Parentheses n°1

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Hérétique design firenze / MAdrid APPUNTI E RIFLESSIONI / NOTAS Y REFLEXIONEs

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Parentheses n°1

xenos arte contemporanea francesco gnot


Hérétique design firenze / MAdrid APPUNTI E RIFLESSIONI / NOTAS Y REFLEXIONEs Parentheses n°1 xenos arte contemporanea francesco gnot / aesthetic instinct

Magazine STAFF / Francesco Ozzola / Gabriele Tosi text / francesca biagini Photo / francesco gnot Published by Hérétique Design Firenze / Madrid www.heretique.it info@heretique.it in collaboration with / xenos arte contemporanea di vaia balekis www.xenoscontemporanea.com Thanks to Marco Crivellin







Introduzione e indicazioni alla lettura Parentheses è un progetto di piccoli impaginati digitali messi in ascolto verso realtà o eventi specifici che hanno attratto l'attenzione di questa redazione per la loro vicinanza o distanza rispetto alle nostre ricerche. Per quanto riguarda le uscite, le Parentheses intervalleranno aperiodicamente il progetto principale di Hérétique Design: la rivista Appunti e riflessioni / Notas y reflexiones, la cui prossima pubblicazione è prevista per la primavera. Parentheses n°1 nasce dalla conoscenza professionale con Vaia Balekis, avvenuta nel momento in cui ha deciso di aprire una nuova galleria a Firenze. Xenos arte contemporanea inaugurerà al pubblico il 12 dicembre 2013 riadattando a galleria uno spazio in cui è successo un po' di tutto, dove ogni esperienza ha lasciato testimonianza sotto forma di oggetti e segni. Ci ha interessato il fatto che anche una gallerista che si dichiara contraria a un'idea di spazio asettico, come Balekis, abbia dovuto comunque rimuovere oggetti, carichi loro malgrado di significato, al fine di esporne altri che di significato continuano ad aver bisogno: le opere d'arte. Nella prima sezione si è quindi deciso di mostrare ciò che di solito non si vede: le immagini di come il fondo appariva prima di essere una galleria, integrandole a una lista degli oggetti rimossi. Per una ragione precisa si è poi deciso di dare spazio, nella seconda sezione, al progetto di apertura: la personale di Francesco Gnot aesthetic instinct dove, come se il tempo non potesse fare a meno di avere l'orrore del vuoto, il lavoro fotografico documenta gli ultimi attimi architettonici della sede di Elettropiù. Gnot e la sua macchina fotografica sono fra gli ultimi ad essere entrati prima della distruzione. Gli scatti mostrano un accumulo non così diverso da quello che Balekis ha dovuto liberare al fine di aprire una galleria che poi espone quelle stesse immagini. Tabulae rasae e lavagna imbiancate di gesso si rincorrono. Questo numero, senza distinzioni o giudizi, decide quindi di impaginare tutto, creando ambiguità tra il lavoro dell'artista e la documentazione dello spazio. Una confusione che noi pensiamo risolvibile dal lettore facendo attenzione alla qualità delle immagini.



VIA DE SERRAGLI 75C Firenze (futuro spazio xenos arte contemporanea) inventario oggetti rimossi da luglio 2013:

n° 3 armadi legno scuro n° 1 mobile da ingresso con specchio simil cinese n° 3 cassoni con materiale edile n° 1 carrello della spesa (coop o esselunga) n° 5 cassettiere di varie dimensioni e colori n° indefinito di abiti n° 3 tavoli n° 4 scrivanie n° 1 cucina professionale a gas n° 1 piano di lavoro con lavello da cucina incassato n° 2 lampadari di vetro a palla n° 5 tavolini di varie dimensioni, colori e materiali n° indefinito di libri, riviste e giornali n° 5 televisori funzionanti a tubo catodico di varie dimensioni n° 6 radio vecchie e funzionanti n° 1 frigorifero n° 1 generatore elettrico (per rave) n° 1 ghiacciaia portatile n° 1 orario sante messe della basilica di s.spirito n° 1 insegna luminosa birra Asaki



