Hermes - Aprile 2015

Page 1

Aprile 2015 Anno III Numero XI


Sommario 3 4

6 8 9 10 11

2

12 13 14 15

Sommario

Medicina

Doctor Dog

Di Elena Brunori

Attualità

Expo 2015

Di Margherita Barzagli e Flavia tossi

Attualità e Storia

L'autostrada della seta Di Niccolò Garbarino

Psicologia

Il mio colore preferito è il rosso Di Giulia Colli

Tecnologia WEB

Di Vieri Raddi

Esperienze di vita

Parole d'oltreoceano Di Matilde Barucci

Rubrica di letteratura Pagine in sequenza Di Elisabetta Adamo

Scrittura creativa Il bel paese

Di Costanza Mannini

Curiosità Che mondo sarebbe senza Nutella?

Di Ginevra Baratta

Curiosità

What's on?

Di Ginevra Baratta e Niccolò Garbarino

Giochi Cruciverba Rockettaro Di Fox

Libertà I fiori dell'Aprile '45

Di Manfredi Pinzauti IV B In questo terzo numero voglio perdermi nel passato tornando indietro di settant'anni. È la primavera del 1945, quando insieme ai fiori di pesco inizia a fiorire la speranza di poter essere finalmente liberi dallo spietato invasore nazista. Dall'Otto Settembre 1943, giorno dell'armistizio con gli Alleati, è passato un anno e mezzo o poco più, un anno e mezzo macchiato dal sangue di chi aveva avuto il coraggio di alzar la testa davanti alle atrocità del fascismo che, per la gloria della patria o forse d'un solo uomo, aveva fatto dell’Italia un paese stremato da diciott'anni di dittatura durante la guerra più violenta mai affrontata. Chi combatteva non lo faceva soltanto per la libertà che da oltre un ventennio veniva calpestata. Chi combatteva, combatteva anche per l'uguaglianza uccisa a colpi di colonialismo, la cultura straziata e assoggettata alle necessità di un regime, la dignità umana piegata a fucilate nelle esecuzioni dei dissidenti. Si combatteva per quei valori che rendono l'uomo umano. Cos’è cambiato adesso? Ognuno di noi è senz'altro libero di scendere in piazza e urlare al mondo quel che pensa, senza avere il timore di ritrovarsi bendato davanti a un plotone d'esecuzione. Ognuno di noi può godere di un'arte libera da ogni vincolo dettato da un governo. Ognuno di noi può apprezzare pienamente la bellezza che ha intorno quotidianamente. Eppure troppo spesso ignoriamo i frutti della Primavera del ‘45, perché impegnati a riposarci sugli allori pensando alla nostra 'libertà' o forse troppo presi dai discorsi dell'ennesima persona che va predicando l'odio. Ricordiamoci che il potere di cambiare la situazione in cui ci troviamo è nostro e nostro soltanto, e che solo grazie ai valori per cui è scorso così tanto sangue possiamo esercitarlo. Riscopriamo (è esortativo) la gioia di ragionare, discutere, agire, liberiamoci dal disinteresse che ci sta sommergendo, facendoci affogare nell’egoismo, partecipiamo. Perché solo usando la libertà donataci potremo, un giorno, esser davvero liberi.


