H Ticino

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TICINO L U G A N O | M O N A C O | M I L A N O

RICORDANDO SCHUMI Un campione speciale a cavallo del tempo

SILVIO TARCHINI Il ragazzo che non si ferma mai

ALAIN CREVET Dal Rock’n Roll all’Aristocrazia

MASSIMO BOTTURA

Chef italiano sul tetto del mondo

MONGOLIA

La terra di Genghis Khan

L E A D E R S H I P | B U S I N E S S | L U X U RY | T R AV E L | C U LT U R E


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Mentre scrivo questo testo mi sento ispirata. Il 2016 è arrivato, guardo indietro nell’ultimo anno e mi chiedo come abbia fatto il tempo a passare su di me così in fretta. Beh, il mio proposito di Capodanno è essere concentrata, concentrata sulle cose che mi rendono felice, che a loro volta aumentano la mia attenzione a tutto ciò che mi circonda, a vivere la vita giorno per giorno, e ad essere consapevole di come utilizzo il mio tempo – lavoro, casa, amici e familiari. Il numero di questo mese è dedicato a un grande eroe sportivo, Michael Schumacher. Riflettiamo sui suoi successi e preghiamo affinché questo nuovo anno gli porti salute e amore. Senza uno di questi importanti ingredienti la nostra vita è vuota delle cose che ci fanno stare bene. Andate a pagina 38 e gustate le nostre riflessioni su un eroe che è ancora molto con noi. La nostra terra è appesantita da tanti problemi importanti. Parliamo con i leader di tutto il mondo per offrirvi articoli che ci permettono di osservare cosa ha in serbo il nostro futuro per noi. Per quanti anni ancora questo magnifico pianeta potrà sopportare di non essere amato dagli esseri umani? Parliamo di questo tema molto toccante a pagina 13. Alain Crevet, CEO del marchio di lusso ST Dupont, ci parla, invece, in esclusiva della sua passione per il suo ruolo e per il brand che dirige a pagina 32. Come nota finale, l’amore e la salute vengono anche dal cibo. Così mi sono avvicinata non ad uno, ma a due dei più grandi chef del mondo per intervistarli. Hanno accettato e siamo onorati di avere le esclusive del celebre chef di Modena, Massimo Bottura e – dall’altra sponda del lago – il re della cucina, Thomas Keller. Auguro a tutti tanto amore, salute e pranzi felici in questo 2016.

LA TERRA É DAVVERO LA MIGLIORE DELLE ARTI Andy Warhol

Dina Aletras Direttore Responsabile

AUSTRIA • CYPRUS • TICINO • LONDON • LUXEMBOURG • MALTA • MIAMI • MONACO • NORTH ITALY • NEW YORK• SINGAPORE • SWITZERLAND H Edition Magazine is published monthly and offers advertisers an exclusive audience of affluent readers. Whilst every attempt has been made to ensure that content in the magazine is accurate we cannot accept and hereby disclaim any liability to loss or damage caused by errors resulting from negligence, accident or any other cause. All rights are reserved no duplication of this magazine can be used without prior permission from H Edition Magazine. All information is correct at time of press. Views expressed are not necessarily those of H Edition Magazine. For editorial and advertising enquiries please email info@hamblecomms.com Front cover credit: Anke Luckmann, Kai Tietz Designed by Typetechnique, London Printed by The Magazine Printing Company www.magprint.co.uk @HEditionMag

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Editor in Chief Dina Aletras Co-Editor Romy Gai Cosmetic Specialist Dr Ohan Ohanes

Contributors Philip Whiteley Joanne Walker Valentino De Pietro Franco Fregni Manish Kumar Arora

Miss Metaverse Barbara Van Veen Matthew Smith Red Consultancy Clementine Communications

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TICINO

Mongolia, Valle Okhor, il luogo meno popolato al Mondo


CONTENUTI H TICINO NUMERO 6

8 GLOBAL REVIEW Notizie Da Tutto Il Mondo

14 WATERWORLD La Terra Nel 2100

20 SOGNANDO LA VITA ETERNA Vita Eterna – Una Possibilità?

26 SILVIO TARCHINI

Il ragazzo che non si ferma mai

32 ALAIN CREVET, AMMINISTRATORE DELEGATO DI S.T. DUPONT

A servizio di Napoleone III (e Keith Richards)

38 A FIANCO DI SCHUMI

Riflessioni Sul Più Grande Campione Di F1

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MONGOLIA

Visita Nella Terra Di Gengis Khan

65 THOMAS KELLER

Il Primo E Unico Chef Americano A Detenere Più Di Tre Stelle

68 MASSIMO BOTTURA

Un Poeta In Cucina E Un Artista Sul Piatto

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books Di MaTThew SMiTh Urbane Publications

Le notti si accorciano ed è il momento ideale per coccolarsi con uno o due libri avvincenti. Ne abbiamo scelti alcuni interessanti per voi questo mese: racconti di assassini, e storie di creatività e ispirate alla vita vera. Acapulco 1974: Rina Walker è in missione. Solo un altro omicidio, rapido e pulito. Si sveglia per scoprire la testa mozzata del suo datore di lavoro sul comodino, e un uomo con un AK-47 che le spara attraverso la porta della sua camera d’albergo. Ha bisogno di tutte le sue abilità per neutralizzare il suo aggressore e la fuga. Dopo un inseguimento in auto, viene catturata da un boss della droga messicano che sfrutta la sua bellezza radiosa e le sue competenze malvagie per eliminare uno scomodo membro del governo. Notting Hill 1956: la quindicenne Rina fa dei furtarelli per mantenere i suoi fratelli e la madre alcolizzata. Quando un gangster locale assale la sorella minore, Rina dà libero sfogo alla sua violenza e vendica la sorella uccidendolo. Innocenza tradita, Rina si trova di fronte alla brutalità della malavita londinese postbellica – un mondo che le insegna le competenze che le servono per uccidere. Hugh Fraser è forse meglio conosciuto come il capitano Hastings di Poirot, ma il suo romanzo d’esordio Harm è un racconto eccitante ed originale di una bella e sanguinaria assassina. Un libro davvero eccitante! Two Turtle Doves è la storia di una vita passata a fare cose. Cresciuto nel Suffolk del 1970 in una casa gigante e fatiscente popolata da giardini selvaggi e aggrovigliati, Alex Monroe è stato lasciato a devastare tutto a suo piacimento. Senza l’influenza visibile dei genitori, ma con le sorelle che lo amano e i fratelli che combattono per lui, ha creato la natura nel suo mondo. La creazione è diventata una costrizione, sia che fossero go-kart e pistole, balestre e trappole, barche, biciclette o scooter. E poi, c’era la gioielleria. Dalla guerra portata avanti contro gli scolari della zona alla libertà ricercata con spericolate buffonate Raleigh in bicicletta, ai piaceri per la sartoria e i disegni più complicati per la gioielleria, Two Turtle Doves ripercorre il cammino intimo di come un’idea si trasforma da un pensiero fugace ad un perfetto gioiello. Il libro parla di dove troviamo la nostra creatività, come ci ricordiamo delle cose e perché facciamo quello che facciamo.

All’età di 45 anni, a Jackie Buxton, moglie e madre è stato diagnosticato un cancro al seno. Barcollando tra la paura paralizzante che il cancro si era diffuso, e il grande conforto di sapere che lei era una delle fortunate a cui poteva essere curato, ha fatto quello che ha sempre fatto quando la vita le ha presentato una sfida: ha iniziato a scrivere. Jackie ha subito capito che anche con il cancro, la vita era tutt’altro che male. Non nota per la sua bravura in campo scientifico, è comunque diventata “un po’ un’esperta” – almeno nel campo della perdita di capelli, della ritenzione idrica e dei biscotti – e ha deciso di utilizzare la sua scrittura per condividere esperienze e aiutare gli altri a riconoscere che non si può farsi definire dal cancro. Tea & Chemo è un libro pieno di risate, lacrime, onestà e speranza, e offre le parole di ispirazione per tutti coloro che affrontano le sfide della vita a cui il cancro porta inevitabilmente. Tutti i proventi delle vendite di Tea & Chemo andranno a tre associazioni di beneficenza incredibilmente importanti, la cui cura caritatevole e professionalità fa la differenza per tantissime vite: The Haven, Breast Cancer Now, il Robert Ogden Macmillan Centre, Harrogate. Il co-fondatore di BrewDog, James Watt offre una bibbia del business per una nuova generazione. E’ anarchica. E’ irriverente. E’ appassionata. E’ BrewDog. Non sprecate il vostro tempo su piani aziendali mal concepiti. Dimenticate le vendite. Ignorate i consigli. Mettete in fila tutte le cose in cui credete. Questi mantra hanno trasformato BrewDog in uno dei marchi del mondo delle bevande a più rapida crescita , famoso per le birre, i bar e il crowdfunding. Fondata da una coppia di giovani scozzesi con la passione per la grande birra, BrewDog ha catalizzato la rivoluzione della birra artigianale, riscritto il libro dei record e forgiato inavvertitamente un approccio completamente nuovo al business. In Business for Punks, il co-fondatore di BrewDog James Watt imbottiglia l’essenza di questo successo. Dalle finanze (“inseguire ogni centesimo, pesa ogni libbra”) al marketing (“conduci una crociata, non crociare il prodotto”) questo è un libro anarchico, una guida indispensabile per far crescere i tuoi affari da solo.

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| NEWS

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GLOBAL

REVIEW Di Roberto Pucciano 1

Birmania

Uno dei leader dell’opposizione più longevi nella storia politica ha vinto le elezioni in Myanmar (Birmania) nel mese di novembre, segnando un potenziale punto di svolta per la storia del paese del sud-est asiatico. Aung San Suu Kyi, che ha trascorso molti anni agli arresti domiciliari negli anni della dittatura, ha portato il suo partito: la “Lega nazionale per la democrazia” ad una vittoria schiacciante. La transizione verso un governo civile democratico non è ancora completa. La Costituzione è stata elaborata dal regime militare in uscita, e l’esercito continua a esercitare influenza, con alcuni posti ministeriali e un quarto dei seggi parlamentari attribuiti alle forze armate. A Suu Kyi è attualmente proibito assumere la presidenza, che non sia una carica ad elezione diretta prevista dalla costituzione del paese, ma nominata da un comitato di membri del Parlamento. E’ probabile che Suu Kyi, che ha vinto il Premio Nobel per la Pace, dovrà negoziare con attenzione e trovare un equilibrio tra l’affermazione del suo diritto di perseguire il programma del suo partito, ed evitare di provocare un colpo di stato militare. Il paese è uno dei più poveri al mondo. E’ il più grande esportatore al mondo di teak, dispone di terreni molto fertili e giacimenti di petrolio e gas in mare aperto. La corruzione è un problema serio e il paese si situa al 156° posto dell’indice di percezione sulla Corruzione. Si trova al 134° posto nell’indice di competitività, un posto particolarmente basso per le infrastrutture e l’adeguamento tecnologico.

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Guatemala

Nel mese di ottobre un ex comico televisivo Jimmy Morales ha vinto le elezioni presidenziali del Guatemala in una campagna anti-corruzione, in seguito all’arresto e sospensione dalla carica di presidente di Otto Perez Molina. A gennaio deve iniziare il suo mandato. L’ex vice presidente Alejandro Maldonado ha ricoperto la carica dopo l’arresto e la detenzione di Perez Molina nel mese di settembre. Morales ha battuto facilmente la sua rivale Sandra Torres, un’ex First Lady che era ritenuta essere parte della classe politica che ha perso sostegno e credibilità negli ultimi mesi, anche se non vi è alcuna indicazione che fosse coinvolta in attività di corruzione. Il nuovo regime promette un nuovo approccio alla politica del Guatemala, ma alcuni commentatori criticano la mancanza di esperienza di Morales e le sue idee politiche alquanto eccentriche, come le etichette elettroniche per gli insegnanti al fine di garantire la presenza, e la fornitura gratuita di smartphone ai bambini delle scuole. Il paese dell’America centrale è relativamente povero e ancora segnato dalla guerra civile che ha raggiunto un picco di intensità nel 1980, un conflitto particolarmente violento, anche per gli standard della regione. La campagna portata avanti dai governanti militari che si sono succeduti era apparentemente contro i guerriglieri di sinistra, ma alla fine sono morti migliaia di civili. Per quanto riguarda la competitività a livello globale, si situa al 78 ° posto, con punteggi moderati per l’elevato grado di sviluppo delle attività commerciali, sanità e istruzione primaria, e punteggi bassi in altri settori. L’aspettativa di vita è 71 anni, e il tasso di alfabetizzazione è del 75%.

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Portogallo

Le inconcludenti elezioni parlamentari dell’ottobre 2015 in Portogallo hanno causato incertezza politica ed economica per diverse settimane. Il precedente governo di centrodestra ha perso la sua maggioranza, ma la sinistra aveva numeri sufficienti per una coalizione solo inserendo i comunisti, che si oppongono all’adesione alla moneta unica. Alla fine di novembre un governo di sinistra guidato dal socialdemocratico Antonio Costa ha prestato giuramento, promettendo di mitigare l’austerità, senza violare le regole di bilancio dell’Unione europea per la zona euro. La presenza dei comunisti come partner della coalizione aveva provocato preoccupazioni tra le élite dell’UE. Tuttavia, essendo membri di minoranza sono suscettibili a scendere a compromessi, come il radicale partito di sinistra Syriza in Grecia. Costa ha insistito a dire che il suo governo sposerà gli impegni internazionali sul bilancio e sui debiti, ma riducendo l’impatto delle misure di austerità sui contribuenti a basso reddito. Il Portogallo si trova al 31° posto nell’ indice di Trasparenza. Gli indicatori sulla diffusione della salute e dell’educazione sono buoni. L’aspettativa di vita è di 79 anni e il tasso di alfabetizzazione è del 95%. Tuttavia, le condizioni di recessione e i tagli operati del governo negli ultimi cinque anni, da quando è scoppiata la crisi dell’euro, hanno avuto il loro impatto; circa il 12% è disoccupato e il 20% vive al di sotto della soglia di povertà. Si tratta di un piccolo paese, con una popolazione di circa 10 milioni di persone, più o meno le stesse che abitano una grande città come Pechino o New York. Quasi 500.000 persone sono emigrate da quando le crisi della zona euro e delle banche hanno colpito il Paese nel 2011.

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Repubblica Centro Africana

La nazione senza sbocchi sul mare della Repubblica Centrafricana è una dei più povere al mondo, devastata da decenni di colonialismo, una politica debole e conflitti etnici. L’aspettativa di vita è di soli 47 anni e il tasso di alfabetizzazione è del 55%. Non rientra nell’elenco dell’ultima classifica sulla competitività mondiale elaborata dal World Economic Forum. La corruzione è endemica, con il paese che si posiziona al 150° posto nell’indice di Trasparenza. Il paese ha un clima tropicale con una stagione delle piogge che si prolunga su gran parte del territorio, eccezion fatta per il deserto nel lontano nord. Ci sono estesi campi seminativi, e il potenziale per produrre energia idroelettrica, così come depositi di minerali, ma la debolezza delle istituzioni e un clima sfavorevole per le imprese hanno ostacolato lo sviluppo economico. Per gran parte della sua storia da quando ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel 1960, la Repubblica Centrafricana è stata una dittatura. Le elezioni multipartitiche si sono svolte nel 1994, ma un colpo di stato militare nel 2003 ha fatto salire al potere François Bozizé in qualità di Presidente, che ha governato per dieci anni prima di essere spodestato da una rivolta. L’attuale Presidente è Catherine SambaPanza (arrivata a gennaio) con una carica provvisoria. Ha provato ad aprire il dialogo tra le parti nella guerra civile, nota come la guerra della macchia Centro Africana, che ha visto accendere il conflitto tra cristiani, musulmani e forze governative. Nel mese di novembre, Papa Francesco ha fatto visita al Paese, un giorno storico per la nazione, ha visitato una moschea per dimostrare, attraverso questo tentativo, come sia possibile superare le tensioni etniche e religiose.


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Ungheria

L’Ungheria, che è stata al centro di un impero importante prima della prima guerra mondiale, ha riempito i titoli dei giornali di tutto il mondo nel corso del 2015 quando migliaia di profughi dal Medio Oriente hanno utilizzato le infrastrutture di trasporto del Paese per cercare asilo e opportunità economiche all’interno dell’Unione europea. La maggior parte si stava dirigendo in Germania, dove la Cancelliera Angela Merkel aveva indicato una politica di accoglienza, soprattutto verso coloro che fuggono dalla guerra in Siria. La posizione dell’ Ungheria nell’Europa centro-orientale la colloca sulla rotta per quanti dalla Turchia si recano in Germania. Ad un certo punto, i richiedenti asilo erano accampati in gran numero all’interno e all’esterno della stazione ferroviaria principale della capitale Budapest. All’inizio di settembre le autorità hanno chiuso la stazione e sospeso i servizi. Molti di loro sono stati anche visti camminare sui lati delle carreggiate sulle autostrade che portano in Austria. Nell’agosto 2015, il governo ungherese ha iniziato la costruzione di una recinzione lungo il confine con la Serbia, per arginare il flusso di migranti. Il paese è membro dell’Unione europea ed è stato ufficialmente impegnato a sostituire il fiorino con l’euro come sua moneta dal 2003, ma non è un membro del legame valutario, il che indica quanto sia ancora distante anni la sua unificazione. Si posiziona al 60° posto nella classifica sulla competitività globale, prendendo un “bene” per i comparti salute e istruzione primaria, e un “moderatamente bene” per le infrastrutture. Si è classificata al 47° posto nell’indice di Trasparenza, ottenendo un giudizio moderatamente positivo per le sue misure anti-corruzione.

