parte acqua) ma quel che rimane influisce molto sulla cottura, sul sapore e sull’aroma dei cibi. Influisce prima di tutto il tannino, presente nei vini rossi, col suo “effetto conciante” che produce trasformazioni chimiche nella struttura degli alimenti in cottura, rendendoli più morbidi, ed esaltandone il profumo. Altre sostanze, specialmente presenti nei vini bianchi, aggiungono aroma e altre sfumature di sapore. Questo è evidente in particolare in certe ricette, in cui la presenza del vino, tanto il rosso quanto il bianco, o in misura intermedia,
di Vincenzo Buonassisi
Il vino in pentola
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Abbiamo un dato sicuro, ed è questo. Quando le armate francesi, guidate da Napoleone, imposero la nascita della repubblica Cisalpina, con capitale Milano, molte ripercussioni si ebbero in tutta la nostra penisola, nel modo di vivere, e anche a tavola. Tra l’altro, si incominciò a usare anche da noi in cucina, il vino; come veniamo a sapere, per esempio, dalla evoluzione del risotto alla milanese. Da qui prendiamo dunque le mosse, per una breve serie di esempi pratici. Sono soltanto ricette col vino. Altre con gin, grappa, acqueviti varie, le proporremo, se possibile, un’altra volta. Partiamo dunque dal risotto alla milanese; quando se ne parla il punto è sempre uno: ci vuole o non ci vuole il vino? Secondo la tecnica culinaria ortodossa, non ci dovrebbe essere vino, che ha il compito, negli intingoli, di alleggerire, consumare i grassi; mentre il risotto è basato sul principio che ogni chicco assorba i condimenti: non ci deve essere fondo cottura, intingolo. E fino a un certo periodo, fino ai primi dell’Ottocento, il vino infatti non compare nella ricetta del risotto alla milanese. Compare dopo, forse per un’estensione eccessiva del gusto francese, che influenzava in quel periodo tutte le mode, il costume, l’arte e via dicendo; e dobbiamo riconoscere a questo punto che anche contro l’ortodossia una spruzzata di vino nel risotto ci sta bene. Ma che sia proprio una spruzzata, verso la fine, quando i chicchi sono pronti e questa aggiunta serve non più alla cottura ma a conferire una certa sfumatura di aroma, di sapore.
Concludendo: sia data cittadinanza sia al risotto senza vino, sia a quello col vino. Che poi sia rosso o bianco, qui incomincia un’altra diatriba. Basterà dire che il rosso influisce sul colore, toglie quello stupendo effetto giallo prodotto dallo zafferano, o almeno lo attenua; anche se può offrire altri vantaggi nel gusto. Il vino bianco dà una sfumatura di gusto più raffinata, fragrante. Insomma, ognuno decida come preferisce. Per altre ricette invece è necessario attenersi scrupolosamente al vino indicato (per ciò che riguarda il colore, mentre per il vitigno potete scegliere quello della vostra predilezione).
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Risotto alla milanese con il Bianco dell’Oltrepò Pavese Prima che scurisca e tenda ad attaccarsi, però bagnatelo con il primo mescolo di brodo (ideale quello fatto con manzo, vitello e gallina). Man mano che il brodo si consuma, aggiungete ancora. Quando il risotto è quasi giunto a cottura, unite lo zafferano - una presa più o meno consistente, secondo i gusti - che avrete sciolto però preventivamente in un poco dello stesso brodo; mescolate, amalgamate, e a questo punto date una bella spruzzata di vino bianco. Ancora un paio di mescolate, togliete dal fuoco, mantecate il risotto incorporandovi il resto del burro fresco e il formaggio grattugiato. Servite immediatamente.
Ricette
Ingredienti per 4 persone: 600 g di riso Vialone; 150 g di burro; 120 g di parmigiano; 80 g di midollo di bue; 1 cipolla; zafferano; brodo di carne; sale; vino bianco Procedimento: Scaldate metà del burro in un tegame, unite la cipolla mondata, affettata sottilmente, oppure tritata; lasciate che diventi traslucida, senza prendere colore, unite anche il midollo e lasciate che si disfi. Unite il riso - alcuni prima tolgono al cipolla, ma perché non lasciare che si disfi anch’essa dolcemente? - e lasciatelo un poco “abbrustiare”, come dicono le antiche ricette, fate cioè che diventi ben asciutto, rimescolando sempre col classico mestolo di legno.
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Cotechino allo spumante Ingredienti per 4 persone: 1 bel cotechino. 1 grossa scatola di crauti, pancetta, 1 bottiglia di spumante Procedimento: Questo è un piatto tanto semplice e gustoso, quanto spettacolare. Sul fondo di una pirofila deponete i crauti, formando una soffice couche, sulla quale disporrete il cotechino, contornato da fettine di pancetta non troppo sottili. Coprite tutto di spumante e mandate al fuoco. Quando lo spumante sarà completamente evaporato - ci vorranno un paio d’ore - il cotechino sarà pronto. Passatelo, tagliato a fette, in piatto di servizio; mettete intorno crauti e pancetta. Servite subito, ben caldo.
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Spaghetti con le cozze imbriache Ingredienti per 4 persone: 400 g di spaghetti; 500g di cozze freschissime; ¼ di l di vino bianco; 300 g di pomodori da sugo; 1 spicchio d’aglio; 80 g di olio d’oliva; 1 peperoncino piccante; sale. Procedimento: pulite e raschiate le cozze che laverete in acqua corrente. Mettete in un tegame con coperchio assieme al vino al bianco e date loro un colpo di fuoco vivace perché si aprano tutte le valve. Recuperate tutti i “frutti” e conservate l’acqua formatasi durante l’apertu-
ra. Mettete al fuoco un tegamino con l’aglio e olio, lasciate rosolare, togliete l’aglio ed aggiungete il pomodoro pelato sminuzzato. Dieci minuti di fuoco ed unite poca acqua delle cozze filtrata. Quando il sugo si sarà ristretto, unite i molluschi e il peperoncino in misura modesta. Ancora qualche attimo di fuoco e la salsa è pronta per condire gli spaghetti cucinati al dente. Facoltativa l’aggiunta di prezzemolo tritato. Niente formaggio!
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Per chi, dopo aver visitato le luminose viuzze che ad Alberobello serpeggiano tra le architetture dei trulli, non sia ancora sazio di immagini e di sensazioni particolari, non resta che includere nel suo itinerario una visita al Museo del Vino allestito all’interno della Cantina Albea. Fortemente voluto dal cav. Renzini, il Mastro Dante televisivo, che ha rilevato la storica Cantina Albea, il Museo è un tributo alla cultu-
ra enologica ed agricola di questo territorio e di tutta la Puglia; è collocato negli ampi spazi del piano superiore della cantina, interessante esempio di architettura industriale del XX secolo e ne e’ parte integrante. Il visitatore ha modo di apprezzare, mettendo a confronto i vecchi attrezzi agricoli e le moderne tecnologie della cantina, l’evoluzione che ha segnato la crescita ed il miglioramento della produzione dei vini pugliesi.
