Periodico
di
cultura
enogastronomica
e
turismo
Anno
2
-
Numero
8
-
Gennaio
2011
Copia di cortesia
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Con il patrocinio di
Ben arrivato 2011
La tenuta Cà da Meo di Magda Pedrini è il risultato di un profondo amore per una terra che, grazie alla sua particolare posizione, da origine a coltivazioni assolutamente straordinarie nell’ambito dei vitigni che producono eccezionali Gavi docg. Da questa storia così carica di sentimenti umani e di lavoro nascono i vini della Tenuta che arrivano ad arricchire di stile e di gusto le nostre tavole. Tel. +39 0143 667923 Fax +39 0143 667929 • www.magdapedrini.it • E-mail: nuovacadameo@virgilio.it
Ha preso dunque il via il nuovo anno, il duemilaundicesimo dalla nascita di Cristo, l’undicesimo dall’inizio del terzo millennio, il duemilasettecentoquarto dalla fondazione di Roma, il cinquecento diciannovesimo dall’inizio dell’Era moderna, il 1433 per i maomettani, il 4708 per i cinesi (che per oscure ragioni sarà anche per loro “l’anno del coniglio”). Lo salutiamo brindando con una coppa di Spumante italiano per il quale oggi non abbiamo che l’imbarazzo della scelta. Fino a qualche decennio fa non ci sarebbero stati dubbi: a san Silvestro si doveva brindare solo con lo Champagne, il vino della Belle Epoque, dell’allegra follia che dalla Francia aveva conquistato e travolto l’Europa; il nostro Spumante ne era il parente povero, poteva al massimo aspirare ad esibirsi sui modesti tavoli delle mense popolari veniva esibito nello sciocco rito dei campioni di ciclismo e di automobilismo, che per festeggiare i loro successi ci facevano (e ci fanno ancora chissà perché) la doccia. Oggi, grazie a Dio, la differenza di qualità fra Spumante italiano e Champagne si è via via andata assottigliando e in moltei casi è addirittura scomparsa. Spumante italiano dunque per salutare il nuovo anno; l’unica esitazione potremmo averla dovendo scegliere fra Nord e Sud perché oggi agli storici prodotti dell’Oltrepò pavese e della Franciacorta, si sono aggiunti strepitosi vini del meridione come quelli dei D’Araprì di San Severo, in provincia di Foggia dove tre amici hanno creato da vitigni autoctoni Spumanti di indicibile piacevolezza e giù giù fino all’azienda “Due Palme” di Cellino San Marco dove è da poco nato il “Melarosa”, uno Spumante giovane e allegro. Brindiamo dunque con spumante italiano, con buona pace dell’abate Perignon che verso la fine del XVII secolo, nell’abbazia di Hautvillers, ebbe la felice intuizione di racchiudere in una bottiglia la fragrante e profumata effervescenza del vino della regione francese chiamata Champagne.
Al nuovo anno chiediamo sommessamente di impegnarsi ad essere migliore di quello che lo ha preceduto, certi di non pretendere da lui uno sforzo eccessivo visto come si è comportato il 2010 che ci ha lasciato. In alto i calici dunque cari amici di “Gustare l’Italia” e se accanto a voi ci sarà un amico, una persona cara che non imiterà il vostro gesto perché appartiene alla demoniaca tribù degli astemi: cercate con dolcezza di farlo ravvedere, siate pazienti ma fermi, fategli intravedere l’abisso di grigiore in cui sta sprofondando, spiegategli che sta rinunciando ad una bevanda che esalta la gioia di vivere, induce all’ottimismo, dà acutezza e agilità all’ingegno e all’ispirazione. Se gli volete bene, se davvero vi vuol bene, ne uscirete vittoriosi. E sarà una buona ragione per brindare alla saggezza recuperata. Sarà questo uno dei primi e più importanti compiti che dobbiamo prefiggerci per il nascente nuovo anno. E se ci riusciremo sarà di ottimo auspicio per il nostro futuro.
Buon anno a tutti
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Gustare l’Italia
Editoriale
Brindiamo con l’augurio che il nostro brindisi porti fortuna alla nostra agricoltura come auspicato dal Presidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo Paolo De Castro che abbiamo intervistato.
Sommario gennaio 2011
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Intervista a... Paolo De Castro
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IN CUCINA
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L’orto di gennaio Carciofi - Cardi - Arance - Pere
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La madeleine di... Elio e “Le Storie Tese”
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L’artigiano in cucina Per la cucina? Ecco le lame di Premana
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IN TAVOLA
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A tavola con le stelle La cena del capricorno
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L’artigiano in tavola La ceramica: materiale millenario per apparecchiare la tavola
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IN CANTINA
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La promozione dell’enoturismo: le “Città del Vino”
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Vini da scoprire Il Timorasso: ambasciatore di autenìticità
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Il vino in pentola Le ricette con il “Timorasso”
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E’ TEMPO DI...
Gustare l’Italia
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Sant’Antonio del porcello
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Pomodorini “Alba Bio”
65
Italia da scoprire La Rocca di Campofilone e la sua meravigliosa pasta all’uovo
69
RUBRICHE
70
I ristoranti Expo “D’O - Davide Oldani”
77
Tempo di guide Promossi e bocciati
78
Dal Sud una protesta
82
Chi giudica i giudici (o dell’ipertrofìa dell’Io)
86
Le lune di Gustare l’Italia “La locanda di Alia”
92
Libri da mangiare
94
Quiz
98
Indice ricette
Periodico di cultura enogastronomica e turismo - Anno 2 - Numero 8 Gennaio 2011 - Reg. Tribunale di Milano n° 201 del 14/04/2010 Direttore Responsabile: Arabella Pezza - Direttore Editoriale: Cino Tortorella Caporedattore: Raffaele Montagna - Art Director: Daniele Colzani Segretaria di Redazione: Loredana Spadafora - Responsabile Diffusione: Roberto Zanutto Grafica e impaginazione: Daniele Colzani - Giovanni Di Gregorio Concessionaria pubblicità: Soltrade Communication - Via Mirabello, 10 - 00195 Roma Responsabile Trattamento Dati Personali: Paola Cattaneo L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiedere gratuitamente la rettifica o cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs 196/2003 scrivendo al Responsabile del Trattamento Dati Personali: Soltrade Communication - Via Abbadesse, 20 - 20124 Milano
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Fotografi e Uffici Stampa: Emanuela Cattaneo - Fabrizio Cimino - Paolo Della Corte - Mario Reggiani - Gianni Renna - Tetraktys - MCS - Morguefile - Wowe - Associazione Città del Vino - ATM Servizi - Alba Bio - Alessi - Ceramiche Simonetti - Coltellerie Sanelli - Labor Deruta - La Fabbrica della Ceramica - Ristorante Le Calandre - Vigneti Massa
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Gustare l’Italia
di Saverio Carlo Buttiglione
Intervista a...
Paolo De Castro
(Presidente Commissione Agricoltura e Sviluppo rurale del Parlamento Europeo)
Incontriamo Paolo De Castro a Bruxelles nel Palazzo di Vetro della Commissione Agricoltura. Fino a due anni fa ministro italiano alle Politiche Agricole, ha condotto in questa sede battaglie decisive come quella vittoriosa per difendere il marchio del “Parmigiano Reggiano” dalle imitazioni francesi e tedesche o quella sull’obbligo di indicare in etichetta per l’olio extravergine il luogo di raccolta delle olive e non soltanto quello di molitura; ha anche avviato il processo per il riconoscimento da parte dell’Unesco della “Dieta Mediterranea” quale Patrimonio dell’Umanità, recentemente registrato.
È evidente che questi risultati sono stati ottenuti perché ritenuti giusti, molto ben argomentati e supportati scientificamente e non una scontata difesa degli interessi italiani; è per questo che i parlamentari dei 27 paesi dell’Unione hanno ribadito verso De Castro la loro stima eleggendolo a grandissima maggioranza Presidente della Commissione. Oggi ha davanti a sé una nuova sfida, quella della PAC (Politica Agricola Comune) che presto fisserà gli aiuti economici da distribuire alle agricolture degli Stati membri. Saranno cambiate le regole storiche con le quali gli aiuti venivano distribuiti e acquisiti; il dibattito attualmente in corso è indirizzato a stabilire
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se la discriminante degli aiuti deve interessare più l’aspetto estensivo delle colture (nel qual caso sarebbero favoriti paesi come la Germania con le sue grandi distese di terreni adibiti a pascolo) o più quello valoriale per cui entrerebbero in gioco di più la tipicità dei prodotti ed il lavoro legato al singolo appezzamento di terra dando ad esso un valore aggiunto. Presidente qual è la tendenza del Parlamento Europeo sugli aiuti della nuova PAC?
Ci sarà più equilibrio; in passato ci sono stati agricoltori che ricevevano 5000 euro a ettaro ed altri soltanto 100… questo non accadrà più. La nuova PAC userà molta attenzione perché queste disparità di trattamento non si verifichino più e avrà cura di incentivare gli strumenti che riguardano la competitività e l’aggregazione. Sicuramente ci saranno problemi per chi era abituato a ricevere premi molto alti perché si vedrà ridimensionato, ma poiché questo non era il caso dell’Italia non potrà che risolversi in un bene per il nostro Paese.
dell’occupazione, non ci sarà più differenza tra le regioni, per cui le medie preventive calcolate porterebbero più risorse a zone del Sud dove peraltro esistevano squilibri che saranno corretti. Saranno soprattutto contenti i giovani che si avvicinano all’agricoltura e che oggi non ricevono nessun sostegno. Ci saranno inoltre meno distorsioni perché cadranno le norme specifiche fatte apposta per un particolare paese; il mercato detterà le leggi e tutti saremo messi nelle stesse condizioni. Le quote latte finiranno nel 2014 e non ci saranno più le sanzioni per chi le supera anche se sono previsti dei meccanismi di controllo che si stanno studiando per non far crollare i prezzi all’improvviso.
Si dice che saremo penalizzati per l’ingresso di nuovi Paesi nell’Unione Europea.
L’Italia riceve oggi 6,3 miliardi all’anno; con la nuova PAC non ci saranno tagli consistenti e il problema riguarderà la distribuzione di queste risorse. Oggi l’80% di questa somma va a Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna; quando saranno cambiati i vecchi parametri e si terrà conto delle superfici e
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Gustare l’Italia
Ci sarà un settore penalizzato dalla nuova PAC?
Nelle simulazioni fatte e per unanime riconoscimento ciascun agricoltore o produttore avrà il giusto sostegno. Il lavoro quanto peserà?
Noi abbiamo posto questo problema, sia in termini generali di giustizia in un mondo dove in tutti i settori la disoccupazione aumenta, sia per un nostro preciso interesse perché l’agricoltura italiana necessita di molta manodopera come in tutto il sud dell’Europa. Presidente un augurio per il 2011
La Politica Agricola Comune del futuro aiuterà l’agricoltura italiana e in particolare il Mezzogiorno ristabilendo un equilibrio fra Nord e Sud. Certo dobbiamo combattere e lavorareperché nulla è scontato ma con i nuovi poteri che il Trattato di Lisbona dà a questo Parlamento, possiamo farcela. Lavoreremo “insieme” al Ministro dell’Agricoltura
Giancarlo Galan per preparare una strategia che consenta di difendere le produzioni dell’Italia e non da quelle di altri Paesi UE (pur stando attenti a che non si verifichino disequilibri) ma sopratutto dall’aggressività di quelle cinesi e latino-americane. Nei prossimi mesi approveremo il nuovo rapporto del Parlamento a cui stiamo lavorando per guardare all’agricoltura come ad un settore strategico che interessa il futuro di 500 milioni di cittadini europei. Daremo una mano agli agricoltori ma risponderemo anche alle grandi sfide: “sicurezza alimentare”, tutela delle “risorse naturali”, “gestione dell’acqua”. Come Presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo cercherò di trovare una sintesi comune tra i deputati delle varie nazionalità che costituiscono la Commissione. Con un grande lavoro di squadra sono certo che ce la faremo. A tutti auguro un nuovo anno felice e sereno.
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© Morguefile
In cucina
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Il carciofo era apprezzato già ai tempi di Greci e Romani. Infatti, si tratta di una pianta erbacea alimentare, di origini mediterranee, derivante dal cardo (Cynara cardunculus). A partire dal Rinascimento, il carciofo presenta le caratteristiche e le dimensioni attuali, quelle che evidenziano le due famiglie: i carciofi spinosi e quelli inermi. I primi - quelli spinosi - sono i più pregiati, soprattutto i novelli, più piccoli, che si consumano di preferenza crudi in insalata. Al contrario, quelli inermi - privi di spine - sono preferibili cotti, dopo un’attenta pulizia. Anzitutto, è opportuno eliminare il gambo e le brattee esterne; altrimenti, se si consuma crudo, si lasciano solo le brattee chiare. In cucina si possono bollire, friggere, cucinare in umido, al forno o utilizzare nei risotti, nei sughi, con carne e pesce. Una preparazione molto comune è quella a fiore: si lascia cuocere il carciofo in acqua bollente salata, completamente immerso. Poi lo si sgocciola del tutto, quindi si procede ad asportare le brattee sul fondo con l’ausilio di un cucchiaio e lo si presenta come un fiore aperto.
Una curiosità: con i carciofi, il vino è sconsigliato. La prima ricerca in merito risale al 1934, quando a 250 persone fu domandato di bere acqua dopo aver assaggiato carciofi bolliti: il 60% degli intervistati giudicò il sapore dell’acqua più piacevole del vino.
© Morguefile
di Arabella Pezza
L’orto di gennaio
I carciofi
Questo perché contengono una sostanza la cinarina - che stimola i ricettori dei sapori dolci delle papille gustative. L’unico vino che potrebbe essere accettabile è un bianco molto morbido e abboccato come l’Orvieto Abboccato, in quanto nato per essere corredato di zuccheri.
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I cardi Vengono definiti “cardi” varie piante selvatiche che appartengono alla famiglia delle Composite. Il cardo selvatico (Cynara cardunculus sylvestris) è spesso dotato di aculei, sia sulle foglie, sia sul fusto, e anche i fiori possono essere spinosi. Molto meno amaro del carciofo, tra le diverse varietà esistenti è molto apprezzato il cardo gobbo che si ottiene piegando lateralmente la pianta e interrandola. Senza fotosintesi questo cardo rimane bianco ed è più dolce in quanto maggiormente ricco di amido. Un grande classico è il consumo di questa varietà cruda, nella tradizionale bagna cauda piemontese).
Al momento dell’acquisto i gambi del cardo devono essere bianchi, compatti e croccanti. E’ inoltre consigliabile scegliere quelli che si trovano in commercio dopo le prime gelate, quando sono più teneri. Il cardo possiede proprietà molto simili a quelle del carciofo: influisce positivamente sulle funzioni epatiche e favorisce la digestione in quanto regola le attività intestinali grazie alla notevole quantità di fibra. Ad eccezione del gobbo, i cardi richiedono una lunga bollitura in acqua leggermente salata, cui è possibile unire un cucchiaio di limone per mantenerli bianchi; inoltre è anche possibile cuocerli nel latte, gratinarli nel forno, impiegarli in sformati e tortini o cucinarli in umido col pomodoro.
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Le arance L’arancia dolce (Citrus sinensis) è un agrume originario della Cina e del Sud del Vietnam che è giunto in Europa durante il Medioevo. Si tratta di un frutto aromatico molto succoso e ricco di vitamina C - è sufficiente un frutto per soddisfare il fabbisogno giornaliero di un adulto - e di vitamina A (infatti è particolarmente indicato nei casi di demineralizzazione di Sali di potassio e calcio). Le arance posseggono buccia o scorza verde-arancio o gialla, liscia. Si possono suddividere in bionde e pig-
mentate, con polpa arancione chiaro (come le qualità ovale, biondo comune, navelina, washington navel) o sanguigne, con polpa rossa (come le moro, tarocco e sanguinello) e al momento dell’acquisto i frutti devono risultare sodi. E’ possibile consumare le arance al naturale, a spicchi o in spremuta. Inoltre, sono anche perfette in insalata, condite con sale e olio, e si prestano a essere unite in cottura a maiale affumicato o pollo e anatra in umido, oltre che in preparazioni dolci come torte, gelati, sorbetti, canditi…
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Le pere
La pera (Pyrus communis) è un “falso” frutto di diverse specie di grandi alberi della famiglia delle Rosacee, riconoscibile per la forma caratteristica. La buccia si presenta sottile e liscia, dotata - a seconda delle varietà - di colore verde, giallo, rosato, rosso o ruggine, mentre la polpa, con piccoli semi, è dolce, succosa e profumata. Le varietà di pere sono numerose; qualche esempio? La Decana, liscia e di colore verde chiaro – giallo con presenza di tonalità ruggine; la William con buccia liscia e colo-
re giallo – rosato o rosso; l’Abate ha buccia verde chiaro tendente al giallo; la Kaiser possiede buccia ruvida e rugginosa; la Conference ha buccia verde – giallo o ruggine. La pera può essere impiegata al naturale, in macedonie, sorbetti o frullati, oppure cotta in dolci al cucchiaio o crostate. In pasticceria generalmente viene abbinata al cioccolato ma il grande classico è il suo consumo con i formaggi. Da non dimenticare, infine, che la pera viene anche utilizzata in distilleria.
