Periodico
di
cultura
enogastronomica
e
turismo
Anno 1 - Numero 6 - Novembre 2010
Con il patrocinio di
Tempo di Tartufi
La tenuta Cà da Meo di Magda Pedrini è il risultato di un profondo amore per una terra che, grazie alla sua particolare posizione, da origine a coltivazioni assolutamente straordinarie nell’ambito dei vitigni che producono eccezionali Gavi docg. Da questa storia così carica di sentimenti umani e di lavoro nascono i vini della Tenuta che arrivano ad arricchire di stile e di gusto le nostre tavole. Tel. +39 0143 667923 Fax +39 0143 667929 • www.magdapedrini.it • E-mail: nuovacadameo@virgilio.it
Questo numero di “Gustare l’Italia” è dedicato in gran parte a Sua Maestà il Tartufo come doveroso omaggio a questo dono della Natura che per Giovenale era “cibo degli Dei, figlio del fulmine”; cercheremo di capire qual è l’incantesimo, la sottile magia che lo accompagna e perché, pur così brutto esteticamente e senza fascino, sia così desiderato. Chi lo ama lo considera piacere puro, sapori, sensazioni che, come la musica, si gustano e scompaiono sfumando in un piacevole ricordo. Al suo fascino, alle sue fortune non è certamente estranea la fama di cibo afrodisiaco e tale diceria - che peraltro oggi sembra avere una base scientifica - è stata ripresa e amplificata dai cercatori di tartufi delle Langhe insieme alla convinzione che gli unici, veri, autentici tartufi sono quelli che crescono intorno ad Alba. E’ certamente vero che i tartufi delle Langhe, le “trifole” come sono chiamate da quelle parti, sono tra i migliori al mondo, ma se ne gustano di superbi per esempio anche a Monte San Pietro (BO) dove si tiene da parecchi anni la “Tartufesta” o a Dovadola (FC) dove la Fiera del Tartufo è giunta alla sua 44° edizione, per non parlare di Acqualagna (PS) da sempre in polemica con gli albesi accusati di acquistare i loro tartufi e di rivenderli al doppio agli ignari clienti. Per non far torto a nessuno ci siamo recati oltre che ad Alba - noblesse oblige - anche in queste località e ve le raccontiamo nelle pagine che seguono dandovi anche suggerimenti sui cibi ideali ai quali abbinarli. Dedichiamo al tartufo il numero di novembre della rivista e non quello di ottobre per il rispetto che si deve al “cibo degli Dei”; “Gustare l’Italia”, come ogni vero gourmet, ritiene che la raccolta dovrebbe incominciare in novembre, il mese ideale (e non a caso le prime Fiere avvenivano in questo mese) e se per ragioni di mercato si anticipa ad ottobre o addirittura a settembre è una violenza che viene fatta ai tartufi perché non sono ancora giunti alla sua perfetta maturazione. Anche Grimond de la Reyniere, gastronomo francese di fine Settecento, che dedicò diversi volumi ad educare il palato dei nuovi arricchiti della post-rivoluzione, suggeriva di non avere fretta ed aspettare la fine dell’autunno per cogliere i tartufi dal profumo più intenso. Perché è proprio il profumo il linguaggio con cui il tartufo ci racconta la sua storia: se è stato raccolto sotto una quercia, albero che gli conferisce l’aroma più squisito, se è giunto il momento della sua maturazione, se è cresciuto nell’altitudine corretta, nel bosco o nella palude e se il sole ha asciugato al punto il terreno. Rubando ancora alla musica un esempio, dovremmo riconoscere un ottimo tartufo dal suo profumo come chi ama la musica non confonderà mai, fin dalle prime note, lo stile di Mozart con quello di Salieri.
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Gustare l’Italia
Editoriale
Tempo di tartufi
Sommario novembre 2010
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Com’è andata la raccolta
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L’ Associazione “Città del tartufo” si prepara all’Expo 2015
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Il tartufo, un gioiello a 24 carati
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Le Lune di Gustare l’Italia “Antichi Sapori”
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L’artigiano in tavola Un maestro artigiano ai vertici del design internazionale
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IN CANTINA
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Il Sangiovese di Romagna: storico riscatto dell’enologia romagnola
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Corso di sommelier A rigor di naso
IN CUCINA La “madeleine” di Aldo, Giovanni e Giacomo
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IN TAVOLA
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A tavola con le stelle La cena dello scorpione
Gustare l’Italia
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IN GIRO PER... Non solo Alba Il cane da tartufo
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RUBRICHE
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I Ristoranti Expo “Il Marchesino”
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Le ricette dell’unità d’Italia Il minestrone d’Italia
84
Tempo di guide Gli esami non finiscono mai
88
Il Viagra in pentola
90
Appuntamenti
94
Libri da mangiare
96
Quiz Sei un vero gourmet?
Periodico di enogastronomia e turismo - Anno 1 - Numero 6
Novembre 2010 - Reg. Trib. di Milano n° 201 del 14/04/2010
Direttore Responsabile: Massimo Balletti - Direttore Editoriale: Cino Tortorella Caporedattore: Raffaele Montagna Responsabile Dipartimento Grafico: Daniele Colzani Segretaria di Redazione: Loredana Spadafora Grafica e impaginazione: Daniele Colzani - Giovanni Di Gregorio Responsabile Diffusione: Roberto Zanutto Concessionaria pubblicità: Press Video Edizioni Pubblicità Responsabile Trattamento Dati Personali: Paola Cattaneo L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiedere gratuitamente la rettifica o cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs 196/2003 scrivendo al Responsabile del Trattamento Dati Personali: Press Video Edizioni - Via Milanese, 5/11 - 20099 Sesto San Giovanni (Mi)
Contatti: info@gustarelitalia.it - www.gustarelitalia.it Hanno collaborato: Alice Balestrini - Roy Berardi - Paolo Bonagura - Bruno Goglione - Felice Maratea Arabella Pezza - Angelo e Piero Solci - Regina Zather Fotografi e Uffici Stampa : Emanuela Cattaneo - Lorenzo D’Alò - Masiar Pasquali - Gianni Renna - Comune di Acqualagna - Ente Turismo Alba Bra Langhe Roero - Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba - Romagna Terra del Sangiovese - Archivio Gualtiero Marchesi - Cinquesensi - Avanguardia Culinaria - Bietti Editore - Garzanti Editore - Gourmadia srl - Kinoweb - Kowalski Editore - Newton Compton Editore Foto cover: Ente Turismo Alba Bra Langhe Roero © Riproduzione (anche parziale) vietata
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www.gustarelitalia.it Gustare l’Italia
Siamo a metà strada: novembre e dicembre sono i due mesi fondamentali per la raccolta dei tartufi bianchi e noi di “Gustare l’Italia” (così come tutti i buongustai che ci leggono) siamo curiosi di sapere come sta procedendo questo 2010 e com’è andata fino ad oggi. Abbiamo deciso così di intervistare chi di questo prezioso fungo è veramente competente; si tratta di Maurizio Vaglia, titolare della M.G.M. di Milano, una società che, da via Lombroso - nei pressi dei Mercati Generali della città -, vende al “mondo intero”, come sottolinea lui, solo esclusivi prodotti di altissima gamma.
Ma davvero al “mondo intero”? Anche ai privati?
Certamente - spiega in Signor Maurizio, compiaciuto - a tutti coloro che cercano solo l’eccellenza e la qualità. Vendiamo caviale, foie gras, Cinta Senese, bottarga, Patanegra - e mi è appena arrivato un prosciutto calabrese che è tutto da provare - ma al primo posto, anche per mia personale preferenza, i tartufi. Insomma, abbiamo dunque trovato la persona giusta da intervistare per scoprire come sta andando la raccolta; Maurizio ci racconta che se l’anno scorso è stata discreta, le previsioni per questo 2010 sono invece straordi-
© Lorenzo D’Alò
di Arabella Pezza e Raffaele Montagna
Com’è andata la raccolta
Gustare l’Italia
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narie. I tartufi sono numerosi e per questo motivo anche i prezzi sono più bassi. Ma quanto “bassi”? - siamo in-
curiositi… I tartufi migliori costano circa € 3500 al kg, ma è possibile trovarne di buoni anche a meno, circa € 2000 al kg, quasi la metà dello scorso anno. Non si tratta di prezzi proprio “popolari”, ma se l’annata è così eccezionale forse vale la pena di investire nell’acquisto di qualche grammo. Ma di che tartufo? Sono meglio quelli di Alba o di Ac-
Il nome scientifico del tartufo è “tuber ma-
qualagna? I tartufi italiani o quelli stranieri?
gnatum Pico”; da dove deriva questa dicitu-
Alba e Acqualagna sono due piazze false - mi garantisce Maurizio con mia grande sorpresa - hanno la nomea di “città del tartufo” solo per campanilismo, ma in verità spesso e volentieri ne sono invece carenti. In tutta l’Italia, dal nord delle Puglie in su, si trovano prodotti sorprendenti, così come anche in Croazia e in Slovenia. Quindi conviene comprare all’interno della regione che ha prodotto il maggior numero di tartufi, per acquistare a prezzi bassi. Quest’anno stanno andando bene la Toscana e le Marche.
ra?
Ma non ci sono differenze di sapore tra un tartufo di una regione o di un’altra? - gli chie-
diamo ancora. Assolutamente no, il gusto del tartufo varia da fungo a fungo, per giudicarlo è necessario assaggiarne più nello stesso momento. Ad esempio quest’anno hanno assorbito troppa acqua - si sa che questa è presente in un’alta percentuale al loro interno - ma nonostante questo i prodotti sono comunque eccellenti.
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“Pico” è in nome dello scienziato che per primo ha classificato il tartufo, mentre “magnatum” , che più precisamente dovrebbe scriversi “magnatium”, è relativo a quelli che hanno molto denaro, ai “magnati” appunto, ovvero coloro che possono permetterselo; “tuber” è invece il nome scientifico anche se, naturalmente, non si tratta di un tubero bensì di un fungo ipogeo . Questo 2010 si presenta dunque come l’anno giusto per investire in tartufi, se le finanze lo permettono, ça va sans dire; e infatti si sta avendo un buon riscontro da parte di tutti i gourmet appassionati: i prezzi sono più bassi rispetto al 2009 e la qualità dei prodotti è notevole. Ringraziamo Maurizio Vaglia per averci aiutato a districarci all’interno del misterioso mondo di questi funghi pregiati; non ci resta che andare a gustare insieme un buon piatto di carne cruda di Fassone piemontese con un’abbondante spolverata di “trifola”.
Gustare l’Italia
Il punto dell’Associazione Nazionale Città del Tartufo Che questo sia un anno eccezionale, sia per qualità che per quantità, ce lo conferma un’Autorità: Giancarlo Picchiarelli, (foto a lato) Presidente dell’ “Associazione Nazionale Città del Tartufo”, ci assicura la soddisfazione degli operatori del settore per ciò che riguarda la raccolta dello ‘scorzone’ e ancor di più la conferma per la raccolta del ‘bianco pregiato’. Tale abbondanza si è verificata pressoché in tutte le zone tartufigene italiane e i prezzi, ovviamente, vengono fissati dall’incontro tra domanda e offerta e in questo caso - anche considerando che il tartufo è poco conservabile - l’abbondanza di raccolto significa maggiore offerta, ergo, quest’anno prezzi bassi. Gli chiediamo quale sia la regione con maggior produzione e ci sentiamo rispondere: “con il ‘beneficio d’inventario e salvo smentite’ forse il Molise raccoglie la maggior quantità, con una buona qualità e con esemplari di una certa qual dimensione. Il “beneficio d’inventario” è dovuto alla mancanza di un ‘Osservatorio Nazionale’ che si occupi di tutte le problematiche relative al settore - e che sia un settore economico di un certo valore, nessuno può metterlo in dubbio - e che fornisca i dati e i riscontri a livello nazionale, puntando sulla tracciabilità del prodotto e dell’eventuale filiera”. L’Associazione si batte per l’istituzione dell’Osservatorio - attualmente esistono solo registri regionali - e la questione pare che stia avendo favorevole udienza presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali “Esistono aree come l’Abruzzo, il Molise, la Basilicata e forse la Calabria, che sono più votate alla ricerca e alla raccolta ed aree come le Marche, il Piemonte che sono più votate alla promozione alla commercializzazione ed al marketing”. Quindi, un Italia che si bilancia e fortunatamente ben compete in ambito internazionale (un nababbo cinese negli scorsi anni ha speso una somma di oltre trecentomila euro per un tartufo bianco di circa un chilo!) Chiediamo al Presidente Picchiarelli perché l’Associazione non include regioni come la Basilicata, la Puglia, la Calabria e la Sicilia che pur producono tartufi (ufficiosamente tutti lo sappiamo), ma che ufficialmente sembrano disorganizzate, senza punti di riferimento individuabili. “Dobbiamo renderci conto che l’Associazione funziona su base volontaria e non si può obbligare nessuno, anche se noi offriamo alcuni utili servizi” - ci sottolinea - “ma pensiamo che ci farebbe piacere se qualche Amministratore del Sud si facesse parte diligente nel favorire l’adesione del proprio comune, anche perché la ‘questione tartufo’ è strettamente connessa, non solo all’economia diretta che può sviluppare, ma anche alla promozione turistico/territoriale; il che può significare crescita economica e soprattutto sociale”.
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di Paolo Bonagura
L’ Associazione “Città del tartufo” si prepara all’Expo 2015
L’Associazione Nazionale Città del Tartufo compie 20 anni; nasce, nell’ottobre 1990, ad Alba per valorizzare il tartufo e salvaguardare il territorio e l’ambiente delle zone particolarmente vocate; per favorire la conoscenza e la promozione turistica delle aree produttrici. In questi anni l’Associazione ha aggregato oltre 50 realtà italiane, tra Comuni, Comunità Montane e Province delle 11 Regioni produttrici di tartufo. Essendo presenti esclusivamente Istituzioni pubbliche, l’Associazione è
portatrice di interessi generali, legati ai territori di produzione, favorendone la promozione attraverso una comune azione di tutela e valorizzazione. In questi venti anni “Città del Tartufo” ha intrapreso iniziative, sia nel settore normativo che nel marketing territoriale, al fine di garantire la tracciabilità del prodotto, responsabilizzando i vari attori della filiera e garantendone la qualità, a tutela del consumatore e del turista. Grazie ai tartufi l’Associazione intende promuovere tutte le risorse ambientali,
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culturali, ed enogastronomiche che questo prezioso fungo è capace di esaltare. Un’importante tappa della storia associativa è stata l’adozione nel 2008 della “Carta di San Miniato”, in cui si delinea la strategia dei prossimi anni, volta ad evidenziare le tre vocazioni dei territori dove crescono i tartufi: produzione, commercializzazione, turismo. Obiettivo dell’Associazione è sovrapporre queste tre vocazioni nel comun denominatore della qualità. Per perseguire questi ambiziosi progetti “Città del Tartufo” ha favorito lo sviluppo di diversi strumenti di promozione del territorio: dal sito www.cittadeltartufo. com, alle mostre mercato, che favoriscono il turismo enogastronomico, dal marchio “Amico del tartufo” assegnato ai ristoratori che fanno esclusivo uso di tartufo fresco o trasformato (escludendo l’utilizzo di prodotti chimici), alle attività di ricerca sul prodotto (grazie ai centri studi di Alba e S. Angelo in Vado), senza dimenticare i percorsi sensoriali dei Musei del Tartufo (a Borgofranco Po e a S. Giovanni d’Asso). In occasione del ventennale il 5 novembre scorso si è svolto a Milano un incontro con lo scopo d’illustrare il percorso che l’Associazione sta affrontando per prepararsi all’appuntamento con l’Expo 2015. L’incontro dal titolo “… dal ventennale all’Expo 2015…”, patrocinato dalla Regione Lombardia è stato un momento di conoscenza e di confronto tra la realtà associativa, la stampa e le autorità locali. Con Giancarlo Picchiarelli, presidente di Città del Tartufo, erano
presenti gli Assessori della Regione Lombardia alla Digitalizzazione e Semplificazione Carlo Maccari e all’Agricoltura Giulio De Capitani. L’Expo 2015 - è stato spiegato raccogliendo tematiche già sviluppate dalle precedenti edizioni della manifestazione, le ripropone alla luce dei nuovi scenari globali al centro dei quali c’è il tema del diritto ad un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutto il Pianeta . “Questo appuntamento internazionale - ha commentato il presidente - è un’importante vetrina per il ‘made in Italy’ e noi intendiamo aderirvi per promuovere il rapporto tra tartufo e territorio. Dopo quelle di Roma e Alba l’incontro di Milano è stato un’ulteriore occasione per rinnovare la ‘mission’ dell’Associazione e cioè quella di promuovere la conoscenza e l’utilizzo del tartufo, attraverso una serie di azioni e buone pratiche che stiamo mettendo in campo. Tra i nostri obiettivi anche quello di far conoscere le tradizioni dei territori associati in cui il fungo cresce spontaneamente, e che ne hanno fatto un elemento del proprio sviluppo economico, turistico e culturale”.
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Tra la fine di settembre e l’inizio di gennaio, quando le colline delle Langhe e del Roero emergono al mattino da una soffice nebbia per riscaldarsi al sole tingendosi di rosso, il trifolau, il cercatore di tartufi, torna a casa dopo aver setacciato le sue tartufaie segrete tutta la notte, solo come un lupo mannaro che attraversa ora boschi di pioppi, tigli,
querce e salici, ora vigne, con il suo cane, quasi sempre un bastardino che da queste parti viene chiamato “tabui”. E’ il cane più pregiato per la ricerca: sempre affamato conosce bene l’arte di arrangiarsi e sa che l’unica merce di scambio per ottenere cibo dal suo padrone è condurlo al “tuber magnatum Pico”.
