16 modi per spezzarti il cuore

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lauren Strasnick

16 modi per spezzarti il cuore

Traduzione di Isabell a Po lli


ISBN 978-88-6905-291-0 Titolo originale dell’edizione in lingua inglese: 16 Ways to Break a Heart Katherine Tegen Books an imprint of HarperCollins Publishers © 2017 HarperCollins Publishers Traduzione di Isabella Polli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollins Publishers LLC, New York, U.S.A. Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2018 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HarperCollins marzo 2018

Questo libro è prodotto con carta FSC® certificata con un sistema di controllo di parte terza indipendente per garantire una gestione forestale responsabile.


Per Nica



Poiché né la disperazione, né la degradazione, né la morte, niente che Dio o Satana potessero infliggerci ci avrebbe separato, tu l’hai fatto, di tua volontà. Io non ho spezzato il tuo cuore, l’hai fatto tu, e facendolo hai spezzato anche il mio. Emily Brontë, Cime tempestose



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LOS ANGELES, MERCOLEDÌ 3 MAGGIO 2017, 15.45

Caro Dan, saluti dal cimitero delle ex! Sono al bar della Dayview e ti scrivo dal tavolino in fondo, sai quello che detesti, quello di vimini che traballa? Qui è un mortorio. Avrei potuto sedermi tranquillamente all’aperto, sotto una bougainvillea rosa, oppure accaparrarmi un posto vicino alla vetrina, con vista sul cortile, invece sto sbrodolando caffellatte tiepido sulla mia carta da lettere più bella, solo perché questo schifoso tavolino mi ricorda il nostro primo incontro. Mi sei piombato addosso, ti ricordi? Mi hai involontariamente sbattuto contro l’espositore del latte e dello zucchero. Il top del romanticismo! Un altoparlante diffondeva musica raffinata tipo jazz, il genere di musica che mi fa sentire sexy e francese: un’ingenua ragazzetta dalle labbra tumide che compra 9


peonie al mercato, mordicchiando una baguette mentre fuma Gauloises e legge Proust. Tu avevi il tuo basco più bello. Okay, in realtà no. Hai rovinato la scena con i jeans e la camicia a scacchi. In ogni caso, mi eri piaciuto. Sembravi il tipo a cui vengono gli occhi lucidi quando guarda film sportivi pieni di messaggi retorici. Il tipico ragazzo che vuole tanto bene alla mamma. Che va fiero dei suoi abbracci virili con le pacche sulla schiena. «Oh, merda!» Mi hai urtato, la mia divisa scolastica tutta imbrattata di latte e zucchero. «Mi dispiace tantissimo» hai detto, mentre io cercavo goffamente di pulire la macchia di latte dalla mia gonna scozzese. «Come posso farmi perdonare? Ti compro qualcosa di carino?» «Un pony?» Tu hai riso, e mi hai offerto un caffè. Io non permetto mai a nessuno di offrirmi niente, ma i nostri sguardi si erano incollati, gli angeli si erano messi a cantare e avevo già capito di poterti amare. Alexa sostiene di aver provato qualcosa di simile per un ragazzo che aveva conosciuto nella zona ristoranti della Galleria Glendale, ma si sbaglia. Quello che è successo fra di noi quel giorno è stata una rivelazione – o una rivoluzione? Prima di distogliere lo sguardo ho sentito le nostre anime unirsi e i nostri corpi fondersi e giuro su Dio, Dan, ho visto i vestiti per il ballo della scuola e pegni d’amore e ho guardato i nostri futuri che si srotolavano come un enorme progetto architettonico. Io e te eravamo qualcosa di inevitabile. 10


