Heimatschutz/Patrimoine 3-2019: Finestra

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HEIMATSCHUTZ PATRIMOINE

Finestra in lingua italiana

Cimiteri e cultura funeraria

EDITORIALE

TEMI D’AT TUALITÀ

I cimiteri, luoghi della nostra storia

IL COMMENTO

I cimiteri ci raccontano storie di persone, famiglie e rituali funebri presenti e passati. Sono storie affascinanti che possono essere colte anche in occasione di viaggi in luoghi vicini e lontani. Visitare il cimitero di San Michele a Venezia o quello dei soldati tedeschi sul Passo della Futa, tra Bologna e Firenze, sono esperienze che non lasciano indifferenti. I cimiteri emanano un senso di quiete solenne che rimane inalterato nonostante il loro costante adattamento ai tempi che cambiano. Il presente numero della nostra rivista è dedicato proprio a questi luoghi di pace. In un’intervista, Lambrini Koutoussaki ci spiega la necessità di un inventario svizzero dei cimiteri e illustra come la cultura funeraria si trasformi rapidamente nel tempo. Brigitte Moser ci conduce in un viaggio nel passato del cimitero di San Michele a Zugo, risalente all’alto medioevo, e ci mostra come nel corso del tempo esso si è adattato alle esigenze delle successive generazioni. Con Daniela Saxer scopriamo invece che dopo la Seconda guerra mondiale la pressione demografica costrinse le autorità a seppellire i defunti in periferia, come nel caso del cimitero di Eichbühl, ai margini dell’agglomerato zurighese. Spostandoci nella Svizzera francese, Christian Bischoff, ci racconta un episodio particolare della storia del «cimitero dei re» di Ginevra. I cimiteri sono luoghi di raccoglimento, il cui adattamento a nuove esigenze deve essere condotto con grande sensibilità. L’Heimatschutz Svizzera si impegna per la conservazione dei cimiteri storici e per una loro evoluzione rispettosa del passato. Affinché ciò sia possibile, è necessario un inventario federale. Ringraziandovi per il fedele sostegno che ci consente di proseguire nel nostro lavoro, vi auguro una piacevole lettura. Stefan Kunz, Segretario generale dell’Heimatschutz Svizzera

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Un uso ragionato del fotovoltaico nei nuclei storici Le estati diventano sempre più calde e gli inverni sempre più miti. Le ragioni di questo cambiamento sono (ancora) controverse, come lo era cinquant’anni fa la correlazione tra il fumo e il cancro ai polmoni. Se allora ridurre il fumo era una decisione ragionevole, oggi è ragionevole passare a fonti alternative di energia. Lo sfruttamento dell’energia solare è importante, ma nella giusta misura. Secondo l’Ufficio federale di statistica il 3,5 per cento degli edifici in Svizzera è sotto protezione. Considerando anche gli stabili inventariati – ossia protetti a titolo provvisorio – si arriva circa al 10 per cento. Poiché le costruzioni antiche sono di solito a pianta più stretta rispetto a quelle nuove, offrono una superficie ridotta per l’eventuale posa di impianti solari. Non è certo installando pannelli fotovoltaici sugli edifici protetti che si garantirà il successo della transizione verso le energie rinnovabili. Un contributo trascurabile alla produzione di energia si accompagnerebbe a un notevole imbruttimento degli insediamenti storici. I tetti a spiovente sono un elemento caratteristico di molti nuclei antichi. A nessuno piace l’effetto della sostituzione di un tetto in piode con una copertura in tegole rosse su una vecchia casa ticinese. Che dire allora di un tetto ricoperto da pannelli di vetro? Le recenti decisioni dei tribunali hanno fatto chiarezza in proposito. È sempre necessaria una ponderazione tra il desiderio di produrre energia da fonti alternative e il valore del tetto di un edificio in quanto bene culturale inserito nella cornice di un nucleo storico. A tale scopo vanno considerati più criteri: l’importanza del monumento architettonico, il valore del suo tetto tradizionale nel contesto dell’insediamento, il grado di visibilità dell’impianto solare, l’eventuale possibilità di un’installazione su un edificio moderno vicino, la possibilità di impiegare tego-


le fotovoltaiche (di cui esistono sempre più modelli), e quella di costruire un impianto collettivo fuori dal centro storico, insieme ad altri proprietari. Ogni caso va studiato singolarmente. Di sicuro è inaccettabile che venga autorizzata la posa di pannelli fotovoltaici su tutti i monumenti, magari persino sul castello di Chillon o sul Grossmünster di Zurigo, quando esistono ancora superfici inutilizzate enormi e ben più idonee sui tetti piatti di innumerevoli edifici industriali e commerciali. Molti fautori del solare hanno iniziato una battaglia contro la tutela dei monumenti ma così hanno perso di vista il vero obiettivo: promuovere le energie rinnovabili. Questo è controproducente, perché se troppi edifici antichi e centri storici vengono deturpati dai pannelli fotovoltaici, l’opinione pubblica potrebbe finire per schierarsi contro l’energia solare. Martin Killias, Presidente dell’Heimatschutz Svizzera

