Handkerchief No. 3
Il "codice del fazzoletto" Handkerchief Code — chiamato anche Hanky Code o Bandana Code — è un sistema utilizzato nelle comunità gay dagli anni Settanta, in Europa e Stati Uniti, per segnalare agli altri la propria
disponibilità e preferenza sessuale, tramite un fazzoletto collocato nella tasca posteriore dei pantaloni. Come si vede in copertina, il codice cromatico viene applicato a tutti i numeri stampati di Handkerchief.
Al nero viene accostata una seconda tinta, scelta in base al tema trattato nel numero. Il verde lime indica "vuole cenare" se indossato a sinistra, o "offre la cena" quando portato a destra.
Questo stampato è distribuito gratuitamente, ma non è una pubblicazione. Rappresenta la simulazione di una rivista in un contesto di editoria periodica, ma non ha uscita periodica. Viene diretto da un professore, ma non c’è un editore. Ha un gruppo di cinque ragazzi che si riunisce nel salotto buio di una casa per studenti, ma non c’è una redazione. Ha il codice Handkerchief, ma non ha un codice ISSN. Non ha un target, ma ha un pubblico. Se stai leggendo questa copertina, forse per la prima volta non sei parte di un piano di marketing, ma solo un lettore attratto dai colori forti. Main sponsor: CTS Grafica Città di Castello (PG)
Progetto realizzato presso ISIA Urbino www.isiaurbino.net
Biennio Specialistico in Comunicazione e Design per l'Editoria
Corso di Progettazione Grafica, docente Mauro V. Bubbico
Marina Tsvetaeva L’amore è indubbiamente il motivo più raccontato da cantautori, scrittori, drammaturghi e poeti, che nel corso dei secoli sono riusciti a raccontare attraverso le proprie capacità interpretative…
Web e teatro Nel gergo di internet, il termine fake indica un utente che falsifica la propria identità all’interno di un servizio online – social network, blog, chat, forum, app – e costruisce… Esperienze a confronto Abbiamo intervistato tre partecipanti al progetto “Le cose cambiano”, chiedendo loro di darci un saggio della propria esperienza del coming out e del proprio vissuto.
No. 3 SULLA SPONTANEITÀ Coltivare spazi per rivelarsi: allo specchio, alla luce del sole, oppure sotto le luci del palcoscenico, quando nella rappresentazione e nel racconto di vite altrui si celano e si scoprono parti della propria. Vita e teatro non sono agli antipodi: sono le facce di una stessa medaglia, così come si intrecciano, nella vita di tanti, maschere e spontaneità.
Handkerchief No. 3
Sulla spontaneità: spazi per rivelarsi
Marina Tsvetaeva: la Russia e gli amori delle donne
MARINA TSVETAEVA — LA RUSSIA E GLI AMORI DELLE DONNE
L’amore è indubbiamente il motivo più raccontato da cantautori, scrittori, drammaturghi e poeti che, nel corso dei secoli, sono riusciti a raccontare, attraverso le proprie capacità interpretative, emozioni e stati d’animo molto spesso difficili da esprimere. Oltre alla letteratura europea ampiamente conosciuta, che va dalla poesia duecentesca italiana a quella ottocentesca inglese, vi sono esperienze d’amore meno note che portano con sé il sapore di realtà diverse e contesti storico-culturali lontani.
Nella Russia zarista di fine Ottocento, nasceva una delle più prolifiche e interessanti poetesse sovietiche, Marina Ivanova Tsvetaeva (1892, Mosca – 1941, Yelabuga). Esponente principale del simbolismo russo, – un movimento letterario che dava espressione all’individualità dei poeti durante il primo decennio del Novecento – Tsvetaeva cominciò a comporre poesie all’età di sei anni, e quando compì diciott’anni pubblicò Album Serale (1910), il suo primo volume di poemi, scritti durante l’adolescenza: si tratta di componimenti di tipo confessionale, permeati da intimismo e nostalgia per il calore dell'infanzia passata.
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La consapevole bisessualità e il lesbismo che ricorrono nelle sue opere, sono stati per lo più ignorati dagli studiosi, nonostante l’attrazione della poetessa verso il proprio sesso si fosse manifestata già durante la fanciullezza, sia nella letteratura che nella relazione con gli altri bambini. Nell’opera in prosa Dom u starogo Pimena (La Casa al Vecchio Pimen), la più lunga delle sue memorie d’infanzia, Tsvetaeva racconta la storia del proprio amore per Nadya, più grande di otto anni, la cui bellezza, a suo parere, nemmeno la sua poesia poteva riuscire ad esprimere. Nonostante le sue inclinazioni le fossero chiare fin da presto, o probabilmente in un tentativo di neutralizzare l’ansia che le creavano, Tsvetaeva arrivò a sposarsi e ad avere la sua prima figlia.