Ricordi che cosa è successo dopo? Ci siamo spostati a quel tavolino e abbiamo parlato della Dayview. Tu eri uno studente-lavoratore, che due volte alla settimana si occupava dei ragazzi con i ritardi più gravi. «Che cosa fai esattamente con loro?» ti ho chiesto. «Per lo più li aiuto con l’attività fisica: il nuoto, la staffetta, il basket. Alcuni sono piuttosto forti, fisicamente, e non è facile gestirli. Direi che sono una specie di assistente per gli insegnanti.» «Oh, io mi occupo di una cosa simile» ho risposto, anche se non era vero affatto. Facevo volontariato per un programma di arteterapia finanziato dai genitori alla Eagle Hill, la scuola gemellata con la Dayview, fin dal primo anno di liceo. Ciò che i nostri progetti avevano in comune era che si svolgevano presso lo stesso campus, avevano la stessa mensa e condividevano un bar gestito dagli studenti. «Faccio educazione artistica con i bambini. Però loro sono molto bravi, in realtà, a differenza dei tuoi. Hanno solo, come dire, un ritardo nella socializzazione.» «Quindi tu disegni insieme a loro?» «A volte, sì. Facciamo anche sculture. E dipingiamo.» «È molto bello da parte tua dedicare del tempo a questo progetto.» «In realtà è molto egoistico» ho ribattuto. «Mi piace sentirmi utile.» «Non ci credo.» 11


«Invece dovresti» ho detto alzando le spalle. «È la verità.» Abbiamo parlato anche d’altro – la scuola, i gattini, il grunge rock («I Pearl Jam sono la mia droga – fondiamo una tribute band in stile anni Novanta!»), i fantasmi, il colonialismo, l’autentico significato della mascolinità, e… «Hai mai infranto la legge?» ti ho chiesto. «Nah. Aspetta! Ho votato alle ultime elezioni.» «Ah! Hai mai sforato il coprifuoco?» «Mai.» «Hai spezzato qualche cuore?» «Assolutamente no. Sei tu la rubacuori» mi hai risposto scuotendo la testa, con un’occhiata obliqua. «Ce l’hai scritto in faccia.» «Scherzi?» ho detto, appoggiandomi all’indietro e sorseggiando con grazia il caffè macchiato che mi avevi offerto. «Ti ringrazio, ma non è così. Di solito sono quella che viene abbandonata.» «Sei troppo bella per essere abbandonata.» «Sei una persona vera?» ho chiesto con un sorriso radioso, intingendo il mignolo nella schiuma del tuo cappuccino, per poi succhiarlo. Era il gesto più audace e allusivo che avessi mai fatto e a te è piaciuto un sacco. Ti è caduta la mascella e hai spalancato gli occhi – ero al settimo cielo. Mi sentivo potente, intrepida, e a essere sincera anche un po’ incandescente. Ma poi, con quel tuo sorrisetto moralista che ho 12


imparato a conoscere così bene, mi hai chiesto: «E tu che tipo di ragazza sei?». Merda, Dan, che razza di domanda era? Mi sorridevi, come per una battuta che avrei dovuto capire, e quindi ho ricambiato il sorriso, invece avrei dovuto cogliere il vero significato di quel momento, riconoscere l’avvertimento che mi avevi lanciato. Voglio dire, avevo osato essere audace, un po’ sfacciata e civetta, e tu mi avevi subito smontato con i tuoi giudizi. Ovviamente ho nascosto l’imbarazzo per paura di soffocare la fragile, tremula scintilla che era scoccata fra noi. Mi piacevi a tal punto che il solo pensiero di perderti, anche all’inizio, mi sembrava insopportabile. Amavo la tua voce, le tue mani, il tuo accento e il modo in cui la tua bocca formava un piccolo broncio quando pronunciavi il suono “u”. Ho immaginato noi due che ci baciavamo e ci toccavamo, e ci BACIAVAMO e ci TOCCAVAMO e ho provato un’immediata e sconcertante intimità con te che, cavolo, mi ha completamente stravolto. Che cosa diavolo era? Il destino? La magia? O semplicemente il classico cocktail di dopamina e adrenalina? La passeggiata fino alla Eagle Hill. QUELLA PASSEGGIATA.