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Suriname

La controversa figura di Dési Bouterse, l’attuale presidente, è stata dominante nella politica del Suriname per decenni. Ha guidato un regime militare nel 1980, è stato riconosciuto colpevole di traffico di droga da un tribunale nei Paesi Bassi nel 2000 e condannato in contumacia a 11 anni di carcere, ma continua a ricoprire la carica di capo di stato. Nel 2012 il Parlamento ha approvato l’amnistia per il presidente Bouterse e altri 24 imputati sotto processo per la presunta esecuzione di un avversario politico durante il regime militare negli anni 80. L’Olanda, ex potenza coloniale ha richiamato il suo ambasciatore e ha sospeso alcuni dei suoi aiuti finanziari in segno di protesta. Bouterse ha vinto un secondo mandato come presidente nel luglio 2015. Il suo partito non aveva vinto la maggioranza assoluta alle elezioni politiche, ma l’opposizione non è riuscita a proporre un proprio candidato. Il paese si trova sulla punta nord-orientale del continente sudamericano, ha una costa atlantica e un clima tropicale umido. Confina con la Guyana a ovest, la Guyana francese ad est e il Brasile a sud. La capitale Paramaribo affaccia sul mare. Il Suriname ha esportato per decenni un minerale: l’alluminio bauxite. L’economia ha beneficiato di energia idroelettrica a basso costo, grazie alla costruzione della diga afobaka nel 1960. Si trova nella fascia bassa dell’ Indice della Competitività mondiale, al 110° posto, segni positivi arrivano solo per i comparti salute e istruzione primaria. Il tasso di alfabetizzazione è quasi il 95% e l’aspettativa di vita è di 70 anni. Nell’indice di Trasparenza, il paese si classifica in basso, al 100 ° posto su 175 nazioni.

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Mongolia

Nel cuore del vecchio impero del leggendario e famigerato Gengis Khan c’era la regione ora conosciuta come il moderno Stato della Mongolia. Si tratta di uno dei più grandi paesi al mondo senza sbocco sul mare e con la più bassa densità di popolazione. Quasi la metà della popolazione vive nella capitale Ulaanbaatar, mentre una gran parte della popolazione che vive nelle campagne è nomade. Gran parte della campagna è coperta da steppe erbose, terreni poveri per l’agricoltura. L’inverno è molto freddo. Il sottosuolo è ricco di importanti minerali e depositi di metalli preziosi. Un servizio ferroviario la collega con Pechino e Mosca, anche se le distanze sono enormi. Lo sviluppo economico è limitato, ma è migliorato negli ultimi anni. Il paese si trova al 98 ° posto nell’Indice di Competitività Globale, con dei segni negativi in alcuni indicatori, ma altri moderatamente buoni per la salute e l’istruzione primaria. Ciò si riflette nelle statistiche nazionali; siamo vicini al 100% del tasso di alfabetizzazione, e l’aspettativa di vita è di 68 anni. Il più recente rapporto della Banca Mondiale ha elogiato la democrazia pluripartitica del Paese, e l’effetto dello sfruttamento minerario per ridurre la povertà. La percentuale di cittadini mongoli che vivono in condizioni di povertà è scesa dal 40% al 27% dal 2010. Progressi sostanziali sono stati compiuti anche in relazione a diversi obiettivi di sviluppo del Millennio, conclude il rapporto. Il controllo della corruzione è moderato, con il paese che si situa all’80° posto nell’ indice di Trasparenza, circa a metà della lista.

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Namibia

Lo sviluppo economico e programmi sociali hanno contribuito a ridurre la povertà in Namibia, con la Banca mondiale che ha lodato la stabilità politica degli ultimi anni. L’unico lato negativo è il lento tasso di crescita di posti di lavoro. Le statistiche nazionali mostrano che il tasso d’alfabetizzazione è al 89%. L’aspettativa di vita è di 62 anni, a un livello basso rispetto agli standard internazionali, ma molto superiore a quello dei paesi sub-sahariani, soprattutto rispetto a quelli gravemente colpiti dall’AIDS. E’ stata colonizzata dal vicino stato del Sudafrica per molti decenni, e soggetta alla politica di apartheid di segregazione razziale. C’è un certo numero di abitanti bianchi di origine europea. Lo Stato non ha raggiunto l’indipendenza fino al 1990. Ha mantenuto un sistema democratico tranquillo da quando si è insediato, con le elezioni, il partito antiapartheid SWAPO (che originariamente stava per Organizzazione del Popolo dell’Africa Sud-occidentale, anche se ora è utilizzato solo l’acronimo). Il paese dell’Africa sud-occidentale è scarsamente popolato, con solo 2,3 milioni di persone in un’area di circa 825.000 km2 - circa la stessa dimensione coperta da Germania e Francia messe insieme. Ha un’impressionante percentuale del territorio (44%), tra cui tutta la costa, posta sotto protezione per la conservazione. Si trova in una posizione moderatamente elevata nell’ indice di Trasparenza (55° posto). Occupa l’88° posto nella classifica della Competitività Mondiale. I suoi posizionamenti relativi alle infrastrutture e lo sviluppo del mercato finanziario sono migliori rispetto alla media africana. I livelli di istruzione e della forza lavoro destano, invece, preoccupazioni negli imprenditori. HEditionMag

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LA TERRA

Prima o Poi, dovremo riconoscere che anche la Terra ha dei diriTTi, di vivere senza inquinamenTo. ciò che l’uomo deve saPere è che gli esseri umani non Possono vivere senza madre Terra, ma il PianeTa Può vivere senza l’uomo Evo Morales


Waterworld: La Terra Verso 2100

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aterworld (1995) è un classico film di fantascienza post-apocalittico che ha conquistato il pubblico di tutte le età con le sue ambientazioni in un futuro distopico (che si ritiene sia intorno all’anno 2500) dove le calotte polari della Terra si sono sciolte e gli oceani hanno inghiottito la maggior parte delle terre rimanenti. Due decenni dopo l’uscita del film, l’accelerazione dei disastri naturali sta causando una crescente preoccupazione tra gli scienziati e gli esperti, i quali sono d’accordo che a questo punto l’innalzamento del livello del mare è praticamente inarrestabile, ma sarà gestibile con la pianificazione strategica e le risorse impiegate in modo corretto. La crescente frequenza in questi ultimi anni di eventi catastrofici terrestri è iniziata a seguito del terremoto indonesiano (del 2004), il terzo più grande terremoto (Mw 9,1-9,3) mai registrato utilizzando un sismografo e divenne noto come il peggior terremoto dal 1556. Il giorno di Santo Stefano lo tsunami che ne seguì fu uno degli tsunami più devastanti di tutti i tempi, uccise più di 280.000 persone in 14 paesi, lasciando ben 2 milioni di persone senza una casa. La Federazione internazionale delle società della Croce Rossa ha fornito assistenza a oltre 4,8 milioni di persone costruendo 51.395 nuove case e rimettendo in sesto 289 tra ospedali e cliniche. Appena un anno dopo lo tsunami del giorno di Santo Stefano, l’uragano Katrina (del 2005) è diventato una delle tempeste più letali e più costose della storia americana. In vista delle coste americane, l’uragano Katrina (che ad un certo punto era stato classificato tempesta di Categoria 5) ha ridotto la sua potenza alla categoria 3 con venti che viaggiavano a 127 miglia orarie. Tuttavia, poiché New Orleans si trova appena sotto sotto il livello del mare e gli argini erano saltati, circa l’80 per cento della città fu allagata, facendo 1833 vittime, con enormi danni economici e più di 400.000 persone sfollate.

Solo negli ultimi cinque anni, l’umanità ha affrontato diverse altre tempeste devastanti, come il terremoto distruttivo di intensità 7.0 ad Haiti (nel 2010) che ha ucciso più di 316.000 persone e lasciato 1,3 milioni di sfollati; l’eruzione del vulcano Eyjafjallajökull in Islanda (nel 2010), che ha interrotto il trasporto aereo per settimane, il terremoto e lo tsunami di To¯hoku, Giappone (del 2011), che ha causato il crollo di Fukushima e ucciso 15.703 persone, lasciando quasi 131.000 sfollati; il Ciclone Sandy (del 2012), che ha ucciso 285 persone e causato danni per 65 miliardi di dollari, lasciando circa 200.000 sfollati; e il Tifone Haiyan (del 2013), che ha ucciso 6.340 persone, causando danni per miliardi di dollari e lasciato circa 4 milioni di persone senza casa. I più rinomati climatologi sono molto preoccupati per i possibili effetti futuri sul livello del mare in aumento in tutto il mondo, in particolare lungo le coste di grandi città statunitensi, tra cui New York e Miami. Centro finanziario e culturale d’interesse mondiale, New York è la più grande economia urbana negli Stati Uniti. Per certi versi, il super uragano Sandy è stato un potente campanello d’allarme per i governi e le organizzazioni per adottare misure preventive oggi, così da evitare effetti catastrofici in futuro. Secondo il Comitato di esperti di New York sui cambiamenti climatici, l’aumento del livello del mare non è una questione di se, ma di quando. Il loro recente rapporto del 2015 prevede che le zone in prossimità dei cinque distretti si gonfino fino a 11-21 pollici dal 2050, di 18-39 pollici dal 2080, e fino a sei piedi entro il 2100. Secondo il rapporto, i livelli del mare vicino a New York sono aumentati di 1,1 piedi dal 1990 e il livello delle acque in incremento si estenderà presto anche pianura alluvionale della città verso l’interno, raddoppiando l’area che potrebbe essere interessata da un diluvio, una volta ogni cento anni, il cui risultati inonderanno fino a 15 volte più frequentemente rispetto ad oggi, i quartieri costieri della città verso la fine del secolo.

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Š Vincent Callebaut Architectures


Una delle maggiori preoccupazioni del cambiamento climatico sono i rifugiati ambientali e così, nasce Lilypad, un innovativo concetto di città galleggiante progettato dall’architetto Vincent Callebaut che è stato progettato come una possibile destinazione di delocalizzazione che potrebbe ospitare fino a 50.000 persone nella sua “Ecopolis” autosufficiente, che ha la forma di una foglia della Ninfea Victoria. Lilypad avrà molte funzioni intelligenti, tra cui tre porti turistici e tre montagne che circonderanno una laguna centrale sommersa sotto la linea di galleggiamento. Le tre montagne e i porti sarebbero dedicati al lavoro, lo shopping e l’intrattenimento, mentre i giardini sospesi e le aziende agricole al di sotto della linea di galleggiamento saranno utilizzati per coltivare il cibo e produrre biomasse. Naturalmente, nessuna città futuristica galleggiante per i rifugiati ambientali sarebbe completa senza i servizi offerti delle tecnologie di energia rinnovabile, tra cui solare, termica, eolica, delle maree, e la biomassa per produrre più energia di quanta se ne consuma. Le Lilypads possono essere o situate vicino alla terra o liberate a galleggiare lungo le correnti oceaniche ovunque queste possano condurre. Ci sono molti altri scenari futuri emozionanti da esplorare, quindi per favore iscrivetevi alla newsletter di FuturistMM.com Ora, andiamo a costruire un futuro migliore! @missmetaverse

© Vincent Callebaut Architectures

Il futuro di New York City non sarà simile a Waterworld tra 100 anni, ma piuttosto avremo un clima controllato altamente avanzato e autosufficiente, nelle città intelligenti del futuro, e tutto ciò sta iniziando proprio ora. Nel 2014, una società danese fondata da Henk Ovink, un esperto olandese di gestione delle acque, ha annunciato che stanno costruendo un enorme diga da 335.000.000 $ intorno a New York, per evitare che le acque in aumento vadano a inondare Lower Manhattan e le zone limitrofe che si prevede possano essere allagate in futuro. La nuova area dove sorgerà la diga, conosciuta come “The Big U” sarà un muro inclinato alto più di 20 piedi per bloccare l’aumento dei mari. Tuttavia, alla gente The Big U apparirà anche luogo divertente per socializzare, con negozi e una piazza che ricordano l’esistente High Line. Per alcune città, tuttavia, potrebbe essere già troppo tardi per salvarsi dall’innalzamento del livello del mare. Bangkok, la capitale della Thailandia che ospita oltre 10 milioni di persone, sta affondando e un recente studio del governo ha mostrato come Bangkok possa essere sommersa dall’acqua in soli 15 anni. Bangkok si trova a soli 5 piedi sopra il livello del mare ed è già tendente a inondazioni. In cima a tutto questo, gli alti edifici della città stanno spingendo la città verso il basso facendola affondare molto più rapidamente. E’ stata proposta una diga e si stima un costo di circa $ 14.300.000.000 di dollari USA per la realizzazione. Altre città che potrebbero presto essere sott’acqua sono Jakarta, in Indonesia e Ho Chi Minh City, in Vietnam.

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Terra, ultima frontiera? La Ricerca delle Tendenze non ha sempre ragione. Prendete ad esempio i dati legati all’esaurimento delle risorse naturali della Terra. Da quando ho iniziato a fare la futurista, circa 15 anni fa, hanno cominciato a circolare statistiche che ci dicevano tutte le stesse cose, ossia quando avremmo terminato le nostre risorse. Alcuni metalli preziosi avrebbero dovuto terminare già nel 2010. Queste previsioni sono ancora valide, ma le date sono state spostate più in là nel tempo. Ci vuole un tempo molto più lungo per esaurire le materie prime, rispetto a quanto ipotizzato da chi fa le previsioni.

E

’ come la questione della legge del pollice che ogni futurista dovrebbe conoscere a memoria. Quando fai una previsione su qualcosa, la gente reagirà in un certo modo, comportati in modo diverso, e la tua previsione fallirà. Tuttavia, se trascuriamo il problema, resteremo a corto di risorse e di acqua potabile, e nel peggiore degli scenari questo avvererà. Ad esempio, i futuristi hanno messo in guardia il mondo sulle guerre per l’acqua, un concetto così plausibile che è stato addirittura inserito nel film di James Bond “Quantum of Solace”. In varie zone del mondo, l’accesso all’acqua potabile crea già numerosi conflitti. Nel frattempo, sale il consumo di acqua e il clima diventa sempre più caldo. E non è solo un problema d’acqua. Ci sono guerre per accaparrarsi il dominio di petrolio, minerali e metalli. Quindi sì, l’esaurimento delle materie prime della Terra è una sfida seria, ma non tutto è perduto. La risposta che deve dare ogni governo è ridurre l’impatto del consumo di materie prime che tendono a scarseggiare. Norme e regolamenti ne vieteranno determinati usi; le tasse ne limiteranno le pratiche, e attraverso sussidi si potranno pubblicizzare comportamenti alternativi. Si tratta di una soluzione costosa che di solito non raggiunge il suo obiettivo in tempo, ma aiuta. Fortunatamente, possiamo avere delle risposte dalle nuove tecnologie. E’ abbastanza strano che la tecnologia chieda aiuto alla biologia per trovare delle soluzioni. I processi biologici sono imitati o 18

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riprogettati per aiutarci. Una linea di ricerca molto promettente è quella riguardante lo sviluppo di tessuti auto-rigeneranti. L’autorigenerazione è l’ultima forma di riciclo. Le nuove plastiche riescono ad auto-ripararsi, proprio come fa la nostra pelle: piccoli capillari contenenti fluidi si rompono all’impatto per formare una nuova superficie. E’ una questione di decenni prima che la scienza scopra un modo per farne una produzione di massa, e il rinnovamento non sarà mai più lo stesso. Evitare l’impatto con l’esaurimento delle risorse significa anche riprogettare i processi per fare in un modo che non accada di nuovo. Per quanto riguarda i tessuti naturali, i materiali sintetici possono mettere fine all’esaurimento delle sostanze rare. Non solo sostituendo materiali naturali con altre versioni sintetiche ma anche imitando i processi naturali che producono energia pulita o altre risorse. Uno sviluppo intelligente è il design di foglie sintetiche. Le foglie assomigliano a quelle vere, e utilizzano un processo simile alla fotosintesi per trasformare la luce solare direttamente in combustibile chimico. I processi biologici possono essere riprogettati anche per aiutarci. Sono stati creati dei filamenti di lievito per impreziosire spezie e profumi, come la vaniglia e il patchouli. Un principio simile è adoperato per stimolare la produzione di massa di seta di ragno, un materiale forte come il Kevlar e flessibile come la seta. La seta di ragno potrebbe benissimo essere il nuovo materiale biodegradabile per sostituire le materie

plastiche monouso, e può aiutare anche ad eliminare le impronte della fabbricazione di funi di sospensione per ponti e altri parti metalliche. Forse ancora più interessante è l’utilizzo dei batteri. Negli ultimi dieci anni, gli scienziati hanno trovato un modo per raccogliere energia dai batteri presenti nei nostri scarti d’acqua sporca: ossidano alcuni elementi nei nostri liquami e rilasciano in cambio un flusso di elettroni. Metteteli in una cella a combustibile, ed ecco che avrete la vostra fonte di energia. Recentemente, i ricercatori hanno reso il processo molto più efficiente, e questo è solo l’inizio. In futuro, i nostri bidoni dell’immondizia potranno essere collegati ad una piccola cella a combustibile (una batteria), per alimentare gli elettrodomestici di casa. Mentre i batteri danno energia ai nostri apparecchi elettronici, le spore dei batteri sono in grado di alimentare i motori. Poiché le spore si allungano e si accorciano a secondo dei livelli di umidità, riescono a catturare l’energia dell’acqua che evapora. L’auto del futuro, ad esempio, potrebbe funzionare alimentata solo da acqua e spore. E i batteri possono essere utilizzati anche per estrarre elementi rari. Gli elementi non sono sempre scarsi. Sono definiti come rari anche quando gli elementi nel suolo sono troppo dispersi per essere raccolti in modo efficiente. Per affrontare la difficoltà della ricerca, le piante sono utilizzate per assorbire il metallo dal suolo e i batteri per trasformarlo in uno stato fruibile. Si sta facendo molto nei laboratori di tutto il mondo per rendere l’umanità meno dipendente da energia e materiali scarsi, meno inquinanti, e più in linea con la natura. La bio-ingegneria, la biologia sintetica, e la biomimetica stanno diventando campi di ricerca diffusi e ci mostrano risultati dirompenti. Se, nonostante tutti questi sforzi le materie prime della Terra si esauriscono, la scienza può ancora venire in nostro soccorso. Siamo in grado di raccogliere quasi ogni cosa che finisce recuperandola dall’universo. Siamo in grado di recuperare gli elementi rari e tonnellate di ghiaccio dai pianeti, asteroidi e altri oggetti che gravitano vicino alla Terra. Possiamo anche estrarre ossigeno dallo spazio. Lì c’è tutto e in


abbondanza, dobbiamo solo trovare un modo conveniente per farlo arrivare qui sulla Terra. Diversi tipi di satelliti sono stati sviluppati da tempo per selezionare i migliori corpi celesti da sondare. Le macchine raccoglitrici che si utilizzano al momento per le missioni scientifiche, possono migliorare e avremo macchine robotiche in grado di accalappiare il premio e spostarlo in un’orbita alta per la lavorazione dell’industria mineraria. Nuove aziende stanno esplorando

e sviluppando missioni spaziali per la ricerca mineraria come loro core business. Un segno che la nuova industria è in evoluzione. Se le previsioni di un paio di decenni fa non avessero messo in guardia il mondo contro l’esaurimento delle risorse, la scienza non sarebbe stata così ansiosa di approfondire il problema. Ma l’hanno fatto, e ora stanno emergendo molte nuove e interessanti tecnologie. Nuovi modi per produrre energia pulita, per ridurre l’inquinamento del pianeta, per sostituire

materiali rari e processi inquinanti con alternative sostenibili e per trasportare nuove scorte dallo spazio. La Terra è il nostro habitat, e dobbiamo preservare il pianeta per le future generazioni. Ma ci sono altri modi di salvaguardia oltre alla pressione politica. L’ingegno umano e lo spirito imprenditoriale contribuiranno a rendere il pianeta autosufficiente; nel frattempo.., c’è sempre l’universo. Di Barbara Van Veen

