GUSTARE L'ITALIA 10 - MARZO 2011

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Periodico

di

cultura

enogastronomica

e

turismo

Anno

2

-

Numero

10

-

Marzo

2011

Copia di cortesia

Poste Italiane S.p.a. Spedizione in abbonamento postale -70% DCB Milano

Con il patrocinio di

Le regine della cucina


L’Associazione Res Tipica è stata creata dall’ANCI nel 2003 per promuovere in Italia e nel mondo le identità territoriali e ad oggi riunisce 27 Associazioni di Identità, 1.842 Comuni, 4 Unioni di Comuni, 40 Province, 2 Regioni, 51 Comunità Montane, 8 Enti Parco, 8 Strade del Vino, 11 Camere di Commercio, per un totale di quasi 2000 Enti locali.

ASSOCIAZIONE ITALIANA PAESI DIPINTI

Il network, rivolto principalmente ai Comuni di piccole e medie dimensioni, intende preservare e favorire l’immenso patrimonio che incorpora i saperi delle comunità, le caratteristiche dell’ambiente e le produzioni tipiche, trasformando questo grande capitale culturale e sociale in qualità della vita e in occasioni di sviluppo sociale ed economico rispettoso dei valori e della cultura locale.

www.restipica.net


Il prossimo 8 marzo si dovrà festeggiare due volte perché è il “martedì grasso” che conclude in allegria il Carnevale ed è anche è la Festa della Donna che viene celebrata ormai dal 1909. In questo numero di “Gustare l’Italia” vogliamo ricordare entrambi gli avvenimenti incominciando da quello che per noi è il più importante: la Festa dedicata “all’altra metà del cielo”, a chi ha dato un senso alla Creazione, a colei senza la quale non sarebbe nata nessuna forma d’arte: non Poesia, non Musica, non Pittura. Provate ad immaginare la tristezza e la noia di un mondo di soli uomini: qualche battuta di caccia, qualche discussione sulla partita di calcio o sugli ultimi accadimenti politici, qualche sfida a briscola o a tressette, e poi la monotonia di una vita senza passioni, tormenti, desideri, senza scenate di gelosia, senza gossip, senza pettegolezzi… sarebbe vita questa? Rendiamo dunque onore alla Donna definita dai poeti nei secoli “più preziosa dell’oro” (Orazio), “luce della luce venuta a dar chiarore alla luce” (Omar Khayam) , “creatura dalle carezze più deliziose del più delizioso nettare” (Cantico dei Cantici) “mistero senza fine bello” (Guido Gozzano) In una rivista dedicata al bien vivre questa preferenza è d’obbligo perché in un mondo senza la Donna, nessuno avrebbe mai pensato di cucinare cibi raffinati inventando la Gastronomia, nessuno si sarebbe mai sognato di ottenere dall’uva il Vino. Ce lo dice un canto degli “Inni di Atharvaveda” (VI secolo a.C.):

Per celebrare degnamente l’8 marzo, abbiamo chiesto a Gualtiero Marchesi (che oltre ad essere un grande ed ispirato chef è un uomo di cultura e sensibilità artistica) di dedicare alle rappresentanti del sesso che qualche sciocco continua a definire “debole” ( per gelosia, invidia, ignoranza) un suo ideale menu; lo troverete a pagina 34 ne “La Cena dei Pesci”. Abbiamo poi scelto un poker di Regine della cucina per farci indicare alcune ricette che i maschietti dovranno realizzare ai fornelli mentre le donne trascorreranno la loro festa in ozio o impegnate in simpatici conversari con le amiche. Non abbiamo peraltro dimenticato il Carnevale e le sue tradizioni anche gastronomiche che troverete a pag 62. Questi ed altri saranno i temi che tratteremo in questo numero della nostra rivista senza dimenticare che il 21 di questo mese segna anche la fine dell’Inverno e l’inizio della Primavera. Che ci auguriamo fiorisca anche nei vostri cuori.

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Gustare l’Italia

Editoriale

“In un giorno di felicità creativa Dio creò la Donna per dare all’uomo l’Amore. Era certo di avergli fatto il più grande dono. Si accorse però che mancava qualcosa per rendere il dono perfetto. Inventò allora la Poesia e la Musica. Ma ancora non era soddisfatto. Finalmente creò il Vino”.


Sommario marzo 2011

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IN CUCINA

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IN TAVOLA

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L’orto di marzo Spinaci - Limoni

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A tavola con le stelle La cena dei pesci

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La madeleine di... Richetto

42

Peccati di gola Il culatello di Zibello

16

Le regine della cucina Poker di Regine

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L’artigiano in tavola La tovaglia: segno di decoro, raffinateza e buon gusto

47

INSERTO “LE RICETTE”

55 56

IN CANTINA Spumanti italiani: vini d’amore e di allegria

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28

L’artigiano in cucina La terracotta da fuoco

Le ricette delle donne Donna, tutto si fa per te

Gustare l’Italia

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58

Il vino in pentola Le ricette con lo Spumante

61

IN GIRO PER...

62

A Carnevale ogni dolce vale

70

Non solo Festival

78

Oliva taggiasca: un afrodisiaco

84

Le “Città dell’Olio”

87

RUBRICHE

90

I ristoranti Expo “D’O - Davide Oldani”

92

Le lune di Gustare l’Italia “La Speranza”

96

Libri da mangiare

98

Indice ricette

Periodico di cultura enogastronomica e turismo - Anno 2 - Numero 10 Marzo 2011 - Reg. Tribunale di Milano n° 201 del 14/04/2010 Direttore Responsabile: Arabella Pezza - Direttore Editoriale: Cino Tortorella Caporedattore: Raffaele Montagna - Art Director: Daniele Colzani Segretaria di Redazione: Mara Guerrieri - Responsabile Diffusione: Roberto Zanutto Grafica e impaginazione: Daniele Colzani - Giovanni Di Gregorio Concessionaria pubblicità: Soltrade Communication - Via Mirabello, 10 - 00195 Roma Responsabile Trattamento Dati Personali: Maurizio Villa L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiedere gratuitamente la rettifica o cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs 196/2003 scrivendo al Responsabile del Trattamento Dati Personali: Soltrade Communication - Via Abbadesse, 20 - 20124 Milano

Contatti: info@gustarelitalia.it - www.gustarelitalia.it Redazioni: Milano: Via Milanese, 5/11 - 20099 Sesto San Giovanni (MI) - Roma: Via Mirabello, 18 - 00195 Roma Puglia: Via Trento, 10 - 70017 Putignano (BA) - Sicilia: Via Cannezio, 22 - 97100 Ragusa Hanno collaborato a questo numero: Alice Balestrini - Paolo Bonagura - Bruno Goglione - Felice Maratea - Angelo e Piero Solci - Regina Zather

Fotografi e Uffici Stampa: M. Borchi - Francesca Brambilla - Emanuela Cattaneo - Max Mencarelli - Philippe Scaff Associazione Città dell’Olio - Consorzio di Tutela del Culatello di Zibello - Agenzia in Liguria - Archivio Gualtiero Marchesi - Arte Ricami - Cose di Argilla - MCS - Modiano Industrie Carte da Gioco ed Affini Spa - Patrizia Piccaluga Ricami d’Arte - Rosalba Ricami - Sanremo Promotion SPA

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Gustare l’Italia



© Sanremo Promotion Spa - Max Mencarelli

In cucina

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Gustare l’Italia


Si tratta di ortaggi erbacei molto diffusi; lo spinacio (Spinacia oleracea) viene coltivato per le sue foglie che hanno lobi basali pronunciati ma che differiscono a seconda della varietà. Sono probabilmente di origini iraniane: arrivarono in Europa subito dopo l’anno Mille, benché la loro diffusione avvenne solo nel Settecento. Sono particolarmente ricchi di vitamine (A, B, C, K, PP), sali minerali, fibre e - come an-

che narra “Braccio di Ferro” - molto ferro, che è però scarsamente assimilabile. Gli spinaci novelli si possono anche consumare crudi, in insalata; altrimenti vanno cotti in poca acqua leggermente salata per qualche minuto, poi si strizzano e si tritano. Come contorno sono perfetti serviti così bolliti o passati nel burro, altrimenti vengono utilizzati nei ripieni di tortelli e torte salate, per preparare le tagliatelle verdi, i soufflé o le frittate.

L’orto di marzo

di Arabella Pezza

Gli spinaci

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“Bocconcini di spinaci e patate” Ingredienti per 4 persone: 750 g di

spinaci; 2 uova; 3 patate; 50 g di formaggio grattugiato; burro, farina, sale e pepe q.b. Preparazione: lavare gli spinaci e fateli lessare con una grossa presa di sale. Scolateli, strizzateli molto bene, per eliminare tutta l’acqua e tritateli. Fate lessare anche le patate senza buccia, in acqua salata, scolatele e passatele allo schiacciapatate. Incorporate al purè di patate gli spinaci tritatissimi, unite due tuorli e un albume, il formaggio grattugiato, un grosso pizzico di pepe e, se necessario, un pò di farina. Frullate leggermente l’albume rimasto. Con il composto preparate delle pallottole grosse come noci, passatele nell’albume, poi nella farina e fatele dorare in abbondante burro spumeggiante. Servire subito, ben caldo.

“Spinaci e fiori di zucca fritti” Ingredienti per 4 persone: 20 foglie di spinaci; 10 fiori di zucca; 400 g di patate; 1 limone; maionese; erbe aromatiche a piacere.

© Sanremo Promotion Spa - Max Mencarelli

chiaino di maionese con il succo di limone e le erbe aromatiche. Eliminate il pistillo dai fiori di zucca, lavateli delicatamente insieme alle foglie di spinaci e asciugate senza strizzare. Sbucciate le patate, tagliatele a lamelle e cospargete di sale. Friggete in abbondante olio prima le chips di patate, poi le foglie di spinaci e infine i fiori di zucca. Fate asciugare su carta assorbente da cucina e servite il tutto ben caldo, accompagnato dalla salsa di maionese.

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Gustare l’Italia

Ricette

Preparazione: Lavorate qualche cuc-


I limoni tutto il succo, piuttosto che la polpa; è l’ideale per la marinatura di pesci e per bagnare in cottura pollo, anatra e carni grasse. Inoltre accompagna i fritti (essendo acido contrasta le tracce di grasso), può sostituire l’aceto nelle insalate, completa la maionese e altre salse - in particolare da pesce - e viene utilizzato nella preparazione di gelati o sorbetti. Anche con la buccia è possibile preparare una salsa: leggera ma cremosa, insaporisce i primi piatti come i classici tagliolini all’uovo.

© Emanuela Cattaneo

Il limone (Citrus limonum) è una pianta di origine asiatica; si tratta probabilmente di un incrocio naturale tra il lime (Citrus aurantifolia) e il cedro (Citrus medica). I suoi frutti hanno forma ovale con l’apice appuntito; la buccia può essere verde o gialla, sottile o spessa, mentre la polpa è aspra. Si tratta di un frutto farmaco: contiene il 6075% di limonene e altre sostanze che hanno proprietà battericide, antisettiche, diuretiche e anche dimagranti. Per il suo impiego viene adoperato soprat-

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“Pollo al limone” Ingredienti per 4 persone: 500

g di pollo; 2 spicchi d’aglio; 1 cipolla tagliata; 3 cucchiai d’olio; 2 cucchiai di salsa di soja; il succo e la scorza di 2 limoni; 1 pizzico di cannella; erbe aromatiche, sale e pepe q.b. Preparazione: tagliate la car-

ne a cubetti; far scaldare dell’olio all’interno di una pentola e soffriggere la cipolla e l’aglio per qualche minuto. Unite la carne e fatela saltare per un paio di minuti rimestando. Bagnate il tutto con il succo di limone, la salsa di soja e 15 cl d’acqua. Aggiungete il mazzetto di erbe aromatiche, la cannella e le scorze dei limoni. Regolate di sale e pepe e lasciate cuocere a fuoco lento per 45 minuti.

“Marmellata di limoni”

Preparazione: lavate e bucate con la forchetta i limoni e fateli bollire per oltre mezz’ora coperti d’acqua. Scolarli, lasciarli freddare e tagliarli a pezzi molto piccoli. Metteteli quindi in una pentola con lo zucchero e far bollire per un’altra mezz’ora abbondante. Infine versate la marmellata così ottenuta all’interno dei barattoli, sigillateli subito e lasciateli raffreddare capovolti.

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Ricette

Ingredienti per 8 persone: 1 kg di limoni non trattati; 1 kg di zucchero.


Abbiamo chiesto ad un personaggio che risveglierà piacevoli ricordi a chi ha più di 40 anni, di raccontare ai nostri lettori il cibo della sua predilezione; il suo nome è Giuseppe Mazzullo, detto Peppo, di Santo Stefano di Briga in provincia di Messina. A questo punto immagino la perplessità di molti, simile a quella di don Abbondio quando lesse il nome di Carneade: “Peppo Mazzullo, chi è costui?”. Sarà bene perciò, come nei “foilletons” di fine ’800 fare un passo indietro. Qualche anno fa un’autorevole settimanale americano fece un’indagine su quale fosse il personaggio del mondo dello spettacolo italiano più conosciuto e amato negli U.S.A.; il risultato fu clamoroso: il 70% degli intervistati rispose senza esitazione: Topo Gigio. Lo stesso risultato si sarebbe avuto se l’indagine fosse stata fatta in Brasile, in Argentina, in Perù, in qualsiasi paese di lingua spagnola, portoghese o inglese; perché Gigio aveva conquistato tutti gli spettatori delle televisioni dove era stato ospite, proprio come era accaduto in Italia. Gigio è nato dalla fantasia di una straordinaria coppia di artisti della favolosa Milano degli anni ’60: Maria Perego ed Enrico Caldura; si erano specializzati nell’animazione su fondo nero secondo il metodo sperimentato dai giapponesi e il successo era stato immediato nella televisione di quegli anni; chi ha oggi qualche capello bianco ricorderà certo i pupazzi della

© Maria Perego

di Cino Tortorella

La madeleine di...

Richetto

tv dei ragazzi come Madama Volpe, Rosy e Zia Tartaruga nella trasmissione di Picchio Cannocchiale, tutti personaggi creati dalla coppia Perego-Caldura. Poi arrivò Topo Gigio e il successo divenne travolgente e conquistò non soltanto i piccoli italiani che andavano a letto solo dopo che Gigio aveva dato la buonanotte (… “e dopo Carosello tutti a nanna…”) ma anche i grandi. Lo stesso accadde in ogni paese dove Gigio appariva in televisione. Solo per fare un esempio: in quegli anni negli Stati Uniti la trasmissione di maggior successo era l’“Ed Sullivan Show”; parteciparvi era un traguardo ambito da tutti i più importanti divi, da Frank Sinatra a Bing Crosby, ai Beatles… Un giorno toccò anche a Topo Gigio e si ebbe

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un tale boom di ascolti che Ed Sullivan lo volle con sè in oltre cento trasmissioni. Gigio parlava con la voce di un attore che era arrivato a Milano negli anni ’50 per iscriversi alla Scuola d’Arte Drammatica di Giovanni Orsini; dotato di notevoli qualità drammatiche aveva incominciato una promettente carriera in alcune compagnie teatrali finché il felice incontro con Topo Gigio cambiò radicalmente la sua vita. Quell’attore, l’avrete capito, era proprio il nostro Carneade: Peppo Mazzullo che peraltro era già popolare tra i bambini di allora perché interpretava nella trasmissione de “Lo Zecchino d’Oro” il personaggio di Richetto, lo scolaro asinello eterno ripetente della terza elementare. E’ dunque Peppo-Gigio-Richetto-Mazzullo che incontro a Santo Stefano di Briga, il paese natale dove si è ritirato da qualche anno senza però tradire il suo amore per il teatro (dirige

un’Accademia frequentata da molti promettenti giovani attori). Alla mia richiesta di far conoscere ai lettori di “Gustare l’Italia” il suo cibo preferito, quello che lo riporta alla sua infanzia, la sua madeleine risponde senza esitazione: “E me lo chiedi? Dovresti saperlo…l’ho cucinata per te tante volte… la pasta con le sarde e la finocchiella selvatica”. Non avevo dubbi, ci conosciamo da troppo tempo per averne; Peppo è anche un cuoco eccezionale e spesso ho avuto la ventura di gustare, cucinato dalle sue mani, questo antico piatto siciliano che è sempre più difficile trovare anche nei ristoranti più qualificati dell’isola. E’ il piatto della sua infanzia perché lo riporta agli anni del tempo di guerra quando i bambini venivano mandati a cercare nei campi le ‘er-

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be matte’, quelle che la gran parte di noi pensa siano buone soltanto per gli animali da pascolo, ma per chi sa riconoscerle si trasformano in favolosi minestroni, in superbe frittate, in sughi straordinari. ra queste erbe è regina la “finocchiella selvatica” dall’acuto profumo, dall’intenso sapore. Peppo vorrebbe che si insegnasse a scuola ai piccoli l’importanza di certe erbe: “Sarebbe oltretutto un risparmio per la famiglia, oltre che una ricchezza per la cucina… Guardati intorno: in questo campo vedi qualche pianta che potrebbe interessare ad un cuoco?”

Siamo nella campagna dove il mio amico trascorre felice gran parte della sua giornata. “Se adesso venisse qualcuno con una falce a tagliare questa erba, tu lo lasceresti fare, vero?” insiste. “Beh, sì, insomma...” balbetto “E invece no, perché con questa erba, e quest’altra, e quest’altra, ti cucinerò il più fantastico minestrone che tu abbia mai mangiato”. E mentre dice queste parole raccoglie un fascio d’erbe con le quali in pochi minuti riempie un capace cestino.

Un paio d’ore dopo sono a tavola con Annamaria, la sua bella moglie milanese in attesa del “minestrone alle erbe matte”: stiamo ricordando gli anni spensierati della nostra giovinezza nella Milano che non c’è più ed ecco che arriva Peppo con la zuppiera fumante: “E adesso silenzio. Questa è l’ora degli angeli. Buon appetito”. E versa nelle scodelle mestoli di profumi dimenticati che mi riportano indietro nel tempo e la prima cucchiaiata che porto alla bocca provoca in me l’effetto “madeleine”…chiudo gli occhi e mi ritrovo bambino a Maratea, il bel paese della Basilicata dove i miei genitori, emigrati per lavoro a Ventimiglia, mi portavano a trascorrere le vacanze… sono nella cucina di nonna Vincenza, accanto al camino, e sto assaporando il minestrone cucinato con le erbe che zio Pasquale ha raccolto nei campi… “Non chiedermi la ricetta di questa delizia - la voce di Peppo interrompe i miei ricordi - se lo vuoi ancora devi venire a trovarci…in fondo da Milano a Santo Stefano sono più o meno solo 1500 chilometri…” “D’accordo: però la ricetta della “pasta con le sarde” me la devi dare; quella si può cucinare anche fuori dalla Sicilia” obbietto. “Solo se ci si procura la vera, autentica finocchiella selvatica che non troverai mai in nessun supermercato e che è difficile da trovare anche da un ortolano. Dì ai tuoi lettori di andarsela a cercare in campagna da un contadino e dopo si procurino il resto e si diano da fare ai fornelli” E mi descrive ingredienti e modo di realizzare la “sua” pasta con le sarde che troverete in fondo all’articolo. “Nella ricetta parli genericamente di pasta - gli dico quando ha finito - ma che tipo consigli?” “Innanzitutto deve essere fatta all’antica con le

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trafile in bronzo ed essiccata molto lentamente; così mantiene intatte le sostanze contenute nel grano e restando ruvida raccoglie meglio il sugo. Solo pochi pastifici lavorano così ma qualcuno c’è ancora…vedi di trovarlo e procurati della pasta corta e rigata che quando si riempie di sugo diventa cibo degli dèi” “Lo sai che parli bene? - gli dico - sei più bravo di Richetto”. “Richetto era un asinello in tutto, ma se ci fossero state a scuola le materie “Maccheronica” o “Pasticceria e affini” ti assicuro che sarebbe stato promosso.” Mi accompagna a Catania dove prenderò l’aereo per Milano. Prima di salutarlo gli rivolgo un’ultima domanda: “Cosa mi risponderebbe Topo Gigio se gli chiedessi di dirmi qual è il suo cibo preferito?”