Intervista a Vaia Balekis AeR/NyR: Hai avviato un’attività commerciale. Tra tutte le cose che si possono vendere, perché proprio l’arte? Avevi bisogno di qualcosa di sofisticato? VB: Ecco vedi, è proprio da qui che partirò. Tenterò di scardinare l’idea che la proposta artistica sia esclusivamente qualcosa di sofisticato! L’operazione di vendita sarà una bella sfida in questo momento critico, ma cercherò di favorire un mecenatismo dal basso: un incontro con il pubblico che tenga in considerazione il costo delle opere. Non un discount dell’arte ma una galleria dove l’acquisto sarà possibile a diverse fasce. Per quanto riguarda la scelta di vendere opere d’arte piuttosto che aprire il solito ristorantino, posso solo dirti che questo è il mio mondo, la mia vita, non avevo altra scelta! AeR/NyR: E’ tanto rara oggi, quanto frequente e di successo nel passato, la figura di una giovane donna che apre una galleria. Ti senti parte di questa tradizione? VB: Indubbiamente ci sono figure come Lia Rumma, Monica de Cardenas, Francesca Minini o Marian Goodman ma anche Lucio Amelio o la realtà di Galleria Continua che sono esempi “maschili”. Sono tutti casi di ispirazione, ma credo anche si debba mettere in campo la propria personalità attivando diverse strategie. Insomma, aprire una galleria d’arte è anche un’operazione di autoanalisi. AeR/NyR: Scusa per le economiche etichette: i tuoi amici e conoscenti sono più artisti, studiosi o commercianti? VB: Continuerei la lista con: operai, impiegati, disoccupati, imprenditori, intellettuali, nullafacenti, migranti, dottori, architetti, designer, musicisti. Non mi manca nulla. Per fortuna il popolo che frequenterà questo spazio sarà vario. Spero di non vedere sempre le “solite facce”. AeR/NyR: Qual è la tua idea di galleria? Prima hai citato dei nomi, fra questi ci sono esempi a cui guardi con più attenzione? Oppure ricavi il modello da altri mondi ed esperienze? VB: Guardo con positività all’attività di Lucio Amelio nella Napoli degli anni ‘70 e’80, al suo fermento e alla sua frenesia, alla sua capacità di coinvolgere gli artisti in un dialogo con la città. Il contesto attuale è differente rispetto all’atmosfera e al mercato di allora, ma l’ idea resta quella di una realtà aperta e viva; un punto di incontro e di riferimento per giovani e appassionati. Una galleria dove l’esposizione è soltanto uno dei mezzi per conoscere l’artista. Non ne posso più di spazi asettici, che incutono timore e freddezza e sembrano rivolgersi soltanto ad una élite che vuole essere coccolata e privilegiata. AeR/NyR: Come si struttura quindi la tua galleria? Quali attività le ruotano attorno? VB: Voglio aprire al pubblico con ogni mezzo: workshop, letture, talk, cene con gli artisti, ma anche collaborazioni con le scuole, le università e le accademie. La galleria ospiterà poi due progetti paralleli: un book corner, gestito assieme alla casa editrice artout m&m Maschietto Editore, che offrirà una selezione di libri e cataloghi su arte, architettura, danza, musica e design, e Hospes, il progetto di residenza per artisti e curatori che partirà nei primi mesi del 2014. Gli artisti e i curatori ospiti verranno invitati a realizzare un progetto di relazione con la città, progetti site specific che trovino ricchezza nella conoscenza con il tessuto artistico locale.