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Sognando la vita eterna È uno di quei miti che ci avvicinano alle leggende degli dei: invincibili ed eterni. Ogni cultura della storia dell’umanità, da quelle più antiche, sino ai giorni nostri, ha sempre avuto coscienza della brevità della vita e dell’inevitabilità della morte. Da secoli abbiamo compreso (e indubbiamente provato) che la vita non è eterna.

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iononostante, l’aspettativa di vita cresce ogni anno, al punto che alcuni si sono spinti a prospettare come possa essere possibile vivere 1000 anni e oltre. E le prime persone che potrebbero raggiungere questo traguardo, forse sono già nate. Secondo Aubrey De Grey, un gerontologo biomedico a capo della ricerca del SENS Reserch Foundation in California, l’invecchiamento è semplicemente un fenomeno fisico che prima poi verrà sconfitto al pari di altre malattie, grazie ai passi da gigante che sta facendo la medicina moderna. De Grey sostiene che non si tratta solo di un’idea astratta e spiega come ci siano progetti per poter riparare i sette principali danni molecolari che sono al centro del processo di invecchiamento. Ognuno di essi è già disponibile, seppure in una forma preliminare, o lo sarà presto. E il tutto è basato sulla combinazione di tecnologie già ampiamente note. Chiaramente non si sta disquisendo della fine della morte fisica: le persone continueranno a morire a causa di virus oggi sconosciuti o in un incidente d’auto. De Grey è però convinto che la morte per invecchiamento, diventerà presto un ricordo del passato. Già nel 2004, scrivendo per la BBC, sosteneva che – sulla base delle aspettative di vita dei più giovani – riparando i danni molecolari e cellulari dovuti all’invecchiamento, si sarebbe potuto ambire a traguardi di vita di diverse centinaia di anni. “Se parliamo di un teenager benestante, residente in un quartiere tranquillo e consapevole dei rischi che lo circondano – ha spiegato De Grey – il rischio che possa morire nel giro di un anno non supera 1/1000. Questo significa che se si potessero mantenere immutate tali condizioni, avremmo il 20

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50% di possibilità di vivere 1000 anni. E questo senza indebolire o debilitare, ma anzi rimando giovanile tanto mentalmente quanto fisicamente”. La visione di De Grey è senza dubbio affascinante, soprattutto perché non solo potremo vivere più a lungo, ma soprattutto potremo farlo senza le complicazioni e il declino che accompagnano da sempre la vecchiaia. Ma per il fatto stesso che possiamo “curare la vecchiaia”, siamo certi che dovremmo farlo? Ci sono alcuni che sostengono che ‘giocare ad imitare Dio’, non sia assolutamente etico. Leon Kass, ex capo del Comitato per la Bioetica dell’amministrazione Bush, sostiene che “la fine della vita è una benedizione per ogni individuo” e “ Il lavoro di ricerca di organizzazioni come la SENS va in una direzione profondamente innaturale”. Se i tassi di crescita della natalità mondiale continueranno secondo le previsioni attuali, senza essere controbilanciati dai normali tassi di mortalità, le cose si complicheranno non poco. La popolazione mondiale ha già superato i 7 miliardi, con una proiezione di crescita fino a 9 nel 2040 e 11, dieci anni più tardi. Le analisi ci suggeriscono come la sovrappopolazione del pianeta sia già oggi potenzialmente un problema, aggravato dall’inadeguatezza delle risorse idriche, dalla crescita dell’inquinamento, dalla deforestazione e conseguente deperimento dell’eco-sistema. Desertificazione, esaurimento dei carburanti fossili, riscaldamento globale e conseguente riduzione delle terre coltivabili, estinzione di alcune specie e crescita del tasso di criminalità a causa della necessità per molti di reperire risorse di base per la sopravvivenza, sono solo alcuni degli esempi dei problemi che stiamo già affrontando. Nonostante l’ottimismo di De Grey, molti studiosi sostengono che la possibilità di

vivere 1000 anni, sia oggi poco più di un sogno. Stuart Jay Olshansky, autore di “The Quest for Immortality”, sottolinea come, al momento, la scienza gerontologica, non si sia neppure avvicinata alla possibilità di estendere in modo così evidente l’aspettativa di vita. È certo però che – anche senza le cure e i progressi immaginati da De Grey – stiamo già tutti vivendo più a lungo. Mediamente aggiungiamo tre mesi di di aspettativa di vita per ogni anno; e solo in Giappone, c’erano nel 2010 44.000 persone con più di 100 anni. Sottolineando come l’aspettativa di vita sia ormai raddoppiata rispetto al 1900, il prof. Rudi Westendorp ha commentato: “mai come oggi si vive più a lungo nei paesi più evoluti. E questo grazie ai positivi cambiamenti indotti dall’uomo nell’ambiente in cui vive: maggiore disponibilità di cibo, acqua potabile e lo sradicamento di molte malattie”. Grazie al prolungamento dell’aspettativa di vita, Westendorp sostiene che la prima persona che vivrà 135 anni, sia già nata e che questo sarà solo il primo di ulteriori traguardi. In qualche modo rafforza il pensiero di De Grey, quando aggiunge che non ha alcuna base scientifica la teoria secondo la quale la vita massima dell’uomo sia geneticamente prefissata. Sembra quindi che, soprattutto nei paesi più evoluti, la crescita dell’aspettativa di vita sia inevitabile. Inoltre – anche senza gli studi di De Grey sulle cure molecolari e cellulari – potremo aspettarci una vecchiaia più dolce di quanto abbiamo visto accadere intorno a noi fino ad oggi. Una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica The Lancet nel 2013, dimostrava “indiscutibilmente” che le funzioni fisiche e mentali della popolazione danese ultranovantenne, fossero migliori di quelle dei loro predecessori dieci anni prima. Sembra infine che i miglioramenti della salute che abbiamo avuto nel 20° secolo, porteranno ad un rallentamento di alcuni processi tipicamente abbinati alla terza età. Questo significa che invecchiare non sarà più soltanto inevitabile, ma qualcosa a cui tendere, per godere meglio dei piaceri della vita ad ogni età. A prescindere da quanto potrà durare!


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Salviamo il Planeta Terra

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a nostra vita è frenetica, corriamo senza sosta tra casa e l’ufficio; tra una commissione e l’altra non ci prendiamo più il tempo per apprezzare le bellezze del mondo tutto in torno a noi. E soprattutto non riusciamo più ad apprezzare la quantità di risorse che il pianeta ci mette a disposizione. Faremmo bene però ad accorgercene, perché il pedaggio che rischiamo di pagare per il nostro stile di vita potrebbe risultare molto alto. Stiamo consumando troppo! La commissione europea ha introdotto nuove regole per la riduzione dell’uso dei sacchetti di plastica: dovrà ridursi dell’80% entro il 2019. E questo la dice lunga su come i governi europei prendano seriamente la minaccia per l’ambiente che la plastica rappresenta. Dobbiamo avere la consapevolezza che il nostro stile di vita sta davvero minacciando l’esistenza stessa del pianeta. L’incremento costante della popolazione sulla terra (nel 2011 eravamo 7 miliardi) e il nostro stile di vita, non solo minacciano la salute del pianeta (derivati della produzione industriale che inquinano e contribuiscono al riscaldamento globale), ma soprattutto intaccano ciò che resta delle nostre preziose risorse. La nostra dipendenza dalla plastica – con tutte le conseguenze del caso – è la sintesi perfetta dell’impatto che l’umanità sta avendo sul pianeta. Tutti i prodotti plastici sono realizzati grazie all’utilizzo del petrolio, una delle risorse maggiormente a rischio per il futuro. Una recente ricerca elaborata dalla società inglese BP, dimostra che – al netto della scoperta di nuovi giacimenti – continuando a consumare petrolio al ritmo attuale, le scorte si esauriranno nel 2057. Inoltre la plastica non è biodegradabile, e non abbiamo ancora trovato una soluzione per il suo smaltimento. Ci sono poche alternative: se da un lato la raccolta differenziata dei rifiuti permette di separare la plastica, dall’altra

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la conseguenza è che, bruciandola, contribuiamo all’incremento dell’effetto serra del pianeta. L’alternativa è quella di utilizzare le discariche: ma la soluzione non provoca certo effetti migliori. Il rischio è che poi un’infinità di piccoli pezzi di plastica finisca dispersa dal vento, arrivi ai corsi d’acqua, e di li attenti in maniera devastante all’ecosistema marino. Ma non è soltanto l’ecosistema marino ad essere a rischio per la nostra dipendenza dalla plastica. Anche l’inquinamento di superficie provoca un impatto enorme sull’equilibrio del pianeta terrestre. Il soffocamento di animali, l’inibizione del nutrimento del suolo, impattano sulla vita stessa delle piante che ci forniscono nutrimento. È stato stimato che un singolo sacchetto di plastica uccide potenzialmente un animale ogni tre mesi. Se pensiamo che mettiamo in circolazione ogni anno almeno 500 miliardi di sacchetti di plastica (secondo altre stime, sino al doppio), possiamo comprendere la reale portata del problema. La risorsa più importante è certamente l’acqua. E nonostante la terra sia coperta al 70% dall’ acqua, solo il 2,5% è in realtà acqua dolce. Ma di questa però, il 70% è rappresentato da neve e ghiaccio. Abbiamo accesso soltanto a 200.000km3 di acqua dolce, e la domanda presto supererà la disponibilità. La FAO ha stimato che nel 2025, 1,8 miliardi di persone vivranno in condizioni di assoluta scarsità di acqua dolce. Le nostre risorse di gas naturale si troveranno ad affrontare problemi analoghi a quelli del petrolio. Si stima infatti che – ai livelli di consumo attuali – avremo disponibilità di gas soltanto fino al 2069. Anche il fosforo, sostanza essenziale per la crescita delle piante, si sta esaurendo… Il fatto è che dobbiamo sfamare ogni giorno 7 miliardi di persone. Il che significa che il fosforo finirà nei prossimi 50/100 anni.


Dodici modi per salvare la terra Nonostante ricercatori, scienziati, e governi, siano costantemente alla ricerca di di nuove strade per preservare, e possibilmente incrementare, le risorse disponibili, ci sono molte cose che possiamo fare per ridurre il nostro impatto sul pianeta. Sembreranno piccole cose, ma se lo faremo tutti insieme, potremmo davvero contribuire a salvare il nostro pianeta. 1. Facciamo attenzione a come consumiamo l’acqua. Anche un piccolo risparmio può fare la differenza (anche nelle nostre tasche). Chiudete il rubinetto mentre vi lavate i denti, aggiustate quelli che perdono. Bevete acqua del rubinetto, evitate le bottiglie di plastica. Risparmierete e avremo meno plastica da smaltire. 2. Rinunciate alla macchina almeno un paio di volte alla settimana. 3. Quando siete al volante, guidate evitando accelerazioni e frenate improvvise. Consumerete di meno e inquinerete di meno. Anche andare un po’ più piano, vi farà consumare meno e quindi risparmiare. 4. Mantenete efficiente la vostra macchina. Se funziona bene, inquina di meno (e risparmiate di più). 5. Camminate, usate la bicicletta ogni volta che potete. Non solo risparmierete sull’uso del carburante, ma sarete più in forma! 6. Riciclate plastica, carta, lattine e bottiglie. Invece di buttarle nell’immondizia, donatele ad una associazione caritatevole. 7. Riutilizzate cose che altrimenti buttereste via e cercate di acquistare articoli di seconda mano. 8. Non bruciate la vostra immondizia. 9. Saltate un pasto una volta alla settimana. Se lo facessimo tutti, la riduzione della domanda di cibo si ripercuoterebbe in positivo sulla minore emissione di gas serra, risparmio di acqua ed energia per produrre il nostro cibo. 10. Utilizzate lampade a basso consumo. Non soltanto consumerete meno energia, ma sorrideranno le vostre tasche. 11. Rendete efficiente la vostra casa. Elettrodomestici di ultima generazione, termostati programmabili per riscaldare soltanto quando siete in casa, materiali isolanti: tutto contribuirà ad una casa più “verde”. 12. Infine la cosa più facile: spegnete la luce quando uscite da una stanza. Di Joanne Walker

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Questo è stato uno dei miei mantra – metti a fuoco e semplifica. le cose semplici possono risultare più difficili di Quelle complesse. Bisogna lavorare tanto per far sì che il nostro pensiero sia pulito al punto di semplificare, ma alla fine ne vale la pena, perché Quando ne saremo capaci, potremo spostare le montagne. Steve Jobs


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SILVIO TARCHINI Il ragazzo che non si ferma mai

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n antico proverbio veneziano spiega che “viazar descanta”; cioè viaggiare rende svegli, apre gli occhi. E un “ragazzo” sveglio e con gli occhi aperti è sempre stato Silvio Tarchini che, a 71 anni, è uno degli imprenditori più dinamici del Canton Ticino. La sua biografia imprenditoriale mostra una voglia, quasi una necessità, di cambiamento e novità. Non a caso poco più di ventenne inizia la sua avventura di uomo d’affari nel mondo della plastica, fondando un’azienda, la Plastar, che poi vende nel 1975. Quello che per molti rappresenta un punto d’arrivo, per Tarchini è solo un inizio, un punto di svolta. A spiegarlo è lo stesso Tarchini. “Mi piacciono i cambiamenti, non sono un imprenditore “normale”, che si accontenta di quello che ha realizzato, io cerco di andare sempre avanti, sono fatto così. Mi piacciono le nuove sfide”. Così nel ’75 lascia la Svizzera, prende moglie e 3 figlie e parte prima per un giro del mondo, poi decide di fermarsi in Argentina nel 1977. Non è certo un immigrato con la valigia di cartone, però si ritrova in una realtà del tutto differente, senza neppure conoscere la lingua e con tanta voglia di investire in una realtà che in quegli anni cresceva notevolmente. “Sapevo che c’erano delle opportunità nel settore immobiliare, ho cominciato ad informarmi guardando gli annunci e sforzandomi di capire la lingua. Sul giornale più diffuso d’Argentina avevo notato che era sempre un’agenzia che trattava gli affari più importanti, così ho chiamato quella società, ho chiesto se ci fosse tra loro qualcuno che parlasse inglese e ho iniziato questa attività. L’affare più grosso ha riguardato un palazzo amministrativo che ho costruito nel centro di Buenos Aires che ho rivenduto tre anni dopo facendo un buonissimo affare. Avevo capito che in Argentina però non si poteva programmare a lungo termine e così ho deciso di tornare in Svizzera”. E lì è iniziata una nuova avventura… “Tornato a Lugano ho compreso che mancava un’azienda che offrisse spazi industriali già pronti. La trafila da affrontare era la solita: preparare il progetto, comperare il terreno, chiedere le autorizzazioni… Ho pensato di 26

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occuparmi di tutte queste cose e di affittare poi alle aziende spazi già pronti. Così è nata la nuova attività che dagli anni ’80 ad oggi ci ha portato a realizzare oltre 200mila di spazi industriali. Attualmente abbiamo 250 clienti a cui affittiamo immobili per la loro attività che vanno da 20 ai 20mila metri quadrati”. Qual è il concetto che sta alla base del successo di questa idea? “Quello delle chiavi in mano. L’imprenditore non deve perdere tempo nel seguire altri problemi e si può concentrare sulla sua attività. Inoltre questi nostri immobili sono in grado di offrire altri servizi, dai ristoranti alle sale conferenze, e palestre. Quindi l’imprenditore e i suoi collaboratori trovano un ambiente pronto ad accoglierli per svolgere al meglio la loro attività. Inoltre noi forniamo uno spazio su misura, della metratura giusta per ogni tipo d’impresa. Si evitano così i problemi di avere uno stabile troppo grande o troppo piccolo. Era un concetto che già aveva preso piede negli Stati Uniti con gli R&B Building. E questa idea non è certo passata di moda. Abbiamo appena completato due nuovi stabili e ne siamo costruendo un altro. La soddisfazione è anche che sono nostri clienti le più importanti aziende internazionali che si trovano ottimamente con il nostro servizio, anzi chiedono sempre nuovi spazi. Con noi ad esempio Bally ha realizzato il suo centro logistico mondiale e adesso Schindler ascensori ci ha chiesto uno spazio molto importante. Ma non lavoriamo esclusivamente con grandi aziende internazionali, a Bironico abbiamo uno stabile dedicato agli artigiani, con accessi indipendenti, magazzini, uffici, show room”. Dall’affitto di spazi “fisici” per le aziende, vi siete lanciati anche negli spazi “virtuali”. “Certo, con bancadati.ch abbiamo iniziato una nuova attività. Nello stabile Galleria 2 di Manno aveva sede dall’inizio degli anni ’90 il Centro Svizzero per il calcolo scientifico. Tre anni fa il Centro si è trasferito a Lugano e ho riacquistato quella superficie. A quel punto è nata l’idea di una banca dati, localizzata in un ambiente che offre la massima sicurezza. Per le imprese avere al sicuro i propri dati, in una struttura protetta da ogni genere di inconveniente è fondamentale. E’ un’iniziativa nata poco tempo fa che in alcuni mesi andrà a regime”.