Le nostre dita si sono sfiorate e una scarica effervescente mi è scivolata attraverso il corpo, su per le braccia, nel petto, e poi di nuovo giù, fino all’ombelico. Tu blateravi nervosamente a proposito di Hemingway o Stein13


beck, qualcosa che dovevi leggere per il corso di letteratura e che detestavi. Avrei voluto toccarti ancora, per ricreare la sensazione di pochi secondi prima, ma ormai ci eravamo fermati, incerti, davanti al laboratorio di arte. Non ci guardavamo, fissavamo il marciapiede. «Grazie» ho detto mordendomi l’interno delle guance e giocherellando con i capelli. Mi sentivo esaltata ma anche impotente, ero certa che fossimo anime gemelle eppure temevo che non ti avrei mai più rivisto. «Per cosa?» mi hai chiesto. «Per averti rovinato la divisa?» Io ho annuito. Siamo rimasti a fissarci per un lungo istante. «Hai un telefono in quella borsa?» «Sì, ce l’ho.» Tutta contenta ho tirato fuori il cellulare, ho segnato il tuo numero e ho fatto partire la chiamata, ributtando la palla nella tua metà campo. «Allora ci vediamo in giro?» Ci vediamo in giro? CI VEDIAMO IN GIRO?! Niente dichiarazioni appassionate? Niente lunghi baci né rapide, sensuali carezze? Il cuore mi batteva all’impazzata. Ho soffocato l’istinto di prenderti a forza, divorarti le labbra e strapazzarti i capelli, di strapparti quella camicia button-down a scacchi ben stirata con i miei incisivi arrotondati da bambina. «Certo, ci vediamo» ho sussurrato, salutandoti con la mano mentre ti allontanavi. Abbiamo cominciato in modo piuttosto promettente, 14


non è vero, D? Chi avrebbe mai pensato che saremmo finiti in questo modo? In un modo esplosivo, devastante, catastrofico. Cordialmente, tua Natalie

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DAN, 6.06

Io sono un sacco di cose: un bugiardo occasionale, un vigliacco a tempo pieno, forse un traditore. E nelle giornate nere come questa, posso essere una persona profondamente infelice. Ma se c’è una cosa che non sono è uno stronzo misogino. Ho adorato quel momento alla Dayview, la punta rosa del suo dito nel mio cappuccino, il lampo di malizia nei suoi occhi, e non sopporto che ci abbia sputato sopra con la sua contorta magia voodoo, trasformando uno dei momenti più belli della nostra relazione in qualcosa di oscuro e sinistro. Ma è così che fa lei, è questo il potere che ha. Prende le cose belle e le distrugge. Compresa se stessa. Accartoccio la lettera e abbasso gli occhi sulle altre cinque. Sono numerate, impilate con ordine e legate con un nastro di seta. Piuttosto teatrale, eh? Un inaspettato regalo mattutino lasciato sul mio letto dalla stramaledetta fatina dei disastri. E comunque, come diavolo ha fatto a entrare in camera mia? Teletrasporto? Attrezzi da scasso? Lancio un’occhiata a sinistra, verso la finestra rotta. È così dalla scorsa primavera, quando lei ha cercato di entrare a forza, dopo uno dei nostri litigi più esplosivi. Probabilmente ha fatto scivolare il pacchetto attra16


verso la fessura che è rimasta fra il davanzale e il telaio. Molto intelligente, Nat. Très inquiétant. Prendo le lettere e seguo il borbottio della caffettiera accesa in cucina. Jessa, mia sorella, è già sveglia e sbatte le cose qua e là nel bagno di sopra. Mio padre se ne è andato. Esce tutte le mattine alle cinque, va in palestra in centro prima di andare al lavoro. Lascio cadere una fetta di pane di segale nel tostapane e poi butto in fretta le lettere nel forno. Natalie e i suoi trucchetti. Sa bene che oggi è una giornata molto importante per me. C’è la cerimonia di consegna dei diplomi alla Dayview, la scena madre del film. È tutto l’anno che seguo Ryan Espinosa con la videocamera, riportando i suoi successi e le battute d’arresto, documentando ogni vittoria e ogni sconfitta, ogni seduta con i logopedisti e gli psicologi comportamentali. Oggi, alle cinque del pomeriggio, con altri dodici compagni che, a ventidue anni, devono uscire dal sistema scolastico, indosserà il tocco e ritirerà un diploma, mangerà la torta e festeggerà. E sua madre piangerà. E io sarò lì, a digitalizzare ogni lacrima. Il tostapane suona. È vero, sono stato un pessimo fidanzato. Ho cercato di compiacerla, di placarla, di colpirla, 17