AeR/NyR: Detto questo: dal tuo punto di vista, lo spazio della galleria è ancora importante, attuale e funzionale per commerciare con l’arte? VB: L’operazione della vendita credo che ormai si possa realizzare quasi più facilmente attraverso il web, ma l’importanza di un luogo fisico, reale, dove poter vedere, toccare e ascoltare le opere resta fondamentale. In una società carica di virtualità e poco spirituale come quella attuale, la galleria può rappresentare un punto di incontro e scambio, un dialogo con l’altro come con l’artista che spesso è considerato straniero, xenos appunto. AeR/NyR: Ci sono fiere e fiere, ma senza scendere nello specifico: cosa ne pensi del modello fieristico? Vorrai parteciparvi? VB: Non amo particolarmente le fiere, l’aria che si respira, l’atmosfera che si crea in stanzoni dove tutto si confonde e signore con i piedi gonfi si fanno accompagnare da mariti annoiati. Eppure parteciperò sicuramente per la voglia di relazionarmi con l’offerta estera. Il confronto lo trovo sempre e comunque stimolante. AeR/NyR: Cosa pensi quando scegli di lavorare con un artista? Come ti approcci? Come vuoi impostare il lavoro? VB: Gli artisti hanno la capacità di farmi sorprendere del mondo e cercherò di far passare questo nella scelta dei loro lavori. Mi piace coccolarli e accoglierli ma richiedo un preciso lavoro di organizzazione, studio e collaborazione. Lavorerò inoltre con curatori. Chiederò anche a loro di proporre e includere nei progetti formule di incontro, tradizionali o inconsuete, tra pubblici e artisti. AeR/NyR: Anche qui, c’è curatore e curatore, ma in termini generici qual’è il tuo pensiero su questa figura? VB: Questa è una figura che amo e odio. Vorrei innanzitutto che si distinguesse in maniera più netta da quella del critico a cui non è richiesto, per esempio, un rapporto con le gallerie e con l’ambito più commerciale del mondo dell’arte. Il curatore può avere la capacità e il potere di avanzare visioni, di entrare in sintonia con il lavoro e la poetica dell’artista. Dovrebbe suggerire un’interpretazione, non limitarsi a portare in giro una scuderia di artisti da piazzare in ogni dove, come sempre più spesso mi capita di vedere. Il mio curatore (amo poco proprio il termine) ideale è un folle che ha il coraggio delle proprie visioni e che si affianca al lavoro degli artisti esaltandolo senza soffocarlo con il proprio egocentrismo. AeR/NyR: Firenze è una città come un’altra per una galleria d’arte? Perché ti interessa il territorio? VB: Il territorio è fondamentale, sono qui per scelta e non per conseguenza. Le mie radici sono altrove, nel cuore del mediterraneo, ma la scommessa su questa città, una follia secondo molti, rispecchia la voglia di intercettare un humus vivace e attivo. Firenze ha vissuto tempi migliori sul profilo della proposta contemporanea ma io conosco ciò che offre attualmente e credo ci siano tante realtà di alta qualità nell’ambito della musica, delle arti performative e del visivo. Manca forse una conoscenza reciproca e una maggiore apertura a reali collaborazioni che possano sviluppare quella famosa rete che è poi quella che invoglia il pubblico “forestiero” a vivere questa città. Firenze ha bisogno di coraggio, tutto il resto ce l’ha!