Ride e mi risponde con la voce che ha divertito generazioni di bambini: “Cosa mi dici mai… lo sai anche tu: una bella fetta di Groviera con i buchi ripieni di Gorgonzola”.

“Pasta con le sarde e la finocchiella selvatica alla Peppo” Ingredienti per 4 persone: 400 g di pasta, 1 kg di finocchiella selvatica, 500 gr di sarde pulite e disliscate, 50 gr di uva sultanina, 2 acciughe disliscate e dissalate, 50 gr di pinoli, 2 bustine di zafferano, 2 belle cipolle Preparazione: “faccio cuocere la finocchiella con due bustine di zafferano in acqua non molto salata, tolgo la finocchiella e metto l’acqua da parte perchè successivamente vi farò cuocere la pasta che assorbirà colore e sapore della finocchiella e dello zafferano. Friggo le sarde; metà le lascio intere e metà le spezzetto. Trito la finocchiella e la soffriggo insieme alle acciughe, alle sarde spezzettate, al’uva sultanina, ai pinoli e aggiungo un pizzico di zafferano. Faccio cuocere la pasta, al scolo e la mescolo con il soffritto preparato prima. Metto a strati in un tegame pasta, soffritto e le sarde non spezzettate. Pongo il tegame nel forno e lo faccio dolcemente “‘ncutturare” per 10 minuti e poi mi godo la pasta con gli amici bevendoci sopra del buon vino di campagna”.

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Le regine della cucina

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Spa

di Felice Maratea

Poker di Regine

Perché l’otto marzo sia davvero la loro festa, quel giorno le donne dovranno tenersi lontane dalle cucine e dalle pentole e la trascorreranno in piacevoli conversari o si dedicheranno ai loro hobby preferiti; al pranzo e alla cena penseranno i mariti, gli amanti, i fidanzati che - indossato il tradizionale grembiale - si recheranno in cucina per realizzare le ricette suggerite da un poker di Regine dei Fornelli alle quali ci siamo rivolti. Tra le molte cuoche che in varie parti d’Italia hanno reso celebri i loro ristoranti con straordinarie creazioni e invenzioni gastronomiche abbiamo scelto le quattro della nostra predilezione chiedendo scusa a molte altre signore della cucina altrettanto brave; ve le presentiamo e a loro chiediamo le ricette da regalare ai maschietti che per amore si improvviseranno cuochi.

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Claudia Verro - Ristorante “La Contea” - Neive La prima è Claudia Verro da 34 anni regina incontrastata de “La Contea” di Neive in provincia di Cuneo. Era appunto il 1977 quando con il marito Tonino, fresco sposo, decise di vivere l’avventura della ristorazione aprendo un ristorante nel ben palazzo Settecentesco di Piazza Cocito. In una terra come le Langhe, dove la buona cucina è una regola con pochissime eccezioni, non è facile imporsi all’attenzione dei buongustai; i Verro ci sono riusciti in poco tempo grazie anche alla loro simpatia e alla premura con cui circondano i clienti. Grandi chef non si diventa, si nasce, ma alcuni, pur avendo nel codice genetico il DNA dell’eccellenza, lo ignorano fino a che un fortunato accidente non rivela la loro qualità. Così Claudia, che era arrivata fino a vent’anni senza sapere neppure “cuocere un uovo nel padello”, (come aveva candidamente confessato al futuro marito) si è messa ai fornelli quasi per gioco, scoprendo di avere il tocco magico per trasformare in perfette creazioni le materie prime che Tonino le procurava, ed in poco tempo si è imposta all’attenzione della critica come una delle migliori cuoche d’Italia. La sua è una cucina di tradizione contadina che nasce dalle ricette di nonna Maria e dai consigli di nonna Rusin; ed ecco la riscoperta dei classici “Ravioli del plin”, della

soffice “Tartrà di spinaci”, del “Timballo al tartufo nero” ma si esalta e raggiunge le vette più alte in tempo di tartufi, anche perché Tonino è uno dei punti di riferimento di tutto il territorio per la ricerca e il commercio della divina “trifola”, “il gioiello della terra, cibo degli Dei”, come la chiamava Giovenale. Il piatto, re incontrastato della cucina di Claudia, è quello degli storici, favolosi, sensualissimi “Tajarin”, impastati a mano e tirati col mattarello come facevano i nonni, che quando arrivano in tavola in autunno subito scompaiono sotto la pioggia di tartufi che Tonino generosamente gli fa cascare sopra. Purtroppo marzo non è tempo di tartufi ma Claudia suggerisce agli uomini una piacevole versione: quella dei “Tajarin alle tre carni”; con questa ricetta ci sembra che i signori uomini non dovrebbero trovare grandi difficoltà. L’unico problema sarà quello di realizzare i “Tajarin” ma, per amore, si fa questo ed altro.

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Maria Teresa Besenzoni - Ristorante “Da Giovanni” - Alseno E’ ora la volta di Maria Teresa Besenzoni la regina del ristorante “Da Giovanni” che prende il nome dal papà di Renato suo marito; Giovanni Besenzoni lo acquistò 60 anni fa e con la moglie Carolina, straordinaria cuoca, ne fece uno dei più ricercati ristoranti dove poter gustare i piatti della tradizione. Immerso nella quieta di Cortina D’Alseno, nell’entroterra piacentino, il ristorante è un luogo ideale per la tranquillità e il riposo dove è piacevole ritrovare sapori del passato. Qui regna la tradizione più ghiotta e rigorosa e Maria Teresa ne è l’interprete attenta e puntuale.

E se qualche volta cede all’ispirazione del momento e alla fantasia, le asseconda nel rispetto dei prodotti che le arrivano dalla campagna, dalle colline, dall’orto. “Avere ospiti significa farsi carico della loro felicità” è una sua bellissima frase sulla quale dovrebbero meditare moltissimi chef anche fra i più titolati. Alcuni suggerimenti tratti dal suo menù: “Insalatina di gallina rossa verniciata con vinaigrette all’aceto balsamico e tartufo nero della Val d’Aveto”, “Timballo di cavolverza, code di gamberi e salsa al curry”, “Trancio di storione al Gutturnio” (antica ricetta piacentina), “Zuppa di cipolla chiusa nella sua sfoglia” e naturalmente, immancabili e superbi, i “Pisarei e fasò bazotti”. Ma per il piatto dell’otto marzo Maria Teresa ha scelto gli “Scampi marinati con salsa allo yogurt”.

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pur senza nessuna esperienza si è rivelata in poco tempo una cuoca di insospettate qualità frequentando dopo il matrimonio l’Università della suocera che ha seguito dapprima con umiltà e poi sempre più sicura e appassionata con quella intuizione che solo i grandi (nelle arti o in cucina) possiedono, e a poco a poco si è imposta all’attenzione dei critici che la considerano oggi fra i più grandi chef internazionali. Quando si è trattato di decidere il piatto per i maschietti la signora Nadia si è consultata con nonna Bruna che non ha avuto nessuna esitazione: “gan de fá i turtei de sücca” (devono fare i tortelli di zucca). Nadia però è intervenuta in difesa degli uomini; come potrebbero cuochi improvvisati rea-

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© Philip pe

Ed ecco ora Nadia Santini regina de “Al Pescatore” di Canneto sull’Oglio (MN) dove ha creato una cucina autentica, generosa, ricca di sapori, antica ma con intelligenti incursioni nelle novità. Il ristorante è stato inaugurato qualche decennio fa da Bruna e Giovanni Santini e subito si è imposto all’attenzione degli amanti della autentica cucina di una zona particolarmente favorita perché punto di incontro fra le culture di Lombardia del Veneto e dell’Emilia. I classici della tradizione che si gustavano al Pescatore non avevano eguali in tutta la regione; dal “Gras pistá” al “Sorbir d’agnoli”, al “Riso alla pilota”, allo “Stracotto di manzo o di cavallo”, alle “Coscette di rane con le erbe fini”... una festa per il palato e per lo spirito. Il figlio Antonio non ha avuto attrazione per i fornelli, ma è dotato di senso estetico e pratico e lo ha dimostrato scegliendo come sposa una bella laureata in Scienze Politiche che

Scaff

Nadia Santini - Ristorante “Al Pescatore” - Canneto sull’Oglio


lizzarli; questi tortelli sono il risultato di secoli e secoli di emozioni, secoli di sere di vigilia di Natale con tutta la famiglia riunita per la grande cena. E’ un cibo di amore dietro ai quali c’è tradizione, fantasia, poesia, cultura. Come potrebbero fare la sfoglia come ha insegnato nonna Bruna: aerea, liscia, delicata al tatto come il velluto? Sarà più semplice preparare il “foie gras alla frutta”.

Luisa Valazza Ristorante “Al Sorriso” - Soriso Completa il poker Luisa Valazza del “Sorriso” di Soriso: è la quarta regina che suggerirà agli uomini il piatto ideale da cucinare per le loro donne; anche lei come Nadia, Maria Teresa e Claudia è un’autodidatta che si è improvvisata cuoca solo dopo il matrimonio per aiutare la famiglia. Ogni gourmet sa che in un grande ristorante non c’è spazio per gli improvvisatori e i dilettanti; l’Alta Cucina è vocazione, esperienza, tradizione, cultura e anche buona scuola. Luisa, come le altre tre regine, sostituisce tutto ciò con l’impegno, la passione, la ricerca continua, la continua sperimentazione. Quando ha incominciato era del tutto inesperta di cucina, ma con il suo carattere forte e deciso sotto un’apparente fragilità dimentica la sua laurea in Lettere e si mette ai fornelli. Curiosa, attenta, si informa, osserva, si rimette continuamente in discussione con un istinto che va affinandosi di giorno in giorno. E il miracolo si compie. La sua mano si fa lieve e leggera, i suoi cibi pieni di fascino. Qualche anno prima fra condanne ed entusiasmi era esplosa la “nouvelle cuisine”; lei ne coglie con intelligenza i lati positivi: basa i suoi menu sull’orto, sul mercato, sui prodotti stagionali, adopera cotture che rispettano

la fragranza e la delicatezza delle materie prime, inventa accostamenti, fa esperimenti sempre nel rispetto della semplicità e delle origini popolari delle ricette; l’innata tendenza all’armonia che le deriva dai suoi studi classici la porta a dare importanza anche alla presentazione dei piatti, alla loro eleganza cromatica. Il successo è da Guiness dei primati: passare in 16 anni dall’uovo al tegamino alle tre stelle Michelin sognate da ogni grande chef sembra incredibile, ma la realtà è che oggi Luisa è una delle più grandi interpreti della cucina italiana. Anche a lai abbiamo chiesto una ricetta non troppo difficile da realizzare per non mettere a disagio i poveri cuochi improvvisati e questo è il suo responso: “Capesante con parmigiana di melanzane scomposta in salsa di parmigiano”.

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“Tagliolini al tuorlo alle tre carni” Ingredienti per 4 persone Impasto: 400 gr. farina di tipo 00 - 12 tuorli

d’uovo - un pizzico di sale Sugo: 100 gr. di polpa di vitello macinata - 100 gr.di polpa di maiale o salsiccia - 100 gr.di polpa di tacchino o coniglio - 2 spicchi d’aglio - 1/2 cipolla - 1/2 canna di sedano - 1/2 carotina - 1 foglia di alloro - qualche aghetto di rosmarinoPreparazione pasta: impastate la farina con i tuorli ed il sale e lasciate riposare. Tirate un foglio sottile, aspergendolo di farina gialla per farlo asciugare meglio: arrotolatelo su se stesso, tagliatelo con un coltello affilato a piccolissime striscioline. Se avete la macchina, passate il foglio una sola volta affinché rimanga ruvido e colga bene il sugo. Preparazione sugo: Fate rosolare nell’extra vergine d’oliva tutti i profumi tritati fini assieme alla carne tritata più grossolanamente, saltando il

tutto continuamente in padella in modo che la cottura avvenga velocemente e che il tutto sia ben rosolato. Condite i tagliolini servendoli caldissimi, naturalmente dopo averli fatti cuocere in abbondante acqua salata.

“Scampi marinati con salsa allo yogurt” - 1 mazzetto di prezzemolo - steli di erba cipollina - 1 limone - 1 dl di panna fresca - 100 g di yogurt greco - ciuffetti di soncino - 10 cucchiai di olio extravergine di oliva - sale - pepe Preparazione: sgusciare, sciacquare e asciugare gli scampi, metterli in una terrina e irrorarli con il gin, il succo filtrato del pompelmo, le foglie di menta, il ginepro e metà delle foglie di prezzemolo intere. Porre in frigorifero coperti e lasciate marinare per 3 o 4 ore, rigirando gli scampi di tanto in tanto affinché si insaporiscano. Emulsionare otto cucchiai di olio con il succo filtrato del limone, la panna, lo yogurt, il prezzemolo rimasto, due steli di erba cipollina tagliuzzati. Mescolare e trasferire la salsa ottenuta in una ciotolina. Scolare gli scampi dalla marinata, porli in una terrina e condirli con l’olio rimasto, una presa di sale e una di pepe. Distribuire l’insalata sui piatti individuali, dopo averla mondata e lavata; disporre sopra ogni piatto 5 scampi e decorare con tre steli di erba cipollina. Servire con la salsa allo yogurt.

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Ricette

Ingredienti per 4 persone: 20 code di scampi - 1 dl di gin - 1 pompelmo rosa - 4 foglioline di menta


“Foie Gras alla frutta”

© Francesca Brambilla

Ingredienti per 4 persone: 4 scaloppe di foie gras d’oca

o anatra delle spessore di 1/2 cm - 2 cucchiai burro - 4 cucchiai Vino Passito - 4 cucchiai brodo di carne - 1 rametto rosmarino - Sale grosso di Marsala Preparazione: mettete il burro in una padella in alluminio e lasciatelo riscaldare, unite il vino dolce e continuate la preparazione della salsa; l’ebollizione produce l’evaporazione della parte liquida mentre lo zucchero si ferma sulle pareti della padella e si caramella. Quando avrete un sottile strato di zucchero tostato bagnate le parti con il brodo in modo che si stacchi ed aromatizzate con il rosmarino. Continuate la cottura finchè avrete ottenuto una salsa morbida e vellutata. Mettete da parte la salsa ed aggiungete alcune gocce di aceto balsamico tradizionale, le amarene ed i lamponi. In una padella antiaderente sciogliete un pezzettino di burro, lasciatelo rosolare e quando inizia a fumare adagiatevi il fegato d’oca. Abbassate il fuoco per otterrete così una cottura più lenta ma perfetta. Girate le scaloppe, salatele e aromatizzatele con salvia e rosmarino, curate che entrambe le parti siano croccanti e dorate e che l’interno sia ben caldo. Servite con la salsa preparata e con frutta a piacere

“Capesante con parmigiana di melanzane scomposta in salsa di parmigiano” Ingredienti per 4 persone: 2 - 3 o 4 capesante a

testa (dipende dalla grossezza). 2 - 3 melanzane di media grandezza 1a salsa: 4 pomodori maturi tagliati e privati dei semi. - 1/2 cipolla - 12 foglie di basilico - 40 gr di olio extravergine di oliva, - sale - pepe - 2a salsa: un mazzo di basilico - 2 dl di olio extravergine di oliva - 1 cucchiaio di pinoli - sale - pepe - 3a salsa: 300 gr. di panna - sale - pepe - noce moscata - 50 gr. di parmigiano grattuggiato Preparazione 1a salsa: soffriggere la cipolla versare i pomodori e cuocere per 10 minuti aggiungere il basilico e cuocere per altri 6-7 minuti quindi passare il tutto al mixer e lasciare in caldo. - Preparazione 2a salsa: frullare tutti gli ingredienti fino ad ottenere una salsa omogenea, lasciare in disparte. - Preparazione 3a salsa: ridurre di un terzo la panna il sale , pepe e noce moscata aggiungere il parmigiano gratuggiato ed amalgamare.

Preparazione piatto: pelare le me-

lanzane tenendo la pelle molto lunga e tagliarla a julienne molto fine friggerla nell’olio bollente per alcuni minuti. Affettare le melanzane ottenendo dei dischi rotondi e molto sottili, dorarli in padella con un filo di olio e lasciarli su una carta assorbente. Rosolare da ambo i lati le capesante e passare alla preparazione del piatto. Disporre al centro del piatto un cucchiaio di salsa di pomodoro disporre 3 fette di melanzane appoggiarvi su ognuna le capesante richiudere con un’altra melanzana e ricoprire quest’ultima con le altre 2 salse, decorare con le pelle delle melanzane precedentemente fritte e con foglie di basilico.

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Ci rendiamo conto che i tempi e i costumi (o tempora, o mores!) non sono più adatti per proporre ai nostri lettori di usare una “terracotta da fuoco”. Confidiamo però sul fatto che i nostri lettori, certamente buongustai, sappiano che la buona cucina ha bisogno innanzi tutto di tempo, oltre che di dedizione. Ecco perché vogliamo parlare delle differenze che si riscontrano tra un piatto di legumi cucinato in terracotta e lo stesso piatto cotto in pentola di metallo (magari “a pressione”). La differenza c’è, eccome.

Cucinare nelle pentole di terracotta significa cuocere in modo sano e salutare, in quanto, grazie all’uniformità di temperatura che queste garantiscono, si arriva a ridurre i grassi e a esaltare i sapori. Sono adatte soprattutto per le lunghe cotture in umido (impiegano più tempo sia per raggiungere la temperatura d’esercizio, sia per raffreddarsi): lo stufato, il risotto, lo spezzatino, le varie zuppe, il ragù e i sughi in genere, il minestrone, i diversi tipi di legumi, il pesce, lo zampone… Chi da bambino è vissuto nell’Italia rurale

L’artigiano in cucina

di Bruno Goglione

La terracotta da fuoco

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certamente ricorderà la panciuta pentola di coccio rossiccio posta perennemente di fianco alla brace del camino che emetteva un borbottio, lento e persistente, come una nenia, segno sicuro che i fagioli al suo interno erano pronti per essere versati su una fetta di pane abbrustolito e gustati con un filo d’olio nuovo. L’uso delle pentole di terracotta comporta la necessità di adoperare più di un accorgimento anche se hanno il pregio e la funzionalità di essere portate dal fuoco direttamente a tavola: sono ingombranti, fragili e sensibili ai repentini sbalzi termici; ogni volta, prima di adoperarle, è buona norma immergerle in acqua per qualche minuto e, do-

© Cosediargilla (4)

po l’uso e il relativo lavaggio, riporle asciutte. Durante l’utilizzo è bene frapporre tra fuoco e pentola una retina spargifiamma; possono essere lavate in lavastoviglie e in caso di lavaggio a mano è sconsigliabile l’uso di spugne abrasive e pagliette. Appena dopo l’acquisto è opportuno immer-

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La bottega si basa sull’attività di tre persone - Riccardo appunto, Bianca e Simona ognuna incaricata di portare avanti uno specifico settore di lavorazione, al fine di creare “qualcosa senza tempo”. Qui si producono (o, meglio, si creano) pentole in coccio di ogni forma e dimensione alte, larghe, panciute, basse, sottili, con o senza manici e coperchi, a forma di ciotole e di bicchieri (con il coperchio conico - tajine), tutte buone per cucinare le più raffinate prelibatezze (non da tenere in cucina, solo come soprammobili, a prender polvere). Si potranno avere anche tutti i possibili consigli e perfino alcune esotiche ricette. Per maggiori info: www.appenasfornati.com

© Cosediargilla (2)

gerle in acqua fredda (alcuni sostengono in acqua tiepida) per almeno una nottata e successivamente strofinare il fondo con uno spicchio d’aglio per sigillarne i pori. Il buongustaio “vero” suggerisce d’impiegare una pentola di coccio per ogni pietanza da cucinare in quanto ritiene che la porosità della terracotta trattenga i sapori e gli aromi che durante la cottura si sviluppano al suo interno. Certo, gli accorgimenti di cui sopra sembrano eccessivi per la frenetica vita moderna, ma se si vuole sentire il gusto di piatti “unici”, questo è il prezzo da pagare. Dove acquistare pentole di terracotta, con la garanzia che abbiano le giuste caratteristiche, buone per farci gustare sapori estremamente ricercati, che non abbiano decorazioni o comunque non siano decorate con pigmenti tossici? Suggeriamo un laboratorio artigiano - “Cose di Argilla” - Via Dante, 17, Oltrona San Mamette, (Como) di Riccardo Ferri, che lavora la terracotta secondo la più antica tradizione del tutto fatto a mano con “acqua, terra, fuoco e un pò di cuore”.

