APPUNTI E RIFLESSIONI / NOTAS Y REFLEXIONES n째4 / Wile E. Coyote, how do you do?
APPUNTI E RIFLESSIONI / NOTAS Y REFLEXIONES n°4 / Wile E. Coyote, how do you do? In this number
Editorial / Tempi moderni / Federica La Paglia Article / Accelerazione e social media / Mario Pireddu Visual Display / Pilvi Takala Video Interview / La velocidad en la educación / Edúkame Visual Display / Cristina Lucas Article / Tiempos digitales, velocidad impredecible / JosE Montaño Visual Display / Mabel Palacín Article / Design the Factory of Tomorrow / Lorenzo Imbesi Visual Display / Industrias Lentas Article / CoderDojo en Medialab Prado Madrid / Alfredo Calosci Interview on WhatsApp / Riccardo Benassi Article / Tiempos (hiper)modernos / Magdalena Ramírez Article / Mississippi / SARA DOLFI AGOSTINI Interview / Jan Nálevka
Magazine STAFF
Francesco Ozzola / Gabriele Tosi / Alba Braza
guest editor
Federica La Paglia
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6’’, 2005. Mabel Palacín The Thoughts of Modern Sculptors, 2013. Jan Nálevka Appunti e riflessioni / Notas y reflexiones www.notasyreflexiones.com Published by Hérétique www.heretique.it / info@heretique.it
EDITORIALE / tempi moderni Federica la paglia Il tempo e lo spazio, da sempre al centro della riflessione filosofica, escono ora dal cenacolo degli intellettuali per diventare tema di dibattito pubblico, specie da quando la crisi economica mondiale si è fatta talmente condizionante da imporre di riconsiderare il nostro stile di vita. Senza voler fare accenni retorici alla conseguente crisi del sistema sociale di impianto capitalistico, ma guardando con interesse alle ricerche sul tema della decrescita quale risposta all’insostenibilità dei mercati attuali – le cui ricadute interessano in particolar modo la questione tempo – c’è da domandarsi se sia stato scardinato il mito novecentesco della velocità e se sia stato sostituito da quello della lentezza. Da una prima osservazione su fenomeni e rappresentazioni sociali sembrerebbe di si, ma a lungo termine vi è davvero spazio per un rallentamento? O piuttosto la fase in corso, non è davvero solo una fase? Ci muoviamo, condividendo la citazione di Festina lente riportata da Lamberto Maffei1, per considerare come il dibattito debba spostarsi dal tema della velocità a quello della possibile elaborazione di nuove soluzioni al vivere quotidiano in linea con la lentezza del cervello umano, capace si di risposte veloci ma non in grado di tenere, individualmente e socialmente, il 1
ritmo delle continue sollecitazioni e acce- Stanti così le cose, viene da domandarsi lerazioni che gli si “impongono”. quale sia la terza via. Quale ibridazione può dar luogo a una dimensione personaÈ di questi giorni la notizia che Facebook le e poi collettiva che risponda alle nuove e Apple offrono alle proprie dipendenti il esigenze? pagamento del congelamento degli ovuli, spingendo verso un ulteriore spostamento Procedere a un’analisi significa fare apdel tempo della maternità con l’obiettivo pello al pensiero lento di cui parla Maffei, di contrarre quello del lavoro. Si è qui di il tempo della riflessione, quella appunto fronte a una strumentalizzazione che evi- dei pensatori, degli artisti, degli studiosi. denzia una dicotomia fuorviante, espres- C’è da riflettere sul fatto che la velocisione di una ancora forte pressione verso tà, così tanto ricercata nel secolo scoril consumismo, che nella rapidità trova la so, abbia allora trovato una sua esplicita sua forza motrice. Dunque, nella società espressione nella produzione degli artisti, post-industriale come cambia il rapporto dei comunicatori, degli imprenditori, che uomo-beni di consumo? Che cosa signifi- oggi però stanno osservando i fenomeni ca rallentare oggi? del rallentamento con apparente ritardo, fatta eccezione per i designer. In rifiuto di un inconcepibile dualismo O forse l’approccio è diverso, meno espli(velocità/lentezza) e di un approccio ana- cito, meno dichiarativo. cronistico emerso da alcuni fenomeni Nel campo dell’arte, ad esempio, il ritor(destinati quindi a essere sperimentali, no a medium più riflessivi, come la pittucome ad esempio il neo-baratto), ma più ra, quanto è espressione di questa evoluconvinti dalle varie sfaccettature del co- zione e quanto è condizionato, invece, dal siddetto slow living, ci appare necessario mercato? riflettere sulla possibilità di un nuovo ap- Anche se il cambiamento è per ora ancoproccio alla contemporaneità, che tenga ra un fatto personale, è fondamentale doconto dei benefici della tecnologia ma ri- mandarsi come la proiezione individuale consideri la nostra relazione con questa. E possa aprire una finestra su un mutamento parliamo di tecnologia nei termini in cui socio-culturale. Non si tratta solo di guarl’invenzione dell’uomo ha condotto a uno dare all’oggi ma di cercare di intravedere sviluppo individuale e sociale che fa del più avanti. tempo veloce un elemento costituente. Insomma, come sarà il tempo domani??