FORUM A COLLOQUIO CON LAMBRINI KOUTOUSSAKI  6

Ogni tomba è un monumento L’ICOMOS è un organo consultivo dell’UNESCO per la protezione e la valorizzazione di monumenti e siti storici. Fondato nel 1965, dal 1966 è presente anche in Svizzera. Nel 2007 l’ICOMOS Svizzera ha creato un gruppo di lavoro dedicato ai cimiteri. Abbiamo chiesto a Lambrini Koutoussaki, responsabile del gruppo, di parlarci di questo progetto. Marco Guetg, giornalista, Zurigo

Signora Koutoussaki, perché nel 2007 l’ICOMOS Svizzera ha voluto creare un gruppo di lavoro sui cimiteri storici? Si è trattato di una reazione a una tendenza emersa nel secondo dopoguerra e che si è accentuata negli anni Settanta e Ottanta: a causa dell’indebolimento delle tradizioni e dei cambiamenti nei rituali funebri, alcuni cimiteri vengono dismessi in quanto non più necessari. L’ICOMOS Svizzera ha constatato che non

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esistono direttive unitarie sulla gestione dei cimiteri storici e che ogni comune è libero di agire in modo autonomo. Il gruppo di lavoro è la nostra risposta a questa situazione. Lo scopo è quindi preservare i cimiteri o piuttosto sensibilizzare la popolazione sul loro valore sociale e culturale? Entrambi. È chiaro che vogliamo proteggere i cimiteri, ma vogliamo anche avvicinare un più vasto pubblico a questa tipologia di beni culturali e contribuire in questo modo alla sostenibilità culturale. Questo però è possibile soltanto se la gestione dei cimiteri storici verrà regolamentata a livello nazionale. State pensando a un inventario federale vincolante? Proprio così. L’Ufficio federale della cultura dispone oggi solo di una lista di circa duecento cimiteri storici che è stata fornita al nostro gruppo di lavoro. La elaboriamo, miglioriamo e arricchiamo di continuo allo scopo di creare un sistema di regole vincolanti per tutti i tremila comuni svizzeri. Così facendo saremo in grado di stabilire quali cimiteri sono da considerare storici e meritevoli di essere censiti. Dopo quanto tempo un cimitero può essere definito storico? Ci sono criteri specifici? Sì, ma il gruppo di lavoro li sta ancora definendo. Tra le difficoltà c’è anche la grande diversità dei cimiteri. A seconda del luogo bisogna tener conto di aspetti specifici: l’antichità, l’architettura, la tipologia delle tombe e delle lapidi e la presenza di personaggi famosi sepolti. Tentiamo inoltre di includere quei siti che non sono più cimiteri, come il giardino delle rose di Berna. Fino al 1877 era un camposanto, mentre oggi è un apprezzato parco cittadino. Fino a che epoca risalite? Solo fino al XIX secolo. Vogliamo evitare che le persone interessate si perdano andando troppo a ritroso nel tempo. Il nostro lavoro deve rivolgersi a un ampio pubblico e non solo agli specialisti. Ci auguriamo, inoltre, che possa avere una qualche influenza anche sulla politica, dove in definitiva vengono prese le decisioni che contano. Nei comuni chi è responsabile dei cimiteri? Dipende, ma solo in un paio di città esiste un servizio specifico gestito da personale qualificato. Nella maggior parte dei casi se ne occupa l’ufficio tecnico, dove lavorano principalmente persone che si occupano di progetti edilizi, per cui la questione dei cimiteri finisce in secondo piano. Quindi lei vorrebbe che i comuni assumessero personale specializzato per la gestione dei cimiteri? Sì, anche se sono consapevole che per ragioni finanziarie questo è un desiderio difficile da realizzare. Sarebbe tuttavia già un grande aiuto se si formassero dei comitati per i cimiteri a sostegno degli uffici tecnici. Finché si tratta di questioni minori, come le lapidi, le tombe, i viali o la vegetazione ornamentale, il cimitero può decidere in autonomia come comportarsi. Ma che cosa succede quando si libera una superficie o un intero cimitero viene all’improvviso dismesso?


È proprio questo il problema più grande! Spesso questi terreni inutilizzati si trovano in zone pregiate del territorio comunale e possono essere presi in considerazione per una riqualificazione. La questione è come riqualificare: con progetti edilizi, come vorrebbero molti investitori, o piuttosto creando un parco pubblico? In questi casi è fondamentale disporre di criteri ben definiti e vincolanti, affinché si possano prendere le decisioni giuste. A Zurigo, il cimitero di Sihlfeld mette in affitto le proprie tombe storiche. La città tenta di convincere i potenziali interessati con l’argomento che in tal modo contribuiscono a preservare queste preziose testimonianze della storia locale. Le sembra una soluzione percorribile? Questa iniziativa dimostra che c’è la volontà di prendersi cura di un sito storico, ma può funzionare solo se si trovano famiglie pronte ad assumersi la manutenzione delle tombe in questione. Se questo interesse viene meno, la responsabilità torna nelle mani del comune, il che genera nuovi costi per la collettività. Anche per questo motivo è necessaria la volontà politica di conservare i siti storici. Uno dei compiti del gruppo di lavoro è di rilevare e inventariare i cimiteri. Vi occupate anche di restauri e ripristino? Certo. Il graduale deterioramento delle tombe ci preoccupa parecchio. Se non ci saranno più famiglie a prendersi cura delle tombe, la situazione diventerà molto critica. Per questo è compito del comune assicurarsi che i luoghi e gli elementi più importanti di un cimitero siano preservati anche a prescindere dalla disponibilità delle famiglie.