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di Raffaele Montagna

Le ricette delle donne

Donna, tutto si fa per te “Donna, tutto si fa per te, tutto, pur di piacere a te. Tutto per un sorriso...”; così negli anni Sessanta cantava il Quartetto Cetra ed è questa la canzone ideale per introdurre la nostra nota sulle ricette ispirate dalle donne o a loro dedicate; alle donne della storia, della letteratura, della musica . Il magistrato Anthelme Brillat-Savarin - vissuto al tempo della rivoluzione francese e ricordato non tanto per i trattati di diritto quanto per aver scritto il volume “Fisiologia del Gusto” - immaginò che le Muse, figlie di Giove, non fossero soltanto le nove che la mitologia ci ha tramandato, ma che se ne dovesse aggiungere una decima a presiedere l’“Arte della Gastronomia”. Il suo nome?: “Gastarea”, da immaginare come una fanciulla divinamente bella e da rappresentare con la mano sinistra appoggiata a un fornello e con la destra a tenere il prodotto più caro ai suoi adoratori.

“Pasta alla Norma” Il catanese Vincenzo Bellini, musicista e compositore di eccelse melodie, era l’artista più noto e pagato del suo tempo. La sua opera lirica più celebre è senz’altro “Norma” (la “prima” - rappresentata al Teatro Alla Scala di Milano - fu un clamoroso fiasco; successivamente divenne la più popolare tra le dieci composte dal Maestro nel corso della sua breve esistenza: morì, compianto dall’Europa intera, a soli 34 anni) - famosissima è la cavatina dal I° atto “Casta diva”. Si racconta che a Catania, la sua città natale, nel corso di un pranzo tra artisti, fu servito un piatto di pasta condito con ricotta, sugo di pomodoro, melanzane fritte e basilico.

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Talmente apprezzata fu la pietanza da far affermare ad uno degli ospiti, che poteva essere paragonata a Norma.

“Capelli di Lucrezia Borgia” Di Lucrezia Borgia, non tanto la storia quanto i libellisti ci hanno tramandato un ritratto di “femme fatale”, che è stato ancor più marcato dalla fantasia dei romanzieri e dalla filmografia. Vero è che fu oggetto della spietata politica familiare - orchestrata dal Padre, Papa Alessandro VI Borgia e dal fratello, Cesare, detto il Duca Valentino - e fu concessa diverse volte in matrimonio, per soddisfare le loro ambizioni di potere: visse trentanove anni, ebbe tre mariti, tanti amanti, otto figli! Come vero è che da quando divenne moglie di Alfonso I d’Este, Duca di Ferrara, Lucrezia promosse le lettere e le arti e si contornò delle più fulgide intelligenze del Rinascimento. Pare che possedesse una bellezza mozzafiato, accentuata dagli occhi azzurri e dai lunghi e biondi capelli.

Sembra che siano stati proprio i capelli di Lucrezia ad ispirare il cuoco di corte di Giovanni Bentivoglio, Governatore di Bologna, nel creare un piatto, fatto con lunghe striscioline di pasta fresca, che oggi chiamiamo tagliatelle.

“Pizza margherita” La pizza ha origini antichissime. Il nome deriverebbe da pinsa, (dal verbo latino pinsare, cioè schiacciare, pestare) È a Napoli che ha origine la sua storia (di piatto povero, fatto con ingredienti semplici e in qualche maniera sempre disponibili: farina, lievito, olio e sale), dove già nel Seicento si consumava una pizza bianca, condita con aglio, olio o strutto e sale grosso. Con l’arrivo del pomodoro, nel corso del Settecento la pizza assume i caratteri che oggi conosciamo. Già molto apprezzata da Re Ferdinando I di Borbone, trova un secondo sigillo regio in oc-

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casione della visita a Napoli dei reali d’Italia Umberto I e la consorte Margherita, alla fine del XIX secolo. La pizza è già famosa non solo in Europa, ma addirittura in America, poiché ha varcato l’oceano per seguire i nostri emigranti ed è gradita da tutti. Umberto e Margherita esprimono il desiderio di assaggiarla e il pizzaiolo Raffaele Esposito ha l’onore di preparare le pizze per i Sovrani; tra le specialità del suo repertorio vi erano la “pizza bianca” (aglio, olio e sale grosso), la “pizza alla marinara” (pomodoro, acciughe, aglio e olio) e la “pizza pomodoro e mozzarella” (pomodoro, mozzarella, aglio, origano e olio). La regina rimase colpita dalla bontà di quest’ultima; si complimentò con Esposito, il quale, inorgoglito per tanto onore, la battezzò “pizza Margherita”.

“Filetto alla Pompadour” La marchesa di Pompadour influenzò la politica francese per oltre un ventennio in qualità di favorita del Re Luigi XV, detto il “beneamato”, ma di fatto un uomo egoista, donnaiolo,

lussurioso e pavido. Jeanne Antoinette Poisson - questo era il suo nome, prima di diventare la Marchesa di Pompadour - aveva una sfrenata ambizione, era un’arrivista che seppe legare a sé il Re usando ogni mezzo, lecito ed illecito. Una leggenda vuole che le proporzioni della prima coppa prodotta per bere lo champagne fossero prese sulla base delle misure del suo seno, piccolo e tondo.

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Madame de Pompadour amava particolarmente la cuisine d’amour e in modo particolare gli ingredienti cosiddetti afrodisiaci, quali tartufi, cioccolato, ostriche, gamberi di fiume e spesso sovrintendeva alla scelta dei menu.

“Carciofi di caterina dè Medici” Caterina dé Medici, donna tracagnotta, bruttina, con gli occhi grossi e un pò all’infuori tipici dei Medici, sposò a quattordici anni Enrico II di Francia, in un matrimonio di convenienza stipulato per sistemare alcuni “affari” tra il Papa Clemente VII, la Signoria Fiorentina e la Casa d’Orleans. Fu una figura femminile di rilievo, e senz’altro una delle più grandi regine di Francia (anche se la strage di San Bartolomeo, ai danni degli Ugonotti - protestanti francesi di tendenza calvinista ne offusca non poco la personalità); possedeva intelligenza, autocontrollo, accortezza, capacita di dissimulare, riservatezza: le mancava solo la bellezza che, comunque, compensava con un

fascino tutto particolare, con la grazia della conversazione, con la cultura; proteggeva le arti e conosceva il greco ed il latino. A Parigi volle i suoi cuochi e i suoi pasticceri fiorentini che portarono alla rustica, ma fastosa corte francese gli aromi, i profumi e le raffinatezze della cucina toscana: introdusse l’uso della forchetta, che portò qualche comico scompiglio all’etichetta di corte, per il fatto che i commensali non la sapevano maneggiare. Ricordiamo ai nostri lettori che potranno trovare le ricette citate in questo articolo sul sito www.gustarelitalia.it nella sezione “Ricette”.

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In tavola

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Il segno dei Pesci è iniziato il 20 febbraio e terminerà il 21 marzo. Ai nati sotto questo segno dedichiamo una fantastica cena ambientata all’”Albereta Relais & Chateaux” di Erbusco

© Archivio Gualtiero Marchesi

di Cino Tortorella

A tavola con le stelle

La cena dei pesci

Il segno dei pesci è il dodicesimo segno dello Zodiaco, un segno d’acqua rappresentato da due pesci ognuno dei quali nuota in direzione opposta. Il suo giorno favorevole è il giovedì, il numero fortunato il 9, suoi colori il blu e il porpora, suoi profumi il glicine e l’incenso, suoi fiori l’iris e il gelsomino, pietre preziose l’acquamarina, l’ametista e il turchese, il metallo l’argento. I nati sotto il segno dei Pesci hanno un carattere complesso: a volte forte e positivo, altre volte dubbioso e insicuro perché senza certezze e in continua lotta con se stesso.

Spesso estroversi e ottimisti, all’improvviso si rinchiudono senza motivo apparente. Questa ambiguità crea però, stranamente, intorno a loro un clima di fascino e di mistero che attira l’altro sesso ed è forse per questo che hanno notevole fortuna in amore. In amore sono sensuali e aggressivi, ma sanno essere anche romantici e delicati; amano l’arte e non a caso sono di questo segno i più grandi musicisti, pittori e scrittori di tutti i tempi. Sotto questo segno hanno avuto i natali grandi musicisti: Chopin, Rossini, Ravel, Strauss, Mussorskij, Vivaldi; straordinari poe-

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ti e scrittori: Manzoni, Tasso, Hugo, D’Annunzio; autori di immortali opere teatrali: Ibsen, Carlo Goldoni; pittori di capolavori come Botticelli, Tiepolo, Renoir e Michelangelo, il più grande. Tendono a stringere legami profondi e duraturi, basati sulla stima e sul rispetto; le loro doti sono la tenerezza, il romanticismo, la serietà sul lavoro. A tavola sono contro la monotonia e la ripetitività; la tradizione non è per loro di fondamentale importanza: loro chef ideali sono quelli imprevedibili e fantasiosi come Carlo Cracco, Alain Ducasse e Gualtiero Marchesi, il primo chef italiani che ha rivoluzionato il mondo polveroso della gastronomia importando i principi di quella che è stata in Francia la “nuovelle cuisine”. E’ anche lui nato sotto il segno dei Pesci, il 19 marzo, ed è proprio da lui, nel suo rifugio di Erbusco, che si celebrerà la “Cena dei Pesci”. La data scelta da Gualtiero è l’otto marzo, giorno della Festa della Donna, e ha deciso perciò di accogliere un gruppo di vip tutti appartenenti al gentil sesso.

Ma poiché anche gli uomini nati sotto il suo segno non vogliono mancare a questa cena eccezionale, Marchesi ha deciso di ospitarli separatamente anche se il menu sarà uguale per tutti. Ed ecco che la sera di martedì 8 marzo gli abitanti di Erbusco vedono passare per le viuzze del paese una lunga fila di macchine nelle quali riconoscono, non senza sorpresa, alcuni celebri personaggi del mondo dello spettacolo: Gabriella Carlucci (28 febbraio), Veronica Pivetti (19 febbraio), Athina Cenci (13 marzo), Ornella Muti (9 marzo), Fiordaliso (19 febbraio), Syria (26 febbraio), Sabrina Salerno (15 marzo), Federica Moro (20 febbraio), Paola Quattrini (9 marzo), Sandra Milo (11 marzo). Qualcuno non crede ai propri occhi quando riconosce in altre auto Liza Minelli (12 marzo), Sharon Stone (10 marzo), Cindy Crawford (20 febbraio) e - incredibile ma sono proprio loro! - Shirley Mac Laine (24 febbraio), Elizabeth Taylor e Ursula Andress. Ormai la strada che porta verso l’”Albereta” è gremita di gente che quasi impedisce alle macchine di procedere; ed ecco che arrivano anche gli ospiti maschili, tra i quali Lucio Dalla (4 marzo), Antonello Venditti (8 marzo), Riccardo Cocciante (20 febbraio), Johnny Dorelli (20 febbraio), Teo Teo-

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© Archivio Gualtiero Marchesi (2)

coli (25 febbraio) e Claudio Bisio (19 marzo); poi ecco Giovanni (20 febbraio) incredibilmente senza Aldo né Giacomo, ecco Alessandro Gassman (27 febbraio), Gene Gnocchi (1 marzo) con Tullio de Piscopo (24 febbraio) e Carlo Conti (13 marzo). E in quest’altri chi sono? No, non è possibile… eppure sono proprio loro: Sidney Poitier (24 febbraio), Omar Shariff (15 marzo), Bruce Willis (19 marzo)… Nell’auto che arriva per ultima ci sono quattro signori che nessuno conosce; eppure sono tra i più grandi registi di cinema e teatro (ma questo è il destino di chi sta dietro le quinte o dietro la cinepresa): sono Luca Ronconi (8 marzo), Luis Bunuel (12 febbraio), Luc Besson (18 marzo) e Bernardo Bertolucci (16 marzo). Ora le macchine hanno raggiunto l’”Albereta” e gli illustri ospiti sono accolti da un piccolo esercito di camerieri che li accompagnano ai propri tavoli; le signore, come d’accordo, nella bella sala che si affaccia sul parco; i signori nell’altra.

Il menu è uguale per tutti ma Gualtiero lo ha dedicato esclusivamente alle signore per celebrare la loro festa. La cena sta per avere inizio ed è una piacevole attesa perché chi conosce Gualtiero sa che sta per vivere un’emozione gastronomica come ogni volta che ci si avvicina alla sua tavola e che questa sera supererà se stesso; il via viene dato da un pannello posto nella sala dove hanno preso posto le signore, sulla parete di fondo. Ecco che si apre lentamente e scopre al di là di una vetrata, la silenziosa orchestra di esecutori vestiti di bianco intenti ad eseguire le creazioni del Maestro Gualtiero direttore e concertatore. Le note di quelle composizioni non si ascoltano, si guardano, si respirano, si assaporano e sono ogni volta motivo di piacere quando arrivano i piatti. Come accade con l’antipasto che apre splendidamente la cena:

“Merluzzo sfogliato con verdure alla russa” del quale si può avere la ricetta anche se, come accade smpre con i cibi dei grandi della cucina, sarà quasi impossibile ripro-

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durli se non facendone una banale imitazione. Come è impossibile infatti ricreare l’altra straordinaria invenzione di Gualtiero:

Alla tavola di Gualtiero si capisce l’importanza delle campane d’argento, le “cloche” che coprono le portate quando vengono poste davanti ai commensali per essere poi tolte contemporaneamente dai camerieri. Questo gesto spesso solo banale e inutilmente coreografico, da Gualtiero è importante: è un gesto di magia per scoprire una emozione. Via la “cloche” dunque ed eccolo il piatto: potete vedere qui accanto come apparirà alle ospiti, apprezzarne l’armonia cromatica, sempre perfetta, peccato non poter avvertire il piacere che dà al palato l’accostamento apparentemente ardito del miele e della cannella all’aggressivo pecorino; è un piatto moderno che avrebbe avuto un grande successo presso le corti rinascimentali. Dove però sarebbe ahimè mancato il vino scelto da Gualtiero per rendere perfetta la

sua creazione: il “Franciacorta Gran Cuvée Brut Rosé” che Moretti ha inventato 4 secoli dopo per la gioia dei gourmet. C’è anche un sottofondo musicale; lo hanno deciso i musicisti della famiglia Marchesi: la compagna della sua vita, la dolce signora Antonietta, concertista di pianoforte, la figlia Susanna (arpa), i nipoti Guglielmo (violino), Bartolomeo (violoncello), Lucrezia, Michele e Clio (pianisti). All’unanimità hanno scelto uno spiritoso brano per pianoforte di Erik Satie: “Trois morceau en forme de poir”, “Tre pezzi a forma di pera”. E’ adesso la volta di un’altra creazione del divino Marchesi:

“Code di gambero con punte di asparagi e tartufo di Norcia” Come in ogni suo piatto qualcuno ha il sospetto che certi accostamenti siano fatti per stupire, ma poi si scopre invece che ogni abbinamento inusuale, anche il più ardito, nasce dalla padronanza assoluta della materia e della tecnica unita alla fantasia di un artista.

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© Archivio Gualtiero Marchesi (2)

“Penne con miele, cannella e Pecorino”


© Archivio Gualtiero Marchesi

Non doveva essere diversa la meraviglia di un innamorato della musica che all’inizio del secolo avesse ascoltato per la prima volta le audacie timbriche, le invenzioni ritmiche, la sensualità armonica delle opere di Stravinskij. Come lui, Gualtiero, che se non fosse diventato il grande chef che conosciamo sarebbe stato grande musicista, è eclettico, sorprendente, curioso di ogni novità; i suoi ritmi sono spesso asimmetrici, le combinazioni strumentali fra le più svariate, ma in fondo si sente sempre il legame con la sua terra, la presenza della tradizione. E’ ora la volta del

“Petto di pollo alla Kiev secondo Gualtiero Marchesi” un altro piatto che certo sarà imitato da molti suoi colleghi, come gli è successo altre volte. Per comprendere il genio di Gualtiero basta misurare l’invidia di cui è fatto bersaglio da critici e colleghi. Secondo Erodoto l’invidia per chi ha successo non risparmia nessuno, nemmeno gli dei; ci sono però categorie che ne sono partico-

larmente colpite: il mondo dello spettacolo, della moda, della letteratura, e non ultimo certo il mondo della gastronomia. Anche lui certo non ha un carattere facile; pochi sono come lui orgogliosi, scorbutici, intolleranti; la Natura che peraltro è stata molto generosa non l’ha dotato del dono dell’umiltà. Ma almeno lui, a differenza di molti suoi detrattori, può permetterselo perché c’è tutta la sua storia a testimoniarne la genialità e la fantasia: può essere insopportabile, irascibile, scostante, imprevedibile, ombroso, ma non è mai finto, mai ipocrita, non scende mai a compromessi anche se gli costa caro ed è sempre pronto a pagare di persona. E’ infine un campione di democrazia: “L’umanità - sostiene - si divide in due grandi categorie: chi la pensa come me e chi ha torto”. Siamo al momento del dessert, ma ecco che si verifica

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© Archivio Gualtiero Marchesi

un fatto inatteso; c’è un’irruzione nella sala delle Signore da parte degli uomini: l’ultimo brindisi vogliono farlo insieme. Qualche timida reazione, poi le Signore, ridendo, acconsentono e finalmente la sala si anima. Viene versato nelle coppe uno strepitoso “Bellavista Vittorio Moretti Riserva 2002” mentre arriva in tavola il dolce.