Lamberto Maffei, Elogio della lentezza, Società editrice Il Mulino, Bologna, 2014
Accelerazione e social media Mario Pireddu La conoscenza come proprietà della zazione dei processi di insegnamento e rete. Apprendere ad apprendere tra tec- apprendimento. Conviene dunque aver nologia e accelerazione presente che comprendere i mutamenti del passato può aiutare a intendere meEsiste una relazione intima tra tecnolo- glio quelli del presente. Ci si sofferma gia e accelerazione? La domanda può es- qui su un interrogativo puntuale, ovvero sere utile per affrontare un tema spinoso ci si chiede se le tecnologie digitali e la come quello del rapporto tra formazione rete stiano effettivamente conducendo e tempi dell’apprendimento. Le reazioni verso un’accelerazione impossibile da più comuni davanti ai cambiamenti con- gestire, e se non sia il caso di tornare a nessi alla diffusione del digitale e delle quella che si potrebbe definire – in linea reti, infatti, prendono di norma la forma con non poche retoriche contemporanee dell’apprezzamento entusiastico o del (slow food, slow travel, slow economy, rimpianto nostalgico. Lasciando da par- slow wine, etc.) – una slow education. te questi due lati di una stessa medaglia, Va detto da subito che lo slogan “Buono, è forse possibile cercare di comprendere pulito e giusto” è difficilmente applicail mutamento che stiamo vivendo adot- bile alla formazione, giacché gran parte tando un metodo mediologico. Dalla dell’apprendimento è di fatto “sporco”, pietra alla carta, passando per le ruote, come ha più volte ribadito Seymour Pale imbarcazioni, le strade, le tecnologie pert. Le retoriche del ritorno al passato hanno aperto nuove possibilità configu- e alla sua lentezza, poi, risentono spesso randosi come dispositivi abilitanti, ren- di idealizzazione quando non di vera e dendo l’inedito possibile e il conosciuto propria reificazione di un tempo mai esipiù rapido. stito: solitamente questo tipo di approcci, anche negli ultimi tempi, è servito a A lungo ci si è interrogati sulle diffe- giustificare politiche regressive, conserrenze tra il mondo degli amanuensi e vatrici o reazionarie. quello della carta stampata, e più di un commentatore ha ricordato come prima La tecnologia delle comunicazioni e dei dell’invenzione di Gutenberg i copi- trasporti e l’espansione dell’istruzione sti non fossero ritenuti “lenti”. Non ci hanno reso possibile a più persone legsono molti dubbi, invece, sul ruolo della gere nei quotidiani e nei libri di nuovi stampa a caratteri mobili nella velociz- luoghi, vederli nei film e viaggiare di
più. Riuscire a sperimentare molti eventi lontani nello stesso tempo, grazie alla radiotelegrafia, fu parte di un più ampio cambiamento nell’esperienza del presente. La comunicazione elettronica ha ridotto spazi e tempi, e la simultaneità ha esteso spazialmente il presente. Il digitale e le reti oggi continuano sulla strada aperta dai media precedenti. Le tecnologie cambiano rapidamente le dimensioni dell’esperienza, e per quanto esistano tempi diversi per tipi di apprendimento differenti, non sembrano rivelarsi utili né la retorica dell’accelerazione né quella nostalgica del passato lento e “più umano”. Naturalmente nuovi ambienti mediali comportano nuovi problemi e nuove sfide – è sempre stato così – anche e soprattutto per chi si occupa di formazione. Il sapere viene prodotto, diffuso e consumato sempre più in rete, e non è più confinato esclusivamente in luoghi deputati alla sua conservazione o riproduzione: ciò significa da una parte che il cambiamento dell’infrastruttura del sapere sta alterando la forma e la natura stessa della conoscenza, e dall’altra che fuori dai percorsi istituzionali esistono processi formativi di vario tipo, spesso non banali e meritevoli di attenzione. Multitasking spinto e overload informativo sono problemi reali, ma a queste sfide si risponde con soluzioni adeguate
Mario Pireddu è ricercatore in Scienze della Formazione alla Università Roma Tre. Vive e lavora tra Roma e Milano
Philip Galle, Bottega del pittore
al tempo presente. I vecchi filtri non erano né universali né ideali, ma semplicemente funzionavano bene per la tecnologia del periodo (la carta). A nuove situazioni nuove risposte. La soluzione alla sovrabbondanza di informazioni non è
la loro riduzione, ma l’aggiunta di altre informazioni: l’educazione all’uso dei metadati diventa allora centrale per l’acquisizione di competenze fondamentali per il presente e per il futuro. Allo stesso modo e per ragioni analoghe, lo studio
del software e delle basi della programmazione non può più essere relegato ai margini dei percorsi educativi. Non tanto per saper programmare, quanto per imparare a non essere programmati.