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Marina Tsvetaeva: la Russia e gli amori delle donne
Tuttavia, in coincidenza con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, conobbe la poetessa Sophia Parnok, più tardi soprannominata la "Saffo Russa", in onore della antica poetessa greca Saffo a cui si deve l’origine del termine “lesbismo”.
Saffo, poetessa greca della fine del VII secolo a.C., fu donna raffinata ed elegante nei modi e nell’aspetto. Amò molto, e l’amore riversato nei suoi versi fu un canto limpido e toccante. In gioventù fu esiliata in Sicilia, ma fece poi ritorno a Lesbo, isola natale, dove curò l'educazione di gruppi di fanciulle. Portata per l’introspezione, coltivò la vena intimistica e la rappresentazione dell’erotismo femminile: è con lei che nella poesia nasce l’interiorità, favorita dalla condizione femminile nel mondo dell'eros greco.
Nel 1914 Tsvetaeva cominciò una storia d’amore che la portò a scrivere uno dei lavori più maturi del suo primo periodo, il ciclo di poemi Podruga (fidanzata/amica), un capolavoro poetico sull’amore lesbico, pubblicato solo negli anni Settanta. In seguito alla rottura tra le due poetesse nel 1916, Tsvetaeva tornò dal marito, diventato allora un ufficiale dell’armata Bianca controrivoluzionaria, ed ebbe la sua seconda figlia. Nel 1918 lavorò all’interno del gruppo teatrale Terzo Studio, occasione in cui conobbe l’attrice Sonya Holliday, con la quale intrattenne un rapporto amoroso, forse platonico, ma intensamente erotico. La relazione è descritta nell’opera Povest’ o Sonechke (La coda di Sonechka): molti tra i personaggi del poema hanno identità ambigue e si creano spesso delle relazioni triangolari fondate non solo sulla bisessualità, ma anche su un generale senso di fluidità delle identità sessuali.
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Verso la fine degli anni Trenta, dopo un breve soggiorno europeo, Tsvetaeva tornò in Russia, dove, in seguito all’ascesa del potere nazista, il marito fu giustiziato come nemico del popolo dall’Armata Rossa e la figlia reclusa in un campo di concentramento. La disperazione per gli eventi personali e politici occorsi, la portarono a togliersi la vita nell’estate del 1941. Restano però la sua avventurosa e personale produzione poetica, espressione femminile della poesia russa, che le valse l'ammirazione di molti, tra cui i poeti Valery Bryusov, Anna Akhmatova, Rainer Maria Rilke e Boris Pasternak.
Sulla spontaneità: spazi per rivelarsi
WEB E TEATRO: LA FINZIONE DI SE STESSI
Web e teatro: la finzione di se stessi
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Le forme teatrali moderne discendono da quelle praticate nella Grecia antica. La recitazione nei teatri greci — di cui sotto un esempio di pianta — era appannaggio esclusivo degli uomini, che si ritrovavano ad interpretare spesso anche ruoli femminili, indossando delle maschere. Le norme dell’epoca non prevedevano rapporti al di fuori di quelli eterosessuali, fatta eccezione per la pederastia e per alcuni culti arcaici, in particolare quelli legati a Dioniso — considerato intermediario tra mascolinità e femminilità — durante i quali il travestitismo era consentito.
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Fonte: The Guardian, primavera 2014
Nella rete non è raro imbattersi in utenti la cui identità all’interno di un servizio online – social network, blog, chat, forum, app – è alterata, se non addirittura contraffatta, come nel caso dei fake, per costruirvi attorno un personaggio più o meno inventato. L'alterazione dei propri nome utente, foto profilo e sesso parte da un unico presupposto comune: lasciare la propria identità originaria per una nuova.
Spagna
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Il grafico confronta il riconoscimento dei diritti omosessuali in diversi paesi europei; l’intensità del colore aumenta al crescere della tutela legislativa di questi.