“Fondente al cioccolato con succo di ribes rosso”

© M. Borchi

Un clamoroso applauso conclude la straordinaria cena e Gualtiero lo accoglie insieme alla sua troupe di allievi che arrivano da tutto il mondo. Lungo è l’elenco degli chef che hanno affinato la loro arte ai fornelli di Gualtiero: Carlo Cracco, Davide Oldani, Andrea Berton, Paolo Lopriore e molti altri. Qualcuno fa finta di averlo dimenticato perché poche sono le categorie così lontane da sentimenti di riconoscenza come chi si occu-

pa di cucina. Chi ha scritto “Iddio fece il cibo, il Diavolo i cuochi?”. Il momento dell’addio è davvero difficile per gli illustri ospiti; abbandonare l’Albereta dopo una cena officiata da Gualtiero è veramente un peccato; molti rimpiangono di non essere insieme al proprio partner, qualcuno cerca di coinvolgere qualcuna e ci riesce. Non è un’impresa difficile perché l’Albereta è un luogo d’amore, un’emozione creata da Vittorio Moretti e dalla figlia Carmen, che più gli è stata vicino nella creazione del suo so-

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ma il vino in spumante, dopo aver bevuto il primo bicchiere chiamò gli altri frati ed esclamò: “Sto bevendo le stelle”; quando il soffitto della suite si aprirà, i fortunati ospiti vedranno davvero le stelle entrare nei calici e confondersi con le perline che vi brillano. Su di un foglio, accanto al secchiello dello spumante sono scritti i versi di Rabindranath Tagore, perfetti per una notte di magia:

© Archivio Gualtiero Marchesi

gno: trasformare l’antica dimora di fine Ottocento nel più delizioso e raffinato relais; e vi ha dedicato la sua sensibilità, la sua cultura, il suo innato gusto estetico che si ritrovano nella scelta dei mobili, degli arredi, dei marmi pregiati, dei quadri e delle sculture di grandi maestri contemporanei. Carmen ha deciso che a “L’Albereta” ogni giorno dovrà essere San Valentino e perciò due innamorati, qualunque sia la camera scelta, si ritrovano in un luogo di eleganza dove ogni particolare è studiato per il piacere. Il suo capolavoro è la suite all’ultimo piano di Torre Bellavista, la preferita da Sofia Loren che vi fu ospite per un mese durante le riprese di un suo film. È un sogno per chi vi trascorre la notte. I balconi che si affacciano sui vigneti sono già una visione emozionante, ma un’emozione ancora più grande, esclusiva della Cabriolet Room nella Torre Lago, è provocata da un congegno che rende possibile fare sparire il soffitto. Due fortunati vip dei quali si ignora il nome sono riusciti incredibilmente ad aggiudicarsela sfuggendo ad ogni pettegolo curioso e vi trascorreranno una notte che sarà incantata e stellata. Accanto al letto sarà pronta una bottiglia di “Franciacorta Gran Cuvée Pas Operé”, uno dei capolavori delle cantine Bellavista. Si racconta che Dom Perignon, il frate benedettino inventore del processo che trasfor-

“E’ sera. E’ l’ora in cui i fiori chiudono le loro corolle. Concedimi di restare al tuo fianco e ordina alle mie labbra di fare quello che può farsi in silenzio al tenue raggio delle stelle.”

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di Felice Maratea

Peccati di gola

Il culatello di Zibello

Ma perché chiamarli ‘peccati’? Peccato è l’invidia, la superbia, l’avarizia… perché avvicinare la gola e queste perversioni? Si dovrebbe per lo meno fare distinzioni: è peccato ingurgitare certi cibi serviti nei fast food, certi intrugli nelle osterie di quart’ordine, ma come si può dire che si sta peccando mentre si mangia un piatto di Tajarin ricoperti da una pioggia di tartufi o ostriche appena arrivate da Belon o il culatello affettato in una trattoria della Bassa Emiliana, magari a “La Buca” di Zibello? Il culatello, anzi ‘sua maestà il culatello’ come dicono con enfasi da quelle parti… pensare che c’è qualcuno che non lo ha mai assaggiato e non commetterà certo peccato quando lo assaggerà ma ne resterà colpito, incantato, ammaliato. Avvicinarsi al culatello per la prima volta è co-

me scoprire Mozart, come dare il primo bacio al primo amore, come tuffarsi nelle acque incontaminate di un lago alpino in una quieta sera d’estate. Sono trascorsi più di 50 anni e ho ancora vivo il ricordo e l’emozione del mio primo culatello. Maggio ’57 trattoria “Cantarelli” e Samboseto, era anche la prima volta che mi avvicinavo alla magica cucina della signora Mirella… Peppino me lo servì con gesti solenni, quasi ieratici e quando vide che stavo per metter mano al coltello e forchetta: “Con le mani” mi sussurrò. Con le mani quindi portai alla bocca quella delizia e fui avvolto da un piacere intenso che ogni volta si rinnova con la stessa emozione come un gesto d’amore che si ripeta, ogni volta che torno a gustarlo a Zibello. Da quando si fa il culatello? Qualcuno vorrebbe farlo risalire al addirittura al 1300 ma sem-

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bra che esageri un po’; eppure mi piace immaginare che sia nato dalla fantasia raffinata di un contadino medievale per ingraziarsi il suo signor principe e che questi lo abbia ripagato regalandogli una contea o un ducato Il culatello è nato nella provincia di Parma perché non poteva nascere altrove, è un cibo inventato per l’allegria in una terra dove è proibita la malinconia, dove i pensieri tristi evaporano come al mattino le nebbie fumarole che vi hanno trascorso la notte. Nella terra dove i paesi si chiamano Paroletta, Straconcolo, Toccalmatto, Ragazzola, Cà dei Gatti, tutto era pronto da secoli perché qualcuno inventasse il culatello. C’era la nebbia del grande fiume che lo avrebbe cullato con amore, il carattere della gente che lo avrebbe saputo gustare ed apprezzare, l’aria, il sole, la cultura. Quale geniale poeta ha pensato per primo di isolare la parte della coscia del maiale per destinarla a diventare culatello, rifilarla, salarla, ‘investirla’ nel ‘sunsen’ e legarla dandogli la classica forma a pera? Come ha potuto intuire che le nebbie del grande fiume avrebbero dato l’ultimo tocco, insieme al buio e al silenzio, per portare la sua creazione alla perfezione? Quante melodie eterne di Verdi si devono al culatello? Quanti deliziosi racconti del mondo piccolo di Giovanni-

no Guareschi? Quante liriche di Gabriele d’Annunzio che lo chiamava ‘delizia golosa’ e se ne dichiarava ‘cupidissimo amatore’? A “La Buca” ne producono circa 300 all’anno in modo rigorosamente artigianale; la lavorazione iniziale è riservata ai mariti ma ogni operazione che riguarda la stagionatura è compito squisitamente femminile perché ‘i culatelli vanno curati come i bambini’. L’unica differenza è che, invece di crescere, calano di peso; ineluttabilmente da maggio a dicembre se ne va quasi il 50% come se misteriosi e inafferrabili ladri si aggirassero per la cantina. Culatello, dunque, per dare splendidamente avvio ad ogni pranzo nella Bassa (magari anche per chiuderlo). E non c’è bisogno poi di rivolgersi al confessore perché, ve lo giuro, non è peccato. L’ultima volta che l’ho mangiato alla “La Buca” di Zibello, quando uscii mi fermai un attimo a gustare tutto l’incanto di una limpida sera. Il giorno se ne stava andando in un tramonto di colori tenui e delicati e dalla porta della cantina tra poco sarebbe entrata la nebbia che si stava alzando dal grande fiume per andare a dare il suo umido abbraccio ai culatelli addormentati. Le prime ombre mi sorpresero mentre, tornando sull’autostrada, attraversai Samboseto passando davanti a quella che fu la trattoria Cantarelli; mi tornò alla mente il ricordo del Peppino e della Mirella che se ne sono andati in silenzio qualche anno fa– quante volte uscendo da quelle porte ho visto le stelle più vicine? ‘Dove siete adesso, amici cari?’ mi chiesi. E mi piacque pensarli in Paradiso mentre la signora Mirella con i suoi tortelli e i suoi savarin di riso stava incantando gli angeli.

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© Arte Ricami

di Bruno Goglione

L’artigiano in tavola

La tovaglia: segno di decoro, raffinatezza e buon gusto

In una vecchia cassapanca di noce massello scolpita negli spigoli e nei riquadri centrali, curiosando tra tanti cari cimeli famigliari, insieme ad un cappello da bersagliere, alcuni diari ingialliti dal tempo, una fascia azzurra da ufficiale, fotografie scattate agli inizi del Novecento, qualche quaderno con la copertina nera, ho rinvenuto, mezzo mangiucchiato dai tarli, un documento datato 21 aprile 1891 scritto con calligrafia raffinata e svolazzante, che elenca il corredo della mia bisnonna materna, redatto verosimilmente dal padre in occasione delle sue nozze.

Tra le dozzine di camicie in tela di lino, con pizzi a tombolo, i fazzoletti in tela batista guarniti di merletti inglesi, le mantelline con scuffia da notte in punto Venezia, le vesti da camera provviste di pizzi d’oro e d’argento, le tante paia di lenzuola con le federe ricamate e gli asciugamani con le frange, spiccavano nove tovaglie grandi per 24 commensali, in tessuto di Fiandra, completate da altrettanti tovaglioli. E già, le tovaglie! Oltre a quelle sacre e preziose, usate per guarnire gli altari, per tutta la storia dell’umanità hanno rappresentato

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Tra le aberrazioni contemporanee spiccano le cosiddette “tovagliette americane”, create per una tavola giovane, colorata, pratica ed elegante; preferiamo un altro tipo d’eleganza, una bella tovaglia, bianca, in puro lino, in cotone pettinato, in tessuto di fiandra, con pizzi e ricami, magari da usare per particolari occasioni. Se la tovaglia è un segno di distinzione, una di quelle “preziose”, perché “impreziosite” dal lavoro attento e preciso di una ricamatri-

© Patrizia Piccaluga

un segno di raffinatezza e di amore per la tavola imbandita, e allo stesso tempo hanno testimoniato lo stile ed il bon ton della padrona di casa. La tovaglia ha origini antichissime che rimontano al terzo secolo prima dell’era cristiana; prove sicure attestano che a Roma, alla fine dell’era repubblicana, imbandire il desco con la tovaglia era considerato espressione di civiltà e d’eleganza. Nel Medioevo la tovaglia acquista sempre maggiore considerazione poiché si pone attenzione sia alla qualità dei tessuti, sia ai colori, per accordarli con le stoviglie e talvolta con le tonalità dei cibi. Nel suo “De honesta voluptate et valetudine” (interessantissimo e avveniristico trattato di gastronomia), l’umanista Bartolomeo Sacchi detto il “Platina” - direttore della Biblioteca vaticana - consigliava di usare le tovaglie di colore bianco perché, a suo giudizio, le colorate avrebbero potuto disturbare l’umore dei commensali. Con il Rinascimento la tovaglia entra a far parte della vita quotidiana della nobiltà e assume la funzione di tovagliolo (non ancora “inventato”): si arricchisce di decorazioni anche colorate, di ricami e di merletti. Dal ’500 in poi gli arredi della tavola seguono le diverse mode: nel secolo successivo si sperimentano i “damaschi” e nel Settecento le tovaglie, rigorosamente bianche, si allungano fino a toccare terra, mentre ai tovaglioli si da anche una funzione ornamentale attraverso pieghe e fogge spettacolari.

ce, non deve mai mancare tra le dotazioni della casa. Il ricamo è un’arte e senz’altro antica, di cui si potrebbe tracciare la storia; in Italia pare che sia arrivata durante la dominazione araba in Sicilia: la prima scuola di ricamo venne istituita infatti a Palermo, all’inizio del secolo XI. Abbiamo selezionato per i lettori di “Gustare l’Italia” alcuni laboratori artigiani in grado di soddisfare l’eventuale voglia di “impreziosire” la tavola.

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“Arte Ricami”

© Arte Ricami

Propone, ormai da due generazioni, creazioni particolari su tessuti pregiati che riprendono e reinterpretano, con ricercatezza e buon gusto, la tradizione del ricamo italiano. Tutti i lavori sono eseguiti unicamente da abili mani femminili, che realizzano anche capi “su misura” con disegni proposti direttamente dai clienti. Punto vendita: via Mazzini, 35 - Sarzana (SP) Per info: www.artericami.it

“Ricami d’arte - Patrizia Piccaluga”

“Rosalba” Offre una vasta scelta di fibre, colori e ricami originali, garantendo tessuti naturali, in lino, cotone, seta, interamente ricamati a mano con lavorazione artigiana. Punto vendita: via Sant’Andrea, 25 - Milano Per info: www.rosalba-milano.it

© Rosalba Milano

© Patrizia Piccaluga

Esegue, in maniera totalmente artigianale, ricami, applicazioni filet, ricami ad intaglio, sfilature, crochet; i suoi lavori possono essere resi esclusivi ed unici secondo i desideri del cliente e in base alla scelta dei tessuti; ed è proprio questo il senso del vero artigianato. Per una serata “speciale”, quando si vorrà “fare colpo” su ospiti importanti, sarà bene

apparecchiare con una raffinata tovaglia di Fiandra, amorevolmente ricamata. Per info: www.piccaluga.it

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Le ricette Le ricette “dei bambini” Le ricette “dei single” Le ricette “afrodisiache” Le ricette “con giudizio”

Inserto speciale 1

Le ricette “del sorriso”

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Le ricette di “Gustare l’Italia” A partire da questo numero “Gustare l’Italia” dedicherà alcune pagine a ricette create dai più famosi chef per lettori che desiderano realizzare piatti particolari adatti alla loro personalità e ai loro problemi. Per esempio le “ricette dei bambini” interesseranno certamente le mamme impegnate nella lotta quotidiana per far mangiare ai figli più piccoli qualcosa di diverso dalla pastasciutta al burro o dalle patatine fritte; le “ricette dei single” saranno certo gradite da coloro che vivono da soli e pur non avendo molto tempo per cucinare desiderano gustare un buon piatto; le “ricette dell’amore” infine sa-

ranno sicuramente ben accolte dagli innamorati che desiderano festeggiare, magari in modo un po’ trasgressivo una serata particolare; “le ricette…con giudizio” non potranno non interessare i circa tre milioni di italiani che convivono con il diabete, così come le “ricette del sorriso” saranno accolte con entusiasmo dai gourmet con problemi di masticazione. Ci auguriamo che l’iniziativa incontri il vostro gradimento; se avete suggerimenti da darci saremo ben lieti di accoglierli. Sulle pagine della rivista saranno pubblicate solo alcune ricette ma potrete trovarne molte di più sul sito www.gustarelitalia.it

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“Polpettine di pesce”

“Sformato di carciofi”

Ingredienti per 4 persone: 500 gr. di filetto di

merluzzo, 1 patata di media grandezza, un cucchiaio di olio di oliva extravergine, il succo di mezzo limone, aglio, un mazzetto di prezzemolo.

Ingredienti per 4 persone: 400 gr. di fondi di

carciofi, 300 gr. di patate, 50 gr. di porri, 50 gr. di pane grattugiato, 30 gr. di olio di oliva extravergine, 2 uova, un limone Esecuzione: pulite i carciofi. Mettete i fondi a bagno in acqua acidulata con il succo del limone perché non anneriscano. Lavate le patate, sbucciatele e tagliate a fettine. Lavate il porro e tagliatelo a fettine sottili. Mettete a stufare i fondi di carciofo tagliati a fettine con le patate, il porro e una cucchiaiata d’olio, in una pentola coperta a fiamma bassissima. Rimestate di tanto in tanto ed eventualmente aggiungete un po’ d’acqua se le verdure tendessero ad attaccarsi al fondo della casseruola. Passate al setaccio o nel mixer, aggiungete il pane grattugiato avanzato e le uova. Versate l’impasto nello stampo e cuocete in forno a 200°C per 30 minuti circa. A cottura ultimata, sfornate e servite.

Esecuzione: in una casseruola piena di acqua fate bollire il merluzzo ed una patata sbucciata. Quando saranno cotti scolateli e schiacciateli con una forchetta, unite quindi il parmigiano e l’olio. Lavorate l’impasto e amalgamatelo, formate quattro polpettine che cuocerete a vapore per 10 minuti. Prima di servire condite con olio e limone, aggiungendo l’aglio ed il prezzemolo.

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di Alice Balestrini

Le ricette “dei bambini”


di Regina Zather

Le ricette “dei single” Cucinare per una persona sola spesso significa fare porzioni piccole. Quando la ricetta, tuttavia, lo consente e gli ingredienti si prestano, vale la pena preparare dei piatti da consumare anche nei giorni successivi, anzi, alcuni pare siano più gustosi, se “riscaldati”. Una buona soluzione è quella d’invitare gli amici ad apprezzare la nostra “arte culinaria”. E, allora, cosa c’è di meglio di una mediterranea pizza da condividere in allegria!?

“Pizza alla calabrese” (Pitta) Ingredienti per 4 persone: 400 g di

pasta di pane già pronta - poca farina per la spianatoia - 2 ricotte fresche e 1 ricotta salata - 100 g di salsiccia o soppressata calabrese a pezzetti - 100 g di provola a pezzetti - 50 g di pecorino grattugiato - 200 g di ciccioli di maiale (facoltativi) - 2 uova sode a fettine - 1 cucchiaio d’olio - un poco di strutto o burro - sale. Tempo preparazione: 20’ - Tempo cottura: 30’ Esecuzione: accendete il forno per riscaldarlo. Nella terrina mettete le ricotte e lavoratele con la forchetta. Sul tavolo, leggermente infarinato, stendete la pasta di pane, incorporate il cucchiaio d’olio e impastate bene per farlo assorbire. Con il mattarello ricavate dalla pasta due dischi, di cui uno leggermente più grande. Ungete la tortiera con lo strutto e adagiatevi il disco di dimensioni maggiori. Versate sulla pasta metà della ricotta, poi la soppressata, la provola, i ciccioli, le uova sode, il pecorino e terminate con l’altra metà della ricotta, livellando la superficie con il coltello. Chiudete con il secondo disco di pasta e sigillate il bordo pizzicandolo leggermente con le dita inumidite. Bucherellate la superficie con la forchetta e distribuitevi sopra lo strutto avanzato a pezzetti.

Ponete a cuocere in forno caldo per circa mezz’ora fino a che la pasta sarà dorata. Vino da accompagnare: Lamezia rosso (Calabria) o Montepulciano d’Abruzzo (Abruzzo) o Menfi Nero d’Avola (Sicilia) servito a 17°. Questo saporito e calorico piatto della cucina calabrese ha molte varianti di ripieno, secondo le zone; fondamentale resta comunque l’abbinamento del formaggio con il salume, mentre lo strutto può essere sostituito con del burro.

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Molti sono gli alimenti e le spezie considerati dalle credenze popolari - e non solo - dotati di “poteri” afrodisiaci; fra questi anche le rane. Tali piccoli anfibi, le cui carni sono ottime e morbide, erano assurti a simbolo, non solo di fecondità, ma anche dell’utero della grande Dea, capaci di muoversi non solo all’interno del corpo della donna, ma anche di uscirne. Nel Medioevo gli stregoni ne fecero largo uso nei rituali contro l’impotenza, mentre nei monasteri era permesso cibarsene al posto della carne che era proibita. Per secoli considerato cibo prelibato solo dai contadini poveri, che potevano trovarne in abbondanza negli stagni, le rane paiono essere state in seguito riscoperte anche sulle tavole dei nobili.

“Risotto con le rane” Ingredienti per 2 persone: una dozzina di cosce

di rana piuttosto grosse già pulite – 150 g di riso - 50 g di erbette - ½ costola di sedano - 1 carota di media grandezza- 1 cipolla grossa 1 spicchio d’aglio - prezzemolo - olio extravergine d’oliva, italiano - 30 g burro - ½ bicchiere di vino bianco - ½ l d’acqua bollente - formaggio grattugiato - sale e pepe q.b. Tempo preparazione: 30’ - Tempo cottura: 40’

so col cucchiaio di legno e, se necessario, aggiungendo qualche cucchiaio d’acqua calda. Nel frattempo preparate il riso, mettendo nella casseruola a scaldare un paio di cucchiai d’olio e metà dose di burro. Unite la cipolla tritata, fatela appassire mescolando bene, aggiungete il riso e poi sfumate con il vino bianco. Incorporate l’acqua calda poco alla volta e portate a cottura il riso. Prima di spegnerlo, mantecate con il burro rimasto e il formaggio. Fate scaldare il piatto di portata su cui versate il riso, ricavando al centro uno spazio in cui ponete le rane cotte; spolverizzate tutto con un po’ di pepe macinato al momento e prezzemolo tritato. Servite ben caldo. Vino da accompagnare: Langhe Chardonnay DOC (Piemonte) o Oltrepò Pavese Cortese frizzante (Lombardia) o Trebbiano di Romagna (Emilia Romagna) servito a 10°.