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di Felice Maratea
La madeleine di...
Elio e “Le Storie Tese” Per ognuno di noi c’è il sapore e il profumo di un cibo ci riporta indietro nel tempo, in un altro luogo, accanto a persone care che forse non ci sono più; è quello che si chiama “effetto madeleine” perché il primo ad averlo descritto è stato Marcel Proust nel suo capolavoro “A’ la recherche du temps perdu”. Certo c’è una madeleine anche per Elio, il simpatico leader delle Storie Tese, che in realtà è l’ing. Stefano Belisari dal momento che vanta una laurea in ingegneria al Politecnico, la più prestigiosa università milanese. Incontro Elio-Stefano alla reggia di Colorno, trasformata in una scuola di grande cucina di cui è preside (meglio: “magnifico rettore”) Gualtiero Marchesi. Siamo l’uno accanto all’altra in attesa di una cena che sarà favolosa perché cucinata da chef tra i più famosi d’Italia, tutti allievi del grande Gualtiero. Fra un piatto e l’altro gli chiedo qual è la sua “madeleine”, quella che lo riporta indietro nel tempo, quella che preferisce più di ogni altro, quella che vorrebbe ritrovare in Paradiso quando, fra cento anni, vi approderà. Elio sorride e non ha esitazioni: “I tortelli di zucca di nonna Paola”. si lascia andare ai ricordi: è nato a Milano da genitori anch’essi della stessa città, ma se si risale ai nonni ecco che si incontrano due coppie di emigranti arrivati nel capoluogo lombardo alla ricerca di lavoro: gli uni, i nonni paterni, da Roseto degli Abruzzi, gli altri da
Ascoli Piceno e dal Mantovano, tutti e quattro sarti.Entrambe le nonne sono ottime cuoche e si contendono l’affetto del nipotino cercando di prenderlo per la gola; la nonna abruzzese, Francesca, con il timballo di lasagne che a Roseto viene fatto con le crespelle (anzi con le “scrippelle” come le chiamano), mentre nonna Gianna di Pomponesco, un paesino in provincia di Mantova, cerca di conquistarlo con i tortelli di zucca, i “turtei de sücca”, come dice lei.
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La lotta fra “scrippelle” e “turtei” è aspra e dura ma presto, man mano che il bimbo cresce, non c’è più gara e la vittoria, anzi il trionfo, va a nonna Gianna e ai suoi favolosi e inarrivabili tortelli. Preghiamo Stefano di chiedere a nonna Gianna di darcene la ricetta per i lettori di “Gustare l’Italia” ed egli ci dice che lo farà molto volentieri, ma ci avverte che sarà del tutto inutile perché se non son fatti con le materie prime che adopera la nonna: con “quella” farina, “quella” mostarda, “quegli” amaretti, non avranno lo stesso sapore; e se anche si riuscisse a procurare tutti gli ingredienti, sarebbe altrettanto inutile se non saranno fatti dalle sue mani. Come se si dessero ad un pittore i colori usati dal Botticelli per dipingere la Primavera e gli si chiedesse di rifare lo stesso quadro. Comunque proviamoci: incominciamo dalla sfoglia. Chi la farà ? Nonna Gianna fa sfoglie da quando era bambina e calcola di averne fatte tante da ricoprire l’intera provincia. “Quando la sfoglia è fatta deve sembrare al tatto delicata come il velluto” - dice la nonna. Dove sono le “sfogline” ancora capaci di fare una sfoglia così? Eppure è così che si conquistano i mariti e poi anche i nipoti. Occorre poi inoltre fare attenzione al tipo di zucca da adoperare. Perfette sono quelle dette “americane”: gialle, pesanti, dalla nerva-
tura molto pronunciata. Maturano in luglio e vanno conservate con grande attenzione, con la cura che si deve ad un cibo prezioso. E’ bene tenerle appese per il picciuolo per evitare ammaccature che ne comprometterebbero il delicato sapore. La nonna le tiene addirittura nella bambagia. Sono arrivate dall’America verso la metà del ‘500, insieme alle patate, ai pomodori, ai peperoni perché Elio potesse mangiare a Natale i “turtei” della nonna senza i quali per lui non sarebbe Natale. Chi per primo ha avuto la genialità di mettere la zucca nei tortelli ? Quante generazioni si sono succedute prima di arrivare alla perfetta armonia di nonna Gianna?
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Elio non riesce ad immaginare che ci fu un tempo in cui non esistevano, un cupo medioevo gastronomico senza tortelli di zucca. Chi poi sarà stato il primo ad aver la fantastica intuizione di aggiungere gli amaretti alla zucca? E quale genio culinario ha dato il tocco magico della mostarda? Per la mostarda occorrerebbe un capitolo a parte.
ignorano nella loro ricetta e la sostituiscono con il pangrattato; nonna Gianna segue la tradizione di Parma e Ferrara e ritiene che perfetta sia quella di mele. A questo punto non è ancora finito: con che cosa si condiscono? Anche qui i pareri sono discordi: c’è chi sostiene che vadano esaltati col solo burro (meglio se mantovano o parmigiano) e altri, considerati eretici, li preferiscono ricoperti di ragù; nonna Gianna è un’eretica e i tortelli li vuole al ragù (e col parmigiano, ça va sans dire). Mentre Elio mi racconta queste cose continuano ad arrivare in tavola cibi che dovrebbero essere eccezionali ma che, pensando ai tortelli di nonna Gianna, sembrano banali e scipiti. “Per me non sarebbe Natale senza i “turtei de sücca” - afferma serio Elio - e tremo al pensiero di quando la nonna smetterà di farli; ogni anno mi dice che l’anno prossimo passerà la mano alla sorella più giovane. Quanti anni ha la sorella più giovane? “Novantuno. La nonna ne ha 93 anche se ne dimostra trenta di meno. Credo che la cucina della nonna faccia bene alla salute”.
C’è da premettere intanto che nel mantovano ci sono forse cento modi di cucinare i tortelli di zucca; cambiano di città in città, di quartiere in quartiere addirittura di casa in casa … perciò c’è chi giura sui sacri testi che la mostarda giusta è quella fatta con pere, prugne, albicocche e mele, altri, (i modenesi, pazzi!) la
E che cosa bevi sopra i tortelli? Rigorosamente Lambrusco Mantovano, un vino senza etichetta, nero come il demonio, che arriva alla nonna dalla campagna per misteriose vie . Dice Elio. E di colpo anche il vino che stiamo bevendo, che pure è di una marca pregiata, diventa una bevanda anonima.
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TORTELLI DI ZUCCA Ingredienti per 4 persone: 500 gr di farina; 4 uova; 1 kg di polpa di zucca gialla; 100 gr di amaretti; 150 gr di mostarda di mele; 300 gr di Parmigiano; 1 limone; 100 gr di burro; noce moscata; sale q.b. Preparazione: cuocere la zucca, scolarla e passarla al setaccio. Tritare gli amaretti, unire le mandorle e la mostarda. Aggiungere la zucca, il Parmigiano, la buccia del limone grattugiata e amalgamare bene il tutto fino ad ottenere un composto omogeneo. Preparare la sfoglia per i tortelli con le uova e la farina. Tagliarla in quadrati di circa 8 cm di lato e riporre al centro di ognuno una noce di ripieno.
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Ricette
Š Gianni Renna
Richiuderli e cuocerli in abbondante acqua salata per circa 3-5 minuti e condirli con burro fuso.
Chi opera professionalmente nelle cucine dei ristoranti, le massaie che ogni giorno portano a tavola il cibo quotidiano e anche i tanti single, che sempre più spesso decidono per una cenetta in casa, conoscono bene l’importanza di avere a disposizione buone “lame”. Tante - e differenziate secondo l’uso - sono, infatti, le “lame” di cui ci si serve in cucina,
ciascuna con una propria funzione: vari tipi di coltello (per il pane, per la carne, per il formaggio, per disossare, per filettare, per spalmare,...), forbici da taglio e da trancio, oggetti - “spelucchini” - per pelare, sbucciare, togliere i torsoli, denocciolare, accessori per pulire le aragoste, schiacciare i gamberoni... Non da molto tempo si producono coltelli in
L’artigiano in cucina
di Raffaele Montagna
Per la cucina? Ecco le lame di Premana
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ceramica (di provenienza giapponese), leggeri, maneggevoli, che non arrugginiscono, non perdono il filo, non si ossidano, né provocano reazioni chimiche e perciò adatti alle verdure e alla frutta; hanno però due inconvenienti di non poco conto che ancora fanno loro preferire gli storici coltelli in acciaio: costano un patrimonio e sono estremamente fragili (possono sbeccarsi tagliando addirittura la crosta dura del pane e se, per sbadataggine di chi li usa, cadono, non resta che raccogliere i pezzi e buttare tutto in pattumiera!). Da tempo in Italia, uno dei punti di riferimento per la produzione di “lame” da cucina (ma anche da tavola e per altri usi) è il piccolo borgo di Premana, in Valvarrone, una valle in provincia di Lecco (poco più di 2000 abitanti, a 1000 m di altitudine).Il paese, è conosciuto in tutto il mondo e vanta una tradizione secolare, nata dalla fortunata e combinata presenza delle miniere di ferro, sfruttate da tempo immemorabile (il primo documento risale al 1253) e delle “ruote” poste lungo il torrente Varrone, utili a muovere i magli.
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Sin dal XVII secolo è accertata l’attività in loco di spadai, maniscalchi, forgiatori e fabbri, capaci di produrre, non solo buone “lame”, ma ogni genere di oggetti ed accessori in ferro. Attualmente, dopo un’eccezionale fase di sviluppo iniziata a partire dagli anni ‘50 del secolo scorso, si contano circa centocinquanta officine, prevalentemente di tipo familiare, oltre ad una quarantina di imprese commerciali ed a quattro produttori, trasmigrati da una dimensione arti-
I coltelli “Sanelli”
gianale ad una industriale. Tanto per avere un’idea delle proporzioni produttive di Premana, va detto che il numero delle forbici prodotte si aggira attorno a 16 milioni di pezzi l’anno e quello dei coltelli attorno a 2 milioni e mezzo, costituendo, rispettivamente, i due terzi e la metà della produzione nazionale italiana. In rappresentanza di tutti i fabbricanti di Premana, ci piace evidenziare un’azienda, che dal 1860 ha visto più generazioni avvicendarsi nella produzione di “lame” e, grazie alla bontà dei suoi prodotti, crescere e sperimentare per trovarsi sempre all’avanguardia in un settore che richiede qualità, funzionalità, estetica. Stiamo parlando delle “ColtelleSanelli” di Premana, appunrie Sanelli”, to, un’azienda che, pur salvaguardando la qualità dei suoi prodotti, per prima in Italia, si è orientata verso una produzione di tipo commerciale. L’esperienza di un secolo e mezzo di attività si riversa su ogni singolo pezzo prodotto, in modo speciale sulle “lame” destinate ai professionisti ed a coloro che usano quotidianamente strumenti da taglio e pretendono affidabilità, sicurezza e igiene. Tutte le linee di produzione si basano su attente analisi dei materiali e studi scientifici effettuati in collaborazione con le Università. Le “lame” hanno caratteristiche di elevata durezza, buona flessibilità, notevole potere tranciante, filo di lunga durata e particolarmente studiato per soddisfare esigenze professionali, possibilità di riaffilatura, varietà di forme elaborate per scongiurare scheggiature ed aiutare l’utilizzatore quando, per il taglio o per il trancio, sono necessari particolari sforzi muscolari; i manici ergonomici
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(per una sensibile riduzione della fatica), antiscivolo (per una maggiore sicurezza d’uso), atossici (conformi alle normative europee), resistenti agli sbalzi termici (per le alte temperature di lavaggio in lavastoviglie) fanno di queste produzioni dei veri e propri gioielli. La prossimità delle feste natalizie può essere un buon pretesto per regalare una “lama” Sanelli e andare a colpo sicuro sulla bontà e il gradimento certo del dono. Magari si può prevedere un acquisto direttamente allo spaccio aziendale di Premana (oggi, per l’esterofilia degli italiani, chiamato più pomposamente “factory outlet”) e visita-
re il paese che, oltre ad un discreto patrimonio ambientale, conserva inalterate alcune tradizioni (come l’abito tipico - il “coton” per i giorni feriali e il “morel” per la festa - ancora abitualmente usati, anche se da una esigua parte degli abitanti) e ricorrenze (le feste del Corpus Domini a maggio, del Rosario ad ottobre, dei Magi all’inizio dell’anno). È da visitare la Parrocchiale di san Dionigi eretta nel periodo paleocristiano (secolo IV), la cui architettura è stata più volte rimaneggiata - conserva discrete opere d’arte e il corpo di Sant’Ilario donato alla chiesa alla fine del ‘600.
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© ATM Servizi
In tavola
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Il segno dello sagittario è iniziato il 22 dicembre e terminerà il prossimo 20 gennaio. Ai nati sotto questo segno dedichiamo una fantastica cena che immaginiamo cucinata da quello che consideriamo il numero 1 degli Chef (non soltanto italiani)
© Mario Reggiani
di Cino Tortorella
A tavola con le stelle
La cena del capricorno
Il Capricorno è il decimo segno dello zodiaco ed è governato da Saturno; il sole entra in Capricorno tra il 22 dicembre e il 20 gennaio. E’ un segno Femminile, il suo elemento è la Terra, il suo colore è il nero; la pietra portafortuna è l’onice e il giorno fortunato il Sabato. Il simbolo astrologico del Capricorno è rappresentato dalle corna e dalla coda dello stambecco. Sotto questo segno hanno avuto i natali scienziati come Franklin, Watt, Newton, Pasteur, Stevenson; poeti e scrittori come Pascoli, Alfieri, Molière, E. A. Poe, Jack London;
attori come Bogart, Alberto Sordi, Cary Grant, Danny Kay, Marlene Dietrich, Petrolini; registi come Dino Risi, Luigi Zampa, Sergio Leone; scultori e pittori come Manzù, Matisse, Cezanne; musicisti come Ciaikovsky, Pergolesi, Puccini; cantanti come Claudio Villa, Natalino Otto, Johnny Ray; campioni sportivi come Cassius Clay, Roberto Bettega, Carmine Abbagnale; personaggi storici come Giovanna d’Arco, Lorenzo il Magnifico, Mao Tse Tung. I nati sotto questo segno hanno spirito intraprendente, sono ambiziosi, determinati, ed eccezionalmente versatili; possono riuscire con facilità nel commercio per la capacità di
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convincere gli altri. Hanno spirito agile e voglia di emergere nella vita, la loro versatilità gliene dà la possibilità permettendo loro di superare anche notevoli difficoltà. Sono energici e pieni di vitalità, qualità che unita alla chiarezza e alla sincerità permette di raggiungere alti traguardi in politica, nell’arte e nella diplomazia. Critici, ironici e dotati di un notevole senso dello humor, in amore gli uomini sono piuttosto egoisti anche se amano con passione; le donne sono alla ricerca di dolcezza e tenerezza ma spesso non sanno farlo capire e pur essendo profondamente sensuali possono apparire a volte fredde e distaccate. A tavola come in amore sono molto difficili; non amano i cibi cosidetti “poveri” e, pur esigenti nella scelta degli ingredienti, desiderano vederli cucinati in modo sontuoso, attenti all’estetica oltre che alla sostanza. I loro chef ideali sono Michel Troisgros della “Maison de Roanne”, Heinz Beck de “La Pergola” di Roma, Alain Ducasse del “Louis XV” di Montecarlo, Massimiliano Alajmo de “Le
Calandre” di Sarmeola a pochi km da Padova. E’ a quest’ultimo che, per la felicità dei vip nati sotto il segno del Capricorno, affidiamo il compito di realizzare questa cena anche perché il fratello Raffaele, sommo maitre e raffinato sommelier, è di questo segno. Alla notizia nessuno degli invitati si è fatto pregare e tutti hanno aderito con entusiasmo, soprattutto coloro - e sono molti - che hanno già gustato le invenzioni gastronomiche di Massimiliano; chi non è mai stato a “Le Calandre” resta un po’ perplesso quando arriva vedendo le costruzioni in vetro e in cemento che sono ai lati della strada, ma quando l’autista li fa scendere al “Calandrangolo”, la cittadella degli Alajmo, capiscono di trovarsi in un luogo di tentazioni, di ricerca del piacere, di esaltazione di uno dei sette peccati capitali, quello della gola, al quale molti di loro si concedono spesso. Intorno a “Le Calandre” sono nate infatti altre realtà che invitano a peccare: il “Calandrino” bar e pasticceria che in alcune ore diventa uno snack dove consumare autentiche raffinatezze, il “In.Gredienti” un concentrato di offerte gastronomiche provenienti da ogni parte del mondo, il “Maccaroni” un albergo che dopo essere stato rinnovato con eleganza è diventato il luogo perfetto per chi dopo una sosta in quello che
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è ormai considerato un tempio della ristorazione internazionale, desidera riposare il corpo e lo spirito. L’aperitivo, un flute di un etereo Champagne scelto da Raffaele, è servito al “Calandrino”, ma poi tutti vengono invitati ad accomodarsi nelle bellissime sale del ristorante. Fuori è stato disteso un tappeto rosso come al Festival di Venezia e centinaia di ammiratori si sono posti ai lati per salutare gli ospiti. Ed ecco sfilare Katia Ricciarelli (16 gennaio) accompagnata da Paolo Conte (6 gennaio), Iva Zanicchi (18 gennaio) con Margherita Buy (15 gennaio) ed Edwige Fenech (24 dicembre). Accolti da un boato fanno il loro ingresso Adriano Celentano (6 gennaio) a braccetto di Faye Dunaway (14 gennaio), seguiti da Carla Bruni (23 dicembre) - arrivata da Parigi con Gerard Depardieu (27 dicembre) - Paolo Villaggio (30 dicembre) con Donna Summer (31
gennaio) e Christian De Sica (5 gennaio). Un altro grande applauso proveniente soprattutto dal folto gruppo femminile saluta l’arrivo di Kevin Costner (18 gennaio), Denzel Washington (28 dicembre) e del produttore televisivo Piero Idini (19 gennaio). Non poteva mancare una rappresentanza di sportivi ed ecco Gennaro Gattuso (9 gennaio), Bergomi (22 dicembre), Novella Calligaris (27 dicembre) seguiti da tre campioni automobilistici: Lewis Hamilton (7 gennaio), Giancarlo Fisichella (3 gennaio) e Michael Schumacher (3 gennaio). Per ultimi (e tra la sorpresa generale) arrivano anche Gianfranco Fini (3 gennaio) che dà galantemente il braccio ad Alessandra Mussolini (30 dicembre). Ora sono tutti seduti nelle sale dove da poco è stato rinnovato il look: pareti rivestite di lino, tavoli in frassino centenario, punti luci strategici. Sui tavoli è pronto un prezioso cestino con il pane uscito da poco dal forno di casa; Massimiliano ama il pane e ritiene che non si possa gustare un piatto se non accompagnato dal “giusto” pane, ed è per questo che ogni mattina imposta i vari tipi che variano col variare del menu insieme a sfiziosi grissini, cannoli e al pane “carasau” sardo reinventato da Donna Rita, la mamma, che l’ha arricchito con semi di sesamo. Ha inizio lo show gastronomico. Con un parterre di vip di questo calibro siamo certi che Massimiliano, detto Max, supererà se stesso; è entrato nella storia della gastronomia internazionale nel 1997, quando a soli 27 anni ha ricevuto 2 “stelle Michelin”, un evento da Guinnes dei Primati perché mai nella ultracentenaria storia della Guida Rossa uno chef della sua età aveva ricevuto questo onore.