E’ tempo di...
di Susanna Signorini
Il tartufo, un gioiello a 24 carati
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Ne esistono numerose qualità ma il tartufo bianco di Alba, quello che in dialetto piemontese viene detto trifola, è il più rinomato al mondo; è la qualità che più difficilmente si può trovare all’estero, mentre in Italia è circoscritta alle zone delle Langhe, della Toscana, della Romagna e delle Marche (anche se si comincia a parlare di tartufi bianchi anche in Puglia e sulla Sila calabrese). Esistono numerose altre qualità che si trovano in molte nostre regioni ed all’estero: il tartufo nero di Perigord in Francia o di Norcia in Umbria ad esempio, ma sono lontani anni luce dal tartufo bianco per gusto, profumo, consistenza e colore. Il tartufo è un fungo sotterraneo costituito in alta percentuale da acqua e sali minerali assorbiti dalle radici degli alberi. Nonostante il suo aspetto povero e sgraziato costituisce da sempre una ricchezza mandata dalla provvidenza ai fortunati ricercatori. Alba, in provincia di Cuneo, ne è ritenuta la capitale e, dal 1929, è sede della Fiera Nazionale del Tartufo. Oltre a diverse iniziative culturali legate al territorio, ogni sabato e domenica del mese di ottobre ha luogo il mercato delle trifole. Oggi potrebbero essere quotate in borsa dal momento che hanno oscillato - da settembre ad oggi - da tremilacinquecento a quattromilacinquecento euro al chilo, ma già negli anni ’30 un chilo di tartufi equivaleva allo stipendio mensile di un maestro di scuola. Fin dall’antichità il tartufo era considerato un dono di tal valore da contribuire a mantenere la pace tra i regnanti; si racconta che gli ateniesi concessero l’ambito diritto di cittadinanza ai figli di un certo Gherippo perché aveva inventato una nuova maniera di cucinarli, Plinio il Giovane lo chiamò “gioiello della terra”, Giovenale “cibo degli dei, figlio del fulmine”, Brillat Savarin nel suo trattato di
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gastronomia “La fisiologia del gusto” lo definisce “il diamante della tavola”. La gente di Langa ha preso talmente sul serio costoro che oggi un tartufo può raggiungere le quotazioni di un prezioso brillante. Una grattugiata su un piatto di tajarin o su una fonduta, o su degli agnolotti col plin, si paga in un buon ristorante langarolo dai 50 ai 60 euro e non osiamo prevedere a quanto si arriverà a Natale. Eppure nei ristoranti di Neive, di Costigliole, di Albaretto non è possibile trovare un posto libero fin dopo l’Epifania e la domanda resta sempre superiore all’offerta. Alle sue fortune non è certamente estranea la sua fama di cibo afrodisiaco, in virtù della quale il tartufo era dedicato a Venere, la dea
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dell’amore, e che perciò veniva commerciato dai romani con gli asiatici fin d’allora a caro prezzo. Ne erano convinti fin dal I secolo d.c. come testimonia Avicenna, medico e filosofo arabo; ci credeva Luigi XIV, il grande “re sole” che prima di ogni tenzone amorosa se ne cibava abbondantemente, ne erano certe le autorità religiose che nel XVII secolo lo proi-
birono severamente a monache e frati; non ne poteva fare a meno un musicista dal temperamento focoso come Giacomo Puccini e la Bela Rosin non lo faceva mai mancare a Vittorio Emanuele II prima di ogni incontro d’amore; la leggenda popolare vuole che Napoleone concepisse il suo unico figlio dopo una cena a base di tartufi di cui Maria Luisa era ghiottissima.
PRIMA DI CUCINARE Vorremmo ricordare alcuni accorgimenti per valorizzare al massimo l’intensità del tartufo acquistato. Il tartufo, infatti, non si conserva a lungo. E’ possibile tenerlo in frigo, per alcuni giorni, purché in un barattolo a chiusura ermetica, dopo averlo avvolto in una carta di tipo assorbente che dovrà essere cambiata ogni giorno. Per periodi più lunghi si può provare, dopo averlo ben spazzolato, a conservarlo sotto sabbia, segatura, cenere o crusca, ben asciutte, sempre in una scatola ermeticamente chiusa. Altre tecniche, come l’uso del surgelatore o l’essiccazione, lo privano della sua primaria qualità, il profumo, o sono adatte ad altri tipi di tartufo che hanno una diversa consistenza e si prestano a differenti elaborazioni. Prima di consumarlo è essenziale nettarlo dalla terra, prima con uno spazzolino con la massima delicatezza (la parte vicino alla corteccia è la più pregiata) poi con una pezzuola asciutta. La fretta è una cattiva compagna perchè, se il residuo della terra potrebbe rovinare la riuscita del piatto, l’acqua deteriorerebbe l’aroma, quindi è bene armarsi di pazienza e possibilmente di spazzolini diversi. In ultimo è necessario l’affetta-tartufi che oltre a ridurre il tartufo in sottilissime scaglie, permette di grattugiarlo a tavola, sul piatto, in modo da non perdere neanche un istante di profumo. La quantità da far piovere sul piatto dipende dalla vostra borsa o dalla generosità del padron di casa ma mediamente vanno bene cinquanta grammi a porzione. Nel suo “Traitè de la table” Maurice des Ombiaux, scrittore e gastronomo belga detto il “cardinale della gastronomia”, all’inizio del secolo scriveva: “se avete un tartufo in casa, mettetelo vicino a delle uova; il giorno dopo potrete preparare le migliori uova alla coques della vostra vita” e ... se la gallina è ruspante, non possiamo che dargli ragione.
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Tale diceria ha fatto comodo ai langaroli i quali sostengono anche che i veri tartufi sono solo quelli che nascono intorno ad Alba. E’ certamente vero che i tartufi delle Langhe sono tra i migliori ma anche in altre località se ne gustano di ottimi; da sempre ad Acqualagna in provincia di Pesaro sostengono che i loro tartufi non hanno nulla da invidiare a quelli di Alba, tanto è vero che spesso qualche trifolau viene ad acquistarli per poi rivenderli al doppio facendoli passare per langaroli. Qualcuno grida allo scandalo, qualche altro invita a ringraziare il cielo perché - dice - se non ci fossero i tartufi delle altre regioni quelli di Langa arriverebbero a costare 10mila euro al chilo. Di quando in quando c’è chi annuncia di aver messo a punto un metodo per ottenere tartufi coltivati con il procedimento detto “micorizzazione” (si fanno attecchire minuscole
parti di tartufo alle radici delle piante particolarmente adatte: querce, pioppi, salici, tigli, castagni) e si aspetta. Il primo tentativo fu fatto alla fine del ‘700. Gli amanti della trifola sono ancora in attesa che l’esperimento abbia finalmente successo per poter avvicinarsi al divino fungo senza dover firmare cambiali. L’avvenire però non è dei più rosei; i trifolau hanno visto ridurre il proprio raccolto a pochi grammi per notte nel giro di pochi anni. Il clima ha sempre avuto le sue oscillazioni e perciò abbiamo il diritto di sperare ma ci si chiede se ci sarà finalmente un argine all’uso crescente di pesticidi e diserbanti che impoveriscono e avvelenano la terra e quando si porrà fine al disboscamento selvaggio. Il tartufo bianco vuole il terreno leggero dei boschi intorno ai seicento metri d’altezza, non quello di fondovalle, ed è bene aspettare un po’ prima di raccoglierli.
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QUALI VINI CON I TARTUFI? L’amore fra il vino e la trifola è da sempre un amore contrastato e spesso litigarello (come fra vino e carciofi, fra vino e baccalà)... Nella scelta si deve dare la preferenza a chi sia capace di accarezzare il sapore del tartufo senza alterarlo o opprimerlo. Come per i funghi dove è preferibile un bianco che ne esalti il sapore senza violentarlo, suggerirei un buon bianco del Collio, una Malvasia istriana o, per restare in Piemonte, l’Arneis o la Favorita. Chi volesse dare la preferenza al rosso si può indirizzare verso il Grignolino, la Barbera Bonarda o un Dolcetto langarolo più morbido di quello di Asti o,
© Ente Turismo Langhe Roero
perchè no?, un Brachetto un po’ frizzante.
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© Gianni Renna
In cucina
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© Kinoweb - Masiar Pasquali
di Cino Tortorella
La “madeleine” di Aldo, Giovanni e Giacomo
Incontro Aldo, Giovanni e Giacomo nella nuova sede del Clam, i Club dei Maghi di Milano dove riceveranno la tessera ad honorem come maghi della comicità. Hanno appena terminato di girare il loro ultimo film “La banda dei Babbi Natale” che sarà nelle sale in dicembre. Non sono per nulla preoccupati per la data – venerdì 17 - che per molti non è di buon auspicio ma per loro è una garanzia di successo; infatti, proprio un venerdì 17 di qualche anno fa andò in scena “I Corti” con la regia di Arturo Brachetti. Lo spettacolo ebbe una clamorosa accoglienza di pubblico, il primo di una lunga serie sempre più fortunata e da allora il venerdì 17 è stato sempre salutato dal trio come
buon auspicio. E certo sarà così anche questa volta perché pochi attori come loro meritano il successo che continuano ad avere senza essersi mai montati la testa, avendo conservata intatta la simpatia e la modestia dei loro inizi, con la loro raffinata comicità che non scende mai nella volgarità. A ciascuno rivolgo la stessa domanda: “Qual è il cibo che vi riporta indietro nel tempo, che vi fa tornare alla vostra giovinezza, che vi ricorda persone care… qual’è insomma la vostra madeleine?” Si fanno di colpo seri, ciascuno si immerge nei proprio pensieri. Poi è Aldo a parlare: “I ricci, i ricci” e lo dice con allegria, come se stesse rivelando un divertente segreto a se stesso. Non capisco. “I ricci! I ricci di mare!” “I ricci di mare?! E cu-
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cinati come?” “Ma che cucinati! Crudi, crudi, appena pescati fra gli scogli del mio mare, quello della mia Sicilia!” Mi racconta che è nato a Palermo; i genitori, chiamandosi Maria e Giuseppe, erano stati tentati di battezzarlo Gesù, ma poi modestamente gli avevano dato il nome di Cataldo, il santo protettore di Caltanissetta, la città natale del papà. Aveva tre anni quando la famiglia era salita a Milano in cerca di lavoro come tanta altra gente del Sud, ma si era portato nel cuore il ricordo della sua isola e felicità era quando vi ritornava per le vacanze. Lasciare Milano e immergersi nel sole e nel mare della sua isola era una gioia senza pari. Fin da ragazzino era diventato bravissimo nel cercare i ricci “femmina” che aveva imparato a distinguere dai ricci “maschio” anche se la denominazione non ha niente a che fare con il sesso reale della specie ma semplicemente con la scarsa quantità di uova contenute. Il sapore dei ricci gli riporta il ricordo della sua terra e di quelle indimenticate vacanze, e ancora oggi quando si trova in una città di mare e può gustare i ricci appena pescati e ancora bagnati di salsedine si rivede ragazzino libero e felice, si rivede a nuotare nelle acque limpide del suo mare insieme ai cugini con il cestello di filo di ferro per riporvi i ricci… e si ritrova a mangiarli sulla spiaggia con il papà, la mamma senza un filo bianco nei capelli, e i suoi zii con i quali può ancora parlare il dialetto musicale della sua terra e bere i vini allegri e luminosi delle sue vigne, cantare insieme le canzoni che non ha mai dimenticato: Vitti ‘na crozza, Lu sciccareddu, S’ammaritau Rosa…
Giovanni e Giacomo stanno ad ascoltarlo in silenzio e senza commentare ironicamente le sue parole come fanno nei loro sketch. “E tu Giovanni? Qual’è la tua madeleine?” non ha esitazioni: è il piatto che gli cucinava (e continua a cucinargli) la mamma Nora nella sua casa di Milano. La famiglia di Giovanni, che di cognome fa Storti, è una famiglia che è ormai raro trovare
nella città della Madonnina perché è composta esclusivamente da milanesi: padre, madre, nonni… “Non ce n’è uno, non dico del Sud, ma nemmeno di Piacenza” mi dice con orgoglio guardando Aldo e Giacomo con sufficienza. Immagino perciò che il piatto del suo ricordo sia dunque uno dei classici meneghini: la cassoeula, i mondeghili, il tradizionale risotto allo zafferano… “Macchè! Il piatto che mi cucinava mia madre per farmi felice erano le zucchine ripiene; le ha assaggiate un sacco di volte anche Aldo perché ci conosciamo da più di trent’anni, da quando abbiamo frequentato insieme la scuola del Teatro Arsenale di Milano”.
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Gi chiedo la ricetta di queste zucchine. “Forse è meglio che tu lo domandi a mia madre perché io sono buono solo a mangiarle.” È stato così che ho conosciuto la signora Nora, la mamma di Giovanni ed ho capito da dove nasce la simpatia, l’allegria che il figlio trasmette al pubblico nelle sue interpretazioni. La signora Nora è di Lacchiarella, una località appena fuori Milano dove è approdata da sposa; mi racconta della sua vita illuminandosi tutta: l’incontro con suo marito, al quale ha dato due figli: Luciano e Giovanni. Mi giura di essere un’ottima cuoca ma per misteriose ragioni che non è mai riuscita a spiegarsi, il piatto che da sempre ha conquistato suo marito prima e poi i suoi figli e poi ancora i quattro nipoti è quello delle “zucchine ripiene”. La ricetta è in fondo all’articolo ma, per renderla perfetta oltre agli ingredienti descritti, mi dice che occorre una buona bottiglia di Barbera o di Bonarda. Penso pe-
rò che come ingredienti siano necessari anche l’amore, l’allegria, la serenità di una famiglia unita che si respirano in casa Storti. “Tu Giacomo hai mai assaggiato le zucchine di mamma Nora come Aldo?” “Non ho mai avuto il piacere di essere stato invitato; questo spilungone con l’accento terrone e quest’altro tutto baffi li ho conosciuti solo qualche anno fa; prima di mettermi con loro ho fatto dei mestieri un po’ più seri fra i quali quello dell’infermiere all’ospedale di Legnano del quale mi vanto di essere stato anche caposala. Ho cominciato a fare spettacoli più tardi di loro anche se sono stato prima di loro in televisione nella trasmissione ‘Professione Vacanze’ e poi nello sceneggiato ‘Don Tonino’ si Italia 1; ho fatto cabaret con Marina Massironi, allora la mia compagna, in Hansel e Strudel; il primo spettacolo che ho fatto come interprete principale è stato ‘Mens sana in corpore nano’ e subito dopo ‘Non parole
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la seconda sfoglia e poi sulla terza, la quarta, a volte fino alla sesta o la settima… mia sorella Carla, che aveva tre anni meno di me, mi guardava con invidia e qualche volta permettevo anche a lei di stendere il sugo”. Anche a lui chiedo la ricetta e anche lui come Giovanni mi rimanda alla mamma, mamma Elsa da Villacortese, vicino a Legnano. È un piacere parlare con lei, anche in lei sentire la semplicità e la serenità delle mamme di una volta delle quali si sta perdendo lo stampo ed è sempre più raro incontrarle. “Sono stata obbligata a cucinare la pasta perché Giacomo non poteva soffrire il riso; diceva che avrebbe mangiato soltanto quello blu. Ma non c’è il riso blu, gli dicevo. “Allora non lo mangio!”. Avevo provato a mettere sul riso qualche goccia di vino per dargli un po’ di colore ma non aveva funzionato.
© Kinoweb - Masiar Pasquali
ma oggetti contundenti’ dove ho conosciuto Giovanni che ne era il regista.” Era il 1989; due anni dopo nasceva il trio e da allora il successo è andato sempre in un continuo, meritato crescendo. “Qual è la tua madeleine, Giacomo?” Non ha esitazioni: “Le lasagne al forno di mia mamma.” Chiude gli occhi come ad inseguire un ricordo: “Non ce le potevamo permettere spesso; la mia era una famiglia modesta, mio padre Albino era un operaio, ma quando arrivava il giorno delle lasagne, quasi sempre di domenica, era davvero una festa per tutti. Ci lavoravo anch’io con la mamma; lei faceva le sfoglie e il sugo e quando erano pronti la mamma appoggiava la prima sfoglia sulla teglia; a quel punto intervenivo io avevo il compito più “importante”, quello di stendere il sugo caldo e profumato sulla pasta e poi sul-
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© Kinoweb - Masiar Pasquali
Questo è rosso, io lo voglio blu. Così non lo mangio.’ E allora non mi restava che cucinargli la pasta… se poi erano lasagne era festa grande… per le lasagne era disposto a fare qualunque cosa e fin da bambino veniva in cucina con me e diceva che voleva aiutarmi. E il bello è che anche Emanuele, suo figlio, quando viene a trovarmi vuole che gli cucini le lasagne che piacevano e continuano a piacere al papà.” Ecco dunque “le madeleine” di questo divertente trio: i ricci di Aldo, le lasagne di Giacomo, le zucchine ripiene di Giovanni… basta aggiungere formaggio e dessert per realizzare uno straordinario menu che - penso - sarebbe perfetto per la cena del 17 dicembre, la sera della prima de “La banda dei Babbi
Natale.” Ne parlo con la redazione di “Gustare l’Italia”; l’idea piace. Lo proporremo alla produzione del film. Se tutti saranno d’accordo chiederemo alle tre mamme di tenersi libere la sera del 17 dicembre per realizzare questa straordinaria, fantastica, beneaugurante cena.
Zucchine ripiene di Mamma Nora Si fanno cuocere le zucchine e arrivate a metà cottura si tagliano a metà, si estrae l’interno che, tolti i semi, viene frullato; si fa a parte un amalgama con burro sciolto, menzo bollito, uova e for-
Ricette
maggio grana. Si unisce l’amalgama al frullato e si riempiono le zucchine. Una spruzzata di origano e poi al forno.
Lasagne al forno di Mamma Elsa Fare la pasta con acqua, farina e un po’ d’olio extra vergine. Per il sugo gli ingredienti possono variare a seconda della fantasia di mamma Elsa… pomodoro, carne di manzo e di maiale, cipolla, sedano, carote, un po’ di besciamella, vino rosso e un po’ di burro. Uova sode sbriciolate sopra in sugo una volta steso sulla pasta.