È vero. Un’interessante ricerca statunitense ha mostrato che nei luoghi di sepoltura si trovano tracce di tutti i mutamenti sociali. In una società sempre più secolarizzata questi indizi sono particolarmente evidenti. Come si manifestano questi cambiamenti in Svizzera? A seconda del cantone, oggi le inumazioni oscillano tra il due e il quattro per cento, mentre circa l’85 per cento delle salme viene cremata. Negli ultimi anni il numero delle urne seppellite singolarmente e disposte in fila nei cimiteri è notevolmente diminuito e al contempo si è visto un aumento delle tombe comuni, usanza a dir poco rara in passato. Anche i cimiteri nel bosco sono una tendenza piuttosto recente. C’è poi un dieci per cento delle urne che non finisce in cimitero: le ceneri vengono sepolte altrove, conservate o disperse. Poniamo che il vostro gruppo di lavoro porti a termine il suo compito e raggiunga lo scopo prefissato. Quale sarebbe il risultato? Ci sarebbe un inventario federale in cui tutti i cimiteri più importanti della Svizzera sarebbero catalogati, divisi per categorie e quindi protetti. Parallelamente avremmo una documentazione dei cimiteri scomparsi con piante e disegni. Sarebbe perfetto anche per la promozione turistica. Ma non è affatto quello che vogliamo! Il turismo dei cimiteri deve rimanere limitato ai luoghi in cui lo si pratica già oggi.

Che cosa si perde quando un cimitero storico scompare? Per farla breve, un pezzo del nostro patrimonio culturale.

Che farete con tutti i dati e le informazioni ottenute in anni di attività? È prevista una pubblicazione? Sì, una pubblicazione di accompagnamento all’inventario in cui spiegheremo in dettaglio perché un cimitero o un oggetto che si trova in un cimitero hanno un valore storico e vanno protetti.

Un cimitero è fatto di tombe, loculi, cappelle: elementi che fanno ricordare alle persone i propri defunti. Una volta che la memoria si è spenta, non è giusto che anche questi oggetti scompaiano? Le storie individuali rappresentano solo un aspetto. Esiste sempre anche una storia più generale, che pone la persona defunta in relazione con l’umanità, una storia che ha a che vedere con i luoghi in cui questa persona ha vissuto, in cui ha lasciato la propria traccia. Per questo ogni tomba è un monumento.

Lei si occupa di cimiteri da molti anni. Com’è nato questo interesse? Sono cresciuta in un paesino in Grecia in cui le tradizioni contavano molto. Mi sono sempre interessata anche ai beni culturali. È uno dei motivi per cui ho studiato archeologia e lettere classiche. Le questioni legate alla morte e ai riti funebri mi hanno sempre affascinata. È una curiosità intellettuale che più tardi si è trasformata in professione. Già la mia tesi di laurea era dedicata alla cultura sepolcrale nell’Antichità.

Il vostro gruppo di lavoro si interessa soprattutto dei cimiteri cristiani? Sì. Fra i cimiteri cittadini più antichi in Svizzera si contano quello di Plainpalais a Ginevra, il Wolfgottesacker a Basilea, il Sihlfeld a Zurigo e il Schlosshaldenfriedhof a Berna. La maggior parte dei restanti cimiteri svizzeri risale al XX secolo. In generale, però, i cimiteri più antichi sono quelli ebraici e questo per due motivi: da una parte perché sono privati, e dall’altra perché secondo il credo ebraico l’eterno riposo dei defunti deve essere tutelato.

Immagino che nel frattempo abbia anche scoperto il suo cimitero preferito. Non vorrei deluderla, ma la risposta è no. Tuttavia trovo particolarmente bello quello di Muri, presso Berna, anche perché si trova su un’altura con una splendida vista sull’Aar.

Ci sono cimiteri che stanno sparendo, ma intanto appaiono nuovi rituali funebri. Si direbbe che i cimiteri siano l’espressione di una determinata epoca.

Cittadina greca e svizzera, Lambrini Koutoussaki è nata a San Gallo e ha vissuto in Svizzera fino a quando, all’età di sei anni, la famiglia ha deciso di ritornare in Grecia. Dopo aver frequentato la scuola dell’obbligo e il liceo, a diciott’anni è tornata in Svizzera, dove ha studiato lettere classiche e archeologia alle Università di Friburgo e Berna. Ha completato i suoi studi con un dottorato. Oggi insegna greco antico e moderno, e nel 2007 ha aderito al gruppo di lavoro sui cimiteri storici creato dall’ICOMOS Svizzera. Dirige il gruppo dal 2017.