Si tratta spesso di manifestazioni della propria persona, del proprio alterego o della propria personalità nascosta; altre volte è l’ideale di se stessi, incarnazione della propria virilità o metamorfosi di un carattere che
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nella realtà avrebbe troppe attenzioni (o troppo poche) e voci contro. Nella rete, invece, si può essere chiunque, anche se stessi. È un cumulo di stanze virtuali: se nel mondo reale non puoi essere chi vuoi, in questo ambiente puoi rivelarti sotto nuove vesti, parlare in un certo modo e dichiarare apertamente a chiunque la tua identità. “L'uomo è poco se stesso quando parla in prima persona. Dategli una maschera e vi dirà la verità” afferma il poeta e scrittore irlandese Oscar Wilde, condannato nel 1985 a patire insonnia, malattia e lavoro forzato a causa del suo essere omosessuale e del proprio desiderio di portare l’estetismo letterario agli estremi. Il cambio di sesso in rete non richiede interventi chirurgici, non viene giudicato, non costa nulla. Vengono definiti anche “trans virtuali” e sono uomini che chattano e seducono come donne, o donne che incarnano l’uomo perfetto. A volte sono gay che riconoscono altri gay travestiti da donna e si lasciano deliberatamente sedurre fingendosi etero; lesbiche che vorrebbero sedurre altre lesbiche ma inciampano in uomini etero travestiti da donna; profili falsi che seducono profili falsi ed altri stravaganti incontri. Finché tutto si cela dietro ad uno schermo, cadono le identità reali e lasciano spazio ad un “teatro virtuale” in cui i personaggi, mossi da un implacabile desiderio di rivelazione, recitano.
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DeNada Dance Theatre. Phil Sanger in Passionaria. Coreografia di Carlos Pons Guerra. Foto: Maria Falconer.
Web e teatro: la finzione di se stessi
Così anche nella letteratura e nel teatro, l’identità pare non essere un punto fermo, ma cede spesso a continue mutevolezze, situazioni ambigue che muovono storie e personaggi, rendendoli più interessanti e accattivanti. Lo jurodivyj ad esempio, è un esercizio che deriva dalla cultura russa e indica una pratica di simulazione del proprio comportamento che viene messa in atto in determinate circostanze. In italiano è noto come "folle in Cristo" o "santo idiota", una figura singolare che cambia la propria veste identitaria per mescolarsi tra i buffoni di corte e i clown nelle piazze, suscitando scandalo con gesti folli e spesso osceni. Si tratta dunque di una figura che, costruita attorno a una manifestazione spettacolare della propria identità, crea situazioni prive di censure che normalmente risulterebbero come alterazioni o anomalie del quotidiano. Come nel web, quindi, anche il palcoscenico si fa luogo di espressione per identità occulte e smoderatezze, un luogo dove travestirsi o mettersi a nudo. Un atteggiamento simile lo si riscontra anche nel teatro shakespeariano, in cui il travestitismo è ricorrente e di assoluta rilevanza; ma è un tema, quello del travestitismo e del camuffare la propria identità, di estrema importanza sin dalla commedia greca, sviluppatosi nel teatro moderno attraverso il Rinascimento, con la commedia erudita italiana. Nel teatro elisabettiano i ruoli femminili vengono interpretati da attori maschili, in quanto per legge è proibito alle donne di esibirsi e recitare su di un palcoscenico. È così che i
A differenza della società al largo, il teatro ha sempre celebrato l'omosessualità e la convivenza del mascolino col femminino, travalicando, anche in Italia, i confini sociali imposti. In particolare, il teatro en travestì ha trovato grande fortuna e ha reso più accettabili omosessualità e transessualità. Ma si tratta ancora di rappresentazioni percepite come grottesche e caricaturali, espressioni accettabili sul palco ma non al fuori di questo. Il riso del pubblico in risposta a queste esibizioni era, più che un riso divertito, un digrignare i denti, in segno di difesa dal rappresentato. Franco Branciaroli realizza nel 1966 con Carmelo Bene e Aldo Trionfo, anch'egli omosessuale, una versione del Faust dal nome “Faust o Margherita”: in scena, il primo bacio omosessuale a teatro in Italia, ed è grande clamore e motivo di subitanea censura dello spettacolo. Non di rado Carmelo Bene veniva messo agli arresti. Nel 1986 Carmelo Bene mette in scena il Lorenzaccio,
interpretando Lorenzino de Medici, figlio illegittimo, vestito da “bella signora”. Carmelo Bene, disturbato dal fatto di essere noto quasi esclusivamente per le proprie vocalizzazioni, recita muto. Quando Lorenzino distrugge parti della scenografia, realizzata con oggetti in pasta di zucchero che non fanno rumore, Mario Contini, rumorista Rai, appostato dentro un'armatura cinquecentesca nello spazio ribassato per l'orchestra, realizza rumori fuori sincro. È la Storia (Contini) che non va al passo con la Realtà (Bene). Al piano superiore, un terzo livello di rappresentazione, c'è un uomo di colore che guarda giù: guarda Lorenzino vestito da bella signora e si eccita, ma non riesce a vedere bene; è la rappresentazione dell'Arte che non riesce a trovare soddisfazione in rapporto alla Realtà. Reazioni irritate non si fecero attendere: chiamarono Carmelo Bene frocio e con altri epiteti. L'opera è una grande metafora, ma ancora prima, per il pubblico, un altro grande scandalo.