Doctor Dog

Il fiuto del cane al servizio della medicina

Di Elena Brunori V C

È il migliore amico dell’uomo, ma potrebbe diventare anche il nostro miglior medico. Stiamo parlando ovviamente del cane, il cui sviluppatissimo olfatto è in grado, se correttamente educato, di riconoscere diverse patologie metaboliche come diabete, morbo di Addison e narcolessia, ma anche molte tipologie di cancro, come quello al seno e alla prostata, e di avvertire in anticipo l’arrivo di crisi epilettiche e ipo o iper glicemiche. Fantascienza? No! Non c’è infatti da stupirsi se si pensa che il cane possiede in media circa 220 milioni di recettori olfattivi nel naso (noi ne abbiamo solo circa 5 milioni) e una mucosa olfattiva con una superficie totale di circa 150 cm quadrati contro i 2,5-4 cm quadrati dell’uomo. Inoltre i tessuti cancerosi, a causa del loro particolare metabolismo, hanno un odore particolare che si manifesta precocemente anche nel fiato e nelle urine dei pazienti. Per questo, grazie alla straordinaria qualità, accuratezza e precisione il fiuto canino, impiegato da tempo con successo anche in molti altri campi di utilità (ad esempio per la sicurezza e per la ricerca di persone, di esplosivi e droga) può individuare ed identificare odori talmente impercettibili, rivelandosi fondamentale nella ricerca scientifica e anche una svolta nella pratica oncologica. Tutto nasce nel lontano 1989, quando sulla rivista “Lancet” viene descritto il caso di una donna britannica allertata dal suo cane Dalmata che continuava ad annusare un neo sulla sua gamba per diversi mesi. La donna decise così di farsi controllare e ne fu riconosciuta la natura maligna. Diagnosi: melanoma. Mentre in Inghilterra l’utilizzo del “naso” dei cani è una realtà consolidata, in Italia la sperimentazione è agli inizi, ma esiste l’importante opportunità offerta dalla legislazione (Accordo Stato-Regioni, Ordinanza Ministeriale 11-2009) che invita le strutture sanitarie ad accogliere gli IAA (Interventi Assistiti dagli Animali) aprendo in questo modo, fra l’altro, la porta alla Pet Therapy. Esiste inoltre il progetto “Medical Detection Dogs Italia Onlus” (“MDDI Onlus”), associazione che sostiene l’impiego dell’animale al fianco del medico nella diagnosi del paziente. “L'associazione non vuole sostituirsi alle metodiche tradizionali nell'individuare le patologie, ma offre uno

strumento ulteriore di screening non invasivo”, hanno spiegato gli esperti durante un convegno. L’intero progetto nasce dall’incontro e la collaborazione di studiosi italiani con gli esperti inglesi della “Medical Detection Dogs” ("MDD"). I vari studi in corso, oltre che nel Regno Unito anche in diversi altri Paesi (Giappone, Francia, Germania, Stati Uniti) hanno confermato che i cani sono in grado di individuare tumori e altre malattie metaboliche con una attendibilità superiore al 90%, più di alcuni markers tumorali, come ha spiegato il vicepresidente dell’associazione MDDI. E per l’occasione del convegno è stata svolta una prova pratica con due cani addestrati, Daisy e Lucy, che hanno fiutato 6 campioni di urina, disposti in maniera diversa, individuando sempre quello proveniente da una persona malata di tumore. In Inghilterra si sta attualmente tenendo il corso dei nuovi addestratori italiani, e una volta pronti toccherà ai quattrozampe essere istruiti, sono tre Labrador, un Border Collie, un bracco tedesco e un Malinois e finalmente potrà partire anche in Italia la pratica che sarà volta ad una rapida e non invasiva individuazione di patologie umane che affliggono tutti, ponendo l’attenzione verso le categorie più deboli quali bambini, malati, anziani e disabili. Ma adesso passiamo a conoscere da più vicino questi nuovi dottori scodinzolanti. Uno di loro è Frankie, un incrocio fra un pastore tedesco e un segugio. Nel naso ha un vero e proprio “radar” in grado di captare i tumori alla tiroide. Infatti è riuscito a dare una diagnosi corretta in 30 casi su 34, mostrando così un tasso di successo dell’88%. Frankie è stato addestrato a sdraiarsi quando fiuta l’odore del cancro alla tiroide in un campione o ad allontanarsi se invece non rileva niente. Ma un altro piccolo eroe è Polo, un labrador nero di 4 anni che trascorre la notte a vegliare la sua piccola padroncina di 12 anni affetta da una grava forma di diabete di tipo 1. Se i livelli di zucchero nel sangue della bambina hanno un significativo abbassamento o innalzamento mentre dorme, Polo recupera un osso giocattolo (il suo segnale speciale) e lo spinge in faccia ai genitori fino a svegliarli. E loro sono solo due fra i tanti cani che ogni giorno ci confermano l’importanza che Fido ha nelle nostre vite!