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L’altro ramo fondamentale della sua attività è quello degli outlet, il settore commerciale… “Il primo outlet è nato in maniera quasi casuale nel 1994. Avevo letto un articolo sul questa nuova tendenza del mercato che si stava diffondendo negli Stati Uniti ed mi ero convinto che fosse una buona idea. Così ho partecipato ad un congresso a Londra proprio su questi temi, da lì sono volato ad Atlanta ad un meeting annuale dei consulenti del settore dove ho ingaggiato un esperto. Le sue valutazioni mi hanno incoraggiato e ho deciso di partire con questa nuova iniziativa. Dalla lettura dell’articolo al sì definitivo erano passati tre mesi… All’inizio è stata dura, ma nel novembre del 1995 abbiamo aperto il FoxTown di Mendrisio che adesso è un punto di riferimento non solo per la Svizzera. In questo caso ho anche vinto anche un’altra scommessa”. Che sarebbe… “All’epoca il cantone era in crisi, gli svizzeri andavano a comperare in Italia grazie alla lira debole, non c’era più “il giro” degli italiani. Adesso succede il contrario e agli italiani vanno aggiunti i visitatori di area germanica e i cinesi. Basti pensare che nel nostro Outlet l’80% dei clienti viene da fuori Cantone”.

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FoxTown presenta dei numeri impressionanti. “Ci sono 160 punti vendita e vi lavorano 1300 persone, abbiamo al suo interno le principali griffe mondiali che vendono direttamente i loro prodotti a prezzi scontatissimi. Sette anni fa abbiamo aperto un outlet anche a Shangai che adesso abbiamo deciso di vendere perché non riusciamo a seguire direttamente tutto. Anche quella comunque è stata un’operazione molto valida, anche per i nostri partner che sono marchi come Adidas, Nike, Armani e le principali aziende di moda”. Adesso a quale nuovo progetto sta pensando? “L’ultimo investimento è stato quello del resort Collina D’Oro dove ci siamo lanciati nel settore alberghiero con dei nuovi concetti. L’idea è quella di affiancare al classico albergo con ristorante e tanti servizi come wellness e fitness, anche degli appartamenti con servizi alberghieri. E abbiamo allargato ulteriormente il concetto pensando ad una casa con 34 appartamenti a Riva San Vitale dedicati agli anziani e dotati di tutti i servizi di prossimità. Le persone mantengono pienamente la loro indipendenza, ma hanno a disposizione addetti che le aiutano a disbrigare le incombenze quotidiane, dalla spesa ai pasti, passando per le medicine.


Si tratta di appartamenti di alta qualità, senza barriere architettoniche. E’ un mercato di nicchia, ma con una forte richiesta”.

Dalla sua biografia emerge un imprenditore che ha voglia di fare, di cambiamento. Ma dietro a questi cambiamenti c’è anche una tecnica, una giusta maniera di affrontare il business?

Lei è spesso protagonista della scena politica e sociale del Cantone, le sue dichiarazioni fuori dal coro fanno sempre discutere, in che rapporti è con la politica?

“Certo. Fondamentale è l’esame preventivo di un possibile affare, possibilmente affidandosi ad esperti del settore. Quando abbiamo investito negli outlet eravamo convinti del successo dell’iniziativa, non in base a generici sentimenti o ad una semplice intuizione, ma grazie ad un’analisi molto accurata della situazione. Fondamentale è l’apporto degli specialisti di ogni singolo settore, che possono spiegare i “segreti” di quell’attività”.

“Diciamo che i miei rapporti con i politici non sono sempre idilliaci, con gli amministratori pubblici non sempre vado d’accordo. Il problema è che prendono le loro decisioni molto lentamente, quando invece sarebbe necessario reagire in maniera veloce. Vedo la politica in ritardo rispetto la società e alla vita economica. Poi ultimamente alcune decisioni dei nostri governanti, in particolare quelle che hanno influenzato la gestione delle banche, avranno un impatto negativo sul futuro”. Sono celebri anche le sue prese di posizione sul tema dei frontalieri. “Il cliente principale della Svizzera è l’Europa, noi offriamo moltissimi servizi ai nostri clienti europei e abbiamo bisogno dei lavoratori frontalieri. Come ha detto l’ex ambasciatore negli Stati Uniti, Urs Ziswiler, se i frontalieri facessero uno sciopero di una settimana il Ticino sarebbe bloccato”. Sulla base della sua esperienza, che consigli si sente di dare ai giovani? “Naturalmente alla base di tutto c’è lo studio, ma è importante viaggiare, conoscere altre realtà e imparare le lingue. Io adesso ne parlo cinque e ho sempre viaggiato molto, ricercando e trovando opportunità di affari e spunti per la mia attività impreditoriale. Ai giovani consiglio di stare all’estero per quattro-cinque anni per poi tornare in Svizzera e mettere in pratica quello che hanno appreso nella loro esperienza”.

Quindi non solo l’imprenditore con le sue intuizioni, ma anche tanta fiducia nei collaboratori? “In un’azienda è basilare l’apporto e il confronto con i collaboratori, anche perché un’azienda non può vivere basandosi su una sola persona. Io lavoro ancora tanto, ma mi godo anche tre mesi di vacanze all’anno, quindi diventa fondamentale l’organizzazione e la fiducia nei collaboratori”. Il successo… I viaggi… La sua biografia fa pensare ad una vita spumeggiante. “No, no, ho una vita normalissima, sono sposato da cinquant’anni, con la stessa moglie, abbiamo una bella famiglia con tanti nipoti e una volta alla settimana ci troviamo con gli amici. Oltre al lavoro e ai viaggi mi piace giocare a tennis e a golf e andare in montagna”. Lei è un imprenditore attivo in tanti campi: se dovesse descriversi, cosa direbbe di sé? “Non sono un immobiliarista tipico, che costruisce per vendere, io costruisco immobili con un valore aggiunto. Diciamo che sono uno che costruisce belle cose che vuole tenere”. Di Franco Fregni HEditionMag

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Junko Kemi Fondatrice e Capo Designer di Kay Me Junko Kemi ha lanciato “kay me” nel 2011, partendo dall’idea che era difficile trovare in commercio un abbigliamento elegante e confortevole per l’ufficio. Ha preso ispirazione dai suoi antenati e ha iniziato a costruire “kay me”.

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Hai iniziato la tua carriera come consulente gestionale per il Boston Consulting Group; quanto ha influito questa esperienza nel tuo modo di fare business oggi? Alla BCG, uno dei nostri punti chiave era l’efficienza e il modo in cui ottenere grandi risultati con poco tempo e risorse – questo ci è stato spiegato dal primo giorno. Come consulente di marketing, il mio compito era individuare il target dei nostri clienti e conseguentemente usare i media per inviare messaggi adeguati e coerenti. Questi principi li ho riportati anche in “kay me”. L’abbigliamento è un settore competitivo, ma a me piace pensare che comprendendo in profondità le esigenze dei nostri clienti e avvicinandosi ai media in modo diverso, possiamo ritagliarci la nostra fetta di mercato. E soprattutto ci auguriamo di fare la stessa cosa a livello mondiale. Il marchio di abbigliamento “kay me”, è una linea di abbiglia­ mento per la donna in carriera. Nella tua esperienza, quanto è importante la moda e l’aspetto per le donne in affari? Penso che le due cose siano strettamente correlate. L’abbigliamento può essere fonte di piacere ma può anche portare sofferenza e disagio. I capi da lavoro spesso non vestono abbastanza bene o non sono confortevoli nei movimenti. Il corpo delle donne è diverso da donna a donna e per esperienza personale posso dire che ho avuto spesso un indolenzimento alle spalle dopo aver indossato per molte ore una giacca. Ogni prodotto “kay me” è realizzato con tessuti morbidi, eccellenti ed elastici, cuciti a mano in Giappone. Quando ci si sente a proprio agio sul posto di lavoro, si ha l’energia per essere più produttivi e creativi. Un bel vestito può anche infondere molto potere. Mi ero stancata di indossare abiti nel tentativo di conformarmi allo stile degli altri; una volta che mi sono liberata da questa rigidità indossando un abbigliamento comodo, ho potuto esprimere la mia femminilità e mi sono sentita molto più sicura di me stessa e del mio aspetto. Una caratteristica fondamentale di “kay me” è che è ispirata al kimono. Come hai adattato il look classico del kimono al moderno business­look? Il kimono è sempre stato un simbolo di eleganza in Giappone attraverso i secoli. Abbiamo pensato che era arrivato il momento di modernizzare questo capo per adattarlo alle donne in carriera di oggi. Abbiamo dovuto rivisitare i colori e le fantasie per tentare di trovare un nuovo equilibrio, in modo che ogni modello potesse essere adatto al lavoro. Abbiamo immaginato ogni vestito come un set: una giacca da giorno per l’ufficio, da sfilare la sera per un aperitivo dopo il lavoro o una cena. Ci piacciono i motivi floreali, con uccelli, il vento e la luna (il ‘kacho fugetsu’ in giapponese) che fin dai tempi antichi sono stati considerati i simboli del potere e dell’energia. Tua nonna gestiva un negozio di kimono. Quanto è importante il patrimonio culturale nel tuo lavoro e come influenza il tuo modo di lavorare? Anche se “kay me” è un brand relativamente giovane, in realtà ha già una sua storia, dato che quando ero bambina trascorrevo ore e ore a guardare i miei nonni interagire con i propri clienti nel loro negozio a Osaka. I disegni ispirati alla natura caratterizzavano spesso i kimono, e vedevo le donne trasformate dopo aver lasciato il negozio. Anche se molte di loro sembravano così impegnate, le vedevo tutte rivitalizzate dopo aver indossando

i loro bellissimi kimono. Oggi cerco di rendere omaggio a mia nonna cercando di conoscere al meglio le nostre clienti e raccomandando loro gli stili che pensiamo possano piacere di più. Rispettiamo le tradizioni e le competenze degli artigiani giapponesi, assicurandoci che ogni abito “kay me” sia fatto a mano utilizzando una combinazione di tecniche tradizionali e moderne. La tua linea di abbigliamento si caratterizza per essere elastica e lavabile in lavatrice. Sono queste le differenze con le altre proposte di abbigliamento disponibili per le donne in affari? Ho trascorso molti anni nelle vendite e nel marketing prima di dar vita a “kay me”, spesso lavorando fino a tardi. Per essere in sintonia con le persone con cui lavoravo, spesso indossavo vestiti da ufficio aderenti con gonne e giacche. Volevo che i miei vestiti fossero come un partner – un amico o un sostenitore – non un mio avversario. Ho cercato in giro per i negozi di Tokyo qualcosa da indossare che mi rendesse più femminile ma al tempo stesso fosse comodo. Volevo qualcosa che si potesse lavare in lavatrice per non spendere tempo o denaro portando gli abiti nelle lavanderie a secco. Ma non ho trovato nessun capo d’abbigliamento che potesse soddisfare tutte queste caratteristiche. Penso che “kay me” abbia trovato una nicchia di mercato ancora libera, per soddisfare le richieste di professionisti impegnati che vogliono che il loro vestito sia parte del loro modo di lavorare. Alcuni dei tuoi vestiti sono realizzati con sete lavabili. Sap­ piamo tutti che normalmente non è previsto che la seta venga lavata in casa; come sei riuscita a creare questo tessuto? In “kay me” utilizziamo una gran varietà di tessuti, tra cui il poliestere, che nei mercati europei non viene visto positivamente. Il poliestere giapponese è di una qualità molto elevata, e questa qualità è davvero percepita dai nostri clienti mentre provano gli abiti. Il nostro obiettivo finale era però quello di creare un vestito di pura seta. Abbiamo incaricato il nostro team di Kyoto di realizzare una nuova tecnica che proteggesse il colore durante i lavaggi e non facesse restringere il capo durante il lavaggio. Esiste un brevetto sulla tecnica che hanno sviluppato; il processo richiede un tempo molto lungo per la realizzazione, tra cui una asciugatura alla luce solare necessaria per fissare i colori, ma siamo orgogliosi del risultato finale! Quest’estate hai lanciato un temporary shop a Piccadilly? Com’è andata? Come in ogni cosa, Anche per l’abbigliamento le persone hanno gusti diversi. Il temporary shop di Piccadilly è stato una grande occasione per conoscere i gusti dei clienti inglesi. Londra è una città globalizzata quindi abbiamo avuto anche molti visitatori stranieri, il che significa che abbiamo potuto raccogliere una varietà di dati che ci permetteranno di comprendere meglio il mercato e fare scelte precise per i futuri design. Quali sono le vostre speranze e i piani per il futuro della linea di abbigliamento “kay me”? Proprio come l’eleganza duratura del kimono, speriamo di resistere, espanderci ed evolverci seguendo le mutevoli esigenze della donna moderna. Vogliamo continuare a creare capi di abbigliamento che facciano risparmiare tempo, di cui sia facile prendersi cura e che siano ideali per l’ufficio e per il divertimento: puntiamo anche ad aprire il nostro primo negozio “kay me” a Londra il prossimo anno. HEditionMag

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A servizio di NapoleoNe III (e Keith Richards) 32

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S

e il Canada può avere un Primo Ministro con un tatuaggio, perché una magnifica azienda di beni di lusso Francese non può avere un presidente che suona la chitarra rock? Le alte sfere della società occidentale si stanno rilassando. Alain Crevet, della famiglia proprietaria ST Dupont, è andato in Gran Bretagna nella tarda adolescenza dove ha frequentato concerti rock, confermando il suo amore per il rock and roll anglosassone – non solo per i Beatles e i Rolling Stones, ma anche per i suoni punk e spigolosi dei Sex Pistols e dei The Clash. Ha imparato a suonare la chitarra e suona ancora con il suo gruppo rock versioni cover di brani classici. I tempi sono cambiati, così come le classi dominanti sono diventate meno formali, anche le star del rock and roll si sono avvicinate di più alla classe media. Adesso è più probabile che discutano di arredamento di interni piuttosto che lancino televisori dalle finestre di una camera d’hotel. Data la loro disponibilità finanziaria, sono i clienti ideali per le aziende che producono beni fatti a mano, come borse da viaggio, penne, gemelli, accendini di ST Dupont. Infatti, Alain Crevet ha annunciato con orgoglio che la sua azienda è stata incaricata di produrre un’edizione limitata di prodotti per i Rolling Stones. Questo si adatta ad una politica aziendale orientata verso un prodotto destinato a persone eleganti e influenti. Ma il prestigio di ST Dupont è basato per prima cosa sulla qualità del prodotto. Si fa grande affidamento sulla promozione tramite il passa parola, e si pone un’enfasi inflessibile sull’eccellenza artigianale dell’officina di Faverges, vicino a Lac d’Annecy nella Francia sud-orientale, lo stesso villaggio dove Simon Dupont fondò l’azienda nel 1870. “L’artigianato è la priorità numero uno”, dice Alain Crevet. “Ci sono molti marchi di lusso e i clienti non pagano per il marketing. In Dupont, si paga per la qualità. Noi reinvestiamo nell’inventare e reinventare i prodotti. La gente ama i nostri prodotti. La qualità è talmente alta… Non sono di plastica con un cerchio d’oro; sono in oro o argento massiccio. Fatti a mano. Dureranno 100 anni. Se ti cade, non si rompe. Qualità eccezionale. Tra i nostri clienti ci sono politici, celebrità; che parlano dei prodotti ai loro amici. Il risultato di una società con una tradizione lunga come la nostra è la sua capacità di attirare il gusto dei leader mondiali nei secoli, da Napoleone III a Nicolas Sarkozy. Al matrimonio del principe inglese William e Kate Middleton nel 2011, lo Stato francese ha fatto omaggio di una borsa da viaggio ST Dupont che era la replica di quella data