I Musei del vino
di Claudio Sisto (Direttore Tecnico Cantine Museo Albea)
Il Museo del Vino e dell’arte contadina di Alberobello
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Visita istruttiva e gradevole perché si può ammirare una ricca raccolta di antichi strumenti agricoli, alcuni dei quali dello stesso tipo in uso prima della nascita di Cristo e ancora utilizzati fino a qualche decennio fa. Insieme a vanghe, zappe, forche, gioghi, che recano i segni del faticoso lavoro dei contadini pugliesi ed a tini, torchi e botti, dove aleggia ancora il profumo del mosto e del vino, c’è anche una ricca documentazione fotografica, che conduce il visitatore attraverso un itinerario visivo mettendolo a conoscenza delle varie tecniche di
vinificazione adottate in passato fino ad arrivare a quelle raffinate e sofisticate del giorno d’oggi. Il Museo del Vino della Cantina Albea, può considerarsi a tutti gli effetti il simbolo del rinascimento enologico pugliese che ha porta-
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to ai massimi vertici i suoi vini eccellenti, oltre a rivalutare le tante peculiarita’ di un territorio nato per produrre vino e gente ricca di una cultura millenaria di esperti coltivatori. Il Museo è aperto a tutti, ma in particolare vuol sollecitare l’interesse dei più giovani e ridestare negli anziani vecchie memorie appena sbiadite che non devono perdersi nel tempo; costoro riconosceranno lungo il percorso, le fasi della loro vita e i segni della fatica che ha segnato la loro crescita, quando il lavoro della potatura delle viti, la raccolta dell’uva, la cantina e la cura dei terreni, richiedevano un’enorme sforzo fisico, non sempre compensato da risultati soddisfacenti. E’ una struttura viva ed in continua crescita, grazie al contributo di quanti mettono a disposizione, attraverso donazioni, importanti reperti storici del passato e materiale documentario che rendono sempre piu’ interessante questa iniziativa culturale che sta diventando una meta per i tanti turisti e studiosi che visitano Alberobello e la splendida Valle d’Itria. Per info: Museo del Vino e dell’Arte Contadina - Via Due Macelli, 2 - Alberobello (BA) Tel. 080.4323548 - www.albeavini.com
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Potrebbe sembrare un postulato scontato quello sul turismo del vino, ma sono fermamente convinto che molte aziende del Sud Italia e soprattutto di Puglia, regione in cui lavoro e vivo, non hanno ancora percepito che la salvezza del loro fatturato e soprattutto della loro immagine sta nella considerazione che il marketing del turismo del vino non è semplicemente un modo per arrotondare il fatturato, bensì la via d’uscita per salvarlo, consolidarlo e differenziarlo; aumentando la liquidità la cui mancanza oggi mette in crisi molte aziende viti-vinicole. Credo sia assolutamente da dimenticare in questo momento storico l’idea di fare delle nostre cantine una “griffe dell’enologia”, di chiuderci al loro interno come nei palazzi inaccessibili degli zar e di dedicare solo qualche giornata,
magari durante cantine aperte, ai comuni enoappassionati per visitare le nostre aziende agghindate a festa per l’occasione. Al contrario è necessario abbracciare l’idea che mettere al centro della nostra attività il turista, il consumatore finale sia l’unica strada per accrescere la promozione del brand, oltre che la definizione mirata delle nostre etichette e soprattutto la crescita di un business soprattutto quando correlato a una serie di attività connesse. Prima tra tutte la ristorazione del circondario, che deve percepire l’attività continua per tutto l’anno delle cantine come una azione strategica per i loro affari e non un’attività concorrenziale nei loro confronti. Investire nelle nostre cantine al fine di valorizzare gli spazi, organizzare visite ai nostri vi-
Turismo del vino
di Claudio Sisto (Direttore Tecnico Cantine Museo Albea)
Il turismo salverà le nostre cantine
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gneti, far partecipare il consumatore finale alle attività in vigna o in cantina per tutto l’anno è una soluzione per moltiplicare un fatturato immediato e certo. Le sinergie commerciali con tutte quelle attività che accrescono l’accesso alle cantine, devono essere cercate e gestite con massima attenzione, dal tradizionale corso di cucina e gastronomia tipica con abbinamenti ai vini, a serate di musica e teatro, spettacoli, cerimonie e congressi, Iniziative varie che leghino le nostre aziende non semplicemente a un sito produttivo quanto a un centro emozionale che sul filo dell’enogastronomia accolga il consumatore, turista quanto cittadino del posto e lo indirizzi in percorsi di gusto, cultura e intrattenimento che inevitabilmente comunicato con diverse lingue tutto ciò che circonda un calice di vino, che verrà poi acquistato, apprezzato e promosso ad amici e parenti. Le nostre cantine diventano luogo di incontro, di cultura gastronomica, di storia della civiltà contadina e momento di ricordo e di memoria, quindi momento di riflessione antropologica e sociale. L’aumento delle vendite dirette, legato all’introito derivante da iniziative collaterali di spettacolo, didattica e per chi può farlo di vero e proprio turismo rurale e gastronomico non è un disperdere le energie, al contrario è il modo per aumentare liquidità immediata e indirettamente di sottolineare il legame della vinicola al proprio territorio di appartenenza e alimentare un interesse socio-culturale che aumenterà di conseguenza il valore del brand, oltre che a consolidare i rapporti con le aziende collaterali alla nostra attività. Non dobbiamo dimenticare l’aiuto che in Italia il Movimento Turismo del Vino può dare alle nostre aziende. Il settore del turismo enologico vanta infatti un giro d’affari di 2,5 miliardi con una presenza di 3,5 milioni di visitatori.
Questi numeri ci devono far riflettere sulle potenzialità di questo settore e di pari passo spostare i nostri investimenti in tale direzione. Regaliamo ai nostri clienti tre giorni tra i trulli della Valle d’Itria, in città patrimonio Unesco quali Alberobello, o tra i vigneti ad Alberello nel Salento o ai piedi del Castel del Monte, dove i vini pugliesi saranno protagonisti e veicolo per
Claudio Sisto, Direttore Tecnico Cantine Museo Albea
conoscere la nostra ristorazione, la nostra ospitalità e la nostra cultura. L’enogastronomia turistica è dunque la parola d’ordine per affrontare questo momento di grossi cambiamenti, direi senza dubbio di rivoluzione nel nostro settore che ci chiede risposte diverse da quelle sin qui conosciute, risposte manageriali che chiudano la pagina degli arricchimenti e delle iper produzioni di massa per aprire a una produzione di qualità consapevole e dagli standard elevati, ma accessibili.
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della Redazione
Novità in cantina
I nuovi nati di Cantina Albea
Ad Alberobello, nell’Eno-azienda del cavalier Dante Renzini, hanno visto la luce del bicchiere quattro vini che formano la linea “Due Trulli Selezione”, al debutto a Prowein, a Dusseldorf, e a Vinitaly, a Verona. Dopo tante ricerche effettuate e suggerimenti ricevuti, anche l’ultimo vino, concepito nella Cantina - Museo Albea ad Alberobello (Ba), è stato battezzato con un nome ad hoc, scelto dal titolare in persona, Dante Renzini, che racconta: «Appena prodotto, ho chiamato il Verdeca semplicemente “Albea”, ma poi ho pensato che la sua delicatezza ed eleganza meritavano un appellativo più appropriato che rendesse inconfondibile questo “nettare di Bacco”, derivato dal vitigno base delle Doc
Locorotondo e Martina. Ispirandomi alle caratteristiche del territorio d’origine e alla struttura del vino, chiaro e fresco, ho voluto denominarlo “Trullo Bianco”, anche in onore del simbolo di questo lembo di Puglia». Ma dalle vigne di Mastro Dante in Valle d’Itria, sono nati recentemente altri vini “blasonati”, come riferisce l’enologo Claudio Sisto, responsabile di Albea: «Oltre al bianco Verdeca, abbiamo messo a punto tre vini rosso-rubino: il Nero di Troia Igp Puglia “Nero Lucente”, aromatico e con ottimo corpo e buona persistenza; il Negroamaro Salento Igp “Sole del Sud”, di media struttura e con nota amarognola, e il Primitivo Salento Igp “Nobile Latino”, corposo, pieno e vellutato. Con que-
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ste bottiglie abbiamo così completato la nuova linea “Due Trulli Selezione”, contraddistinta appunto in etichetta dall’immagine della tipica costruzione di Alberobello». Per gli ultimi “arrivati” in Casa Renzini nemmeno il tempo di sostare in Cantina che già si profilano all’orizzonte uscite importanti, al seguito dell’instancabile ambasciatore dell’Alta Enogastronomia made in Italy, sempre con la valigia in mano: «Per un degno battesimo del “Trullo Bianco” e il debutto della linea “Due Trulli Selezione”, niente di meglio di Dusseldorf dove eravamo presenti, anche con i nostri salumi, alla Fiera Prowein - rivela Dante Renzini - I prodotti d’alta norcineria a marchio accompagneranno le etichette di Albea anche a Verona, al Vinitaly, dal 25 al 28 marzo». Alla manifestazione della città veneta, Verdeca & Co. saranno tra i protagonisti di una giornata molto particolare, sulla quale Claudio Sisto fornisce un’anticipazione: «Alla Fiera di Verona, il martedì 27 marzo sarà dedicato all”enogastronomia turistica”, in collaborazione con l’Associazione Ristoratori di Alberobello e un tour operator del paese. “Il comune obiettivo è quello di rafforzare l’acquisto del vino attraverso la vendita del suo territorio ai turisti, unendo la qualità dei vini Al-
bea alla eccellenza e alla tradizione della gastronomia locale. Nella giornata, i piatti tipici di Alberobello saranno abbinati ai nostri vini e verranno proposti pacchetti turistici relativi alla zona, comprensivi di soggiorno in un trullo e di visita alla cantina e al museo».
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di CIno Tortorella
Iniziative
Incontri e iniziative al Museo del Vino Dante Renzini ha chiesto a Cino Tortorella, il Direttore Editoriale di “Gustare l’Italia”, di assumere la direzione del Museo del Vino. Cino ha accettato con entusiasmo perchè è da sempre interessato al mondo dell’enogastronomia; è certo più noto come autore, regista e presentatore di numerose trasmissioni televisive di successo (Chissà chi lo sa, il Dirodorlando, Bravo Bravissimo, lo Zecchino d’Oro, la Bustarella, Giococittà e molte altre) ma pochi sanno che è anche un raffinato gourmet e giornalista gastronomico. Ha curato per 12 anni la rubrica “Il pranzo di Babette” sulla rivista “Grand Gourmet”, ha fondato e diretto il mensile “Sapori d’Italia”, ha firmato al regia di molte trasmissioni di cucina sulla Rai, Italia 1 e Antenna 3. Fra poco uscirà il suo libro “Regalati un sorriso (anche a tavola)”. Tortorella con l’equipe di “Gustare l’Italia” e “Radio Globale” (radio ufficiale della Cina gestita dalla Idini Consulting), si è messo subito al lavoro e sta preparando alcune interessanti iniziative che coinvolgeranno l’Amministrazione Comunale di Alberobello, la
Provincia di Bari, la Regione Puglia e le più importanti tv locali. Alcune di queste iniziative verranno presentate durante i giorni del Vinitaly (Verona: 25-28 marzo) e pubblicizzate sul sito www.gustarelitalia.it. Eccone alcune qui di seguito:
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“Perché anche la Gola?” È una proposta indirizzata alle autorità religiose per cancellare la Gola dai vizi capitali. Il Museo del vino riprende la crociata iniziata da Lionel Poilane, un panettiere francese inventore della famosa “baguette”, che voleva presentare al Papa la petizione “De la Question Gourmande” che implorava il Vaticano di depennare la Gola dai peccati capitali. Non senza valide argomentazioni: si tratta di una colpa che nemmeno appare nel decalogo che Dio presentò a Mosè sul monte Sinai: fu inserita tra i peccati solo nel V° secolo dal monaco Giovanni Cassiano che aveva individuato otto “vizi” capitali, quelli che senza un duro e sofferto perntimento portano diritti all’inferno: Lussuria - Ira - Invidia - Superbia -
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Avarizia - Accidia Tristezza e Gola. Qualche secolo dopo Tommaso d’Aquino ne introdusse ufficialmente nel Catechismo soltanto sette, eliminando la Tristezza. Non tutti i suoi confratelli però furono d’accordo; niente da obiettare sulla Lussuria, che spesso degenera nell’abiezione, nella violenza, nella prevaricazione sui più deboli; tutti d’accordo sull’Ira, che provoca guerre e delitti, sull’Invidia, sulla
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Superbia, sull’Avarizia che uccide la solidarietà e la generosità; ci fu qualche perplessità sull’Accidia, che è generata dalla noia, dallo scoraggiamento, dalla solitudine, ma è difficile che provochi danni se non a se stessi. Ma perché - si chiesero in molti - considerare mortale il peccato di Gola? Che male si fa - si domandarono - a gustare con piacere i doni che la Natura elargisce con generosità? Perché mettere sullo stesso piano un delitto provocato dall’Invidia o dalla Superbia e il godimento di un cibo mangiato in allegria con amici e magari seguito da canti e danze e invenzioni poetiche? Tutto però fu inutile: per l’autore della “Summa Teologiae” i Peccati Capitali dovevano essere sette e sette rimasero, compresa la Gola. Nei secoli che seguirono molti preti si dimenticarono di comminare recite di pateravegloria a chi confessava il peccato di aver mangiato con avidità un cosciotto di agnello o un piatto di agnolotti e molti Vescovi, Cardinali e perfino Papi sono stati colti dal dubbio se la Gola fosse da considerare un “peccato” e per giunta - “capitale”.