Esecuzione: lavate le cosce di rana e disossatele. Mettete a bollire, nella pentola, l’acqua salata per il riso. Pulite, lavate e asciugate le verdure, lasciando da parte mezza cipolla e un poco di prezzemolo. Nella padella fate scaldare l’olio e rosolate le verdure per circa 5’. Unite le cosce di rana, abbassate la fiamma e fate cuocere per quasi 20’, mescolando spes-

Per la riuscita di questo piatto è necessario armarsi di pazienza per disossare le cosce di rana. Se si hanno a disposizione le rane intere, i ritagli possono essere fatti bollire in acqua calda con ½ costola di sedano, 1 foglia d’alloro e ½ cipolla per circa mezz’ora; passate tutto al frullatore, filtrate bene con un colino ed usate il brodo per cuocere il riso.

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di Regina Zather

Le ricette “afrodisiache”


di Raffaele Montagna

Le ricette “con giudizio” “Ziti alla pescatora”

“Orata alla boscaiola”

Ingredienti per 4 persone: 800 g di gamberi freschi; 300 g di ziti spezzati; 5 pomidoro freschi; 2 cucchiai d’olio extravergine d’oliva; sale, pepe, timo, alloro e prezzemolo q.b. Preparazione: in una pentola non troppo grande fate bollire dell’acqua salata e a bollore raggiunto versatevi i gamberi; coprite e spegnete il fuoco.

In un tegame largo versate l’olio, le foglie d’alloro e i pomidoro (se freschi meglio, altrimenti vanno bene anche i pelati in scatola). Rimestate delicatamente fino a che il sugo non si sia ristretto e i pomidoro non si siano disfatti. Nel frattempo, sgusciate i gamberi e uniteli al sugo; salate e aggiungete il timo. Mescolate con grazia, facendo attenzione a non rompere i gamberi. In un’altra pentola, adatta alla cottura della pasta (oggi ci sono in commercio pentole che includono lo scolapasta), fate bollire la necessaria (abbondante) quantità d’acqua salata e fate cuocere gli ziti. A cottura avvenuta (molto al dente), scolate e uniteli ai gamberi e al sugo e, rimestando sempre delicatamente, fate saltare a fuoco piuttosto vivace per qualche minuto. Al momento di servire tritate del pepe fresco e spruzzate con il prezzemolo. Valori nutrizionali indicativi a porzione: protidi 22 g; lipidi 6 g; glucidi 68 g; calorie 400

Ingredienti per 4 persone: 1 orata da un 1 kg;

210 g di funghi champignon, tagliati a lamelle; 60 g di scalogno, sminuzzato; 1 mazzetto di prezzemolo; 1 spicchio d’aglio; 1 dl di vino bianco; 15 g di burro; 1 dl di panna; sale e pepe q.b. Preparazione: squamate l’orata e ripulitela delle viscere; lavatela bene e asciugatela con un foglio di carta assorbente; salatela e pepatela secondo il vostro gusto. In una teglia da forno, mettete lo scalogno sminuzzato, il prezzemolo tagliato fine, l’aglio e i funghi. Sopra a questo letto di verdure, adagiate il pesce, ben unto di burro. Fatelo cuocere a fuoco medio per 25’ (ma sorvegliatelo, affinché non scuocia), bagnandolo frequentemente col suo brodo di cottura. Lasciate il pesce al caldo del forno spento e prendete, invece, la salsa del fondo per metterla in una padella e farla ridurre a fiamma vivace; abbassate il fuoco, aggiungete la panna per un ultimo, rapido bollore. Ponete il pesce su un piatto di portata e versatevi sopra la salsa. Valori nutrizionali indicativi a porzione: proteine 47 g; lipidi 21 g; carboidrati 5 g; calorie 335

Vino da abbinare alle due ricette: “Trebbiano d’Abruzzo” D.o.c., vino da tutto pasto, asciutto, gradevole, delicatamente profumato.

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“Polpettone all’abruzzese con cuore di scamorza” Ingredienti per 8 persone Per l’impasto: 300 g di carne macinata di manzo; 300 g di carne macinata di suino; 220 g di mortadella; 200 g di mollica di pane raffermo (va molto bene il pane pugliese); 1 scamorza affumicata di 130 g; 4 uova di media grandezza; 120 g di parmigiano reggiano grattugiato; 100 g di pecorino sardo; 3 cucchiai di farina; 2 cucchiai di pan grattato; 1 spicchio d’aglio; 2 rametti di maggiorana; 1 ciuffo di prezzemolo tritato; 1 presa di noce moscata grattugiata; sale e pepe q.b. Per il condimento da accompagnare: brodo di carne q.b.; 1 carota; 1 cipolla media; 4/5 funghi champignon; 4 cucchiai d’olio extravergine d’oliva (italiano); 2 coste di sedano; ½ bicchiere di vino rosso. Preparazione: ritate finemente la mortadella ed unitela alla carne macinata di manzo e di suino; aggiungete la mollica di pane, precedentemente messa in acqua (invece che nell’acqua, più opportunamente, può essere messa nel latte) a rinvenire, ben strizzata e frantumata, il parmigiano e il pecorino, le uova leggermente sbattute, come quando si voglia fare una frittata, il pan grattato, l’aglio tagliuzzato finemente, il sale, il pepe, la noce moscata, il prezzemolo e la maggiorana anch’essi tritati per bene. Impastate il tutto e lavoratelo fino a quando non lo riterrete omogeneo e ottimamente amalgamato. Tagliate la scamorza a liste sottili, e spolverizzate il piano di lavoro con la farina per far sì che quando appoggerete il composto, questo non attacchi: scavatelo e dategli una forma a “barchetta”; sistemate all’interno le liste di scamorza (se volete proprio eccedere potete mettere, insieme alla scamorza due o tre uova sode sgusciate) e chiudete l’impasto conferendogli una bella sagoma “a sigaro”. Ricopritelo interamente di un sottile strato

di farina e fate sì che la assorba, maneggiandolo con garbo. In un tegame, possibilmente antiaderente, di dimensioni maggiori, ovviamente, del polpettone, versate l’olio e sistemate il polpettone in modo che rosoli (per circa 7’ - 8’) a fuoco basso in tutti i suoi lati (fate attenzione a non romperlo). Unite la carota pulita e tagliata per il lungo, le coste di sedano, anch’esse lasciate delle dimensioni di una dozzina di centimetri, i funghi e la cipolla tagliata in quattro: lasciate cuocere per alcuni minuti e versate il vino, alzando un

pò la fiamma per farlo svaporare; riaddolcite il fuoco e versate un pò di brodo. Coprite con un coperchio e lasciate cuocere per circa 50’, avendo l’accortezza di rigirarlo di tanto in tanto e di unire, se necessario, qualche cucchiaio ancora di brodo. A cottura avvenuta, passate al setaccio le verdure e usatele, come sughetto, per irrorare il polpettone, al momento di servirlo. Tenete a mente che il polpettone è, forse, ancora più buono, freddo, il giorno successivo! Vino da abbinare: Colli Orientali del Friuli - Cabernet Sauvignon D.o.c. (Friuli Venezia Giulia); Teroldego Rotaliano D.o.c. (Trentino Alto Adige).

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di Raffaele Montagna

Le ricette “del sorriso”


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© Emanuela Cattaneo

In cantina

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di Arabella Pezza

Spumanti italiani: vini d’amore e di allegria Con San Valentino e Carnevale il mese di febbraio è, fra i mesi invernali, quello che maggiormente invita alla trasgressione. E la trasgressione è favorita da molti fattori con ai primi posti il cibo e soprattutto il vino. Lo hanno ripetuto scrittori e poeti di ogni tempo e di ogni nazione; scriveva Platone 2300 anni fa: “Dioniso ha donato il vino agli uomini per alleggerire il loro fardello, per dare allegrezza, per allontanare i malumori della vecchiaia permettendo di rinnovare la giovinezza e dimenticare la disperazione”. E Ovidio trecento anni dopo: “La notte amore e vino non chiedono nessuna moderazione. È priva di pudori la notte. Bacco e Amore non conoscono la paura”. E Paolo Monelli duemila anni più tardi: “Bevi e sei in una quarta dimensione ove il cielo è sempre lucido, la terra e le cose sono nuove e vergini, gli uomini tutti leali e le donne tutte amorose; il presente è certezza d’eternità e l’avvenire colmo di piacevoli avventure”. Brindiamo dunque: a San Valentino, al Carnevale, alla trasgressione, all’amore ….ma che cosa verseremo nei bicchieri ? Fino a qualche decennio fa non c’erano dubbi: il vino dell’amore, della spensieratezza, della trasgressione non poteva essere che lo Champagne, il re della Belle Epoque, il vino sensuale che dalla Francia aveva conquista-

to e travolto l’Europa alla fine dell’ottocento e che da allora veniva lodato e celebrato in letteratura, a teatro, nei film, nelle canzoni. Lo Spumante italiano anche se ottenuto da grandi vitigni e con la stessa tecnica del mitico abate Perignon, era considerato come un parente povero e perciò tenuto lontano dalle mense importanti e dalle case dei ricchi. Per tutto il novecento per ogni occasione di festa, di gioia, di allegria solo Champagne, e soprattutto Champagne per una perfetta notte d’amore.

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È solo verso la fine del secolo che incomincia lentamente una inversione di tendenza; produttori illuminati creano nelle loro cantine Spumanti straordinari che a poco a poco, coppa dopo coppa, bollicina dopo bollicina, si impongono all’attenzione dei più esigenti bevitori, avvicinano e addirittura spesso sorpassano i rivali d’Oltralpe che sembravano irraggiungibili: in Trentino Ferrari, Rotary, Cesarini Sforza, in Franciacorta Cà del Bosco, Berlucchi, nell’Oltrepò Pavese Monsupello e La Versa. Mancano soltanto una manciata d’anni alla fine del millennio ed una inchiesta del 1995 rivelava sorprendentemente che in amore lo Spumante è preferito dai maschi italiani perché più dello Champagne facilita il rapporto seduttivo, li fa sentire più liberi, li aiuta ad allentare i freni inibitori, a superare insicurezze, l’incapacità di sedurre, la passività; favorisce l’allegria, la tenerezza e persino l’amore. Niente di nuovo; Giacomo Leopardi lo sapeva già anche se non conosceva gli Spumanti; aveva scritto infatti che: “…volendo ottenere dalle donne quei favori che si desiderano, giova prima bere il vino, ad oggetto di rendersi coraggioso, noncurante, pensar poco alle conseguenze e se non altro brillare nella compagnia coi vantaggi della disinvoltura”. Dall’indagine sono passati quindici anni e ormai gli Spumanti italiani hanno raggiunto vette invidiabili; la produzione dei vini storici è andata via via migliorando, ma altri se ne sono aggiunti: i Fratelli Solci con il loro delizioso “Rosè Solci’s”, la Magda Pedrini che a Gavi ha creato un fantastico “Spumante Brut VQPRD Metodo Classico Magda Pedrini”, Angelo Maci che ha da poco aggiunto ai pluripremiati vini della cantina “Due Palme” di Cellino San Marco il piacevole “Melarosa Spumante Rosato Extra Dry” e il delicato “Neviera Spumante Bianco Extra Dry”, i D’Araprì che a San

Severo in provincia di Foggia hanno creato Spumanti d’eccezione e altri ancora ne stanno nascendo in tutta l’Italia. I maschi italiani (e le femmine) stiano dunque tranquilli, si arrendano alla trasgressione e non abbiano paura dell’amore perché pensano i produttori di Spumanti a toglierli dalla depressione, dall’insicurezza, dall’incapacità seduttiva. E i campioni di ciclismo e di automobilismo la smettano con quell’idiota consuetudine di usare lo Spumante per innaffiarsi l’un l’altro; ne riempiano piuttosto coppe e le distribuiscano ai loro sostenitori per un collettivo brindisi beneaugurante. Leviamo in alto i calici dunque e che per gli innamorati sia San Valentino tutto l’anno. Salute! Prosit! A’ la Sàntè !

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di Regina Zather

Le ricette con lo Spumante “Linguine all’astice profumato allo spumante” Ingredienti per 4 persone: 350 g di linguine

- 2 astici da 600 g - 1 spicchio d’aglio olio extravergine d’oliva - 1 bicchiere di vino bianco secco frizzante - 4 pomodorini freschi - prezzemolo tritato - un paio di foglie di basilico - 1 bicchiere d’acqua calda - sale e pepe bianco q.b. Attrezzatura: 1 ampia padella - 1 pentola

per la pasta - 1 trincia tutto - 1 cucchiaio di legno

Il vino in pentola

Tempo di preparazione: 15’ - Tempo di cottura: 30’. Esecuzione: mettete a bollire nella pentola ab-

bondante acqua per la pasta e preparate il sugo. Lavate, asciugate bene gli astici e tagliateli a metà per la lunghezza, togliete le chele e schiacciatene la corazza. Pulite i pomodori e tagliateli a metà, privateli dei semi. Nella padella fate scaldare l’olio e rosolate l’aglio, quindi eliminatelo. Aggiungete gli astici. Abbassate la fiamma e versate il vino; al-

zate la fiamma per lasciarlo un po’ evaporare. Unite i pomodori, il prezzemolo, le foglie di basilico, un pò d’acqua calda (che prelevate dalla pentola della pasta), una presa di sale e pepe. Mescolate e fate cuocere per circa 15’. Buttate le linguine nell’acqua bollente salata, aggiungete un cucchiaio d’olio per impedire che si attacchino tra di loro. Togliete gli astici dall’intingolo e teneteli in caldo. Scolate la pasta al dente e mettetela nella padella con il sugo, a fiamma viva, mescolando bene per amalgamare. Servite nei piatti aggiungendo, per ogni commensale, mezzo astice. Vino da accompagnare: Locorotondo spumante (Puglia) o Terlano Müller Thurgau spumante (Alto Adige) o Ischia bianco spumante (Campania) servito a 9°. Per la riuscita del piatto è importante usare astici freschissimi, ottimi sono quelli pescati nell’Adriatico.

Gustare l’Italia 58


“Filetti di cernia al forno con salsa allo spumante” Ingredienti per 4 persone: 4 filetti di cernia - ½

porro tritato finemente - prezzemolo tritato 1 spicchio d’aglio tritato -1 bicchiere di spumante demi-sec - 2 cucchiai di marsala secco - olio extravergine d’oliva - 1 cucchiaio di farina o maizena - 20 g di burro - 2 cucchiaini di succo di limone filtrato - sale e pepe bianco q.b. Attrezzatura: 1 pirofila da forno - 1 tritatutto -

2 tazzine - 1 colino - 1 frusta metallica - 1 pentolino - forno a 200°C. Tempo di preparazione: 10’ + 10’ marinatura Tempo di cottura: 30’ Esecuzione: Accendete il forno. Lavate e asciugate i filetti di cernia. In una capace pirofila, mettete un paio di cucchiai d’olio, ponete il trito di porro, prezzemolo e aglio, adagiatevi le fette di pesce. Versate lo spumante, 2 cucchiai di marsala, salate e pepate. Lasciate marinare per circa 10’, girando di tanto in tanto le fette di pesce. Mettete in forno caldo e cuocete per circa 30’. Nel frattempo, ammorbidite il burro a temperatura ambiente e lavoratelo con un cucchiaio di farina, fino ad ottenere un impasto mor-

bido. Quando il pesce è cotto, toglietelo dal forno; con un cucchiaio mettete il sugo del pesce in una tazzina, filtrandolo con un colino. Coprite la pirofila con un foglio di carta d’alluminio e tenete la cernia in caldo nel forno spento. Aggiungete al sugo filtrato il burro ammorbidito, mescolando bene con la frusta metallica per amalgamare. Trasferite il composto in un pentolino e, su fuoco molto basso, fate leggermente sobbollire, per addensare la salsa, continuando a mescolare con la frustra per evitare che si formino grumi. Togliete dal fuoco e aggiungete il succo di limone; assaggiate per aggiustare, se occorre, con poco sale e pepe bianco. Servite la cernia nella pirofila, dopo averla nappata con la salsa. Vino da accompagnare: Verdicchio dei Castelli di Jesi spumante (Marche) o Bianco di Custoza spumante (Veneto) o Asti spumante (Piemonte) servito ad una temperatura di 9°. Come contorno: patate o carote al vapore, che si possono condire con la salsa del pesce, nel caso questa risulti abbondante

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In giro per...

Carnevale & c.

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di Raffaele Montagna

A Carnevale ogni dolce vale Il termine “Carnevale”, dal punto di vista etimologico deriva da latino “carnem levare = togliere la carne”, esprime il concetto “senza carne”, è un invito, cioè, a non mangiarla (carne vale; vale = addio ) e identifica i giorni che precedono la Quaresima cristiana - periodo di astinenza e penitenza della durata di quaranta giorni antecedenti la Pasqua (fino al giovedì santo).

Le prime testimonianze documentarie sul Carnevale fanno diretto riferimento al Medioevo (ma le sue origini vanno senz’altro ricercate nelle usanze pagane della Roma antica), e individuano una festa contraddistinta da uno sfrenato godimento nel mangiare, nel bere e nel gioire dei piaceri sensuali. L’ordine sociale stabilito è irriso e viene rovesciato, i ruoli canonici si invertono e la vecchia

identità viene nascosta dietro la “maschera”, accessorio indispensabile allo svolgimento dei festeggiamenti. Come negli antichi “Saturnali” romani, nel carnevale si è trasferita l’usanza di nominare il Re della festa, il sovrano di un desiderato mondo godereccio - di “bengodi” - il quale, in quanto capro espiatorio di tutti i mali dell’anno passato, viene processato, condannato e violentemente soppresso! Dopo i funerali si legge il te-

stamento e si pone fine alla baldoria ed alla sfrenatezza, per ritornare all’ordine sociale dell’autorità costituita. “Il Re è morto, viva il Re”: era simile a questo l’augurio per il nuovo anno che andava a cominciare (l’anno agrario che inizia con il risveglio della natura); il filo conduttore che si può seguire consiste, perciò, nel rinnovamento della fecondità della terra attraverso l’esorcismo della morte.

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Risulta assai difficile fornire un’interpretazione completa ed esaustiva di quello che il Carnevale significa, poiché in esso sono confluite tante usanze, antichi retaggi del mondo pagano che affondano le radici nei secoli, se non nei millenni. Nel corso del tempo il Carnevale si è caratterizzato talvolta in forma di combattimenti rituali - lotte tra fazioni, tra rioni, tra classi sociali - come ancor oggi avviene ad Ivrea (Piemonte); altre in forma di mascheramento, come succede a Venezia (Veneto); altre ancora in forma di rovesciamento e derisione dell’ordine costituito, come accade a Viareggio (Toscana). Ad Agnone (Molise) dopo aver condannato a morte Re Carnevale, si legge il testamento che rivela, anche in maniera piuttosto antipatica e goliardicamente piccante, tutte le malefatte della comunità, le disonestà, i tradimenti, le perfidie, gli inganni perpetrati dalla gente,

con esiti che si possono facilmente immaginare!; a Pettorano Sul Gizio (Abruzzo), proprio per prevenire eventuali contese, litigi, ritorsioni, il testamento viene preventivamente esaminato e censurato dalle Autorità; a Staffolo (Marche), il testamento assume, invece espressioni più piacevoli, in forma di mottetti burleschi e satirici; nella Marsica (Abruzzo) si trasforma in un canto di questua. In qualsiasi modo si voglia comunque “interpretare” il senso del Carnevale, non si può non riconoscere che è sempre contraddistinto dall’allegria: si tratta, in altre parole, di un vero e proprio “rito” liberatorio che consente a tutti di predisporsi, in maniera gaia e spensierata, al compimento dei propri obblighi sociali; i canti e i balli, le mascherate e gli scherzi (talvolta anche pesanti), certi comportamenti scurrili e libertini, assumono carattere ritualistico, almeno una volta l’anno (semel in anno licet insanire - Dulce est desipere in loco). Qui di seguito descriviamo sinteticamente le più importanti e tradizionali manifestazioni carnevalesche che si organizzano in Italia, unite alle ricette dei dolci che si preparano per l’occasione. Ricordiamo ai nostri lettori che potranno trovare le ricette citate in questo articolo sul sito www.gustarelitalia.it nella sezione “Ricette”.