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Sulla spontaneità: spazi per rivelarsi
cosiddetti boy actor o boy player interpretano ruoli del sesso opposto, in quanto dotati di un timbro vocale, poco maturo e non ancora adulto, che gli permette di calzare a pennello il ruolo di una donna. Addirittura, nell’opera dello stesso drammaturgo inglese As you like it, un ragazzo interpreta il ruolo di una fanciulla che a sua volta personifica un ruolo maschile. Quelle di Shakespeare, quindi, sono opere che portano a reinventare la figura e i ruoli femminili sul palcoscenico. È così che, in un certo senso, la messa in scena giustifica la provocazione o la satira: se l’espressione del cambio di identità sessuale nella quotidianità risulta spesso un’anomalia agli occhi di molti, il teatro ha il suo palco, i suoi attori e un copione da seguire; ciò che sopra il palco è vero, lungo la platea è finzione. Così nel 1995 Matthew Bourne decide di reinterpretare la più celebre opera di Tchaikovsky sotto una nuove chiave: Il lago dei cigni popolato da soli cigni maschi. L’eleganza femminea del cigno in tutù bianco viene sostituita dalla muscolatura scolpita del ballerino. Il lago di Bourne, che vede il celebre ballerino britannico Jonathan Ollivier come protagonista principale, non manca di avere dei riferimenti cinematografici a Billy Elliot, il ragazzino di undici anni che, incoraggiato dal padre minatore a diventare un campione di boxe, persegue invece il sogno della danza. Il film, diretto da Stephen Daldry, si conclude con una scena spettacolare in cui Billy,
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Web e teatro: la finzione di se stessi
divenuto ormai adulto, riesce a realizzarsi come primo ballerino a Londra e si esibisce ne Il lago dei cigni con un maestoso salto che lascia il padre in lacrime. L’opera di Bourne finisce così per essere una rivisitazione in chiave satirica dell’opera drammatica che vede un uomo nei panni di Odette, la “fanciulla cigno” alla quale il principe Sigfrido giura eterno amore. Percorrere il terreno del palcoscenico o dei finti profili online possono sembrare due modi per occultare la propria identità, ma si tratta solo di un'interfaccia, uno strumento per accedere ad una parte di noi stessi che fuori, per strada, non mostriamo. La finzione è dunque un potente e controverso veicolo di spontaneità, tramite il quale i pregiudizi vengono letteralmente schermati da un monitor o dal palco del teatro. Forse è possibile pensare ad un altro mondo, uno in cui Il lago dei cigni di Bourne viene messo in scena per strada o nei centri commerciali, i fake dei blog si mettono d’accordo per bere un caffè al bar e lo jurodivyj, non trovando più scalpore tra la gente, cessa di esistere.
Esperienze a confronto
Potresti raccontarci come hai preso consapevolezza della tua identità sessuale?
Lucio Ho scoperto di essere attratto da altri uomini alla scuola media. Poi la situazione si è palesata con forza durante il liceo, provavo attrazione verso un compagno di classe. La vera accettazione però è arrivata ai tempi dell’università quando ho lasciato la famiglia per andare a vivere da solo.
Nel 2010, dopo alcuni suicidi di ragazzi omosessuali vittime di bullismo da parte di loro coetanei, lo scrittore e attivista americano Dan Savage, assieme al marito Terry Miller, ha caricato su YouTube un messaggio diretto agli adolescenti sottoposti a discriminazioni. Nasce così il progetto "It Gets Better". L'iniziativa viene riproposta in Italia con il nome di "Le cose cambiano".
«Quando avevamo la vostra età» raccontano «è stata dura anche per noi essere gay in mezzo a persone che non ci capivano, ma se oggi potessimo parlare ai quindicenni che eravamo gli diremmo di resistere, perché presto andrà tutto meglio, troveranno degli amici fantastici, troveranno l’amore e un giorno avranno una vita molto più felice di quanto immaginano».