Nessuno è però mai intervenuto a correggere la decisione di Tommaso, forse anche per rispetto, dal momento che era stato anche santificato. Noi di “Gustare l’Italia”, organo ufficiale del Museo del Vino, siamo giunti alla conclusione
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che 600 anni dopo la decisione di San Tommaso sia giunta l’ora di fare qualcosa di concreto e di definitivo per riparare a questa che - secondo noi - è un’ingiustizia e pensiamo che, proprio come era già accaduto per la Tristezza, sarebbe opportuno cancellare dai Peccati Capitali la Gola, che nei secoli ha dato gioia, ha invitato all’amore, alla poesia, alla bellezza. Dal 14 al 15 aprile, la settimana dopo Pasqua, a Quaresima ultimata, avrà luogo al museo di Alberobello l’iniziativa “Perchè anche la
gola?” durante la quale si inviteranno le Autorità religiose a prendere in considerazione la proposta del panettiere Poilane e cancellare la Gola dai peccati capitali. Verranno invitate importanti autorità religiose e personaggi della cultura che dibatteranno la questione e si confronteranno in una tavola rotonda sul tema. Nel corso della manifestazione, si procederà alla raccolta di cibi che verranno inviati ai bambini di una comunità tenuta da religiosi in un paese del terzo mondo.
“Mostra del libro di enogastronomia” - 25/27 Maggio Verranno presentate le pubblicazioni più importanti edite dal 2011 e nei primi mesi del 2012. Una giuria di esperti avrà individuato la pubblicazione migliore il cui autore sarà invitato a ricevere il premio. Verrà premiato anche il vincitore dell’iniziativa “Il vino in pentola” che sarà intitolato a Vincenzo Buonasissi, il maestro e critico di enogastronomia autore di mol-
ti libri e autore e presentatore della rubrica di gastronomia della trasmissione l’”Almanacco del Giorno Dopo”. Questa iniziativa sarà pubblicizzata durante il Vinitaly e in seguito attraverso i vari siti web invitando tutti a inviare al Museo la ricetta di un piatto che abbia fra i suoi ingredienti (non necesariamente quello principale) anche il vino.
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“I giorni del peperoncino”(da un’idea di Cino Tortorella) - 22/24 Giugno In occasione del Vinitaly verrà lanciato il referendum “Il peperoncino d’Italia 2012”, per indicare il personaggio che per carattere, personalità e temperamento sia meritevole di questo titolo “piccante”. Lo scorso anno il titolo se lo aggiudicò Vittorio Sgarbi; quest’anno dovrà essere individuato fra una rosa dei seguenti personaggi selezionati dagli organizzatori e indicati in rigoroso ordine alfabetico: Aldo (del trio Aldo, Giovanni e Giacomo), Renzo Arbore, Lino Banfi, Roberto Benigni, Claudio Bisio, Giuseppe Cruciani, Geppi Cucciari, Elio (delle storie Tese), Vittorio Feltri, Rino Gattuso, Ezio Greggio, Michelle Hunziker, Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, Luciana Littizzetto, Gualtiero Marchesi, Marco Pannella, Daniela Santanchè, Roberto Saviano, Marco Travaglio, Simona Ventura. Le votazioni, libere a tutti, possono essere indirizzate alla mail info@lineaeditoriale.it e si concluderanno il 31 maggio.
Il personaggio più votato verrà invitato al Alberobello in occasione de “I giorni del peperoncino” realizzati dal Museo del Vino in collaborazione con l’”Accademia del peperoncino”, e in una serata in suo onore si aggiudicherà il titolo e un premio consistente nel corrispettivo del suo peso non in diamanti, secondo l’usanza dell’Aga Khan, ma in qualcosa di molto più prezioso: i prodotti tradizionali della gastronomia pugliese come olio, vini, formaggi, salumi, frutta, dolci e, naturalmente, tanto peperoncino. Nei tre giorni si terrà ad Alberobello una mostra di prodotti a base di peperoncino e i ristoranti della zona presenteranno nei loro menù i piatti più prelibati con il piccante frutto.
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“Ricordatevi del Sud” -
A partire dal mese di ottobre riappariranno nelle librerie le guide enogastronomiche (dalla Michelin all’Espresso, al Gambero Rosso e così via). Da tempo il mensile “Gustare l’Italia”, organo ufficiale del Museo del vino di Alberobello, denuncia la mancanza di attenzione di queste pubblicazioni nei confronti del Sud; i ristoranti del Meridione sono regolarmente ignorati o sottovalutati con un danno per l’Economia e il Turismo di regioni per le quali si dovrebbe avere un occhio di riguardo non essendo certo le più ricche e felici del Paese. È un fatto che un locale famoso per la piacevolezza della sua cucina faccia aumentare il movimento turistico e sia di conseguenza un incremento per l’economia. L’iniziativa “Ricordatevi del Sud” si rivolge agli ispettori delle varie Guide che spesso usano per il Meridione un metro di giudizio del tutto diverso che per il Nord, con valutazioni superficiali o addirittura false (è più facile per molti ispettori andare da Milano a Pizzighetto-
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ne (Cremona) piuttosto che avventurarsi fino a Canicattì (Agrigento) o a Noci (Bari) e molti giudizi vengono dati per sentito dire rimasticando cose scritte da altri o ripetendo quelli scritti anni prima). Si inviteranno al Museo del vino i più importanti critici gastronomici del Meridione e personaggi del mondo politico; insieme si stilerà un documento da far arrivare alle direzioni delle più importanti Guide perché nelle pubblicazioni che stanno per venire alla luce sia dato all’enogastronomia del Sud lo spazio che si merita.
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“Finiamola!” È un’iniziativa del Museo del vino di Alberobello che inizierà in occasione del Vinitaly e coinvolgerà tutte le aziende produttrici di spumanti. È un invito ai campioni sportivi di smettere la demenziale consuetudine di spruzzare spumanti e champagne addosso ai presenti: sono prodotti troppo preziosi per essere trattati in questo modo: le buone bollicine si devono bere, non buttare via. La Cantina Albea si rivolge ai campioni sportivi per invitarli a festeggiare i loro successi con acqua minerale gassata e si impegna a far avere, a chi accetterà, un certo numero delle preziose bottiglie del suo spumante e invita tutti gli altri produttori a seguirne l’esempio.
“Premio Marco Polo” In collaborazione con “Radio Globale” e “Gustare l’Italia”, il Museo del Vino lancia l’iniziativa “Premio Marco Polo” che verrà conferito a partire da quest’anno al personaggio che
avrà contribuito a stabilire rapporti di collaborazione tra Italia e Cina per quanto riguarda il mondo dell’enogastronomia. Il premio quest’anno verrà attribuito al prof. Massimo Vedovelli, Rettore dell’Università per Stranieri di Siena che con Antonello Maietta, presidente dell’Associazione Italiana Sommelier e Claudio Galletti, presidente dell’Ente Vini - Enoteca Italiana, ha firmato il protocollo d’intesa per fornire classi di sommelier cinesi “Made in Italy” in Cina e scuole per la formazione tecnica e culturale al vino italiano a Shanghai e Pechino, sedi del progetto “100 enoteche Italiane”.
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“Crackle”! Da qualche tempo è a disposizione di chiunque il social network Twitter, così chiamato dal verbo inglese “to tweet” che significa “cinguettare”. Al Museo del Vino dell’Albea di Alberobello si è pensato che spesso sia necessario invece “gracchiare” e si sta perciò predisponendo con esperti di informatica il social network Crackle che in inglese significa appunto “gracchiare” e lo metterà a disposizione di tutti coloro che desiderano disapprovare, contestare, criticare, proporre, suggerire, lagnarsi, segnalare, intervenire specialemente su problemi che riguardano la gastronomia, il turismo e la salute. Queste sono le prime iniziative che “Gustare l’Italia” si impegna a realizzare in collaborazione con il Museo del Vino di Alberobello.