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ciale delle isole Lofoten, è diventato una nuvola tiepida, un vaporoso gioiello gastronomico reso superbo da un infusione di crostacei, cardamomo e croccante di riso. Come se ci avessero mandato un blocco di marmo e Max - Michelangelo ne avesse ricavato il Mosè. Sublime. Raffaele ha aggiunto perfezione a perfezione abbinandolo al Capitel Foscarino 2009, una straordinaria scoperta di Roberto Anselmi. Ma siamo soltanto all’inizio di una serata gastronomica che resterà nel ricordo dei fortunati ospiti come una delle più memorabili. E’ la volta ora di un piatto la cui ricetta è stata ispirata a Max da Maria Pia, la dolce compagna della sua vita: Lo scoop si è ripetuto quando, a 27 anni, sempre unico al Mondo, ha ottenuto le gloriose “tre stelle”, il riconoscimento massimo, il Nobel, l’Oscar, la gloria olimpica della gastronomia. Per una cena di questo livello ci si aspetterebbe i cibi che secondo la tradizione sono i più raffinati (pinne di pescecane, radici di mandragola, ostriche, caviale…) e invece tra lo stupore generale - arriva in tavola un piatto dall’apparenza plebea:
“Risotto allo zafferano con polvere di Liquerizia” C’è in quel piatto il racconto della sua storia d’amore che l’ha portato spesso in Calabria, dove è nata Maria Pia, la regione che è anche la terra della liquerizia più squisita. “La polvere nera nel contrasto con la luce dello zafferano, fiore solare, rifrange tonalità dorate di forte intensità cromatica” questo dice Max che è anche un esteta, ma i gourmet po-
“Baccalà mantecato”
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E’ un omaggio che Max continua a fare alla memoria di suo nonno Vittorio che lo aveva inventato e che lui ha arricchito con gelatina al fumo, caviale Asetra e croccanti di patate. Penso alla meraviglia e al piacere che proverebbe un pescatore norvegese se potesse assaporarlo; il merluzzo pescato nel freddo Mare del Nord e fatto seccare nel vento gla-
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tranno gustare il risotto anche a occhi chiusi senza perdere neppure un sospiro della sua soavità. Trattandosi di un cibo particolarmente aromatico Raffaele consiglia di accompagnarlo con un vino altrettanto aromatico e propone l’Alsace Gewurztraminer Herrenweg de Turckheim 2004 del Domaine Zind Humbrecht, ricordando sempre che i suoi suggerimenti non devono essere ascoltati come il Vangelo e dichiarandosi sempre pronto ad andare incontro ai desideri dei suoi clienti. Gli ospiti stanno rivolgendo un pensiero ai genitori che li hanno fatti nascere sotto al segno del Capricorno dando loro così la possibilità di partecipare a questa fantastica cena non certo avara di sorprese perché sta arrivando in tavola un’altra delizia:
za, una tecnica. Sta poi al cuoco farlla diventare un’arte”. Gustando questo piatto che Raffaele ha accompagnato con lo strabiliante Prosecco I.G.T. 330 S.L.Y. Costadilà, si capisce la verità di questa frase. Sul sito di “Gustare l’Italia” potrete trovarne la ricetta ma, vi prego, non provate a realizzarla, a meno che non possediate le doti di una grande artista dei fornelli. Soltanto uno poco sano di mante potrebbe provarci: sarebbe come dare dei colori in mano a un pittore della domenica e dirgli: “Adesso dipingi le tre Grazie come ha fatto il Botticelli…”. Il piatto che adesso arriva in tavola è:
“Maialino da latte arrostito con spuma di senape e polvere di caffè” Era difficile dopo il “Fish & Chips” far meglio; Max però ci riesce e riesce ancora a meravigliare gli ospiti che vedono arrivare il maialino
“Fish & Chips alla Venexiana” Ha scritto Gualtiero Marchesi: “La cucina è prima di tutto una scien-
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La cena è terminata ma nessuno degli ospiti accenna ad alzarsi; sono sbalorditi. Cercano di dare un aggettivo alla serata gastronomica che hanno appena trascorso e come spesso è successo ai critici talvolta spiazzati dalla bravura di Max, non risparmiano aggettivi a
Per il dessert finale Max ha scelto quello che lui chiama
volte in contrasto tra loro: creativo, fantasioso, innovativo, provocatorio, cerebrale, geniale…ma qualcuno mette tutti d’accordo dicendo di essersi trovati di fronte ad un grande artista che mette amore e passione nella sua difficile arte, il prodotto felice di un’unione di genio, di armonia, ma anche di determinazione e di duro lavoro. E quando sfilano nella sala i protagonisti di questa cena sono accolti da una lunghissima standing ovation che Max e Raffaele condividono con i loro perfetti camerieri. Fuori dal ristorante la folla è rimasta in attesa dei vip che tornano a sfilare sul tappeto rosso per raggiungere le loro macchine. Non ci sono però tutti; qualcuno è riuscito a
© Paolo Della Corte
su un piatto caldo, guarnito con la salsa, le cicorie, la senape cosparsa con polvere di caffè mentre i camerieri hanno già sostituito i bicchieri del Prosecco con un fantastico Amarone della Valpolicella creato dall’azienda Zenato.
“Gioccotto” sfizioserie di cioccolata con variazione su un tema; per la nascita della sua bimba Rita ha ideato il “Gioccarita” che lui, nel suo libro che ha da poco pubblicato, descrive come un viaggio emozionale attraverso il palato di un bimbo che essendo ancora privo di memoria gustativa vive la scoperta gastronomica in relazione alla sua naturale sensibilità, traducendo il sapore in un nuovo linguaggio figurato. Raffaele esalta questa armonia di sapori con una fantastica Chartreuse Verte.
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defilarsi per raggiungere (e non da solo) l’albergo che gli Alajmo hanno da poco ristrutturato arredandolo con eleganza. Lo hanno ribattezzato spiritosamente “Maccarone” e alle camere hanno dato nomi di tipi di pasta: “Fusilli”, “Orecchiette”, “Strozzapreti”… qualche coppia di vip i cui nomi resteranno rigorosamente segreti trascorreranno la notte nella camera dei “Bigoli”, dei “Ditalini”, delle “Linguine”, forse anche dei “Paccheri”, ma sarà in ogni caso la perfetta conclusione di una serata che li ha visto protagonisti di un fantastico rito gastronomico officiato da Max e benedetto dai vini scelti con sapienza da Raffaele Il quale ha fatto trovare accanto al letto una bottiglia di un vino con un’etichetta impegna-
tiva e preoccupante per chi ama la libertà: “Fior d’Arancio”, un passito di Moscato che sarà una perfetta pozione magica per una notte morbidamente peccaminosa.
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nell’augurare a tutti un Felice Anno Nuovo
informa che a breve verrà inaugurata una nuova location nel cuore di Milano Entro la fine di gennaio verrà comunicata la data ufficiale dell’apertura
Opening soon
di Bruno Goglione
L’artigiano in tavola
La ceramica: materiale millenario per apparecchiare la tavola Qualche decennio fa, alle giovani coppie in procinto di contrarre matrimonio, si regalavano piatti a profusione, anche tre, quattro e più servizi; allora ogni set era di almeno dodici pezzi - se non ventiquattro - dodici
ma, ce n’era per la vita intera. Questi “servizi” erano molto seriosi e formali, magari con il “filetto” blu/cobalto e oro/zecchino (come quelli che si usavano a corte) che metteva paura solo il tirarli fuori dalla “cri-
piani, dodici fondi, dodici da frutta/dolce, oltre a tutti i complementi quali, piatti di portata di diverso diametro, tondi e ovali (le cosiddette “fiamminghe”), l’insalatiera, la legumiera, le zuppiere con e senza coperchio, tazze e piattini da the, da caffè, cremiera, saliera, pepiera e via dicendo; insom-
stalliera”, nella quale dopo l’uso venivano religiosamente riposti fino ad un’altra occorrenza, veramente speciale e importante (l’invito al capoufficio, ai futuri consuoceri, il pranzo di Natale…). Ovviamente, di tanto in tanto, qualche “pezzo”, dopo ripetute sbeccature, si rompeva
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Labor Deruta Servizi di piatti raffinati, interamente fatti a mano, con un lavoro artigianale ed artistico al medesimo tempo, possono essere acquistati presso la Ditta “Labor” che dal 1952 produce ceramiche d’arte, sul solco di una tradizione, che in questa bella e magica cittadina dell’Umbria risale al XIII secolo. Il laboratorio aziendale, che può essere visitato previa prenotazione, effettua l’intero processo produttivo, dalla manipolazione dell’argilla, alla tornitura, alla prima cottura (biscotto), alla decorazione, alla seconda e
© Labor Deruta
definitivamente, assottigliando il servizio fino a quando i piatti passavano dalla condizione di “servizio per le feste” a quella di “servizio per tutti i giorni”” e nel frattempo ci si stufava perfino di vederli. Per fortuna oggi le cose sono cambiate; con il maggior benessere faticosamente conquistato, i servizi di piatti non si comprano o si regalano per la vita e a tavola si preferisce un minor rigore formale: non più i servizi di piatti con il “filetto” blu/cobalto e oro/zecchino, ma ceramiche e porcellane colorate, perché la tavola dev’essere festosa, allegra, brillante. Non solo: la perfetta padrona di casa coordina i colori della tovaglia con quelli delle stoviglie, dando maggior armonia e senso estetico al luogo in cui “ci si ritrova bene insieme”. “Gustare l’Italia” ha fatto una breve, ma accurata ricognizione di alcune offerte nel campo delle stoviglie, per suggerire quelle che ci sono sembrate maggiormente accattivanti, meglio stilizzate e anche allegre e sbarazzine, adatte ad una domanda giovane che non rinuncia, però, ad un design di qualità.
definitiva cottura. In questo modo ogni pezzo contiene ed esalta la passione, l’esperienza, la cultura dei maestri ceramisti. I colori delle ceramiche di Deruta: il verde ramina e il bruno manganese, l’arancio, il blu e il giallo sono inconfondibili ed altrettanto lo sono i motivi dei decori: floreali, zoomorfi, grotteschi, a girali, come pure le imbricazioni: a occhio di penna di pavone, a corona di spine, a dente di lupo. È insomma un modo sicuro per rallegrare la tavola. Per maggiori informazioni: “Labor” - Via Tiberina, 131 - Deruta (Pg) - Tel.: 0759711138 - www.laborderuta.it.
La Fabbrica della Ceramica A chi volesse acquistare un servizio da tavola “particolare” elaborato con i colori e i disegni della tradizione siciliana suggeriamo di rivolgersi a “La Fabbrica della Ceramica”. La fabbrica ha un proprio spaccio aziendale e diversi punti vendita, sia in Sicilia che a Roma, Milano e in altri luoghi in Italia e all’estero
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© La Fabbrica della Ceramica
Le decorazioni artistiche sono realizzate da Susanna De Simone, titolare dell’impresa (si tratta di un’azienda di famiglia), che basa il suo lavoro su una solida istruzione ed una pluriennale esperienza sul campo. Propone servizi da tavola originali, interamente fatti a mano, nei quali trasfonde tutta la sua sensibilità e la sua cultura. Effettua anche disegni su tessuti e perciò si possono acquistare tovaglie coordinate con le stoviglie.
nel parco del Gran Sasso, dove da sempre si cava l’argilla (la materia prima), si trova l’acqua (per impastare), si taglia la legna (per alimentare i forni - che ora, tuttavia, funzionano anche elettricamente). Furono i monaci benedettini ad iniziare l’attività ceramica, forse nove o dieci secoli fa e perciò il paese vanta una tradizione più che consolidata. “Simonetti Ceramica” effettua la lavorazione rigorosamente a mano con un ciclo produttivo che parte dalla progettazione, passa all’esecuzione al tornio o alla creazione di modelli e stampi, continua con la prima cottura e la decorazione per finire con la seconda e se necessario la terza e definitiva cottura. I servizi per la tavola si presentano estremamente raffinati, sia nelle forme, tradizionali,
Per maggiori informazioni: “La Fabbrica della Ceramica” - Via Autonomia Siciliana, 38 Palermo (Tel.: 0916251997). www.lafabbricadellaceramica.it.
Un’azienda artigiana che basa la propria attività su secoli di tradizione, non può che proporre “cose belle”. “Simonetti Ceramica” si trova a Castelli, un piccolo paese di montagna, situato alle falde del Monte Camicia,
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© Ceramiche Simonetti
Simonetti Ceramica
sia nelle decorazioni, che riescono a fondere il fascino antico con la linea moderna: i colori, tipici della gloriosa tradizione di Castelli, li rendono originali, inconfondibili, sobri ed eleganti. Per maggiori informazioni: “Simonetti Ceramica”, Villaggio artigiano - Castelli (Te) - Tel.: 0861979493 - www.ceramichesimonetti.it.
Alessi
© Alessi
Trasmigrata ad una dimensione industriale, ma con il cuore rimasto alla inventiva ed alla laboriosità artigiana, la “Alessi” (e chi non la conosce?), con negozi in tutto il mondo, esporta la creatività e lo stile italiani. Nel campo dei servizi da tavola presenta diverse linee di prodotti, da quelle più tradizio-
nali, a quelle di maggiore qualità estetica, di forme e colori innovativi, che rapiscono lo sguardo e addirittura emozionano i commensali: parliamo esplicitamente della “colombina collection”: piatti, contenitori e tazze, eleganti, nuovi nel disegno, piacevoli da ammirare e funzionali nell’uso, realizzati con materiali e colori differenti, che recuperano storicamente i rituali della tavola (il cosiddetto servizio “alla russa”, piuttosto che quello “alla francese”) e vanno oltre perché tengono conto dell’evoluzione dello stare a tavola contemporaneo. Si tratta, in sintesi, di prodotti curati nei minimi particolari, con forme, colori e materiali che fanno onore allo slogan dell’Alessi: “la fabbrica dei sogni”. Per maggiori informazioni: www.alessi.com.
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In cantina
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“Città del Vino” è un’associazione impegnata nella valorizzazione e promozione, soprattutto dal punto di vista turistico, dei territori del vino, nella diffusione della cultura e della qualità del vino, nella salvaguardia delle risorse ambientali e nella tutela delle realtà produttive e paesaggistiche minori.
una massa critica di oltre 200.000 ettari di vigneti iscritti alle DOC e alle DOCG, pari all’80% dei vigneti italiani a denominazione d’origine. Dal 1998 Città del Vino aderisce anche a “Recevin”, la rete europea delle Città del Vino che da quest’anno organizza il 14 novembre “La giornata europea dell’enoturi-
Essendo nata nel 1987, come reazione di 39 Comuni virtuosi allo scandalo del metanolo, è la più antica delle associazioni di identità. Ma è anche la più grande, forte di una rete nazionale di 589 tra Comuni, Unioni di Comuni, Province, Parchi, Comunità Montane e Strade del Vino a vocazione vitivinicola, con
smo”. L’associazione collabora inoltre con i principali enti pubblici e associazioni di categoria, ambientaliste e culturali per diffondere la cultura della qualità, del rispetto per l’ambiente, del benessere alimentare, e partecipa alla gestione di progetti europei per lo sviluppo del turismo enogastronomico.
