Io sono

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GHEMON


ISBN 978-88-6905-297-2 © 2018 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HarperCollins marzo 2018 Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Il brano di Pier Paolo Pasolini è tratto da Tempo Illustrato, n. 2 a. XXXI, 11 gennaio 1969, pubblicato nel libro Il caos di Pier Paolo Pasolini © 2015, Garzanti S.p.A.

Questo libro è prodotto con carta FSC® certificata con un sistema di controllo di parte terza indipendente per garantire una gestione forestale responsabile.


Prima di tutto a me stesso. Possano i ponti che incendio illuminarmi la via. E poi, a mia nipote Gaia: ben arrivata!



Sottovoce

Sapete quando un ospite poco gradito arriva e non puoi fare a meno di accettarlo? E non sai se mostrargli quello che c’è in casa, ch’è un attimo che lo sciacallo in lui sopito adocchi prima e finisca a desiderarlo il cuore in oro su cui far tabula rasa. È come aprire la porta a un pool di ladri il giorno dopo che hai vinto la lotteria, con la fobia che chissà che cosa prenderanno mentre li squadri, se hai un attimo di amnesia. Quando la pace pare fare da regista, i passi affondano dentro a scarpe di ghisa, di una pattuglia, con due cerberi in divisa, che sbavano a un atomo dalla tempia sinistra. E nel silenzio di un rilassamento innocuo, dove ho coscienza piena che ho dato il possibile e una lucidità che illumina col fuoco ogni mio gesto fino a renderlo visibile,

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in modo che non mi confonda con il buio, in cui si sveglia qualche dubbio che mi nuoce, che io lo senta pure se fa a bassa voce: “Io dico che tu non ti meriti la luce”. E all’improvviso pigia il tasto “spegnimento” e io riscopro un labirinto di domande senza risposte di persone interessate ma solo un aguzzino sempre più pressante. “Mi toglieranno tutto perché non sono perfetto?” “Requisiranno i soldi e tutti i miei regali?” “Mi testeranno i riflessi col martelletto e appureranno che non rientro nei parametri?” La voce muta mi ripete ogni difetto, dei quali, molti – dice – non sono accettabili. A volte quelli più curiosi mi hanno chiesto di quale omologo abbia timore o soggezione, io fermamente gli ho risposto solo questo: “È nel mio specchio e sa benissimo il mio nome”.

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È nata una stella ;-)

(1982-1993)

Momento più alto: La nascita stessa, se vogliamo. Pari merito, la volta in cui mi sono rotto la testa e sono svenuto, tentando di fare una rovesciata sul cemento. Momento più basso: Cenone di Natale con incursione di ambientalisti vestiti da Dr. Zoidberg di Futurama. I manifestanti protestano contro le mie nonne, Mafalda e Luisa, principali complici dell’estinzione dei gamberi. Incriminate in primo grado per aggiotaggio, peculato in atti d’ufficio, spionaggio industriale e imboscamento di alimenti forzato, furono poi assolte in secondo grado e prosciolte per aver cucinato le prove. Nasco ad Avellino il 1° aprile 1982, poi cresco e mi moltiplico. Ho una mamma di nome Antonietta, un papà di nome Salvatore e una sorella minore, Serena. Per tutta la mia infanzia faccio solo tre cose: vado a scuola, mangio, gioco (o vedo giocare) a qualche sport che preveda una palla. Calcio, basket, pallavolo, tennis, fatti tutti. 9


A questi, possiamo aggiungere anche due momenti di fascinazione per le arti delle mazzate volanti. Prima il karate attorno ai dieci anni, poi la kickboxing verso i quattordici, che va indicata con speciale menzione perché, durante un combattimento, tale Dante, alto un metro meno di me, mi poggia delicatamente il suo tallone sul naso, come in una carezza un po’ fetish. Oggi spesso discuto sull’“aspetto greco” di questo mio tratto, attribuendo la paternità a quel piccolo incidente. Dante, io ricordo come sei fatto. Occhio che adesso ho il 45 di piede e sono alto 1 metro e 89 per diversi chili di peso. Il resto rappresenta sprazzi di memoria, una sorta di opera impressionista composta da: otto tonnellate di ragù, polpette, lasagne, sartù di riso, bocconcini di ogni tipo, struffoli di Carnevale e pane di Picarelli (frazione di Avellino). Il pane ha poi tutta una sua poetica e un sottouniverso declinabile in: pane col sugo, pane con la mozzarella, pane coi pomodori, pane con le melanzane sottolio, pane da solo, pane per la scarpetta, pane e marmellata, pane e Nutella, pane vecchio nel caffellatte e il disperato pane con la mela. Nei weekend mio padre scorrazza me e tutta la famiglia in macchina in giro per l’Italia. È un giovane direttore di banca, ama guidare e grazie a lui posso conoscere e ammirare il nostro Paese, nonché assaggiare un antipasto di quella che sarà la mia vita di adulto, con la valigia sempre pronta. Quando torna dal lavoro, di solito si rilassa accendendo lo stereo e registrando le canzoni dalla radio; in macchina ci sono sempre di sottofondo le compilation che si è fatto su cassetta, principalmente di musica italiana e di successi del momento. Un album che ricordo molto bene è …But 10


Seriously di Phil Collins, del 1989. Sebbene abbia solo sette anni, lo memorizzo al punto che dopo quasi trent’anni saprò riconoscere le canzoni dalle prime note. Cresco con i miei cugini che abitano vicino a noi (cento metri). Il mio punto di riferimento è Maurizio, sette anni più grande di me e in pieno boom adolescenziale, praticamente un fratello maggiore e un role model per la sua ampia collezione di capi Stone Island. Lui mi fa scoprire i primi dischi dei Litfiba, di Ligabue, dei Cure, le fondamenta dei miei ascolti musicali nel passaggio alle scuole medie, una specie d’importante step di crescita verso l’età adulta. Un giorno d’autunno, Maurizio mi porta a casa sua a vedere il nuovo stereo, che – udite, udite! – ha persino il lettore cd incorporato. Mi fa ascoltare una registrazione su cassetta fatta da Radio Deejay (l’unica radio che da questo momento ascolterò per molto tempo): è un pezzo intitolato Tocca qui di un gruppo emergente chiamato Articolo 31. Ha un linguaggio nuovo che mi incuriosisce molto e che ho già sentito in radio e in qualche pezzo di Jovanotti (in primis Serenata rap).