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IL CIMITERO DI EICHBÜHL A ZURIGO ALTSTETTEN  10

Modernità radicale del dopoguerra Il cimitero di Eichbühl di Fred Eicher a Zurigo Altstetten è un’opera architettonica esemplare del modernismo del secondo dopoguerra. Nonostante i numerosi interventi realizzati negli ultimi decenni, l’impostazione progettuale originale è a tutt’oggi ben visibile. Daniela Saxer, architetto e conservatrice di giardini storici, Zurigo

Negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, di fronte alla crescita demografica del dopoguerra, molti comuni si videro costretti a ingrandire i cimiteri. Spesso si approfittò dell’occasione per crearne di nuovi ai margini degli insediamenti, lontano dalla chiesa principale del paese, il che mise fine alla tradizionale stretta relazione tra gli edifici di culto e i luoghi di sepoltura. I nuovi cimiteri erano più simili a spaziosi giardini pubblici con pochi elementi religiosi. Il modello scandinavo Nella Svizzera tedesca, in quei decenni si seguirono approcci diversi per la costruzione dei cimiteri. In parte si continuò a realizzare strutture nello stile dei giardini domestici tradizionali, come quelli dell’Esposizione nazionale del 1939. Erano progetti su cui pesava l’influsso conservatore dell’Heimatstil e che si distinguevano ad esempio per l’impiego di lastre di pietra naturale e per le aiuole di piante perenni. Un’altra tendenza, opposta, fu quella sviluppatasi dalla fine degli anni Cinquanta dei cimiteri improntati ai principi del modernismo del dopoguerra: forme essenziali e geometriche, trasparenza spaziale. Fecero la loro comparsa anche nei cimiteri il cemento a vista e materiali provenienti dall’edilizia di massa. Nel 1956 Johannes Schweizer pubblicò Kirchhof und Friedhof, un libro in cui difendeva la posizione secondo cui fosse necessario eliminare la componente religiosa in questo tipo di progetti. Schweizer proponeva l’uso di una vegetazione omogenea e la subordinazione delle singole tombe a un concetto paesaggistico generale, seguendo il modello svedese. Gli architetti paesaggisti svizzeri si ispirarono ai cimiteri scandinavi e in particolare al cimitero del bosco di Stoccolma di Gunnar Asplund e Sigurd Lewerentz, simbolo di un nuovo modo di progettare i luoghi di sepoltura in sintonia con l’umanesimo del dopoguerra.

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I principi di Fred Eicher Nel 1934, nell’ambito di un secondo processo di fusione (il primo risaliva al 1893) la città di Zurigo si estese inglobando otto nuovi sobborghi, fra cui Altstetten e Albisrieden. Nel 1957 il Municipio bandì un concorso per un nuovo cimitero destinato a questi due quartieri. Nell’autunno 1958 il progetto fu assegnato al team Ernst Graf/Fred Eicher (per la parte paesaggistica), Hans Hubacher/Ernst Studer (per l’architettura) e Robert Lienhard (per la scultura). Il cimitero di Eichbühl fu inaugurato dieci anni dopo. Il progetto di Eicher struttura il lieve pendio ai piedi della catena dell’Üetliberg attraverso un reticolo ortogonale di viali, con quelli principali che accompagnano i dislivelli. Nonostante il rigore geometrico, l’effetto appare molto naturale. Una sequenza di tre elementi architettonici spicca nell’insieme: all’entrata, la camera ardente con lo spiazzo antistante, nel punto più alto, la cappella per le cerimonie funebri e, in fondo, la pensilina con le nicchie in cui sono alloggiate le urne. Il collegamento in diagonale che dallo spiazzo dell’entrata conduce scenicamente alla cappella è l’unica trasgressione alla regolarità della griglia ortogonale. Anche le tombe per le urne si trovano in cima al pendio, su un terrazzamento delimitato da muri di sostegno perpendicolari e inclinati che gli conferiscono un aspetto al contempo arcaico e moderno-essenziale. Altrettanto imponenti si presentano gli ampi terrazzamenti che appaiono come incisi nel pendio e cinti su tre lati da alte e pesanti pareti, anch’esse inclinate. Questi spazi avvolti da muri offrono intimità e inducono così al raccoglimento, mentre il terreno in pendenza sembra sorvolare sulla distesa delle tombe per poi confluire nell’abitato. Contrariamente ai cimiteri tradizionali, quello di Eichenbühl non rimane nascosto dietro a un muro, ma si presenta come un ampio spazio aperto, che a un certo punto si dissipa nella natura circostante, senza una netta delimitazione. Le costruzioni e i muri di sostegno seguono i principi dell’architettura moderna e sono perlopiù in cemento. Per la vegetazione Fred Eicher scelse essenze indigene come la quercia, il frassino, il ciliegio e il tiglio. Gli alberi furono piantati seguendo uno schema lineare che fa da contrasto con il paesaggio naturale. La preferenza per poche specie arboree e per una griglia rigidamente ortogonale dei viali caratterizza il progetto di Eicher e sottolinea l’effetto di uno spazio rigorosamente progettato. Il confronto con i mutamenti socioculturali Dopo la sua inaugurazione, il cimitero dovette far fronte a numerosi mutamenti sociali. Negli ultimi decenni sono cambiate parecchio le abitudini per quanto riguarda i tipi di sepoltura. Se fino agli anni Sessanta si prediligevano le classiche tombe allineate, in seguito è cresciuta la domanda per quelle destinate alle urne e per le tombe comuni, anche anonime. Lo sviluppo demografico è inoltre stato molto limitato rispetto alle previsioni degli anni Cinquanta, per cui la capacità massima di 18 000 tombe di Eichbühl non è mai stata raggiunta. Con l’emergere di una maggiore sensibilità per le questioni ambientali, negli anni Ottanta si fecero sentire le critiche degli ecologisti, in particolare contro la varietà molto limitata delle specie arboree e la loro innaturale disposizione geometrica. Nel 1985 la Città di Zurigo lanciò un