© Emanuela Cattaneo
di Paolo Bonagura
La promozione dell’enoturismo: le “Città del Vino”
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© Emanuela Cattaneo
Come “Odyssea”, itinerario che connette i porti turistici di Corsica, Liguria, Toscana e Sardegna all’entroterra, in modo da far beneficiare anche il territorio rurale del turismo da diporto, ed “Iter Vitis”, itinerario culturale europeo, riconosciuto dal Consiglio d’Europa, volto alla valorizzazione dei percorsi del vino intorno a temi di interesse storico, artistico e sociale. Eventi, concorsi, ricerca, formazione e comunicazione sono i binari su cui si muove l’attività di Città del Vino. Tra gli eventi ricordiamo “Calici di stelle” (degustazioni nelle Città del Vino il 10 agosto osservando le stelle cadenti), “Il Palio delle Botti” e “Vini in Piazza” (degustazioni di vini autoctoni rivolti ad enoappassionati). I concorsi hanno un ruolo di partecipazione degli attori della filiera enologica e di emersione delle buone pratiche; ricordiamo “La Selezione del Sindaco” (concorso enologico internazionale che vede i Sindaci testimonial delle aziende vitivinicole del proprio territorio), “Il Piano Regolatore delle Città del Vino” (premio volto a valorizzare i piani regolatori dei Comuni Città del Vino che perseguano lo sviluppo economico fondato sulle reali vocazioni vitivinicole in un quadro di attenta salvaguardia ambientale) ed “Il Manifesto delle Città del Vino” (concorso annuale fra creativi finalizzato alla realizzazione dell’immagine dell’associazione per l’anno in corso). Nel sempre crescente settore del turismo enogastronomico, “Città del Vino” rappre-
senta un punto di riferimento anche per le attività di ricerca: dall’”Osservatorio sul Turismo del Vino” che porta ogni anno alla presentazione alla BIT di Milano del “Rapporto sul turismo del vino” (in collaborazione con Censis servizi, uno strumento fondamentale per conoscere l’evoluzione del turismo enologico) al comitato “Vinum Loci” (nato per il recupero, lo studio e la tutela dei vitigni antichi ed autoctoni italiani), dal “Centro Studi e Servizi sulle Strade del Vino e dei Sapori” a “Vintur” (la Carta Europea dell’Enoturismo, pensata per delineare standard europei di qualità nelle politiche di accoglienza enoturistica).
“Città del Vino” punta molto anche sulla formazione; esempi ne sono “VI.TE.”, master universitario in marketing del vino e del territorio, realizzato in collaborazione con l’Università di Piacenza, e lo stage settimanale che ogni anno Recevin organizza per i giovani viticoltori europei. Mensilmente le notizie di questo intrigante mondo possono essere sfogliate sulla rivista “Terre del Vino”, quotidianamente su www.cittadelvino.com.
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di Alice Balestrini
I vini da scoprire
Il Timorasso:
ambasciatore di autenticità
L’Italia era anticamente chiamata “Enotria”, “terra del vino” per la quantità di vigneti che la ricoprivano da nord a sud; vigneti di centinaia, di migliaia di tipologie di uva che davano vini diversissimi fra loro. La maggior parte di quei vitigni sono nei secoli scomparsi per svariate ragioni in primo luogo le difficoltà nel coltivarli o l’incostanza nella produzione. Di molti ci sono rimasti soltanto il nome e il ricordo dei più anziani; Luigi Veronelli che molto si adoperò per salvarne alcuni, ha scritto che nella sola provincia di Verona ne erano scomparsi oltre 50 in seguito alla ri-
strutturazione operata nel dopoguerra, ne ricordava alcuni dai nomi gioiosi: Dindarella, Forellina, Molinara e la dolce Bigolona con la quale si faceva il Vin Santo. A questi se ne potevano aggiungere molti altri se non ci fossero stati produttori illuminati che con attenzione e amore (e anche con notevoli sacrifici) ne hanno voluto la sopravvivenza; penso al vitigno di Schioppettino che salvato da Veronelli che convinse Giannola Nonino ad usare le sue vinacce per la sua prima grappa di monovitigno, al fantastico Picolit anche quello salvo grazie ad una straordinaria donna, la contessa Perusini di Prepotto,
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all’Ucelut del Friuli, al Medeusi di Sardegna, al Tintella molisano, ai cento altri fanno parte dei 350 vitigni - tanti ne sono stati censiti lo scorso anno - che continuano a rallegrarci col loro vino. Uno di questi che per motivi misteriosi si chiama Timorasso, è coltivato nelle valli piemontesi in alta Val Curone, in Val Grue e in Val Ossona. Anche il suo vitigno negli anni settanta stava per scomparire; i vignaioli non avevano interesse a produrlo per la difficoltà e l’incostanza della sua produzione in certe annate molto ricca, in altre pressoché inesistente. Oggi non saremmo qui a scriverne se non lo avesse difeso Walter Massa un produttore di Monleale, una cittadina a pochi chilometri da Tortona all’inizio della Val Curone. Innamorato della sua terra, delle sue tradizioni, dei doni offerti dalla natura, ha sempre creduto nelle potenzialità del Timorasso, spesso in contrasto con altri agricoltori, enotecnici, giornalisti che cercavano di dissuaderlo da dedicare tempo ed energie al vitigno di un vino pressoché sconosciuto proprio
quando nel Piemonte, famoso per i suoi grandi storici rossi, si stavano raggiungendo notevoli successi con vini di alta qualità anche nei bianchi: oltre al tradizionale Cortese di Gavi, era esploso a livello nazionale l’Arneis e stavano affermandosi su mercati prestigiosi bianchi ottenuti da vitigni Chardonnay, Riesling e Sauvignon. Walter va più controcorrente e decide verso la metà degli anni ottanta di cambiare radicalmente gli orientamenti produttivi della sua azienda puntando su una gamma altamente rappresentativa della realtà del territorio ritenendo che, poter usufruire di un vitigno autoctono per produrre un vino bianco di grande personalità e proporlo ad un mercato sempre più influenzato da prodotti omologati, poteva interessare professionisti del gusto alla ricerca in un vino di qualità, identità ed autenticità. Il primo raccolto di Timorasso vinificato in purezza, risale alla vendemmia del 1987, da allora si sono susseguiti dei raccolti eterogenei che hanno messo alla prova le potenzialità del vitigno. I risultati sono sempre stati molto
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interessanti, tranne che per la vendemmia del 1989, danneggiata dalla grandine. La qualità del vino ottenuto ha risentito agli inizi dell’inesperienza nel vinificare e gestire questa varietà ma successivamente è riuscito ad ottenere qualità eccellente in grado di ripagare dei momenti di sconforto e delle tribolazioni che vissute. Con il raccolto ‘95 dopo aver capito che il Timorasso si esprime al meglio alcuni anni dopo la vinificazione ha deciso di porre in vendita il vino 18 mesi dopo la vendemmia: ed è stato il successo. In questi anni produttori della Val Cimone, ma anche delle valli adiacenti, lo hanno seguito ottenendo straordinari risultati; la critica enologica se ne è interessata e ha dedicato al Timorasso lusinghiere recensioni ponendolo fra i bianchi più vicini ai grandi rossi che il Piemonte da sempre esprime. Con soddisfazione Walter Massa può oggi tranquillamente affermare di aver avuto ragione; il Timorasso è una realtà che può aspirare
a diventare nell’immaginario della gente un esempio “per far avere nuova luce alle tante tradizioni che si stanno perdendo”; il suo impegno è di farlo arrivare nelle migliori carte dei vini non come “curiosa rarità” ma come ambasciatore di autenticità.
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Foto M. Piazza
NONINO oltre cent’anni di distillazione con metodo artigianale
I Nonino imbottigliano esclusivamente Grappa e Acquaviti ottenute da materie prime fresche, distillate con metodo artigianale nei propri alambicchi discontinui a vapore a Ronchi di Percoto, invecchiate in barriques e imbottigliate senza aggiunta di caramello. www.nonino.it
Grappa Nonino il Merlot
33050 Percoto, Udine / Italy T. +39 0432 676331 Gustare L_Italia_210x275 1
17.05.2010 16:48:06
di Regina Zather
Le ricette con il Timorasso “Risotto con le trote” Ingredienti per 4 persone:2 trote pulite (circa 400 g in totale) - 350 g di riso Arborio - 1 bicchiere di vino bianco (Timorasso delle colline tortonesi) - 1 l e ½ d’acqua - 1 cipolla media - 1 carota - 1 gambo di sedano - 1 foglia d’alloro –pepe bianco in grani - 40 g di burro - 1 spicchio d’aglio - poco parmigiano grattugiato- sale q.b. Attrezzatura: 1 pesciera -1 casseruola - 1 se-
taccio - 1 cucchiaio di legno Tempo di preparazione: 10’ + tempo per preparare il brodo;
Il vino in pentola
Tempo di cottura: 15’ + 15’ per il court boul-
lion Esecuzione: Preparate per prima cosa il court
bouillon di pesce: immergete le trote pulite nella pesciera con acqua, vino bianco, pepe, la foglia d’alloro e le verdure pulite. Fate cuocere per 15’ circa, togliete le trote, filtrate bene il liquido, rimettetelo nella pesciera e tenetelo a temperatura costante per tutto il tempo necessario alla cottura del risotto. Eliminate le lische e la pelle dalle trote e smi-
nuzzate la polpa con un coltello. Nella casseruola, sciogliete il burro e soffriggete l’aglio (che poi toglierete), unite i pezzetti di trota, spruzzate con poco vino bianco e fate evaporare alzando un pò la fiamma. Unite il riso e fatelo tostare per qualche minuto. Abbassate la fiamma ed aggiungete, poco alla volta, il brodo di pesce bollente, mescolate bene e fate cuocere per circa 15’. A cottura ultimata togliete il riso dal fuoco, aggiungete una noce di burro e una spolverata di parmigiano grattugiato e fate mantecare, sempre mescolando con il cucchiaio di legno. Versate il risotto sul piatto di portata precedentemente riscaldato e servite.
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Vino da accompagnare: Timorasso delle colline tortonesi (Piemonte) o Pinot grigio del Garda (Lombardia) o Friuli Grave bianco (Friuli) servito a 12 La buona riuscita di questo piatto dipende dalla freschezza delle trote, pertanto è consigliabile acquistarle in pescheria e cucinarle il giorno stesso.
“Tacchino con porri e zafferano” Ingredienti per 4 persone: 600 g di fesa di tac-
chino a fette sottili - 2 porri - 4 cucchiai di farina - 2 bustine di zafferano - 2 cucchiai di salsa Worcester - 4 cucchiai di panna liquida - ½ bicchiere di vino bianco (Timorasso delle colline tortonesi) - ½ bicchiere di brodo - 4 cucchiai d’olio d’oliva - sale e pepe q.b. Attrezzatura: 1 casseruola - 1 tegame - 1 cucchiaio di legno - 1 coltello
Tempo di preparazione: 15’ Tempo di cottura: 30’
Esecuzione: Pulite, lavate i porri e affettateli sottilmente. Nella casseruola, fate scaldare un cucchiaio d’olio, mettete i porri, salate, aggiungete il brodo (tenendone da parte un poco per stemperare lo zafferano) e fate cuocere per 10’, mescolando di tanto in tanto. Unite la panna e lo zafferano, fate addensare e poi spegnete il fuoco, ma tenete in caldo. Tagliate la fesa di tacchino a listarelle di 3-4 cm, passateli nella farina. Nel tegame, fate scaldare l’olio, rosolate la carne, salate e pepate. Spruzzate con la salsa Worcester e poi aggiungete il vino bianco; quando sarà evaporato, bagnate col fondo di cottura. Fate cuocere la carne e qualche minuto prima della fine, aggiungete i porri stufati, lasciate insaporire il tutto mescolando delicatamente. Mettete sul piatto di portata precedentemente riscaldato e servite. Vino da accompagnare: Timorasso delle colline tortonesi (Piemonte), San Giminiano rosato (Toscana) o Solopaca rosa (Campania) serviti a 12°.
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“Filetti di sogliola al vino bianco” Ingredienti per 4 persone: 8 filetti di sogliola
(circa 600 g in totale) - farina bianca - 30 g di burro - il succo di 1 limone - 2 bicchieri di vino bianco (Timorasso delle colline tortonesi) - 1 presa di curcuma - sale e pepe bianco q.b. Attrezzatura: 1 pirofila con coperchio - 1 cucchiaio di legno - forno a 180° Tempo preparazione: 10’ Tempo cottura: 20’ Esecuzione: lavate e asciugate i filetti di sogliola, salateli da ambo le parti ed infarinateli, intanto accendete il forno. Fate sciogliere il burro nella casseruola e sistemate i filetti. Spolverizzate con la curcuma. Aggiungete il succo di limone e il vino. Portate ad ebollizione, quindi togliete dal fuoco, incoperchiate e mettete la pirofila in forno caldo per circa 15’. Di tanto in tanto, bagnate i filetti con il loro sugo. Togliete delicatamente il pesce dalla pirofila ed adagiatelo sul piatto di portata
preriscaldato. Mettete il fondo di cottura sul fuoco e fate addensare, se necessario aggiungete un pò di maizena e mescolate bene per non fare grumi. Coprite i filetti con la salsa e servite. Per accompagnare: carote al vino bianco o purea di patate Vino da accompagnare: Timorasso delle colline tortonesi (Piemonte), Soave Classico (Veneto) o Sciacca bianco (Sicilia) servito a 11°.
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La Puglia a Milano
Ristorante “Al Carretto” la più autentica e genuina cucina pugliese
“Al Carretto” - Frazione Bonirola - Via Milano, 30 - 20083 Gaggiano (Mi) Per informazioni: 02 9085254 - 340 3577650 (Sara) - 333 6196004 (Michele)
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E’ tempo di...
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Sant’Antonio Abate, detto anche l’Anacoreta, nacque attorno all’anno 250 in Egitto ed è ritenuto il fondatore del monachesimo occidentale, poiché fu fautore delle comunità di monaci guidate da un abate. Trascorse la maggior parte della sua vita da solo, nel deserto, soffrendo per la fame e per le tentazioni del demonio. Morì a 106 anni e le sue reliquie, dopo diverse vicissitudini, si trovano adesso nella città di Arles in Francia. È considerato il protettore degli animali domestici; viene rappresentato sempre accanto ad un maialino che porta una campanella attorno al collo. La sua festa cade il 17 gennaio, giorno in cui la Chiesa dà la benedizione agli animali e li pone sotto la protezione del Santo. Nel giorno a lui dedicato, tradizionalmente, aveva termine la macellazione dei maiali. Fino ad una quarantina di anni fa in tutti i borghi dell’Italia rurale e nelle numerose fattorie sparse per le campagne, ciascuna famiglia allevava il proprio maiale, le cui carni, opportunamente lavorate, bastavano per un anno intero (le famiglie numerose ne allevavano anche più di uno). Il maialino appena svezzato faceva il suo ingresso nell’aia, nella stalla, o nell’angolo dell’orto a lui riservato e veniva curato, amorevolmente per circa un anno; spesso il giorno della macellazione, sorgeva qualche
© Tetraktys
di Raffaele Montagna
Sant’Antonio del porcello
problema di affezione e talvolta, specialmente i bambini, versavano perfino qualche lacrima. Era nutrito con gli avanzi di cucina con aggiunta di crusca, ghiande, castagne, patate e frutta, bucce diverse e scarti di verdure, pane raffermo e talvolta, ma raramente e con parsimonia, cereali. Attorno ai primi giorni di gennaio, quando il maiale aveva raggiunto il peso di circa un quintale e mezzo, si prenotava il “norcino” per procedere alla macellazione. Mentre con mano esperta e ferma, questi incominciava il
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suo lavoro, le donne di casa portavano il recipiente per raccogliere il sangue e i secchi con acqua bollente; avrebbe aiutato a recuperare tutto il pelo che serviva poi per confenzionare spazzole e pennelli (da qui il detto: “del maiale non si butta via nulla”). Il norcino, aiutato dagli uomini, issava il maiale a testa in giù su un resistente telaio di legno, appositamente costruito, lo sventrava per togliere tutte le interiora (le budella sarebbero servite per fare le salsicce) e così aperto lo lasciava fuori, al freddo, per tre giorni e tre notti, a subire la cosiddetta “gelata”: a turno si stava di guardia (talora col fucile, magari caricato “a sale”) per allontanare animali intenzionati a banchettare gratuitamente e amici in vena di scherzi. Dopo tale frollatura incominciava la “festa”: perché di “festa” si trattava; un’esultanza che coinvolgeva tutta la famiglia, bambini compresi. L’esperto era il papà che di solito veniva coadiuvato da un amico, più competente; dopo aver sorvegliato l’affilatura dei numerosi coltelli, ciascuno deputato ad un uso diverso, iniziava con lo spartire in due il mastodontico maiale e con il segnare le varie parti da “acconciare”: per primi i prosciutti, che andavano tagliati e rifilati con arte, abbondantemente cosparsi di sale e della cosiddetta “mesticanza”, un composto di colore scuro (pepe e mille altre spezie), e abbondantemente massaggiati per favorire la penetrazione e la distribuzione uniforme del condimento, prima di essere messi a stagionare; si procedeva poi con lo smontare le spalle per ricavarne materia utile a riempire salsicce e salami (alla macchinetta tritatutto si ag-
ganciava un accessorio, attraverso il quale la carne passava direttamente all’interno dei budelli (il “budello crasso” - il più grosso, detto anche “budello gentile” - era quello che garantiva il salame più gustoso in assoluto). Mentre si procedeva in questo modo, nel grande camino il fuoco rallegrava tutti e sulla brace era pronta la graticola con le piccole “braciole” (preventivamente lasciate a marinare per mezz’ora in un liquido emulsio-
nato, composto di olio, limone, sale, pepe, origano e aglio), da servire fino a sazietà, ad intervalli di tempo regolari, anche in segno d’abbondanza. Il secondo giorno di lavoro era caratterizzato dall’offerta del “sanguinaccio”. Successivamente, si preparavano le lonze e i capocolli: salati, speziati e aromatizzati prima d’essere imprigionati in “cannucce”
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spaccate a metà, per il lungo, o in una fitta tela grezza. Per ultimi si trattavano il lardo e lo strutto (questo era conservato nella vescica e serviva per il famoso “battuto”, indispensabile per il “soffritto”, che stava alla
base di ogni piatto delle nonne). Tale ben di Dio, lavorato e acconciato in due giorni e opportunamente stagionato, si gustava per l’intero anno e regalava odori e sapori difficili da proporre oggi.