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Carnevale di Venezia (9 febbraio/8 marzo)

La ricetta: le “fritole” veneziane

Il Carnevale di Venezia è la manifestazione più seguita, in assoluto, dal pubblico italiano (più della “Mostra del cinema”, del “Palio di Siena”, di “Eurochocolate di Perugia”); è conosciuto soprattutto per la suggestività dell’ambiente in cui si svolge, oltre che per la bellezza ed originalità dei costumi: è un carnevale signorile, sfarzoso, magico, dedicato - quest’anno 2011 all’Ottocento e più specificamente all’unità d’Italia ed alle donne. Per info: www.carnevale.venezia.it Da vedere: la Piazza, la Basilica e il Campanile di San Marco; le Basiliche di San Giorgio Maggiore e di Santa Maria della salute;i ponti di Rialto e dei Sospiri; Palazzo Ducale; le facciate dei palazzi che si affacciano sul Canal Grande (Cà d’Oro, Cà Foscari, Palazzo Contarini Fasan,...). Da acquistare: i carciofi violetti di Sant’Erasmo, sott’olio; vino “Prosecco Valdobbiadene superiore di Cartizze” D.o.c.g.

Questa ricetta è stata associata alle feste carnevalesche veneziane fin dal rinascimento. Bartolomeo Scappi - famoso cuoco alla corte dei papi Paolo III e Pio V - la scrive per la prima volta; nel ’700 le fritole vengono riconosciute “dolce nazionale dello Stato Veneto” e da allora sono considerate “regine” dei dolci popolari, sia tra quelli cucinati in casa che tra quelli fatti in pasticceria.

Carnevale di Viareggio (20 febbraio/13 marzo) Vi si svolge uno dei più importanti Carnevali, riconosciuto tale, non solo a livello nazionale, ma nel mondo intero. È caratterizzato dalla sfilata di enormi carri sui quali, artisti ed artigiani, satiricamente, realizzano, di volta in volta, caricature di noti uomini politici, di gente dello spettacolo, della cultura e dell’attualità. Si tratta di vere e proprie opere d’arte in cartapesta, mosse da meccanismi interni, non sempre di facile realizzazione e di semplice esecuzione e funzionamento. Per info: www.viareggio. ilcarnevale.com. Da vedere: il centro storico della città il cui nucleo antico risale al XII secolo; i palazzi e le ville in stile liberty; il “Museo del Carnevale”; la cinquecentesca Torre Matilde; la Villa di Giacomo Puccini e il relativo museo; i civici musei di Villa Paolina. Da acquistare: il lardo di Camaiore; il fagiolo “Schiaccione” di Pietrasanta; la torta di pepe.

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La ricetta: i “cenci” (stracci) di Carnevale È la tipica ricetta del Carnevale toscano, semplice e sbrigativa nella preparazione, ma che offre ottimi risultati di gusto e di gradimento. Più o meno variata, e con nomi diversi (chiacchiere, frappe, risole, grostoli, galani) si cucina quasi dappertutto in Italia.

Carnevale di Ivrea (6 gennaio/8 marzo) È considerato uno dei più antichi Carnevali d’Italia (non per niente lo chiamano “storico”) e culmina con la battaglia delle arance, che rappresenta l’allegoria della ribellione popolare contro il tiranno Raineri di Biandrate, il quale si accingeva a consumare lo jus primae noctis con la “bella mugnaia”, che lo uccise: fu questo il casus belli che scatenò la rivolta; le arance simbolizzano le frecce scagliate da ambedue le parti in causa, mentre la “bella mugnaia” sfila su un carro e lancia dolci al popolo festante. Per info: www.carnevalediivrea.it Da vedere: il trecentesco e turrito castello di Amedeo VI° di Savoia; la Cattedrale di Santa Maria e l’archivio diocesano (codici miniati e manoscritti tra i quali il prezioso Sacramenta-

rio di Varmondo); la chiesa di Santa Croce; la chiesa di San Bernardino (ciclo di affreschi del ‘400); la cappella dei Tre Re nel comprensorio del Monte Stella (via crucis); la Torre di Santo Stefano; Piazza Ottinetti e il Museo civico; Palazzo della Credenza; Palazzo Perrone e la Torre dei Tallianti. Da acquistare: la “mocetta” del Canavese; il formaggio “Brus”; il formaggio “Tometto” (o “Tumet”)

La ricetta: i “friciò” piemontesi I “friciò” sono frittelle morbide, ripiene d’uvetta (di mele o di ananas tagliati a dadini) e aromatizzate al limone. Sono tipiche della pasticceria del Piemonte nel tempo di carnevale. La difficoltà per cucinarli è piuttosto bassa ed altrettanto il costo.

Carnevale di Putignano (20 febbraio/8 marzo) Il Carnevale di Putignano ha una genesi incerta, per quanto è antico! Le origini si fanno risalire al trasferimento delle reliquie di Santo Stefano a Monopoli da parte dei Cavalieri di

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Malta, nel 1394. Ha la durata più lunga, tanto che comincia addirittura il 26 dicembre con la cerimonia del cero (la gente dona un cero alla chiesa e domanda, anticipatamente, perdono per i peccati che commetterà durante il Carnevale. La stessa sera si continua con la “festa delle propaggini”, cioè con la recita di mottetti e versi in vernacolo per dileggiare i potenti ed evidenziare i fatti e gli argomenti dell’anno trascorso. In tale ottica, dal giorno di Sant’Antonio Abate (17 gennaio), ogni giovedì si ironizzano e si irridono, sfacciatamente, le categorie sociali: il giovedì dei vescovi, quello dei preti, dei vedovi, degli scapoli, dei giovani pazzi, dei cornuti, dei comuni, ecc. Le feste terminano il martedì grasso con la sfilata dei carri allegorici e il funerale del Carnevale, rappresentato nelle sembianze di un maiale. Per info: www.carnevalediputignano.it Da vedere: il nucleo storico medievale; la Grotta del trullo; la chiesa di San Pietro e le opere d’arte che conserva; la chiesa di Santa Maria La Greca (dalla facciata barocca); il convento e la chiesa delle Carmelitane; la chiesa del Carmine; la chiesa di San Domenico; il Palazzo del Balì; il Sedile. Da acquistare: l’olio extravergine d’oliva “Terra di Bari” D.o.p.; la “farinella” di Putignano; le famose “orecchiette”; le “intorchiate” alle mandorle; i taralli speziati; le conserve vegetali, i sughi e i condimenti già pronti in vasetti.

sa: la “farinella” - uno sfarinato di ceci e d’orzo abbrustoliti, di antica origine contadina. Oggi viene mescolata a sughi o gustata con accompagnamento di verdure ben condite o addirittura (leccornia!) con i fichi, freschi o secchi, secondo stagione! A Carnevale con la “farinella” si elaborano dei gustosi dolcetti.

La ricetta: le “farrate” pugliesi Le “farrate” (o tenerelli) sono dei dolci rustici, che hanno la forma dei panzerotti, sono costituiti, cioè, da un involucro esterno di pasta, con un ripieno dolce; cuocendosi si gonfiano e prendono la sagoma di una pancia (panza, in dialetto meridionale, da cui il nome).

La ricetta: le “farinelle” di Putignano La maschera del Carnevale di Putignano è “Farinella” (simile ad arlecchino, con un cappello a due sonagli), che deve il suo nome al prodotto gastronomico tipico di Putignano stes-

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Sono tipici della Puglia (in particolare di Manfredonia) e tradizionalmente si preparano a Carnevale, ancor oggi con ingredienti che ci provengono della civiltà mediterranea antica: grano (forse anticamente il farro), ricotta di pecora, maggiorana, pepe e cannella. Fino a qualche anno fa, si potevano sentire le voci imbonitrici dei venditori, che le offrivano di primo mattino, per strada, ancora belle calde e croccanti, appena sfornate.

Foiano della Chiana (Toscana) (20 febbraio/13 marzo)

pazzo gigante vestito di cenci e imbottito di petardi e viene condannato al rogo; si dà lettura del testamento, redatto in rima, attraverso il quale vengono pubblicate le malefatte della gente, vengono derisi i potenti ed elargiti goliardici consigli. La fine della festa è sancita dalla cosiddetta “rificolonata” e dal rogo sul quale viene bruciato Re Giocondo. Per info: www.carnevale-foiano.com Da vedere: la chiesa della Ss. Trinità; la chiesa di Sant’Eufemia; la collegiata di San Martino; il Palazzo Comunale; il Palazzo Granducale; il Palazzo Neri-Serneri; l’interno del Teatro Garibaldi. Da acquistare: il “Vino Nobile di Montepulciano” D.o.c.g.; il vino “Bianco Vergine della Valdichiana” D.o.c.; il formaggio pecorino di Pienza; l’olio extravergine d’oliva (I.g.p. con menzione geografica “colline d’Arezzo”); la “carne Chianina” I.g.p.

La ricetta: la “schiacciata” alla toscana Questo è un dolce dalla preparazione molto semplice, ma di eccezionale bontà. Si consuma tradizionalmente durante le feste di Carnevale, anche se in pasticceria si può trovare in ogni periodo dell’anno.

Il Carnevale di Foiano della Chiana risale al XVI secolo ed è animato dai cosiddetti “cantieri”, sorta di libere associazioni che lavorano con passione e gratuitamente, per allestire i carri allegorici a tema, che sfilano nelle tre domeniche precedenti il martedì grasso: una competente giuria attribuisce la vittoria, di volta in volta, al cantiere che ha meglio rappresentato il tema dell’anno. Al termine della sfilata viene giudicato il Re Giocondo, un pu-

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Milano (Lombardia) (10/12 marzo) Il Carnevale di Milano (e in tutti i luoghi dell’arcidiocesi ambrosiana) non finisce il martedì grasso, ma si protrae fino al sabato successivo: successe che Sant’Ambrogio, fuori Milano per un pellegrinaggio, avesse promesso di officiare i riti quaresimali al suo ritorno in sede; i fedeli lo aspettarono e prolungarono il carnevale, fino al suo arrivo, posticipando in tal modo il cerimoniale del giorno delle “ceneri”, che, da allora, cade la prima domenica di quaresima (la spiegazione vera è molto più complessa e concerne il conto dei quaranta giorni di digiuno quaresimale; ma ciò esula dagli obiettivi di questo sintetico servizio). “Meneghin” (diminutivo di Domenico, in dialetto) è la maschera del carnevale milanese per antonomasia: personaggio brillante, arguto e generoso (già popolare nel teatro seicentesco), con tricorno, parrucca e palandrana, allo stesso tempo servo, libero e insofferente a qualsiasi sopruso. Le manifestazioni meneghine sono molto sentite dalla gente, abbondanti per numero e varie per tipologia e allocazione; con tre giorni di esagerata “follia” esse chiudono i festeggiamenti nella Penisola. L’apice dell’evento è previsto nella giornata di sabato grasso, in Piazza Duomo, con la grande sfilata dei carri allegorici e dei festanti in costume. Un’attenzione particolare è rivolta dagli organizzatori ai bambini: in Galleria funziona un servizio gratuito di trucco diretto a perfezionare ogni singolo personaggio, che i bambini volessero interpretare. Per il programma dettagliato: www.turismo.comune.milano.it

Da vedere: il Duomo, dedicato a Santa Maria Nascente, simbolo della città; il Teatro alla Scala, uno dei più famosi al mondo; la Galleria Vittorio Emanuele, in stile eclettico, ritrovo della “Milano bene”; il Castello sforzesco, severa ed elegante reggia cittadina; la storica Basilica di Sant’Ambrogio, il complesso monumentale di Santa Maria delle Grazie e il “Cenacolo Vinciano”; i musei civici più famosi: Pinacoteca ambrosiana, Poldi Pezzoli, Pinacoteca di Brera).

Da acquistare: formaggio “Gorgonzola” dop; formaggio “Gorgonzola” DeCo (denominazione comunale) di pecora; formaggio “Grana padano” dop; la “raspadüra” - sottilissime sfoglie di formaggio grana, confezionate sottovuoto; farine per i diversi tipi di polente.

La ricetta: i “tortelli” milanesi Insieme alle “chiacchiere”, i “tortelli” caratterizzano il carnevale ambrosiano (anche se si cucinano, con diverso nome, in altre zone del Nord Italia). La loro ricetta è molto antica, realizzata con pochi, semplici ingredienti, presenti in ogni casa e assumono la forma di frittelle sferiche e gonfie, vuote all’interno e perciò da riempire a piacere con cioccolato, crema e persino gelato (in barba alla tradizione!).

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Del Festival di Sanremo si è detto di tutto e di più! È uno degli eventi di costume (tra i più seguiti dal pubblico) e da oltre un sessantennio rappresenta, nel mondo, la canzone italiana. Si è però dimenticato di raccontare a chi è andato nella Riviera di Ponente per seguire la gara canora, quali ricchezze di arte, di tradizioni e di gastronomia sono nei paesi dell’entroterra. Noi di “Gustare l’Italia” vogliamo rimediare a questa mancanza proponedovi l’itinerario per un riposante fine settimana che, complici il tiepido sole e il clima mite, sarà anche un piacevole modo di salutare la primavera in arrivo.

ma residenza dell’inventore della dinamite e ideatore del famoso premio. Sanremo, però, è anche città antica - lo si riscontra nel quartiere medievale “Pigna” - abbarbicata sulla collina e costruita a cerchi concentrici, per renderla di complicata accessibilità ai pirati barbareschi, che spesso hanno minacciato non solo le città rivierasche, ma anche quelle dell’entroterra.

Sanremo Partiamo proprio da Sanremo, centro di mondanità per il casinò, per il festival, per la produzione floristica; la città moderna è stata costruita a cavallo tra Otto e Novecento, quando il borgo di pescatori ha accolto il gran mondo della nobiltà internazionale, che qui si riversava in cerca di svago e di clima salutare. La città moderna presenta alcuni palazzi e ville in stile liberty compreso il noto casinò. Vanno citati, alcuni per bellezza, altri per importanza storica, “Palazzo Bellevue”, oggi sede del Comune, “Palazzo Borea d’Olmo”, uno dei più interessanti edifici barocchi della regione, “Villa Nobel”, ulti-

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di Raffaele Montagna

Non solo Festival

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La città possiede anche un sito archeologico - Villa Matutia - datato al II secolo d.C., consistente in un insieme di ambienti di servizio e in un impianto termale.

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Entrate per la “Porta di Santo Stefano” e ammirate le “Rivolte di San Sebastiano” e l’antico, omonimo “Oratorio”, proseguite per Via Palma per visitare la “chiesa di San Giuseppe” (XVIII sec.) e i vicoli medievali, cui danno le facciate i palazzi che hanno avuto ospiti importanti, quali Papa Paolo III e Napoleone Bonaparte. La “pigna” racchiude panorami e scorci di rara bellezza, che vale proprio la pena vedere: la “chiesa di Santa Brigida” e il suo magnifico “campanile”, il “Palazzotto di Via Capitolo” e la fontana, l’“oratorio di San Costanzo”, il “Castello di San Romolo” e il “santuario della Madonna della Costa”. L’edificio sacro più significativo è la “Basilica, Collegiata e Cattedrale di San Siro” (XII sec.), d’architettura romanico-gotica, che conserva alcune interessanti opere d’arte; sono altresì pregevoli la “chiesa di Santa Maria degli Angeli”, per la facciata barocca e gli stucchi in stile rococò e la “chiesa di Cristo Salvatore”, di rito ortodosso, per le belle guglie in ceramica policroma.

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Da acquistare: olio extravergine d’oliva ligure, pesto in barattolo, patè d’olive in barattolo; fiori, recisi o in vaso. La Liguria non è solo mare, anzi, per chi preferisce gli itinerari alternativi, questa regione offre numerose possibilità.

Seborga Allora, partiamo idealmente da San Remo e dirigiamoci verso Seborga, minuscolo comune (312 abitanti) che ha la particolarità di rivendicare l’indipendenza dall’Italia, in base allo status antico di “principato” (è, ovviamente, una bella “trovata” promo/pubblicitaria, che i residenti hanno accolto con tutta la serietà del caso)!

Gli abitanti sono governati (simbolicamente) da un Principe (eletto) che è coadiuvato da nove Priori. Il principato di Seborga batte moneta propria (il “luigino” del valore di 6 dollari - usato solo per acquisti interni), ha proprie targhe automobilistiche (utilizzate affianco di quelle ufficiali italiane), rilascia passaporti e patenti di guida, emette serie di francobolli e commercializza diversi oggetti di propaganda turistica. Oltre che apprezzare l’idea secessionista - che porta, tuttavia, un discreto flusso turistico - sono da visitare, in questo minuscolo borgo, alcuni palazzi antichi, tra cui quello dei Monaci, sede della zecca, la chiesa di “San Martino”, l’oratorio di “San Bernardo” e l’“Esposizione permanente degli strumenti musicali”. Da acquistare: olio extravergine d’oliva ligure, marmellate, pomodori sott’olio, pesto in barattolo.

Dolceacqua Scendiamo verso il mare, attraverso strade strette, che a tratti, però, offrono panorami incantevoli e risaliamo verso Dolceacqua, un borgo antico, incassato come una gemma su uno degli spuntoni che caratterizzano la costa orientale della valle Nervia. Oltre all’impianto medievale, realizzato per settori concentrici, allo scopo di favorire la difesa e innervato da un dedalo di stretti carruggi, quasi una kasbah, il paese si caratterizza per due monumenti singolari: il “Ponte Vecchio” e il “Castello Doria”. Il ponte che vediamo attualmente - e che risale al XV secolo - è stato rico-

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struito sulle rovine di un manufatto antecedente e scavalca il torrente, unendo i due nuclei abitati, con armoniosa eleganza e rara bellezza. A completare lo scorcio, dall’altra parte dell’acqua si erge la graziosa chiesa di San Filippo. Il castello della potente famiglia Doria è già citato alla fine del XII secolo, come parte del sistema difensivo valligiano e che nel Rinascimento divenne una imponente dimora signorile fortificata. La costruzione è severa e incute tutt’oggi un certo timore riverenziale. Ha segnato la storia per tanti secoli ed ora, acquistato dal Comune, è in attesa di una auspicata ristrutturazione. Merita una visita la chiesa di San Giorgio, che conserva alcune parti risalenti all’XI secolo, e le tombe di Stefano e Giulio Doria. Da acquistare: olio extravergine d’oliva ligure, il vino “Rossese di Dolceacqua” D.o.c.; la “Michetta” il dolce tipico ed esclusivo di Dolceacqua.


rio che sembra essersi fermato ad alcuni secoli or sono. L’intorno della campagna, tutta terrazzata con muretti a secco, valente maestria di ostinati contadini, manda colpi di luce riflessa dalle foglie argentate degli ulivi. Il Castello della Lucertola, eretto nel X secolo a controllo del territorio è l’embrione attorno al quale il paese si è arroccato (una delle due sue torri è stata trasformata in campanile).