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alla regina d’Inghilterra al suo matrimonio nel 1947 – anche se gli accessori sono stati aggiornati per includere un computer tablet”. Il sostegno dell’ex presidente Sarkozy è stato prezioso. Con la sua bellissima moglie e l’amore per il bello, è sempre stato un fan di Dupont; ma garantendo che i prodotti rimanessero 100% made in France, ci ha aiutato ad assicurarci il suo sostegno. “Ho chiesto un incontro [con il presidente Sarkozy]”, racconta. “Gli ho chisto: vuoi essere l’ambasciatore dei Marchi francesi, che abbiano prodotti al 100% ‘made in France’? Quando [il presidente] offre doni ai visitatori, come al presidente Obama, o Cameron o Merkel, ricevono un set di penne Dupont, gemelli, accendini». Eppure la favola Dupont non è stata così agevole e priva di imperfezioni come i suoi prodotti. Quando Alain Crevet fu assunto nel 2007, la società non stava andando bene ed era necessario intervenire. La decisione principale, poiché rappresentava un costo elevatissimo, è stata quella di eliminare l’intero settore abbigliamento e riportare la società alle sue origini: borse da viaggio di lusso, penne, gemelli e accendini. Tutto quanto non rappresentava il vero DNA dell’azienda è stato eliminato. Questa conoscenza del brand ST Dupont affonda le sue radici nell’esperienza; mentre la sua comprensione dell’essenza di un marchio e del suo

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nutrimento riguarda la sua carriera. Da bambino, ricorda che il suo primo incontro con un prodotto Dupont è stato l’accendino che suo nonno utilizzava per accendere i sigari dopo pranzo. “Mio nonno era affascinato da questo bellissimo accendino. Quando ho compiuto18 anni mio padre me lo regalò; ed io lo darò ai miei figli. Si tratta di uno dei più incredibili oggetti ben realizzati che si possono immaginare”. L’incursione nel settore dell’abbigliamento è stato dovuto probabilmente all’imitazione del principale rivale di Dupont, l’azienda britannica Dunhill. Ma c’è una differenza, fa notare: Alfred Dunhill aveva creato cappotti per signori fin dall’inizio, quindi la percezione del marchio del cliente lo vedeva come qualcosa di autentico. Per Dupont, voleva dire reinventars. Il ritorno ad una strategia di base dei prodotti ha dato i suoi frutti, con la società che è tornata a generare profitti. La prima esperienza della sua carriera è stata con il marchio del gigante Procter & Gamble, ha poi lavorato nel settore del Profumo Givenchy presso LVMH. “Ho imparato come costruire un marchio: il vero DNA del brand: la storia, i valori. In FMCG passi un sacco di tempo con i clienti nei negozi. Lo fai meno nel settore del lusso, anche se questo non è un bene, credo. Alla Dupont mi piace i nostri negozi in tutto il mondo. Visito i nostri negozi, e i negozi concorrenti; incontro i clienti. Questo, credo sia la cosa più interessante. “Passo un terzo


del mio tempo fuori della Francia; trascorro anche del tempo in fabbrica, per essere vicino allo sviluppo dei prodotti”. Tale curiosità incessante è uno degli attributi di base di un dirigente di successo, insieme ad una direzione chiara; e una personale qualità di leadership per costruire una squadra. I presidenti francesi hanno ogni ragione per essere orgogliosi di ST Dupont, e incoraggiano la sua impresa: che guadagna un impressionante 90% del fatturato dalle esportazioni. Alcuni mercati asiatici sono stati particolarmente redditizi negli ultimi anni; soprattutto il Giappone, la Corea del Sud e Hong Kong. Eppure, nonostante il collegamento di lunga data con i Reali britannici, Dupont aveva perso terreno nei mercati anglosassoni; una cosa che l’anglofilo Alain Crevet era determinato a cambiare. “Tra le due guerre, Winston Churchill e la Famiglia Windsor erano nostri clienti. Dupont aveva instaurato un rapporto di lunga data con la Gran Bretagna, ma tutto ciò si era perso negli anni 60 e 70 del secolo scorso. Ora è il momento di riprovarci. Il Presidente

PASSO UN TERZO DEL MIO TEMPO FUORI DELLA FRANCIA; TRASCORRO ANCHE DEL TEMPO IN FABBRICA, PER ESSERE VICINO ALLO SVILUPPO [DEI PRODOTTI]. DUE SETTIMANE FA SONO ANDATO IN GIAPPONE, E HO PASSATO LA GIORNATA VISITANDO NEGOZI; NON SOLO I NOSTRI, MA ANCHE QUELLI DEI NOSTRI COMPETITOR

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del Consiglio si è ritirato lo scorso anno, sostituito da una donna d’affari inglese, Sharon Flood. Lei ha un background finanziario e ha lavorato presso i grandi magazzini Harvey Nicholls e John Lewis. “Le ho chiesto: Perché siamo inesistenti in Gran Bretagna? Ci investiremo nuovamente”. Dupont è presente ad Harrods al piano terra; ha un angolo di Selfridges e altri presso la Casa di Hannover, Williams & Sons e Harvey Nicholls a Manchester. Un obiettivo più a lungo termine per Londra sarà creare un negozio monomarca, e aumentare la presenza nei grandi magazzini”. L’azienda produce articoli da catalogo, ma anche una gamma di prodotti in edizione limitata e su misura, pezzi unici. Per singoli elementi, l’azienda può mescolare la visione e il gusto del cliente con l’esperienza e l’ispirazione dei suoi artigiani. Alain Crevet racconta la storia di un ricco uomo d’affari asiatico che voleva un accendino tempestato di diamanti. Piuttosto che incorporare solo alcune pietre in un prodotto già esistente, la società chiese al cliente di esprimere meglio i suoi gusti e le preferenze per cercare qualcosa di più originale, e scoprì che aveva un interesse per la Storia francese, in particolare per Luigi XIII. “E’ interessante, perché Luigi XIV è il più conosciuto”, osserva Alain Crevet. “Ma è stato Luigi XIII ad iniziare la costruzione della Reggia di Versailles”’. Il caso volle che un cliente Dupont sia l’unica persona in Francia con il titolo di ‘Royal’: una certa Tania de Bourbon, discendente di dodicesima generazione di Luigi XIII, ed è una “signora

affascinante”, dice Alain Crevet. Ci ha accordato il permesso di utilizzare i simboli della Corona di Francia, che ha il diritto di utilizzare. Dupont ha prodotto un set di due accendini portatili – uno per la scrivania – in oro massiccio, con uno zaffiro, usati da Luigi XIII, e il prodotto su misura è stato venduto per 500.000 Euro. Il risultato è stato un’opera d’arte che rispecchia la preferenza del cliente per l’oro e le gemme, ma riflette il suo gusto per il design francese in modo che solo un brand con una profonda conoscenza della storia del paese, e un elevato livello di competenze artigianali, potrebbe produrre. Ci vuole una mente ampia e indagatrice per apprezzare allo stesso tempo gli interni Luigi XIII e il rock della scena londinese degli anni 60 e 70, ma Alain Crevet e l’azienda che conduce dimostrano che uno non deve compromettere la qualità e l’artigianalità se vuole rimanere all’avanguardia. E’ in grado di progettare per delle rock star, così come lo farebbe per dei re. Dice di Keith Richards, il leggendario chitarrista dei Rolling Stones: “Spero di incontrarlo un giorno.” Persino Alain Crevet ha ancora delle ambizioni.

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Ricordanco

Schumi C

’è un aneddoto relativo agli esordi della carriera di Michael Schumacher, che racconta quanto la sua intelligenza e meticolosità ne abbiano fatto una superstar della Formula1. Nei giorni precedenti la 24 Ore di Le Mans del ’91, il team Mercedes improvvisò una corsa ciclistica nel circuito per i sui piloti: un’opportunità per stampa e ospiti di calarsi nell’atmosfera della gara. “Heinz-Harald Frentzen e Karl Wendlinger diedero vita ad un “testa a testa”, una sfida all’ultima pedalata tra giovani piloti – racconta Simon Arron, giornalista di Motor Sports Magazine. Il 22enne Shumi rimase indietro, scendendo spesso dalla bici per valutare le vie di fuga, i cordoli e trovare nuovi limiti per le traiettorie che aveva in mente. I suoi giovani colleghi avevano solo in testa di dimostrare chi fosse il più bravo e veloce in sella alla bicicletta. Per Schumacher fu invece un’opportunità in più per immagazzinare ulteriori informazioni. Anni dopo chiesi a Peter Sauber, il Team Manager di quella squadra, come si comportò Michael nel lungo weekend di gara (per la cronaca fu quarto). ‘Fu il nostro pilota più veloce’ – mi disse. ‘Ma allo stesso tempo il più abile nel risparmiare benzina, gomme e freni’.” Ci vuole qualcosa in più del semplice talento e dello stile unico di gara per diventare un campione come Schumacher.

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suo grande amico, disse ai giornalisti che manteneva viva la speranza per la sua piena ripresa. “Possiamo solo pregare ogni giorno perché ciò avvenga – aggiunse. I progressi sono lenti, ma la speranza è sempre viva”. Lasciato l’ospedale, la sua famiglia ha riportato Michael a casa, sulle sponde del lago di Ginevra, non lontano da Losanna, dove difendono la privacy del loro dolore. Hanno attrezzato parte della casa con le attrezzature più moderne per inseguire i lenti miglioramenti in un’attesa senza fine. Amici e ammiratori sperano ogni giorno di ricevere buone notizie, e intanto ne ricordano l’incredibile carriera e riflettono sui suoi grandi risultati. Che tipo di campione sportivo è stato Schumacher? Se guardiamo ai freddi numeri delle classifiche di ogni tempo della Formula1, capiamo subito che ha fatto storia a sé. 91 vittorie in totale, di cui 13 in una sola incredibile stagione, il 2004. Il secondo pilota di questa classifica, il francese Alain Prost, è staccatissimo a quota 51. Se andiamo indietro nel tempo, tra gli anni ’50 e ’70, quando c’erano meno gare e carriere più brevi (a causa spesso dei più bassi livelli di sicurezza rispetto ad oggi),

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“La sua propensione per la velocità è sempre stata evidente – ha aggiunto Simon Arron – ma l’attenzione ai dettagli e la determinazione maniacale per il lavoro quotidiano, ne hanno fatto un pilota diverso da tutti gli altri”. Se il tennis ha Roger Federer e il cricket Sir Don Bradman, Schumacher è la Formula1. Uno sportivo che grazie all’eccellenza nella continuità, ha fatto storia a sé. Sette titoli mondiali, di cui cinque di fila all’inizio del millennio, sono il picco di una carriera che ha attraversato due decenni. Dall’esordio quasi casuale del 1991, al suo contrastato ritorno alle corse, tra il 2010 e il 2012. Devoto padre di famiglia e professionista impeccabile, è stato il perfetto ambasciatore di molti brand che gli devono parte delle loro fortune. Poi, naturalmente, tutto cambia con i ricordi che ci riportano tragicamente al terribile incidente del 29 dicembre di due anni fa. Ironicamente lontano dai circuiti, durante un fuoripista sulle nevi di Meribel, sulle Alpi francesi. L’agonia di un lungo periodo di coma e i lenti miglioramenti sino al risveglio sette mesi dopo, hanno devastato la famiglia, gli amici e i suoi milioni di tifosi sparsi nel mondo. A un anno dall’incidente, Ross Brawn, direttore tecnico della Ferrari di Schumi e

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risulta impossibile intuire quanto, campioni come Juan Manuel Fangio o Jackie Steward, avrebbero potuto fare in tempi più recenti. Fangio, per esempio, lo troviamo soltanto all’11° posto nella lista “all-time” per numero di vittorie con 24 primi posti. Ma gareggiò soltanto in 52 Gran Premi, contro i 306 di Schumacher e i 199 di Prost. La superiorità assoluta di Schumi appare tuttavia impressionante; osservando da un’altra prospettiva si nota come la sua abilità nel mantenere il dominio al vertice per così tanto tempo sia davvero unica nella storia dell’automobilismo. Lewis Hamilton e Sebastian Vettel hanno potenzialmente sufficientemente tempo davanti a se per provare superare Schumacher; anche se, con rispettivamente 43 e 42 vittorie…hanno ancora molta strada da fare! Inoltre, se guardiamo all’intera carriera di Schumi, troviamo complessivamente 114 vittorie si 371 corse. In pratica


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ha vinto circa un terzo di tutte le gare professionistiche a cui ha preso parte nella sua lunga carriera. Mark Gallagher, rispettato protagonista del motorsport da molti anni, era nel board della scuderia Jordan all’epoca del debutto di Michael Schumacher in Formula1. Gallagher ricorda la precocità e la determinazione di quel giovane pilota. “Ho assistito al primo test assoluto di Michael con una Formula1, a Silverstone, nell’agosto del 1991. Guidava una delle nostre macchine, la Jordan Ford 191, e nonostante gli fosse stato chiesto di fare un breve test, non smetteva più di inanellare giri su giri, sempre più veloce, fino a che un meccanico fu costretto a scendere pista per obbligarlo a rientrare al box! Vedemmo subito che aveva talento, velocità e determinazione. Si intravvedeva già che avrebbe avuto un grande futuro. Ancora oggi ripenso a quel giorno come a qualcosa di speciale: ho visto sbocciare un

talento che avrebbe cambiato per sempre la storia della Formula1. “Michael aveva tutto: capacità, etica del lavoro, capacità di centrare gli obiettivi – ha aggiunto – A parte il tempo che dedicava alla sua famiglia, la Formula 1era il suo mondo. Un mondo del quale conosceva a perfezione ogni singolo dettaglio”. Nonostante alcuni osservatori ritengano che il record di 91 vittorie di Schumi possa un giorno venire battuto, Mark Gallagher, resta scettico: “la tecnologia fa evolvere continuamente e sempre più velocemente la Formula1. Di conseguenza, piloti e team hanno meno tempo a disposizione per dominare le stagioni. Inoltre, nel corso della sua carriera, Schumacher ha avuto pochi veri rivali. Oggi davvero poco separa Hamilton da Alonso, Vettel o Ricciardo, se tutti guidassero la stessa macchina. Il fatto che Hamilton abbia vinto “solo” 43 Gran Premi, dimostra chiaramente

quanta strada ldeve ancora percorrere per avvicinarsi a Michael. Avrebbe bisogno di almeno altri 4 anni di dominio assoluto: una cosa che probabilmente non avverrà”. Un altro aspetto che fa di Schumacher un campione assoluto, è il livello di forma fisica che inseguiva maniacalmente. Un aspetto cruciale per mantenere reattività e resistenza. Era anche molto intelligente, capace di processare velocemente le informazioni (ad esempio i dati che gli sottoponevano gli ingegneri) per trovare le migliori soluzioni sulle strategie di gara. Simon Arron pensa che il GP di Ungheria 98 e Francia 2004, rappresentino i momenti più alti della carriera di Schumi, dove ha dimostrato a tutto tondo le sue incredibili qualità. “ In tutte e due le gare la Ferrari era più lenta della McLaren in situazione di serbatoio pieno; il team decise quindi di optare per un setup più leggero della vettura, anche se questo avrebbe richiesto un pit stop in più. HEditionMag

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Questa strategia obbligò Michael a correre i due GP girando costantemente su tempi da qualifica. Fece tre pit stop in Ungheria, quando la McLaren ne utilizzò soltanto due, riuscendo a rimanere davanti. In Francia furono 4 contro 3, e il risultato fu lo stesso. In entrambe le gare, la vittoria fu il frutto raffinato di un mix di strategia e lavoro di squadra. Ma non sarebbe mai stato possibile senza un pilota del calibro di Schumi”. Un altro momento fondamentale della carriera di Schumacher, fu il GP del Brasile del 2006: l’ultima corsa con la Ferrari che gli aveva permesso di vincere 5 titoli iridati in 11 stagioni. “Era chiaro che non sarebbe stata una corsa come le altre – ricorda Simon Arron – l’emozione era palpabile. Reduce dall’amarezza di Suzuka (l’esplosione al motore aveva di fatto consegnato il titolo ad Alonso), Schumi arrivò in Brasile deluso ma liberato dalla tensione della competizione. Solo una vittoria, abbinata al ritiro di Alonso, gli avrebbe permesso di restare in gioco. Fu una gara sfortunata: 10° in qualifica per un problema tecnico, si

ritrovò quasi doppiato dopo un contatto di gara. Il destino ci aveva riservato un finale di carriera epico. Schumi non si arrese e mise in atto una delle più spettacolari rimonte della sua carriera, chiudendo quarto dopo un tiratissimo sorpasso su Kimi Raikkonen. Ancora una volta fu una clamorosa dimostrazione di talento e determinazione, come quella a cui è chiamato adesso”.

“Michael continua a lottare” – ha dichiarato Jean Todt, presidente della Federazione Internazionale dell’Automobile in occasione del GP del Messico lo scorso novembre. La sua famiglia, gli amici, i fans, i colleghi e i rivali di un’impareggiabile carriera, possono soltanto pregare. E ricordare.

I più grandi vincitori di tutti i tempi Wins

No. Grand Prix

Driver

91

306

Michael Schumacher

51

199

Alain Prost

43

165

Lewis Hamilton (career continues)

42

156

Sebastian Vettel (career continues)

41

162

Ayrton Senna

32

252

Fernando Alonso (career continues)

31

191

Nigel Mansell

27

100

Jackie Stewart

25

73

Jim Clark

25

177

Niki Lauda

24

52

Juan Manuel Fangio

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La guida di Twitter per il

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Ci sono sempre nuove tendenze nel mondo del fitness e del benessere, dal Tabata all’allenamento in sospensione TRX. Sia che si voglia condividere un selfie sudati dopo un allenamento o pubblicare suggerimenti per un frullato, Twitter è una piattaforma eccellente per i fanatici del fitness, per chi è un patito dalla salute alimentare o anche per i marchi sportivi che lo usano per dare rilievo a tutte gli oggetti correlati al fitness. Il 70% degli utenti inglesi di Twitter seguono account del fitness per accrescere le loro motivazioni.