Le leccornie suine: il sanguinaccio Così era chiamato il sangue di maiale raccolto al momento della macellazione; la sua elaborazione gastronomica era prerogativa delle donne: mentre gli uomini badavano alla lavorazione delle carni, esse approntavano questa ghiottoneria, che cuocevano ed offrivano per santificare la “festa del maiale”. Se ne conoscono diverse versioni, alcune preparate come salume, altre come dolce.
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Il lardo Il lardo è lo strato di grasso che si trova (inferiormente alla cotenna) sotto il collo il dorso e i fianchi del maiale. Ovviamente è un prodotto lavorato, la cui bontà dipende innanzi tutto dall’alimentazione del maiale stesso (dalla quale si devono escludere i mangimi integrati) e poi dalla sapienza con cui viene salato, dalla qualità degli aromi con i quali viene strofinato e massaggiato e dal luogo, dal tempo, nonché dal recipiente in cui si fa stagionare. Il lardo è stato riconosciuto come prodotto tradizionale italiano; i due tipi più famosi sono il lardo di Colonnata (I.G.P.) e il lardo di Arnad (D.O.P.)
Il lardo di Colonnata (I.G.P.) È prodotto a Colonnata, piccolo borgo ubicato sui pendii delle Alpi Apuane, frazione di Massa Carrara - viene stagionato in “conche” di marmo e insaporito con pepe, cannella, chiodi di garofano, coriandolo, salvia e rosmarino (le conche vengono preventivamene strofinate con abbondante aglio).
Il lardo di Arnad (D.O.P.) Prodotto in un minuscolo paese della bassa Valle d’Aosta - viene stagionato in vasche di legno di castagno, denominate “doil” e insaporito con ginepro, alloro, noce moscata, salvia e rosmarino.
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di Regina Zather
Su ghiraithu (Sardegna) Preparazione: sul tavolo di lavoro, disponete un impasto di media densità, fatto con il sangue di maiale lo strutto fuso, il pan’e vresa (si può sostituire con friselle o con pane secco) pestato, la cipolla tritata finemente, il formaggio grattugiato (pecorino sardo stagionato) e quanto basta di sale. Prendete un intestino di maiale (preferibilmente quello crasso) che avrete ben lavato, tagliatelo a pezzi della lunghezza di 30/40 cm, riempitelo con l’impasto stesso e legate alle due estremità con un filo resistente. Ciò fatto mettetelo a cuocere in acqua bollente per circa 20’. Scolatelo e abbrustolitelo a fiamma viva o mettetelo su una graticola posta sulla brace. Tagliatelo a fette e offritelo ben caldo. Vino da abbinare: Cannonau di Sardegna rosato D.o.c.
Crema di sangue di maiale e cioccolato
Ricette
Ingredienti: ½ litro di latte; 500 g di zucchero; 50 g di farina; ½ litro di sangue di maiale liquido; 100 g di cacao; cannella; vaniglia; cedro candito. Preparazione: in un recipiente d’opportuna capienza, mettete il cacao, lo zucchero e la farina, aggiungete il latte, il sangue di maiale e fate cuocere a fuoco lento mescolando continuamente, per evitare qualsiasi grumo. Togliete dal fornello e fate raffreddare. Unite la cannella, il cedro a pezzettini e la vaniglia. Servitelo accompagnato da biscottini. Vino da abbinare: Colli del Trasimeno Vin Santo D.o.c.
Polenta gialla con lardo e zola Ingredienti (per 4 persone): 500 g di farina gialla; 750 cc d’acqua; 150 g di lardo (di Colonnata o di Arnad); 200 g di formaggio gorgonzola; sale grosso. Preparazione: ponete sul fuoco una pentola con l’acqua e aspettate che prenda il bollore; versate a pioggia la farina con una presa di sale grosso e mescolate attivamente facendo attenzione a che non si formino grumi. Dopo circa un’oretta la polenta sarà pronta (la tradizione insegna che è giusto toglierla dal fuoco quando si stacca dalla pentola). Nel frattempo tagliate a dadini, sia il lardo che il formaggio e sistemateli opportunamente nei piatti, dove verserete la polenta bollente. Mescolate affinché tutto fonda e si amalgami ben bene. Vino da abbinare: Arnad Montjovet D.o.c.; Colli di Luni rosso D.o.c.
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di Giada Drocker
Pomodorini “Alba Bio” Ricco di sali minerali, capace di svolgere un’azione antiossidante e disintossicante, pochissime calorie ed una azione importante, anche in funzione della prevenzione antitumorale: è il pomodoro, il re della tavola. Utilizzato letteralmente in tutte le salse è diventato l’ortaggio maggiormente conosciuto e mangiato in tutto il mondo.
Ed è la Sicilia ad offrire la maggiore varietà e qualità. Una terra ancora in parte selvaggia, il paesaggio che degrada dalle colline dei Monti Iblei fino al mare, un mare smeraldo in cui svettano le distese di ulivi e carrubi. Il verde della campagna è spezzato dai caratteristici muretti a secco patrimonio di questo angolo della Sicilia; è questa la culla degli or-
taggi, delle primizie, primo tra tutti il pomodoro, il protagonista di questo viaggio. Da quello nero alle varietà zebrate e tigrate, dal mini San Marzano al Ciliegino, passando per il Giallo quello che ha dato vita al nome (pomo d’oro). Il suo business è in continua evoluzione: uno sguardo ai mercati - la globalizzazione non ha portato solo vantaggi - ed
alla grande distribuzione con un occhio attento a mantenere non solo la qualità “apparente” ma a preservarne le proprietà. Sono diverse le aziende che hanno deciso di dedicarsi alla coltivazione biologica. “La scelta è convinta e consapevole, non è facile stare al passo con la normativa che interessa questa tipologia di produzione - spie-
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ga Vittorio Gona, responsabile commerciale della Alba Bio cooperativa ragusana con 10 aziende di produzione e 120 addetti - sentiamo forte la responsabilità di quanto produciamo nei confronti non solo della grande distribuzione alla quale conferiamo l’ottanta per cento del nostro prodotto ma anche e soprattutto nei confronti del consumatore finale”.
alla Francia alla Germania passando per Austria, Danimarca, Inghilterra, ed Olanda e considera Ungheria e Repubblica Ceca mercati importanti ed in espansione. La chiave? Ricercare la soddisfazione del cliente, dedicare una parte della produzione alla innovazione verificando la penetrazione del mercato ed investire sui giovani. “Nel biologico europeo siamo riusciti a caratterizzarci con un cesto di varietà produttive che stiamo sperimentando dal 2008 prima dedicando alle nuove varietà mezzo ettaro e rifornendo due clienti - interviene Gona -, poi un ettaro intero con altri sbocchi; oggi proponiamo il mini San Marzano con lo zebrino, il pomodoro nero ed il ciliegino cherry in un’unica confezione. Anche l’occhio vuole la sua parte ma è il sapore comunque a dettare le linee guida”.
I tre “capi” di Alba Bio non nascondono la soddisfazione di essersi “fatti da sé”. Ma che significa pomodoro biologico?
“Significa, in termini comprensibili, che nella coltivazione - dice Guglielmo Parisi responsabile produzione Alba Bio non vengono utilizzati prodotti chimici o derivati”. Vuol dire anche che il pomodoro deve essere consumato in tempi ragionevolmente brevi?
“Il pomodoro raccolto, in due giorni arriva sulla tavola del consumatore italiano, in quattro viene consumato in tutta Europa”. L’azienda ha un fatturato di circa 5 milioni di euro l’anno, otto anni di vita, conosciuta in tutta Europa, rifornisce grandi catene di distribuzione dall’Italia
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Collaboratori giovani, che riescono a dare in termini di idee e di entusiasmo, una spinta in più all’appeal aziendale sia dal punto di vista commerciale sia tecnico. Ad esempio Alba bio è una delle poche cooperative attrezzata per dare risposte ai cosiddetti gruppi di acquisto. Vicina ai mercati concorrenti, quello della Spagna ad esempio e quello del Nord Africa, la produzione iblea riesce comunque ad essere competitiva. Ma come si fa dal momento che il costo di produzione, per esempio nel Nord Africa, è notevolmente inferiore?
“Nel nostro caso ci ha aiutati la tecnologia: il prodotto viene maneggiato poco. Il nostro prodotto di punta è il pomodoro cherry; un macchinario uniforma il calibro, controlla il colore e lo indirizza verso mani esperte che lo confezionano in un packaging che tiene conto delle esigenze del compratore. Questo ci
permette di essere assolutamente competitivi e poi conta anche l’affidabilità dell’azienda che è certificata Global gap e Uni En Iso 9001/2000”.
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Il controllo di qualità viene effettuato da un ente certificatore esterno che tiene sotto controllo costantemente i “suoi” produttori anche con pressoché quotidiane visite in azienda. A proposito, vaschette sempre più piccole, per quale motivo?
“Ristrettezze economiche ed un modello di famiglia diverso. Mi spiego meglio - dice ancora Gona -: il consumatore preferisce la vaschetta piccola perché è certo che il prodotto che acquista riuscirà a consumarlo tutto ed in tempi brevi. Poi abbiamo anche pensato ai tantissimi single che vanno a fare la spesa: a loro non serve una vaschetta grande, sarebbe uno spreco”. Torniamo a quello che mangiamo.
“Viene dal nostro lavoro, dalla certezza e dalla certificazione dei prodotti utilizzati e dal rispetto dei disciplinari – afferma Gianni Lo Magno, responsabile delle lavorazioni e della qualità -. Anche il ciclo colturale è importante: ad esempio dopo due campagne di pomodoro il terreno deve rifocillarsi ed allora si avvia un ciclo a leguminose per la capacità dei legumi di rilasciare, macerati, una ottima quantità di azoto e, successivamente un ciclo di zucchina, cetriolo o melanzana”.
Questa azienda, in particolare nel 2009 con 45 ettari coperti, ha commercializzato 4.320.000 chili di prodotto tra pomodori, melanzane, peperoni e zucchine; il 60% del venduto è costituito dal pomodoro. L’ottanta per cento della produzione va all’estero, il 20 al mercato italiano. Mangiare bio conviene? E’una scelta di qualità per tutte le 48.000 aziende che producono biologico, innovazione, programmazione e nulla al caso: queste le carte vincenti. E per noi consumatori? Importante guardare l’etichettatura. E’ proprio l’etichetta a garantire la tracciabilità totale dall’origine, il seme, al processo del prodotto e la qualità. Perdere un minuto in più per controllarla significa guadagnare la certezza di mangiare un prodotto sano e gustoso.
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di Fabrizio Cimino
Italia da scoprire
La Rocca di Campofilone e la sua meravigliosa pasta all’uovo
La pasta di Campofilone: una delle mie passioni. È prodotta artigianalmente nel comune di Campofilone, una rocca medievale marchigiana nella provincia di Fermo, che domina il Mare Adriatico fatta di mura di mattoni in terracotta come tutte le rocche della zona da Fermo, a San Benedetto del Tronto , e appunto, Campofilone. Si raggiunge dall’Autostrada A14 adriatica uscendo a Pedaso e proseguendo in collina seguendo facili indicazioni. Un paesino molto accogliente, fatto di stradine strette e di case rustiche ma dignitose e pulite. Facciamo un giro per la rocca e scattiamo qualche
foto. Da amante del mare, mi piace soffermarmi sugli orizzonti che degradano verso il verde Adriatico. Siamo nella piazza del Municipio e incontriamo dei ragazzini festanti che giocano a pallone. Non passa una macchina. Sembra di tornare a tempi in cui, nelle città, si poteva ancora giocare per le strade. Qui il tempo si ferma, il sole del pomeriggio arrossa ancor di più la terracotta dei mattoni delle pareti delle case. Ma è dicembre e il tepore del tramonto è delicato e sfuggente. La sensazione è di pace, tranquillità ma anche di operosità, nota caratteristica marchi-
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del ragù di carne, ma da montanaro amante del mare, preferisco un condimento a base di pesce. Il Nero della Seppia è per me il più affascinante e gustoso modo per mantecare i maccheroncini. Di solito la pasta all’uovo non si adatta bene a condimenti di mare per il suo sapore intenso e profumato di uova fresche, ma il nero di seppia, con il suo sapore deciso e il colore insolito, è adattissimo ad accompagnare i “maccheroncini”. Entriamo in un negozio di una delle tante aziende artigiane che producono la famosa pasta. L’esposizione è molto varia e al cliente viene proposto ogni tipo di pasta già confezionata o sfusa. Si va dalle fettuccine alle pappardelle, ai cannelloni, alla pasta sfoglia per lasagne e così via. Ma la parte del leone la fanno i tipici “maccheroncini”. Acquistiamo proprio quelli e parliamo un poco con la proprietaria del negozio che fa parte della famiglia di produzione.
© Fabrizio Cimino (2)
giana. Come in molte città di provincia che seguono una tradizione artigianale realizzando uno stesso prodotto da parte di più ditte, anche a Campofilone si possono trovare molte aziende artigiane che producono pasta all’uovo. Si sono addirittura associate in un consorzio: “L’Associazione Produttori dei Maccheroncini di Campofilone” che sta operando per avere l’IGP (Indicazione Geografica Protetta) dei famosi Maccheroncini. Ma che tipo di pasta è quella di Campofilone? È pasta all’uovo senza l’aggiunta di acqua. Sono necessarie 10 uova per chilogrammo di pasta. La semola è scelta accuratamente in modo da far assorbire completamente le uova durante l’impasto, tagliata in varie forme. Ma ciò che ha reso famosa questa località per la sua pasta sono i “maccheroncini”, cioè dei tagliolini sottili ma resistenti da abbinare a sughi molto sapidi. La ricetta originale consigliata dai Campofilonesi è quella
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Ci consiglia sulle attenzioni da porre nella scelta della pasta: deve essere di aspetto non opaco, di colore giallo ambrato intenso ma non scuro e al tatto la consistenza deve essere ruvida per assorbire meglio i condimenti. Ci informa sulla tradizione gastronomica di questa cittadina marchigiana, famosa in tutto il mondo. Enuncia le fasi di lavorazione che una volta si effettuava a mano, adesso a macchina in modo rigorosamente controllato e con filiera garantita per ogni lavorazione con apposizione della scadenza per ogni lotto di produzione. Racconta inoltre, che nei dintorni molti imitano il prodotto ma senza potersi fregiare del nome “Maccheroncini di Campofilone”. Questa è una prerogativa riservata soltanto ai produttori riuniti nel Consorzio. © Fabrizio Cimino
Associazione Produttori dei Maccheroncini di Campofilone L’Associazione, senza fine di lucro, ha per scopo essenziale quello di ottenere la registrazione della Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) del prodotto denominato “Maccheroncini di Campofilone” ai fini della protezione comunitaria quale prevista dal Regolamento CE n. 510/2006 del Consiglio del 20 marzo 2006 relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari e dalle relative procedure nazionali. Al fine di ottenere la registrazione l’Associazione dovrà provvedere a tutte le incombenze previste dal sopracitato Regolamento comunitario. L’Associazione può inoltre, durante la sua esistenza come stabilita dall’art. 2 del presente statuto e previa parere favorevole del Consiglio Direttivo, promuovere, valorizzare e diffondere la conoscenza dei “Maccheroncini di Campofilone” IGP (convegni, incontri, mostre, fiere, studi e ricerche, etc.). Le Aziende Associate sono: Marcozzi - La Campofilone - De Carlonis - Maroni & Marilungo - Spinosi - Maila. Per info e contatti: info@associazioneproduttorideimaccheroncinidicampofilone.com
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Maccheroncini di Campofilone al nero di seppia Ingredienti (per 4 persone): 600 grammi di seppie medio grandi; aglio o cipolla rossa di Tropea a gusto; peperoncino rosso piccante (meglio se fresco); olio extravergine di oliva; sale (per la cottura della pasta) Preparazione: pulire delicatamente le seppie estraendo, senza romperli, i sacchetti con il nero. Soffriggere da parte olio extravergine di oliva con aglio o cipolla rossa di Tropea per insaporire. Lasciare raffreddare leggermente l’olio (altrimenti il nero diventa a pallini) e aggiungere il nero delle seppie delicatamente e lasciare stare un po’ a fuoco molto lento. Nel frattempo cuocere in acqua bollente i maccheroncini. Come tutte le paste all’uovo, anche i maccheroncini di Campofilone hanno bisogno di pochissimo tempo di cottura in acqua. Uno o due minuti di cottura sono sufficienti per avere una buona pasta da mantecare col
condimento “nero”. Aggiungere la pasta estratta dall’acqua di cottura e far mantecare il condimento in padella con la pasta per qualche minuto. Operazione molto importante quella della mantecatura perché rende armonico il piatto facendo assorbire parte del condimento alla pasta. Servire ben calda con Vino Verdicchio di Matelica che si giustappone all’intenso sapore di mare del piatto che è davvero molto coreografico perché i maccheroncini sono neri davvero.