The Trainee Pilvi Takala Pilvi Takala filmed herself as a trainee in the marketing department at Deloitte in Helsinki, trying to introduce the time of the thought inside the capitalist mode of working. This can happen while spending the whole day in a lift. When people at the company ask her why she is staying just doing nothing, she answers that she thinks better thanks to the movement of the lift. She sits at a desk without any computer. The people working in the office are curious about her. They ask if she needs something. She needs to think. And in order to think properly, she needs time. To think properly, we need “to see things from a different perspective”. Paranoia increases. Her new colleagues think she might be struggling with ‘mental illness’. Their emails exchanges prove a complete disorientation, due to the fact of being in contact with a trainee doing nothing but thinking. She looks like a postmodern Bartleby by Herman Melville, echoing his famous reply “I would prefer not to”. Text by [or nothing] The Trainee, 2008 Installation http://www.pilvitakala.com/ Pilvi Takala Born in 1981 in Helsinki Lives and works in Istanbul and Helsinki
All images / courtesy Pilvi Takala
[or nothing]
is an invitation addressed to an artist to conceive a project in a specific space. www.ornothing.org
La velocidad en la educación Edúkame / VíDEO Entrevista Por Sandra Moros SIDES Edúkame es una web dedicada a potenciar el desarrollo de la inteligencia emocional infantil. Periódicamente publican guías para padres y educadores con información sobre qué hacer y cómo, juegos, cuentos y estrategias enfocadas a resolver etapas infantiles siempre desde la visión del buen desarrollo de las emociones. La entrevista realizada por Sandra Moros a Cristina García, pedagóga y directora de contenidos de Edúkame, se centra en el concepto de tiempo e inmediatez, y las diferentes apreciaciones que surgen en estos conceptos por parte de los padres y los niños. Además, Cristina nos presenta el método de la paciencia, un elemento imprescindible en el proceso de crianza. http://edukame.com
Sandra Moros Sides investiga sobre arte y espacio público. Vive y trabaja en Valencia, España
Enlace a la VĂDEO entrevista
https://www.youtube.com/watch?v=5b8mi2bmrVk
Piper Prometheus Cristina Lucas Piper Prometheus es un trabajo en vídeo que documenta cómo una avioneta pasea un mensaje a modo de cartel para que todos puedan verlo. El mensaje es : L = (1/2) d v2 s CL Siendo L= Lift (Elevación) www.grc.nasa.gov/WWW/k-12/WindTunnel/Activities/lift_formula.html
Esta fórmula, basada en los estudios de los fluidos de Daniel Bernoulli y en la Tercera Ley de Newton, mide la capacidad de elevación de las aeronaves. En otras palabras, esta es la fórmula magistral que nos permite por fin volar. Como un Prometeo que muestra a los hombres el secreto de los dioses, nuestro pequeña avioneta (marca Piper) nos revela el misterio de la fórmula magistral por la que el sueño se hace realidad. Los éxitos de la ciencia son logros de la humanidad y nos elevan a todos, aunque no siempre para bien. Piper Prometheus, 2013 Video HD 16:9 4’ loop Ed. de 6 + 2 P.A.
Cristina Lucas Nacida en Jaén, 1973 Vive y trabaja en Madrid
Tiempos digitales, velocidad impredecible Jose Montaño La desarticulación de la noción del en duelo comparten la experiencia de tiempo en el cine japonés contemporáneo un tiempo que parece ralentizarse, eternizarse en el sufrimiento. En sus ensayos, Deleuze describió el En Shara (Sharasôju, 2003), recorrepaso a la modernidad cinematográfica mos la ciudad siguiendo a pocos metros como el tránsito de una imagen movi- los largos paseos de sus personajes. El miento a una imagen tiempo. Conti- relato se abre con la desaparición de un nuando la secuencia, el crítico y aca- niño y se acaba cuando el nacimiento démico Sergi Sánchez ve el nuevo pa- de otro hijo sutura esa perdida. El tránradigma digital como el de la imagen sito, físico y vital, encarna un tiempo no-tiempo. Si el concepto de tiempo es lineal: inicio, transcurso y final. Pero la el aspecto fundamental para analizar el realización de Naomi Kawase evoca un cine reciente, una cultura tan inclinada tempo simultáneo con su continua alua su apreciación estética como la japo- sión a lo circular. Lo vemos cuando un nesa, con la sucesión de las estaciones corro de oradores budistas hace girar o la fugacidad de la belleza como em- un gran rosario, lo sentimos cuando la blemas de su sensibilidad, no puede construcción de una casa nueva sucede ser indiferente a estas tendencias. En al derribo de una antigua o en el proel Japón contemporáneo, de trenes de pio ciclo de vida y muerte. Concluido alta velocidad y estilo de vida frenético el parto, la imagen retrocede y abando¿qué forma toma la noción de veloci- na a los protagonistas, ascendiendo en dad en su cine? Veámoslo en algunos movimiento circular por los cielos miejemplos. lenarios de Nara, la ciudad más antigua Con Maborosi (Maboroshi no hikari, de Japón. La banda de sonido, ritmos 1995), Koreeda llamó la atención in- sistemáticamente reiterados como marternacional mostrando el mundo inter- tilleos, recitados de sutras o cantos de no de una joven viuda en pugna por grillos, logra unificar la velocidad de recomponer su estado de ánimo. En un dos realizaciones temporales paralelas. plano estático de un paisaje abierto, un Shara hace visible la coexistencia de un cortejo fúnebre que se toma más de tres tiempo lineal y limitado, el de la vida minutos hasta atravesar toda la panta- humana, la historia, con el tiempo inlla. Transcurre en tiempo real pero, pa- agotable de lo mítico y transcendente. radójicamente, espectador y personaje ¿Hay percepción de velocidad si no
existe el tiempo? parece plantear Picnic (1995). Enajenación y reclusión en un sanatorio, metaforizan el estado de atemporalidad de sus protagonistas. Leyendo la Biblia, deciden escapar juntos para presenciar el apocalipsis. Al transitan por los muros de la ciudad, sin descender al suelo, siguen fuera del tiempo, observando el mundo desde sus límites. La descreída Koko desconfía de lo leído: si todo empezó con su nacimiento, concluirá con su muerte. Sólo ella, no Dios, puede acabar con el mundo. La llegada al mar al atardecer les impide continuar su recorrido liminar. El tiempo se manifiesta ante ellos y permite a Koko demostrar su teoría. Dueña de su tiempo, le pone fin en un íntimo apocalipsis. El mismo director, Iwai Shunji, usa todos los recursos audiovisuales en la escena inaugural de Todo sobre Lily (Riri shûshû no subete, 2001). Un chico aislado con sus auriculares en un arrozal, inscripciones superpuestas, propias de un chat de internet, que se suceden, montaje sincopado y por momentos incoherente. La emblemática escena, recurrente en una narración desarticulada, nos lleva a cuestionar la noción de temporalidad, que se revela innecesaria para un relato articulado con el mismo desorden en que se agolpan los recuer-
Picnic, 1955
dos al intentar recrear nuestra propia memoria. ¿Cómo calcular la velocidad de un recorrido imposible de trazar? Tres cineastas surgidos con los nuevos medios técnicos, cuatro películas y proyectos temporales diferentes –estirando, contrayendo, desarticulando un tiempo proteico que se agota y renace, que es y no es– de acuerdo al nuevo contexto digital. Pero un nuevo paradigma impregna cualquier posibilidad de expresión artística. El famoso estudio Ghibli, refractario a sustituir el acetato por los bits, presentó el pasado año Kaguyahime no monogatari (El cuento de la princesa Kaguya), último trabajo de Takahata Isao. La vo-