Gli account sulla salute da seguire

Per aiutarvi a scoprire di più su salute e benessere, Twitter ha creato una lista dei migliori account e hashtag da seguire, soprattutto per i lettori di H Edition.

• Women’s Health magazine @UKWomensHealth (41,5 mila follower)

I migliori account di fitness da seguire

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Si va dagli allenamenti dei culturisti agli yoga rilassanti, ad alcuni dei più importanti sostenitori del mondo del fitness, per incrementare la vostra forma fisica sulla piattaforma c’è una grande scelta per aiutarvi a mettere il turbo nel fitness: • The Body Coach @thebodycoach (80,1 mila follower) • Fitness & Nutrition @FITNESS (2,48 milioni di follower) • Jillian Michaels @JillianMichaels(1,08 milioni di follower) • James Duigan @JamesDuigan (17,7 mila follower) • Fitness First @FitnessFirstUK (44,8 mila follower) • Virgin Active @VirginActiveUK (40 mila follower)

Mangiare meglio, vivere meglio e sentirsi meglio. I migliori consigli per tutti su nutrizione e benessere, Twitter è un ottimo posto per esplorare le ultime notizie sulla salute e per ricevere consigli dagli esperti: • Madeleine Shaw @madeleine_shaw (34,5 mila follower) • Hemsley & Hemsley @HemsleyHemsley (44,1 mila follower) • Men’s Health magazine @MensHealthUK (263 mila follower)

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Hashtag da monitorare per trovare notizie di fitness Scoprire e partecipare alle conversazioni sulle ultime notizie su salute e fitness ricercando i seguenti hashtags – ci sono opzioni illimitate come i suggerimenti che seguono che possono riguardare i vostri argomenti di interesse: • #Fitness

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… sarà il 2016 l’anno giusto per comprarsi un aereo privato?

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i stiamo lasciando un altro anno alle spalle, guardando con fiducia al 2016, ancora una volta fiduciosi dei nostri buoni propositi. La verità è che ciò che siamo stati, condiziona spesso ciò che saremo, impattando significativamente sulle nostre scelte. Avendo ben chiaro in mente lo scenario, sarà il 2016 l’anno giusto per qualcuno di comprare un aereo privato? Beh, dipende ovviamente dalla nostra visione rispetto ai mercati. “Il 2016 sarà un anno ancora difficile per alcuni settori”, suggerisce Jay Mesinger, fondatore e CEO di Mesinger Jets Sales. Rollie Vincent, direttore del programma di ricerche di mercato Jetnet iQ, è convinto che qualsiasi cosa che non sia legata ad una pianificazione su base annua, sarà il risultato di nuovi programmi d’acquisto. “La crescita delle consegne su base annua, nel 2016 sarà incentrata prevalentemente sull’upgrade di flotte esistenti – ha commentato Vincent – Guardiamo con ottimismo al nuovo Embraer Legacy 450/500, al Cessna

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Citation Latitude e soprattutto verranno consegnati i primi HondaJet, a lungo attesi”. Nel frattempo Bombardier ha accelerato i piani per il nuovo Challenger 350, sulla base di ordini di flotta di Netjets e VistaJet, e intensificato la produzione del neocertificato Challenger 650. Dassault, dal canto suo, dovrebbe certificare a breve il nuovo Falcon 8X, le cui consegne dovrebbero già iniziare nel 2016. “In sintesi – ha concluso – queste novità dovrebbero rivitalizzare un mercato altrimenti appiattito”

Una lente d’ingrandimento Dobbiamo quindi porci una domanda: che fine ha fatto la crescita per gli altri mercati? Mesinger ci offre un variegato esempio di alcuni fattori esterni che condizioneranno le decisioni d’acquisto nel 2016. Uno dei desiderata maggiori negli USA all’inizio del 2015, era una progressiva indipendenza energetica, prezzi bassi per il petrolio e un dollaro più forte. “Tutte e tre le condizioni si sono realizzate

simultaneamente, facendo tremare il mondo intero” – ha aggiunto. Di conseguenza, le compagnie petrolifere e i paesi produttori hanno rallentato i loro investimenti e, con il prezzo del petrolio in continua discesa, non si intravvedono cambiamenti nel 2016. Molti di loro saranno fuori dai giochi. “Tutto ciò ha avuto un impatto enorme sull’industria dell’aviazione business – ha aggiunto – Le compagnie petrolifere sono tradizionalmente grandi clienti per aerei privati di lungo raggio. I principali produttori di componentistica per aviazione, si troveranno di conseguenza in una posizione difficile nel 2016. La maggior parte di queste aziende non può far altro che offrire modesti sconti e programmi di training per i loro clienti. Saranno quindi costrette a rivedere i loro piani di produzione, con progressiva riduzione della capacità produttiva. Ma potranno farlo solo gradualmente, E probabilmente non abbastanza velocemente per adeguarsi ai nuovi scenari previsti per l’anno prossimo. “Inoltre, la situazione geo-politica che stiamo vivendo (soprattutto per quanto riguarda le minacce terroristiche) segnerà


The HondaJet (pictured above) and the Citation Latitude (left) are both predicted to be key drivers of new aircraft buyer interest in 2016

una svolta” – ha spiegato Mesinger. I clienti più facoltosi sembrano nervosi rispetto ai cambiamenti di scenario previsti e quindi penso che l’industria dell’aviazione generale non potrà non risentirne. Ma come dicevo, il 2016 continuerà ad essere ‘problematico’ per alcuni settori, così com’è avvenuto nel 2015”.

Un divario in espansione Se l’industria dei jet per uso privato rimarrà sostanzialmente rigida nelle politiche di prezzo, altrettanto non si può dire per il mercato dell’usato, sempre più aggressivo, in grado di creare un gap significativo tra i due mercati. “Mentre i principali indicatori del mercato degli aerei corporate danno indicazioni diverse per differenti fasce di prodotto – sottolinea Jet Tolbert, presidente della American Aircraft Sales – possiamo dedurre che le oscillazioni dei prezzi che stiamo osservando, siano la conseguenza di fattori come la contrazione del mercato Cinese, i movimenti della valuta Brasiliana, e la diminuzione del prezzo del greggio”. Come ha sottolineato Tolbert, nel mercato dell’usato troveremo nuove ed

interessanti offerte nel 2016. “Si tratta di un segmento che mostra nuove disponibilità nelle versioni più moderne dei corporate jet. Gulfstream G650ER, Bombardier Challenger 350 e Cessna Citation M2, sono oggi disponibili sul mercato dell’usato “come nuovo”, con l’unica variabile critica legata ai tempi di consegna; per contro punto a favore dell’industria, grazie alle disponibilità di prodotti su base immediata”. Anche il Gulfstream G550 rappresenta oggi un’incredibile opportunità nel segmento dei jet a lunga percorrenza, dotati delle più moderne tecnologie.

Fate attenzione! Mesinger ci mette in guardia sui rischi per il 2016. Se non ne terremo conto, lo faremo a nostro rischio e pericolo. “Ma non sto assolutamente dicendo di non comprare. Dico solo di farlo con prudenza, a prescindere se state pensando ad un jet nuovo, piuttosto che ad uno usato”. “Il momento è particolarmente favorevole ai compratori, ci sono grandi opportunità sul mercato del nuovo, quanto in quello degli aerei “pre-owned” – ha commentato Vincent. I compratori saranno avvantaggiati

dall’eccesso di offerta dei produttori e dall’immissione sul mercato di almeno 700 nuovi aerei all’anno”. “Comprate – ha proseguito Mesiger – ma fatevi assistere da un professionista che vi eviti di pagare troppo il vostro nuovo aereo nel 2016. Certo i professionisti costano, ma il rischio di perderci facendone a meno, è decisamente più evidente…” “Immaginate di ingaggiare un giocatore professionista di poker. Sanno contare le carte e sanno qual è l’accordo. Sono focalizzati unicamente sul tavolo da gioco e i loro consigli e la loro guida faranno la differenza tra un pessimo deal e un…felice Anno Nuovo!”

Da seguire nel 2016 Una storia interessante che potrete seguire in merito all’industria dei jet privati nel 2016, è quella relativa al nuovo aereo di stato inglese. Un programma di rinnovamento da 10 milioni di sterline di un aereo della RAF, che sarà usato per trasportare David Cameron e i suoi ministri su viaggi a lunga percorrenza. Si pensa che il nuovo aereo porterà risparmi annui stimati in 775.000 sterline. Vedremo… HEditionMag

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Inverno tra le Alpi

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roppo spesso si fa l’errore di pensare che una pausa invernale tra le Alpi equivalga ad una vacanza sugli sci. Ma non è così. C’è molto altro da fare in montagna oltre a scivolare giù su un paio di sci, che per quanto sia un’attività molto bella non è adatta a tutti. Infatti, molti alberghi sulle Alpi riferiscono che solo circa il 50% dei loro ospiti invernali si dedica allo sci, mentre l’altra metà va – a seconda del resort – lì per incontrarsi o semplicemente per godersi il paesaggio invernale. Una delle località svizzere dell’alta società è St Moritz, che ha in calendario un gran numero di eventi di alto livello, come lo Snow Polo World Cup e il White Turf (la corsa di cavalli sul lago ghiacciato di St. Moritz) rispettivamente ogni gennaio e febbraio. È il tipo di posto dove è molto probabile trovare visitatori che pranzano 50

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sulla terrazza soleggiata della “Marmite di Reto Mathis” mangiando una pizza al tartufo da 98 Franchi piuttosto che vederli scendere giù dalle piste con gli sci. St. Moritz è inoltre un paradiso per chi ama l’adrenalina. Incredibilmente eccentrico, poiché aperto solo ai membri ma al contempo molto professionale è il Club di Toboga di St Moritz, che ospita la famosa Cresta Run, una pista naturale di 1,2 km di lunghezza in cui gli uomini si fiondano a testa in giù ad alta velocità, sdraiati sulle slitte. E’ in funzione dal 1884, quando è stata creata dagli inglesi come un modo per divertirsi durante le vacanze invernali al resort. Essendo un ambiente prettamente maschile, per le donne che vogliono provare il brivido di gettarsi di testa c’è la pista Olimpica di Bob, la più antica del mondo. Lì, sia uomini che donne possono

essere guidati, da passeggeri, in un bob da quattro posti (con un pilota professionista nella parte anteriore e il suo uomo-freno nella parte posteriore) ad una velocità di circa 135 chilometri orari su una pista di 1700 m con 14 curve – assolutamente terrificante quando si cambia in pochi decimi di secondo angolazione si riesce a rimanere in pista, solo grazie alla forza di gravità. Vale la pena solo per la scarica di adrenalina che provoca a fine corsa! Uno sport d’avventura più moderno è il kite skiing (sci con l’aquilone), che è stato sviluppato dagli esploratori nel duemila come un modo per raggiungere il polo sud con l’ausilio del vento, più velocemente rispetto all’andatura a piedi, con gli sci o le slitte trainate dai cani. Saliti sugli sci, i partecipanti sono collegati a un piccolo aquilone che sfrutta il vento che soffia lungo la valle dell’Engadina e


CloCkwise from ToP lefT: Grand Hotel Kronenhof; The Kronenhof Spa; Skiing in the Dolomites; Kulm kite skiing; The Adler Dolomiti salt grotto; Alder Balance lobby lounge; The Cambrian winter garden; The Kronenhof lobby lounge.

li spinge attraverso il lago ghiacciato di Silvaplana – il tutto potrebbe sembrare facile, ma non lasciatevi ingannare. Tutte queste attività adrenaliniche possono essere prenotate presso l’Hotel Kulm di St Moritz (www.kulm.com), il leggendario hotel di lusso dove si dice che nel 1864 sia cominciato per una scommessa il turismo invernale. L’allora proprietario, Johannes Badrutt, promise agli ultimi ospiti estivi in partenza un soggiorno gratuito da dicembre alla primavera seguente, se la loro vacanza invernale a St. Moritz non fosse stata più soleggiata e piacevole proprio come era stata nel corso dell’estate. Abbronzati e pieni di entusiasmo, gli ospiti inglesi tornarono a casa nella primavera del 1865 e diffusero la notizia del loro fantastico viaggio, gettando così le basi per il turismo invernale.

In precedenza, la vacanza sulle Alpi era destinata al riposo e al recupero delle forze nei mesi estivi, con gli inglesi che trascorrevano lunghi periodi beneficiando degli effetti delle acque di St. Moritz – le Terme sono ancora lì e si possono visitare. Oggi, le spa invernali sono altrettanto popolari come quelle estive. L’altra proprietà dell’Hotel Kulm, il Grand Hotel Kronenhof (www.kronenhof.com) nel tranquillo villaggio montano di Pontresina, a sole cinque miglia da St. Moritz, è il luogo perfetto per “allontanarsi da tutto” con il suo pacchetto di una settimana “ritiro olistico di vita” che comprende lezioni di yoga e massaggi nel mese di gennaio e marzo 2016. Gli ospiti che cercano un rigoroso “anno nuovo, vita nuova” e una pausa di disintossicazione dovrebbero recarsi all’hotel a cinque stelle Adler Balance

(www.adler-balance.com/en/), situato nella cornice idilliaca delle montagne della Val Gardena, parte delle Dolomiti italiane, dove il programma si basa sul metodo Mayr riconosciuto a livello internazionale, che segue quattro principi, vale a dire la protezione (attraverso il riposo), la pulizia, l’allenamento e il completamento, che ripristina l’equilibrio interiore del corpo lasciando gli ospiti completamente ringiovaniti. Costruito con materiali naturali come il legno e l’ardesia, secondo i principi della bioarchitettura, gli ospiti dell’Adler Balance sono accuratamente analizzati con un test effettuato da un medico al loro arrivo, prima di vedersi assegnati un programma personalizzato (ad esempio perdita di peso o riduzione dello stress) per soddisfare le esigenze individuali. Il programma Adler Balance è intenso (è una zona a cui si accede senza


bambini al di sotto dei 12 anni), ma fa ottenere risultati e non è incentrato tutto sulla privazione! Gli ospiti hanno accesso (tramite un sottopassaggio pedonale) a tutti i servizi di massaggi e coccole dell’hotel partner Adler Dolomiti, che ha il più grande centro benessere delle Dolomiti con tre zone distinte: Dolasilla per la bellezza e la vitalità, Aguana dove si trovano le piscine, tra cui quelle termali, e AdlerFit con un programma completo di attività ricreative gratuite che cambiano ogni giorno (come yoga, meditazione e passeggiate guidate), offerte su base complementare. L’Adler Balance è perfetto per le cosiddette “vedove dello sci”, ossia per quelle coppie che si dividono tra chi è uno sciatore appassionato – il comprensorio delle Dolomiti Superski comprende un’area di 745 miglia di piste a portata di mano – e chi preferisce rilassarsi o disintossicarsi. L’Adler Dolomiti è al tempo stesso perfetto per le famiglie, in quanto è

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sede del Club AKI Kids, dove i bambini più piccoli possono essere accuditi tutto il giorno e possono partecipare alla scuola di sci, nonché alle due gite guidate sugli sci previste ogni giorno, di diversa difficoltà, per cui le famiglie con i figli adolescenti possono dividersi tra chi preferisce fare le piste nere o le ampie rosse (per le quali le Dolomiti sono famose). C’è anche una passeggiata guidata giornaliera o una escursione con racchette da neve per chi non scia o ha raggiunto una certa età nella quale ha paura di cadere o avere un incidente. Basta non commettere l’errore di pensare che l’escursione con le racchette da neve sia più facile dello sci, perché camminare nella neve fresca in salita fa sudare! Un viaggio invernale alternativo sulle Alpi per le famiglie è ad Adelboden, nell’Oberland Bernese della Svizzera. Questo è un resort poco conosciuto dal perfetto aspetto tradizionale, pieno di chalet in legno vecchio stile. Ogni marzo

viene organizzato un “Igloo Festival” all’ Engstligenalp dove squadre di entusiasti “costruttori” da tutto il mondo si riuniscono per creare un capolavoro o semplicemente per trascorrere la notte! Non bisogna essere un costruttore professionista per partecipare: un consiglio amichevole è chiedere aiuto agli esperti della scuola d’alpinismo, mentre le pale e le seghe da neve, strumenti essenziali del mestiere, sono forniti. Tutti i partecipanti devono avere una forte etica del lavoro, pazienza e buon umore. È sempre molto popolare tra le famiglie, in quanto offre la possibilità di trascinare tutti lontano dagli schermi dei propri computer e stare all’aperto, per farvi vivere una possibilità unica nella vita: dormire in un igloo che ti sei fatto da solo! L’ambientazione sull’ Engstligenalp non poteva essere più drammatica – l’altopiano più grande delle Alpi svizzere occidentali regala uno sfondo panoramico, quasi lunare, al Festival


del “villaggio degli igloo” – e fornisce anche altre forme di intrattenimento, una volta completato il duro lavoro. C’è la possibilità di andare su una slitta trainata da cani, scivolare in un tubo di neve su ripidi pendii per poi scaldarsi in un enorme igloo, dove sono servite fonduta e bevande calde agli ospiti seduti sulle pellicce adagiate su panche di legno. E se la tua abilità di costruzione di un igloo fosse pari a zero, c’è sempre la possibilità di ritirarsi nel confortevole hotel di Mr & Mrs Smith, unico in Svizzera, The Cambrian (www.thecambrianadelboden. com). Naturalmente, tutte le località indicate hanno fantastiche piste da sci, ma a volte è il lato che viene mostrato che rende un viaggio invernale sulle Alpi più memorabile – ed aiuta a mantenere tutti i membri della famiglia felici!