AeR/NyR: Parliamo dello spazio che ospita la tua attività: ti interessa la sua storia, ti piacerebbe che gli artisti coinvolti guardassero alla specificità del luogo? VB: La scelta di questo posto come sede è il risultato di un incontro, di un incastro magico di coincidenze. Il proprietario è un amico di vecchia data e tempo fa ci siamo rivisti dopo anni. Uscivo allora da una lunga parentesi di maternità e lui da altre vicende personali. Abbiamo subito capito che il mio progetto era l’ideale per un posto così. E’ un luogo carico di vissuti: da sede del Partito dei Democratici di Sinistra a laboratorio di un argentiere. E’ un luogo che rispetta la vocazione dei quartieri in cui si inserisce, S.Spirito e S.Frediano: artigianato, attività politica, arte e offerta culturale volta alla sperimentazione ma con una natura indipendente. Gli artisti, sopratutto quelli in residenza, non potranno prescindere dal contesto in cui è collocata la galleria, anche volendo sarebbe impossibile. AeR/NyR: Parli di residenze, quali sono i tuoi progetti a riguardo? Cosa credi possano portare? VB: La residenza in effetti è il punto di partenza di tutto il progetto, da questo nasce il nome xenos “ospite”,”altro”, “straniero”. Perché così l’artista è spesso pensato dalla società. Attraverso i programmi di residenza voglio favorire lo scambio, la conoscenza reciproca, l’apertura di un piccolo spicchio di città alla permanenza degli artisti. Purtroppo Firenze non ha attualmente un’esperienza di residenza all’altezza di altre città, l’unica istituzione in questo ambito è l’egregia Villa Romana, che però è una realtà tedesca. Trovo assurdo che una città che si definisce internazionale non sostenga almeno un progetto di residenza per artisti. Amministrazione pubblica e soggetti privati non riescono a essere propositivi e non vogliono credere in un’iniziativa che potrebbe fare realmente la differenza nella visione di Firenze come città aperta al contemporaneo. AeR/NyR: Immagina la tua galleria fra due anni, cosa vedi? VB: Un posto vivo, un punto di incontro e di riferimento per artisti e tutti coloro abbiano voglia di accettare le provocazioni e le interpretazioni che solo le arti possono dare. Questo, oltre a un successo planetario! AeR/NyR: Infine, ci parli del tuo progetto di apertura? E’ quantomeno particolare che alla sua vernice uno spazio mostri le ultime immagini di una realtà che sta per essere distrutta... VB: Le opere di Francesco Gnot in aesthetic instinct offrono dei punti di vista intimi e audaci sulle realtà in decadenza, sulle mutazioni di senso. Sono un ponte tra passato e futuro che non si limita a descrivere il presente ma lo interroga, lo stravolge e a volte lo accusa. Alcune immagini ripropongono la documentazione della demolizione di un luogo di socialità e di sperimentazione artistica che Firenze ha avuto nel suo recente passato, ma anche non luoghi di uno spazio pubblico dove il bene comune è terra di nessuno e la trasformazione è da intendere come declino e degrado. Il progetto ospite, The Wall - eating the border di Luca Mauceri, propone un’installazione che trova nella sua distruzione e nella sua deperibilità il proprio completamento, un rito iniziatico che vuole simboleggiare l’apertura dello spazio, la disponibilità ad accogliere.





photo / marco crivellin



Francesco Gnot Firenze, 1965 Ha studiato fotografia presso la Fondazione Studio Marangoni di Firenze. Dal 1995 al 1999 ha insegnato tecnica di camera oscura e critica e sviluppo stilistico presso la stessa scuola.Ha inoltre collaborato, in qualità di insegnate di fotografia, con il Centro di Formazione Professionale della Provincia di Firenze e con la Galleria Dryphoto di Prato. Personali e collettive Le Maschere dell’ Uomo, Museo di Antropologia, Firenze, 2000 Paesaggi Possibili, Archivio Fotografico Toscano, Prato, 2001. A cura di Nicoletta Leonardi Events, Studio Arts Center International, Firenze, 2001. A cura di Maria Antonia Rinaldi e Matteo Chini Gemine Muse, Chiostro di Santa Maria Novella, Firenze, 2002. A cura di Daria Filardo Insider, Stazione Leopolda, Firenze, 2003. A cura di Sergio Risaliti Paesaggi Possibili 2000-2003, Spazio Foto Credito Artigiano di Firenze, 2003. A cura di Nicoletta Leonardi Luce Notturna , Stazione Leopolda, Firenze, 2003. A cura di Mauro Magrini Vincitore del premio Miglior portfolio del giorno della Galerie D’Essay durante i Rencontres Internationales de la Photographie d’Arles, luglio 2002. Passages, Quarter – CentroProduzioneArte, Firenze, 2004. A cura di Sergio Risaliti e Maria Antonia Rinaldi Luoghi della cura per Linea di Confine per la Fotografia Contemporanea, Modena, 2005. A cura di Nicoletta Leonardi e Frits Gierstberg Inventare gli spostamenti, lavoro su commissione della Società Autostrade Torino-Savona, 2006. A cura di A.Titolo, Torino Il sole nelle mani, Barifotocamera, 2007 Biennale di fotografia di Kaunas07 (Lituania), 2007 Nel 2009 esegue un lavoro per Slow Food chiamato Slow Stills. Dal 2010 collabora con il curatore Pietro Gaglianò al progetto The Wall (Archives) sviluppando delle performance radiofoniche dal titolo Irradiazioni.