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L’amore per la qualità Il rispetto per la tradizione Benagiano Pastificio srl Corso Italia 138-140/b - 70029 Santeramo in Colle (Ba) Tel. 080-3036036 - E-mail: benagiano@benagiano.it - Website: www.benagiano.it
© Gianni Renna
In tavola
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di Cino Tortorella
A tavola con le stelle
La cena dello scorpione Il segno dello scorpione è iniziato il 23 ottobre e terminerà il prossimo 21 novembre. Ai nati sotto questo segno dedichiamo una fantastica cena realizzata nelle Langhe, terra di tartufi
È l’ottavo segno dello Zodiaco ed è governato da Marte; il suo simbolo astrologico è rappresentato dalla lettera M, simbolo dell’acqua primordiale e della vita, e dalla freccia, portatrice di morte. Suo elemento è l’Acqua, il colore è il viola, la pietra portafortuna è l’agata, il fiore l’orchidea, il giorno favorevole è, naturalmente, il martedì, dedicato a Marte. Sono nati sotto questo segno grandi musicisti: Scarlatti, Paganini, Bellini, Strauss; pittori e scultori: Canova, Monet, Cellini, Picasso; poeti e romanzieri: Schiller, Keats, Erasmo da Rotterdam, Dostoevskij, Pascoli; registi: Visconti, Lattuada, Scorzese, Avati, Soldati,
Rosi; attori: Grace Kelly, Charles Bronson, Aldo Fabrizi, Richard Burton, Jack Nicholson; campioni sportivi: Nuvolari, Adorni, Pelè; uomini di stato: Roosevelt, Indira Gandhi, Mitterand, Cian Kai Shek, Robert Kennedy I nati sotto questo segno sono di carattere libero e indipendente, equilibrati e geniali, mai superficiali. Di natura orgogliosa mirano a mete sempre più difficili e sono decisi a raggiungerle incuranti degli ostacoli. Generosi con gli amici reagiscono però con violenza se ritengono di aver subito un’offesa. Lo Scorpione è il segno più sensuale dello Zodiaco ed è per questo che hanno fortuna in amore; sono però gelosi ed egocentrici e for-
Gustare l’Italia 30
se non è opportuno che facciano coppia con qualcuno dello stesso segno proprio per evitare scintille. Amanti della natura, dell’aria aperta, dei boschi, anche a tavola sono per i cibi semplici e genuini; l’autunno è la loro stagione ideale e per soddisfare i desideri gastronomici non c’è niente di meglio dei prodotti che le Langhe regalano con generosità in questo periodo. Riteniamo perciò che per lo scorpione non ci sia miglior luogo dove consumare una cena che in uno dei tanti ottimi ristoranti di quella felice regione. Sarebbe perfetto come chef il mitico Cesare di Albaretto che dallo scorso anno è sceso a Serralunga d’Alba e crea i suoi manicaretti nella cucina della villa dove visse la Bella Rosina, amata da Vittorio Emanuele II, o il figlio del grande Guido di Castigliole che con la mamma è andato a deliziare gli ospiti che salgono al Relais San Maurizio sulla collina di Santo Stefano Belbo, o Ugo e Piero Alciati che fanno ritrovare ai loro clienti i sapori dell’infanzia…
Non c’è che l’imbarazzo della scelta ma fra tutti abbiamo deciso di dare la preferenza al clan dei Verro: Claudia, Tonino e Alessandro, il loro figlio giovanissimo ma già perfetto maître. Siamo andati a trovarli nel bel palazzo ottocentesco appartenuto ai Conti Cocito, signori di Neive, il delizioso paese a pochi chilometri da Alba. Sono naturalmente entusiasti all’idea di servire un parterre di VIP che arriverà a gustare le loro creazioni e subito si mettono all’opera; Claudia raduna il drappello di collaboratori che l’aiuteranno ai fornelli, Alessandro si assicura che i tavoli nelle stanze del palazzo gentilizio siano arredati con la consueta eleganza, Tonino parte per fare il giro presso i trifolau, i raccoglitori di tartufi di sua fiducia, per procurarsi i più sodi e profumati. Non resta che chiamare a raccolta gli ospiti, tutti rigorosamente nati sotto il segno dello Scorpione, e tutti accolgono con entusiasmo l’invito. I primi ad arrivare sono vecchie glorie del calcio italiano: Gigi Riva rombo di tuono (7 novembre), Sandro Mazzola (8 novembre), Albertosi (2 novembre), Boninsegna (13 novembre), ai quali presto si aggiungono l’attore Gigi Proietti (2 novembre) e il regista Nanni Loi (23 novembre) da sempre appassionati tifosi. Ma la sfilata di grandi campioni non è terminata; evidentemente i nati sotto questo segno hanno una
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predisposizione per questo sport perché ecco giungere Pelè (23 ottobre) con altri due grandi del calcio brasiliano: Garrincha (28 ottobre) , Vavà (12 novembre) seguiti da Diego Armando Maradona; Gigi Proietti non crede ai suoi occhi: “se ne arrivano atri tre mettiamo insieme la più fantastica squadra di tutti i tempi” dice. Non ha finito di parlare ed ecco scendere da una macchina Marco Van Basten (31 Ottobre), Luis Figo (4 novembre) e Alex Del Piero (9 novembre).
Ma ecco arrivare un gruppo allegro e ciarliero; preceduti da uno straripante Bud Spencer (31 ottobre) ecco Anna Marchesini (18 novembre), Amanda Sandrelli (31 ottobre) e Lello Arena (1 novembre). Anche numerosi per-
sonaggi della televisione arrivano in gruppo; fra essi riconosciamo Alessia Marcuzzi (11 novembre), Federica Panicucci (27 ottobre), Luciana Littizzetto (29 ottobre), Cristina Parodi (3 novembre), che accolgono festosamente Carlo Verdone (17 novembre) e Riccardo Scamarcio (19 novembre) in via del tutto eccezionale senza le loro compagne. Da una berlina blu ecco scendere Jodie Foster (19 novembre) e Julia Roberts (28 ottobre) guardate con invidia da molte belle signore perché sono in compagnia di Alain Delon (8 novembre) e Leonardo Di Caprio (11 novembre). Arriva adesso un pullmino con un gruppo di cantanti: Antonella Ruggiero, l’indimenticabile solista dei Matia Bazar (15 novembre), Nada (17 novembre), Fausto Leali (29 ottobre), Rino Gaetano (29 ottobre), Eros Ramazzotti (28 ottobre), Mango (6 novembre) e Biagio Antonacci (9 novembre). In una Smart vediamo arrivare due ginnaste campionesse olimpiche: Nadia Comaneci (12 novembre) che il prossimo anno compirà 50 anni e Vanessa Ferrari (10 novembre) che ne ha appena compiuti venti. Per dare il via alla cena non resta che attendere l’arrivo dei VIP più VIP: i personaggi che una giuria ha giudicato i più illustri nei loro campi; fanno il loro ingresso in piazza Cocito a bordo di una lussuosa limousine: Bill Gates (28 ottobre), Ennio Morricone (10 novembre), Roberto Benigni (27 ottobre) ai quali si è unito, chissà perché, il Principe Carlo (14 novembre) grazie a Dio senza la sua Camilla.
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L’aperitivo è servito al “Nido della Cinciallegra”: il festoso locale dove è stato creato un emporio che è come un viaggio nella gastronomia più raffinata delle Langhe: dolci, salumi, marmellate, conserve, frutta sciroppata, torrone, miele, cioccolatini, tume, robiola, fino al delizioso bruss, il formaggio galeotto responsabile di innumerevoli peccati d’amore. Gli ospiti brindano con un calice del suo Arneis, un’esplosione di profumi e di sensazioni che predispone allegramente gli ospiti alle delizie che verranno servite non appena avranno preso posto ai tavoli loro assegnati nelle eleganti sale della Contea. Entrare nelle belle sale della “Contea” in una sera di novembre è già per gli illustri ospiti un’esperienza indimenticabile; si troveranno avvolti in una nube invisibile di profumi che si insinua nei loro sensi, che li fa entrare in una dimensione di magia, nell’incantato mondo dei tartufi, dei misteriosi, capricciosi, sensuali doni della terra cari ad Afrodite. Sarà in quell’atmosfera che gusteranno il primo piatto: un classico della cucina langarola: la
“Tartrà di spinaci al tartufo nero” È un cibo che giunge da un passato lontanissimo; il nome secondo alcuni ci arriva dai turchi che hanno bazzicato da queste parti qualche secolo fa. È l’antichissimo piatto dell’autosufficienza contadina fatto con gli avanzi di ciò che si trovava in dispensa: cipolle, latte, uova, spezie… si faceva cuocere in casseruola mettendo della brace anche sul coperchio per ottenere l’effetto forno. I VIP ne sono entusiasti; e non è che l’inizio. Stanno infatti per essere serviti gli strepitosi, superbi, clamorosi
“Tajarin di Claudia” entrati nella storia della gastronomia perché realizzati con 30 tuorli d’uova per ogni chilo di farina. Questi tajarin furono anno fa oggetto di critica da parte di qualcuno che polemizzò con Claudia mettendo in dubbio la veridicità di questo fatto: fino a che, durante una ripresa televisiva, Claudia fece i tajarin sotto la fredda testimonianza delle telecamere. 30 tuorli d’uova per ogni kg di farina - e non uova qualunque, ma delle splendide galline che razzolano libere e felici sotto gli sguardi avidi e vogliosi di superbi galli accanto a tristi e indifferenti capponi. Ed eccoli arrivano in tavola. E improvvisamente cala il silenzio in sala perché un drappello di camerierine è entrato e ha incominciato a far scendere una generosa pioggia di tartufi.
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Incredibilmente c’è qualcuno che li rifiuta e viene guardato con stupore. Come è possibile rinunciare a questo cibo per il quale facevano pazzie re ed imperatori ed era conteso dagli dei dell’Olimpo? Forse è addirittura peggio che essere astemi, peccato che grida vendetta al cospetto di Dio. Per glorificare lo strepitoso piatto Tonino ha servito un rotondo, delizioso Barbera, nel ricordo del grande Giacomo Bologna. L’atmosfera si è surriscaldata anche per il profumo dei tartufi che si è fatto più intenso. Come secondo piatto Claudia ha scelto le
“Coscette d’anatra stufate” rese perfette dal Barbaresco della Contea ottenuto dall’uva Nebbiolo che cresce sulle colline di Neive spalancate al sole; ha il fresco profumo della primavera che si impadronisce del palato con suadente dolcezza. A questo punto della cena Tonino vuole fare un omaggio ad un altro grande delle Langhe: a Beppino Occelli, il maestro formaggiaio di Farigliano, e fa arrivare in tavola alcuni dei suoi capolavori. Quella di Occelli è un’altra delle tante strepitose storie di personaggi langaroli; quando cominciò a fare il formaggio, negli anni ’80, nella provincia si conosceva soltanto la “tuma” prodotta con latte di mucca, pecora, caglio e sale; i vecchi favoleggiavano di altri formaggi che si producevano agli inizi del secolo e dei quali si era persa la memoria. Beppino scommise con se stesso di recuperarli; chiese aiuto agli anziani, accolse nella sua azienda chiunque potesse dargli consiglio e compì il miracolo. Oggi sono una realtà: formaggi recuperati dal passato conservando intatta la tradizione degli alpeggi delle Alpi Cuneesi: “la tuma dla paja”, la “tuma del Trifolau”, il “Crutin”, la “Casottina”, il “Verzin”, la “Raschera” e molti altri fino al capolavoro assoluto: l’”Escarun”. Aver ricreato l’Escarun equivale ad aver riportato alla luce un Masaccio andato perduto; i vecchi ne hanno ritrovato il sapore con nostalgia, i giovani lo scoprono con emozione. I VIP gustano quelle delizie continuando ad accompagnarle con il Barbaresco che ormai si è fatto morbido e cedevole come una bella donna che finalmente ha detto sì.
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Chiude il pranzo un
“tris di dolci” il “bonet” al caffè, il “bonet” al cioccolato, il semifreddo al torrone di stretta tradizione langarola. Sono abbinati col Moscato della Contea ma qualcuno lo rifiuta perché preferisce conservare il sapore del Barbaresco. Con un lungo applauso gli ospiti reclamano la presenza degli artefici della splendida cena e quando entrano in sala vengono accolti con una meritatissima standing ovation che commuove Claudia e Tonino. Ora i VIP escono a piccoli gruppi nella pace della sera dove un filo di luna disegna i colli rigati dalle vigne. Le macchina sono pronte in piazza ma qualcuno preferisce trascorrere la notte nelle camere della Contea; molti sceglierebbero questa soluzione ma purtroppo le camere sono soltanto 7. I fortunati che potranno goderle si ritroveranno in un luogo che certo avrebbe fatto la gioia di Guido Gozzano che, non lontano da Nei-
ve, nella campagna canavesana, chiedeva ispirazione poetica alle cose buone e vere del tempo andato e certo avrebbe amato queste stanze dove si sente ancora “odore d’ombra, odore di passato”. L’arredamento è semplice ma i letti con le testate di ferro, i mobili, le stampe antiche sono scelti con gusto in stile “Vej Piemont”; nel grande specchio si sono rimirate forse Carlotta e la sua amica Speranza con i loro sogni e i loro turbamenti…
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Soffice tartrà di spinaci al tartufo nero
nuta con il Marsala, il vino bianco, il Cognac, lasciati ridurre del 50%, amalgamati alla demi glace e montati con una noce di burro.
Cosce d’anatra stufate al Barbaresco Per quattro persone: 4 cosce d’anatra; 3 cipolle; 2 carote; 1 costa di sedano; 4 spicchi d’aglio; 4 rametti di rosmarino; 3 foglie di alloro; 3 dl di Barbaresco; 4 cl di olio extravergine di oliva; 3 dl di brodo vegetale; sale e pepe a mulinello Preparazione: passare le cosce d’anatra sulla fiamma, per eliminare l’eventuale peluria. Per quattro porzioni:
Pareggiarle ed eliminare il grasso in eccesso;
2 dl di panna fresca; 1 dl di latte; 2 uova; 1 ci-
quindi lavarle con cura, asciugarle, salarle e pe-
polla; 200 g di spinaci freschi; 30 g di burro; 40
parle, scottarle su tutti i lati con l’olio, due spic-
g di parmigiano reggiano grattugiato; 1 rametto
chi d’aglio in camicia e metà del rosmarino.
di rosmarino; 3 foglie di salvia; 1 pizzico di noce
Preparare un battuto con il sedano, le carote, le
moscata; 3 cl di olio extravergine di oliva; sale e
cipolle, l’aglio e il rosmarino rimasti.
pepe a mulinello Per la salsa: 2 dl di Marsala; 1 dl di vino bianco; 4 cl di Cognac; 5 dl di demi glace; 1 noce di burro Preparazione: tritare la cipolla e farla imbiondire nel burro con gli spinaci ben lavati; quindi frullare tutto al mixer.
Ricette
In una ciotola sbattere le uova e incorporare il latte, la panna, il parmigiano e le erbe tritate. Regolare di sale e pepe e profumare con la noce moscata. Versare il composto in stampini di coccio monoporzione, unti di olio e cuocerli a banomaria a forno preriscaldato a 160° per circa 50 minuti. Servire la tartrà, a piacere, con abbondanti lamelle di tartufo e una salsa otte-
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Farlo rosolare con l’olio in cui erano state rosolate le cosce; unire l’anatra e bagnare con il vino rosso. Lasciarle stufare a fuoco basso, con il coperchio, per circa due ore, aggiungendo gradualmente il brodo. Regolare di sale e pepe, passare ala setaccio il fondo di cottura e servirlo con le cosce.
Semifreddo di torrone Per quattro porzioni: 4 uova; 50 g di zucchero; 5 dl di panna fresca; 5 cl di rum; 400 g di torrone alle nocciole Preparazione: montare i tuorli con lo zucchero e, quando risulteranno spumosi, amalga-
Fare cuocere a bagnomaria il bonet in forno già
mare delicatamente gli albumi montati a neve e
caldo a 160° per circa 40 minuti.
la panna montata.
Lasciare riposare il dolce per una notte in frigo-
Aggiungere poi il torrone tritato grossolanamen-
rifero, sformarlo e servirlo.
te o sbriciolato e il rum. Distribuire il composto ottenuto in uno stampo da semifreddo bagnato in acqua fredda e metterlo in freezer per almeno
Bonet classico al cioccolato
5-6 ore. Servire il dessert a fette, dopo averlo spolveriz-
Per quattro porzioni: 6 uova; 5 dl di latte fresco
zato a piacere, con cacao in polvere e zucchero
intero; 1,5 dl di panna fresca (crema di latte);
a velo e guarnito con frutta secca o sciroppata.
100 g di cacao amaro; 100 g di amaretti sbriciolati o paste di meliga (biscotti di granturco); 140
Bonet al caffè
g di zucchero
Per quattro porzioni: 5 dl di panna fresca; 8 uova;
Preparazione: montare i tuorli con metà dello
150 g di zucchero; 4 tazzine di caffè ristretto
zucchero, fino a ottenere una massa soffice e spumosa; quindi mescolarvi il latte, al panna, i
Preparazione: montare i tuorli con 90 g di zuc-
biscotti sbriciolati, il cacao setacciato e gli albu-
chero, fino a ottenere una massa soffice e spu-
mi montati a neve ben ferma.
mosa; quindi mescolarvi il caffè intiepidito.
Fare caramellare lo zucchero rimasto n uno
Incorporare quindi, delicatamente, la panna
stampo da budino e versarvi il composto prepa-
montata e gli albumi a neve ben ferma.
rato. Fare cuocere a bagnomaria il bonet in for-
Far caramellare lo zucchero rimasto in uno
no già caldo a 160° per circa 40 minuti.
stampo da budino e versarvi il composto prepa-
Lasciare riposare il dolce per una notte in frigo-
rato.
rifero, formarlo e servirlo.
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di Cino Tortorella
Le lune di Gustare l’Italia
Antichi Sapori
Si arriva a Montegrosso dalla superstrada che da Bari porta a Canosa; superata la deviazione per Andria e poi per Barletta, un’indicazione vi condurrà nel minuscolo borgo agricolo, uno dei tanti “inventati” dal Fascismo negli anni trenta. Nella piazzetta di Sant’Isidoro c’è il piccolo regno di Pietro Zito, detto “Pietro il grande”, e non soltanto per la sua mole, dei clienti che felicemente approdano al suo ristorante “Antichi Sapori”. Non è facile godere di questo privilegio a meno che non si sia prenotato con molto anticipo perché il locale è sempre occupato da un popolo festante in attesa di gustare le favolose creazioni di Pietro, forse il numero uno degli chef di questa regione dove pure ottimi cuochi non mancano. La sua è una cucina di grande semplicità ma, come ha scritto qualcuno, “Nulla è più diffici-
le della semplicità in cucina”; Giuseppe Verdi ammoniva: “Ritorniamo al passato, sarà un progresso per tutti”. Si riferiva naturalmente alla musica ma il suo consiglio risulta perfetto per qualsiasi forma d’arte, compresa la gastronomia. Pietro Zito ne ha fatto il suo Vangelo. Le sue idee sono semplici e chiare: massimo rispetto per la tradizione, ricerca attenta ed appassionata dei prodotti migliori. In una regione di straordinaria cultura gastronomica, dove la natura dona con generosità ingredienti di incomparabile ricchezza, e dove l’artigianato locale continua a creare (fra mille difficoltà) prodotti di alta qualità, Pietro va alla ricerca della perfezione. Nella sua cucina non c’è niente di inventato, niente di “rivisitato”, nessuna concessione alle mode, non “fast”, non “slow” food, ma solo il rispetto rigoroso della tradizione unito al-
Gustare l’Italia 38
la genuinità dei prodotti della sua amatissima terra. Il menu cambia ogni giorno a seconda di ciò che trova nel suo continuo vagabondare di masseria in masseria, disposto a percorrere chilometri e chilometri per recarsi nei luoghi più sperduti alla ricerca di un certo formaggio, di una certa salsiccia, di erbe sempre più rare e dimenticate. E non è contento se non trova il meglio da offrire con orgoglio ai suoi fortunati ospiti, i quali vedranno arrivare in tavola caciocavalli, pecorini, burrate, fresche ricotte di pecora e di capra, lampascioni, fave e cicoria, orzo con asparagi e, non ultime, le succulente cipolle selvatiche che, da queste parti, per misteriose ragioni, chiamano “sponsali” e che Pietro cucina in cento modi… E poi ancora: orecchiette di grano arso col cacioricotta o con fiori di zucca, carne d’asino cotta sui carboni col sale di Margherita di Savoia, timballo di cicoriella, vitello e cardoncelli, baccalà in umido, agnello al forno con patate, torcinelli, gnumeriddi… Un piatto dopo l’altro, uno più gustoso dell’altro, un fuoco di artificio che si acquieta alla fine con i deliziosi dolci creati da Raffaella, compagna di Pietro nella vita e nel lavoro. La stessa attenzione che mette nella ricerca delle materie prime per creare la sua favolosa cucina Pietro la ripone nella ricerca dei vini che accompagnano i suoi piatti.