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MONGOLIA I

l paese più scarsamente popolato del mondo è un arazzo di catene montuose, steppe coperte di erba e il vasto deserto del Gobi. La sua natura così brutalmente desolata, ma bella, offre il tipo di tela intonsa che possiamo assaporare durante la creazione di un’avventura di lusso su misura. Le indicazioni che si ricevono lungo le strade in Mongolia tendono ad essere un tantino meno precise di quelle della vostra app GPS. Ma queste sono sostenute da qualche migliaio di anni di saggezza – e, più precisamente, ti portano dove devi andare. In un paese che comprende catene montuose, steppe coperte di erba e il vasto deserto del Gobi, il viaggio può essere impegnativo. Infatti, nel paese più

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scarsamente popolato del mondo, che confina a nord con la Russia e con la Cina a sud, questo vecchio cliché di un posto diverso da qualsiasi altro sulla terra diventa realtà. Nella terra di Gengis Khan, le persone ancora si divertono con il tradizionale wrestling conosciuto con il nome di bokh e banchettano con formaggio di yak – ma un attimo dopo navigano sui loro smartphone o usano Skype in un internet café. Khan ne sarebbe rimasto colpito – come anche degli enormi 4x4 che solcano le strade di Ulan Bataar. Il nome della capitale, tradotto letteralmente in “eroe rosso”, riflette un retaggio di decenni trascorsi nella sfera di influenza sovietica, ma dal 1990 la Mongolia è rinata come una delle vere

democrazie asiatiche. Potete anche parlare con politici e giornalisti che potranno farvi comprendere la Mongolia di oggi. La stagione estiva, periodo nel quale è consigliabile visitare la Mongolia, è decisamente breve. Ma questo non significa che non si possa essere fantasiosi. Vi invitiamo a pensare diversamente


sul modo di andare in giro. Mentre alcuni possono attraversare le savane in una jeep russa, perché non organizzare un trekking su Harley-Davidson o in una Bugatti d’epoca? Un’opzione affascinante è quella del cavallo. Visitate la riserva nazionale di Hustai Nuruu, dove il cavallo di Przwalski è stato reintrodotto con successo allo stato naturale. Costituita come area protetta nel 1993 per ristabilire il Takhi nativo, o il cavallo di Przewalski, che si era estinto allo stato selvaggio negli anni 60, Hustai Nuruu ospita ora più di 200 cavalli Takhi che vagano liberamente nella steppa protetta. L’ultimo antenato superstite del cavallo domestico, il Takhi è una specie equina geneticamente diversa – non una

“IL PAESE PIÙ SCARSAMENTE POPOLATO DEL MONDO È UN ARAZZO DI CATENE MONTUOSE, STEPPE COPERTE DI ERBA E IL VASTO DESERTO DEL GOBI”

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razza – che possiede due cromosomi supplementari nel suo DNA. Potrete recarvi al confine occidentale selvaggio e remoto della Mongolia a cavallo, dimora di un gruppo di nomadi kazaki. Qui, tra gli svettanti monti Altai, che si stagliano fino a 4100 metri, i nomadi hanno vissuto un’esistenza isolata per centinaia di anni. Su questa ripida zona di frontiera, non ci sono strade asfaltate e il cavallo è fondamentale nello stile di vita kazako. Partendo dalla capitale, portatevi una tenda ger (yurt) – dotata di tutti i comfort, naturalmente – così potrete esplorare le pianure a cavallo e immergervi nella vita degli abitanti nomadi della regione. E vi garantiamo che le vostre avventure potranno includere un tradizionale festival di wrestling naadam, corse di cavalli e tiro con l’arco – uno spettacolo veramente incredibile. Mentre la cultura mongola è affascinante, è la natura selvaggia, così brutalmente aspra che conferisce al paese sua vera bellezza. Al Khovsgol Nuur, un lago alpino soprannominato la perla blu, si possono pescare salmoni e storioni. Grazie alla sua enorme biodiversità, la Mongolia è stata paragonata all’equivalente acquatico della foresta pluviale. Come 14° lago d’acqua

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dolce del pianeta, contiene l’1% dell’acqua di tutto il pianeta. Nelle vicinanze è possibile incontrare orsi, ghiottoni, zibellini e alci, mentre gli amanti del birdwatching potranno essere incuriositi da molte specie rare. A ovest di Ulan Bataar si trova l’avvallamento di Darkhad, un letto di un lago glaciale che ora si presenta come un paesaggio brullo costellato di piccoli laghi e foreste. Qui si possono incontrare pastori di renne Tsaatan che condivideranno i segreti della loro cultura sciamanica. Altrove organizziamo escursioni in montagna sotto le cime del Kharkhiraa Uul e del Turgen Uul, che si ergono entrambi a più di 13.000 piedi. Per un’avventura stile Indiana Jones, si può volare in elicottero sulle Flaming Cliffs, il luogo del primo ritrovamento di uova di dinosauro che il mondo abbia mai visto. Un’escursione nella valle verdeggiante, nel Gurvan Saikhan National Park, alla ricerca dei selvatici argali e ibex. Esplorare le dune di sabbia sulla gobba di un cammello e osservate i graffiti rupestri di 5.000 anni fa. Proseguite il viaggio a bordo di un aereo privato sorvolando la vasta steppa fino all’incontaminato deserto del Parco nazionale Gobi Gurvan Saikhan con la vostra guida naturalista altamente


specializzata. Situato nella parte settentrionale del Gobi, questa valle verde è stata scavata da un antico fiume. I corsi d’acqua che rimangono creano a fondovalle delle formazioni di ghiaccio inusuali. Il gruppo etnico kazako costituisce circa il 90% della popolazione della provincia mongola di Bayan Olgi, con circa 100.000 kazaki sparsi capillarmente in tutto il deserto. La cultura kazaka qui è diversa: i nomadi sono musulmani e nella vita di tutti i giorni si parla kazako, utilizzando il mongolo solo quando hanno bisogno di comunicare con altre tribù o gruppi. Le loro radici risalgono al XV secolo e a Genghis Khan. Si stabilirono in questa regione dei Monti Altai nel XVIII secolo dopo la fuga dall’Impero russo. Oggi, i kazaki mantengono il loro tradizionale stile di vita, spostando in genere i loro animali tre o quattro volte l’anno per trovare nuovi pascoli. La vita nei gers in stile kazako prevede che si sfrutti al massimo il periodo di pascolo estivo affinché essi e il loro bestiame possano sopravvivere ai rigidi inverni mongoli, dove le temperature scendono regolarmente a -40°C. Ci sono pochi paesi al mondo con una così netta differenza tra le popolazioni rurali e quelle urbane. Mentre i Mongoli nomadi vivono una vita semplice, i loro cugini di Ulan Bataar sono proiettati verso il futuro. La capitale sta cambiando ad un ritmo vertiginoso e molti mongoli si sono lanciati anima e cuore nell’economia globale, nel capitalismo e nel consumismo. Comunque, sia gli hipster urbani che i pastori nomadi condividono l’amore per la democrazia. Il paese è spesso considerato come un modello emergente di stato democratico, nonostante sia circondato da paesi dove la democrazia è in bilico come la Russia, la Cina e il Kazakistan. La Mongolia è desiderosa di essere parte della comunità globale; visitando il paese si contribuisce al notevole sviluppo di questa terra straordinaria. Ovunque andiate in esplorazione, non ci vuole molto per sfuggire all’orda turistica mongola – perché lì non è ancora cominciata. Se possiamo pianificare qualcosa per voi o la vostra famiglia, venite a visitare il nostro sito www.brownandhudson.com Di Philippe Brown, Brown & Hudson

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Grand Hotel, Stoccolma

Chic Nordico

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vendo avuto la possibilità di viaggiare a Stoccolma due volte quest’anno non ho potuto fare a meno di scrivere di questa giovane, vibrante e vivace città. Circa un milione e seicentomila persone risiedono qui, poiché è la più grande città della Svezia e la sua capitale. Stoccolma è anche la residenza ufficiale del re Carl-Gustav e della Regina Silvia di Svezia. Se sei un fan dei viaggi Stoccolma ha molti hotel tra cui scegliere – uno dei miei preferiti è il Grand Hotel di Stoccolma, che fa parte dei Leading Hotels of the World, si trova nel centro della città e vanta una vista mozzafiato sul Palazzo Reale. Questo hotel a cinque stelle, dallo stile tradizionale e al contempo lussuoso, comprende uno dei centri termali più rinomati della Scandinavia – La Nordic Spa. I trattamenti sono lussuosi e indulgenti; c’è anche una piscina coperta con diverse saune e bagni turchi. L’area fitness comprende anche una palestra

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completamente attrezzata, per fare felici gli appassionati di fitness come me; provate poi i loro deliziosi frullati alle proteine che vi faranno sentire come nuovi! Di fronte al Grand Hotel di Stoccolma c’è il Lydmar Hotel, un boutique hotel di tendenza e membro dei Small Luxury Hotels of the World. Si tratta di un posto bello e piacevole da vivere, se sapete cosa voglio dire – come il bar che è affollato di bella gente “cool” del posto. E ‘un luogo per guardare e farsi vedere. Le camere sono spaziose, moderne ma accoglienti. Per tutti i buongustai lì fuori vorrei suggerire un ristorante dove trovare la gran parte della gente del posto, si chiama Sturehof. Si concentrano sul pesce fresco, ostriche e frutti di mare – un luogo ideale per gustare qualcosa di leggero, con il sapore del mare. Un altro posto da non perdere è Operakällaren – un ristorante gourmet di alto livello situato in uno dei punti


Grand Hotel, Stoccolma

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più mozzafiato della città – il vecchio teatro dell’opera. Per un salutare pranzo nordico consiglio di fare un salto al locale “Pepstop” nel magazzino Renee Voltaire – Renee Voltaire è un pioniere in Svezia nel mercato del cibo crudo biologico. Il suo Pepstop è il luogo ideale per ricaricare le batterie scariche dopo una faticosa mattinata di shopping. A proposito di shopping – La Chemise è il negozio da non perdere. “One for the man in your life as it is” è un negozio di abbigliamento maschile – la qualità del design, lo stile e il servizio non sono secondi a nessuno. Sia se volete fare un regalo o per trovare qualcosa per se stessi, vale una visita. Oslo è una capitale a cielo aperto con belle spiagge e parchi, l’architettura del 19 ° secolo e lunghe prospettive classiche. La città vanta musei d’arte bellissimi, bei teatri e ottimi ristoranti di pesce. E ‘anche a pochi minuti di auto dalle montagne, dove è possibile effettuare escursioni in estate e sciare in inverno. Oslo è la capitale della Norvegia. Vi accorgerete che è molto simile a Stoccolma tuttavia molto più moderna e all’avanguardia nella sua architettura. Oslo offre anche una qualità estremamente alta di qualsisasi cosa si

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visiti. L’Hotel Continental, per esempio – è il solo hotel a cinque stelle ufficiale della Norvegia e membro del The Leading Hotels of the World. Ma ancora una volta se desiderate dilettarvi nella sua cultura tradizionale e moderna vorrei suggerirvi di trascorrere un paio di notti al Continental per poi spostarsi all’Hotel Thief che si trova sul lungomare di Oslo. Un hotel che vi accoglie con una statua di Anthony Gormley che vi saluta nella hall, video installazioni Julian Opie che lampeggiano per voi negli ascensori e un quadro di Andy Warhol che si affaccia sui commensali nel ristorante Fru K, che serve grintosi piatti norvegesi rivisitati, come la carne di cervo con fondue di patate e il rombo in camicia con topinambur. L’effetto complessivo è quello di un serio collezionista d’arte più che di un artista audace. Cenate da Hanami – un ristorante fusion asiatico nel centro del nuovo quartiere al porto. Nella zona alta della città, c’è anche Skur 66, un nuovo ristorante mediterraneo proprio in riva al mare, in una vecchia casa portuale. Florian Schaible Direttore Viaggi di Lusso – H Edition Global

In senso orarIo, In alto a sInIstra: Sala da pranzo dell’Hotel Continental di Oslo; Sala Conferenze del Grand Hotel di Stoccolma; Camera da letto del Grand Hotel di Stoccolma; Veranda del Grand Hotel di Stoccolma.

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| FOOD & DRINK

UNA DELIZIA PER EPICUREI In viaggio nel mediterraneo per scoprire Samos. Isola idilliaca stretta nell’abbraccio del mar Egeo, dove viene custodito uno dei segreti più cari ai greci.

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bbiamo avuto la fortuna di visitare Samos, scoprendo i suoi vigneti cresciuti all’ombra del monte Ambelos, su piccole terrazze antichissime sostenute da muri di pietra, dove ogni anno si raccolgono – rigorosamente a mano – i grappoli di Muscat che serviranno a preparare la Metaxa, il famoso liquore ambrato creato nel Pireo nel 1888. Samos è la casa perfetta per il grappoli di Muscat, essenziali per il blend armonioso della Metaxa. Le radici della vite sono alimentate dalla terra ricca di sali minerali dell’isola che, unita alla bassa umidità, alla brezza marina tipiche dell’Egeo, assicurano che ci siano le condizioni ideali per maturare le uve. La Metaxa è stata creata da Spyros Metaxa, imprenditore visionario che era alla ricerca di un distillato che fosse differente da tutto quello che c’era in circolazione al tempo: duro al palato e con un piccolo e particolare aroma. Ci riuscì miscelando vini

a base di Muscat con distillati invecchiati e unendo tutto infine con una macerazione di erbe ed estratti floreali tipici del mediterraneo, incluso il famoso ingrediente distintivo: petali di rose fiorite a maggio. Il vero segreto della Metaxa. Spyros Metaxa ha saputo creare un distillato dolce e soave, famoso oggi in tutto il mondo, che mantiene inalterate nel tempo la visione creativa e i principi che ne ispirarono l’azione. Costas Raptis è oggi il 5° Metaxa Master a cui sono stati consegnati i segreti per la creazione del prezioso distillato. Il vero custode della tradizione nella selezione degli ingredienti della ricetta segreta, che mantiene inalterato nel tempo il piacere di ricreare ogni volta lo stesso sapore distintivo della Metaxa. La famosa classificazione stellata della Metaxa, muove dal 5 stelle – colore del miele, aromi di fiori e frutta e sapore di legno – cresce con la Metaza 7 Stelle –


colore dell’oro, aromi di Muscat e vaniglia: sapore pieno e rotondo – e trova il suo massimo con la Metaxa 12 Stelle: un colore che vira verso il bronzo, che propone aromi intensi di fiori ed erbe essiccate, con note di cioccolato, buccia d’arancia e caramella a base di zucchero e burro. Nella tradizione della Metaxa le stelle sono l’espressione della consistenza nel tempo: una garanzia di unicità e continuità, che celebra la maestria nelle Riserve della Casa. È qui che il Metaxa Master esprime al meglio il suo talento. La creazione della Metaxa Private Reserve, realizzato in un’unica serie, una volta all’anno, utilizzando blend unici all’apice della maturazione. Al top della gamma troviamo l’AEN Metaxa, liquore unico e prezioso che nasce dalla fusione di oltre 200 diversi blend dalla leggendaria botte n°1, quella che spinse Spyros Metaxa nella sua avventura. Un prodotto unico, frutto della selezione accurata di ingredienti invecchiati per oltre ottant’anni. È risaputo che la Grecia non abbia attraversato tempi facili recentemente, con la crisi che ha provato duramente l’economia del paese. È quindi rincuorante come la Metaxa abbia saputo mantenere inalterato il proprio prestigio in contesto tanto difficile, anzi crescere ulteriormente, garantendosi una strada per un grande futuro di nuovi successi, accattivanti come un sorso del suo prezioso liquido. Di Joanne Walker


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THOMAS KELLER The French Laundry

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eller è nato nel 1955, il più giovane di cinque fratelli, figlio di una manager meticolosa del ristorante e di un istruttore Marine. “Penso che la mia etica del lavoro derivi certamente da mia madre. Il mio senso di organizzazione e la pulizia li ho presi da mia madre e il mio senso gerarchico da mio padre.” E’ naturale per lui essere attratto dal ripetitivo, dalla precisione militaresca della vita del ristorante. Invece di andare a casa dopo la scuola, preferiva andare al ristorante in uno yacht club al sud della Florida dove la madre lavorava, prima come lavapiatti, e subito dopo come chef. “I miei genitori erano divorziati, e non avevamo la baby sitter a casa, quindi preferivo andare al ristorante a lavare i piatti. Mi sono davvero divertito”. Nei primi anni ‘90 lo Chef Keller ha visitato Yountville,in California per trovare uno spazio per realizzare un sogno culinario di lunga data: creare una luogo dedicato alla raffinata cucina francese nella Napa Valley. Durante i suoi viaggi, si imbatté in un rustico casolare in pietra su due piani. Mentre camminava nel caratteristico cortile del ristorante, sapeva che era quello il luogo dove era stato guidato per tutta la sua carriera. The French Laundry, una struttura di 150 metri quadrati, costruita con ciottoli di fiume e travi, costruita come un saloon nel 1900 da uno scalpellino scozzese. L’edificio, servì poi come residenza, e nel corso del 1920 fu utilizzato come lavanderia a vapore francese. Nel 1978, il sindaco della città Don Schmitt e sua moglie Sally rinnovarono la struttura, trasformandola in un ristorante, che Keller poi acquistò nel 1994. A che punto della tua vita hai capito che fare lo Chef sarebbe stato il percorso che volevi intraprendere professionalmente? Ho iniziato questa professione lavando i piatti dopo la scuola per aiutare mia madre con il suo ristorante. I lavapiatti sono spesso visti come personale che sta alla base della catena alimentare e partire da questa posizione può dissuadere alcuni da lavorare in un ristorante, ma mi sono reso conto già nella fase iniziale,

che tutti coloro che lavorano in un ristorante dipendono dai lavapiatti. Sono cresciuto rispettando questa posizione e il contributo dei lavapiatti alla squadra, come anche all’organizzazione, all’efficienza, al feedback, ai rituali, alla ripetizione e al lavoro di squadra – sei discipline che sono diventate il fondamento della mia carriera e del mio successo. Come riesci a mantenere il controllo di tutti i tuoi ristoranti? Oltre alle discipline che ho imparato quando facevo il lavapiatti, sono cresciuto con mio padre che era un capitano nel corpo dei Marines, così ho assaporato l’organizzazione fornita dall’ambiente. Ma prima di tutto, ho una grande squadra di sostegno. Non posso farcela da solo. A un certo punto della mia carriera, mi sono reso conto che il mio compito era quello di lavorare sulla mia sostituzione. Se vuoi passare ad una nuova posizione o evolverti o fare progressi, allora non solo si ha da preparare se stessi per fare quel passo successivo, ma devi anche preparare qualcuno che ti sostituisca, che si tratti di un altro individuo o di un intero team. Quando preparate un nuovo piatto lo fate assaggiare e lo testate su molte persone prima di aggiungerlo al vostro menu? Per noi, testare il menù significa adattarlo ad ogni ristorante. Ad esempio, il menu di ispirazione francese di Bouchon è molto datato, quindi non abbiamo necessità di testare le cose perché sappiamo che sapore dovrebbero avere. Al The French Laundry si tratta di filosofia. Siamo a nostro agio con il nostro approccio filosofico al cibo così il nostro obiettivo è quello che i singoli ingredienti abbiano sapore; si tratta più di comporre un piatto di ingredienti che sono tra loro complementari. Presso il nostro ultimo ristorante, il nostro “popup” chiamato Ad Lib, abbiamo condotto alcuni test su molti profili di sapore differenti, molte varianti della stessa cosa. Prendete la crema di spinaci per esempio, HEditionMag