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di Cino Tortorella
Il vino dei VIP
“Mieru, mieru”
È trascorso molto tempo da allora ma il ricordo è ancora vivo nella memoria. Correva l’anno 1972; mi trovavo in Puglia con il mio amico e maestro Luigi Veronelli per partecipare a una tavola rotonda sull’enogastronomia pugliese. Al convegno seguì una ricca degustazione di prodotti del miglior artigianato contadino e fra un assaggio e l’altro di burrate, mozzarelle, caciocavalli e salumi benedetti dai vini dei produttori che in quegli anni stavano imponendosi all’attenzione del mondo enologico, si rifletteva sul fatto che in una regione felice per la ricchezza dei prodotti che la natura elargisce con generosità non fosse stata mai realizzata una iniziativa lontanamente paragonabile al Vi-
nitaly appena nato a Verona, al Cibus di Parma, al Salone del Gusto di Torino. Ci domandavamo anche perché la gran parte degli straordinari vini pugliesi non fossero apprezzati come meritavano e restassero anonimi e sconosciuti al mercato nazionale. Convenimmo insieme che una buona parte dei motivi di lacune così evidenti fossero da ricercare nel carattere della gente del Sud che spesso ignora, sottovaluta o non sa valorizzare i propri prodotti. Mentre eravamo immersi in queste considerazioni un signore che ci aveva ascoltato si allontanò e poco dopo ritornò con una bottiglia di vino della quale aveva nascosto l’etichetta: “Prima assaggiatelo e poi vi dirò chi lo produ-
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ce - disse - sarà una sorpresa… arriva da Cellino San Marco ed è un uvaggio di Primitivo e di Negroamaro”. Conoscevo il bel colore granato del Primitivo, così chiamato per la precocità della sua maturazione e avevo negli occhi il rosso violaceo del Negroamaro, il vitigno di elezione del Salento; due vini che fino a qualche anno prima sarebbero stati grossolanamente considerati vini “da taglio” e messi in grandi cisterne sarebbero partiti verso il Nord per andare a dar corpo, anima e profumi ai titolati vini settentrionali diventando Bourgogne, Medoc, Bordeaux… Ci fu versato un vino dal colore rosso rubino intenso, pieno di luce, un’esplosione di profumi e di fraganze che assecondava i sapori dei cibi, li avvolgeva, li metteva in evidenza. Era ricco e perfetto. Veronelli, che pur non essendo pugliese era, come me, innamorato di quella terra di magia ne fu entusiasta e volle sapere chi fosse l’autore di quella delizia. Grande fu la nostra meraviglia quando ci dissero che era Albano Carrisi, il cantante, e che il vino si chiamava “Don Carmelo”, il nome di suo padre. Conoscevo Albano, l’avevo avuto più volte nelle mie trasmissioni, sapevo delle sue origini pugliesi e mi aveva raccontato la sua storia. Era uno dei tanti meridionali che avevano lasciato la loro terra in cerca di lavoro al Nord,
oltralpe o oltreoceano come tanti prima di lui, come anche mio nonno, mio padre e i miei zii. Lui, con la tradizionale valigia di cartone era approdato nella Milano degli anni sessanta a solo 16 anni e si era adattato a umili lavori. Aveva però una ricchezza straordinaria: una voce piena di sole che aveva coltivato fin da bambino quando trascorreva ore e ore accompagnandosi con la chitarra all’ombra degli alberi nella campagna del padre. Per una serie di felici circostanze qualche anno dopo era riuscito a farsi ascoltare da Adriano Celentano, come lui di origini pugliesi (sono moltissimi i cantanti nati in terra di Pugliao da genitori pugliesi: Domenico Modugno, Enzo Jannacci, Caparezza, Renzo Arbore, Lucio Dalla...). Dopo averlo ascoltato Adriano non ebbe esitazioni e Albano Carrisi entrò ad arricchire le file del Clan, con il nome cambiato in Al Bano. Da quel momento la sua vita fu tutta in discesa: firmò il primo importante contratto con la Emi e incise il suo primo 45 giri “Nel sole” (un milione e trecentomila copie vendute). Fu l’inizio di una strepitosa avventura che ancora continua e non soltanto in Italia; i suoi concerti - dal Giappone alla Russia, agli Stati Uniti all’America Latina - sono tutt’ora seguiti
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da milioni di fans. Sarebbe lunghissimo l’elenco dei successi di Albano: 26 dischi d’oro e 8 di platino, vittorie ai Festival di Sanremo, di Tokio (Kawakani Awards), in Germania (Golden Globe per l’artista che ha venduto il maggior numero di dischi), in Austria, Svizzera, Spagna, Australia.. Ma nonostante le affermazioni in tutto il mondo, il suo cuore non si era mai allontanato da Cellino San Marco e i guadagni che otteneva dai concerti e dalle canzoni si trasformavano puntualmente in campi e vigneti che continuava ad acquistare per la gioia di papà Carmelo. Se ne andava in giro, da un continente all’altro, da un successo all’altro, ma quando ritornava a Cellino rivestiva i panni del contadino e ritornava a curare i suoi campi, a partecipare alla vendemmia… Mi disse un giorno che nessun altro premio o riconoscimento gli aveva dato mai gioia più
grande del sorriso di suo padre dopo aver bevuto il primo sorso del “Don Carmelo”. L’aveva creato insieme a Dino Pinto, un enologo salentino; gli aveva chiesto di superare sè stesso e di ottenere dalle uve dei vigneti il vino più assoluto che voleva dedicare a suo padre: “Tu mi hai mai sentito cantare, Dino?” - gli avevo chiesto - “E me lo domandi? Ho tutti i tuoi dischi”. “ E come canto io?”. “ Benissimo, sei il numero uno”. “ Ecco: il mio vino deve cantare meglio di me”. E quel “Don Carmelo” che gustavo per la prima volta con il mio compian-
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to amico Veronelli, era un vino che davvero cantava; ebbe riconoscimenti in tutte le mostre enoiche in Italia e nel mondo, l’Associazione Somellier gli attribuì l’Oscar per il migliore rapporto qualità prezzo. A quello ne seguirono molti altri; sempre nel rigoroso rispetto della tradizione, privilegiando i vitigni tradizionali: il “Taras”, un primitivo in purezza al quale ha dato l’antico nome dalla città di Taranto, il “Platone” premiato nel 2009 come “miglior vino del mondo” tra quelli prodotti dai Vip del pianeta, il “Felicità”, un vino
bianco morbido che prende il nome dalla canzone che, cantava con la moglie Romina classificatasi seconda al festival di Sanremo del 1982. E ancora: “Nostalgia”, un Negroamaro speziato e armonioso, “Mediterraneo”, un rosato fresco, asciutto dal colore rosa tenue con riflessi violacei, il “Don Carmelo bianco” un delizioso Chardonnay, il “Salice salentino”, l’Aleatico dal profumo di rosa e di pesca... Quando Albano parla dei prodotti che nascono nei suoi campi, si illumina; è grato al successo che gli ha arriso in tutti questi anni, soprattutto perché gli ha dato la possibilità di restare legato alla sua terra, di contribuire e valorizzarne i prodotti e farli conoscere in tutti i paesi dove amano la sua voce e le sue canzoni. Il sogno di Albano è che almeno uno dei figli segua le sue orme; è difficile che lo accontentino Cristel che fra poco compirà 27 anni o Romina Jr. (25); non Yari quasi quarantenne che per temperamento è un giramondo...fortunatamente da un po’ di tempo la sua speranza è riposta in Albano Jr., detto Bido (10 anni) il figlio avuto dalla sua seconda moglie, Loredana Lecciso. In lui rivede sè stesso ragazzino, lo stesso amore per la terra, lo stesso interesse per tutto ciò che nasce nei campi, e sogna il giorno che farà come ha fatto lui con papà Carmelo e gli porterà da assaggiare con trepidazione il “Don Albano” da lui prodotto. Questo è il cantante che mi è caro, molto più del predicatore Celentano, il guru che dopo aver tenuto le sue prediche in televisione e averci parlato del paradiso e di cosa noi poveri peccatori dobbiamo fare per guadagnarcelo, si ritira nella sua villa di Galbiate ed evita qual-
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siasi rapporto con la gente e con i suoi vecchi amici di via Gluck. Albano, il suo paradiso se lo è costruito nei vigneti e negli uliveti della contrada Curtipitrizzi di Cellino, insieme ai suoi genitori, a suo fratello, ai contadini salentini dai quali ha imparato saggezza e tradizione. L’amore per la sua terra arriva in tutto il mondo racchiuso nelle bottiglie dei vini creati dalle uve ei suoi vigneti, tutti coltivati ad alberello pugliese; la vigna “ad alberello pugliese” è lo stile salentino di coltivare la vite secondo un’antica tradizione; salvare l’alberello puglie-
se equivale a difendere la viticultura di qualità; i costi di gestione superano di gran lunga quelli delle altre coltivazioni ma sono una decisiva arma per competere in qualità (si pensi che con altre coltivazioni bastano 50 ore di lavoro meccanizzato per gestire un ettaro di terreno, mentre per gli “alberelli” ne occorrono 10 volte tanto, ma non c’è poi paragone nella piacevolezza del prodotto). Albano non ha mai esitazione nel difendere la tradizione anche se comporta un notevole aggravio di investimenti; ritiene, con altri produttori, che sarebbe auspicabile un intervento dell’Autorità per aiutare chi continua a coltivare vigne “ad alberello” con un contributo annuale e sostiene che non sarebbe una carità ma un incentivo per la conservazione della qualità del vino e del paesaggio. Nell’attesa però, continua a tenere concerti in giro per il mondo con il successo di sempre. Quando torna a casa vuole accanto a sé Bido, lo porta nei campi, gioisce nel vederlo attento
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un moderno arrangiamento. “Mieru” in salentino significa “vino”, deriva dal latino “merum”, l’aggettivo che i latini davano al vino schietto: “vinum merum”. È una deliziosa canzone dialettale che racconta la storia di un innamorato che alla sua bella, tornando dalla campagna, aveva dato soltanto un pizzicotto sulla mano e sul piede, ma dopo aver bevuto due bicchieri di “mieru” sente di aver perso la timidezza e sarebbe pronto anche a far volare la sua bella.