Nella sua cantina sono presenti le migliori creazioni dei produttori della sua regione che, da qualche anno, continuando l’opera iniziata da Luigi Veronelli, grande innamorato della Puglia, hanno preso coscienza della potenzialità dei propri vitigni, smettendo così di mandare la maggior parte dei loro mosti ad arricchire e a dare forza ai languidi (seppur titolati) vini del nord Italia e della Francia, e hanno cominciato a realizzare prodotti che stanno conquistando i mercati di tutto il mondo.
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Ed eccoli nella cantina di Pietro questi splendidi vini dai nomi immaginifici: Primitivo, Negroamaro, Susumaniello, Aglianico, Malvasia nera, Nero di Troia, Verdeca … Vini che danno gioia e che ti mettono in pace con te stesso e con il mondo, realizzati da grandi, grandissimi produttori: Rivera, Calò, Taurino, Albano Carrisi, Conti Zecca, Torrevento, Cantina Due Palme. Non chiedete a Pietro il vino di un’altra regione; per lui il detto “mogli e buoi…” va perfezionato così: “moglie, vini e buoi dei paesi tuoi”; l’unica concessione lo fa all’Aglianico in omaggio ad Orazio, il cantore del vino e dell’amore, la cui città natale, Venosa in terra di Basilicata, dista soltanto pochi chilometri in linea d’aria.
Un turista interessato all’arte, alla tradizione, alla storia se capita in quest’angolo della terra di incanti che è la Puglia, accanto ai più importanti luoghi da visitare (Castel del Monte, il più originale e misterioso castello d’Europa, le fantascientifiche saline di Margherita di Savoia, l’emozionante Cattedrale di Trani) aggiunga anche il ristorante Antichi Sapori. Sarà accolto dalla calda atmosfera del locale di piazza Sant’Isidoro, da poco ristrutturato per limitare a 40 i coperti e dare più spazio alla cucina e ai cuochi, visibili al lavoro attraverso una ampia vetrata. Il pavimento è costituito dalle antiche “chianche”, le pietre delle masserie e delle case di campagna, mentre l’arredo è caratterizzato da mobili rustici, vecchi arnesi dei lavori con-
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tadini, foto d’epoca e fiori di campo. Gli ospiti saranno ricevuti da Pietro e Raffaella come se fossero vecchi amici da troppo tempo assenti e finalmente ritrovati, non per calcolo o affettazione, ma per un innato senso dell’ospitalità. Subito si prenderà cura di loro un sorridente e silenzioso manipolo di camerieri e, quasi magicamente, appariranno cibi di assoluto piacere che a poco a poco ricopriranno tutta la tavola e anche quella accanto; i loro nomi sono i soliti ripetuti in centinaia di altri locali (caciocavalli, burrate, salsicce, lampascioni, eccetera.) ma basta un assaggio per rendersi conto che si tratta di prodotti arrivati per incantesimo da un altro mondo, da un altro tempo, che si pensava perduto per sempre.
Se poi gli ospiti saranno una coppia di innamorati amanti della buona tavola è il luogo perfetto perché le materie prime, cercate con amore, sono cucinate con altrettanto amore e per gli innamorati ha creato gli “Strascinati maritati con orecchiette”. È una invenzione divertente e di grande piacevolezza: le paste arrivano in tavola quasi separate fra loro, insieme con il corteo nuziale di purea di fave, olive nere alla brace e la burrata di Andria avvolta in foglie di asfodeli… Agli innamorati non resta che unirli secondo il loro gusto, “così come uniranno le loro esistenze”, dice Pietro che sa essere anche poeta. L’unione verrà benedetta da un filo dell’olio extravergine, proveniente degli uli-
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veti che circondano Montegrosso, e glorificata dal vino “Vignagrande” del conte Spagnoletti, un uvaggio in purezza di uva di Troia, forse il più antico vitigno d’Italia portato dai Messapi. È rigorosamente proibito lasciare la tavola senza aver assaggiato i dolci di Raffaella: il paradisiaco babà alla crema, la soave cassata alla ricotta, il favoloso sformato al cioccolato colante. Siamo davvero di fronte ad un grande personaggio che ama la terra e i favolosi prodotti che regala in questo angolo di Puglia e che Pietro cucina con antica sapienza e amore. Non ce ne sono molti come lui, non dico nella sua regione ma in tutta Italia, eppure nella gran parte della Guide il suo ristorante è trattato come una qualsiasi locanda Mariuccia e qualcuna addirittura lo ignora. Noi di “Gustare l’Italia”, non avendo a disposizione né stelle, né soli, né cappelli, gli regaliamo la luna, piena e luminosa, anzi due, anzi tre. Dopo una cena così non resta perciò
che ritirarsi in una delle deliziose stanze della “Lama di Luna”; per loro, in piazza Sant’Isidoro, è sempre pronta una berlina d’epoca che, in pochi minuti, li porterà alla masseria. E se la masseria quella sera farà onore al suo nome, e anche solo una lama di luna brillerà in cielo, lo spettacolo sarà fantastico e la notte carica di promesse. Pietro Petroni ha la stessa passione dell’altro Pietro per ciò che può dar piacere, unita al medesimo amore per la sua terra e le sue tradizioni. Che si ritrova nel gusto con il quale ha arredato le camere, nella ricerca attenta degli oggetti di semplice eleganza, dai mobili ai tappeti ai quadri. La ristrutturazione delle stanze, necessaria per ottenere i bagni o per riparare i danni del tempo, è stata affidata ad artigiani che hanno posto grande attenzione nel non alterare le linee dell’antica costruzione, adoperando materiali d’epoca per non creare squilibri. Il risultato sono undici deliziose alcove che hanno conservato intatto il fascino di un’epoca lontana. Dopo gli antichi sapori gustati da Pietro Zito sarà bello rivivere antiche emozioni, trascorrendo la notte nel grande letto dove hanno dormito e si sono amate generazioni di innamorati.
Gustare l’Italia 42
di Bruno Goglione
L’artigiano in tavola
Un maestro artigiano ai vertici del design internazionale
Tagliere legno “Frozen”
Tovaglie, tovaglioli, piatti, posate e bicchieri sono, indubbiamente, la base indispensabile per apparecchiare la tavola; la raffinatezza delle tele di Fiandra, delle tovaglie di Alberobello, dei vetri di Murano, delle porcellane Rosenthal e via dicendo, denotano la classe, il gusto e la sensibilità dei padroni di casa e di certo strappano i complimenti degli ospiti, a prescindere dalla delicatezza e dalla ricercatezza dei cibi, i quali, non possono non essere all’altezza!
L’effetto complessivo di una bella mensa imbandita, tuttavia, è dato anche da un’insieme di oggetti complementari, che non si pongono, in questo contesto, come semplici nuances, ma concorrono a far sì che tutto risulti perfetto, gradevole, funzionale, perché il desco è il luogo in cui si riunisce la famiglia, si radunano gli amici, si accolgono ed intrattengono gli ospiti. Ci siamo recati in Brianza a trovare e salutare un artigiano - meglio, un Maestro - Giuliano
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Malimpensa, che da oltre Tagliere legno “Frozen” trent’anni produce “oggetti preziosi”, perché realizzati con materiali preziosi, abilità artistica preziosa, preziosa lavorazione artigianale, in forme rigorosamente preziose; insomma oggetti irripetibili e quasi unici. “La fascinazione dell’oggetto artigianale deriva dal fatto che è passato per le mani di qualcuno che vi ha lasciato un segno con il suo lavoro; è la fascinazione di ciò che è stato creato (e che per questo è unico, dal momento che il ‘momento’ della creazione è irripetibile)”. Così asseriva il filosofo Jean Baudrillard nel 1963. Su tale affermazione, Giuliano Malimpensa ha basato il suo laboratorio artigianale di arti applicate - la sua impresa - che non a caso ha voluto chiamare “Mesa” e che, al di là delle mode caduche e delle tendenze passeggere, segue con rigore il proprio percorso, con la creazione di forme d’uso quotidiano di alto impatto estetico non ripetibili dalla grande produzione industriale di serie. Oggetti per la casa, per la cucina e soprattutto per la tavola, ottenuti con la massima padronanza delle tecniche di lavorazione dei materiali, quali l’argento, la lega argentata, la lega antiossidante e con finitura in oro bianco, ottone e bronzo. La produzione artigianale “Mesa” si è collocata subito - e saldamente resta - a livello del “consumo di qualità”, in Italia e nel mondo, conseguendo riconoscimenti ufficiali nel campo del progetto, tanto che alcuni suoi “pezzi” sono esposti in permanenza al museo “Die Neue Scalda vivande Sammlung” di Monaco “SoHot” di Baviera.
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Ecco alcuni esempi di raffinati oggetti per la tavola, che si possono acquistare nei migliori negozi del settore: • Scalda vivande “SoHot” (design Giuliano Malimpensa in collaborazione con lo chef Elio Sironi) Nuova versione, rotonda, dello scaldavivande da tavola senza fiamma in acciaio nero e acciaio satinato. Si utilizza con pietra vulcanica. • Serie “Impronta” (design Giuliano Malimpensa( Vasi, secchio ghiaccio, secchio champagne, ciotole in metallo. Forme sobrie che un segno trasforma in oggetti dall’appeal sensuale. • Posate a servire “Maître” (design Lorenzo Radaelli) Cinque pezzi indispensabili per chi ama utilizzare l’accessorio giusto secondo il tipo di
Posate a servire “Maitre”
pietanza: cucchiaio per risotti, forchettone per gli spaghetti, pala per lasagne, pala per torte e coltello da dolce. • Cucchiaini “Tuyé” (design Lorenzo Radaelli) Tre collezioni tematiche da sei cucchiaini, forati con decori floreali, musicali, naturali. Il “pretesto” è uno studio condotto da un’università francese, che ha dimostrato come i vortici creati da un cucchiaino forato all’interno di una tazzina da caffè, riducano i tempi e migliorino il mescolamento dello zucchero. Il “contesto” è il momento del caffè a fine pasto, o del tè a metà pomeriggio, che si arricchisce di un oggetto ricercato e originale, anche come idea regalo nelle versioni lucida e satinata. Il suo impiego risulta funzionale alle regole del galateo, che prevedono l’utilizzo del cucchiaino da caffè al solo scopo di mescolare e non per raccogliere lo zucchero depositato sul fondo della tazzina. • “Legno” (design Giuliano Malimpensa) Collezione di taglieri in legno massello dal
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- Legno “Small” “Small”. Assiette piccole e versatili. Due lati rastremati rivestiti in acciaio superlucido per facilitarne la presa.
Cucchiani “Tuyè”
forte spessore con eleganti impugnature in metallo. - Legno ‘Frozen’. Tagliere formaggi refrigerato. Un’innovazione tanto semplice quanto geniale: una piastra in metallo protetta da una campana in plexiglas che può conservare in sé il freddo del frigorifero in modo da poter servire e mantenere in tavola, inalterati nelle loro proprietà organolettiche, anche i formaggi più cremosi. Al fianco della piastra c’è la superficie in legno per tagliare i formaggi in crosta; una spatola in legno, tre ciotole in vetro per miele, mostarda e marmellate completano l’oggetto. - Legno “Big”. Grande tagliere per arrosti, comodo e ampio. - Legno ‘“Slim”. Tagliere per salumi completo di una ciotola in ceramica per le salse o le guarnizioni.
• Carrello portavivande “Bogie-Bogie” (design Lorenzo Radaelli, 2010) Oggetto dalle linee pulite, essenziali che non vuole imporsi nell’ambiente ma essere notato per la sua eleganza funzionale. I piani d’appoggio sono realizzati in un laminato di nuova generazione, la cui texture appare alla vista e al tatto come un tessuto impregnato nella materia. Lo spessore è ridotto al minimo, 8 mm, per garantire una leggerezza strutturale e una maneggevolezza d’uso.
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Carrello “Bogie Bogie”
a.d. francesco bettoni - photo studio controluce milano
il design è servito tex-black: tovagliette, cesti pane, portafrutta design francesco bettoni
mesa
www.designmesa.com
mesa sas via don capiaghi,2 - 22070 bregnano co italy - tel +39031778288
© Emanuela Cattaneo
In cantina
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© Francesco Sgroi
di Roy Berardi*
Il Sangiovese di Romagna: storico riscatto dell’enologia romagnola
C’è chi la definisce la “nuova Toscana”, chi la “nuova Provenza”: certo che la Romagna interna, quella a monte della via Emilia tra i colli imolesi e quelli riminesi in vista dell’Adriatico, è un meraviglioso carosello per il visitatore motivato, curioso, goloso. Dolci colline, borghi stupendamente ripristinati (Dozza, Brisighella, Castrocaro, Predappio, Bertinoro, Longiano, Torriana, Verucchio, il Montefeltro riminese…), aziende rurali genuine e vere dove vivere la campagna di qualità (az. agricole, agriturismi, ristoranti delle tipicità, artigianato tipico).
Il tutto anche senza scendere nella trafficata via Emilia, percorrendo l’ itinerario delle Strade dei Vini e dei Sapori di Imola, Faenza, Forlì-Cesena e Rimini: piccoli valichi e controcrinali in un paesaggio armonico e dolce, ricco di vigneti ed uliveti, intramezzato più volte da pittoreschi e spettacolari calanchi…!
L’epopea del vino in Romagna “E’ bé” ha accompagnato la vita dei romagnoli da alcuni millenni, come già scrissero autori latini sottolineando la grande produttività delle terre di Romagna.
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Un pregio che poi si è paradossalmente rivelato un handicap per la qualità: tra il ‘700 e la metà del ‘900 infatti l’interesse dei romagnoli è stato rivolto principalmente a produrre quante più uve e vino possibile (ciò anche per far fronte alla pessima qualità dell’acqua del passato). E così la tumultuosa riscossa dell’enologia romagnola degli ultimi dieci anni, rappresenta il riscatto del Vigneto Romagna sulla strada dell’eccellenza.. C’è stato anche qui infatti, un forte rinnovamento generazionale dei produttori che ha favorito l’introduzione di nuove e moderne tecniche di coltivazione della vite e di vinificazione Il Sangiovese, vino rosso che identifica la Romagna, è padre maggioritario di vini assai importanti: le uve di sangiovese, da sole o associate ad altre, concorrono alla produzione di vini famosi quali il Brunello di Montalcino, i vari Chianti, e tanti altri…il Sangiovese anche in Romagna è ora un grandissimo vino, che nasce da un grande vitigno, troppo a lungo qui sottovalutato e bistrattato per le ragioni sopra esposte..! Di più: l’eccellente livello qualitativo raggiunto dal Sangiovese in Romagna, si accompagna all’eccezionale rapporto qualità-prezzo, nonchè - dirigendosi dall’imolese al riminese - alla stupefacente e composita galassia con tutte le sue magnifiche e sorprendenti sfumature territoriali, zonali e sottozonali, caratterizzazioni e specificità che saranno presto ufficialmente riconosciute con “menzioni geografiche aggiuntive” alle varie denominazioni.
Il colore di questo vino è un bel rosso rubino, con sentori di viola e frutti rossi, al gusto si presenta asciutto, armonico e leggermente tannico, con retrogusto gradevolmente amarognolo…si dice spesso che il Sangiovese della Romagna (Sanzve’s) contiene il carattere dei romagnoli: franco, esuberante, schietto robusto ed ospitale e nello stesso tempo ruvido, all’esterno, ma sincero e delicato, all’interno. Compagno davvero inseparabile di questa ricca tavola e saporosa cucina: con le minestre, condite con ragù di carni, con arrosti misti e grigliate, con i classici castrato e cosciotto d’agnello, con selvaggina e cacciagione, nonché con stracotti, brasati e formaggi a pasta dura… Romagnoli e toscani continuano a disputarsi anche l’origine del vitigno Sangiovese… ma lo storico riscatto è vicino: tale è la bontà del prodotto romagnolo che, secondo lo scrittore Dario Zanasi “..il Sangiovese romagnolo è un vino che meriterebbe un saluto militare. Come fece il generale francese Mac Mahon, davanti al celebre vigneto di Clos-Vougeot”.
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E ora spesso supera nelle “degustazioni alla cieca” dei sommelier il pari Toscano, nonostante il prezzo sia mediamente inferiore di un buon 25/30%! Insomma, a chi capita di transitare a sud di Bologna o a nord di Ancona, il consiglio è quello di fermarsi ed annusare… assaggiando di persona: sul sito www.romagnaterradelsangiovese.it si troverà il recapito delle 20 cantine di eccellenza delle Strade dei Vini e dei Sapori della Romagna…terra con l’anima!
Non solo vino: fare, vedere, degustare nel territorio… Romagna Terra del Sangiovese, l’aggregazione delle eccellenze delle quattro Strade dei Vini e dei Sapori di Romagna, ha composto sul sito web www.romagnaterradelsangiovese.it per il viaggiatore e visitatore dall’“aria nuova”, un affresco di questa Romagna in forma di suggestione ed offerta turistica fruibile e concreta…una sorta di gigantesco e sagace “zapping territoriale” dove suggestioni di viaggio, itinerari ricomponibili, spunti di vacanza, si collegano e si combinano con il calore e la qualità dei ser-
vizi e delle strutture aderenti alle Strade; con oculati “Rimandi” a 11 Personaggi ed a 11 Miti “immateriali” della storia e del modo di vivere romagnolo; con ulteriori curiosità su caratteri ed aspetti della Romagna interna e della sua anima profonda, contenuti nella apposita sezione del sito denominata “La mia Romagna” In particolare, la novità delle 14 “Suggestioni di viaggio ” indicate, è che, grazie alla navigazione nel sito, il turista/viaggiatore può realmente “costruirsi la propria vacanza”: ogni Suggestione è accompagnata da una rosa di aziende per scegliere dove e cosa Mangiare Degustare Fare Vedere (digitandone il nome si ispeziona subito il sito della struttura), con in più la possibilità di accedere alla vicina sezione Carta dei Prezzi su ogni tipo di servizio offerto. Direttamente dal sito www.romagnaterradelsangiovese.it il navigatore/viaggiatore potrà poi scaricarsi la Fidelity Card Romagna Terra del Sangiovese, una “scheda-fedeltà alla Romagna” dove verranno apportati i timbri delle aziende visitate, che daranno diritto a premi ad accumulo (gadget, libri, degustazioni, cene e pernottamenti), incentivanti al Ritorno dell’ospite a vivere …la Romagna sincera!