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Intervista a tre partecipanti al progetto “Le cose cambiano”
Anto Il mio coming out interno è stato molto lento, con piccoli passi avanti e molti passi indietro. Negli anni passati parlavo della mia disforia di genere, non erano dei veri e propri coming out perché poi non riuscivo a vivere la mia vita di persona transgender, tranne timidi episodi. In pratica erano solo dei coming out verbali. Insomma, ci ho messo vari anni, da quando ho scoperto cosa fosse la disforia di genere, durante i quali ho cercato di rendermi abbastanza forte da affrontarla serenamente, e quindi quando ho capito che la mia strada era quella, che quello non ero io ma che potevo essere altrimenti, ho iniziato a fare dei veri e propri coming out (più o meno goffi). Al momento vivo ancora una doppia vita, al lavoro in versione maschile e il resto del tempo, cioè la sera e i weekend, in versione femminile. Credo sia solo una cosa temporanea, ma è anche abbastanza frustrante. Francesca Ho capito di essere bisessuale verso i 25 anni; è stata una consapevolezza raggiunta in modo graduale, perché in realtà ho sempre sentito di essere attratta da entrambi i sessi, ma non mi facevo troppe domande perché gli davo poco peso. Pensavo che fosse così per tutti. Poi pian piano mi sono resa conto che quello che sentivo per le ragazze era diverso rispetto a quello che le mie amiche raccontavano e provavano, quindi ho capito.
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Esperienze a confronto
Intervista a tre partecipanti al progetto “Le cose cambiano”
Puoi parlarci della tua vita prima e dopo il coming out con te stesso e con gli altri?
Lucio Una vita “normale”, allegra e spensierata, fino a quando non ho cominciato a “odiare” il mio corpo e avere atteggiamenti legati al disordine alimentare. Solo dopo aver ammesso a me stesso che sarei stato meglio con un uomo e aver lasciato la mia compagna di allora, ho cominciato a “guarire” e divertirmi davvero. Anto Il punto di svolta non è stato tanto il coming out in sé, quanto l’affrontare la disforia, che detta così sembra una cosa a me estranea, ma che poi non lo è. È un processo lungo e non si può risolvere in un unico momento catartico, ci sono una serie credo infinita di aggiustamenti, riflessioni, contrasti da affrontare, fuori e dentro di sé. Non mi identifico con questa situazione, la disforia è solo uno dei tanti aspetti di me, forse il più problematico ma non l’unico, per fortuna. Sembrerà banale dirlo ma mi sento una persona migliore ora, e gli altri lo percepiscono e siamo tutti più felici. Sarà anche che ho il privilegio del passing, almeno finché non apro bocca, passo abbastanza inosservata, ma è un privilegio che non tutte hanno, un “privilegio” che in realtà non lo è, perché indotto da una società binaria che non accetta individui non incasellabili nei due generi. Francesca Il coming out con me stessa è stato piuttosto semplice: un giorno ho visto una ragazza che mi piaceva fisicamente e ho pensato “wow, che carina!”, in un modo che sarebbe stato difficile confondere con altro. Semplicemente i pezzi sono andati a posto. L’accettazione e il coming out con la famiglia, invece, hanno richiesto diversi anni, perché ero piena di paure. Ma alla fine è andato tutto benissimo e da quando tutti sanno, la mia vita è molto più serena.
Grazie a Briefcase e Jan Novák per averci concesso l'utilizzo di BC Liguria in copertina.
Fonti bibliografiche: Robert Aldrich, Garry Wotherspoon, Who's who in Gay and Lesbian History: From Antiquity to World War II, Routledge, 2000. Simon Karlinsky, Marina Tsvetaeva: The Woman, her World, and her Poetry, Cambridge University Press, 1986. Jane Costlow and Stephanie Sandler, Sexuality and the Body in Russian Culture, Stanford University Press, 1998. Lily Feiler, Marina Tsvetaeva: The Double Beat of Heaven and Hell, Durham (Carolina, USA), Duke University Press, 1994.
Handkerchief No. 3 Sulla spontaneità: spazi per rivelarsi Fotografie: Hugo Glendinning
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SULL'ASSENZA
No.2
SULL'ECCESSO
No.4
SULL'ESPERIENZA
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Illustrazione di Giovanni Murolo
Giacomo Delfini Alessandro Piacente Lorenzo Toso
Numero 03
Progetto a cura di Francesco Barbaro Giulia Cordin
Jacob Levy Moreno, l’ideatore dello psicodramma, ha studiato a lungo la spontaneità attraverso la rappresentazione teatrale e ha concluso che l’atto di salire sul palco e recitare in base a un ruolo, per paradossale che possa sembrare, ci rende esseri umani più liberi. Non solo, al suo “teatro della spontaneità” sono state riconosciute delle valenze terapeutiche: affrontare demoni sul palcoscenico ci aiuta a farlo nella vita, e interpretare dei personaggi – altri da noi – ci rende, in modo inaspettato, maggiormente noi stessi.