“Mieru, mieru” “ E nu basciu ulia te tau Subbra li musi toi E te fueco iov divento Te fueco tuttu quantu.. Cu stu fueco propriu nu basta Sula sula ‘na pizzicata”
e curioso per tutto ciò che riguarda i frutti che stanno maturando, gli racconta dei nonni … poi a sera riprende la chitarra e gli fa ascoltare “Mieru Mieru” una canzone antichissima popolare che ha ritrovato e che ha riproposto in
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(Dopo i sorsi di vino vorrei darti un bacio sulla bocca Perché è diventato tutto fuoco E con il fuoco che ho dentro Non basta solo un pizzicotto).
di Felice Maratea
Le lune di Gustare l’Italia
“Osteria della Villetta” “Charme” è l’affascinante parola nata in Francia dal latino “carmen” (canto) così come “incanto” e “incantesimo” derivano da “canere” (cantare). Inizialmente sono state parole legate alla magia, ai sortilegi, alle stregonerie di fattucchiere e negromanti, ma a poco a poco il significato si è attenuato ed è diventato sinonimo di fascino, rapimento, seduzione e anche meraviglia. Qualche settimana fa il mensile inglese “Monocle” ha pubblicato uno “charme index”, una lista di personaggi e luoghi che, secondo l’autore dell’articolo, sono i più ricchi di “charme”. Fra i personaggi figurano ai primi posti George Clooney, lo charme impersonificato, Nelson Mandela, il cantante Bono degli U2, Kate Middleton, futura regina d’Inghilterra e molti altri fra i quali non è rappresentato nessun italiano…
Sono stati poi segnalati per il loro “charme” alcuni luoghi del mondo famosi per la loro eleganza, grazia, classe e cura del dettaglio; al primo posto troviamo il vecchio trenino svizzero Rhätische Bahn che attraversa l’Engadina immergendosi nell’aria fresca e nel panorama ineguagliabile delle Alpi; al secondo ecco l’ufficio dell’agenzia creativa Pentagram che ha sede a Londra in un ex lattificio del XIX secolo; sono anche ricordati l’albergo brasiliano Fasano di San Paolo per
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hanno superato i secoli per arrivare felicemente sino a noi. L’unica perplessità che mi aveva accompagnato fino al termine della serata è stata la domanda: “perché chiamare “osterie” locali come il Boccon Divino, Antichi sapori, il Cibus, L’Angiolina, La Villetta?” Il Sabatini Coletti, Dizionario Essenziale della lingua italiana, alla voce “osteria” recita: “Locale pubblico dove si servono vino e altre bevande e spesso pasti alla buona…”
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il personale e il design; il caffè finlandese Ekberg di Helsinki che con i suoi arredi anni ’30 riporta indietro nel tempo; la panetteria giapponese Levain; il Brook Farm General Store di New York, regno del vintage, curato con amore e passione; Amburgo, immersa nel verde e ricca delle acque del fiume Elba e del lago Alster, è considerata la città più ricca di fascino… Ma la sorpresa per noi italiani è arrivata quando in questo curioso elenco abbiamo visto l’“Osteria della Villetta” di Palazzolo sull’Oglio (Brescia) inserita al terzo posto per il suo rispetto della tradizione gastronomica e il fascino antico del suo arredamento. Qualcuno sarà rimasto meravigliato di vedere in una classifica così prestigiosa un locale sconosciuto ai più, quasi ignorato dalle Guide gastronomiche: la Guida dell’Espresso le attribuisce un punteggio di 14/20 poco più della sufficienza; la Guida del Touring Club Italiano 2 forchette; la rossa Michelin, con molto sforzo, non è riuscita ad andare più in là di una forchetta (come la “pensione Mariuccia” di Roccasgurgola)...poi arriva da Londra il prestigioso mensile e la indica al terzo posto fra i locali più charming del mondo e molti restano stupiti. Non chi, come chi scrive, frequenta la Villetta da qualche anno. L’ultima volta che sono stato a Palazzolo vi si festeggiava il premio “Tre gamberi”, il massimo riconoscimento che viene dato alle osterie d’Italia dalla rivista Gambero Rosso: si erano ritrovati alla Villetta i cuochi dei 16 locali premiati che avevano portato i più classici cibi della loro cucina esaltati dalle varie Guide. Trascorremmo una serata gioiosa rallegrata dalle note della banda cittadina nel corso della quale fortunati ospiti hanno potuto gustare antichi sapori di tradizioni gastronomiche che
Da anni frequento molti dei locali citati, ma posso testimoniare che vi ho sempre gustato cibi di grande livello realizzati con prodotti ricercati e con attenzione da artigiani che con impegno e passione - e spesso con notevoli sacrifici - si oppongono alle continue proposte di globalizzazione che arrivano dalle grandi aziende o dalle multinazionali per banalizzare e uniformare verso il basso i vari prodotti. Chiamare “osteria” la “Villetta” è certo un vezzo, un atteggiamento, una forma di ironia, come chi chiama “barca” il proprio yacht di 50 metri, ma la cucina è un’arte troppo seria per scherzarci sopra; i cibi che erano stati serviti , gli stessi che si possono quotidianamente gustare nei locali premiati con i “Tre Gamberi”, non erano “alla buona” ma creazioni di cucine che andrebbero difese e protette come negli USA le riserve indiane, dove si dovrebbero portare gli alunni in visita scolastica, ricette che dovrebbero essere proclamate dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, cucinate da cuochi a molti dei quali andrebbero intitolate vie e piazze della cittadina bresciana. La “Villetta” è in via Marconi 104 a Palazzolo
sull’Oglio; nulla da dire sul fatto che la via sia intitolata all’inventore della radio, ma non sarebbe disdicevole se un vicoletto vicino fosse dedicato a Giacomo e Margherita Rossi che alla fine dell’800 hanno acquistato una villa in stile Liberty per farne il ristorante - albergo della stazione, che hanno chiamato “La Villetta”.
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È trascorso più di un secolo ma poco è cambiato; dalla luce a gas si è passati a quella elettrica, dal forno a legna a una cucina moderna, si sono aggiunte stampe, acquerelli e fotografie alla pareti, ma i bei tavoli di legno antico, i mobili, le credenze sono sempre gli stessi, sempre acquistate dallo stesso fornitore le stoviglie e le posate e come sempre il me-
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La sua cucina non tardò a conquistare gli ospiti, attratti dalla qualità dei prodotti che venivano selezionati tra i migliori della generosa campagna che si distende intorno a Palazzolo; il suo successo è andato sempre in crescendo fino a diventare nella prima metà del secolo scorso il centro del quartiere, un luogo di ritrovo per tutto il paese dove si discutevano anche questione di interesse pubblico e si celebravano importanti avvenimenti; negli anni Trenta i paesani vi si riunivano per ascoltare la radio, agli inizi degli anni Cinquanta si davano convegno per seguire da uno dei primi televisori le trasmissioni di Mike o di Mago Zurlì. A Giacomo e Margherita successero Luigi e Virginia quindi Giovanni e Lina e di seguito Maurizio, il loro figlio che con Grazia, la sua bella moglie, continua la tradizione di famiglia. Per fortuna nessuno di loro ha mai frequentato scuole alberghiere o corsi di cucina; di generazione in generazione l’università l’hanno sempre avuta in casa e così è stato anche per Maurizio e Grazia che da quando se ne è volata in cielo mamma Lina, hanno preso le redini del locale.
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nu è scritto con il gesso su una lavagna ed è allegramente recitato da Maurizio in persona o dalle sue simpatiche collaboratrici. Come sempre si comincia dai favolosi salumi della zona, alcuni dei quali di produzione propria, e si continua con i piatti, che cambiano soltanto con il mutare delle stagioni; ecco allora le “lasagne di pasta fresca al ragù”, la “zuppa di orzo, verza e salsiccia”, lo “stoccafisso con la polenta”, le “frittelle di baccalà”, il “guanciale di manzo in salsa verde”, le superbe “polpette”, “le migliori al mondo” come sono state proclamate da un gruppo di ospiti giapponesi, che vengono spesso in Italia e tra le città da visitare non mancano di comprendere Palazzolo. Il rispetto della tradizione è sempre stato considerato dalla famiglia Rossi un dovere al quale non sono mai ve-
nuti meno; e ciò è stato possibile anche grazie ai fornitori delle materie prime, scelti con attenta cura, che hanno assicurato continuità nella qualità. Così la carne è sempre quella dei macellai del mercato ultra centenario di Rovato, la frutta e gli ortaggi della cascina Ventighe, una costruzione del ’400 sull’antica strada che porta a Venezia, i formaggi sono sempre quelli di Vigolo, così per i pesci di fiume e di lago: sarde, tinche, pesce persico, fino alle rare alborelle, sono assicurati da pescatori del lago che come i Rossi si sono succeduti di generazione in generazione. Per i vini Maurizio, come il padre, il nonno e il bisnonno è un autodidatta; non ha frequentato nessun corso di sommelier; nella sua cantina riposano bottiglie di non più di un centinaio di etichette ma sono le eccellenze della Francia-
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Mi ritrovo nella casa di campagna di cari amici in un giorno di festa; il pranzo che mi viene servito è quello di una sagra contadina legato a ciò che regala la terra, agli animali allevati nei cortili, alle erbe appena raccolte nei campi, alla frutta non contaminata da alchimie. Qui sento che la parola “ospitalità” torna ad avere un significato e quando esco sono davvero “ristorato” anche nello spirito come dovrebbe accadere, ma è cosa sempre più rara, in ogni vero “ristorante” . Ecco perchè il riconoscimento di “Monocle” non ci ha meravigliato; non per vantarci ma noi di “Gustare l’Italia” l’avevamo capito molto prima della rivista inglese e prima delle Guide che distribuiscono stelle, soli e pianeti e alla Villetta avevamo attribuito il massimo riconoscimento che diamo ai più prestigiosi ristoranti: la nostra “luna” luminosa, smagliante, risplendente.