cación artesanal del veterano realizador, toma cuerpo en una sensacional propuesta estética que recrea la leyenda popular desde el trazo elemental, el fondo impresionista y un color como de acuarela, donde se incluye una reveladora escena: la estricta instructora de la princesa le enseña un tradicional emaki, rollo de papel con narraciones ilustradas. Desplegando un fragmento rectangular del papel, no nos costará verlo como una alegórica pantalla, le insta a ir simultáneamente desplegando el rollo por un lado y recogiéndolo por el otro, en una cadencia sostenida que permita observar el relato. La inquieta joven rechaza esa visión unívoca del tiempo
y despliega súbitamente el rollo entero. Saltando sin orden de una imagen a otra, recorre el dibujo a su antojo según lo que le llama la atención, creando nuevas conexiones narrativas más allá de la contigüidad. La mirada de la princesa celeste nos enseña a despreciar las reglas del tiempo, a generarlo y dotarlo de sentido. La velocidad del relato sólo responde a la voluntad del observador. Afincado en Yokohama, Jose Montaño investiga sobre cine japonés contemporáneo, tratando de concluir su tesis doctoral centrada en la crítica cinematográfica.
Š2001 Lily Chou-Chou Partners
6” Mabel Palacín 6” es un filme destinado a ser un libro. El título hace referencia a la duración del film Zapruder, película de 8 mm de Abraham Zapruder, tomada en Dallas el 22 de Noviembre de 1963, en el momento de los disparos al presidente J. F. Kennedy. La película fue empleada como un reloj para determinar la cronología de los hechos desde el primer al tercer disparo. Tal y como la artista explica, le interesa el hecho de que el filme Zapruder inaugura la época en que las imágenes de procedencia amateur empiezan a acercarse a las imágenes profesionales para convivir con ellas, abriendo una perspectiva nueva que se puede relacionar con el punto de vista en su sentido más amplio. Las imágenes tomadas por las televisiones y la prensa, pero también por los ciudadadanos anónimos que asisitieron al hecho, fueron empleadas cono evidencia fotográfica, permitiendo reconstruir un panorama completo del lugar unos minutos antes y hasta 19 minutos después del trágico suceso. 6” es una acción contada mediante 144 imágenes, fotogramas, que permiten dilatar el tiempo y observar el espacio atendiendo a las diferentes personas y a la diferencia de luz que hay en un mismo gesto. 6”, 2005 Libro de artista 500 ejemplares 21x25 cm, 144 pp. Ed. Cru 011, Figueres Mabel Palacín Nacida en Barcelona, 1965 Vive y trabaja entre Barcelona y Milán
6” / Video still N°2
6” / Video still N°57
6” / Video still N°95
Design the Factory of Tomorrow LORENZO IMBESI SlowD is a community and a platform where designers and craftsmen are collaborating for developing, prototyping and manufacturing products, at the same time allowing small batches and local markets. With the help of digital and rapid manufacturing, SlowD aims at building a sort of disseminated factory while involving local craftsmen. After connecting designers and manufacturers, their website works as a window for displaying and selling the products to the local final customers. SlowD is telling about how the crisis of the old big 20th century industry is opening to new forms of innovation which are socially and environmentally sustainable. As many other cases, such as Ponoko, Shapeways or Local Motors, this is the indicator of a new economy mixing together new technology, creativity, DIY, makers and local manufacturing on demand. It is not the product to be innovative in itself, but the way this is developed and the number of actors involved. Since we are witnessing the historical decline of the large manufacturing companies, a new form of organization is opening the process of design and production into new and creative spaces for working. The “personal” capitalists in design are able to self-organize and
network individually, as knowledge and creativity emerge as strategic levers and an added value for the new technologies to co-create innovation and develop autonomous experiences of production. Personal factory and personal capitalism come to be the result of a democratization process of the production technologies and the design tools. In addition to designing the product, the creative professional is involved in the management of the process and the organization of production itself. As a result, the shift is also involving the role and even the status of the designer in contemporary society: if the digital tools are more available and affordable than ever, design ceases to be an elitist profession, to become a ‘mass profession’. The designer is no longer alone in the middle of his office, erected as the creator shaping the future world, rather he is networking with a number of heterogeneous actors, taking advantage of every opportunity offered by the new media, and finally drawing the shape of the future open industry. This is not to evoke the ghost of the Arts and Crafts before Taylor, rather to imagine the new industry after Taylor. It is not the local against the global, nor the slow against the speed,
neither the handcrafted against the mass production: on the contrary this is a new idea of development displaying what is the direction of the new post-Fordist production systems and small series, matching open source, customization, and crowd-sourcing. If the Fordist-Taylorist paradigm of mass production was a vital figure for the industrial design of the twentieth century memory, the younger generations have seen and come to terms with the de-industrialization and the rise of the service sector. While their fathers and grandfathers had a role in the “assembly line”, in close contact with the manufacturing processes providing them goals and stimuli, instead the children and grandchildren are getting acquainted with the fluidity of the new tools of the project and have become aware of their new role of strategy and service to innovation. The tools and the techniques of design are changing along with the practices: the digitalization process permeates every segment of the professional activity, scanning times and actions and thus reducing the entire design development to the production and process of information elaborated by knowledge and creativity at work. The computer becomes the working tool
par excellence which is able to create new forms of expression, out of the recognized boundaries. Micro-factories and personal capitalism in design are developing the new wave of the distributed economy of the FabLabs, which are infrastructured as a digital network for the development of complex bottom-up projects. The FabLabs are the places for co-working and facilitating the process of design: knowledge is finally horizontally shared and made in common as an accomplished utopia. Lorenzo Imbesi is an architect, PhD and Professor of Industrial Design at Sapienza University in Rome. He lives and works in Rome.