concorso per una riqualificazione ecologica del sito, che è stata attuata negli anni successivi. Questa trasformazione è stata però a sua volta criticata da alcuni gruppi di professionisti che hanno chiesto un ritorno al progetto originale. Tra il 2005 e il 2007, d’intesa con lo stesso Fred Eicher, la vegetazione supplementare è stata in gran parte rimossa. Sono rimasti soltanto i tigli piantati nel 1987 lungo il viale principale in occasione del suo prolungamento. Così oggi l’aspetto del cimitero è tornato a essere quello iniziale di un parco in cui traspaiono chiaramente le intenzioni architettoniche del modernismo post-bellico. Vita e opere di Fred Eicher Nato nel 1927 a Dietlikon, Fred Eicher fu uno dei più importanti architetti paesaggisti svizzeri del XX secolo. Ebbe molti seguaci, che lavorarono per lui e ne seguirono gli insegnamenti. Lui stesso diceva di avere imparato soprattutto dai progetti degli architetti modernisti. Tra il 1964 e il 1995 progettò otto cimiteri a Zurigo e dintorni, e partecipò anche alla realizzazione del cimitero di San Michele a Zugo. Il cimitero di Eichbühl è considerato una delle sue opere più rappresentative. Dal 1964 al 1984 Fred Eicher fu un membro critico in seno alla commissione redazionale di «anthos», rivista svizzera di architettura del paesaggio. Nel 2004 l’Heimatschutz Svizzera ha omaggiato il suo lavoro assegnandogli il Premio Schulthess per i giardini. Fred Eicher è deceduto nel 2010 e riposa oggi al cimitero di Eichbühl.

CAPPELLA FUNERARIA DEL CIMETIÈRE DES ROIS DI GINEVRA  16

«Non celebrare la solennità della morte» Nonostante il suo pregio architettonico, la cappella funeraria del Cimetière des Rois a Ginevra, è poco nota al pubblico. La storia della sua costruzione è singolare: il progetto fu assegnato all’architetto Robert R. Barro nel 1952 dopo una procedura arbitrale che provocò le dimissioni di un suo collega. Christian Bischoff, architetto, Ginevra

Il 22 novembre 1951 il Municipio di Ginevra approva un credito per la costruzione di nuove camere mortuarie al Cimetière des Rois. Viene incaricato del progetto l’architetto comunale Frédéric Gampert. I lavori di sterro prendono il via il 7 febbraio 1952. Il 29 aprile, ecco la brutta sorpresa: il tecnico a capo del cantiere sostiene che la documentazione che gli è stata consegnata «non è che una bozza di progetto, palesemente incompleto». Il Municipio decide di convocare un tribunale arbitrale composto da tre professionisti del settore: il vallesano Donato Burgener, presidente della SIA, e due architetti scelti dalle parti. Il ginevrino Arthur Lozeron è la persona scelta da Frédéric Gampert, mentre Robert R. Barro, originario di Carouge ma trasferitosi a Zurigo, è l’architetto designato dalle autorità cittadine. Il verdetto giunge l’11 luglio 1952. Benché il rapporto arbitrale non rilevi alcun errore professionale da parte dell’architetto comunale, dalla sua formulazione traspare un vago sospetto d’incompetenza. Ritenendosi screditato, Frédéric Gampert dà le dimissioni. L’11 agosto 1952, il municipale Maurice Thévenaz affida il progetto a Robert R. Barro (1910–1969). «Un progetto edificato sulle fondamenta gettate da qualcun altro» I lavori già eseguiti, lo scavo e il suo rivestimento, riducono in modo considerevole il margine di manovra dell’architetto. «Si tratta nientedimeno che di realizzare un progetto sulle fondamenta gettate da qualcun altro», scrive. Nonostante le possibilità siano limitate dal progetto precedente, Robert R. Barro riesce a dare espressione al proprio estro. Approfitta della modifica del progetto dell’ala delle camere mortuarie per differenziare radicalmente la facciata sud, ossia quella pubblica, dalla facciata nord, destinata al servizio. Gli sta a cuore l’ambiente che si creerà all’interno dell’edificio, il quale «non deve celebrare la solennità della morte attraverso un’architettura enfatica», ma piuttosto «offrire un’atmosfera tranquilla e di conforto grazie a uno stile sobrio e disadorno». Per questo presta particolare attenzione all’area dell’entrata per il pubblico. Allo scopo di rendere graduale il passaggio dalla dispersione dell’esterno alla concentrazione dello spazio chiuso – «passaggio da un mondo all’altro che in questo caso ha un carattere propriamente simbolico» –, fa precedere l’ala bassa in cui si trovano le camere ardenti, più raccolte, da una serie di filtri che il visitatore deve attraversare: un’aiuola di piante perenni, un porticato accogliente, un corridoio con sporgenze poligonali per evitare la freddezza di un androne rettilineo e offrire spazi più intimi in cui i gruppi di visitatori possano appartarsi. Anche la scelta di un tetto in tegole risponde al desiderio di condurre i visitatori in un ambiente familiare, privo di pathos. Alla scansione verticale delle colonne del portico della facciata meridionale si contrappone una sovrapposizione di linee orizzontali sulla facciata settentrionale. Il corridoio di servizio è coperto da un tetto in tegole a una falda che poggia contro il volume formato dalle camere ardenti e dal corridoio pubblico. Lo scarto in altezza fra i due tetti a una falda è uno spazio calcolato per accogliere una fascia orizzontale di finestre orientate a nord, da cui una luce zenitale indiretta penetra nelle camere ardenti. Il colpo da maestro di Robert R. Barro è di ispirarsi a questo gioco di volumi anche per la cappella. Alla navata centrale accosta un collaterale a sbalzo, che poggia sul-