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Incontro con il rap e il writing (1994)

Momento più alto: La scoperta delle ragazze, di cui col mio amico Remigio faccio, classe per classe, elenco e graduatoria in ordine di bellezza. Momento più basso: Tutte le volte che ho chiesto all’edicolante Aelle e mi ha risposto: “Elle? È per tua madre?”. Aggiungo anche, tutte le volte che ho risposto al telefono e mi hanno detto: “Buongiorno signora, c’è suo marito?”. La mia prorompente adolescenza dei cui ormoni – volente o nolente – sono diventato l’avatar, i doppi sensi di Tocca qui e la mia urgente voglia di distinguermi, mi fanno appassionare a questo nuovo genere chiamato rap e all’hip hop. Trovo in edicola il primo numero di Aelle (unica pubblicazione italiana in materia), che mi serve da Bignami per imparare a discernere le basi. Il resto lo imparo anche grazie a Venerdì Rappa, trasmissione condotta da Albertino in tarda serata ogni venerdì. Lascio la registrazione con l’autoreverse e vado a letto. Il giorno dopo, la porto con me nel walkman e inizio la mia personalissima “scuola privata”. È così che metto un po’ di bandierine su una gigantesca mappa senza punti cardinali. 12


Il rap è uno stile musicale nato a metà degli anni ’70 negli Stati Uniti e in quel sostrato culturale, insieme a graffiti, breakdance e djing, ha formato un vero e proprio movimento, l’hip hop. Il suo codice di identità – vestiario, tradizioni, slang e abitudini – accomuna tutte le persone che si avvicinano a questa cultura. Il rapper Krs-One ha detto: “Il rap è ciò che fai, l’hip hop è ciò che sei”. Parlare seguendo il ritmo di una base strumentale non richiede una preparazione classica in ambito di teoria musicale: devi sapere stare a tempo, il che spesso è più un istinto, e sviluppare da solo le tue capacità. Non ti è richiesto di essere intonato, di conoscere le note e le scale. Il creare qualcosa partendo dal nulla ha consentito a chiunque avesse un concetto da dire (o anche no) di esprimersi, senza fare distinguo o preselezioni di sorta a seconda della preparazione scolastica in materia. Il rap è perciò uno strumento fortemente democratico e meritocratico, a cui tutti possono avere accesso. Nei movimenti giovanili italiani dei primi anni ’90 l’hip hop ha trovato nei centri sociali una casa in cui potersi fare le ossa, insieme alla cultura punk, al reggae e ad altre derivazioni minori. Ci si riferiva spesso a questo periodo come “l’era delle posse”, riunendo tutta la produzione “alternativa” di quegli anni, ma spesso facendo confusione tra i generi. All’epoca, infatti, il rap veniva utilizzato come strumento di comunicazione musicale anche da artisti e gruppi che c’entravano poco con il movimento hip hop italiano. Oggi saprei dire con estrema consapevolezza la differenza tra Curre Curre Guagliò dei 99 Posse e Cani sciolti dei Sangue Misto ma al tempo la differenza mi era davvero poco chiara, perché pochissime erano le fonti a cui potevo attingere per capire le differenze. Vasco Ros13


si e i Queens Of The Stone Age fanno rock, ma non sono la stessa cosa, giusto? No di certo. L’hip hop nei suoi dettami è giustamente rigido, quasi formulaico: due piatti, un microfono e un campionatore. Le altre varianti erano da considerarsi spurie. Fare confusione era abbastanza facile per me in quel momento. Legato a doppio filo al rap c’è anche il writing, l’arte dei graffiti, più banalmente conosciuta come “che cosa vuol dire quella cosa che hai scritto sui muri?” o (più arcaico) “se prendo questi che mi hanno sporcato la serranda, gli uso la bomboletta come deodorante per le ascelle”.

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Saluti e ringraziamenti

È il mio primo libro, voglio dire, questa è una cosa solenne, sono nomi che resteranno scritti per sempre! Mi gioco allora un coup de théâtre e non voglio salutare proprio nessuno. Però voglio ringraziare un po’ di persone. Inizio con Giulia, la mia famiglia (tutta intera, nessuno escluso), Filo, Macro e tutti gli altri che mi affiancano nel lavoro, ogni giorno. Gli amici e le amiche (citati e non) a cui voglio bene. I miei fan, senza i quali non esisterebbe Ghemon. Una menzione speciale va a: Sabrina Annoni e HarperCollins Italia, per avere creduto in me, dandomi massima autonomia creativa; a Serena Danna per avermi invitato a parlare di me un pomeriggio del giugno 2017 e a Patrizia Segre che in quell’occasione ha avuto l’intuizione di propormi di fare un libro. I meriti (laddove ci fossero) sono anche suoi, per come mi ha consigliato, spronato con delicatezza e aiutato a fare ordine (insieme ad Alessandra Roccato). E comunque sono il più forte del mondo. Un bacio, G.


Questo volume è stato stampato nel febbraio 2018 presso Rotolito S.p.A. - Milano


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