La ricetta originale Campofilonese, invece, propone il ragù di carne. Ingredienti (per 4 persone): 250 gr di maccheroncini; 200 gr di polpa di vitello macinata; 200 gr di polpa di maiale macinata osso e midollo di bue; olio extravergine di oliva; 30 gr di burro; 1kg di polpa di pomodoro; una cipolla; una carota; una costa di sedano; un bicchiere di vino bianco trebbiano; pepe; pecorino grattugiato Preparazione: fate soffriggere nel burro e nell’olio di oliva extra vergine le verdure tritate, unite le carni macinate il midollo e le ossa. Regolate di sale e pepe e fate cuocere a fuoco lento. Versate il vino e fate evaporare. Aggiungete la polpa di pomodoro e prose-
guite le cottura per il tempo necessario ad amalgamare il condimento (almeno un’ora). Cuocete in abbondante acqua bollente e salata al giusto i maccheroncini solo per due minuti. Scolati al dente mantecateli con il ragù e servite abbinando un Rosso Piceno Superiore magari passato in legno.
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Ricette
Maccheroncini alla Campofilonese
Rubriche
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di Arabella Pezza
“D’O - Davide Oldani” Questa rubrica è dedicata ai gourmet che, provenienti da ogni parte del mondo, arriveranno a Milano in occasione della Grande Esposizione del 2015 e saranno certo curiosi di visitare i ristoranti dove poter incontrare il meglio della cucina del nostro Paese, i sapori autentici e genuini
I ristoranti Expo
della nostra terra. “Gustare l’Italia” vuol dare il proprio contributo a questo legittimo desiderio.
Aimo e Nadia, Il Carretto, Da Berti, il “divino” Marchesi… mese dopo mese, noi di “Gustare l’Italia” stiamo presentando a tutti i nostri affezionati lettori i migliori ristoranti da visitare a Milano in occasione dell’Esposizione Universale del 2015. Ma anche a pochi km dal centro della città, lontano dal traffico e dalla pazza folla, ci sono locali imperdibili; ne è un esempio il “D’O” di Cornaredo, alle porte di Milano, inaugurato qualche anno fa dal giovane e talentuoso Davide Oldani, l’inventore di quella che lui definisce “cucina pop”. Intervistiamo l’eroe che ha abbandonato Gualtiero Marchesi, Michel Roux e Alain Ducasse per misurarsi con cipolle, radici e sardine – alta cucina senza orpelli, il futuro della ristorazione italiana - il giorno dopo il derby di Milano; Oldani è un appassionato tifoso interista ma, nonostante la sconfitta della sua squadra del cuore, è come sempre molto disponibile a raccontarci
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le mille idee che realizza, con successo, giorno dopo giorno. Al “D’O” (sono le iniziali di Davide Oldani e curiosamente in giapponese significa “la giusta via”) è possibile scoprire che un grande piatto è innanzitutto frutto di una grande mano; perché non sono le materie prime di lusso a fare la differenza (ne è un esempio l’apoteosi della celebre “cipolla caramellata”) bensì la tecnica, il rigore e l’artigianalità che un cuoco mette nella realizzazione di ogni sua preparazione. Davide propone una cucina basata su verdure di stagione e ingredienti di qualità ma “poveri”, come ad esempio il cavolfiore, con rabarbaro e ricci di mare, lo squacquerone, con albicocche secche e pistacchi, la lingua, con emulsione di barbabietola. Il costo? Non stratosferico, il menu da 4 portate parte da 32 euro. Nel 2008 il Sindaco di Milano ha conferito a Oldani uno dei premi più ambiti, l’Ambrogino d’Oro che Milano dedica ai suoi figli migliori; cosa pensa un milanese innamorato della sua città dell’Expo del 2015? Davide ci spiega che è molto fiero ed orgoglioso di questo riconoscimento; e proprio per questo ha voluto presentare pochi giorni fa alla Moratti la sua proposta per Milano 2015 - che ha come tema “Nutrire il Pianeta”, un piatto nuovo che contempla 3 ingredienti tipici meneghini, il riso, lo zafferano e il panettone. Non il solito “risotto”, dunque, bensì una preparazione genuina con un “equilibrio di contrasti”, il leitmotiv del D’O, che da sempre difende la semplicità e la tradizione.
“Siamo cuochi, mettiamocelo in testa. Il nostro compito è di nutrire nel modo migliore facendo in modo che chi si siede alla nostra tavola sia benvenuto e accudito e torni a casa felice per come ha mangiato. E che, naturalmente, prima ancora di essere andato via, abbia voglia di tornare a trovarci”. Ma cosa intende esattamente Oldani con “cucina POP”? La cucina POP è la cucina “popolare”, del popolo, e quindi del cibo legato alla memoria locale, delle materie prime “povere” ma lavorate con tecnica e grande sapienza. Davide l’ha voluto anche spiegare nel suo ultimo libro edito da Rizzoli, “La mia Cucina POP - l’arte di caramellare i sogni”, do-
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ve racconta la sua filosofia, il suo concetto di cultura gastronomica e di rispetto della stagionalità dei prodotti ma, soprattutto, narra la passione per la scoperta che l’ha fatto diventare anche designer di posate e utensili di cucina. La definizione di un vero e proprio “movimento POP” in cucina non nasce da un’idea improvvisata, ma è il frutto di un lungo percorso, iniziato negli anni della sua gavetta e destinato proseguire all’interno del D’O. Il POP è un’avventura iniziata “in solitaria”, ma che oggi porta avanti soprattutto grazie alla sua “squadra” di ragazzi che compongono il “vivaio D’O”: “L’idea di “Vivaio”, un
termine che si usa spesso nel mondo del calcio e che io, appassionato di pallone, trovo perfetto, parte dal presupposto che il gruppo sia la base di tutto”. Un’ultima curiosità: abbiamo letto in un’intervista cosa vorrebbe mangiare questo cuoco così brillante e originale durante la sua “ultima cena”… “Sono talmente popolano che la mia “ultima cena” mi piacerebbe fosse composta da un enorme mastello di gelato alle creme, prima fra tutte la stracciatella”. Noi di “Gustare l’Italia”, invece, preferiremmo di gran lunga poter assaggiare, uno dopo l’altro, tutti i suoi piatti.
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Zafferano, panettone e riso alla milanese POP by D’O Ingredienti per 4 persone: Per il riso: 320 g riso Carnaroli stagionato (Piero Rondolino) - 160 g burro dolce - 80 g Grana Padano grattugiato - 1,5 l acqua calda e salata, - 10 ml aceto di vino bianco - Scorza di un’arancia grattugiata- sale fino q.b. Per la salsa allo zafferano: 50 g scalogno lavato, sbucciato e tagliato a fette sottili - 100 g vino bianco - 100 ml acqua - 1 g zafferano in pistilli - 1 g sale fino - 5 g maizena diluita in acqua fredda Per la finitura: 100 g panettone senza crosta - 20 g uvetta rinvenuta in acqua e asciugata
Far tostare, in forno a 180°C, il panettone tagliato a pezzi per circa 5 minuti, togliere dal forno e tenere da parte. Per la finitura: stendere il riso in un un piatto piano, adagiare l’infusione di zafferano, i pezzi di panettone e finire con l’uvetta.
Ricette
Preparazione per il riso: in una casseruola fare tostare il riso, bagnare poco per volta con l’acqua salta, e portare a cottura.
Togliere dal fuoco e mantecare con il burro, il Grana, la scorza d’arancia, l’aceto, regolare di sale tenerlo cremoso. Preparazione per la salsa di zafferano: cuocere la cipolla con il vino bianco, facendolo evaporare completamente, bagnare con l’acqua, far bollire per 5 minuti, legare con la maizena diluita, filtrare ed aggiungere lo zafferano lasciando in infusione per 20 minuti fuori dal fuoco.
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Cipolla caramellata Ingredienti per 4 persone: Per le cipolle: 2 cipolle sbucciate e tagliate a metà (diametro 10 cm circa dopo la sbucciatura) Per la feuilletage minute (sfoglia minuto): 50 g farina - 50 g burro dolce - 2 g sale fino - 10 g acqua fredda Per lo zucchero cristallizzato: 85 g burro dolce - 125 g zucchero semolato Per la crema fredda: 50 g panna liquida - 10 g acqua - 30 g zucchero semolato - 20 g Parmigiano grattugiato - 8 g sale fino Per la salsa al Parmigiano: 50 g latte fresco 20 g Parmigiano grattugiato - 8 g sale fino Per la finitura: 4 g sale Maldon (sale a scaglie)
Per lo zucchero cristallizzato: sciogliere il burro con lo zucchero, cuocere 5 minuti, togliere dal fuoco, far riposare per 10 minuti, eliminare il siero del burro affiorato in superficie, lasciar raffreddare e utilizzare lo zucchero cristallizzato. Per la crema fredda: fare uno sciroppo con l’acqua e lo zucchero, aggiungere la panna portare il composto a 55°C, unire il Parmigiano, salare e filtrare, lasciar freddare e mantecare con la gelatiera Per la salsa al Parmigiano: far bollire il latte con il sale, levare dal fuoco, aggiungere lentamente il Parmigiano, scioglierlo, filtrare la salsa e mantenerla al caldo.
Preparazione delle cipolle: Cuocere a vapore per 20 minuti le cipolle Per la feuilletage minute (sfoglia minuto): Impastare tutti gli ingredienti delicatamente, con l’aiuto di un mattarello dare sei giri semplici con un intervallo di 30 minuti ogni due. Stendere la sfoglia allo spessore di 2 mm e tagliarla in cerchi 4 cm di raggio.
Per la finitura: disporre 10 g di zucchero cristallizzato in ogni singolo stampo, adagiarvi la cipolla e coprire con il cerchio di feuilletage minute cuocere in forno a 180°C per 25 minuti circa. Disporre la salsa nel piatto adagiarvi la cipolla capovolta e terminare con il tartufo tagliato a lamelle fini ed il sale Maldon.
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Coscia d’anatra “Apicius” Ingredienti per 4 persone: Per la salagione e la cottura della coscia d’anatra: 4 cosce d’anatra disossate (tenere le ossa) - 1 % del peso delle cosce di sale grosso - 1 l. olio di semi di girasole Per la finitura delle coscie d’anatra: 1 g mix di spezie (30 g di polvere di cumino - 10 g di polvere di coriandolo) - 1 g semi di papavero - 1 g pepe rosa schiacciato - 4 g semi di girasole sminuzzati - 1 g pepe bianco schiacciato - 8 g miele millefiori Per la finitura: 200 g Puntarelle (meta’ cotte in acqua bollente salata e metà crude) - 300 g sedano, carote e cipolle pulite e tagliate a pezzi - 2 l. acqua - 5 g maizena diluita in 1 ml. di acqua fredda - 1g sale fino - 10 g agrodolce (4 ml. di aceto di vino bianco cotto con 20 g di zucchero semolato) - 10 g concentrato di pomodoro Le ossa delle cosce d’anatra sono arrostite in forno
Per la salagione delle cosce d’anatra: mettere a marinare le cosce d’anatra disossate, con il sale grosso per una notte. Lavarlo via, asciugarle e disporle in una placca alta coperte d’olio di semi e cuocerle in forno per 3 ore circa a 90°c. Scolarle dall’olio, asciugarle ed arrostirle dalla parte della pelle in una padella, dorandole. Per la finitura delle cosce d’anatra: mettere le coscie, cospargerle prima con il miele e poi con tutte le altre spezie e semi, infornare ancora a 200°c per 5 min. Per la finitura: arrostire le verdure in una pentola capiente, aggiungere il concentrato, le ossa e bagnare con l’acqua, bollire per 2 ore circa, filtrare e fare ridurre fino a 100 ml, legare con la maizena diluita e sistemare di sale ed agrodolce. Disporre la coscia d’anatra al centro del piatto nappare con la salsa, terminare con le puntarelle cotte e crude.
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di Alice Balestrini
Tempo di guide
Promossi e bocciati Con la conferenza stampa organizzata dalla Michelin il 24 novembre all’Hotel Principe di Savoia a Milano, si è concluso l’annuale rito delle presentazioni delle Guide gastronomiche con le consuete sceneggiate dei premiati che esultano e delle recriminazioni e accuse di chi è stato bocciato. Aveva iniziato la sfilata
la Guida dell’Espresso che, come tradizione, è avvenuta il 7 ottobre a Firenze; stelle, forchette, ventesimi, centesimi, soli, gamberi, cappelli come sempre hanno fatto la felicità o hanno piombato nello sconforto cuochi illustri o sconosciuti. La parte del leone in quanto a promozioni o bocciature l’ha fatta però la Gui-
da rossa Michelin che quest’anno è la più stellata della storia; ben 276 sono le stelle che adesso brillano nel firmamento della gastronomia italiana contro le 226 di pochi anni fa. Nessuna nuova apparizione tra i 3 stelle: confermati i 6 dello scorso anno - Da Vittorio a Brusaporto (BG), Dal Pescatore a Canneto Sull’Oglio (CR), Le Calandre a Rubano (PD), Enoteca Pinchiorri a Firenze, La Pergola a
Roma, Al Sorriso di Soriso (NO). Deluse quindi le speranze per l’arrivo per la terza del talentuoso Antonino Cannavacciuolo di Villa Crespi a Orta San Giulio in Piemonte. Le 2 stelle sono diventate 37 con lo Jasmin di Chiusa e Bracali di Massa Marittima, mentre L’Arquade di San Pietro in Cariano è stato escluso; perdono la stella 21 locali ma vengono sostituiti da 30 nuove entrate.
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Ecco i ristoranti stellati regione per regione:
• Valle d’aosta 4 con 1 stella
• Liguria 11 con 1 stella;
• Piemonte 31 con 1 stella; 5 con 2 stelle; 1 con 3 stelle;
• Lombardia 45 con 1 stella; 5 con 2 stelle; 2 con 3 stelle;
• Veneto 16 con 1 stella; 4 con 2 stelle; 1 con 3 stelle;
• Trentino 19 con 1 stella; 3 con 2 stelle;
• Friuli Venezia Giulia 8 con 1 stella;
• Emilia Romagna 23 con 1 stella; 4 con 2 stelle;
• Toscana 17 con 1 stella; 4 con 2 stelle; 1 con 3 stelle;
• Umbria 2 con 1 stella; 1 con 2 stelle;
• Marche 5 con 1 stella; 2 con 2 stelle;
• Lazio 15 con 1 stella; 1 con 2 stelle; 1 con 3 stelle;
• Campania 20 con 1 stella; 5 con 2 stelle;
• Abruzzo 1 con 1 stella; 1 con 2 stelle;
• Molise 1 con 1 stella;
• Puglia 2 con 1 stella;
• Sicilia 7 con 1 stella; 2 con 2 stelle;
• Sardegna 2 con 1 stella. Come si vede la maggioranza dei locali stellati è nel Nord - Italia, come accade da molti anni con le conseguenti polemiche. Tra le novità che i gourmet si aspettavano dalla Guida Rossa c’era il ritorno dell’Albereta di Gualtie-
ro Marchesi che lo scorso anno era stato clamorosamente escluso e trattato come una qualsiasi trattoria di una qualsiasi Pensione Mariuccia. Questo non è avvenuto ed è un’esclusione che grida vendetta; quella di Gualtiero è una cucina di assoluta eccellenza e riteniamo che, nonostante il suo carattere non certo facile, avrebbe diritto al rispetto che si deve ad un personaggio che rimane tutt’ora il più grande nella nostra moderna ristorazione ed il più apprezzato all’estero. A Gualtiero Marchesi ed a quanti sono stati (o si ritengono) ingiustamente trattati male dalle Guide, “Gustare l’Italia” dedica i 2 articoli che seguono e che dovrebbero far riflettere.