ROMAGNA TERRA DEL SANGIOVESE Via A. Costa, 23 - Casa Artusi 47034 Forlimpopoli (FC) Tel./Fax +39 0543 742059 Fax + 39 089 858900 info@romagnaterradelsangiovese.it www.romagnaterradelsangiovese.it
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*Giornalista - Relazione Pubbliche Romagna Terra del Sangiovese
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www.magdapedrini.it
Brera Academy & Magda Pedrini wines.
Accademia di Brera
A little more than Made in Italy
di Angelo e Piero Solci
A rigor di naso La ricerca delle sensazioni olfattive, catalogate nella nostra memoria olfattiva, è uno dei momenti più importanti, d’armonia, di finezza e durata del bouquet, logica conseguenza dell’insieme degli aromi percepibili; in genere si classificano i principali odori riconoscibili a gruppi, secondo la seguente elencazione.
Corso di sommelier
ODORI DI FUTTA FRESCA (più evidenziati nei vini giovani) Albicocca - ananas - banana - bergamotto - ciliegia - fragola - marasca - mela acerba - delizia - renetta - cotogna - melograno mirtillo - mora - lampone - limone - pera - pompelmo - pesca - prugna - ribes nero.
ODORI DI FRUTTA SECCA (più evidenziati nei vini rossi da invecchiamento) Cedro (scorza) - confettura di frutta (ciliegie) - dattero (conservato) - fico - mallo di noce - mandorla fresca (dolce e amara) - mandorla tostata (dolce e amara) - noce di cocco - nocciola prugna - scorzette di agrumi caramellate.
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ODORI D’ERBE, CORTECCE E FOGLIE Alloro - anice - basilico - cannella - cipolla - chiodi di garofano - erba tagliata - felce - fieno fiori recisi (gambi macerati) - finocchio - foglie macerate - funghi secchi - ginepro - lauro - legno aromatico - legno tagliato fresco - liquerizia lignea - maggiorana - menta - origano - pepe bianco e nero - pino - resine - salvia sclarea - sottobosco - spezie in genere - tabacco - tartufo - timo - vaniglia.
ODORI DI FIORI Nei rossi sono più comuni i seguenti: artemisia - rosa - rosa passita - violetta. Nei bianchi: crisantemo - acacia - sambuco. Altri sentori: biancospino - ciclamino - garofano - giacinto - ginestra - pesco - tiglio.
ODORI DIVERSI Positivo: affumicato - ambra - crosta di formaggio - burro - cacao - caffè - caramello catrame - crosta di pane - cenere - cuoio - fondi di caffè - lavagna bagnata - miele muschio - pasticceria - pelliccia - pietra focaia - resina - selvatico - terra. Negativi: agliaceo - ammuffito - feccioso - metallico - plastico - sterco di pollo - sughero - solforoso - medicinale in genere. In genere si riconoscono determinati odori in alcuni gruppi di vini, come ad esempio: vini da dessert: riconoscimenti di miele e frutta cotta; vini rossi invecchiati: catrame; vini rossi in generale: ciliegia, fragola, rosa, giacinto, ribes, geranio e lampone; vini bianchi: albicocca, banana, ananas, mela, pesca, mandorla, pompelmo e prugna.
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Gli aceti di Cesare: tradizione, passione e cultura “Ho cominciato a produrre aceti di monovitigno negli anni ’70, seguendo l’antica tradizione piemontese che si stava purtroppo dimenticando. Sono ottenuti da vini Barolo, Moscato, Arneis e Barbera dei produttori di Langa, travasati gradualmente in botti di gelso, rovere e ciliegio”. CESARE GIACCONE Località San Bernardo, 9 - Albaretto della Torre (CN) Tel. +39 0173.520141 - info@acetodibarolo.it
In giro per...
Non solo Alba
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di Raffaele Montagna
Non solo Alba Quando diciamo “In giro per tartufi” intendiamo dire che noi, opportunamente abbigliati, con cane al seguito e attrezzi vari, andiamo, per boschi, valli, colli, macchie e cerreti a cercare il costoso tubero (pardon, il prezioso fungo - guai chiamarlo tubero, anche se il nome scientifico fa riferimento a tuber, non è mica una patata!), oppure ci rechiamo solo a trovare il tartufaio per acquistare qualche profumato “pezzo”? Nel primo caso dobbiamo conoscere le regioni e le zone in cui il tartufo attecchisce - e in tal senso, fortunatamente, l’Italia non è seconda ad alcuno!; - dobbiamo avere nozione
e saper distinguere gli alberi con i quali il tartufo si lega in rapporto di simbiosi (Carpino nero, Cerro, Farnia, Leccio, Nocciolo, Pioppo bianco, Rovere, Roverella, Pino, ecc.); dobbiamo essere al corrente delle norme di legge regionali, vigenti in ogni specifica area nella quale intendiamo “cercare” ed in possesso di regolare “tesserino” rilasciato dalle autorità regionali, previo superamento del relativo esame, diretto ad accertare l’idoneità a praticare la ricerca e la raccolta del tartufo. “Non dobbiamo dimenticare - recita la legge quadro sul settore - che la ricerca, da chiunque eseguita, deve essere effettuata con
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l’ausilio del cane a ciò addestrato e lo scavo, con l’apposito attrezzo (vanghetto o vanghella), deve essere limitato al punto ove il cane lo abbia iniziato”. Ed allora, cerchiamo d’immaginare noi stessi, abbigliati di tutto punto - pedule idrorepellenti o, meglio stivalotti di gomma a mezza gamba, calzoni di velluto a coste larghe, camicia di flanella pesante a quadrettoni, cosciali antispine, giubbetto mille tasche smanicato, borsa a tracolla, vanghetto, coltello, spazzolino - cane bastardino che anticipa ogni nostro passo, annusando tutto l’annusabile dei dintorni - in compagnia del famoso tartufaio indicatoci dal nostro amico buongustaio, appena spuntata l’alba, alla “ricerca” di qualche pezzo (solo uno e piccolissimo,
però, nell’intera mattinata, perché il tartufaio è molto geloso dei suoi “posti” e ce li indica soltanto per approssimazione, sparendo sul più bello - lui e il cane - nel fondo del bosco e tornando con il bottino, magari nascosto nella tracolla!). Ci siamo stancati abbastanza, abbiamo percorso alcuni chilometri - salite, valli, attraversamento di fossi, rischio di essere impallinati da qualche maldestro cacciatore, graffi di spine sulle mani e sulla faccia - noi che normalmente siamo sedentari e la domenica ci piace starcene sdraiati in poltrona a vedere il “Gran premio di formula uno”! Per quanto appena detto, tuttavia, può essere d’aiuto una visita al sito web www.trovatartufi.com, nell’ambito del quale, previa re-
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gistrazione gratuita, si può chiedere di essere accompagnati da un escursionista/partner. Ma, forse, tutto sommato, è meglio abbandonare ogni velleità di ricerca dato che per diventare tartufai occorrono diversi anni, qualcuno che ci guidi, un cane addestrato che costa tanti soldini - molto tempo a disposizione, attrezzatura e voglia di camminare. Forse la seconda ipotesi, quella cioè di acquistare qualche profumato tuber dal tartufaio, è la più opportuna e valida. È necessario, allora, andare a visitarlo, avendo cura di appurare preventivamente, quali siano i prezzi del momento, facendo attenzione a che il tartufo sia fresco, ben pulito e badando alla pesatura dello stesso (chiedendo, al limite, qualche grammo di tara!). Comunque, sia che si voglia fare un’escursione per una “ricerca” personale o che si voglia semplicemente acquistare dal tartufaio, sarebbe conveniente prevedere un lungo fine settimana per
avere modo di visitare il patrimonio turistico e culturale di quei paesi tra i più rinomati in Italia per la produzione di tartufi. Negli ultimi anni molti nuovi comuni in cui si dice si trovino tartufi si sono aggiunti a quelli storici; uno degli ultimi è Andria, dove vantano la presenza di numerose specie (anche se poi si scopre che si tratta soltanto di tartufo nero estivo – tuber aestivum - o del “bianchetto” - tuber brochii -). A noi interessa però esclusivamente il prezioso “tuber magnatum Pico” e perciò vi condurremo nei luoghi dove tradizionalmente è possibile trovarlo. Incominciamo, naturalmente, da Alba.
Alba (CN) Incominciamo naturalmente da quella che da sempre è considerata la capitale del tartufo bianco, della “trifola”, come si dice da queste parti. Il benvenuto è dato da un cartello che recita: “Luoghi, sentieri, campi e sopra un cielo che ti invita ad attraversarlo.
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Unico limite la tua fantasia. Da noi ti muovi su un terreno aperto e misterioso insieme, capace di chiamarti alla conquista e alla sosta. Ogni cammino ti porta lontano, verso l’autentico senso delle cose, in un caleidoscopio di paesaggi tutti abitati dalla tua emozione”. Alba - capitale di tartufi e vini e tra i migliori d’Italia - a un tiro di schioppo da Torino e dal confine francese, è ubicata nell’area a NordEst della provincia di Cuneo, nelle LangheRoero, un sistema collinare di rara bellezza. Il paesaggio armonioso, soprattutto in autunno, grazie alla tavolozza di caldi colori sciorinati da una prodiga natura, mostra una struggente serenità: si ritrovano ritmi di vita condotti “a misura d’uomo”, scanditi, al contrario dei frenetici clamori cittadini, dalla natura stessa e dal trascorrere lento dei giorni e delle stagioni. L’area delle Langhe-Roero è caratterizzata dalla presenza di tanti castelli posti sulla sommità delle colline, che, esaurita la loro funzione storica di presidio e difesa del territorio, costituiscono ora una testimonianza di civiltà e una notevole risorsa turistica, essendo quasi tutti aperti al pubblico. Le origini di Alba risalgono al neolitico - alcuni millenni prima dell’era cristiana - e il sito
era abitato da una popolazione già abbastanza evoluta; numerose sono le tracce che testimoniano una così lunga storia. Lo sviluppo economico e civile si ebbe e s’intensificò con la dominazione romana e l’elezione a municipium con il nome di Alba Pompeia. Momenti storici significativi, che si possono riscontrare nel tessuto urbano, nelle fortificazioni murarie, nelle tante torri medievali, sono connessi all’ospitalità che la città, secondo la tradizione, offrì all’imperatore Augusto in viaggio per la Gallia, a Publio Elvio Pertinace, Albese, che nel 193 salì sul trono di Roma, alle guerre tra Romani e Visigoti, ai saccheggi perpetrati dai Longobardi e dai Franchi, alle incursioni saracene, alla fedeltà al Barba-
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rossa e a Carlo D’Angiò, al definitivo passaggio ai Savoia. Il centro storico, sobrio ed elegante si raccoglie lungo via Vittorio Emanuele, la via dei negozi e della passeggiata vespertina. È qui che si possono gustare i prodotti tipici, famosi in tutto il mondo: il tartufo bianco, i buoni vini (barbaresco, Barolo, Barbera, Dolcetto, Nebbiolo, Arneis, etc), i formaggi (Murazzano, Raschera, Brà, Toma Piemontese). Alba e le Langhe possiedono tali e tante risorse turistico-culturali da impegnare più visite di diversi giorni… inoltre, ad Alba già da 80 anni si svolgono la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba (ottobre e novembre) e il Mercato Mondiale del Tartufo, sempre nell’ambito della Fiera Internazionale.
Acqualagna (PU) Da anni è in corso una polemica tra Alba e Acqualagna, questo delizioso paesino dell’entroterra adriatico nella riserva naturale
della “Gola del Furlo”. La diatriba nasce dalla denuncia che i marchigiani muovono ai langaroli, accusati di andare ad acquistare i loro tartufi per rivenderli ad Alba al doppio o al triplo del loro valore come trifole di Langa. Qualcuno in Piemonte ammette tranquillamente che forse è vero ma che, in ogni caso, questo è un bene perché in un certo senso fa un po’ da calmiere; senza i tartufi di Acqualagna - dicono - quelli di Alba arriverebbero a costare cifre impossibili. Molti amanti del “tuber magnatum pico” a questo punto hanno deciso di andarlo a gustare direttamente ad Acqualagna per verificare se c’è davvero questa differenza e si sono trovati in un paesaggio straordinario La “Gola del Furlo” è un’enorme fenditura calcarea erosa dal fiume Candigliano in milioni di anni e che adesso si mostra, in uno
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stupefacente scenario, soprattutto a coloro che ne percorrono a piedi i numerosi sentieri per ammirarne gli strapiombi, i panorami, le acque tranquille del fiume sottostante, la flora e la fauna protetta; è un luogo suggestivo che unisce l’unicità del paesaggio ad una non comune dovizia di “natura”. Qui vivono l’aquila reale, il falco pellegrino, il picchio muraiolo, la rondine montana, il gracchio corallino, lupi, cinghiali, daini, caprioli e la vegetazione, oltre ai pascoli ed ai cespuglieti è costituita in prevalenza da querce, carpini, roverelle e via dicendo, tutte specie che favoriscono la crescita di funghi e tartufi. La Gola del Furlo ha costituito, fin dall’antichità, il passaggio più rapido per l’attraversamento degli Appennini, dal versante adriatico a quello tirrenico e viceversa, e già l’imperatore Vespasiano nel 77 d.C., fece scavare una galleria lunga circa quaranta metri, ancora percorribile. Acqualagna è l’erede di un insediamento originato da una diffusa presenza di coloni romani nella regione, rafforzata dall’apertura, nel 220 a.C., della via Flaminia, che collegava - e ancora adesso unisce - la costa medioadriatica a Roma. Alla fine del I secolo acquisì lo status di municipium in seguito al quale conobbe un particolare momento di fioritura economico/sociale, testimoniato dai resti, tuttora visibili, del teatro, delle mura urbane, dell’acquedotto e delle terme. Nell’alto Medioevo, a seguito di guerre, saccheggi, pestilenze, l’abitato fu abbandonato; il nuovo nucleo urbano si formò a pochi chilometri di distanza attorno al castello di Montefalcone. Nel paese e nelle vicinanze, non si può mancare di visitare:
- la chiesa parrocchiale di Santa Lucia, di antica erezione e che ha subito numerosi e pesanti restauri: nelle nicchie che contornano l’unica navata si trovano resti di affreschi risalenti al XVI secolo; - il Santuario del Pelingo - meta di pellegrinaggio e luogo di grande bellezza e spiritualità, alle falde del Monte Pietralata - in cui si venera un affresco della Madonna con Bambino; - l’Abbazia di San Vincenzo al Furlo, innalzata sui resti di un tempio pagano. Nei suoi pressi si può ammirare un grazioso ponte romano; - la Villa Colombara - ubicata in un’area poco discosta dall’abitato, scoperta e recuperata con una campagna di scavi archeologici alla fine del Novecento: si tratta di una fattoria romana del II secolo a.C., con cortile porticato, locali per le abitazioni, la lavorazione e lo stoccaggio dei prodotti, che venne ristruttu-
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rata ed ampliata nella prima età imperiale; - il Castello di Pietralata, risalente ai primi decenni dell’XI secolo, eretto su un arduo sperone di roccia, alle falde dell’omonimo monte: sono visibili le rovine del mastio e delle mura di cinta, una chiesa ancora consacrata intitolata alla Trinità e una canonica del XIV secolo collegata alla chiesa attraverso un suggestivo corridoio sospeso. Acqualagna è l’unico territorio che possiede tutti i tipi di tartufo fresco e durante tutto l’anno. Nel locale mercato vengono commercializzati i due terzi dell’intera produzione nazionale (circa 500/600 quintali di ogni tipo). In corrispondenza dei periodi di raccolta delle diverse varietà, si svolgono importanti manifestazioni fieristiche come la Fiera Nazionale del Tartufo Bianco (ottobre e novembre), la Fiera Regionale del Tartufo Nero Pregiato (penultima domenica di
febbraio) e la Fiera Regionale Del Tartufo Nero Estivo (prima fine settimana di agosto).
Savigno (BO) Un altro luogo dove si possono trovare tartufi straordinari è Savigno dove, ogni anno (siamo ormai alla XXVII edizione), si svolge la “Sagra del tartufo bianco pregiato di Savigno e dei Colli Bolognesi”, nell’ambito della ma-
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nifestazione provinciale “Tartufesta” - prime tre fine settimana di novembre. L’Appennino tra Modena e Bologna, più precisamente l’area nella quale sorge il torrente Samoggia - affluente del Reno - costituisce una zona ricca di occasioni ambientali, grazie ad una natura vivace che raccoglie, in così poco spazio, boschi, pascoli e coltivi. Tali caratteristiche del terreno mostrano ancor oggi un paesaggio rurale pressoché integro con una folta vegetazione di arbusti (ginepri, ginestre) e di piante d’alto fusto,
intorno alle quali crescono funghi e tartufi. Pascoli ed allevamenti assicurano formaggi e carni che, insieme ai tartufi, alle crescentine ed ai borlenghi, si possono acquistare nei negozi o in occasione delle numerose sagre che localmente si organizzano. Tutta l’area è segnata da una rete di sentieri da percorrere a piedi, in salutari passeggiate, o anche a cavallo e in bicicletta. La zona era popolata già in epoca romana e numerosi castelli o fortificazioni, di cui rimangono solo cronache scritte, presidiavano il territorio; un castello con poderose mura di cinta, una roccaforte ed un ponte levatoio si ergeva sul colle che sovrasta la chiesa di San Giorgio a Samoggia. Un altro castello si levava nella frazione di Rodiano, appartenente alla magna comitissa Matilde di Canossa, ed un altro ancora a Savigno, nel luogo in cui più tardi si costruì la chiesa di Santo Stefano. A Vedegheto, una delle nove frazioni che
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compongono il comune, si trovano un discreto numero di torri, alcune probabilmente d’avvistamento, altre da difesa. Da vedere sono i “mulini” che, numerosi, hanno sfruttato la potenza dell’acqua e la particolare disposizione del territorio, attraversato da ruscelli e rigagnoli in discreta pendenza e quindi adatti a far girare le ruote: non tutti sono attivi, ma possono essere visitati lungo un itinerario precostituito (Mulino del Notaro, Mulino del Dottore, Mulino del Cozzo di Sotto). Numerose sono anche le chiese, le pievi, gli oratori che possono soddisfare la curiosità di chi cerca l’arte e la storia. La strada principale dell’abitato di Savigno sottolinea subito la vocazione gastronomico/ culinaria del paese (è un comune associato all’Associazione Città del Tartufo ed all’Associazione Città dei Sapori); vi si allineano infatti diverse botteghe che fanno e vendono prodotti della gastronomia locale, i forni in cui si
producono differenti tipi di pane, alcune trattorie nelle quali consigliamo di fermarsi per un’opportuna sosta.