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si può avere in sei diverse versioni. La Blanquet de Veau, invece, è un piatto tradizionale e classico, che ha standard che devono essere soddisfatti per ottenere il piatto. La Crema di spinaci, d’altra parte, non ha questi standard, quindi ci chiediamo a cosa può assomigliare per noi la crema di spinaci? Un tritato? A sfoglie? Usiamo la noce moscata? Oppure possiamo aggiungere briciole di pane sulla parte superiore? Abbiamo testato queste varianti per giungere ad un consenso. Chi ammiri nel mondo dell’eccellenza culinaria? Il mio primo modello, lo Chef Roland Henin, mi ha insegnato le basi della cucina francese. Mi ha insegnato l’importanza del tutoraggio e mi ha aiutato a capire che lo scopo del cibo è nutrire e dare piacere agli altri. Quando mi sono trasferito a New York ero un giovane chef e gli chef presenti in città in quel momento erano al culmine della loro carriera. Camminavo per la città da ristorante a ristorante, e stavo in piedi fuori a leggere i menu a prendere appunti. Io ed altri della mia generazione,

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pregustavamo il momento in cui saremmo potuti essere nella stessa stanza con André Soltner, un Alain Sailhac, o un Jacques Pepin. Eravamo eccitati e entusiasti di essere in presenza di quei cuochi francesi che, come JeanJacques Rachou, Jean-Yves Piquet, Georges Perrier, Jean Banchet, Jean-Louis Palladin, Christian Delouvrier e Michel Richard, avevano tante abilità e capacità che erano disposti a condividere con noi. Credo che i migliori chef siano quelli che sono venuti prima di noi: gli innovatori e influenzatori che hanno ispirato una generazione di chef e la cui esperienza e competenza ha aperto la strada per l’era culinaria più raffinata ed avanzata della storia. Trovi il tempo per concentrarti su te stesso e la tua salute? Sì, lo faccio, sia quando lavoro fuori che quando mangio un pasto sano o uno spuntino. Non è solo importante per me, ma anche per la mia squadra. Incoraggiamo i pasti sani e gli spuntini fatti in casa.


Quali sono le qualità che deve avere un buon leader per costruire una squadra forte? Quando fai formazione a del nuovo personale quali sono i metodi, come tutor? Essendo cresciuto in cucina, prima come cuoco, poi ristoratore e infine come leader di un gruppo di ristoranti, mi sono reso conto che avevo bisogno di promuovere la fiducia e il coraggio tra la mia squadra in tutti i reparti. Trasmettere loro una forte comprensione di chi sono, e a cosa possono contribuire, in modo che possano avere un impatto positivo. Ognuno dei membri del mio team, dal sous chef allo Chef de partie, da chi serve il caffè al maitre, dal contabile al direttore – tutti hanno qualcosa da dare. Dobbiamo riconoscere il loro valore. Per ispirare la squadra a fare la cosa giusta e per il giusto motivo, nel modo giusto, ogni giorno, diamo una serie di “valori fondamentali” per ogni nuovo dipendente. Questi valori fondamentali sono quelli che seguo personalmente e mi hanno aiutato ad arrivare dove sono oggi. Li vedo come regole per vivere e per trovare il favore delle persone che vengono a lavorare a TKRG. Speriamo che trasformi anche le loro vite. A volte i giovani cuochi che arrivano al ristorante sono già informati. Sono cresciuti condividendo il cibo con gli amici e la famiglia, e nelle cucine professionali; hanno letto libri, alcuni hanno fatto della formazione. Con altri, dobbiamo essere un po’ più specifici e far vedere loro la gioia che esiste nel preparare il cibo che nutre. La nostra filosofia del cibo si basa proprio sui nostri ingredienti, ed è stata la filosofia che seguo da decenni. All’inizio, quando sei un giovane cuoco, le tue ambizioni prendono il sopravvento su alcuni dei principi di chi sei, le relazioni costruite con i fornitori, per esempio, perché si vuole stupire e mostrare cosa si può fare. Questo è certamente divertente per un certo periodo di tempo, ma quando il tempo passa, si inizia a maturare

e realizzare che il vero significato è quello che stai facendo, per rendere felici le persone. Quando i giovani cuochi interagiscono con gli agricoltori, i pescatori, i raccoglitori e i giardinieri che forniscono gli ingredienti che intendono utilizzare, capiscono sempre di più il loro posto nella produzione del cibo per rendere felici le persone. E’ impossibile non vedere la cura che va in ogni prodotto e quanto importanti siano queste relazioni nel piatto finale che si presenta ai nostri ospiti. Quando viaggi preferisci rilassarti o fare turismo? Preferisco rimanere curioso e coinvolgere i sensi – assaggiare nuovi sapori, ascoltare gli altri, esplorare differenti culture e incontrare nuove persone. Mi piace lasciare un posto con una nuova storia o due – per i miei ricordi personali o da condividere nella nostra rivista: Finesse. Se potessi cucinare un piatto per un personaggio storico, chi sarebbe? L’anno scorso ho portato a termine un obiettivo che avevo da tanti anni: organizzare un raduno di grandi chef dell’ultima generazione, tra i quali le icone culinarie Soltner, Piquet, Richard e Pepin. Li avevo invitati al “PerSe” nella speranza di onorarli per i loro contributi alla nostra professione, ma con il loro semplice gesto – che mi ha permesso di nutrirli – mi sono sentito anche profondamente onorato. Questi chef sono stati i miei modelli di riferimento e miei mentori, come lo sono stati per innumerevoli chef ed individui. Sono grato di poterli chiamare ora colleghi ed amici. Che cosa ti tiene sveglio la notte? Come essere domani migliore di oggi. DI Dina Aletras HEditionMag

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MASSIMO BOTTURA Osteria Francescana

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opo aver visto un programma televisivo con Massimo Bottura, sono rimasta affascinata dalla sua passione per la vita, la famiglia e la sua cucina. Un uomo il cui silenzio, parla più di mille parole. Massimo Bottura, chef dell’Osteria Francescana, grazie alla sua formidabile passione, è riuscito a mantenere le tre stelle Michelin del suo ristorante a Modena, restando stabile dal 2010 nella top 5 dei 50 migliori ristoranti al mondo. Inoltre, l’Osteria Francescana si è di recente classificata al secondo posto nella classifica del Premio S.Pellegrino. Il nostro direttore responsabile Dina Aletras, ha intervistato Massimo presso il suo ristorante a Modena. La tua ispirazione per la cucina è arrivata in tenera età, cos’altro t’ispira nella vita? Cosa m’ispira? Tutto! Vedo cose che gli altri non vedono. Immagino l’inimmaginabile. Il mio mondo fantastico è ricco e cerco di ricreare tutto quanto in cucina, trasformando la mia immaginazione in qualcosa di commestibile. Spremo di tutto: storia, tradizioni, sapori, e la narrazione – che diventano assaggi di cultura. Questo è ciò che stimola e m’ispira – la compressione di tutto nella cucina. Mangiare è un’emozione. Cucinare è un esercizio intellettuale. Ciò che facciamo non è normale – è radicale – e siamo davvero grati per essere in grado di farlo tutti i giorni.

Hai in mente di espanderti in futuro? Nel mio futuro vedo più futuro. Siamo sempre in espansione e facciamo progetti pensando al futuro. In questo momento sono super concentrato su Modena, ma non solo sull’Osteria Francescana. Due anni fa è stato inaugurato Da Panino: una boutique del gusto all’interno di un negozio di alimentari, aperta dal nostro storico maitre/sommelier Beppe Palmieri. Nel 2011, con Marta Pulini, era stata inaugurata Franceschetta58: una moderna brasserie, dove cerchiamo di “attraversare”la cucina regionale in chiave moderna. C’è anche la Fondazione Cibo per l’Anima, proseguimento del progetto Refettorio Ambrosiano, ma soprattutto abbiamo davanti una brillante generazione di giovani chef che reclamano l’Italia come destino gastronomico: non solo per la cucina tradizionale, ma anche per l’innovazione e l’inaspettato. Questi sono i miei piani per il futuro. Non ci sono progetti di espansione nell’immediato. In questo momento riteniamo che sia un grande dono avere così tante persone che viaggiano da tutto il mondo per farci visita a Modena. È un premio per tutti noi! Quando fai formazione al nuovo personale, quali sono i tuoi metodi? Prima di tutto, tutti gli studenti imparano con la pratica, non con le parole. Avendo questo in mente, sono il primo a passare la scopa sul pavimento, raccogliere la

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Se potessi essere invisibile per un giorno cosa faresti? Se fossi invisibile guarderei i miei artisti preferiti mentre

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spazzatura, aiutare gli altri ed essere parte della squadra. Far parte di un team è la lezione essenziale che i giovani chef (e camerieri) hanno bisogno di imparare. In secondo luogo, ordine, ordine e ancora ordine. Non c’è spazio in cucina per il disordine. In qualsiasi cucina. Infine, ricordo sempre agli chef che hanno la responsabilità di tutto ciò che fanno. Non ci sono scuse in cucina. Un buon cuoco è colui che si assume la responsabilità per i suoi errori, i suoi trionfi e le sue debolezze. Impariamo dai nostri errori. È ciò che ci rende umani. Fare domande ed essere curiosi può portarti lontano nella vita.

lavorano nei loro studi come una mosca sul muro perché il processo creativo mi affascina. Se potessi cucinare un piatto per una figura storica chi sarebbe? A Leonardo da Vinci piaceva molto il cibo e la cucina ma passava più tempo a dipingere che a cucinare. Mi piacerebbe cucinare per lui. Vorrei anche cucinare per i futuristi che avevano alcune fantastiche (e fantasiose) idee, ma non sapevano nemmeno cucinare e così le idee non hanno mai funzionato. Sarebbe interessante vedere cosa penserebbero della cucina italiana contemporanea. Forse si sarebbero resi conto che si tratta di una realtà piuttosto vicina alla loro immaginazione selvaggia. Di Dina Aletras

Osteria Francescana è chiuso la Domenica e Lunedi. E ‘inoltre chiuso per una parte dei mesi di gennaio e agosto. Le prenotazioni sono essenziali. HEditionMag

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Lifting con fili Silhouette Soft Di Dr Ohan Ohanes M.B.Ch.B., PGDip Clinical Dermatology, H Edition’s Cosmetic Doctor & Beauty Specialist

Cos’è Silhouette Soft?

Silhouette Soft® è sicuro?

Silhouette Soft è un’innovazione tecnologica che consente di restituire volume al viso e ridurre le rughe con un trattamento estremamente semplice.

Se effettuato da un operatore medico esperto, Silhouette Soft® è un trattamento altamente sicuro con risultati soddisfacenti.

Il trattamento, rapido e poco invasivo, può essere effettuato in meno di un’ora, con 2 risultati: un effetto lifting immediato e una successiva stimolazione e rigenerazione del collagene, che contribuisce a restituire la bellezza naturale del viso. Gli effetti del trattamento perdurano fino a 18 mesi.

Il trattamento Silhouette Soft® è doloroso?

Come lavora Silhouette soft? Speciali fili di sutura vengono inseriti nella zona prescelta a una profondità di circa 3-5mm dove sono ancorati stabilmente con una leggera pressione. I coni bidirezionali e riassorbibili presenti lungo i fili si fissano ai tessuti facciali correggendo cedimenti cutanei e riducendo la presenza di rughe.

Quali zone si possono trattare? Silhouette soft è consigliato a uomini e donne dai 30 anni in su che desiderano combattere i segni dell’invecchiamento cutaneo. È dedicato a chi non intende sottoporsi a interventi chirurgici invasivi, ma è alla ricerca di un risultato naturale. Silhouette Soft® può essere utilizzato per trattare varie parti del viso: • Mascella inferiore • Guance e zigomi • Sopracciglia • Collo

No, la procedura viene effettuata in anestesia locale in alcune delle zone da trattare e non è dolorosa. Alcuni pazienti potrebbero trovarla fastidiosa e, in caso di dolore, si possono assumere antidolorifici da banco.

Silhouette soft può essere associato ad altri trattamenti? Assolutamente sì . La natura mini invasiva di Silhouette Soft® consente di associarlo ad altri trattamenti quali per esempio l’impiego di filler dermici per arricchire il volume in alcune parti del viso .

Cosa avviene subito dopo il trattamento Silhouette Soft®? Subito dopo il trattamento, possono comparire lievi gonfiori, piccole ecchimosi o arrossamenti che scompaiono spontaneamente in un paio di giorni.

Vi sono consigli da seguire dopo il trattamento Silhouette Soft®? • Nella settimana successiva al trattamento, si consiglia di non sottoporsi a sedute odontoiatriche, massaggi al viso o trattamenti di bellezza. • Per alcune settimane, si consiglia di evitare sport da contatto. • Per 3-5 giorni, si consiglia di dormire supini. • In caso di dolore, si consiglia di assumere antidolorifici dietro prescrizione medica.

Silhouette soft è raccomandato per uomini e donne dai 30 in su che desiderano combattere i segni dell’invecchiamento. È dedicato a chi non intende sottoporsi a interventi chirurgici invasivi, ma è alla ricerca di un risultato naturale

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10 verità sul nostro pianeta

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Una volta si pensava che la Terra fosse al centro dell’universo. Per 2000 anni gli antichi astronomi hanno creduto che la Terra fosse statica e avesse altri corpi celesti che viaggiano in orbite circolari attorno ad essa. Credevano questo per il movimento apparente sul Sole e dei pianeti in relazione al loro punto di vista. Nel 1543, Copernico ha pubblicato il suo modello eliocentrico del sistema solare che ha posto il Sole al centro del nostro sistema solare.

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La Terra è il pianeta più denso del sistema solare. La densità della Terra differisce in ogni parte del pianeta - il nucleo, ad esempio, è più denso della crosta terrestre - ma la densità media del pianeta è di circa 5,52 grammi per centimetro cubo. La rotazione della Terra sta gradualmente rallentando. La decelerazione della rotazione terrestre è molto lenta, circa 17 millisecondi ogni cento anni. Alla fine questo processo allungherà le nostre giornate, ma ci vorranno circa 140 milioni di anni prima che la nostra giornata passi da 24 a 25 ore.

La Terra ha un campo magnetico molto potente. Questo campo protegge il pianeta dagli effetti dei venti solari e si crede che sia il risultato della sua rapida rotazione che ha agito sul nucleo di ferro e nickel del pianeta.

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La Terra ha uno strato di ozono che la protegge dalle radiazioni solari nocive. Questo schermo è formato da uno speciale tipo di ossigeno che assorbe la maggior parte dei potenti raggi UV del sole.

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La prima forma di vita sulla Terra si è sviluppata negli oceani mediante un processo chiamato abiogenesi. Si tratta di un processo naturale in cui la vita si sviluppa dalla materia non vivente in composti organici semplici.

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L’acqua presente sulla Terra inizialmente era intrappolata all’interno del pianeta. Nel corso del tempo l’acqua della Terra è stata portata in superficie dall’attività vulcanica del pianeta. Il punto più basso della Terra si chiama Challenger Deep e si trova a 10,9 km sotto il livello del mare, una lunghezza molto superiore a quella della vetta del Monte Everest. La Terra ha una delle orbite più circolari di tutti gli otto pianeti del sistema solare. Il suo asse di rotazione è inclinato di 23,4 ° rispetto alla perpendicolare del suo piano orbitale, ed è causa delle stagioni che conosciamo. Un anno sulla Terra dura poco più di 365 giorni. Si tratta, infatti, di un quarto di giorno oltre ai 365 giorni ed è per questo che abbiamo un anno bisestile ogni quattro anni


Co-educational day & boarding school for children ages 9 to 18 years Caring and supportive environment International primary and middle school curriculum International Baccalaureate (IB)Diploma programme in the final two years All instruction is in English Small classes

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