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le fondamenta del vecchio progetto. Si forma in tal modo un’alcova il cui volume si prolunga oltre, su tutta la lunghezza della navata: all’estremità nord c’è l’accesso alla sagrestia e all’entrata di servizio, in quella a sud il portale dell’entrata principale. Questa, inizialmente prevista sulla facciata sud, ossia sull’asse del viale detto Allée des Conseillers, si trova quindi riorientata a est, su un ampio spiazzo che dà sulla strada, la Rue des Rois. Un’architettura curata nel dettaglio Attento alla ricezione da parte del pubblico della sua opera e all’atmosfera che essa crea, Robert R. Barro sceglie i materiali con grande attenzione. Come spiega, il suo intento è di stemperare l’effetto del gioco volumetrico, decisamente moderno, impiegando materiali legati al passato. Scrive: «La relativa arditezza dei plafoni inclinati e asimmetrici del luogo di culto e l’effetto inatteso dell’illuminazione sono stati attenuati di proposito attraverso l’impiego di tecniche secolari come la pavimentazione in terracotta e l’apparecchiatura muraria in pietra. Soltanto il soffitto mette in risalto il calcestruzzo grazie alla forma della struttura e dei lacunari. Per ogni dettaglio si è cercata l’espressione più semplice e spontanea, come si evince dalla modanatura del soffitto rivestita di gesso, dal reticolato che formano le commessure del rivestimento delle pareti, dal gioco di sfumature del suolo in terracotta, dal ritmo dato dall’alternanza dei lampadari e delle porte e vetrate, dalla varietà delle sedie e delle canne della facciata dell’organo». Quest’architettura così curata in ogni dettaglio è valorizzata dalla luce, gestita con magistrale raffinatezza. Robert R. Barro non ha l’ambizione di creare un’opera avanguardistica né di aderire allo spirito dei tempi. Nell’incastro dei volumi, nell’eleganza dei dettagli, il visitatore di oggi avverte facilmente i tratti caratteristici dell’architettura degli anni Cinquanta. Eppure, osservando i materiali, tutti scelti in ragione della carica sensuale, tattile, evocatrice della tradizione, permane il dubbio: le camere ardenti e la cappella del Cimetière des Rois potrebbero anche essere state costruite dieci o quindici anni prima. Ed è proprio questa la sensazione che l’architetto intende trasmettere. Sebbene sia nato a Carouge, la cultura estetica e costruttiva di Robert R. Barro è germanica. Ha studiato a Monaco di Baviera e a Zurigo, dov’è stato studente e poi assistente di Otto R. Salvisberg. Volendo iscrivere l’edificio in un corpus di opere simili, bisogna rivolgere lo sguardo all’architettura protestante moderna svizzero-tedesca: le chiese costruite a Basilea (nel 1936) e a Zurigo (nel 1938) rispettivamente da Salvisberg e da Hans Hoffmann per la Chiesa del Cristo, Scientista, e soprattutto il tempio della chiesa riformata di Altstetten (del 1941) di Werner Moser. Quest’ultima è con tutta probabilità l’opera di riferimento di Robert R. Barro. Tutti i dettagli lo fanno pensare: il carattere asimmetrico, l’attenzione ai materiali, la gestione della luce. Il 9 dicembre 1955 il quotidiano «Tribune de Genève» informa che le camere ardenti del cimitero sono pronte. La cappella viene elogiata: «colpisce per le sue linee semplici e armoniose». Il primo servizio funebre, celebrato dal pastore Dominicé il 27 gennaio 1956, è quello della «venerata madre» dell’onorevole Maurice Thévenaz, municipale di Ginevra.

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IL CIMITERO DI SAN MICHELE A ZUGO  20

Un luogo di storia e di tranquilla bellezza Cimitero di una bellezza straordinaria, quello di San Michele a Zugo non è solo uno spazio tranquillo in cui raccogliersi per un lutto, ma rappresenta anche una preziosa testimonianza storica che attraversa un arco di tempo che va dal Medioevo fino ai giorni nostri. È un caso esemplare di sviluppo architettonico in cui il rispetto del sito antico non ha impedito un adattamento alle nuove esigenze. Si è così formato quello che oggi è un imponente complesso storico. Brigitte Moser, storica dell’arte e archeologa medievale, Zugo