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Da tempo “Gustare l’Italia” denuncia la mancanza di attenzione da parte delle Guide gastronomiche nei confronti del Sud; i ristoranti del Meridione, a parte quelli della Campania, sono regolarmente ignorati o sottovalutati con un danno per l’Economia e il Turismo di regioni per le quali si dovrebbe invece avere un occhio di riguardo non essendo certo le più ricche e felici del Paese. È’ un fatto che un locale famoso per la piacevolezza della sua cucina faccia aumentare il movimento turistico e sia di conseguenza un incremento per l’economia. Per queste ragioni “Gustare l’Italia” ha più volte chiesto alle Autorità del Sud di interve-
nire sia per invitare i ristoratori e gli albergatori a mettere più attenzione nel loro lavoro, sia per denunciare gli Ispettori delle varie Guide che spesso usano per il Meridione un metro di giudizio del tutto diverso che per il Nord con valutazioni superficiali o addirittura false (per molti Ispettori è più facile andare da Milano a Pizzighettone (Cr), piuttosto che avventurarsi fino a Canicattì (Ag) e molti giudizi vengono dati per sentito dire rimasticando cose scritte da altri o ripetendo giudizi espressi anni prima). Con soddisfazione abbiamo perciò appreso la notizia che il Dott. Piero Liuzzi, Sindaco di Noci, un delizioso paese di Puglia famoso per
© Gianni Renna
di Felice Maratea
Dal Sud una protesta
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le sue realtà gastronomiche e le bellezze turistiche, dopo aver visto le Guide del 2011 da poco uscite nelle librerie, ha deciso di denunciare pubblicamente l’episodio invitando i suoi colleghi a seguire il suo esempio e realizzare insieme una manifestazione di protesta. Hanno subito dato la loro adesione altri Sindaci della zona ma molti, ne siamo certi, seguiranno. Per quanto ci riguarda presteremo molta attenzione all’iniziativa e le daremo tutto il nostro appoggio. Facciamo intanto una semplice considerazione che proponiamo ai lettori: è da poco uscita la Michelin, considerata la Guida più seria e informata. L’edizione del 2011 è stata presentata come quella che nella sua storia ha dato all’Italia il maggior numero di “stelle” (le “stelle” della Guida Rossa sono, come sa ogni buon gourmet, il simbolo della qualità di un ristorante e per questo molto ambite); ne sono state assegnate quest’anno ben 276. Indovinate quante di queste 276 stelle illuminano i cieli del Meridione; nelle regioni del Sud solo la miseria di 17 (di cui dieci nella sola Sicilia): - 4 in Puglia (una in meno delle scorso anno), - 2 in Sardegna (una in meno del 2010) - 1 in Molise, - zero in Basilicata (!), zero in Calabria (!!). Chiediamo a chi ama il Sud e ne conosce e ne apprezza i prodotti di eccellenza gastronomica se questi numeri siano accettabili e se le proteste dei Sindaci pugliesi non siano
sacrosante (sempre tenendo conto - ripetiamo - dei danni arrecati all’Economia e al Turismo della regione). “Gustare l’Italia” si ripromette di tornare sull’argomento; per il momento chiede ai lettori di dare il loro parere e segnalare i ristoranti ingiustamente ignorati o sottovalutati; il nostro sito è www.gustarelitalia.it
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Pregg.mi Sigg.Sindaci dei Comuni limitrofi
E’ consuetudine ormai consolidata guardare alle sorti del territorio - di cui COMUNE DI NOCI
siamo espressione per designazione popolare - con l’apprensione sintomatica della più cara delle preoccupazioni per le valenze sociali, ambientali ed
economiche insite nell’approccio con le tematiche relative alla salvaguardia, alla cura ed alla valorizzazione delle attività e delle professionalità che ivi insistono. Non sembri facezia, perciò, l’appello che Vi invito a sottoscrivere circa lo scandaloso atteggiamento tenuto dalle più accreditate e diffuse Guide gastronomiche nei riguardi del Sud, della Puglia turistica e della sua sobria tradizione culinaria. Chiunque si rechi in libreria e abbia la possibilità di sfogliare qualcuna delle guide in questione si rende conto della esigua attenzione dedicata ai ristoranti che operano da Roma in giù. Ad esempio la pur autorevole “Michelin” (ma stesso trattamento riserva più o meno la “Guida dell’Espresso”), su 210 ristoranti ritenuti in tutta Italia meritevoli di essere segnalati con la “stella”, classico simbolo dell’eccellenza, ha giudicato che in 6 regioni del sud soltanto 15 sono degni di questo riconoscimento. In Puglia soltanto 4 (e ci è andata bene se consideriamo che Calabria e Basilicata sono rimaste a zero). Non si mangia bene da noi? Non sono meritevoli di apprezzamento gli sforzi che da alcuni decenni seri ristoratori pugliesi vanno compiendo per qualificare, identificare, coniugare col “terroir” la singolare cornucopia di ingredienti, di saperi e di delicate competenze espresse dalla nostra cultura del cibo? E trattasi di cultura materiale di originale sintesi che nella mia cittadina - e cito Noci per comodità di ragionamento, ma altre realtà importanti a noi vicine possono essere emblematicamente menzionate - manifesta orgogliosamente processi identitari di assoluta qualità e bontà. Sono interessati a tali percorsi virtuosi numerosi professionisti della ristorazione, tantissimi artigiani, produttori e coltivatori di materie prime nell’agro-alimentare, trasformatori sapienti e zelanti. Assistiamo invece a continue mortificazioni del gusto e dello stile tutto meridionale e mediterraneo nella preparazione e presentazione degli alimenti che storicamente hanno stigmatizzato la millenaria cultura sotto le nostre latitudini. Un locale insignito di onorificenze - siano esse stelle, forchette o bicchieri - è sicuramente paradigmatico di un’economia florida che, per di più, arreca impulso alle dinamiche turistiche di un borgo, di un paese, di un comprensorio. Uniamoci pertanto nel denunciare l’insulto alla storia sociale del Mezzogiorno ed alle legittime aspirazioni delle nostre popolazioni attive nei settori indicati. Inviamo note di rimostranze agli estensori delle “Guide” avare con la Puglia, rea di trovarsi - come le consorelle regioni meridionali - a molte diecine di chilometri dai “think tank” dell’editoria, della comunicazione che conta, dei maestri del pensiero “pigro” perché non prossimo ai patrimoni enogastronoci più tipici della Nazione. Con viva cordialità
Il Sindaco di Noci dott.Piero Liuzzi
Prot.n. 18960 del 14.12.2010
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Questo articolo è dedicato ai ristoratori, agli chef, ai produttori che sono stati ignorati o sottovalutati o maltrattati dai severi critici delle varie guide.
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di Felice Maratea
Chi giudica i giudici (o dell’ipertrofìa dell’Io)
Chi si crede importante, chi pensa che senza di lui il mondo si fermerebbe, chi è convinto di avere la soluzione ad ogni problema in quanto depositario della verità assoluta, è prigioniero di una pericolosa sindrome che si chiama “l’Ipertrofia dell’Io”. Un campione di questa sindrome è senza dubbio il critico gastronomico al quale forse si è ispirato l’autore del film “Rataouille” nell’inventare il feroce critico che alla fine del
film si ravvede e diventa buono e accomodante. Inizia la sua carriera alla corte del principe Luigi Veronelli, maestro ed ispiratore di chiunque in Italia si sia occupato di cibi e di vini nella seconda metà del secolo scorso, ma presto il suo ipertrofico Io lo convinse di poter fare a meno del maestro e si mette in proprio ad educare i poveri sprovveduti gourmet.
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e fra questi l’illustre critico che in data 5 Maggio ’96 scrive su Epoca un articolo esauriente dal titolo: “Vicino a Padova c’è un paradiso di vini e dolci” e nel sottotitolo apprendiamo che il più noto gastronomo italiano ci porta a “Le Calandre” dove il menù è sopraffino; e infatti sul tavolo allegramente preparato con “centrini all’uncinetto in lino rosa, le composizioni di fiori secchi, le bellis-
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In Italia milioni di persone leggono ogni giorno rivista da cucina e seguono trasmissioni televisive sull’argomento senza il benché minimo beneficio, continuando a mangiar male e bere peggio; non è però difficile darla a bere (e a mangiare) agli italiani quando si tratta di gastronomia. Il nostro ci riesce molto bene, sia sui giornali che in TV; il suo Io ne è gratificato e l’ipertrofia è galoppante. In quanto a coerenza, beh, questo è un altro paio di maniche. Per tranquillizzare i ristoratori che, leggendo le prossime guide si sono sentiti ingiustamente accusati di inesperienza e si sono visti attribuire voti negativi, citerò alcune recensioni dell’illustre critico che viene considerato il numero uno in Italia (potenza della TV). A questo punto però, come nei foilleton dell’Ottocento, è necessario fare un passo indietro nel tempo: siamo nel 1994, a Rubano, un piccolo paesino alle porte di Padova. C’è un ristorante condotto dalla Signora Alajmo, laureato con una stella dalla guida Michelin; la segue ai fornelli il figlio Massimiliano detto Max che promette molto bene, così bene che a un certo punto la mamma decide di lasciargli il mestolo del comando nonostante la sua giovanissima età (20 anni). La fiducia della Signora Alajmo è davvero ben riposta; e infatti due anni dopo, nel cielo di Rubano si accende un’altra stella e Max entra nella storia della più famosa guida gastronomica del mondo come il più giovane chef ad aver ottenuto “due stelle”. Naturalmente tutti i critici si congratulano per il successo che onora la cucina italiana,
sime posate, la bella tovaglia, sui piatti Rosenthal un susseguirsi di ghiottonerie: scampi crudi in insalata, gelatina di crostacei al caviale e mousse di cerfoglio, morbidissime e meravigliose lumache alle erbe con polentina gialla, pasta preparata in casa al torchio con ragù di capesante e mazzancolle”. E poi ancora una sfilza di superbi secondi dei quali il nostro gusta “la scaloppa di fegato grasso d’oca con mele e semi di papavero, il carrè di agnello in crosta di senape ed erbe, il coniglio cotto nel cartoccio”. Infine arrivano i dolci, semplicemente “stra-
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ordinari” Il tutto accompagnato da vini scelti da una carta “ricca di cose rare e ricercate con gusto e passione” Insomma “uno dei migliori ristoranti d’Italia”. Vi viene l’acquolina in bocca ? Vi nasce un fortissimo desiderio di prendere la macchina e recarvi a Rubano per assaggiare le delizie appena descritte? Sbrigatevi però; perché qualche mese dopo, non qualche anno, qualche mese!, il 23 marzo 1997 il paradiso è diventato un orrendo inferno.
“Da rimanere senza parole” - scrive l’illustre critico che di lì a poco diventerà un divo televisivo - “un ristorante che era ottimo ci ha offerto una delle più terribili esperienze gastronomiche (…) in un calando rovinoso e fragoroso: … il risotto con rigaglie di piccione reso greve dall’eccessiva cipolla fritta”, gli involtini di scampi resi irriconoscibili, violentati, oppressi dal fatto di essere avvolti in
una rete di patate stucchevolissima, pesantissima. Un Savarin di polenta nera che ricordava un pneumatico e che sembrava averne peso e consistenza”. Ma il peggio doveva ancora venire. (e che sarà mai?): il piccione di nido disossato e mescolato a porcini, incomprensibile crema di zucca e polenta fresca costituivano una pastrocchiosa mappazza gastronomicamente volgare e respinta dal palato e dal gusto”. E il dessert ? Non ci sono più i dolci “straordinari”? Macchè: ecco “il tonfo di sei piatti a testa nei quali un guazzabuglio sgraziato e ridicolo con dolci bellissimi, finissimi ma amorfi, una creazione fatta con la testa non con il cuore. Anche i coperti non sono più quelli di prima;: “non più centrini all’uncinetto in lino rosa, non fiori e piatti Rosenthal, ma soltanto anonimi coperti messi lì con due piccole tovaglie sovrapposte”. Il menù poi … “fa ridere”: si apre con una frase che vorrebbe essere poetica firmata da qualcuno della casa che sotto le sue parole ha messo oltre la firma anche la data: 1997 (ma vi pare possibile?) Ogni voce poi si apre con l’articolo determinativo cha sa tanto di desueto scimmiottando francese(!) L’unica cosa che si salva “da questo disastro gastronomico” è (incredibile) una bella e buona carta dei vini. Dopo un’esperienza di questo genere non si mette più piede in un simile abominevole luogo ma il nostro illustre recensore al quale forse si è ispirato l’autore del delizioso film
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© Gianni Renna
“Ratatouille”, nell’inventare il feroce critico che alla fine del film si ravvede e diventa buono e accomodante, ritorna impavido nel locale degli Alajmo al quale nel frattempo la Michelin ha regalato una terza stella, e (incredibile!) Vi trova una cucina “moderna, fresca, creativa”. E come è stato possibile? A chi si deve questo miracolo che fa lievitare le Calandre da un punteggio di 11,5 (ai limiti dell’insufficienza) a un clamoroso 18,5 ? E’ sempre lui, il nostro eroe che ce lo rivela: “al bando la modestia: è tutto merito mio. Se non avessi bastonato Massimiliano Alajmo per quel gommoso pastrocchio di polenta
presentatomi alle sue Calandre, oggi il secondo ristorante d’Italia continuerebbe con il gastro-cazzeggio di allora. Moderna, fresca, creativa, certo la sua è una cucina di oggi ma con sani professionali agganci con il passato, con gli ingredienti del territorio. Segue l’elenco dei piatti degustati seguita da aggettivi che vanno da “ indimenticabile, magistrale, regale, succulento, schietto, elegante, intenso, trionfale” fino alla conclusione: … “e tanta voglia di ritornare presto” Ora io mi domando se questa è serietà, se si può cambiare idea in questo modo da un giorno all’altro su un professionista che mette anima, passione, impegno, fantasia, genialità in quello che fa coinvolgendo decine di altre persone che lavorano con lui : cuochi, camerieri, artigiani, contadini, con il rischio di recargli danno (e con lui recarlo a tutti gli altri). La domanda è: chi giudica i giudici? P.s.: Cari amici chef; se avete problemi, se la clientela non vi segue più, se i critici vi ignorano e le guide vi sottovalutano, non preoccupatevi: basterà telefonare all’illustre critico che vi risolverà ogni problema. Purtroppo non ne conosciamo nè il nome nè il numero di telefono, potreste però chiederlo agli Alajmo di Sarmeola. Da qualche tempo alle Calandre, appena superato l’ingresso si trova una nicchia con una foto dell’illustre, il capo circondato da un’aureola; davanti c’è un lumino sempre acceso (con puro extravergine di oliva naturalmente) e la scritta: “Per Grazia Ricevuta” firmato Massimiliano e Raffaele Alajmo - Rubano, marzo 2007.
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di Cino Tortorella
“La locanda di Alia” Questa rubrica è dedicata ai ristoranti immeritatamente ignorati o sottovalutati dalle varie Guide; ve ne sono in tutte le regioni ma la gran parte sono del Sud e la disattenzione nei loro confronti è da riferire a diversi motivi, il primo dei quali - forse - è dovuto al fatto che la gran parte dei critici risiede al Nord e arrivare a Castrovillari o a Putignano non è come andare a Gallarate o a Bu-
Le lune di Gustare l’Italia
sto Arsizio.
La “Locanda” nasce alla metà del secolo scorso per la decisione di Antonio Alia un sarto con la passione della cucina di cambiare mestiere e realizzare a Castrovillari nelle sale del palazzo Principe un luogo di ristoro per gli automobilisti che si trovano a passare per la cittadina calabrese. Il successo dei cibi cucinati da donna Lucia, sua moglie, semplici ma fedeli alla tradizione,
è immediato e la fama della Locanda si sparge fra i camionisti considerati in quegli anni gourmet attenti e competenti; l’Autostrada del Sole non è ancora stata costruita e i Tir che sostano nel centro storico creano non pochi problemi alla circolazione. Hanno avuto due figli: Pinuccio e Gaetano ma solo quest’ultimo è destinato a continuare la tradizione di famiglia perché il fratello frequenta l’Università per di-
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ventare medico. La sorte però decide in altro modo; a pochi esami dalla laurea un infarto si porta via il papà e Pinuccio, figlio maggiore, è così obbligato a prendere in mano le sorti della Locanda diventata ormai un luogo di richiamo nella ristorazione calabrese. Camilla Cederna, trovatasi a passare da Castrovillari, dopo aver gustato la cucina di donna Lucia ne rimane talmente entusiasta che scrive sull’Espresso di aver pranzato “nel miglior ristorante del Sud” cibi che l’avevano riportata commossa ai sapori dell’infanzia. Dopo l’articolo della grande giornalista altri scrittori e critici si accorgono del locale che nel frattempo ha cambiato collocazione e si è trasferito in un piacevole casolare di campagna accanto ad un ulivo di oltre cinquecento anni. Con la fama ormai acquisita gli Alia avrebbero potuto anche spostarsi in una grande città,
ma l’amore per la propria terra è stato più forte di ogni ambizione e di comune accordo i due fratelli e la mamma decidono di restare a Castrovillari. Intorno al ristorante costruiscono 14 suite, ciascuna con ingresso indipendente e lo trasformano così in un delizioso rifugio per gourmet innamorati alla ricerca di intimità e riservatezza.