Designer upload their projects you buy the project at slowd.it the SlowD artisan closest to you make it
industras lentas Industrias Lentas es un taller dedicado al mundo de la gráfica y la edición, donde se mezclan aspectos de la imprenta tradicional con otros procesos más actuales, aplicando el más idóneo para cada proyecto en particular. Nuestro contacto con las diferentes técnicas de impresión manual y el mundo de la edición viene de lejos. Poco a poco fuimos adquiriendo e incluso fabricando nuestros propios medios para poder hacer aquello que nos planteábamos, aunque más de una vez nos hayan tomado por locos. Recogíamos maquinaria sin tener espacio físico donde guardarla, amontonábamos resmas de papel sin un fin concreto e incluso encargamos a un tornero una prensa vertical que ni siquiera él mismo sabía si funcionaría… Toda esta locura nos ha llevado a dar otro pequeño paso y adquirir una Hispania tipo Minerva para poder montar este taller. Seguimos buscando nuevo material del que adueñarnos para continuar con nuestro modesto proyecto. La velocidad de la máquina supone nuestra propia revolución industrial. Sin embargo se trata de seguir cuidando cada ejemplar como si fuese único: Lento, pero seguro. Industrias Lentas es un proyecto dirigido por Marta Pina surgido en 2012 con base en Valencia, España www.industriaslentas.com
CODERDOJO Alfredo calosci Un’esperienza di fare collettivo contro di esperienze tra le varie iniziative si sta l’obsolescenza del consumo Medialab consolidando. Fra i Dojos, raccontiamo Prado di Madrid quello promosso da MediaLAB Prado di Madrid Il fare collettivo come possibile via d’uscita da una spirale consumistica dove il Il compito che si propone un CoderDojo tempo non è che un calendario fatto di non è scontato: imparare la programmalanci, sfruttamento e obsolescenza dei zione può infatti apparire come un’attiprodotti. Se il consumo è diventato un vità poco avvincente per studenti di età mezzo per la definizione dell’identità, compresa tra gli 8 e i 12 anni. Uno degli in una costante riproposizione del de- escamotage meglio riusciti è stato offrisiderio e della sua soddisfazione, allora re sessioni di sviluppo per Minecraft, un la restituzione di un valore esistenziale videogioco dall’apparenza retro, costiall’atto creativo consente di ripensare al tuito su di un codice aperto, che pensa tempo come la dimensione della costru- al multiplayer come ad uno scenario di zione e non come a uno scivolo di obso- collaborazione e non di competizione lescenza verso una scadenza. Da questa fra i giocatori. Al suo interno è possibile prospettiva, una rilettura di pensatori sviluppare nuovi scenari ed elementi di contemporanei - come Falcinelli, Bau- giochi per mezzo di un SDK aperto. man, Debord - è d’interesse l’esperienza Il CoderDojo di Madrid tenta pertanto di CoderDojo. l’occultazione di un complesso e imCoderDojo è una iniziativa nata non pegnativo programma didattico (che va molti anni fa in Irlanda che, nelle paro- dal web design, allo scratch fino al prole dei suoi promotori, si definisce come: cessing/arduino) all’interno dell’attività The open source, volunteer led, global stessa, sperimentando quindi una forma movement of free coding clubs for young indiretta di apprendimento, nell’idea che people. Un movimento globale, promos- imparare possa risultare come un gradito so e diretto da volontari, senza scopo di effetto collaterale. lucro, per insegnare gratuitamente a un È interessante constatare la naturalità pubblico giovane a programmare in un con cui studenti così giovani si avvicicontesto di codice aperto. Attualmente nano ai linguaggi formali, che possono esistono più di 380 Dojos in 43 paesi: la apparire rigidi e poco intuitivi se conrete è in continua crescita e lo scambio frontati alla versatilità dei linguaggi co-
muni. Ciò nonostante i ragazzi assumono, senza pregiudizi di sorta, il concetto che grazie alla definizione univoca dei linguaggi formali è possibile realizzare, fare o far fare delle cose. In questo senso possiamo dire che il mondo della creatività sarà sempre più popolato da profili bilingue. CoderDojo è un’iniziativa riproducibile. Non c’è alcun bisogno di reinventare la ruota: nell’ esperienza di Madrid vengono sfruttate risorse già disponibili, ma sono assolutamente necessari uno spazio adeguato e una istituzione catalizzante per consentire la formazione di una comunità educativa. Alfredo Calosci, architetto Lavora a Madrid come visual and interaction designer
WhatsApp interview / Riccardo Benassi BY GABRIELE TOSI
Riccardo Benassi, 1982 Vive e lavora a Berlino
www.365loops.com/