ladri di biciclette di Francesca Biagini Semplice vandalismo o espressione del bisogno di opposizione di una cittadinanza afflitta che rompe il silenzio attraverso azioni ribelli? Per chi si appella ad un ritorno al decoro, chiamati da una “divina vocazione al bello”, anche le scritte sui muri o i graffiti risultano semplici atti di vandalismo, da rimuovere dalla memoria pubblica, esposti al pentimento come un’onta che si abbatte sulla pubblica decenza. Ma cosa si intende per spazio pubblico? I cittadini come interagiscono con esso? Come si evolve? Camminando per le strade della propria città, semplicemente osservando senza esprimere giudizi, gli scatti di Francesco Gnot testimoniano e documentano aspetti reconditi, nascosti, volutamente taciuti dai massimi esponenti, ma sintomatici di cambiamenti o stravolgimenti sociali. E’ una prassi, quella che viene documentata, che modifica l’aspetto dei tessuti urbani senza intaccarli realmente cercando di dire qualcosa tramite atti forti, vandalismi che diventano parole di necessità inespresse. Poesie liriche, a guardarle a distanza, come quelle che trovi sui muri affisse dal Movimento per l’emancipazione della poesia, di una città che sempre più è vetrina, specchio riflesso dei vizi e delle virtù di un paese, di una società intera. In questo caso ad essere violato non è solo lo spazio pubblico, ma i beni privati che lo occupano, come una rimozione forzata, una volontà di dire l’indicibile, di non spendere più tempo in inutili discorsi, ma agire con i mezzi più disparati. Lo spazio pubblico si evolve e diventa archivio e memoria di gesti che lasciano tracce di sé, creando una nuova estetica non programmata, ma efficace ed esposta, libera di ripensare al proprio ruolo come luogo di espressione collettiva del diritto di proteggere le alterità presenti in esso. Le marginalità si esprimono nei sistemi più eterogenei, uscendo da un centro sociale come percorrendo le vie cittadine ci si può imbattere in forme sociali inattese, in formalità simili ma dissimulate a seconda dei contesti. Lo spazio pubblico autogestito viene concesso a termine dalle amministrazioni al fine di reinventare se stesso in nome di una sperimentazione che segue metodologie in continuo mutamento, luogo di possibilità e paradossi per eccellenza. Diversi percorsi e conformità producono ricerche comparabili, seppur nell’ambito cittadino non si accettino e consentano tali conduzioni partecipate e produzioni culturali non condizionate per mancanza spesso di una reale conoscenza dell’evoluzione della nozione stessa di bellezza.( Certe realtà possono pure diventare scomode e allora si sfrattano, si distruggono non meritevoli di alcuna tutela o responsabilità, giunge infine la stagione degli sgomberi e si riportano in auge le consuete pratiche. C’è chi vede le istituzioni come un nemico, la società come qualcosa di cui non far parte, un “comune” da cui non si sente sostenuto. In un paesaggio cittadino dove valorizzare spesso vuol dire guadagnare, i grandi eventi sono più importanti delle singole opere e ciò che conta non è educare a qualcosa ma tirare fuori i grandi numeri, queste “opere minimaliste” non sono altro che il quadro più rappresentativo di ciò in cui ci stiamo convertendo. Nel centro urbano l’abbandono va di pari passo alla fastosità dei negozi o agli interventi scintillanti, freschi freschi di campagna elettorale. La cultura intesa come patrimonio condiviso si è lacerata grazie ad un erroneo concetto di comunicazione che si basa sulla spettacolarizzazione e sulla mediocrità.


Analizzare certi processi è l’occasione per provare ad invertire queste tendenze, iniziando a porsi delle domande, uscendo dalla retorica per tutti i gusti, per dare un nuovo significato al concetto di identità, partendo dal postulato essenziale per cui interrogarsi viene prima di proporre. Il patrimonio appartiene a tutti: le strade, i vicoli, gli edifici, i muri, fanno ugualmente parte della nostra eredità. Iniziare una ricerca sociale dettata da un maggiore bisogno di responsabilità, portare avanti una dialettica del confronto, concretamente legata alla realtà per un maggiore approfondimento dei contesti specifici, può creare un vero legame tra il singolo e la collettività, dove flussi di storie e memorie che raccontano comportamenti regolamentati, possono dare vita a una quotidianità sensibile e variegata.








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