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Continuiamo a percorrere la strada di fondovalle in direzione di Isolabona (un altro suggestivo borgo medievale; da vedere: il ponte antico sul torrente Nervia e la chiesa di Santa Maria Maddalena), per dirigerci verso Apricale, un paese che vanta origini celto/liguri (XIV-XIII sec. a.C.). L’impianto dell’abitato, ottimamente conservato, è di sicura impronta medievale, fatto di vicoli, di muri di contenimento, di strette scalinate, di bei palazzi, anche qui disposti a cerchi concentrici, attorno all’antico castello. Si perviene al centro storico attraverso tre antiche porte che immettono il visitatore nel dedalo di carruggi, dei passaggi coperti, delle ripide gradinate, in un tessuto urbanistico/via-

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Isolabona e Apricale

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Triora L’indomani - dopo una salutare colazione a base di “pansarole” (tipico biscotto di Apricale) e zabaglione - riprendiamo il viaggio dirigendoci verso Triora, conosciuta come la “città delle streghe”. È un borgo di notevole fascino, soprattutto se guardato da una certa distanza, con il suo contorno ambientale di monti, di strette gole e di conche vallive; il nucleo storico è una sorta di fortezza, che è risultata quasi inespugnabile nello scorrere dei secoli; fanno da padrone gli stretti vicoli, gli archi scavati direttamente nella roccia, i le ripide scalinate, gli antri privi di luce, quasi catacombe, e un pò sinistri, quando il pensiero va ai processi per stregoneria che qui si sono svolti alla fine del Cinquecento, con le relative condanne al rogo. Singolari risultano i diversi palazzotti nobiliari, con gli architravi dei portali scolpiti a bassorilievo.

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Nel corso del tempo ha subito parziali distruzioni e numerosi rimaneggiamenti: all’inizio dell’Ottocento è stato residenza privata e vi è stato realizzato un panoramico, colorato e profumato giardino pensile. Il maniero, dopo una frase di sciagurato declino è stato acquisito al patrimonio pubblico, provvidenzialmente restaurato e restituito, se non alla funzione, all’antico decoro; è sede del Museo della storia di Apricale. La parrocchiale della Purificazione di Maria Vergine, l’Oratorio di San Bartolomeo, la chiesa cimiteriale di Sant’Antonio Abate e tutte le pregevoli opere d’arte che custodiscono, meritano certamente una visita, come pure i numerosi murali sparsi per le vie del paese. Apricale ci sembra il posto giusto dove fare una sosta: l’ospitalità è cordiale e l’offerta per cenare e passare la notte è piuttosto varia e con un buon rapporto prezzo/qualità.

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Da visitare: La collegiata dell’Assunta, eretta quasi certamente nel periodo di transizione dal romanico al gotico e rimaneggiata lungo il corso dei secoli: conserva, tra altre pregevoli opere, un “Battesimo di Cristo” risalente alla fine del Trecento; l’oratorio di San Giovanni, che custodisce una statua lignea settecentesca; la chiesa di San Bernardino (XII sec.) con affreschi quattrocenteschi, tra i quali uno stupendo “Giudizio Universale”. E ancora, le chiese di Sant’Antonio Abate, San Dalmazzo, Sant’Agostino, Santa Caterina, i ruderi dell’antico casello e il moderno e ardito ponte a campata unica alto 112 e largo 119 metri. Da acquistare: il pane, il formaggio “bruzzo” (leggermente piccante), le paste (torte) di patate e di verdura; le marmellate fatte in casa, qualche oggetto kitsch sulla stregoneria, da comprare in uno dei numerosi negozietti del centro storico. Se ci volessimo fermare per approfondire

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meglio la conoscenza di Triora, che senz’altro merita la sosta, possiamo approfittare dell’ospitalità garbata della cittadina che offre alcune buone camere in alberghi e b&b, per altro non troppo cari, e una discreta scelta di ristoranti con cucina tipica.

Montalto e Badalucco

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Proseguiamo il nostro giro, scendendo lungo la Valle Argentina, e torniamo in direzione del mare, verso Montalto (da vedere: il nucleo storico medievale; la quattrocentesca chiesa di San Giovanni Battista, che conserva un pregevole polittico raffigurante San Giorgio; la pieve di San Giorgio (XII secolo), al cui interno fa bella mostra di sé un interessante ciclo di affreschi; il quattrocentesco oratorio di San Vincenzo e il Santuario della Madonna dell’Acquasanta) e Badalucco. È questo l’ultimo paese della Valle, scendendo verso Tag-

gia ed è situato in un’ansa del torrente Argentina affianco della località Rocca di San Nicolò ed unito a questa attraverso uno dei due millenari e bellissimi ponti romanici, costruiti a schiena d’asino. Badalucco, come tutti quelli visitati precedentemente nell’itinerario che vi proponiamo, è un borgo medievale fortificato al quale si accedeva (e tuttora si passa) solo attraverso pochi passaggi, interdetti dalla presenza di alcune porte presidiate. Passeggiando per l’abitato, ci accorgiamo che il paese è una fucina d’arte, grazie ad una iniziativa intrapresa alcuni anni orsono, di far realizzare da maestri pittori, scultori e ceramisti, una miriade di opere d’arte - opportunamente posizionate tra i palazzi antichi, i loggiati, i vicoli, i passaggi coperti -, sempre visibili, in ogni tempo, come in una vera e propria “galleria a cielo aperto”.

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Badalucco, però, possiede anche un rimarchevole patrimonio di monumenti, segno del suo nobile ed importante passato: la chiesa parrocchiale dell’Assunta e di San Giorgio, in elegante stile barocco (all’interno pregevoli opere scultoree); la seicentesca chiesa di San Nicolò, eretta nella parte alta del paese, sui ruderi dell’antico castello; la cappella dedicata alla Regina di tutti i Santi. Di fronte alla chiesa parrocchiale, tra le architetture civili, spicca palazzo Boeri. A Badalucco, nel 181 a.C., si è svolta la battaglia, tra Romani e Liguri, che segnò l’assoggettamento di tutta la riviera ligure a Roma. Da acquistare: i rudin - fagioli bianchi di Badalucco (presidio “Slow Food”); l’olio extravergine d’oliva “Cru Riva Gianca” D.o.p. del Frantoio Roi; le olive taggiasche in salamoia; il pesto rosso.

Taggia e Bussana Vecchia Nel ritornare a San Remo, vi suggeriamo di visitare il Convento di San Domenico (XV sec.), a Taggia e il suggestivo borgo di Bussana Vecchia semidistrutto da un rovinoso terremoto nel 1887 e “occupato” alla fine degli anni ’50 del secolo scorso - da una comunità di artisti, italiani e stranieri, che hanno recuperato, ad abitazioni ed atelier, alcuni fabbricati, meno compromessi; sicché, tra botteghe artigiane, laboratori artistici, piccoli negozi e qualche

ristorante, in un ambientazione medievale, la visita risulta senz’altro affascinante ed incantevole.

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di Cino Tortorella

Oliva taggiasca: un afrodisiaco

Invito i gourmet che per lavoro, per passione, per curiosità, per respirare un po’ d’aria di mare (o per il desiderio di farsi del male) si recano a Sanremo nei giorni del Festival a ricordare che in quel periodo si svolgono in riviera 2 manifestazioni molto più importanti della 61° rassegna di canzoni. Si intitolano: “A tavola con l’olio nuovo” e “I ristoranti dell’olio” e sono iniziative mirate a re-

cuperare l’immagine dell’olio della Liguria di Ponente, quello millenario di olive di cultivar taggiasco che per molti anni era andata via via appannandosi. Ogni iniziativa mirata a valorizzare l’olio non può che essere bene accolta da chiunque ami il “buon vivere” e “il buon mangiare”; sull’importanza dell’olio per la povera umanità abbiamo testimonianza da migliaia e migliaia di anni.

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L’olio nella storia La religione di Egizi e Greci lo consideravano un dono degli dei. Per i Greci era stato regalato agli uomini da Pallade Atena, la dea della Saggezza, che si era così meritata la venerazione di tutta l’Attica i cui abitanti in suo onore avevano chiamato Atene la loro capitale. Per gli Egizi l’olio era stato donato da Iside, dea della Magia e della Natura, ma tutti i popoli che hanno conosciuto l’ulivo gli hanno sempre attribuito un forte significato simbolico e lo hanno sempre considerato un fattore di pace e di armonia interiore. Numerose sono le testimonianze, i racconti, le leggende legate all’ulivo: quando Ercole, il fondatore dei Giochi Olimpici, volle premiare i vincitori conficcò per terra un bastone che subito si trasformò in un ulivo e con le sue fronde furono intrecciati i serti per gli atleti. La nascita di un figlio maschio veniva segnalata con un ramoscello d’ulivo messo sulla porta di casa (le femmine dovevano accontentarsi di un semplice batuffolo di cotone). Anche nel Vecchio e nel Nuovo Testamento ci sono molto episodi riferiti all’ulivo: dal ramoscello portato dalla colomba a Noè fino all’orto di Getzemani (che in ebraico significa “frantoio”) dove Gesù trascorse l’ultima notte della sua vita terrena.

cliente può così rendersi conto delle differenze e sfumature che possono esservi tra olio e olio anche della stessa zona, può dare la sua valutazione e scegliere l’olio - o più olii - per continuare il pranzo. E’ un’iniziativa molto stimolante per i piccoli produttori che si trovano in competizione con le aziende ormai affermate; così accanto al grande Vallarea, al Fructus Aureus, all’Oleum Mundai è possibile gustare il Benza di Imperia l’Anfossi di Arma, il Giunchea di Camporosso, il Carte Noire di Badalucco… ognuno con la propria personalità e il proprio fascino. L’iniziativa “OliOliva” è invece un progetto della Camera di Commercio di Imperia e dell’Azienda promImperia nato dieci anni fa per sostenere e promuovere le imprese della Riviera, valorizare il territorio e rilanciarne l’economia.

Le iniziative © Sanremo Promotion Spa - Max Mencarelli

“A tavola con l’olio nuovo” è un’idea di 3 famosi ristoranti della Riviera: i “Balzi Rossi” di Grimaldi, il “Romolo Mare” (già “Via Romana”) di Bordighera e “La Conchiglia” di Arma di Taggia. Ormai da molti anni a febbraio fanno trovare sul tavolo con il pane di Triora e gli olii novelli di grandi produttori 7 o 8 tipi di olii novelli di piccole aziende; ogni

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Si tratta di sette weekend, un’occasione davvero unica per conoscere bellissimi borghi dell’entroterra ligure, dal borgo medioevale di Dolceacqua con il castello dei Doria alto sul caratteristico ponte a schiena d’asino che attirò l’attenzione di Monet a fine ’800, a Perinaldo appartenuto ai Conti di Ventimiglia, un incantevole balcone sulle Alpi Liguri ed il mare, a castelvittorio, l’antico Castel Dho incorniciato in un ambiente naturale di rara belleza, Baiardo dove si produce l’olio di montagna, Ceriana, Cesio, Chiusavecchia... Sono weekend pensati per far conoscere in nome dell’olio extravergine un territorio ricco di storia, cultura e tradizioni spesso ignorato da un turismo distratto e superficiale. Visitando i deliziosi paesi, le bellezze naturali ed artistiche spesso sorprendenti si degusteranno piatti tradizionali nei tipici ristoranti che si sono impegnati ad adoperare soltanto olio d’oliva nella loro cucina (l’unica eccezione è per i dolci, dove è possibile - in via del tutto eccezionale - adoperare il burro).

Nella provincia di Imperia aderiscono all’iniziativa ben 44 ristoranti, ma è un’iniziativa che dovrebbe coinvolgere anche altre regioni, dal momento che l’olivicoltura interessa centinaia di migliaia di famiglie italiane. Sembrerebbe una cosa del tutto naturale e invece non tutti sono d’accordo. Troppo forte è il potere di chi auspica l’omologazione e l’appiattimento del gusto per favorire le multinazionali che non hanno nessun interesse alla qualità. Oltre gli addetti ai lavori dovrebbero essere la stampa e la politica a difendere il consumatore per offrirgli la possibilità di valutare con attenzione i criteri d’acquisto. Sarebbe sufficiente se sulla stampa si ponessero in evidenza i risultati dei NAS (Nuclei Anti Sofisticazioni) con la descrizione delle innumerevoli truffe ai danni del consumatore per orientarlo verso una maggiore prudenza. L’olio è una ricchezza troppo importante e va


mangiarle al naturale bevendo un buon bicchiere di Rossese, il vino che sa di fragola, di fiori di montagna e che per me ha anche il sapore della giovinezza. Olive taggiasche e Rossese… li assaporo e mi ritrovo nella piazzetta di Apricale o a Dolceacqua da “Gastone” o a Perinaldo alto sulla vallata, a parlare di poesia e di sogni con Giulia o Maria Cristina o Françoise… olive taggiasche e Rossese… un’accoppiata di magia che certo non era ignoto alle streghe che si riunivano a Triora per compiervi i loro riti… non

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difesa con ogni mezzo contro gli intrallazzi, le sofisticazioni, le furberie. “Chi avrà abbattuto o sradicato un ulivo verrà condotto davanti al giudice e se riconosciuto colpevole verrà punito anche con la pena di morte”. Così recitava la Costituzione degli Ateniesi come ci ricorda Aristotele; è la prima severissima, feroce legge a tutela degli ulivi giunta fino a noi, ma molte altre ne sono seguite sia nel Diritto Greco, che in quello Romano, nel corso dei secoli; agli inizi del 1900 nella sola provincia di Imperia c’erano 6 milioni di ulivi e oggi sono ridotti a 2 milioni a causa della cementificazione e dell’abbandono dei contadini che trovano faticoso e poco remunerativo coltivarli anche a causa della concorrenza spietata di prodotti mediocri. Occorre spendere più denaro ed energie per fare arrivare questo messaggio ai consumatori… difendere l’olio di qualità vuol dire difendere il lavoro dei nostri contadini, la nostra cultura, le nostre tradizioni gastronomiche ma, soprattutto, la nostra salute. Facciamolo arrivare in ogni modo questo messaggio: l’olio extra vergine delle nostre terre ha 300 principi attivi e fa bene, oltre che al palato, alla digestione, al cuore, al colesterolo, alla circolazione. Questo lo dicono i medici, ma io aggiungerei anche che è una straordinaria pozione magica che favorisce l’amore. Non è una battuta la mia. Parlo per esperienza personale; chiunque è stato giovane nella Riviera dei Fiori conosce la misteriosa carica afrodisiaca delle olive taggiasche. Non c’è bisogno di ricette di alta gastronomia… basta

c’è miglior filtro d’amore, migliore incantesimo… nessuno vi resiste; fate la prova giovani e non più giovani innamorati: olive taggiasche e Rossese e ogni resistenza vien meno, ogni barriera si scioglie come neve al sole. Difendiamo le nostre olive taggiasche anche per questo… e che Iside e Pallade Atena ci proteggano.

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di Paolo Bonagura

Le “Città dell’Olio” “La città dell’olio esprime l’origine dell’olio e, come tale, la qualità”. Questo il primo punto della Carta dei fondamenti di “Città dell’Oli”o, che ben comunica la vocazione associativa a promuovere e a diffondere la qualità del prodotto olio e dei suoi territori. Fondata nel 1994 a Larino, “Città dell’Olio” è una rete di oltre 350 Enti, localizzati in 17 Regioni, dal Garda ai piedi dell’Etna, dal ponente ligure al triestino, fino alle isole, operanti in modo concorde e coordinato per il comune obiettivo di valorizzare l’ampio e vario patrimonio olivicolo italiano, che è alla base di molte economie locali. Le mille piccole e medie realtà olivicole del nostro Paese costituiscono un importante comparto produttivo che contribuisce sostanzialmente a definire il ruolo dell’Italia quale bacino di prodotti di alta qualità. Testimonianza ne sono le “Strade dell’olio”, che mostrano, evidenziandone i tratti differenti, aree paesaggisticamente marcate dall’ulivo, che ne connota a tal punto i tratti da renderle attraenti, fino a stimolare la gente a rispondere agli eventi e alle diverse iniziative che coinvolgono sì le bellezze artistiche, architettoniche e gli stessi eventi culturali, ma sempre amalgamando tutto ciò con la cultura rurale legata all’olivicoltura. “Città dell’Olio” si adopera per una approfondita comprensione delle dinamiche produttive attraverso il confronto tra le varie realtà

italiane, la definizione di strategie di marketing territoriale, la sensibilizzazione degli organi nazionali ed europei deputati alla definizione delle politiche economiche del comparto e, in particolare, attraverso la creazione di occasioni qualificate di incontro diretto tra domanda e offerta, quali il “SOL-Salone dell’Olio di Qualità” di Verona, contestuale al “Vinitaly”, o premi rivolti alle aziende produttrici di olio extravergine di oliva DOP, come il “Sirena d’oro” di Sorrento.

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Diverse le iniziative avviate in questi anni: la più recente è “GirOlio d’Italia”, mutuato dal classico giro ciclistico a tappe, evento che include convegni, degustazioni di olio nuovo in abbinamento ai pani della tradizione e ad altri prodotti dell’eccellenza enogastronomica, mostre dedicate alle civiltà dell’olivo, visite ai frantoi, eventi musicali, antichi mercatini, spettacoli di piazza, manifestazioni folcloristiche. La più antica è “Andar per frantoi e per mercatini”, giunta quest’anno alla sua XII edizione, un ampio calendario di fiere, sagre e feste legati all’olio extravergine di oliva, ma anche la “Settimana nazionale dell’olio”, organizzata con Enoteca Italiana, lo sperimentale tour “Capotavola”, promosso dal Ministero del Turismo, con tanti piatti a confronto, grandi chef, lezioni di cucina. L’associazione dell’ “oro verde” è propositiva anche nelle fiere quali “Olio Capitale” a Trieste ed il “Salone dell’olio” a Rimini, e continua a svolgere un ruolo determinante

nel favorire la comprensione e l’apprezzamento dell’olio extravergine d’oliva presso il grande pubblico. L’affermazione del concetto di olio d’oliva come alimento protagonista della cucina italiana, capace di offrire molteplici ed interessati sensazioni al palato, oltre a contribuire con grande efficacia alla salute dell’organismo, è alla base di una serie di iniziative condotte anche grazie alla collaborazione con le principali associazioni d’assaggio italiane. Centrali in quest’ottica sono il progetto di educazione alimentare dei bambini, denominato “Bimboil”, e la produzione di un innovativo strumento volto a qualificare l’offerta di oli extravergine a ristorante, la “Carta degli Oli DOP”. Per maggiori informazioni: www.cittadellolio.it

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Rubriche

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di Arabella Pezza

“D’O - Davide Oldani” Questa rubrica è dedicata ai gourmet che, provenienti da ogni parte del mondo, arriveranno a Milano in occasione della Grande Esposizione del 2015 e saranno certo curiosi di visitare i ristoranti dove poter incontrare il meglio della cucina del nostro Paese, i sapori autentici e genuini

I ristoranti Expo

della nostra terra. “Gustare l’Italia” vuol dare il proprio contributo a questo legittimo desiderio.