Dovadola (FC) Anche a Dovadola, nella nuova provincia di Forlì - Cesena, si tiene la terza e quarta domenica di ottobre la sagra del tartufo bianco pregiato, preziosa “pepita” per i buongustai. Il paese è situato lungo il fiume Montone - che dà il nome all’omonima vallata - e che nasce dall’Alpe San Benedetto, presso il passo del Muraglione, sull’Appennino tosco-romagnolo, a confine tra le due regioni (non lontano da qui si trovano le sorgenti dell’Arno - in prossimità del Monte Falterona e del suo Parco Nazionale). La valle risale da Forlì verso Firenze e s’innalza gradatamente: a poco meno di 150 m s.l.m. s’incontra l’abitato posto a controllare
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l’accesso ai “due guadi”, nel senso che il fiume incontra centro storico del paese due volte per via di un’ansa; tant’è vero che il toponimo Dovadola pare derivi dal latino duo vadora, cioè “due guadi”. Siamo sulle prime propaggini dell’Appennino, e la valle mostra prevalentemente coltivi a granaglie; appena si sale un pò, tuttavia, essa si stringe e si ammanta dei primi boschi, con le specie vegetali care ai funghi e ai tartufi. Sono luoghi ideali per passeggiate nella natura; l’ambiente è riposante, salubre e suggestivo: qualche chilometro più a monte si trova la “cascata dell’acqua cheta”, citata dall’Alighieri nella Commedia. Poco distante dal centro, in posizione isolata e alta rispetto al paese, si trova l’Eremo si Sant’Antonio di Monte Paolo, luogo in cui soggiornò il Santo attorno al 1221. È il più importante santuario antoniano in Emilia Romagna, ricostruito in stile neo gotico all’inizio del Novecento e ingloba la “grotta” nella quale il Frate si ritirava in preghiera e meditazione. L’economia del paese si basa prevalente-
mente sull’attività agricola, attività di antica tradizione; molte sono le fattorie/poderi sparse, al di là del nucleo urbano, sul restante territorio comunale: alcune sono storiche, come la casa colonica “montaguto” (casa padronale ed oratorio) censita già alla metà del Cinquecento. Dovadola ha saputo mantenere vive le proprie radici, l’identità e le tradizioni legate alla terra ed ai ritmi delle stagioni; ha sapientemente impostato un modo di vivere in armonia con la natura: il tartufo bianco che si trova nel suo territorio è il dono che riceve a contropartita.
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di Regina Zather
Ricetta di Alba (CN) Il tartufo piemontese ha conosciuto fama e gloria soprattutto nel Settecento, quando era considerato, presso tutte le corti europee, un alimento tra i più ghiotti.
Risotto al tartufo bianco Ingredienti per 4 persone: 400 gr. di riso Arborio; 1 l. di brodo di pollo; 40 gr. di burro; 1 cipolla media tritata finemente; ½ bicchiere di vino bianco (Roero Arneis); 1 tartufo bianco pulito e affettato a lamelle sottili; sale q.b.- (facoltativo 50 gr. di grana padano grattugiato).
Ricette
Attrezzatura: 1 casseruola; 1 bollitore per il brodo; 1 tritatutto; 1 cucchiaio di legno; 1 affetta tartufi; 1 mestolo per servire. Tempo di preparazione: 10 minuti + tempo per preparare il brodo Tempo di cottura: 20 minuti
Esecuzione: Preparate in precedenza il brodo di pollo e sgrassatelo, tenetene da parte un litro e mettetelo nel bollitore. Fatelo scaldare a fiamma alta incoperchiato, quindi abbassate il calore prima che abbia raggiunto l’ebollizione e tenetelo a temperatura costante per tutto il tempo necessario alla cottura del risotto. Nella casseruola fate sciogliere 30 gr. di burro, unite la cipolla e, mescolando col cucchiaio di legno, fatela dorare. Unite il riso e fatelo tostare fino a che non avrà assorbito il condimento. Aggiungete ¼ di litro di brodo ed alzate la fiamma. Continuare a mescolare il riso ed aggiungete mano a mano il brodo. Fate cuocere per circa 16 minuti. Quando il riso sarà al dente, versate il vino, mescolate ancora bene per amalgamarlo. Se necessario aggiustate di sale. Togliete il riso dal fuoco e mantencatelo con il burro rimasto; portatelo subito in tavola.
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Versate nei piatti dei commensali e su ciascuno affettate delle lamelle sottili di tartufo bianco. Servite a parte il formaggio grattugiato che gli ospiti potranno aggiungere al risotto a piacere. Vino da accompagnare: Roero Arneis DOCG (Piemonte) o Colli orientali del Friuli Pinot grigio (Friuli) o Torgiano Pinot Grigio (Umbria) servito a 10°. Per la buona riuscita di questo piatto è indispensabile che il brodo di pollo sia ottimo e il vino bianco sia aggiunto a temperatura ambiente e non freddo e sia lo stesso da servire in tavola.
Ricetta di Dovadola (FC) Uova al tegamino con tartufo Ingredienti per 4 persone: 8 uova; 1 tartufo bianco; 50 gr. di burro; 50. gr. di parmigiano reggiano in un pezzo solo; sale e pepe bianco q.b. Attrezzatura: 1 casseruola; 4 tegamini di pirex o coccio; 1 affetta tartufi; forno a 180°. Tempo di preparazione: 10 minuti Tempo di cottura: 10 minuti Esecuzione: Preriscaldate il forno. Pulite accuratamente il tartufo. Fate sciogliere 25 gr. di burro nella casseruola, stando attenti che non frigga.
Dividete il burro rimasto nei tegamini, rompetevi delicatamente due uova in ciascuno; salate e pepate leggermente. Sopra le uova, affettate le fettine di tartufo bianco in quantità uguale per ciascun tegamino. Sempre con l’affetta tartufi fate scendere delle scaglie sottilissime di parmigiano ed infine distribuitevi sopra tutto il burro sciolto. Ponete in forno caldo per circa 10’, fino a che le uova si cuociano e il formaggio si sciolga. Servire caldissime. Per accompagnare il piatto sono consigliati crostini di pane caldi aromatizzati al burro di tartufo. Vino da accompagnare: Trebbiano di Romagna (Emilia Romagna) servito a 10° o Chianti Montalbano superiore (Toscana) servito a 18*. Il segreto di questa preparazione è usare uova freschissime e stare attenti alla cottura, l’albume, infatti, deve essere cotto ma non indurito e il tuorlo deve restare molto morbido.
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Curiosità A Forlimpopoli, non lontano da Dovadola, nel complesso della Chiesa dei Servi, è sorta nel 2007 “Casa Artusi”, il primo centro di cultura enogastronomica dedicato alla cucina domestica italiana. Il celebre autore del manuale “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, Pellegrino Artusi nacque, infatti, nella cittadina romagnola nel 1820 e solo in età matura si dedicò alla sua passione per la cucina.
Ricetta di Savigno (BO) Tortino di polenta al tartufo
gno, facendo attenzione che non si formino grumi. Fate cuocere la polenta per circa 30’. Nel frattempo preriscaldate il forno. Togliete la pentola dal fuoco, aggiungere il sale, l’olio a filo e 75 gr. di pecorino. Amalgamate bene gli ingredienti mescolando col cucchiaio di legno. Lasciate raffreddare leggermente il composto ed aggiungete uno alla volta le uova, sempre girando col cucchiaio di legno. Affettate, infine, il tartufo a lamelle e mescolate delicatamente. Imburrate leggermente la tortiera, versate il composto e livellatelo. Versate sopra un filo d’olio e infornate. Fate cuocere per circa 30 minuti.
Ingredienti per 6 persone: 180 gr. di farina gialla; 75 gr. di farina bianca; ½ l. di latte; 90 gr. di pecorino del pastore grattugiato; ½ bicchiere d’olio; 6 uova; 1 tartufo bianco affettato; sale e pepe q.b.; poco burro per la tortiera. Attrezzatura: 1 terrina; 1 casseruola; 1 cucchiaio di legno; 1 tortiera rotonda; 1 affettatartufi; forno a 180°. Tempo di preparazione: 10 minuti Tempo di cottura: 60 minuti Esecuzione: Pulite accuratamente il tartufo. In una terrina mescolate le due farine. Versate il latte nella casseruola e fatelo bollire; quindi fate cadere a pioggia la farina mescolando in continuazione col cucchiaio di le-
Togliete dal forno, mettere il pecorino rimasto e lasciate ancora in forno per qualche minuto. Servite ben caldo. Vino da accompagnare: Albana di Romagna dolce (Emilia) o Est! Est! Est! di Montefiascone dolce (Lazio) o Freisa dolce (Piemonte) servito a 12°.
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Si può sostituire il pecorino del pastore, prodotto tipico della fascia collinare delle provincie di Forlì-Cesena, Rimini, Ravenna e Bologna, con pecorino di altre zone della nostra penisola.
Ricetta di Acqualagna (PU) Tagliatelle ai funghi porcini e tartufo
Ingredienti per 6 persone: 500 gr. di tagliatelle; 1 tartufo bianco; 250 gr. di funghi porcini puliti ed affettati; 3 cucchiai d’olio extravergine d’oliva; 30 gr. di parmigiano grattugiato (facoltativo); 1 spicchio d’aglio; sale q.b. Attrezzatura: 1 pentola per cuocere la pasta; 1 padella antiaderente; scolapasta; schiaccia aglio; affetta tartufi; 1 cucchiaio di legno.
Tempo di preparazione: 40 minuti Tempo di cottura: 20 minuti Esecuzione: Portate ad ebollizione abbondante acqua nella pentola, aggiungete il sale e, ripreso il bollore, tuffatevi le tagliatelle, mescolando col cucchiaio di legno. Aggiungete un filo d’olio per evitare che la pasta si attacchi. Fate cuocere al dente. Nel frattempo fate scaldare nella padella antiaderente l’olio, unite un pizzico di sale e l’aglio schiacciato. Non appena l’aglio sarà dorato, eliminatelo ed aggiungete i funghi porcini. Alzate un poco la fiamma e fate cuocere badando che non si riducano troppo, se necessario aggiungete qualche cucchiaio di acqua della pasta. Scolate le tagliatelle e fatele saltare per un paio di minuti nella padella con i funghi. Spegnete e servite la pasta affettando sopra ogni piatto dei commensali delle sottili lamelle di tartufo bianco. A parte servite il parmigiano grattugiato. Vino da accompagnare: Verdicchio dei Castelli di Jesi classico superiore (Marche) o Lugana (Lombardia) o Vernaccia di Oristano (Sardegna) servito a 10°. Ad Acqualagna è nato il “Palazzo del Gusto” per valorizzare e diffondere la conoscenza delle eccellenze del territorio. Ha sede presso Palazzo Conti, nel centro storico della cittadina, ospita un centro espositivo in cui sono raccolte le tipicità enogastronomiche locali. Offre anche la possibilità di svolgere laboratori sensoriali.
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di Bruno Goglione
Il cane da tartufo Ancor prima del Settecento in Francia il tartufo nero era considerato una bontà e veniva cercato con l'aiuto del maiale; negli stessi anni, in Italia - e più precisamente in Piemonte, presso la reggia sabauda - già si gustava il tartufo bianco, anzi lo si esportava in tutte le corti europee e la ricerca stessa costituiva uno svago di palazzo, cui erano invitati ad assistere i cortigiani, i diplomatici, i titolati e tutti i vip, come diremmo oggi. Il divertimento di corte era organizzato con classe e raffinatezza e da qui probabilmente è nato l'uso di utilizzare il cane, animale amico, elegante, di buon comando, soppiantando il maiale, certamente più rozzo, goffo, sgraziato e poco governabile.
ne. E fortunatamente!, altrimenti crediamo che non si troverebbe un solo, preziosissimo tuber, neanche scavando alla maniera degli archeologi. D'altro canto, all'uomo da generazioni si è molto affievolito il senso dell'olfatto, mentre quello del cane si sviluppa sin dalla sua nascita e col crescere si incrementa sempre di più e meglio. La scelta del cane da tartufi non è facile, considerato che non esiste una razza che abbia caratteristiche specifiche e peculiari per questo tipo di attività (anche se molto si è fatto e si sta facendo proprio in Italia, a livello di selezione naturale, con il "lagotto" romagnolo). La domanda è: serve un generico o uno spe-
L'articolo 5 della legge che regola la ricerca dei tartufi recita: "... La ricerca, da chiunque eseguita, deve essere effettuata con l'ausilio del cane a ciò addestrato e lo scavo, con l'apposito attrezzo (vanghetto o vanghella), deve essere limitato al punto ove il cane lo abbia iniziato". Ecco perciò che un dispositivo di legge impone ai cercatori di tartufi, impone l’uso del ca-
cialista? Nel senso di un cane che si adatti a tutti i tipi di tartufo ed a tutte le situazioni ambientali, o un soggetto che sia capace di trovare un solo tipo di tartufo? Deve essere lento o veloce? Nel senso che deve avere una cerca ampia e un’andatura brillante, o deve saper individuare determinate aree e fermarsi per analizzarle in modo meticoloso? Bisogna preferire un maschio o una
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femmina? Il maschio potrebbe essere distratto dagli odori di altri maschi che hanno marcato il territorio e la femmina due volte all’anno va in calore e deve stare a casa per oltre venti giorni. Un puro campione dovrebbe possedere tutte insieme le caratteristiche positive che abbiamo esaminato ma, ovviamente, essendo ciò impossibile, chi ama un cane robusto e resistente, dotato di una cerca veloce sceglie i “bracchi” (tedeschi, ungheresi, italiani); chi preferisce soggetti più tranquilli con una cerca più riflessiva e scrupolosa può indirizzarsi sul “lagotto” romagnolo, riconosciuto dall’Ente Nazionale della Cinofilia Italiana come unico e puro “cane da tartufo”; chi, infine, privilegia caratteristiche miste tra le due appena accennate, s’indirizza verso lo “springer spaniel”, il “breton”, il “korthals”, il “jack russel”. Tuttavia, non è necessario avere un cane con il pedigree; infatti molti dei migliori cani da tartufo sono dei semplici “bastardini”. Un cane ideale deve posse-
dere, innata, la passione per la “cerca” ed il “riporto”; deve avere un carattere posato e una buona inclinazione all’addestramento, una condotta brillante e un’ottima intesa con il tartufaio con il quale si stabilisce spesso un rapporto di affetto che si rafforza nel tempo; è difficile che un “trifolau” venda il proprio cane anche se riceve offerte vantaggiosissime e quando lo perde ne soffre come della perdita di una persona cara. Cesare Giaccone, uno dei più grandi chef delle Langhe, andava in giro per tartufi con la sua cagnetta Frida (un “tabui”, come da queste parti chiamano affettuosamente i cani “bastardi”); quando è diventata vecchia non ha avuto il coraggio di metterla a riposo o di farle l’affronto di sostituirla e, ogni tanto, sotterrava un tartufo ai piedi di un olmo o di una quercia, poi faceva in modo di far avvicinare Frida che, felice ed orgogliosa, lo segnalava al suo padrone. Chi potrebbe avere tanta delicata attenzione per un vecchio cane?
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Rubriche
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di Arabella Peza
“Il Marchesino” Questa rubrica è dedicata ai gourmet che, provenienti da ogni parte del mondo, arriveranno a Milano in occasione della Grande Esposizione del 2015 e saranno curiosi di visitare i ristoranti dove poter incontrare il meglio della cucina del nostro Paese, i sapori autentici e genuini della nostra Terra. “Gustare l’Italia” vuol dare il proprio contributo a questo legittimo desiderio segnalando quei locali ai quali il turista goloso non dovrà rinunciare per nessuna ragione. Uno di questi è certamente il “Marchesino”, l’ultima creazione di Gualtiero Marchesi, il più titolato degli chef, colui che negli anni ‘50 ha rivoluzionato la cucina italiana, così come è stato per la nouvelle cuisine in Francia.
Da tre anni ormai “Il Marchesino”, quello che lui chiama spiritosamente “pret à manger”, è un punto di riferimento per tutti gli ammiratori del grande Maestro. Si trova negli spazi dello storico Biffi, il grande ristorante del dopo Scala frequentato dagli artisti del teatro, tra i quali si ricorda la Callas che andava a mangiare “il risotto” dopo lo spettacolo.
I ristoranti Expo
Gualtiero Marchesi mancava dalla sua Milano da quando aveva lasciato il suo ristorante di Bonvesin della Riva per inaugurare il relais di Erbusco; molte volte gli era stato chiesto di ritornare ma lui, scherzosamente, aveva sempre risposto che avrebbe aperto solo se gli avessero concesso piazza della Scala; e così è stato.