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corta, del Nord-est bresciano e delle Langhe, molte straordinarie di piccoli produttori dei quali Maurizio viene per vie misteriose a conoscenza. Questa è l’“osteria” dove si dovrebbero mangiare “pasti alla buona”. A pochi chilometri da Palazzolo ha il suo delizioso resort dell’”Albereta” Gualtiero Marchesi; è stato lui a segnalarmi anni fa la “Villetta”, assicurandomi che vi avrei gustato la miglior cucina popolare di tutta la Lombardia; da allora mi ci sono fermato più volte ma giuro su Gasterea, la dea della gastronomia, che non ho mai consumato “pasti alla buona”, ma sempre cibi che nel rispetto della tradizione sono cucinati con l’elegante raffinatezza dovuta all’eccellenza di materie prime sempre più rare. Quando entro alla “Villetta” non mi trovo in un osteria; il mondo resta fuori, il tempo improvvisamente si ferma, mi sento come per magia tornare indietro nel passato.
di Grillo Parlante
Chi giudica i giudici? “Chi è in fondo un grande cuoco? Un bambino che gioca tutta la vita a fare un mestiere da grande” Gualtiero Marchesi
Sotto esame
Ogni anno, all’inizio del mese di ottobre le librerie e le edicole sono invase dalle nuove Guide gastronomiche. Si assiste alle consuete diatribe fra i vari clan, si alternano recriminazioni e osanna per il tal ristorante inopinatamente cancellato dal gruppo degli stellati e quelli trionfalmente ammessi. Si fanno insinuazioni sulla scarsa serietà di questo e di quello o anche su imbrogli e ricatti che nessuno riesce mai dimostrare. Qualche anno fa il divino Marchesi, ha inviato una lettera ai suoi giovani colleghi invitandoli a non prendere troppo sul serio le Guide e a non prendersela troppo se il loro lavoro non era giustamente riconosciuto dai vari critici.
Così incominciava la lettera: “Cari giovani cuochi e ristoratori in erba, non date troppa importanza alle guide e ai punteggi; non siate desiderosi di emergere troppo frettolosamente. Non pensate che una stella o un voto alto risolvano il vostro destino. Pensate prima ad imparare, poi ad organizzare la vostra offerta e ad accontentare il cliente. È lui il giudice più importante”. “Io - continuava Marchesi - mi sono stufato di essere giudicato da incompetenti possessori di una infarinatura gastronomica divenuti petulanti critici che sovente accordano stima e importanza più all’amico di moda in quel momento che non a chi merita veramente stima e apprezzamento. Come si possono dare rapidi e superficiali punteggi ad un qualsiasi ristoratore basandosi su rare visite occasionali senza conoscere il lungo cammino che ha percorso per affinare
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zioni della lettera di Gualtiero; certo ci sono critici presuntuosi quanto ignoranti e pieni di sé, ma c’è anche chi mette nel suo compito passione e competenza. Di Luigi Veronelli ne nascono due o tre in un secolo (e certi commentatori che si atteggiano a maestri e non sono nemmeno bidelli, dovrebbero rileggersi le “Guide all’Italia piacevole” del grande, lui sì, maestro) ma perché non ammettere che ci sono anche critici obiettivi e preparati?
© Gualtiero Marchesi
quell’armonia di gusti che lo contraddistingue e che forma la sua identità?” E poco più avanti, mettendo la cucina sullo stesso piano della grande musica, per dare una stoccata a “certi critici” aggiungeva: “Il cuoco è come il musicista che esegue una composizione interpretandola a suo modo, ma raffinandola ogni volta che la ripete sino ad arrivare ad una interpretazione che sarà la sua interpretazione e sarà il risultato congiunto di preparazione, intuizione e sensibilità. Sono perciò convintissimo che nel giudicare bisogna per prima cosa conoscere e prestare la massima attenzione verso il pezzo”. “Teniamo conto poi - proseguiva Gualtiero che ogni giudizio è espresso da un essere umano e dipende sostanzialmente dai suoi gusti personali, dalla sua cultura e, dato che siamo comuni mortali, anche del suo stato fisico e psichico del momento”. “A questo punto - concludeva Marchesi - si giudichi se non è quanto meno discutibile, se non ridicolo, esprimere giudizi gastronomici con punteggi matematici ricchi, pure, di decimali, che rifiuto di accettare giudicandoli inutili e sinceramente travisanti lo spirito con le quali sono nate le guide della ristorazione”. Qualche tempo dopo la lettera di Gualtiero, uscì la nuova Guida Michelin e fra la sorpresa di tutti gli addetti ai lavori, il ristorante di Erbusco, che nell’edizione precedente era segnalato con due stelle, risultò degno soltanto di una citazione, relegato a semplice ristorante di albergo non degno nemmeno di una forchetta o di una menzione particolare. Francamente per chi è stato il principe degli chef, il fondatore della nuova cucina italiana, sembrò a tutti davvero troppo e, cosa molto sgradevole, suonava come una vendetta, una caduta di stile di una Guida da sempre nota per la sua obiettività e correttezza. Non abbiamo condiviso del tutto le motiva-
Gualtiero era stato un po’ superficiale nello scrivere che le Guide non servono e non hanno nessun peso: servono eccome. Ci sono turisti che arrivano dal Giappone o dagli Stati Uniti e che fra i luoghi da visitare in Italia, accanto a Firenze, Venezia e Capri, hanno nel loro carnet Sant’Agata sui due golfi, Canneto sull’Oglio o Sarmeola o Padova solo perché ci sono ristoranti stellati. Ecco perché servono i critici e le Guide.
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Ma ecco anche perché le Guide devono mettere molta più attenzione e rigore in ciò che scrivono; una critica negativa nei confronti di un ristorante o di un albergo danneggia molti lavoratori: camerieri, cuochi, fornitori, operatori turistici, e costoro hanno il diritto di sapere chi ha emesso quel giudizio, in quale occasione e con quale competenza. Da molto tempo “Gustare l’Italia” ha avviato una campagna in tal senso e sta organizzando una grande manifestazione dal titolo: “Chi giudica i giudici?” che si svolgerà ad Alberobello il prossimo settembre. Non a caso è stato scelto il Sud per questa iniziativa: da molto tempo abbiamo segnalato la mancanza di attenzione nei confronti delle regioni meridionali da parte delle guide gastronomiche e turistiche che spesso ignorano o sottovalutano i loro ristoranti e alberghi, con
notevole danno per le popolazioni non certo tra le più ricche del paese. Prendiamo ad esempio la Michelin, considerata a ragione la Guida più autorevole e attendibile; l’edizione del 2011 era stata presentata come quella che nella sua storia aveva dato all’Italia il maggior numero di stelle (le “stelle” della Guida rossa sono, come sa ogni buon gourmet, il simbolo della qualità di un ristorante e per questo molto ambite); ne sono state assegnate nel 2011 ben 276. Indovinate quante di queste hanno illuminato i cieli del Meridione? In sei regioni del Sud solo la miseria di 13 così distribuite: 6 in Sicilia, 4 in Puglia, 2 in Sardegna, 1 in Molise, zero in Basilicata! Zero in Calabria! Chiediamo a chi ama il Sud e ne conosce e apprezza i prodotti di eccellenza gastronomica, se questi numeri siano accettabili.
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Su suggerimento di “Gustare l’Italia” il dott. Piero Liuzzi scrisse una lettera di protesta invitando tutti: alberghi, sindaci meridionali a seguire il suo esempio sottolineando il fatto che quei giudizi negativi danneggiavano, oltre al ristorante, il turismo e l’economia. Molti sindaci hanno accolto l’invito e non sappiamo se è stato per quelle proteste, ma nell’edizione 2012 le stelle delle sei Regioni del Sud sono sia pure di poco aumentate: 5 in Puglia, 2 in Sardegna, 7 in Sicilia, 2 in Calabria e sempre zero in Basilicata. Nell’edizione del 2012 vengono segnalati circa 3400 hotel dagli extralusso alle locande, oltre 380 agriturismi e “bed and breakfast”, più di 2700 ristoranti dai più raffinati alle più umili trattorie. Sono circa 6500 esercizi “selezionati” come dice la Guida; il che significa che ne sono stati visitati molti di più per scegliere i migliori. Arriviamo così per lo meno a 7000 esercizi. Ora, considerato il fatto che un ispettore per emettere un giudizio serio e accurato come meriterebbe chi lavora non possa visitarne più di un centinaio all’anno o poco più, occorrerebbe un piccolo esercito di autorevoli e competenti critici pagati a tempo pieno che giri l’Italia in lungo e in largo, isole comprese. A pensare male - come diceva Andreotti - si fa peccato: ma è proprio così fuori dalla logica e dalla realtà supporre che molti giudizi venga-
no emessi superficialmente, per sentito dire, magari rimasticando cose scritte da altri o ripetendo giudizi espressi anni prima? Ed è così inaccettabile che chi mette impegno, passione e fatica pretenda di conoscere il nome e l’esperienza di chi sul suo lavoro esprime giudizi? Ed è così inammissibile che un ristorante chieda agli estensori delle Guide di indicare i criteri con i quali vengono emesse valutazioni sulla loro attività da visitatori anonimi? Sono le domande che faremo nel convegno di Alberobello e che per il momento giriamo ai nostri lettori invitandoli a darci il loro parere scrivendo a info@lineaeditoriale.it Per concludere invitiamo i ristoratori, gli chef, i produttori che sono stati ignorati o sottovalutati o maltrattati da severi critici di leggere l’articolo che segue dedicato a uno dei più ascoltati e temuti critici diventato da qualche anno anche un divo televisivo.