Tiempos (hiper)Modernos magdalena ramírez El tiempo y el espacio como motivo dio para revertir pautas, directa o indirectamente, sin dejar de ser consciente de simulación de exposición. del momento actual. Hay otras maneras Actualmente, las formas de comunica- de expresarse, de modificar la tendencia ción virtuales han modificado nuestro global unificadora y aumentar los niuso y apreciación del tiempo. No es ilu- chos de diversidad; de crear sin reciclar soria la idea de «vivir» en diferentes uni- o apropiarse de lo ya hecho porque no versos paralelos, con lapsos pautados en todo está ya realizado, siendo igualmencada uno y que esta vida multidimensio- te cáustico y teniendo una mirada crítica nal sea retransmitida, automática y glo- respecto al tiempo y el espacio en los balmente, por y para todo tipo de redes. que vivimos. Exprimir la vida por un lado y clamar por otro una pausa a fin de organizar el Simulando una exposición, en El Camialud de información y su consumo, ade- no hacia Fuera es el Camino hacia Denmás de necesitar un «tiempo para noso- tro, una intervención en el casco urbano tros». Se entremezclan máximas para de Gijón con 20 fotografías, Darío Mar«parar y pensar» con fondo de puesta de tínez (Gijón, 1983) juega irónicamente sol junto con fotos instantáneas en un con el deseo del «urbanita» estresado frenesí documental del individuo. Son, de huir del entorno hostil en el que se según Lipovetsky 1, las dos caras de la ha convertido la ciudad y reencontrarse «hipermodernidad». con la naturaleza; ese anhelo olvidado vuelve en forma de fotografía hallada en Con todo esto, ¿qué pauta espacio-tem- el trajín continuo, no con ánimo hiriente poral adopta el arte? ¿Cómo refleja el sino con intención de dar un momento mundo? de respiro, un pararse a contemplar en el camino algo que, con la misma acción Partiendo de la dualidad de la fotografía de percibir, ya está cambiando el ritmo por su concepción de testigo en un tiem- automático diario. po y espacio dados y la sobresaturación Albert Gusi (Castellbisbal, 1970) actúa de imágenes actual, se define una acti- sobre el espacio-tiempo con Caminar tud resistente, combativa incluso, fren- en rodó mediante itinerarios circulares te a los postulados de la posfotografía pedestres en diferentes localizaciones 2 : la fotografía todavía sirve como me- en Cataluña que se descargan en una
web de excursionistas (www.es.wikiloc. com). Son itinerarios con sentido político, paisajístico, contemplativo o incluso de cambio en una actividad repetitiva (alternando entre un camino y el campo) per se. De manera sutil, el artista subvierte el sentido de caminar sin llegar a ninguna parte aunque dejando una huella cada vez más patente, dotándole de un nuevo significado de contemplación (una meta en sí misma), infiltrándose en otros espacios (la web de excursionistas) y transvirtiendo el sentido obsesivo que, también, domina la vida cotidiana. Soledad y Despacio de Ana Nieto (Vitoria, 1978), imágenes de su serie Love Story muestran los pasos de un affaire mediante signos y mensajes urbanos; cómo interpretamos todo lo que vemos según lo que nos ocurre a nivel personal. Los símbolos nos llevan tanto a una reflexión como a un abismo, en los actos casi inmediatos de leer y mirar. La fotografía de Andrés Medina (Madrid, 1978) nos traslada a un árido y voraz paisaje donde las motos derrapan por un camino serpenteante. Pertenece a su fanzine Tránsito, donde se suceden encuentros con lo inesperado, lo cruel, lo bello, lo orgánico y lo artificial, mediante una búsqueda de las huellas humanas en lo que se supone un paisaje virgen fuera de la ciudad. Un tratado
completo de la hipermodernidad reflejado “a la antigua usanza”, puesto que Medina trabaja e formato analógico. La femme géante es un ambrotipo sobre vidrio transparente realizado por Israel Ariño (Barcelona, 1974) dentro de su serie Les revenants et d’autres esprits crieurs. La contraposición de una técnica del s. XIX, que requiere un tiempo dilatado de pre y postproducción de la fotografía pero muy preciso durante la toma, así como la excepcional textura y calidad que permite el proceso, se une con un interés especial por mostrar imágenes evocadoras de un tempo y espacio mental propios del autor, donde todo y nada puede ser real. Epílogo En este recorrido, inverso en el tiempo pero anclado en el presente, enfrentándonos a la cultura actual donde la uniformidad engulle y, según la define Bauman 3, sirve al mercado del consumo orientado a la renovación de las existencias, quizá convendría parar realmente, darnos la vuelta y echar una mirada incluso más atrás; Fournier 4 promovía el siguiente menú económico para 100 personas en un falansterio: 7 sopas diferentes; 7 tipos de pan y vino; 7 entradas graduadas con 21 variedades;
7 asados y 7 ensaladas de diversas clases con 21 variedades; 14 postres de diversas clases con 42 variedades. Proponer y promover el disfrute de la variedad artística, de la capacidad de elección sin necesidad de adherirse a una determinada corriente estilística y de una pausa, aunque solo sea para poder comer a gusto. La sociedad de la decepción. Entrevista con Bertrand Richard. Gilles Lipovetsky. Ed. Anagrama, 2008. 2 Por un manifiesto posfotográfico. Joan Fontcuberta. 3 La cultura en el mundo de la modernidad líquida. Zygmunt Bauman. Fondo de Cultura Económica, 2013. 4 Valor educativo de la ópera y la cocina. François Marie Charles Fourier. Ed. Trea, 2008. 1