Medicina

3


Expo 2015

Istruzioni per uso e consumo del vostro giro del mondo in 24 ore

Di Margherita Barzagli e Flavia Tossi IV B

4

Ormai sono ovunque i cartelloni e le pubblicità che ricordano il suo inizio sempre più vicino, ultimamente si sono aperti numerosissimi dibattiti sui più svariati argomenti che la riguardano; gli sponsor mostrano in ogni dove la loro adesione ad una manifestazione di così grande portata… insomma, di questa Milano Expo 2015 non possiamo proprio ignorare nulla! Chi però non si è lasciato far persuadere dai molteplici richiami di questo evento, o comunque chi ultimamente ha vissuto in un bunker di Rocci, calcolatrici e libri e non sa niente dell’Expo -oltre ad avere tutta la nostra comprensione- sappia che non ha niente da temere: alla fine di queste pagine si sarà rimesso in pari su tutto e sarà pronto per prenotare un biglietto per Milano. Innanzitutto la parola Expo è un’abbreviazione dall’inglese exposition che vuol dire ovviamente esposizione, in questo caso da intendersi come mostra internazionale. L’effettiva prima volta in cui ci fu una di queste “vetrine per città con tema” fu nel 1851 a Londra, precisamente ad Hyde Park e fu voluta dal Principe Alberto, marito della Regina Vittoria e da altri membri della Royal Society; furono oltre 40 i paesi partecipanti. Durante questa Expo l’Inghilterra permise alle altre città di mostrare le migliori merci che erano capaci di produrre. Questa nuova idea fu accolta con grande entusiasmo da tutte le aderenti e anche nelle edizioni successive furono molte le Expo che tornarono a fare riferimento ai valori che in quella prima edizione furono ben marcati: arte, educazione, commercio e relazioni internazionali. Da Maggio a Ottobre Londra fu quindi al centro dell’attenzione e i più importanti aspetti della società dell’epoca con lei. La seconda esposizione universale fu quella di Parigi, che si aprì nel Maggio del 1855 per chiudersi sei mesi dopo. Con quell’Expo la Francia voleva dimostrare non solo di raggiungere, ma anche di poter superare l’Inghilterra sotto ogni aspetto. Basti pensare al fatto che costruirono addirittura un palazzo apposito, il Palais de l’industrie, per rivaleggiare la loro potenza contro il londinese Palazzo di Cristallo. Non solo, il regnante Napoleone III fece una selezione di vini prodotti a Bordeaux; solo i migliori sarebbero stati offerti ai visitatori di tutto il mondo. Per farla breve, anche la nota città d’Oltralpe si impegnò quanto più

Attualità

poté per dare il meglio di sé davanti al mondo, nonostante al giorno d’oggi il solo monumento rimastoci sia il Teatro du Rond-Point agli Champs-Élysées (la successiva esposizione parigina del 1889 ci ha lasciato la più famosa torre del mondo… Esatto, sto parlando della Tour Eiffel!). Dopo la capitale francese fu la volta di Manchester, poi ancora di Melbourne, in Australia, e così via, a rotazione, le più note città del mondo si preparavano ad accogliere moltitudini di persone, aprivano le porte al turismo sfidandosi tra loro nella qualità generale dell’esposizione. Nel 1928 nasce il Bureau International des Exposition, ovvero l’organizzazione intergovernativa che gestisce le esposizioni universali ed internazionali. Quest’organizzazione entrò in funzione ufficialmente in occasione dell’Expo del 1970 di Osaka; inizialmente il suo era un ruolo amministrativo, ma col tempo si è evoluto diventando un supporto per offrire esperienze professionali per le materie delle esposizioni, ma partecipa anche alla promozione delle stesse. Negli ultimi tempi ha assunto anche il dovere di mediatore fra i vari stati partecipanti, tiene le redini di tutte le organizzazioni aderenti alle Expo, decide la frequenza in cui vanno fatte queste ultime e si impegna a garantire qualità e rispetto delle leggi internazionali. E' insomma un grande organo amministrativo. Spesso infatti le città ospitanti della manifestazione si sono trovate davanti a grandi difficoltà e talvolta hanno dovuto rinunciare al mettersi in mostra. Era il 1998 quando l’Australia fu costretta a passare il testimone: la precedente Expo del 1992 era stata talmente eccezionale (raggiunse quasi i 42 milioni di visitatori), da indurre il Paese a dichiararsi non economicamente in grado di prepararsi ad un evento di tale portata. Invece a Roma, correva l’anno 1942, l’esposizione non iniziò mai. Era in corso la Seconda Guerra Mondiale, e l’intero quartiere dell’EUR (sigla che sta per Esposizione Universale Roma) fu usato solo dopo la sua fine. Molte altre città, per prepararsi al meglio ad essere osservate da tutto il mondo, hanno creato, reinventato, modificato da cima a fondo interi quartieri. Il record per i cambiamenti più significativi del territorio e per le più grandi spese lo vince l’Expo 2010 di Shangai, che rientrando nello stereotipo di città cinese abituata a dare il massimo, rifece totalmente gran parte della