Passa il ditino sul nome della targa di ottone, poi mi guarda e mi chiede: «Dov’è il nonno?». Rispondo: «Ci guarda con amore da lassù, in cielo». Mio figlio si alza in piedi e mi dà la mano. Ci troviamo sotto i ciliegi della tomba comune costruita nel 2005 nel cimitero di San Michele. Lo sguardo spazia sulle lucenti targhette incastonate in una sorta di mosaico in pietra naturale, sui sentieri di ghiaia e sui prati verdi, fino all’ossario di Sant’Anna del XVI secolo. Qui lutto e amore si intrecciano nella quiete, e si può ritrovare la speranza. Un luogo meraviglioso. Un luogo di storia, la nostra storia. L’origine Gli inizi del cimitero risalgono all’alto medioevo, quando venne costruita una piccola chiesa su un terrazzamento dello Zugerberg. Quando dopo il 1200 furono istituite le parrocchie, anche San Michele divenne, come la maggior parte delle chiese altomedievali, una chiesa parrocchiale. La grande parrocchia omonima comprendeva le comunità odierne di Zugo e Walchwil. I loro defunti venivano sepolti nel cimitero di San Michele. Nel 1469 la chiesa fu ricostruita dopo un incendio e nel 1513 fu aggiunto l’ossario di Sant’Anna. L’epidemia di peste della metà del XIV secolo aveva decimato la popolazione, che però si risollevò verso la fine del XV secolo, così che lo spazio nei cimiteri cominciò a scarseggiare. Per tale motivo si iniziò a riesumare le vecchie tombe e a conservare le ossa ritrovate negli ossari. L’ossario tardo gotico di Sant’Anna con i suoi elaborati intagli a bassorilievo racconta una storia antica. Gli ampliamenti Fino al XIX secolo, le sepolture venivano eseguite intorno alla chiesa ed erano esclusivamente inumazioni in tombe con la-


pide. Con il decreto del 1868 per cui tutti i residenti della città dovevano essere sepolti nel cimitero di San Michele, col divieto di interramento nella chiesa cittadina di St. Oswald, che ebbe luogo poco dopo, e con l’aumento generale della popolazione, il cimitero risultò ben presto troppo piccolo. Così nel 1872, fu avviato il primo ampliamento verso il pendio seguendo il modello del vecchio cimitero, ossia con una disposizione a reticolo dei sentieri tra le tombe. All’interno dell’area sono stati di recente disposti alberi di tuia. Il sentiero principale con la scalinata che collega i due livelli caratterizza tutt’oggi il sito. La seconda estensione del cimitero risale al 1921 e fu realizzata dai noti architetti locali Dagobert Keizer e Richard Bracher. L’estensione prosegue sulla stessa altezza verso sud ed è stata progettata per adattarsi alla struttura esistente. Dal punto di vista paesaggistico furono aggiunti dei falsi cipressi, che evidenziano gli angoli dei terrazzamenti e costituiscono un elemento decorativo verticale. Inizialmente furono previsti una sala per i funerali e un edificio di servizio, ma alla fine fu realizzato solo il secondo. Viene chiamato cappella Dagobert in memoria del suo costruttore ed è un edificio neogotico che riprende gli stilemi dell’ossario situato nelle vicinanze. Nel 1953 si realizzò il terzo ampliamento, a monte rispetto ai due precedenti. In questo modo il cimitero raggiunge le sue attuali dimensioni. Il progetto prevedeva 980 sepolture disposte in fila, 50 tombe per bambini, 100 per neonati, 117 tombe di famiglia e 200 per le urne. L’esecuzione fu affidata all’architetto paesaggista Ernst Graf di Zurigo, il quale ha seguito un principio di progettazione lineare lungo i terrazzamenti. Tutti i giardini sono stati equamente decorati con alberi decidui e arbusti perenni lungo i sentieri e a fianco delle sepolture. Le trasformazioni Tra il 1966 e il 1970 la parte più antica del cimitero e le prime due estensioni furono ridisegnate dal famoso architetto paesaggista Fred Eicher di Zurigo. Questi ha armonizzato la seconda estensione rispetto alla prima. Il terreno è stato parzialmente rialzato e sono stati adattati i percorsi, le finiture dei bordi, le scale e i sistemi di drenaggio. Dall’inizio degli anni Settanta, aumentarono le cremazioni e crebbe l’esigenza di aggiungere una tomba comune. Nel 1983 il consiglio comunale approvò un credito per la realizzazione di un colombario, completato un anno dopo dallo scultore Albert Steiger di Zugo, che trovò posto nel punto più alto, nella seconda estensione. Nel 1992, lo stesso scultore realizzò un altro colombario e, in collaborazione con l’architetto paesaggista Dölf Zürcher di Oberwil, vicino a Zugo, lavorò alla creazione della tomba comune. Nel 2005 sono stati aggiunti ancora un colombario e una nuova tomba comune nella parte più antica del cimitero. L’idea realizzata dall’architetto paesaggista Andreas Tremp di Zurigo consiste in una struttura rettangolare allineata all’ossario medievale, costituita da una superficie piana in pietra naturale con un bacino d’acqua. Delle targhe in ottone ricordano i nomi dei defunti. I ciliegi che orlano la superficie della tomba sbocciano ogni anno e con i loro fiori bianchi donano luce e conforto. Sempre nel 2005 è stato costruito un edificio aconfessionale per le funzioni funebri a opera dello studio Burkhard Meyer di Zurigo. Situato nell’angolo sudorientale del cimitero, si erge

