Che cosa accade quando un indumento strappato, un muro scrostato, un veicolo impolverato si trasformano in linguaggio? Quando una fotografia ci colpisce per un senso che cogliamo in un angolo trascurato e secondario? Quando il racconto di una terra lontana, un discorso d'amore si dipanano attraverso frammenti d'immagini? Sono solo alcuni degli interrogativi di fronte ai quali l'opera di Pio Pazienza ci pone proponendoci la sua fotografia, che è visione del mondo prima che documentazione della realtà; domande alle quali lo studio dei segni umani ci trascina, coinvolgendoci in un sistematico accostamento della singolarità degli oggetti al sapere dello sguardo che indaga, con il rischio, sempre messo in conto, e addirittura cercato, di rimanere toccato, ferito. Rischio, sì, ma anche piacere dell'ascolto, tanto in senso letterale quanto metaforico: ascoltare come cogliere le sfumature, risuonare insieme, eccedere l'endoxa, cioè il sapere approssimativo e stereotipato. In quest'opera l'Autore ci rivela un dizionario di significati sottili, impossibili da tradurre in linguaggio verbale, una mappa antropologica, segni stratificati del tempo che riflettono la magia delle immagini, come ha intuito André Breton muovendo dalla considerazione che, nella lingua francese, “magie” e “image” hanno le stesse lettere ed è possibile giocare con l'una o l'altra parola, scambiando semanticamente i significati. Così, le fotografie di Pio Pazienza sono l'emblema delle immagini che invadono oggi il nostro quotidiano, sono il messaggio, la sintesi di una informazione, costituiscono una visione totalmente emancipata dalla realtà, liberata dalla imitazione del mondo, costruita e pensata secondo un progetto, una idea, un ragionamento: l'obiettivo di Pazienza non è più “obiettivo”, il click della fotocamera nell'attimo della ripresa è sempre una espressione voluta, la riappropriazione di un fatto, l'evocazione virtuale del suo universo.