La cucina Le parole d’ordine della “Locanda”, da mamma Lucia a Gaetano, sono state da sempre le stesse: territorio e tradizione. Nella cucina degli Alia non è mai entrato un agnello “présalé” o del “foie gras”: il loro mondo culinario comincia da pascoli del Pollino e finisce nel mare di Sibari; le loro creazioni sono realizzate con ingredienti un tempo definiti “poveri” ed oggi ricercati ed apprezzati dagli autentici buongustai.
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Gaetano ha frequentato la scuola alberghiera ma l’università l’ha fatta in casa perché quando tornava dalle lezioni la mamma lo obbligava a dimenticare ogni cosa - tranne i nuovi metodi di cottura - per non alterare gli antichi sapori; è perciò in grado oggi di dare spazio alla sua fantasia unendo i segreti della cucina tradizionale alle più moderne tecniche. È molto probabile che la decisione di spostarsi in campagna lasciando il centro storico sia stata presa anche per aver più vicino il grande orto; pochi come lui sanno riconoscere e usare le erbe ed in particolare la mentuccia, la più delicata, che va trattata con perizia. La cucina calabrese riscoperta da Gaetano con l’aiuto di Pinuccio, studioso delle tradizioni più remote, è talmente antica che sembra rivoluzionariamente moderna, ed è talmente straordinaria da apparire irreale; la “carne ‘ncatarata”, ad esempio filetto di maiale con salsa al miele e peperoncino cotto nel coccio (“kantaros” in greco) - può sembrare l’inven-
zione di uno chef fantasioso, ed è invece un antichissimo piatto forse portato sulle coste ioniche dagli arabi; e così le “Alici al fumo con verdurine fresche” oppure “Candele di Gragnano con il peperoncino di Monte Poro e la nduja di Spilinga”, una bomba gastronomica fatta con grasso di maiale, avanzi di carne e peperoncino.
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Molti prodotti arrivano dai pascoli del Pollino ricchi di fiori e di erbe, dove è possibile gustare dai pastori, gli ultimi di una civiltà agropastorale che creano ancora prodotti di altissimo livello, il favoloso “butirro”, il caciocavallo con l’anima di burro fatto con il latte della “annichiarica”, la vacca che ha figliato da poco e ha perciò il latte più gustoso e grasso, o la “giuncata”, la ormai quasi introvabile formaggetta schiacciata, così chiamata per l’abitudine di raccogliere la cagliata in canestri di giunco. La cucina degli Alia è classica non perché è rimasta immobile nel tempo ma perché usa la tradizione come punto di partenza verso nuove invenzioni, nuove avventure del gusto; la loro opera è anche di notevole rilievo economico dal momento che la continuità nella tradizione permette di esistere ad artigiani che sarebbero destinati a scomparire cancellati nell’anonimato dei prodotti industriali. Gusto, fantasia, tradizione sono le parole magiche parole che sottolineano l’impegno della
cucina. “Ogni ristorante o albergo deve essere l’ambasciata del territorio” è il motto degli Alia, ed ecco perché, anche se in un locale moderno, i mobili sono di antiquariato calabrese e sono calabresi i piatti, i bicchieri, le tovaglie, i fiori che colorano l’ambiente. Il menù che sarà sempre ricco di proposte perché varia di giorno in giorno col variare delle stagioni, continuando a meravigliare per la creatività dello chef ma è sempre un emozionante viaggio gastronomico nei sapori del passato.
La cantina Nella bella cantina gli Alia hanno selezionato negli anni circa mille etichette, ma da qualche tempo Pinuccio, seguendo la sua vocazione a raccontare e a far amare il territorio, ha deciso di metterne in carta di volta in volta, soltanto una cinquantina al mese spiegando perché vadano abbinate a questo o a quel cibo; ogni vino ha una sua scheda grazie alla quale il
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cliente può orientarsi e “capire” meglio il vino che sta per bere. La sua preferenza va naturalmente ai vini locali: “Che senso ha - si chiede - bere a Castrovillari, gustando i piatti di Gaetano, un Sassicaia, un Chateau Lafitte, un Tache (che comunque in cantina ci sono); il vino porta con sé il clima, l’atmosfera e i profumi dei luoghi dove nasce e ne racconta la storia e la storia della gente che lo produce”. Ed ecco perciò la predilezione per i cru - conosciuti e no - del Greco di Bianco, del Savuto, dello Scavigna, e soprattutto del Cirò che, secondo la leggenda è il più antico dei vitigni esistenti al mondo; prodotto in Cremissa (oggi Cirò Marina) era tradizione offrirlo agli atleti della Magna Grecia che tornavano vittoriosi dalle Olimpiadi. Pinuccio è anche un appassionato creatore di rosoli, i liquori che nascono dall’olio di rose e che nel Sud hanno trovato il loro massimo splendore. Trovarli è ormai molto difficile ma alla “Locanda” sono sempre presenti: alla violetta, alle percocche, alla liquirizia, agli agrumi, ma eccezionale è il “Rosolio d’oro” fatto con pistilli di zafferano, peperonci-
no, cannella e buccia d’arancia, un’antica, rarissima, straordinaria delizia. Un ristorante come la “Locanda di Alia” se fosse a Pizzighettone o a Vidiciatico avrebbe dalle guide valutazioni altissime; ma essendo a Castrovillari, in Calabria, a più di mille km da Milano, a 150 dal più vicino aeroporto, viene trattato con appena la sufficienza (a parte l’Espresso che gli dà un buon 15,5/20). La Michelin la cita solo come locanda dandole due striminzite “casette” come a una qualsiasi pensione Mariuccia; alla cucina niente, non una forchetta, un BIB-hotel, un BIBgourmand e tanto meno una stella. Ricorda soltanto - bontà sua - che è un “ristorante di tono rustico-elegante, che propone piatti legati al territorio e all’antica cucina calabrese”. Davvero poco. E questo accade troppo spesso ai ristoranti del Sud. Per fortuna ci siamo noi di “Gustare l’Italia” che non avendo a disposizione né sole, né stelle, né pianeti vari, regaliamo la luna e alla locanda dei fratelli Alia ne doniamo una luminosissima come quella che nelle notti di plenilunio illumina il cielo magico di quella che fu la Magna Grecia.
Gustare l’Italia 90
della Redazione
Atlante mondiale della gastronomia - Fumey Gilles, Etcheverria Olivier La storia della gastronomia:dai menu preistorici al controllo delle cotture; le ritualità del cibo; divieti e tabù alimentari; i pasti nel mondo contemporaneo; le cucine dei contadini, dei principi e dei mercanti; i gusti e i sapori, il sale e i condimenti, le spezie, lo zucchero, il cioccolato. I prodotti del mondo: i cereali, la base dell’alimentazione; la frutta e la verdura; le carni rosse e bianche; i pesci e i prodotti del mare; il latte e i latticini; le bevande, dal vino al caffè. Le cucine del mondo: dall’America all’Asia, passando per l’Europa e il Medio Oriente, senza dimenticare le delizie del Mediterraneo; i best seller del gusto planeta rio; le ultime prospettive dell’alimentazione, il progresso dell’industria e la sfida della qualità. Edizione: Vallardi - Pagine: 80 - Prezzo: € 15,00
L’identità italiana in cucina - Massimo Montanari Che la cucina sia stata importante nella costruzione della nostra identità ce lo ricorda lo storico Massimo Montanari in questo suo libro.
Libri da mangiare
Con grandi abbuffate si compiva l’Unità d’Italia: arance e maccheroni. E’ il 26 luglio del 1860 e si è appena conclusa l’occupazione della Sicialia e all’orizzonte c’è lo sbarco delle truppe garibaldine in continente. Cavour, soddisfatto di come stanno andando le cose, scrive all’ambasciatore piemontese a parigi: “Le arance sono già sulla nostra tavola e stiamo per mangiarle. Per i maccheroni bisogna aspettare poichè non sono ancora cotti”. Il 7 settembre garibaldi entra finalmente a Napoli e ancora Cavour scrive: “I maccheroni sono cotti e noi li mangeremo”. I maccheroni conquistati: ecco il simbolo nazionale. Edizione: Laterza - Pagine: 98 - Prezzo: € 9,00
La cucina persiana - Chiara Riccarand I termini «Persia» e «persiano» sono associati, nella memoria dell’Occidente, ai fasti di un impero secolare capace di imprimere segni indelebili nella storia, nell’arte, nella letteratura. Oggi quel territorio si chiama Iran, e proprio la cucina è uno dei tratti di continuità fra l’era gloriosa narrata da Erodoto e quella attuale. Nelle preparazioni iraniane di tutti i giorni possiamo gustare secoli di storia, l’elaborazione e il depositarsi di tecniche remote, l’uso di ingredienti autoctoni e da qui diffusisi nel mondo, ma anche il confronto e l’assimilazione di quanto giungeva da fuori. Così, per la sua raffinatezza, la tradizione culinaria persiana è stata ed è fonte di ispirazione per gli chef, prima del Medio Oriente e oggi anche di quelli occidentali. Edizione: Ponte alle Grazie- Pagine: 136 - Prezzo: € 15,00
Gustare l’Italia 92
I segreti della cucina italiana - Antonello Colonna Incontrare Antonello Colonna - cuoco tra i più decorati del panorama italiano - è un’esperienza travolgente. Un invito a colazione si trasforma in un percorso iniziatico all’arte del convivio. Il viaggio prende l’avvio dai suoi celebri piatti che hanno il grande pregio di aver abbattuto i confini delle tradizioni nostrane per sbarcare trionfalmente nel panorama internazionale. Oggi ha trasferito il suo ristorante in uno splendido spazio del Palazzo delle Esposizioni a Roma, polo museale tra i più rappresentativi in Italia, per confermare che il forte connubio cucinaarte non è solo letteratura ma vita quotidiana. Edizione: Newton Compton - Pagine: 336 - Prezzo: € 19,90
Il cucchiaio di cioccolata - Alba Allotta Il cioccolato: un gusto, una passione, un’avventura dei sensi e della mente che sublima e appaga. Gli Aztechi lo chiamavano il “nettare degli dèi”, e fin dalla sua prima comparsa nel Vecchio Continente è diventato un alimento irrinunciabile, tanto da indurre vescovi e prelati a dichiarare che sciolto in acqua non rompeva il digiuno della Quaresima. Un successo che non conosce crisi: ancora oggi non c’è niente di meglio della morbidezza di un cioccolatino per confortarci e coccolarci… E allora lasciatevi tentare dalla voluttà di questo alimento paradisiaco e provatelo nelle sue infinite declinazioni. Scegliete tra più di 500 ricette, dalle più classiche alle più curiose, adatte ognuna a un’occasione diversa. Dolci al cucchiaio, creme, semifreddi e soufflé, torte Sacher, meringate. E poi biscotti, dolcetti e pasticcini, tartufi, praline e bonbons ripieni, e, infine, corroboranti bevande vellutate. Edizione: Newton Compton - Pagine: 504 - Prezzo: € 14,90
Benvenuti nella mia cucina - Benedetta Parodi Per un anno Benedetta Parodi ha annotato nella sua agenda non soltanto centinaia di nuove ricette golose e facili da realizzare, ma anche tanti pensieri, esperienze e piccoli avvenimenti della sua vita quotidiana e familiare. “Benvenuti nella mia cucina” è la pubblicazione di questo diario casalingo che dà l’opportunità ai lettori di trascorrere dodici mesi con l’autrice riscoprendo il piacere dell’avvicendarsi delle stagioni e scegliendo, grazie ai suoi suggerimenti, i piatti più adatti a ogni momento dell’anno: stimolanti e rivitalizzanti per la primavera; leggeri e rinfrescanti per l’estate; appetitosi e saporiti per l’autunno ed infine robusti ed energetici per l’inverno. 225 ricette completamente nuove e di sicura riuscita, suddivise mese per mese. Edizione: Vallardi - Pagine: 272 - Prezzo: € 14,90
93 Gustare l’Italia
della Redazione
Sei un vero gourmet? Dovete rispondere a questo test senza barare, senza consultare enciclopedie, siti internet, o chiedere lumi agli amici; se rispondete esattamente ad almeno 10 domande, potrete fregiarvi del titolo “vero gourmet”; da 5 a 9 potrete sempre vantarvi di essere un “buongustaio”; da 0 a 4 sarà bene cambiare i ristoranti nei quali vi recate di solito a smettere di seguire le trasmissioni televisive che trattano di cucina.
1) Come si chiama la polenta di grano sara-
5) Chi chiamò i grissini “les petits batons des
ceno cotta col formaggio?
Tourin”? (I bastoncini di Torino)
A) Fraina
A) Napoleone
B) Taragna
B) De Gaulle
C) Cunsa
C) Victor Hugo
6) Che cos’è il malto che serve per creare i grandi whisky? A) Luppolo B) Orzo essiccato C) Lievito
7) Cosa sono i “garganelli” toscani? A) Un tipo di pasta B) Un tipo di gamberi C) Dolcetti di Natale
2) Dove è stata inventata la Sacher Torte?
8) Che cos’è “l’abbacchio” nella cucina ro-
A) A Salisburgo
mana?
B) A Vienna
A) Carne d’agnello
C) A Monaco
B) Pasta al forno
3) Che cosa sono nella cucina pugliese gli
C) Un dolce di Pasqua
“sponsali”? A) Un tipo di pasta
Quiz
B) Frutti di mare B) Un tipo di cipolle
4) Quale di queste piante non è stata importata dall’America? A) Fico d’India B) Caffè C) Peperone
Gustare l’Italia 94
9) In quale regione italiana si produce il 40%
12) Qual è in Cina il modo più raffinato di cu-
di tartufo bianco?
cinare l’anatra?
A) Piemonte
A) Alla tartara
B) Toscana
B) Alla pechinese
C) Molise
C) Alla cantonese
10) Il dolcetto è un vino da:
13) Per quale prelibatezza gastronomica è fa-
A) Dessert
mosa Zibello?
B) Da pesce
A) Culatello
C) Da carne
B) Mortadella C) Prosciutto
11) In quale provincia italiana si ha il più grande consumo pro-capite di stoccafisso?
14) Quale importante fiera si svolge dopo la
A) Messina
metà di ottobre a Dovadola?
B) Vicenza
A) Delle castagne
C) Genova
B) Dei tartufi C) Dei funghi 1) B; 2) B; 3) C; 4) B; 5) A; 6) B; 7) A; 8) A; 9) C; 10) C; 11) B; 12) B; 13) A; 14) B
RISULTATI: 95 Gustare l’Italia
Ci ha lasciato il Cav. Giuseppe Benagiano, maestro pastaio di Sant’Eramo in Colle; un grande lavoratore e un caro amico di “Gustare l’Italia”; se ne è andato pochi giorni dopo Natale lasciando un vuoto nei cuori di chi lo ricorda con affetto, ma nel mondo dell’Artigianato di Puglia. La sua “Benagiano Pastai” nata a metà Ottocento è stata una delle poche Aziende che hanno continuato a produrre la pasta secondo metodi antichi nell’assoluto rispetto della qualità e della tradizione. Ne sono rimaste poche in Italia; le leggi del mercato globale impongono altissimi volumi di produzione a prezzi bassi e sono perciò preferiti i procedimenti veloci anche se in questo modo si perdono sapori e sostanze preziose per la salute contenute nel grano.
Sotto la sua direzione l’Azienda è rimasta sorda alle sollecitazioni di seguire l’esempio di molti imprenditori per conseguire guadagni più consistenti e ha continuato a produrre con sacrificio quella che è sempre stata un’eccellenza agroalimentare pugliese fin dai tempi del bisnonno “Mastro Francesco”, quella che in Puglia continuano a chiamare “la pasta di Garibaldi”, perché ancora realizzata come quando “l’eroe dei due mondi”, nominato senatore nel collegio di Andria, la gustò e ne rimase entusiasta. Con il Cav. Benagiano se ne è andata una persona di grande spessore morale, un lavoratore, un gentiluomo come è sempre più raro incontrarne. “Gustare l’Italia” esprime il proprio cordoglio al fratello Andrea e ai nipoti Nicola e Vito che certo continueranno l’opera di Giuseppe, con lo stesso amore, la stessa cura e la stessa passione.
97 Gustare l’Italia
di Saverio Carlo Buttigilione
In ricordo di un amico...
Indice delle ricette di gennaio
17
Tortelli di zucca
48
Risotto con le trote
49
Tacchino con porri e zafferano
50
Filetti di sogliola al vino bianco
58
“Su ghiraithu” Crema di sangue di maiale e cioccolato Polenta gialla con lardo e zola
67
Maccheroncini di Campofilone al nero di seppia Maccheroncini alla Campofilonese
73
Zafferano, panettone e riso alla milanese POP by D’O
74
Cipolla caramellata
75
Coscia d’anatra “Apicius”
Gustare l’Italia 98
L’amore per la qualità Il rispetto per la tradizione Benagiano Pastificio srl Corso Italia 138-140/b - 70029 Santeramo in Colle (Ba) Tel. 080-3036036 - E-mail: benagiano@benagiano.it - Website: www.benagiano.it
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