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© Disney Enterprises, Inc. Pixar/Animation Studios
La provocazione
di Grillo Parlante
Ipertrofìa dell’Io Chi si crede importante, chi pensa che senza di lui il mondo si fermerebbe, chi è convinto di avere la soluzione ad ogni problema in quanto depositario della verità assoluta, è prigioniero di una pericolosa sindrome che si chiama “l’Ipertrofia dell’Io”. Un campione di questa sindrome è senza dubbio il critico gastronomico che scrive su importanti testate ed è da qualche anno undivo televisivo. Inizia la sua carriera alla corte del principe Luigi Veronelli, maestro e ispiratore di chiunque in Italia si sia occupato di cibi e di vini nella seconda metà del secolo scorso, ma presto il suo ipertrofico “Io” lo convinse di poter fare a meno del maestro e si mette in proprio ad educare i poveri sprovveduti gourmet. In Italia milioni di persone lo leggono ogni giorno in una rivista di cucina e seguono trasmissioni televisive sull’argomento senza il benché minimo beneficio, continuando a mangiar male e bere peggio; non è difficile darla a bere (e a mangiare) agli italiani quando si tratta di gastronomia. Il nostro ci riesce molto bene, sia sui giornali che in TV; il suo “Io” ne è gratificato e l’ipertrofia è galoppante. In quanto a coerenza, beh, questo è un altro paio di maniche. Per tranquillizzare i ristoratori che, leggendo le Guide si sono sentiti ingiustamente accusati di inesperienza e si sono visti attribuire voti negativi, citerò alcune recensioni dell’illustre critico che viene considerato il numero uno in Italia (potenza della TV). A questo punto però, come nei foilleton dell’Ottocento, è necessario fare un passo indietro nel tempo: siamo nel 1994, a Sarmeola di Rubàno, un piccolo paesino alle porte di Padova. C’è un ristorante condotto dalla Signora Alajmo, laureato con una stella dalla guida Michelin; la segue ai fornelli il figlio Massimiliano detto Max che promette molto bene, così bene che a un certo punto la mamma decide di lasciargli il
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© Mario Reggiani
E poi ancora una sfilza di superbi secondi dei quali il nostro gusta “la scaloppa di fegato grasso d’oca con mele e semi di papavero, il carrè di agnello in crosta di senape ed erbe, il coniglio cotto nel cartoccio”. Infine arrivano i dolci, semplicemente “straordinari” Il tutto accompagnato da vini scelti da una carta “ricca di cose rare e ricercate con gusto e passione” Insomma “uno dei migliori ristoranti d’Italia”.
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© Wowe
mestolo del comando nonostante la sua giovanissima età (20 anni). La fiducia della Signora Alajmo è davvero ben riposta; e infatti due anni dopo, nel cielo di Sarmeola si accende un’altra stella e Max entra nella storia della più famosa guida gastronomica del mondo come il più giovane chef ad aver ottenuto “due stelle”. Naturalmente tutti si congratulano per il successo che onora la cucina italiana, e fra questi l’illustre critico che in data 5 Maggio ’96 scrive su Epoca un articolo dal titolo: “Vicino a Padova c’è un paradiso di vini e dolci” e nel sottotitolo apprendiamo che il più noto gastronomo italiano ci porta a “Le Calandre” dove il menù è sopraffino; e infatti sul tavolo allegramente preparato con “centrini all’uncinetto in lino rosa, le composizioni di fiori secchi, le bellissime posate, la bella tovaglia, sui piatti Rosenthal un susseguirsi di ghiottonerie: scampi crudi in insalata, gelatina di crostacei al caviale e mousse di cerfoglio, morbidissime e meravigliose lumache alle erbe con polentina gialla, pasta preparata in casa al torchio con ragù di capesante e mazzancolle”.
zucca e polenta fresca costituivano una pastrocchiosa mappazza gastronomicamente volgare e respinta dal palato e dal gusto”. E il dessert ? Non ci sono più i dolci “straordinari”? Macchè: ecco “il tonfo di sei piatti a testa nei quali un guazzabuglio sgraziato e ridicolo con dolci bellissimi, finissimi ma amorfi, una creazione fatta con la testa non con il cuore. Anche i coperti non sono più quelli di prima: “non più centrini all’uncinetto in lino rosa, non fiori e piatti Rosenthal, ma soltanto anonimi coperti messi lì con due piccole tovaglie sovrapposte”. Il menù poi … “fa ridere”: si apre con una frase che vorrebbe essere poetica firmata da qualcuno della casa che sotto le sue parole ha messo oltre la firma anche la data: 1997 (ma vi pare possibile?) Ogni voce poi si apre con l’articolo determinativo cha sa tanto di desueto scimmiottando francese(!) L’unica cosa che si salva “da questo disastro gastronomico” è (incredibile) una bella e buona carta dei vini.
© Paolo Della Corte
Vi viene l’acquolina in bocca ? Vi nasce un fortissimo desiderio di prendere la macchina e recarvi a Sarmeola per assaggiare le delizie appena descritte? Sbrigatevi però; perché qualche mese dopo, non qualche anno, qualche mese!, il 23 marzo 1997 il paradiso è diventato un orrendo inferno. “Da rimanere senza parole” - scrive l’illustre critico che di lì a poco diventerà un divo televisivo - “un ristorante che era ottimo ci ha offerto una delle più terribili esperienze gastronomiche (…) in un calando rovinoso e fragoroso: … il risotto con rigaglie di piccione reso greve dall’eccessiva cipolla fritta”, gli involtini di scampi resi irriconoscibili, violentati, oppressi dal fatto di essere avvolti in una rete di patate stucchevolissima, pesantissima. Un Savarin di polenta nera che ricordava un pneumatico e che sembrava averne peso e consistenza”. Ma il peggio doveva ancora venire. (e che sarà mai?): il piccione di nido disossato e mescolato a porcini, incomprensibile crema di
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gante, intenso, trionfale” fino alla conclusione: … “e tanta voglia di ritornare presto” Ora io mi domando se questa è serietà, se si può cambiare idea in questo modo da un giorno all’altro su un professionista che mette anima, passione, impegno, fantasia, genialità
no e accomodante, ritorna impavido nel locale degli Alajmo al quale nel frattempo la Michelin ha regalato una terza stella, e (incredibile!) vi trova una cucina “moderna, fresca, creativa”. E come è stato possibile? A chi si deve questo miracolo che fa lievitare le Calandre da un punteggio di 11,5 (ai limiti dell’insufficienza) a un clamoroso 18,5 ? E’ sempre lui, il nostro eroe che ce lo rivela: “al bando la modestia: è tutto merito mio. Se non avessi bastonato Massimiliano Alajmo per quel gommoso pastrocchio di polenta presentatomi alle sue Calandre, oggi il secondo ristorante d’Italia continuerebbe con il gastro-cazzeggio di allora. Moderna, fresca, creativa, certo la sua è una cucina di oggi ma con sani professionali agganci con il passato, con gli ingredienti del territorio. Segue l’elenco dei piatti degustati seguita da aggettivi che vanno da “ indimenticabile, magistrale, regale, succulento, schietto, ele-
in quello che fa coinvolgendo decine di altre persone che lavorano con lui : cuochi, camerieri, artigiani, contadini, con il rischio di recargli danno (e con lui recarlo a tutti gli altri). La domanda è: chi giudica i giudici? P.s.: Cari amici chef; se avete problemi, se la clientela non vi segue più, se i critici vi ignorano e le guide vi sottovalutano, non preoccupatevi: basterà telefonare all’illustre critico che vi risolverà ogni problema. Purtroppo non ne conosciamo nè il nome nè il numero di telefono, potreste però chiederlo agli Alajmo di Sarmeola. Da qualche tempo alle Calandre, appena superato l’ingresso si trova una nicchia con una foto dell’illustre, il capo circondato da un’aureola; davanti c’è un lumino sempre acceso (con puro extravergine di oliva naturalmente) e la scritta: “Per Grazia Ricevuta” firmato Massimiliano e Raffaele Alajmo, marzo 2007.