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© Archivio Gualtiero Marchesi (2)
La cucina di Gualtiero Marchesi è fatta di eccezionali materie prime, precisione, essenzialità; il ristorante, disegnato dall’architetto Ettore Mocchetti, apre alle 12 ma già dalle 8 del mattino è possibile iniziare la giornata con una colazione veloce o completa, degna di un grande albergo. La carta è composta da 26 piatti, oltre a quelli della tradizione milanese: ci sono il sushi all’italiana, i grandi salumi, la classica costoletta alla milanese, i “marchesini dorati” (una novità “pop”, palline fritte di risotto giallo), il goulash di tonno, il “suo” riso e oro. “E’ il piatto che mi rappresenta maggiormente; innanzitutto perché è il piatto tipico milanese ed io sono milanese - racconta Marchesi - E’ un piatto di forte eleganza, bontà ed effetto, caratteristiche che un vero cuoco deve ricercare. E’ un riso e per me rappresenta la salute in quanto la mantecatura è molto leggera ed delicata. La sua cremosità è data dall’emulsione del brodo, dall’amido che fuoriesce dalla cottura del riso e dal formaggio aggiunto”. Il ristorante punta anche a farsi parterre e teatro addizionale, dove il mondo della musica e Milano possano convergere e darsi appuntamento. Perché proprio alla musica sono legate la vita famigliare e la cucina di Marche-
si: l’idea rigorosa che un piatto debba essere concepito tale e quale una partitura, dove gli ingredienti siano leggibili e al tempo stesso fusi come le note, è un’eredità musicale che gli proviene della moglie Antonietta, pianista con una madre soprano. Tutta la sua famiglia, peraltro, è legata alla musica: sua figlia Simona suona l’arpa, Paola il violino e i nipoti sono divisi tra il piano, il violoncello, il violino e il flauto. Presto, infatti, una delle pareti del ristorante sarà dedicata ai ricordi di famiglia, alle foto e agli autografi. L’ultima, geniale trovata del Maestro è la possibilità di poter vedere i piatti prima di sceglierli. Otto iPad - il “libro elettronico” saranno in servizio, a disposizione degli ospiti: grazie a loro i suoi piatti saranno vir-
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tualmente in tavola per essere sfogliati come in un catalogo d’arte, diviso in cinque sezioni: antipasti, pasta e riso, pesci, carni, dolci. Non si tratta di un semplice album di foto da studiare e ammirare in tutti i dettagli, ma di un vero e proprio catalogo che elenca, precisa, distingue gli ingredienti principali della ricetta, aggiungendo come informazione fondamentale le eventuali allergie collegate. Anche con questa innovazione Gualtiero Marchesi ribadisce il suo concetto più caro: “la materia è forma e la conoscenza genera semplicità”. Grande cucina e tecnologia, binomio vincente, e cura maniacale per ogni singolo dettaglio: per il Maestro, infatti, gli oggetti che accompagnano alla bocca il cibo sono stati sempre intesi come strumenti dove la funzionalità non è fine a se stessa.
Non esiste una forchetta uguale all’altra, ma non esiste neanche il concetto di forchetta, se questa si astrae dal suo compito, ovvero quello di rendere comodo, e quindi elegante, il gesto per cui è stata disegnata. “Ho studiato una forchetta dedicata agli spaghetti - spiega Gualtiero Marchesi - che non può avere i rebbi corti, ma lunghi. Per tutto il resto, c’è la forchetta a quattro rebbi corti, concava quanto un mezzo cucchiaio, utile a raccogliere. Va bene col pesce che spezzi e non tagli, gustandone contemporaneamente la salsa. Metterò, comunque, anche un cucchiaio da salsa che tolga ogni imbarazzo. Alla mia tavola sono previsti la forchetta e il coltello da carne e la carne non si punge: la forchetta sarà un forchettone a due rebbi e il coltello senza sega. Quest’ultima serve per la
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© Archivio Gualtiero Marchesi (3)
pizza mentre la carne richiede una lama affilata che non strappi, piuttosto che incida. Sono tutti stati realizzati in collaborazione con Berti di Scarperia. Per il segnaposto mia figlia Paola - conclude il Maestro - ha scelto di usare il piatto come una pagina bianca dove brulicano su due linee note e chiavi musicali: ne attraversano il vuoto, allargandosi a un certo punto in un respiro, in un silenzioso accordo. La musica che scivola nel piatto e aleggia tra le quinte del ristorante e del teatro fluisce senza soluzione di continuità, è sempre presente come un sentiero che porti nella giusta direzione”. Questo stesso motivo si ritrova anche sulle copertine delle carte e dei menu. Perché per poter godere di un buon pasto, di un viaggio alla riscoperta di antichi sapori e alla scoperta di nuovi, tutto deve essere armonico come una dolce melodia.
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Dripping di pesce Confezionare la maionese in modo tradizionale. Una volta pronta diluirla con l’acqua fino a farle ottenere una consistenza oleosa che le doni leggerezza. Conservare una parte della maionese al naturale e colorarne il resto, metà con il nero di seppia e metà con la clorofilla di prezzemolo o eventualmente con un po’ di pesto. Realizzare una passata di pomodoro. Prendere un piatto quadrato e cospargete il suo fondo con la maionese naturale, poi sparpagliare sopra dei calamaretti bolliti e delle vongole sgusciate, quindi sgocciolare sopra a turno la maionese alla clorofilla, la salsa al nero di seppia e quella al pomodoro.
Seppia al nero Pulire la seppia e separarla dal suo nero che deve essere diluito con un po’ d’acqua ed emulsionato con del burro per ottenere una salsa. Cuocere la seppia a vapore. Disporre la salsa di nero su di un piatto e poggiarvi al centro la seppia.
Riso, oro e zafferano 15 cl di vino bianco e 7,5 cl di aceto fino a che la parte alcolica non è evaporata e resta solo la parte acida. Aggiungere 100 gr di burro in pomata e mescolare per ottenere un burro cosidetto acido. Filtrare il burro attraverso un passino per eliminare i resti della cipolla. In una casseruola tostare il riso Carnaroli con 60 g di burro per un minuto. Bagnare con 5 cl di vino bianco e lasciare evaporare. Versare un litro di brodo leggero e aggiungere 2 g di zafferano. Fare cuocere per 18 minuti. Mescolare ogni tanto e una volta terminata la cottura aggiungere 20 g di parmigiano e 40 g di burro acido. Versare il riso nel piatto e aggiungere la foglia d’oro.
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© Archivio Gualtiero Marchesi (3)
Ricette
In una casseruola cuocere 15 g di cipolla spezzetata in
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di Cino Tortorella
Le ricette dell’unità d’Italia
L’anno prossimo si festeggerà il 150° anniversario dell’Unità d’Italia e per l’occasione, nel nostro paese, sono previste numerose iniziative di carattere culturale, storico e scientifico. Tra queste però ne manca una che ricordi come l’Unità sia servita anche a valorizzare la gastronomia del nostro Paese. Ogni cucina locale, pur restando fedele alle proprie tradizioni, si è arricchita usando esperienze e prodotti di altre regioni. Per fare un esempio: il “Risotto alla milanese”, la cui ricetta originale risale al 1574, è oggi perfetto se si unisce al riso e burro della Lombardia il Parmigiano dell’Emilia, il midollo di bue del Piemonte, lo zafferano d’Abruzzo e il vino di Puglia; e così per molti altri cibi. Sarebbe perciò opportuno alle tante manifestazioni in programma aggiungerne una che riguardi il mondo della gastronomia. “Gustare l’Italia” si propone di colmare questa lacuna e chiederà ai più grandi chef di collaborare per onorare con le loro creazioni l’importante anniversario. Saranno scelti 50 tra i migliori d’Italia e ciascuno dovrà indicare tre proprie ricette o già esistenti o creata per l’occasione dove dovranno essere presenti più ingredienti di altre regioni ed ogni piatto sarà accompagnato da due vini: uno locale e l’altro di un’altra regione a scelta del sommelier. Le 150 ricette, che verranno raccolte in un volume, saranno presentate durante manifestazioni che si svolgeranno in varie parti d’Italia alle quali parteciperanno i migliori
gruppi folkloristici con canti e danze tradizionali. Ulteriori informazioni le troverete sul nostro sito www.gustarelitalia.it
Diamo il via a questa rassegna con un favoloso piatto inventato da Pietro Zito, lo chef di “Antichi Sapori” di Montegrosso di Andria (BA): il “Minestrone d’Italia” dove è riuscito a riunire ingredienti di tutte le 20 regioni. Ne è risultato il piatto di straordinario equilibrio ed armonia che vi proponiamo.
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Il minestrone d’Italia Preparazione: In un grande pentolone prepariamo la base; usando olio extravergine di Andria (Puglia); facciamo soffriggere della cipolla rossa di Tropea (Calabria), qualche spicco di aglio di Resia (Friuli Venezia Giulia) e del sedano nero di Trevi (Umbria). Aggiungiamo pomodoro a pezzi San Marzano (Campania), sale marino di Cervia (Emilia Romagna) e profumiamo con del basilico di Albenga (Liguria). Cuciniamo a parte ma singolarmente: lenticchie di Santo Stefano di Sessanio (Abruzzo) con lardo d’Arnad (Valle d’Aosta), melanzana rossa di Rotonda (Basilicata), cardo della campagna romana (Lazio), cicerchie di Serra dè Conti (Marche), peperone corno di bue di Carmagnola (Piemonte), fava larga di Leonforte (Sicilia) da cuocere con speck Südtiroler (Trentino Alto Adige), radiccho variegato di Castelfranco (Veneto), funghi della Garfagnana (Toscana) e grano saraceno della Valtellina (Lombardia). Uniamo tutte queste verdure e legumi cotti singolarmente (e solo nel caso dei legumi con l’aiuto di nobili grassi animali) in una grande pentola dove in precedenza abbiamo preparato il profumato fondo di cui sopra. Lasciamo cuocere ancora per qualche minuto con aggiunta di qualche stigmi di zafferano di San Gavino Monreale (Sardegna) che renderà unica l’unione. Serviamo con una grattugiata di caciocavallo stagionato (Molise). Il vino consigliato è un Ettamiano della Cantina Due Palme di Cellino San Marco (Brindisi) oppure un
Ricette
Pettiroso di Cà da Meo DOC della Cantina Magda Pedrini di Gavi (Alessandria).
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di Toni Sarcina
Tempo di guide
Gli esami non finiscono mai Dagli inizi di ottobre le librerie e le edicole d’Italia sono state invase dalle nuove Guide gastronomiche. Abbiamo assistito alle consuete diatribe fra i vari clan, si sono alternate recriminazioni e osanna per il tal ristorante inopinatamente cancellato dal gruppo degli stellati e quelli trionfalmente ammessi; ha fatto scalpore per esempio l’esclusione del Ristorante Cracco dalla Guida del Gambero Rosso. Ci sono state le solite insinuazioni sulla scarsa serietà di questo e di quello o anche su imbrogli e ricatti che nessuno riesce mai dimostrare. L’anno scorso Gualtiero, il divino Marchesi, aveva messo le mani avanti facendo arrivare ai colleghi una lettera con la raccomandazione: “Cari giovani cuochi e ristoratori in erba, non date troppa importanza alle guide e ai punteggi; non siate desiderosi di emergere troppo frettolosamente. Non pensate che una stella o un voto alto risolvano il vostro destino. Pensate prima ad imparare, poi ad orga-
nizzare la vostra offerta e ad accontentare il cliente. È lui il giudice più importante”. “Io - continuava Marchesi - mi sono stufato di essere giudicato da incompetenti possessori di una infarinatura gastronomica divenuti petulanti critici che sovente accordano stima e importanza più all’amico di moda in quel momento che non a chi merita vera-
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mente stima e apprezzamento. Come si possono dare rapidi e superficiali punteggi ad un qualsiasi ristoratore basandosi su rare visite occasionali senza conoscere il lungo cammino che ha percorso per affinare quell’armonia di gusti che lo contraddistingue e che forma la sua identità?” E poco più avanti, mettendo la cucina sullo stesso piano della grande musica, per dare una stoccata a “certi critici” aggiungeva: “Il cuoco è come il musicista che esegue una composizione interpretandola a suo modo, ma raffinandola ogni volta che la ripete sino ad arrivare ad una interpretazione che sarà la sua interpretazione e sarà il risultato congiunto di preparazione, intuizione e sensibilità. Sono perciò convintissimo che nel giudicare bisogna per prima cosa conoscere e prestare la massima attenzione verso il pezzo”. Frase che sarebbe perfetta se si riferisse appunto a “certi” critici presuntuosi quanto ignoranti e pieni di sé, ma ingiusta verso chi nel suo compito mette passione e competenza. Di Luigi Veronelli ne nascono due o tre in un secolo (e certi commentatori che si atteggiano a maestri e non sono neanche scolari, dovrebbero rileggersi le “Guide all’Italia piacevole” del grande, lui sì, Maestro) ma perché non ammettere che ci sono anche critici obiettivi e preparati? “Teniamo conto poi – proseguiva Gualtiero - che ogni giudizio è espresso da un essere umano e dipende sostan-
zialmente dai suoi gusti personali, dalla sua cultura e, dato che siamo comuni mortali, anche del suo stato fisico e psichico del momento”. Verissimo. Ma questa osservazione non è valida per ogni critico indipendentemente dal fatto che esso sia gastronomico, letterario, cinematografico o teatrale? Che dobbiamo fare, abolire i critici? “A questo punto - concludeva Marchesi - si giudichi se non è quanto meno discutibile, se non ridicolo, esprimere giudizi gastronomici con punteggi matematici ricchi, pure, di decimali, che rifiuto di accettare giudicandoli inutili e sinceramente travisanti lo spirito con le quali sono nate le guide della ristorazione”. Su quest’ultima affermazione non siamo proprio d’accordo; è superficiale e ingenuo ritenere che le Guide non servano e non ab-
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biano nessun peso; servono eccome. Ci sono turisti che arrivano dal Giappone o dagli Stati Uniti e che fra i luoghi da visitare in Italia, accanto a Firenze, Venezia e Capri, hanno nel loro carnet Sant’Agata dei due golfi, Canneto sull’Oglio, Rubàno di Padova, solo perché ci sono ristoranti stellati. Ecco perché servono i critici e le Guide. Lo stesso Gualtiero aveva avuto un riconoscimento su tutti i media italiani e internazionali proprio perché è stato il primo “tre stelle Michelin italiano” nella storia della “Guida rossa”. Sta alla sensibilità di ciascuno stabilire da chi riceve i consigli e i suggerimenti migliori. Qualche tempo dopo la lettera di Marchesi era uscita la nuova Guida Michelin e fra la sorpresa di tutti gli addetti ai lavori si è visto che aveva penalizzato Gualtiero Marchesi togliendo al suo locale le due stelle e considerandolo degno soltanto di una semplice
citazione come ristorante della Locanda L’Albereta di Erbusco in Franciacorta. Relegato insomma a semplice ristorante di albergo. Francamente per chi è stato il principe degli chef, il fondatore della nuova cucina italiana, ci è sembrato davvero troppo e, cosa molto sgradevole, suonava come una vendetta, una caduta di stile di una guida da sempre nota per la sua obiettività e correttezza. “La Guida rossa - ha commentato Gualtiero - al reato di lesa maestà ha risposto con il taglio della testa. Mi dispiace per i miei collaboratori che lavorano in un ristorante secondo alcuni inesistente”. Noi di “Gustare l’Italia” abbiamo dato la nostra solidarietà a Gualtiero riconfermandogli stima e affetto e aspettiamo che la prossima edizione della “Rossa” che uscirà alla fine di questo mese torni a dare a Gualtiero ciò che gli spetta.
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Il Viagra in pentola Esistono cibi afrodisiaci? Certamente sì e il primo fu la fatale mela di Eva che causò il peccato originale e la conseguente sua cacciata dal Giardino Terrestre insieme all’incolpevole Adamo. I sessuologi li dividono in tre categorie: cibi afrodisiaci per la forma, perché ricordano gli organi sessuali maschili (banane, asparagi, peperoncini) e femminili (ostriche, fichi, coco de mer); per la simbologia, perché si spera che chi le mangia assuma le qualità dell’animale da cui provengono (pinne di pesce cane, testicoli di toro, corni di rinoceronte); per la funzione biochimica di ingredienti contenu-
ti in alcuni cibi, funzione che favorisce l’aumento del desiderio nelle femminee l’erezione nei maschi (il testosterone dei tartufi, la feniletilana della cioccolata, l’arginina delle albicocche). A partire da questo numero presenteremo le più famose ricette afrodisiache suggerite dai più grandi chef italiani con l’augurio che facciano ottenere ai nostri lettori gli effetti desiderati. E’ però necessaria un’avvertenza: ogni cibo, anche il più stimolante, diventa povera cosa se non è gustato in un ambiente piacevole, su di una tavola elegantemente imbandita, accompagnato da un grande vino, ma - soprattutto - insieme al partner ideale. Incominciamo da uno dei più semplici ma anche dei più efficaci, quello che secondo la tradizione e nella convinzione popolare è il frutto che più di ogni altro stimola il desiderio e aiuta a soddisfarlo anche meglio del Viagra: il peperoncino. L’aggressività del suo sapore, il suo colore rosso vivo come il sangue, la quantità di vitamina E, la vitamina della fecondità e della potenza sessuale, ne fanno da sempre l’ingrediente ideale per un pranzo che segni l’inizio di un felice percorso che dal bianco della tovaglia porti al bianco delle lenzuola. Innumerevoli sono i piatti della cucina, soprattutto meridionale, che esigono la presenza del peperoncino, detto anche diavolicchio; tra questi ne abbiamo scelto uno molto amato
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da Lorella Cuccarini che lo gustava al ristorante al Carretto, il ristorante pugliese di Bonirola di Gaggiano a pochi km da Milano:
“Strascinati alle cime di rapa con olio al peperoncino” Perché questo piatto raggiunga il massimo risultato desiderato e sperato da due innamorati occorre abbinarlo ad un grande vino pugliese, come ad esempio l’Ettamiano della Cantina Due Palme di Cellino San Marco, un vino vivo e allegro, che induce all’ottimismo. Un bellissimo proverbio attribuito ai vini pugliesi così recita: “Face cchiù miraculi ‘na utte china te mieru ca ‘na chiesa china te santi” (fa più miracoli una botte piena di vino che una chiesa piena di santi). E l’Ettamiano è la migliore testimonianza della verità di questo detto. Dall’afrodisiaco più semplice a quello più costoso e perciò difficilmente presente su una mensa popolare: il tartufo. Nelle Langhe piemontesi dove si giura che gli unici, veri, autentici tartufi bianchi sono quelli che nascono intorno ad Alba e assicurano che il modo migliore per gustarli è su due uo-
va al tegamino purché siano uova di galline ruspanti; altri farebbero pazzie per averne una grattugiata sulla carne cruda di Fassone… chi scrive ritiene però che non vi sia niente di meglio che farne discendere una preziosa pioggia di petali su un piatto di “tajarin”. E’ il piatto preferito da Ferrian Adrià, che quando lascia il suo ristorante se lo viene a gustare da Cesare, nel suo locale di Serralunga d’Alba. La ricetta è semplicissima: procuratevi i tajarin amorevolmente preparati da una “sfoglina” langarola, fateli cuocere in abbondante acqua salata, conditeli con il burro crudo del grande Occelli di Farigliano e grattugiatevi sopra un tartufo d’Alba finché il vostro conto in banca ve lo permetterà. Il vino ideale è il “Pettirosso”, un uvaggio di Barbera, Cabernet e Sauvignon, un allegro e sensuale vino della cantina della tenuta “Cà Da Meo” della Magda Pedrini, frutto della sua cura e del suo piacere d’eccellenza. Fateci sapere se con le due ricette che vi abbiamo illustrato avete ottenuto l’effetto desiderato; se il risultato è stato negativo sarà opportuno rivolgersi ad un sessuologo. O cambiare partner.