città rimanendo all’interno del tema scelto (che era “better city, better lifes”), e addirittura sfruttò l’occasione per urbanizzare al meglio l’ormai sovrappopolata città. Adesso che abbiamo chiarito, almeno in parte, la storia di come sono nate queste manifestazioni, concentriamoci su ciò che ci aspetta tra poco più di un mese a Milano. Questa sarà la seconda esposizione universale che vedrà il capoluogo lombardo come protagonista: nel 1922, infatti, Milano ospitò l’expo riguardante i trasporti e si ricavò uno spazio sulla vetrina mondiale come città all’avanguardia. Ovviamente quest’anno non sarà da meno, anzi, il tema scelto, cioè quello dell’alimentazione e del consumo sostenibile delle risorse, ha dato spunto per la realizzazione di opere realmente degne di nota e per la progettazione di un vastissimo numero di eventi entusiasmanti sia per i più grandi che per i più piccoli. Dal punto di vista architettonico ogni paese nel proprio padiglione e nelle varie infrastrutture ha dato spazio alla fantasia e all’introduzione di nuove tecniche, il tutto all’insegna della massima eco-sostenibilità. Preparatevi a restare stupiti dai vari padiglioni per i quali sono state seguite cinque regole comuni: l’utilizzo di materiali sostenibili e riciclabili, la realizzazione di edifici temporanei facili da smantellare al termine dell’evento, un consumo energetico ridotto, grande attenzione alla cura del verde e del paesaggio, la metà dell’area del lotto occupato dallo spazio aperto. Oltre ai padiglioni e alle varie infrastrutture chiuse sono stati progettati anche un canale che circonda tutta l’area che ospita l’expo, una lake arena con una capienza di tremila persone e un open-air theater con una capienza di undicimila persone. Superato il primo stupore dovuto alla maestosità di queste opere ci si concentra sulle attività proposte che sono moltissime e varie. Oltre alle conferenze di esponenti illustri dei più svariati campi di ricerca, dalla biologia alla filosofia, ci saranno laboratori interattivi tenuti dai più grandi chef del momento e altre attività che andranno dai dibattiti alla

presentazione di cortometraggi legati al tema. Si darà grande importanza all’educazione alimentare in tutti sensi, partendo dal problema sfortunatamente attuale della fame sofferta in molte zone del mondo, fino ad arrivare ai disturbi alimentari che affliggono la società occidentale. Per dare spazio ai più piccoli invece è stato progettato un vero e proprio children park in cui i bambini potranno sperimentare i sapori e gli odori delle varie culture tramite percorsi sensoriali e laboratori di vario genere. È stata stimata un’affluenza dai venti ai trenta milioni di persone per questo evento. Milano, dunque, per sei mesi si trasformerà nella Capitale del mondo ospitando un continuo via vai di turisti e personalità internazionali. Per una volta ci troviamo nel posto giusto al momento giusto e non dobbiamo lasciarci scappare quest’occasione di conoscenza e approfondimento su un tema che ci riguarda direttamente poiché, come dice anche la voce di Antonio Albanese nel celebre spot di promozione di Expo Milano 2015, il cibo è vita e sarà nostro compito, della generazione che si sta formando, portare avanti i valori propugnati da questa iniziativa. Per concludere vorrei dire due parole sulla mascotte di quest’ultima expo: Foody è, graficamente parlando, un viso paffuto composto da svariati tipi di frutta e verdura mentre, dal punto di vista del significato etico, è la personificazione dell’armonia e della vicinanza tra culture che porta il cibo; Foody è, inoltre, accompagnato da undici simpatici personaggi, quali Piera la Pera e Rodolfo il Fico, che vengono presentati attraverso cortometraggi che potete trovare su youtube. Personalmente trovo che iniziative come questa, oltre che dare uno slancio all’economia del paese ospitante, possano essere anche portatrici di valori quali la tolleranza e l’accettazione di diverse culture. Quindi che aspettate a prenotare un biglietto per un giro del mondo in un solo giorno?