Israel Ariño La femme géante, de la serie Les revenants et d’autres esprits crieurs, 2013 Cortesía del artista Magdalena Ramírez, es gestora de proyectos de investigación y arte Vive y trabaja en Barcelona, España
Darío Martínez El Camino hacia Fuera es el Camino hacia Dentro, 2012 Documentación de la intervención urbana en Gijón (España)
Ana Nieto Despacio, de la serie Love Story Cortesía de la artista
Andrés Medina S/T #54 del fanzine Tránsito, 2013 Cortesía del artista
Albert Gusi Caminar en círculo en la Plaça de Catalunya de Barcelona, 2012 Cortesía del artista
MISSISSIPpI SARA DOLFI AGOSTINI Il tempo di un’opera, in arte contemporanea, è considerato una prerogativa di chi lavora con il video e la performance, di chi costruisce narrazioni e lo fa in modo dichiarato, attraverso la scelta di un linguaggio espressivo la cui temporalità è condizione stessa di esistenza. Ma il tempo di un’opera è anche la velocità a cui noi consumiamo quell’opera, e lo iato tra opere temporali e non temporali è amplificato nel mercato, dove ancora oggi vige una rigida distinzione tra ciò che è - sulla carta - commerciale e quindi non temporale, e il resto. Ma cosa succede se si prova a mettere in crisi questo principio di classificazione? Se si prova a restituire alle opere d’arte una temporalità slegata da criteri di produzione e di consumo? L’esperimento è in atto alla Gamec di Bergamo, nella mostra collettiva a cura dell’americano Sam Korman, che ha inaugurato il 2 ottobre in uno spazio vuoto del museo. Il titolo è Mississippi, a evocare l’immagine di un fiume iconico della letteratura americana, scelto da Mark Twain come locus di un’avventura picaresca di due personaggi, Huckleberry Finn e il suo compagno di
viaggio Jim, in fuga da convenzioni, griglie sociali e una visione del mondo che non li rappresenta. Il curatore e gli artisti invitati - Jacob Kassay, Elaine Cameron -Weir e Josh Tonsfeldt - si sono imbarcati metaforicamente su una chiatta, che poi sarebbe la galleria vuota messa a disposizione dal museo, e scorrono su una massa liquida di pensieri, materiali, strumenti concettuali e tecnici per i prossimi quattro mesi. Il processo di costruzione della mostra si svela allo spettatore, dichiara la sua temporalità; e non lo fa all’interno di un contesto time-based, come si definiscono i contenitori curatoriali dedicati alla performance (un esempio: Performa a New York), o anche teatri, palcoscenici e semplici ambienti adibiti a ospitare un evento artistico. Anche il riferimento alle operazioni concettuali e minimaliste degli anni ’60 e ’70 è approssimativo, perché questi artisti si esprimono ridefinendo i codici di linguaggi ed estetiche tradizionali, come pittura e scultura, con un’attenzione all’oggetto, alla materia e alla questione della rappresentazione. Ciò significa che l’opera non è site-specific, nel senso che non
è influenzata dalle condizioni al contorno del luogo che la ospita: ma la mostra cambia, e cambia perché vi è un’interazione tra le modalità espressive degli artisti e l’intento del curatore in un modo non prescrittivo. Il dialogo è costante e collettivo, e si arricchisce nel tempo di due contributi: quello del designer David Knowles, che si unirà alla conversazione per realizzare un catalogo del progetto, e del visitatore, che entra, esce e torna nello spazio espositivo. Il sistema dell’arte oggi tende a qualificare le opere d’arte secondo una rigida tassonomia, per cui – semplificando – gli oggetti si comprano, mentre video, performance, happening si vivono. Ci sono le dovute eccezioni, come le opere di Tino Sehgal, dove queste due dimensioni si incontrano proprio in virtù del fatto che il documento visivo o testuale (si pensi rispettivamente a Christo e Jean Claude, e Ian Wilson) è estromesso dall’operazione commerciale, e lo scambio tra artista e collezionista si riduce al passaggio di mano di una certificazione di autenticità. Così gli oggetti, vincenti sul piano del mercato e quanto mai necessari alla sussistenza del sistema, non vengono
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fruiti nell’ottica di un’esperienza, nello spazio che li accoglie e con il visitatore che vi interagisce. E i musei sono percepiti come mausolei più che luoghi di relazione tra arte e vita, una relazione appunto fluida che si sviluppa nel tempo e attraverso gli oggetti.
Mississippi fa da contrappunto a questa visione diffusa e accettata dagli stessi operatori di settore. Perché come diceva l’artista di Fluxus Robert Fillou, e mi ricorda Sam Korman durante la nostra conversazione, “l’arte è ciò che rende la vita più interessante dell’arte”.