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della Redazione
Appuntamenti
80a Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba Era il 1928 e la Fiera del Tartufo si chiamava Festa vendemmiale. All’interno della manifestazione si tenevano mostre ed esposizioni. Grande successo per quella di Giacomo Morra (1889-1963), che per primo cercò di valorizzare il prestigioso fungo ipogeo che avrebbe fatto la fama di Alba. Nel 1929 si organizzò così la “Fiera mostra campionaria a premi dei rinomati Tartufi delle Langhe” Nel 1930 il Comune, visto il grande successo di pubblico dell’anno precedente, decise di rendere permanente la Fiera negli anni futuri. Cominciarono a crearsi appuntamenti di carattere sportivo, artistico, culturale ed economico. Nel 1932 si tenne la prima edizione dell’originale Palio degli Asini, ideato dal farmacista erborista, archeologo, e successivamente pittore, Pinot Gallizio. La Fiera fu sospesa negli anni più tragici della guerra, ma nell’Italia ritornata alla democrazia subito ricomparve il Palio degli asini, la sfilata dei carri allegorici e nacque il primo concorso di bellezza organizzato in Italia nel dopoguerra: la Reginetta delle Langhe. Nel 1967 nascevano i Borghi, che hanno dato valore aggiunto e colore alla città con parate e rievocazioni medievali in costume. Nel 1973, la Fiera ottenne il titolo di Nazionale. Poi la kermesse dell’autunno albese cominciò a dilatare la sua durata, cercando di guardare anche al di là dei confini e ricevendo le attenzioni di un turismo sempre più internazionale. Nel 1990, in occasione della sessantesima edizione, si costituiva l’Associazione nazionale Città del Tartufo che riuniva le principali città tartuficole italiane. La Fiera oggi ha aumentato la sua risonanza e portato ad Alba migliaia di turisti. Si tratta della conferma dell’intuizione di Giacomo Morra: il Tuber magnatum Pico come volano di sviluppo per il territorio. Nel 2006 l’ultimo grande riconoscimento: il titolo di Internazionale. Quest’anno, la Fiera compie 80 anni e, per festeggiare, la città di Alba le rende omaggio con un percorso di immagini che si snoderà attraverso le vie del centro storico, partendo da piazza Savona, passando per il Cortile della Maddalena, ancora una volta sede del Mercato del Tartufo e di AlbaQualità - la rassegna enogastronomica delle specialità del Piemonte, fino al 14 Novembre - per terminare con l’ottantesima immagine a Palazzo Mostre e Congressi “Giacomo Morra”, dove l’Asti spumante attende i visitatori per un brindisi di buon compleanno. Alba (CN) - Fino al 14 Novembre 2010 Per info: www.fieradeltartufo.org
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45a Fiera Internazionale del Tartufo Bianco Ogni anno Acqualagna è raggiunta da una folla di turisti non solo Italiani ma anche molti tedeschi e inglesi per non parlare di alcune comitive di giapponesi e americani. Gli stand espositivi sono circa un centinaio, la Piazza centrale si trasforma in un salotto dove solo qui si possono ammirare, annusare e acquistare quintali su quintali di tartufo fresco per non tralasciare tutti gli altri prodotti di qualità quali salumi vino miele e formaggio prodotti nelle nostre zone. La fama e il target qualitativo dell’evento richiama ormai anche produttori nazionali e internazionali che vengono selezionati e mostrano e vendono solo il meglio della propria produzione di nicchia. Insomma un salone del gusto firmato qualità ma soprattutto tradizione, storia, sapore autentico. L’afflusso di gente ha toccato i 100mila visitatori per non parlare di politici e vips di ogni tipo che affollano ogni giornata di fiera. La fiera è una grande vetrina,il volano di tutta l’economia territoriale,il punto di partenza delle strategie di marketing territoriale che contraddistinguano Acqualagna nella Regione Marche. Forte del grande successo ottenuto nelle precedenti edizioni, l’area dedicata al contest culinario verrà ampliata e potenziata. In essa si svolgeranno quotidianamente dimostrazioni, eventi enogastronomici, degustazioni. Nell’organizzazione si punterà sulla qualità, selezionando i prodotti più pregiati e gli chef più famosi, che potranno ben rappresentare il territorio di provenienza. Oltre agli chef dei più rinomati ristoranti d’Italia, ogni anno ci raggiunge uno chef di fama internazionale come Luigi Gerosa, executive Chef del Burj Al Arab di Dubai, e Andrea Tranchero, executive Chef del Ristorante Armani di Tokyo. La cucina verrà allestita come una vera e propria platea teatrale, nella quale i principali ristoratori italiani presenteranno ricette e trucchi di un’arte culinaria che rispecchi il loro territorio. Gli spettatori potranno seguire in diretta tutte le varie fasi della preparazione di un piatto, mentre esperti gastronomi terranno delle vere e proprie lezioni di cucina per insegnare a tutti coloro che lo vorranno come si sceglie, si prepara e si cucina una ricetta. Presso il Salotto trovano spazio anche le aziende agroalimentari espositrici e gli sponsor che possono utilizzare questo luogo per presentare prodotti, anteprime, incontrare nuovi clienti. Acqualagna (PU) - 1/6-7/13-14 Novembre 2010 Per info: www.comuneacqualagna.ps.it
91 Gustare l’Italia
43a Fiera Nazionale del tartufo “Trifola d’Or” Il borgo monferrino, meglio conosciuto come Terra del Tartufo, apre le porte della kermesse gastronomica a valenza tartufigena tra le più importanti del panorama piemontese, con una proposta nuova e rivoluzionaria che mira alla tracciabilità del prodotto a garanzia del consumatore, primo e unico esempio di settore. Là dove neppure il DNA è in grado di stabilire la provenienza di un tartufo, subentrano l’esperienza ed il fiuto del trifolau locale per identificare il prodotto di questa terra, così fregiato dal certificato De.Co. che il Comune di Murisengo rilascia solo ed esclusivamente attraverso ai propri trifolau. Sono De.Co. i Tartufi Bianchi Pregiati (Tuber Magnatum Pico altrimenti conosciuti come Tartufo Bianco Alba) raccolti a Murisengo Terra del Tartufo. Una proposta senza precedenti e senza pari dove, per la prima volta in assoluto, il Comune, basandosi sulla serietà, onestà e soprattutto conoscenza dei propri trifolau, garantisce un prodotto di grande valore gastronomico, ambientale, culturale ed ultimo ma non ultimo economico, là dove la scienza si ferma. Durante la fiera, presso le bancarelle dei trifolau e dei commercianti, sarà possibile acquistare tartufi certificati De.Co. inseriti in sacchetti numerati e timbrati dal Comune per risalire, all’occorrenza, al rivenditore. Sarà anche possibile farsi rilasciare gratuitamente il certificato ISO 70006 da parte del Centro Nazionale Studi del Tartufo di Alba presente in fiera che garantirà freschezza e specie. Presso i ristoranti locali il turista del gusto troverà una targa De.Co. che garantisce l’utilizzo di tartufi raccolti sul territorio di Murisengo. Altra novità dell’edizione 2010, i menu a km0 presso il padiglione gastronomico allestito dalla nuova proloco murisenghese e presso numerosi ristoranti della zona. La proloco proporrà solo ed esclusivamente prodotti agroalimentari ed enogastronomici TargatiMurisengo. Dall’olio extravergine d’oliva coltivato nei dolci pendii della Valcerrina, ai nettari di Bacco espressione di sapienza e tradizione, dalle carni rosse e bianche a marchio Coalvi e Slow Food, agli orticoli di stagione ed agnolotti della tradizione locale, e poi ancora insaccati, torte di nocciole e frutti raccolti in paese. Murisengo (CN) - Domenica 14 e 21 Novembre 2010 Per info: www.fieradeltartufo.com
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40a Mostra Nazionale del Tartufo Bianco Ogni anno si svolge nella medievale cittadina di San Miniato la Sagra del Tartufo, alla quale partecipano da sempre numerosissimi visitatori, italiani e stranieri. E’ una delle manifestazioni più importanti della Toscana e offre la possibilità di conoscere e gustare cIbi sani e tradizionali della zona, tra cui emerge, presentato in diverse maniere, il protagonista dell’evento: il Tartufo Bianco. La Sagra del Tartufo offre un’atmosfera incomparabile: chi partecipa viene immediatamente catturato dalle numerose e ricche bancarelle, dall’aria inebriante di odori e profumi, dalla musica, dagli intrattenimenti...ma soprattutto dalla vitalità della festa data dall’emorme folla presente e incuriosita. La tradizione del tartufo, a San Miniato, affonda le radici nel Medioevo. Ma è da poco più di 100 anni che l’attività di raccolta è organizzata per gruppi familiari della zona, i cosiddetti tartufai. Più che cercatori, famiglie cercatrici ognuna con i suoi segreti tramandati da generazioni, i suoi cani da tartufo e i suoi sentieri nascosti nei boschi di querce, di pioppi e di lecci. Ma Tartufo non è soltanto gusto inimitabile: è anche mercato e cultura locale. Da 40 anni si tiene a San Miniato la Mostra Mercato Nazionale del Tartufo Bianco di San Miniato, che trasforma la Città, nell’intero mese di novembre, in un grande laboratorio del gusto a cielo aperto. Fanno da corona al Tartufo, esposto nella storica piazza del Duomo, posta ai piedi del colle della Rocca, i mercati delle altre piazze, dove i sapori tipici delle Colline Samminiatesi sono offerti insieme ai sapori e alle specialità delle altre Città del Gusto italiane. Ma la Mostra Mercato Nazionale non è che l’apice di questa straordinaria offerta stagionale. Nel cuore della terra tartufigena, in mezzo ai boschi e alla campagna, feste più intime e nascoste anticipano in ottobre l’offerta nei piccoli paesi delle più antiche dinastie di tartufai: la Festa di Corazzano, ai piedi della Pieve romanica di San Giovanni Battista, la Festa di Balconevisi, l’antico borgo della famiglia fiorentina degli Strozzi, dove ogni contrada partecipa a un Palio corso da paperi. San Miniato (PI) - 13-14/20-21/27-28 Novembre 2010 Per info: www.www.sanminiatopromozione.it
93 Gustare l’Italia
della Redazione
Le ricette d’oro delle migliori osterie e trattorie italiane del Mangiarozzo - Carlo Cambi Oltre 1600 ricette della cucina tradizionale e territoriale italiana. Una sorta di enciclopedia dei nostri sapori che è anche un viaggio alla ricerca delle nostre più autentiche radici. È dai tempi di Pellegrino Artusi, della sua “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, che non veniva proposta una codificazione completa delle nostre prassi culinarie. È frutto di un lavoro di ricerca durato quattro anni durante i quali sono state raccolte le preparazioni delle osterie e delle trattorie che sono state recensite ne “Il Mangiarozzo”. È una corposa rappresentazione dell’Italia “a la carte”, di regione in regione. Molto più che un ricettario, ha una doppia chiave di lettura e di uso: può essere il racconto sensoriale delle nostre terre, o può essere il manuale di cucina da consultare per riportare in tavola l’autenticità dei nostri sapori. Troverete i piatti della memoria e le evoluzioni della tradizione sia negli ingredienti che nelle prassi, insieme con gli autentici piatti della prassi gastronomica territoriale.
Libri da mangiare
Che si possono rifare tranquillamente a casa. Di ogni ricetta vengono dati gli ingredienti, i tempi, i modi; di ogni ricetta viene dato l’autore e a ogni preparazione è premessa una minima introduzione che ne dà il senso antropologico, culturale e gastronomico. È dunque un libro da tenere sul comodino per viaggiare nel nostro universo dei sapori, da tenere in cucina per sperimentare le nostre radici gastronomiche. Con qualche vantaggio pratico. Dacché si tratta di ricette tradizionali e di tradizione non sono mai piatti costosi; prepararle significa risparmiare con gusto! E poi, a ogni piatto è stato abbinato un vino: perché un piatto senza vino è come un cielo senza stelle. Edizione: Newton Compton - Pagine: 608 - Prezzo: € 22,00
Oltre, dessert al piatto - Loretta Fanella 36 dessert al piatto; 247 preparazioni; 34 procedure illustrate; 170 foto; 4 lingue: italiano, inglese, francese, spagnolo: ecco il primo libro di Loretta Fanella. “…un libro che si caratterizza per un’immaginazione così straripante che sembra proprio uscito da un racconto di fiabe… Il lettore ha di fronte a sé un libro che non fa che confermare che il mondo dei dessert rivendica il proprio ruolo nel panorama gastronomico e cammina con passo spedito verso un futuro impegnato nell’innovazione e la qualità, senza dimenticare le proprie radici…”.” Albert Adrià)
Edizione: Avanguardia Culinaria - Prezzo: € 82,00
Gustare l’Italia 94
(dall’introduzione di Ferran e
Due cuori e un fornello - Ilaria Mazzarotta Convivenza con cucina: ecco il libro giusto per chi non sa mai cosa cucinare per cena al suo Lui (soprattutto all’inizio di una convivenza), per chi viene assalito dal panico all’idea di preparare un menu intero per una serata tra amici, per chi deve sopportare quotidianamente l’imbarazzante paragone con la prelibata cucina dell’augusta suocera… In questo spassosissimo libro Fiamma e il suo Convivente affrontano insieme la vita in comune imparando a conoscere una i gusti dell’altro, creando nuovi riti di coppia e condividendo le ultime scoperte culinarie; un racconto ironico sulla vita a due, ricco anche di consigli pratici per stare bene insieme (anche se lui odia le verdure, lei ama tè e infusi e i piatti di mammà sono sempre i migliori). Inoltre, anche tante ricette sfiziose per mangiare ancora meglio. Le più ghiotte? Il Tiramisù di Fiamma e il pollo caramellato alla soia. Edizione: Kowalski - Pagine: 256 - Prezzo: € 13,00
Piccolo ricettario per cuochi perdigiorno - Roberta Deiana Un ricettario davvero insolito e brillante: 73 ricette riscritte in modo creativo e inaspettato, c’è la ricetta in terzine dantesche, quella in stile romanzo erotico, in stile noir anni ’50… e anche quella scritta come una canzone di Paolo Conte! Imperdibile la “Zuppa di pollo Buckowsky al Grand Hotel Roach”, esilarante. Edizione: Bietti - Pagine: 200 - Prezzo: € 16,00
La dieta una volta per tutti - Primo Vercilli È un libro che insegna a mangiare meglio con un metodo alimentare facilmente gestibile e non stressante. Si legge come un romanzo e spiega la Nutrizione immuno funzionale, la frontiera più avanzata della medicina e della nutrizione. Con ricette di grandi chef La dieta non deve essere privazione ma scelta consapevole. Conoscendo il nostro corpo e valore e limiti degli alimenti possiamo raggiungere un vero equilibrio nutrizionale. Primo Vercilli, medico dietologo ed Elsa Mazzolini, giornalista, direttore del mensile La Madia, nel libro “La dieta una volta per tutti”, hanno approfondito l’analisi degli errori alimentari che ogni giorno commettiamo, anche quando pesiamo i cibi, ne escludiamo alcuni o ne utilizziamo troppo altri. Le regole devono essere soggettive ma non in base a suggestioni e mode. La ricerca parte da un test diagnostico che segnala l’impatto dei cibi sugli organi del nostro corpo - questa la novità del libro- e porta quindi a selezionare gli alimenti idonei. Si chiama Nutrizione immuno funzionale, medicina preventiva anche attraverso le scelte della tavola. Edizione: Gourmadia - Pagine: 384 - Prezzo: € 36,00
95 Gustare l’Italia
della Redazione
Sei un vero gourmet? Dovete rispondere a questo test senza barare, senza consultare enciclopedie, siti internet, o chiedere lumi agli amici; se rispondete esattamente ad almeno 10 domande, potrete fregiarvi del titolo “optimus potor”;; da 5 a 9 potrete sempre vantarvi di essere un “discreto bevitore”;; da 0 a 4 sarà bene smettere di seguire le trasmissioni televisive che trattano di vini e iscriversi a un corso di Sommelier.
4) Nella Bassa Emiliana si prepara il brodo
1) A parità di peso costa di più: A) Il caviale
detto “in quarta” perché si cucina con:
B) Lo zafferano
A) Quattro tipi di verdure
C) Il tartufo
B) Quattro tipi di carne C) Quattro ore di ebollizione
2) Qual è in Francia la capitale del tartufo nero?
5) Quale di questi formaggi non è piemontese?
A) Bresse
A) Castelmagno
B) Perigord
B) Escarun
C) Belon
C) Formaggio di Fossa
3) Qual è l’ortaggio più importante nel pesto
6) Il Lacrima è un vino DOC di Morro d’Alba; in quale regione si trova Morro d’Alba?
A) Basilico
A) Marche
B) Prezzemolo
B) Toscana
C) Maggiorana
C) Piemonte
© Emanuela Cattaneo
Quiz
ligure?
Gustare l’Italia 96
7) In quale stato si beve più vino pro-capite?
11) Quale tra questi vini non è anche il nome
A) Città del Vaticano
di un paese?
B) San Marino
A) Barolo
C) Principato di Monaco
B) Gavi C) Chianti
8) Quale di questi alimenti contiene più vita12) Quale di queste località è famosa per i
mina C? A) Limone
suoi fagioli?
B) Cavolo
A) Castelluccio
C) Banana
B) Lamon C) Ayas
9) Quale di questi cibi non si mangiava in Eu13) Che cos’è un cardoncello pugliese?
ropa prima della scoperta dell’America? A) Gnocchi di patate
A) Un fungo
B) Pasta e fagioli
B) Un legume
C) Lasagne al forno
C) Un tipo di pasta
10) Che cosa nelle Langhe si chiama “Infer-
14) Quale città italiana era chiamata “L’Oste-
not”?
ria dei Popoli” per le sue 400 osterie?
A) Il porcile
A) Verona
B) Il pollaio
B) Bologna
C) La cantina dei vini
C) Napoli
1) B; 2) B; 3) A; 4) B; 5) C; 6) A; 7) A; 8) B; 9) A; 10) C; 11) C; 12) B; 13) A; 14) A
RISULTATI: 97 Gustare l’Italia
Indice delle ricette
26
Zucchine ripiene di Mamma Nora
26
Lasagne al forno di mamma Elsa
36
Soffice tartrà di spinaci al tartufo nero
36
Cosce d’anatra stufate al Barbaresco
37
Semifreddo di torrone
37
Bonet al caffè
37
Bonet classico al cioccolato
68
Risotto al tartufo bianco
69
Uova al tegamino con tartufo
70
Tortino di polenta al tartufo
71
Tagliatelle ai funghi porcini e tartufo
80
Dripping di pesce
80
Seppia al nero
81
Riso oro e zafferano
82
Minestrone d’Italia Gustare l’Italia 98
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