Attualità

5


L'autostrada della seta Lungo l'antica via ora c'è una colonna di tir

Di Niccolò Garbarino III B

La via della Seta, la rotta impervia che fino al XIV secolo sarebbe stata la direttrice principale di tutti gli scambi -commerciali, di ambascerie, bellici e mercantili- tra Oriente e Occidente, quell'infinita strada che collegava il Mediterraneo con la Grande Muraglia cinese attraverso più di 10 mila chilometri di steppe, pantani, deserti e altipiani, è tornata in auge. Non è più attraversata da carovane che si sottoponevano ad infinite peregrinazioni, vere odissee che potevano riempire una vita, come il viaggio di Marco Polo durato ben 27 anni, ma da una nuova linea merci inaugurata lo scorso aprile. Il corridoio di trasporti euroasiatico collega Shanghai con Duisburg in 18 giorni, passando attraverso Kazakhstan e Russia, Bielorussia e Polonia; l'obiettivo è quello di impiegare il meno tempo possibile per i grandi scambi commerciali e quello di sottrarre gli stati dell'Asia centrale all'isolamento seguito alla disintegrazione dell'URSS, i cosiddetti “Stan”. Rispetto alle navi container, che impiegano dai 45 ai 60 giorni per arrivare dal porto di Hong Kong a quello di Rotterdam, il vantaggio è evidente: per questo sempre più operatori si stanno allontanando dal trasporto via mare per tornare agli itinerari di terra. I paesi coinvolti nel progetto sono tantissimi, ma tutti si contendono, principalmente, una sola cosa: il petrolio. Il Mar Caspio è l'Eldorado dell'oro nero, bramato da tutti i leader eurasiatici; è stato Marco Polo a darcene una prima descrizione quando si trovava a Baku (oggi capitale dell'Azerbaigian), sul confine tra Armenia e Georgia. Il veneziano era rimasto affascinato da una sorgente da cui invece di acqua fuoriuscivano oli “in tanta abbondanza”, si legge ne Il Milione, “che cento navi se ne caricherebbero alla volta”. Un olio non commestibile che prendeva fuoco in un attimo e che fino a pochi decenni fa zampillava dappertutto, incatramando terreni, formando stagni, e anche enormi laghi neri: non c'era neanche bisogno di trivellare il suolo per averlo. Da oltre due millenni è oggetto di adorazione da parte degli zoroastriani, che avevano fatto di Baku l'epicentro del loro culto; pellegrini da tutto il Vicino Oriente, persino asceti indiani seguaci di Shiva, erano venuti qui nei secoli per purificarsi digiunando e pregando sui terreni sempre ardenti.

6

Attualità e Storia

Nonostante i grandi investimenti, finanziamenti e le mega speculazioni immobiliari della Banca mondiale, dell'Unione Europea, della Turchia (che beneficia direttamente del boom energetico dei traffici tra Oriente e Occidente), degli stati dell'Asia centrale e, soprattutto, di Pechino, gli Stan (Kazakhstan, Uzbekistan, Kirghizistan, Tajikistan, Turkmenistan) restano scenari apocalittici post-sovietici. Lo sfruttamento indiscriminato delle risorse ha devastato l'ambiente naturale: vecchie piattaforme arrugginite che galleggiano sulle acque chiazzate d'olio, rive incatramate, l'inquinamento che ha fatto scomparire specie animali come gli storioni, la moltiplicazione di aborti e malformazioni alla nascita, discariche di uranio e ferro, sperduti giacimenti di metano... Fortunatamente il progetto sembra partito bene: i camionisti affrontano il lungo tragitto a gruppi, per aiutarsi in caso di avarie (le temperature scendono tranquillamente a -25°), ma per ora scorre tutto liscio, attraendo le grandi multinazionali interessate all' “autostrada della Seta”, battezzata così dai cittadini dei centri urbani attraversati. Il passaggio tra Europa e Asia avviene in quei 900 chilometri di autostrade che collegano il porto georgiano di Poti, sul Mar Nero, con la città di Baku, sul Caspio, divenuta una vera metropoli dalla cittadina che era nel 1872, l'anno dell'inizio della corsa all'oro nero. Il boom ha fatto continuare a coesistere le carovane di cammelli e i riti millenari dei monaci adoratori di Zarathustra con le nuove ville stravaganti, i teatri e i casinò in stile europeo fatti edificare dai “baroni del petrolio”, con tanto di luci e telefoni. Se una volta per attraversare gli aspri monti del Caucaso ci volevano anche settimane, oggi i tir impiegano meno di tre giorni grazie all'autostrada della Seta. Attraversato il Caspio -ancora oggi al centro di dibattiti tra politici e intellettuali per decidere se esso sia un mare o un lago- arriviamo ad Aqtau, sul versante kazako, e proseguiamo nelle pianure vicine al lago d'Aral, direzione nord. Superata la città di Aqtobe, sul confine russo, l'autostrada si perde nel vuoto. Le distese di ghiaccio e nebbia sono interrotte alcuni chilometri dopo dalle fosche luci del villaggio di Khromtau, una delle tante “new town” sorte intorno alle miniere in epoca sovietica. Poi di