senza mai riuscirci del tutto. Ma come si fa a soddisfare una come Natalie? È forte ma debole, calda ma fredda. Vulnerabile e bisognosa di attenzioni, eppure anche molto chiusa e riservata. Non è una ragazza, è un indovinello. Un enigma matematico sexy, spaventoso, caotico, imperscrutabile, che non ho più voglia di risolvere. Socchiudo il forno, sbircio le sue lettere piene di sfiducia e sospetti. Devo farlo? Devo sollevare il coperchio del vaso di Pandora e leggerle tutte e sei? Non ho certo bisogno del ridicolo, del senso di colpa, del biasimo e della vergogna, ma è quasi impossibile rinunciare a un’opportunità di sentire la sua versione dei fatti. Il pubblico deve sapere: mi ha scoperto? Conosce tutta l’autentica, orrida, incasinata verità? Non so nemmeno che cosa sperare.

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MERCOLEDÌ 2 DICEMBRE 2015, 18.43, SMS

Dan: Non riesco a smettere di pensare all’Algeria francese e a Eddie Vedder. Natalie: Bugiardo. Tira fuori il coraggio di dirmi a cosa pensi veramente. Dan: La maschera della mascolinità. Dan: Okay, A TE. Natalie: 10++. Adesso chiedimi di uscire per davvero.

VENERDÌ 19 MAGGIO 2017, 07.16, SMS

Da: Ruby Lefèvre A: Dan Jacobson Dobbiamo parlare. AL PIÙ PRESTO.

GIOVEDÌ 2 GIUGNO 2016, 23.42, CHAT

Arielle_Schulman: Sei carino ;) Arielle_Schulman: Scherzavo, sei orribile. Arielle_Schulman: Ehi…? Dan? DanWithABattlePlan si è disconnesso.

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RINGRAZIAMENTI

Grazie infinite ad Anica Rissi, amica inestimabile. Questo libro non esisterebbe senza di te e la tua mente acuta, ti sarò sempre grata per il sostegno, la generosità, le indicazioni e l’incoraggiamento, e per essere stata sempre disponibile alle infinite (e infinitamente approfondite) telefonate notturne sul testo. Al mio editor Alex Arnold, così attento e intelligente. Lavorare con te in quest’ultimo anno è stata un’esperienza creativa e appagante. Sono davvero fortunata ad aver trovato una persona che capisce e apprezza il tipo di storia d’amore che mi interessa scrivere: incasinata, esaltante, deprimente ma luminosa! Mi hai aiutato a rendere la storia di Dan e Natalie più coinvolgente, onesta e autentica. Alla mia agente, Jen Rofé. Grazie mille per la 233


tua amicizia e i tuoi saggi consigli. Non avrei potuto fare nulla senza averti al mio fianco. A Francesca Lia Block, che ha letto questo libro due volte. A te tutta la mia gratitudine e il mio affetto: sono davvero fortunata a conoscerti. A Jade Chang, Adeline Colangelo e Milly Sanders. Grazie perché leggete tutto ciò che scrivo e mi offrite sempre commenti e suggerimenti geniali. Sarei perduta senza l’aiuto e il punto di vista di amiche e scrittrici come voi. Ad Amanda Yates Garcia, straordinaria artista. Grazie per avermi aiutato a identificare la traiettoria di Natalie come nuova promessa della scena artistica di Los Angeles. A Sue Anne Kaples, preside della Sunrise School di Sherman Oaks. Grazie infinite per il giro turistico, per avermi presentato studenti e insegnanti e per il resoconto dettagliato della giornata-tipo di un allievo della Sunrise. Non avrei potuto descrivere la Dayview con accuratezza senza la sua generosità e il suo aiuto. A Katherine Tegan e alla squadra della KT Books. Apprezzo profondamente il vostro lavoro e il vostro sostegno. E infine a mio padre, Ken Strasnick. Sono davvero fortunata a essere tua figlia.


Questo volume è stato stampato nel febbraio 2018 presso Rotolito S.p.A. - Milano


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