© Disney Enterprises, Inc. - Pixar/Animation Studios
Dopo un’esperienza di questo genere non si mette più piede in un simile abominevole luogo ma il nostro illustre recensore al quale forse si è ispirato l’autore del delizioso film “Ratatouille”, nell’inventare il feroce critico che alla fine del film si ravvede e diventa buo-
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Il 29 - 30 Aprile dello scorso anno ha avuto luogo in Francia il “Mondial du Rosè” l’evento internazionale dedicato al settore dei vini rosati; come accadde nel 2004 si è svolto a Cannes e vi hanno partecipato una ventina di Paesi che hanno sottoposto all’assaggio di una cinquantina di degustatori un migliaio di vini. In palio c’erano 276 medaglie fra oro, argento e bronzo come in ogni competizione sportiva di grande livello. A premiazione avvenuta abbiamo letto su un sito internet una notizia con un titolo che ci ha riempito d’orgoglio: “il Chiaretto sbaraglia la concorrenza al concorso Mondial du Rosè”. È stata una notizia davvero clamorosa: i vini italiani si imponevano in una gara internazionale,
e proprio in Francia, il Paese tradizionalmente in concorrenza con i nostri prodotti enoici. L’avvenimento avrebbe meritato titoloni su tutti i giornali data anche la rilevanza economica di questo successo. Curiosamente però la notizia passò sotto silenzio e nessuna delle riviste italiane che si occupano di enogastronomia diedero spazio all’avvenimento. Poi leggemmo l’articolo e ci cascarono le braccia. Delle 276 medaglie assegnate, soltanto quattordici erano andate ai rosati italiani: sette ai Chiaretti del Garda, due ai rosati pugliesi, uno al Veneto Orientale e quattro al Cerasuolo d’Abruzzo una soltanto è d’oro, l’unico oro vinto dall’Italia.
Concorsi & C.
della Redazione
La “bufala” di Cannes
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Meglio dell’Italia aveva fatto la Spagna con ventitre medaglie, ma al primo posto si era piazzata una nazione con bel 208 medaglie totali. Vi domanderete qual’era questo felice paese produttore dei 208 vini premiati? Il Liechtenstein? La Nuova Guinea? Il Nepal? Non ci arriverete mai: la Francia ci aveva battuto per 17 a 1. Chi lo avrebbe mai pensato? Proprio la nazione organizzatrice del concorso aveva sbaragliato tutti i suoi avversari e si era imposta con i suoi favolosi vini. Incredibile! Straordinario! Inaspettato! Certa stampa italiana ha definito il “Mondial du Rosè” il “più prestigioso evento internazionale dedicato ai vini rosa”; e ha aggiunto che i nostri vini “hanno sbaragliato, la concorrenza”, se essersi aggiudicati 14 medaglie su 240, e di queste una sola d’oro (meno della Repubblica Ceca e della Bulgaria che come è noto sono Paesi famosi in tutto il mondo per la grande tradizione enologica) vuol dire “sbaragliare” gli avversari, sarà bene rivedere il significato di questo verbo.
A noi di “Gustare l’ Italia” quanto è accaduto a Cannes sembra una colossale, strepitosa, megagalattica presa in giro e ci sembra assurdo che non sia stata denunciata come meriterebbe dalle riviste che dovrebbero difendere la qualità dei prodotti enogastronomici del nostro Paese così importanti per la nostra economia. Come si dice “bufala” in francese? Come si traduce “pacco”, “fregatura”, “canzonatura”?
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della Redazione
La cucina etica regionale - Nives Arosio 365 ricette della cucina italiana, riscoperte o aggiornate in chiave vegan: un viaggio gastronomico dolce e salato regione per regione: dalla cassoeüla lombarda al timballo di maccheroni campano; dallo strudel trentino ai saltimbocca alla romana; dalla fracchiata abruzzese ai cannoli siciliani, tutti i piatti più tipici del Belpaese, riscoperti o rivisitati, senza ingredienti di origine animale e adatti a ogni occasione. Un’ampia sezione introduttiva passa in rassegna i principali tipi di pasta e di riso, le varietà di legumi, ortaggi, frutta secca, erbe e spezie. Si sofferma sugli alimenti sostitutivi: tofu, seitan, muscolo di grano ma anche latte, yogurt, panna e burro vegetali, oltre ai vegformaggi, con 30 preparazioni di base dolci e salate. Edizione: Sonda - Pagine: 528 - Prezzo: € 24,90
Kitchen in love - Valeria Benatti La cucina come una seduta di psicanalisi, o una puntata di Sex & The City. Stesso sguardo ironico su se stessi, stessa capacità di scivolare attraverso diversi stati d’animo e di scioglierli, tutti, in un ottimo bicchiere di vino. Dimenticate, dunque, i classici ricettari e le solite formule nazionalpopolari: il cibo è solo uno dei diversi ingredienti di una cena perfetta. L’obiettivo, infatti, è quello di trasmettere emo-
Libri da mangiare
zioni. E condurre per mano i lettori, come se fossero i propri commensali, nel creare una precisa atmosfera. Il tutto attraverso cento ricette divise in venti menù, dove niente ma proprio niente è lasciato al caso. Edizione: Gribaudo - Pagine: 168 - Prezzo: € 18,00
Al mercato locale - Leanne Kitchen Una vera e propria guida che spiega per ogni prodotto le sue caratteristiche e varietà, in quale stagione acquistarlo, come utilizzarlo in cucina e in fine alcune ricette che ne esaltano il gusto. Questo libro cambierà in positivo la vostra vita e il modo di fare la spesa. Imparerete ad acquistare ortaggi e frutta nella stagione giusta, guadagnandone in salute e in denaro (i prodotti acquistati fuori stagione sono molto più cari), riscoprirari il gusto genuino di una volta. Le ricette proposte sono un mix studiato di tradizione innovazione, per utilizzare al meglio frutta e verdura. Una guida pratica e intelligente che insegna a tornare alla natura in modo semplice: partendo dal gusto e dal profumo dei suoi ingredienti di stagione. Edizione: Luxury Books - Pagine: 448 - Prezzo: € 42,00
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Talismano del mangiar sano - Marco Bianchi Mangiare sano è spesso sinonimo di sacrificio, di cibi piatti e poco saporiti, più adatti a essere consumati in solitudine che non in occasioni conviviali. Questo volume, curato dallo IEO, dimostra come una cucina sana e appetitosa sia non solo possibile, ma anche divertente e alla portata di tutti. A patto che si conoscano gli alimenti che ogni giorno portiamo a tavola. Le ricette, circa duecento, sono accompagnate da consigli o notizie curiose sui cibi e impreziosire da immagini di erbari che evocano una conoscenza antica, oggi in parte perdura. La suddivisione per stagioni rimanda all’armonia con la natura e i suoi cicli, sinonimo per eccellenza di benessere ed equilibrio. Edizione: Skira - Pagine: 260 - Prezzo: € 18,50
Al dente come Anna - Anna Dente «Io non sono un manager della ristorazione; non sono un architetto o un pittore del piatto; non sono micragnosa nelle porzioni... quando ci si alza dalla mia tavola si è sazi.» Ecco Anna Dente, in tutto il suo splendore di cuoca vulcanica, animata da una simpatia contagiosa e dalla gioia di fare bene il proprio lavoro: preparare da mangiare in modo verace, buono, indimenticabile per chi ha la fortuna di sedersi alla sua tavola. Personaggio televisivo noto al grande pubblico, Anna è però soprattutto una custode della tradizione della Cucina Romana, una cucina povera, fatta di conoscenza attenta delle materie prime e di pochi piccoli segreti che rendono ogni piatto unico e straordinario. Edizione: ADD - Pagine: 200 - Prezzo: € 15,00
Jamie Oliver. La biografia - Stafford Hildred & Tim Ewbank I suoi programmi di cucina trasmessi dalla BBC sono diventati nel giro di pochi anni un fenomeno di massa che ha imperversato sulle televisioni di tutto il mondo, Italia compresa. Il suo modo semplice e ironico di comunicare, la passione per il cibo genuino e per la buona cucina, l’aria da giovane scapigliato e il suo carisma davanti alle telecamere ne hanno fatto un idolo per un’intera generazione. Innamorato dell’Italia e del cibo italiano, Sir Oliver ha utilizzato la sua celebrità per guidare una vera e propria crociata contro lo junk food, il cibo spazzatura. Grazie alle sue campagne, il governo inglese ha stanziato importanti investimenti per migliorare il servizio delle mense scolastiche e per diffondere la cultura della buona alimentazione. Edizione: Castelvecchi Ultra - Pagine: 250 - Prezzo: € 15,00
95 Gustare l’Italia
della Redazione
Diabolic eno-gastro-turistic Quiz In occasione della 46a edizione del Vinitaly, “Gustare l’Italia” invita i suoi lettori a partecipare al “Diabolic-eno-gastro-turistic quiz Quiz”, una sfida che speriamo sarà apprezzata da chi ama gli enigmi e i buoni prodotti enogastronomici. L’originalità del nostro gioco consiste infatti nel monte premi che sarà formato esclusivamente da prodotti di alta gastronomia (vini, oli, liquori, pasta, salumi, formaggi delle più prestigiose aziende), da pranzi e cene in ristoranti stellati e da soggiorni in splendide località turistiche. Poiché il primo “Diabolic Quiz” viene proposto ai partecipanti della più importante rassegna enoica sarà legato naturalmente al vino. Ecco qui di seguito una serie di vini fra i più squisiti: • Primitivo • Malvasia • Champagne • Marsala • Brachetto • Torcolato • Grignolino • Ramandolo Tutti questi vini, tranne uno, sono legati fra loro da una particolarità. Chi vuole partecipare al gioco dovrà dire: “Qual è la caratteristica che accomuna i vini? Quale non c’entra?”
Quiz
Chi avrà risolto il quiz dovrà spedire una mail a info@lineaeditoriale.it Il primo che darà la risposta esatta si aggiudicherà: • 24 bottiglie di vino Primitivo • 12 pranzi o cene nei ristoranti “Antica Locanda” di Noci (BA) e “Il Carretto” di Bonirola di Gaggiano (MI) • 24 bottiglie di olio extravergine d’oliva • 1 Weekend presso la “Masseria Quis ut Deus” di Crispiano (TA)
Gustare l’Italia 96
53 Risotto alla milanese con il bianco dell’Oltrepò Pavese 54 Cotechino allo spumante 55 Spaghetti con le cozze imbriache
Indice ricette marzo
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