Sara Dolfi Agostini Curatrice e giornalista Vive e lavora a Milano
NYR Collection NYR Collection is an editorial project in direct collaboration with artists and curators. We reinterpret their previous projects creating prints or books. In this project we want to try to explore the space of a page as a possible form of two-dimensional exhibition. Generally, we work with people and contents that we have been already worked with for a deep focus on their practice. The first publication of NYR Collection is: 6â€? a project directed and edited by Mabel PalacĂn Make your own book! http://notasyreflexiones.com/6-mabel-palacin/
interview / Jan Nálevka by Gabriele Tosi A lot of your artwork deals with the concept and the form of standard sized objects. I’ve noticed that the formal standardisation represents a sort of symbolic emptiness. What are your thoughts about this? To a certain extent, the standard dimensions of an everyday object define our environment, the way we perceive it and behave in it. The lines on the standard size white paper help us to keep our handwriting in a direct flow, and helps fill the blank paper effectively whilst remaining readable. However, we can perceive this help as a lack of freedom, even in an extreme case - such as violence. We are not allowed to move our pen freely on the empty surface, the movement is strictly limited. This is symbolic violence, we voluntarily submit ourselves to it. I understand standardisation as a form of social organisation in the most general sense. Often, your working materials are something that you can find in any office. It could be said that the use of laptops transform an indoor space into an office. We can also say that your working materials can be found in every indoor environment...what are the consequences in your opinion?
I often work with common materials, I’m interested in the different ways they are used and how they express different meanings. They help me to describe the current situation of our society. Of course, the blue ballpoint pen and the A4 format office paper can be found in every office but also in most domestic environments. The work and private world merge together. Working from home is usually seen as a great achievement of today’s society, but in some measure we sacrifice too much of our spare time for work. The question is: do we still have any free time for ourselves? In 2011 you used a blue ballpoint pen, or probably a lot of them, to draw a series of blowup full stop marks. Can you tell me something more about this work? How is it related to the idea of handmade vs industrial craft? Why did you decide the full stop? This series of drawings of extremely enlarged full stops was preceded by several other projects based on processual blue ballpoint pen drawings. What was important for me this time was the contrast between the length of time taken to produce each drawing and the meaning of the full stop itself. I used a standard drawing cardboard
150 cm in width, the final format of the paper was 150 × 170 cm. There is always one enlarged full stop in the middle with a diameter of 110 cm, it’s a circle completely filled with lines created by a ballpoint pen. The full stop in handwriting is just a subtle touch of a pen but I spent a lot of time making just one. In a sentence the full stop is a character that means “the end”. A huge full stop means stillness, this is represented symbolically as well as practically, and it works as a description of the process of its creation. The drawing is abstract but at the same time is a symbol with its own meaning which is also the shortest possible text. Similarly, the blue ballpoint pen is the most common writing instrument. After the full stop another sentence begins and from this point of view one can – somewhat paradoxically – perceive the full stop as a symbol of a new beginning. Could it be said that, “The thoughts of modern sculptors” (2013) is a work about standardisation, dealing with the idea of past and the possibility of the future? The source of this work was the book Myšlenky moderních sochařů (The Ideas of Modern Sculptors) published
at the beginning of the 1970’s. During this particular period in Czechoslovakia, this book was an important publication about the beginning of the modern Western sculpture. First, I photocopied the whole book in black and white using the standard A4 office paper format. Then I lined every sheet with the blue ballpoint pen, copying the standard pre printed lined A4 format paper. The resulting linear structure may be interpreted as purely practical and utilitarian, but it also evokes a late-modern geometric abstraction. In fact, the drawings have two layers, the photocopy is overlaid by the manual drawing. The paper which was initially covered by the photocopy of the book is now covered again by the drawing, in a similar way printed paper is sometimes reused in the office. However, the standard lined paper might be perceived again as empty, the utilitarian lined is open to the possibility of new text. Therefore, the redefinition / rewriting of modernism becomes the main theme of this work. In “We can loose everything but not time” it took you a while to replicate the series of standard lined office paper ... are you trying to say that we can no longer perceive time in emptiness?
This work is the first part of the initially unplanned trilogy of the blue ballpoint pen drawings on the A4 format office paper. I lined six packages of the white office paper, each package including 500 sheets, using the blue ballpoint pen. I wanted them to be as indistinguishable from the standard lined paper as possible. The result was 3000 identical drawings that imitate the pre printed papers. From the practical point of view, their handmade feature and their quantity seem entirely purposeless. What is the point of producing laboriously something that already exists and that can be bought cheaply? But this work should not be perceived just from a utilitarian viewpoint: it can be interpreted in the context of geometrical abstraction. Alternatively, since they are handmade each drawing can be perceived as a unique original, they just can’t be identical. An important question is: after all those hours of work, are the sheets filled up with drawings, or can we consider them empty? Lined paper can be perceived as empty, the lines only organise the empty space. Therefore time can be seen as a prominent theme in this work, especially the loss of time and the value of labour in our current society.
Would also like to add that... 2010, drawing with a blue ballpoint pen on A4 office paper, 1050 pcs photo: Kamil Till
Jan Nálevka Born in Jablonec nad Nisou Lives and works in Prague www.jan.nalevka.sweb.cz
The Thoughts of Modern Sculptors 2013, photocopy, blue ball-pen drawing, office paper, format A4, 302 pieces photo: Martin Polรกk
n°4 / Wile E. Coyote, how do you do? In this number
Mario Pireddu Pilvi Takala Edúkame / Sandra Moros SIDES Cristina Lucas Jose Montaño Mabel Palacín Lorenzo Imbesi Industrias Lentas Riccardo Benassi
magdalena ramírez SARA DOLFI AGOSTINI Jan Nálevka
www.notasyreflexiones.com PRINT ON DEMAND / info@heretique.it Appunti e riflessioni / Notas y reflexiones