Aimo e Nadia, Il Carretto, Da Berti, il “divino” Marchesi… mese dopo mese, noi di “Gustare l’Italia” stiamo presentando a tutti i nostri affezionati lettori i migliori ristoranti da visitare a Milano in occasione dell’Esposizione Universale del 2015. Ma anche a pochi km dal centro della città, lontano dal traffico e dalla pazza folla, ci sono locali imperdibili; ne è un esempio il “D’O” di Cornaredo, alle porte di Milano, inaugurato qualche anno fa dal giovane e talentuoso Davide Oldani, l’inventore di quella che lui definisce “cucina pop”. Intervistiamo l’eroe che ha abbandonato Gualtiero Marchesi, Michel Roux e Alain Ducasse per misurarsi con cipolle, radici e sardine – alta cucina senza orpelli, il futuro della ristorazione italiana - il giorno dopo il derby di Milano; Oldani è un appassionato tifoso interista ma, nonostante la sconfitta della sua squadra del cuore, è come sempre molto disponibile a raccontarci

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le mille idee che realizza, con successo, giorno dopo giorno. Al “D’O” (sono le iniziali di Davide Oldani e curiosamente in giapponese significa “la giusta via”) è possibile scoprire che un grande piatto è innanzitutto frutto di una grande mano; perché non sono le materie prime di lusso a fare la differenza (ne è un esempio l’apoteosi della celebre “cipolla caramellata”) bensì la tecnica, il rigore e l’artigianalità che un cuoco mette nella realizzazione di ogni sua preparazione. Davide propone una cucina basata su verdure di stagione e ingredienti di qualità ma “poveri”, come ad esempio il cavolfiore, con rabarbaro e ricci di mare, lo squacquerone, con albicocche secche e pistacchi, la lingua, con emulsione di barbabietola. Il costo? Non stratosferico, il menu da 4 portate parte da 32 euro. Nel 2008 il Sindaco di Milano ha conferito a Oldani uno dei premi più ambiti, l’Ambrogino d’Oro che Milano dedica ai suoi figli migliori; cosa pensa un milanese innamorato della sua città dell’Expo del 2015? Davide ci spiega che è molto fiero ed orgoglioso di questo riconoscimento; e proprio per questo ha voluto presentare pochi giorni fa alla Moratti la sua proposta per Milano 2015 - che ha come tema “Nutrire il Pianeta”, un piatto nuovo che contempla 3 ingredienti tipici meneghini, il riso, lo zafferano e il panettone. Non il solito “risotto”, dunque, bensì una preparazione genuina con un “equilibrio di contrasti”, il leitmotiv del D’O, che da sempre difende la semplicità e la tradizione.

“Siamo cuochi, mettiamocelo in testa. Il nostro compito è di nutrire nel modo migliore facendo in modo che chi si siede alla nostra tavola sia benvenuto e accudito e torni a casa felice per come ha mangiato. E che, naturalmente, prima ancora di essere andato via, abbia voglia di tornare a trovarci”. Ma cosa intende esattamente Oldani con “cucina POP”? La cucina POP è la cucina “popolare”, del popolo, e quindi del cibo legato alla memoria locale, delle materie prime “povere” ma lavorate con tecnica e grande sapienza. Davide l’ha voluto anche spiegare nel suo ultimo libro edito da Rizzoli, “La mia Cucina POP - l’arte di caramellare i sogni”, do-

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ve racconta la sua filosofia, il suo concetto di cultura gastronomica e di rispetto della stagionalità dei prodotti ma, soprattutto, narra la passione per la scoperta che l’ha fatto diventare anche designer di posate e utensili di cucina. La definizione di un vero e proprio “movimento POP” in cucina non nasce da un’idea improvvisata, ma è il frutto di un lungo percorso, iniziato negli anni della sua gavetta e destinato proseguire all’interno del D’O. Il POP è un’avventura iniziata “in solitaria”, ma che oggi porta avanti soprattutto grazie alla sua “squadra” di ragazzi che compongono il “vivaio D’O”: “L’idea di “Vivaio”, un

termine che si usa spesso nel mondo del calcio e che io, appassionato di pallone, trovo perfetto, parte dal presupposto che il gruppo sia la base di tutto”. Un’ultima curiosità: abbiamo letto in un’intervista cosa vorrebbe mangiare questo cuoco così brillante e originale durante la sua “ultima cena”… “Sono talmente popolano che la mia “ultima cena” mi piacerebbe fosse composta da un enorme mastello di gelato alle creme, prima fra tutte la stracciatella”. Noi di “Gustare l’Italia”, invece, preferiremmo di gran lunga poter assaggiare, uno dopo l’altro, tutti i suoi piatti.

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di Alice Balestrini

Le lune di Gustare l’Italia

“La Speranza”

Questa rubrica è nata con lo scopo di segnalare i ristoranti che a nostro giudizio sono ingiustamente sottovalutati o addirittura ignorati dalle Guide di maggior prestigio; se però “La Speranza” non è stata ancora presa in considerazione dai severi critici la colpa non è, una volta tanto, dovuta a disattenzione o superficialità, ma semplicemente al fatto che il locale è stato aperto soltanto dal luglio scorso e certo gli ispettori non hanno fatto in tempo ad accorgersi della sua esistenza. Per nostra fortuna invece, su segnalazione di un caro amico, gourmet emerito, abbiamo avuto la ventura di conoscerlo fin dallo scorso settembre e dopo alcuni piacevoli incontri, ci siamo convinti che a metà strada fra Modena e Bologna, è nato un ristorante del tutto degno

di figurare fra i migliori di questa felice terra dove la buona cucina non è un optional. Vi si può arrivare sia da Castelfranco, dopo aver percorso la via Emilia, o da Bazzano, facendo attenzione a non perdersi nelle stradine della campagna; il paese si chiama Piumazzo e la località Casale California. Gli innamorati della musica leggera non avranno difficoltà a raggiungerlo perché si trova a pochi passi dal “Kiwi”, il mitico dancing tempio del rock dove si esibiva spesso Celentano negli anni ‘70 (vi ha anche girato il film “Qua la mano” nel 1980). Il ristorante è gestito da una simpatica coppia: Pio Francipane di Monteforte Irpino provincia di Avellino e Florentina Zaharia detta Tina, di Bucarest; entrambi hanno un passato trascor-

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so in importanti locali, lei come cuoca, lui come sommelier e maitre; un felice giorno si sono incontrati, si sono piaciuti e hanno deciso di unire le loro esistenze per realizzare insieme il desiderio che Pio sognava da una vita: aprire un “suo” ristorante dove poter decidere in piena libertà la linea della cucina e della cantina. Lo hanno trovato in una frazione di Castelfranco, un comune storico perché, narra la leggenda, proprio lì è stato inventato il cibo più famoso e gustoso della pur ricca cucina emiliana: sua maestà il tortellino. C’è voluto un pò di coraggio ad aprire il ristorante nel cuore di una regione così lontana dalle loro culture, dove la cucina tradizionale è una religione; ma con l’incoraggiamento di Raffaela, figlia di Pio ed Elisabetta, figlia di Tina, anch’esse bravissime cuoche, si sono lanciati nell’impresa con sprezzo del pericolo e i risultati danno loro ragione perché la clientela è sempre più numerosa e soddisfatta. Un gourmet che per la prima volta si avvicina alla tavola de “La Speranza” resta favorevolmente colpito dal menu che gli viene presentato perché Pio è anche un fantasioso scrittore e insieme alla presentazione dei piatti, ha fatto l’esaltazione della cucina italiana. Così, con piacevole prosa è presentato il ristorante: “La Speranza” vuole essere la testimonianza della tradizione culinaria italiana e delle sue usanze, la storia di una terra attraverso le sue ricette, una terra che è stata capace di trasformare le ricchezze regalategli dalla Natura, in cibi gustosi apprezzati da tutto il mondo. Non è un azzardo da poco presentarsi con queste parole, ma poi quando cominciano ad arrivare i piatti ci si rende conto che l’impegno è del tutto rispettato. Si comincia con piacevoli bruschette (verdure, formaggi, salumi, e in stagione gli straordinari funghi della zona) che sono un gustoso biglietto da visita per i cibi che seguono; si continua

infatti con un primo piatto scelto fra i sette presenti nel menu: sono soltanto sette ma rappresentano un viaggio gastronomico attraverso l’Italia. Si parte dal profondo Sud con i deliziosi “Cavatelli alla Siciliana”, si sale verso il golfo di Napoli con le gustose “Orecchiette alla Sorrentina”; i “Cicatielli alla Zì Monaco” sono un omaggio alla terra natale di Pio perché ricava-

ti da una ricetta avuta da un monaco benedettino del Santuario di Montevergine in provincia di Avellino; per chi vuol regalarsi una sosta in Abruzzo ci sono i “Maccheroncini al pettine” che ci portano sulla costiera adriatica, e finalmente si torna a casa con le “Tagliatelle Vecchia Emilia”, i “Tortelloni di ricotta e spinaci” e i superbi “Tortellini in brodo”. Quando ho letto la prima volta questa voce nel menù di Pio ne sono rimasto favorevolmente colpito e incuriosito: perché i tortellini sono fra i più tra i primi piatti nell’hit parade delle mie preferenze gastronomiche; già il fatto di leggere sul menù “Tortellini in brodo” mi disponeva favorevolmente perché un vero gourmet sa

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che i tortellini vanno cucinati “soltanto” in brodo e un menu che recasse scritto “tortellini al ragù” o “alla panna” basterebbe a squalificar qualsiasi ristorante, soprattutto in Emilia. Ricordo con disagio che in un tempo lontano anch’io mangiai tortellini al ragù e qualche volta - orrore - anche alla panna, ma chiamo a mia discolpa la giovane età e il fatto di non essere nato nella felice terra di Tassoni, di Guido Reni, di Pellegrino Artusi…. Oggi non potrei per nessuna ragione al mondo compiere un misfatto del genere. Che Pio, avellinese trapiantato in Emilia, sia riuscito a non cadere in questo sacrilegio va a favore della sua sensibilità e del suo rispetto per la cucina della regione. Ero poi curioso - e anche un po’ scettico - di assaggiare tortellini realizzati da cuoche meridionali e rumene… ma grande fu la mia sorpresa: arrivarono in tavola favolosi tortellini: sensuali, carnosi, afrodisiaci, la sfoglia tirata alla perfezione, il ripieno perfetto e armonioso;

“tortellini in brodo” come è sempre più raro gustarne anche in ristoranti di un grande passato. Più tardi Pio mi svelò il mistero di quello strepitoso piatto: il brodo era merito di Raffaela ed Elisabetta, ma i tortellini erano dovuti alle mani della signorae Adriana, Anna e di Laura, una signora di Piumazzo che fin da bambina fa tortellini come la mamma e come la mamma della mamma, tutte “rezdore” come si chiamano da queste parti le donne di casa (“rezdora” è una parola bellissima che vuol dire “reggitrice” ed è un nome perfetto per le donne di campagna che reggono sulle loro spalle le sorti della famiglia). Ed è stato un notevole merito di Pio trovarne una così brava a fare non soltanto tortellini, ma anche favolosi tortelloni e tagliatelle. Per i vini da abbinare ai piatti di tradizione emiliana Pio ha nella sua carta un tradizionale Lambrusco o un Cabernet dei colli bolognesi, ma suggerisce anche uno squisito Nero d’Avola o un Aglianico delle vigne di Benevento; be-

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vendoli insieme ai tortellini si dovrebbe ascoltare in sottofondo l’inno di Mameli perché è un abbinamento perfetto per celebrare l’Unità d’Italia. Tutti i piatti che si gustano al “La Speranza” sono creati con la stessa attenzione, lo stesso amore, con quello che dovrebbe essere il denominatore comune di ogni cucina regionale: semplicità nella tradizione e nell’esaltazione dei sapori. La carne arriva dai pascoli dei monti di Zocca, il paese natale di Vasco Rossi e viene trattata in vari modi, ma la mia predilezione va al superbo “Filetto di montagna” (grigliato e ripassato in padella con funghi porcini, verdure miste e provola affumicata) e alla “Tagliata alla Speranza” piacevole e divertente (carne grigliata e posta su di un piatto ovale con 12 contorni che vanno dalla pancetta alla mozzarella di bufala, al capocollo….) Orgoglio di Pio sono anche i piatti di pesce, presenti sulla sulla carta quando arriva freschissimo dalla riviera romagnola e viene proposto in molti gustosi modi arricchiti da un tocco di fantasia: “Antipasto dell’Adriatico” (con crostini, moscardini e alici fritte), “Paccheri alla Marechiaro” (con aragostelle, scampi, mazzancolle, gamberoni e seppioline), la superba “Frittura”, le Spigole e Orate al sale grosso, i Gamberoni alla brace…

Dopo aver pranzato o cenato al “La Speranza”, se non fosse per la banale consuetudine di pagare il conto (peraltro modesto e contenuto nel rapporto qualità/prezzo) si potrebbe pensare di esser stati a casa di amici, perché da Pio e Tina la parola “ospitalità” ha un significato; l’attenzione nei riguardi dell’ospite è autentica e non finta, un sorriso è un sorriso e quando esci ti senti davvero ristorato anche nello spirito come dovrebbe accadere (e oggi è sempre più raro che accada) in ogni vero “ristorante”. Ecco perché “Gustare l’Italia” è lieta di segnalare per primo “La Speranza” (che ormai più che una speranza è una certezza), la piacevole sorpresa gastronomica di Piumazzo di Castelfranco Emilia, e di assegnargli una risplendente “luna” alla quale, siamo certi, seguiranno “stelle e “soli” e “gamberi” e “forchette” che Tina e Pio meritano certamente.

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della Redazione

Crème brûlée - La ricetta originale e 38 varianti Qualche uovo, latte (o panna), zucchero e un elemento aromatizzante: serve davvero poco per produrre questo dolce classico, ma intramontabile. Il volume si apre con suggerimenti per selezionare gli ingredienti migliori, per poi passare alle istruzioni per la crème brûlée di base in tre versioni più o meno ricche. Una volta che si ha la padronanza della tecnica, le possibilità diven sime alla Nutella®, al torrone e al caffè, ma anche aromatiche e speziate. Le creme si arricchiscono di frutta fresca e secca e lo strato di caramello si trasforma anche in nougat. Dalla più semplice alla più esotica, sono 38 le ricette che daranno ai più golosi quello squisito piacere di rompere il caramello per affondare il cucchiaio nelle creme più golose. Edizione: Bibliotheca Culinaria - Pagine: 72 - Prezzo: € 11,80

Collana “500” Questa raccolta di ricette dal pratico formato e dalla grafica accattivante ci fornisce un apanoramica a 360° sul mondo dell’enogastronomia. I venti titoli spaziano dalle “colazioni e brunch” ai “dolci”, dalle “ricette

Libri da mangiare

mediterraneee” a quelle “asiatiche”, senza dimenticare “Formaggi”, “Insalate”, “Ricette per il Barbecue”, “Sformati e stufati”, “Stuzzichini” e “Zuppe”. Completano l’opera i volumi monotematici che riguardano i vini e le bevande: “vini bianchi dal mondo”, “vini rossi dal mondo”, “Birre” e “Cocktail”. I primi due volumi che presentiamo ci suggeriscono come preparare in 10 minuti o addirittura la sera prima una colazione sana ed energetica, e di creare mezedes tradizionali, pane, risotti e insalate ispirandovi a tutte le diverse specialità culinarie regionali dei paesi del Mediterraneo Edizione: Il Castello - Pagine: 288 - Prezzo: € 10,00 cad.

101 ricette da preparare al tuo gatto almeno una volta nella vita - Laura Rangoni È arrivata l’ora di gettare definitivamente nel cestino le noiosissime scatolette e i fastidiosi croccantini. Se ami davvero il tuo gatto, è arrivato il momento di deliziare il suo palato con raffinate squisitezze, cibi appetitosi, facili da preparare e che offrano un’alimentazione sana, equilibrata e gustosa. Dalle alici alla griglia al coniglio in umido, dai cuoricini in crema di bresaola agli hamburger di prosciutto cotto, nulla deve essere lasciato al caso “sulla tavola del re gatto”. 101 ricette da preparare al tuo gatto almeno una volta nella vita è il manuale perfetto, affidabile e prezioso, per offrire il meglio della cucina ai palati più felini. Edizione: Newton Compton - Pagine: 192 - Prezzo: € 9,90

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Tutta la bontà del pane - Sara Papa Il libro, illustrato con fotografie di Vincenzo Lonati, si compone di due parti. Nella prima vengono descritte le procedure fondamentali per poter realizzare il pane in casa, con informazioni, ricette e consigli che spaziano dalle caratteristiche delle farine alla preparazione e alla conservazione del lievito madre. Vengono fornite inoltre le ricette base per preparare in casa la pizza e, soprattutto, la pasta filloche solitamente acquistiamo già pronta. Nella seconda parte sono raccolte circa 50 ricette, tutte illustrate da fotografie, di pani classici, grissini, pizze, preparazioni con la pasta fillo, pani aromatizzati e creativi. Alcuni passaggi sono illustrati da step fotografici. Molte ricette sono corredate da box con curiosità, varianti, consigli per ottenere i migliori risultati o squisite ricette da provare in abbinamento con il pane, come, per esempio, una golosa crema alla gianduia, veloce da preparare, priva di burro e di zuccheri aggiunti. Edizione: Gribaudo - Pagine: 144 - Prezzo: € 14,90

Ricette di famiglia - Roberto Barbolini In forma di romanzo, traslochi compresi, la storia di una famiglia, dalle radici Ottocentesche ai giorni nostri, dai pranzi tradizionali all’happy hour. Dalle grandi dimore patriarcali nelle campagne agli appartamenti metropolitani che ospitano oggi le nostre inquietudini. Personaggio dopo personaggio, bizzarria dopo bizzarria, ricetta dopo ricetta, dal flan di cervella della Nonna Armida al sushi dell’amico Giap (che sposa solo donne giapponesi), si riscopre tutto quello di cui si è nutrito il nostro paese. Il cibo e gli affetti, ma anche l’immaginario: il cinema e il ciclismo, il Mago Zurlì e il Guzzino rosso, la via Emilia e le feste patronali che sembrano sempre gli stessi e continuano a cambiare, come noi... Edizione: Garzanti - Pagine: 300 - Prezzo: € 16,00

101 ricette da preparare al tuo cane almeno una volta nella vita - Laura Rangoni È ora di dare spazio alla fantasia anche per il cibo del vostro cane. Dall’anitra allo yogurt con fiocchi di cereali e nevicata di parmigiano agli arrosticini di milza, dai bocconcini di tacchino al grana con malloreddus sardi alla dadolata di durelli di pollo in salsa su letto di riso, dagli gnocchi con la trota ai maccheroncini in sugo di lonza, ecco 101 ricette originali e appetitose pensate apposta per il vostro amico a quattro zampe. Un ricettario con suggerimenti e trucchi per garantirgli un’alimentazione sana ed equilibrata: i tempi di preparazione, gli ingredienti e soprattutto quel pizzico di fantasia e ingegno che daranno più sapore ai piatti dei vostri cuccioli Edizione: Newton Compton - Pagine: 192 - Prezzo: € 9,90

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Indice delle ricette di marzo

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Bocconcini di spinaci e patate - Spinaci e fiori di zucca fritti

11

Pollo al limone - Marmellata di limoni

15

Pasta con le sarde e la finocchiella selvatica “alla Peppo”

21

Tagliolini al tuorlo alle tre carni

21

Scampi marinati con salsa allo yogurt

9

11

49

22

15 Foie gras alla frutta Capesante con parmigiana scomposta in salsa di parmigiano

49

Polpettine di pesce Sformato di carciofi

51

50

Pizza alla calabrese (Pitta)

51

Risotto con le rane

52

52

Ziti alla pescatora - Orata alla boscaiola

53

Polpettone all’abruzzese con cuore di scamorza

58

Linguine all’astice profumato allo spumante

59

Filetti di cernia al forno con salsa allo spumante

Tante altre ricette su www.gustarelitalia.it Gustare l’Italia 98

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L’amore per la qualità Il rispetto per la tradizione Benagiano Pastificio srl Corso Italia 138-140/b - 70029 Santeramo in Colle (Ba) Tel. 080-3036036 - E-mail: benagiano@benagiano.it - Website: www.benagiano.it



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