sul pendio con la sua struttura cubica di un chiaro cemento calcareo. La semplicità del volume della costruzione, della scelta dei materiali e dell’estetica degli interni evoca una calma confortante. La facciata in vetro verde rilucente con le alette rivolte verso il lago e le montagne è stata creata in collaborazione con l’artista Hugo Suter. Quando la luce inonda l’interno, crea un’atmosfera d’incanto che accompagna il lutto. Il cimitero come bene culturale Ancora oggi, il parco del cimitero di San Michele permette ai visitatori di apprezzarne la storia, che risale all’alto medioevo. Fino alla metà del XX Secolo erano comuni le inumazioni in tombe individuali. A causa delle crescenti esigenze di spazio, il cimitero fu gradualmente ampliato. Con l’aumento negli anni Cinquanta dell’uso delle urne, che occupano meno spazio, e con la creazione di tombe comunitarie dagli anni Settanta, non sono state necessarie altre estensioni, ma il cimitero ha comunque subito modifiche. Si sono per esempio realizzate nuove tombe per bambini (2011) e una tomba comune (2017). Con le nuove forme di sepoltura e la rimozione delle tombe vecchie allo scadere delle concessioni, in futuro aumenteranno gli spazi disponibili. In questo modo il cimitero continuerà a cambiare forma. Il costante adattamento alle nuove esigenze deve tuttavia avvenire con grande cura, in modo che il cimitero possa mantenere il suo carattere unico. Non si tratta solo di un luogo di pace e raccoglimento, ma anche di un bene culturale di inestimabile valore che da ogni punto di vista appartiene alla nostra storia.

HEIMATSCHUTZ SVIZZERA DOPPIA INIZIATIVA PER LA BIODIVERSITÀ E IL PAESAGGIO  38

Firmi due volte, grazie! Le iniziative per la biodiversità e per il paesaggio lanciate in marzo hanno già raccolto ciascuna oltre 60 000 firme e ci auguriamo di ottenerne molte altre durante la giornata nazionale di raccolta firme del 24 agosto. Questo ottimo risultato provvisorio è dovuto all’impegno dei numerosi volontari dell’Heimatschutz, di Pro Natura, di BirdLife Svizzera e della Fondazione svizzera per la tutela del paesaggio. A tutte le persone che hanno firmato, i promotori della doppia iniziativa desiderano esprimere la propria gratitudine. Dobbiamo tuttavia ancora fare uno sforzo per arrivare quanto prima a 100 000 firme valide, in modo da garantire il successo dell’operazione. Per questo la preghiamo, qualora non l’avesse ancora fatto, di firmare e di attirare l’attenzione dei suoi familiari, amici e conoscenti su questa doppia iniziativa per la biodiversità e il paesaggio. Sin d’ora grazie di cuore! → Trova il foglio per la raccolta firme al sito www.biodiversita-paesaggio.ch

3 | 2019  Finestra in lingua italiana  7


SEZIONI TICINO  43

A Bellinzona ci si oppone

A fine giugno 2019 la Società Ticinese per l’Arte e la Natura (STAN) e l’Heimatschutz Svizzera hanno presentato opposizione contro il progetto «Terzo binario e fermata Indipendenza» delle Ferrovie federali svizzere (FFS) a Bellinzona. La contrarietà alla realizzazione di un binario supplementare per il traffico regionale e di una fermata nei pressi di Piazza Indipendenza si basa su due motivi principali. Innanzitutto si rimprovera ai responsabili del progetto di aver gravemente sottostimato l’impatto ambientale della posa del terzo binario, che avrebbe come conseguenza un incremento del traffico di treni merci. Con il progetto di attraversamento della città da nord a sud, aumenterebbero non solo l’inquinamento fonico, ma anche lo smog elettroma-

IMPRESSUM I testi in italiano sono curati, adattati e a volte ridotti da Sándor Marazza 3/2019: 114mo anno Editore: Heimatschutz Svizzera (redazione: Peter Egli) Stampa: Stämpfli AG, 3001 Berna Grafica: Stillhart Konzept und Gestaltung, 8003 Zurigo Appare: a scadenza trimestrale Indirizzo: Redazione «Heimatschutz/Patrimoine» Villa Patumbah, Zollikerstrasse 128, 8008 Zurigo T. 044 254 57 00, redaktion@heimatschutz.ch ISSN 0017-9817

gnetico, le vibrazioni e le polveri fini. Particolarmente grave è il problema dell’elettrosmog, che supererebbe di gran lunga i valori massimi ammissibili. È quindi indispensabile un adeguamento del progetto sulla base di un serio studio sull’impatto ambientale. In secondo luogo vanno considerate le conseguenze dello scavo di una nuova galleria sulla murata del Castello di Montebello, un monumento di pregio che rischia di essere danneggiato. Quello di Montebello è il terzo dei tre castelli che, insieme alle rispettive murate, costituiscono la straordinaria struttura fortificata medievale dichiarata patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO nel 2000. Il Castello di Montebello è inoltre inserito nell’inventario federale ISOS, oltre a essere protetto a livello cantonale e comunale. Con l’apertura l’anno prossimo della galleria di base del Ceneri, l’agglomerato densamente popolato di Bellinzona diventerà un «collo di bottiglia» lungo l’asse ferroviario nord-sud. La terza galleria è pensata per consentire l’incremento del transito (treni merci e treni passeggeri regionali). L’idea avanzata circa vent’anni fa nell’ambito di AlpTransit di aggirare Bellinzona grazie a una circonvallazione su doppio binario non è stata attuata per motivi di risparmio. Questa soluzione avrebbe evitato il passaggio dei treni merci attraverso la città e i due binari esistenti sarebbero stati sufficienti ad assorbire il traffico restante. Prima o poi, con l’incremento del traffico, non si potrà prescindere da una circonvallazione e ci si renderà allora conto di aver sacrificato un bene culturale per una soluzione meramente temporanea. Immagine: progetto delle FFS di un terzo binario per il traffico passeggeri regionale e di una fermata presso Piazza Indipendenza a Bellinzona.


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