nuovo il nulla, il ghiaccio, la nebbia. Il Kazakhstan si estende dal Caspio alla Cina su oltre un milione e mezzo di chilometri quadrati, con stessa superficie dell'Europa ma con neanche 17 milioni di abitanti. Si sono incontrate qui tanti e vari popoli e culture che hanno transitato nei secoli a queste latitudini: Sarmati, Sciti, Unni, Turchi, Arabi e Mongoli. Fu lo scrittore russo Anton Cechov a notare come la steppa sterminata modifichi la percezione del tempo e delle cose intorno a noi: di fronte a questa vastità egli scriveva “un piccolo essere umano non ha letteralmente la forza di orientarsi”. Anche il ricordo delle tragedie più recenti sembra svanire. Il Kazakhstan è stato il massimo laboratorio di test atomici e batteriologici, di collettivizzazioni forzate e deportazioni di massa che la perversione umana abbia saputo escogitare. Tornando a sud nella steppa innevata superiamo Aralsk, un porto che adesso, causa il ritiro delle coste del lago d'Aral, è diventata una normale città circondata da carcasse di navi; ad Est entriamo nella prima vera città dell'autostrada della Seta, Kyzylorda, un grande centro industriale in mezzo al deserto della Tartaria, con un aeroporto e un'università. Tutti i giacimenti sono stati venduti ai cinesi, col risultato che tutta la città si è trasformata in una colonia cinese, con tanto di coltivazioni risaie. Ma mancano ancora molti chilometri prima di entrare in Cina. Più a sud, tratti di autostrada sono ancora in costruzione, e ogni tanto s'intravedono drappelli di operai che lavorano noncuranti delle gelide temperature. Attraversata Shymkent, grande centro cotoniero sul confine con l'Uzbekistan, il paesaggio inizia a mutare: si intravedono le cime nevose del Tian Sahn, o montagne celesti, una grande catena di promontori che si estende tra il Pamir e il deserto del Taklamakan. Dopo il valico di Taraz, località nota per la miglior vodka del Paese, i container in viaggio entrano nella più piccola delle repubbliche postsovietiche, il Kirghizistan, terra di altipiani e ghiacciai perenni; la capitale, Bishkek, è sede del più grande e ricco mercato dell'Asia centrale, con

merci cinesi, turche, russe, thailandesi ed europee. A queste altitudini ci viene presentata una diversa panoramica dell'Asia centrale: si scorge l'enorme deserto fluttuante formato dal fiume Syr Darya, la vastità dell'altopiano turanico, i lontani tetti del Tibet. Incrociamo la strada con un monaco buddhista zen, così lontano da casa perché alla ricerca del segreto per la quiete interiore: si realizzerà sicuramente a breve, quando ammirerà i colori del tramonto sulle creste del Karakorum. Ci imbattiamo quindi sulla linea Almaty-Urumqi, grazie alla quale transitano su queste remote montagne oltre 30 milioni di tonnellate di merci l'anno. E finalmente si scorge il versante cinese, con un interporto, banche, alberghi, centri commerciali: scavallate le creste mozzafiato del Tian Shan, superato lo stupendo lago alpino del Sayram, ecco che comincia lo Xinjiang cinese. Ricca di giacimenti di gas naturale e carbone, ricca di riserve di petrolio, la regione è destinata a diventare il principale pilastro energetico della Repubblica popolare. Abbiamo ormai percorso migliaia di chilometri, ma ne mancano altrettanti per arrivare al traguardo, Shanghai: le avventure di viaggiatori ed esploratori che ancora un secolo fa rischiavano la vita per affrontare la via della Seta sono ormai solo un ricordo lontano.

Attualità e Storia

7


Il mio colore preferito è il rosso Potere ai colori

Di Giulia Colli I B

8

Infinite sfumature di colori ci circondano, per fortuna noi esseri umani percepiamo il mondo a colori, come si può fare a meno di un primaverile cielo azzurro? Non dobbiamo rinunciarci, anzi, ognuno di noi ha la capacità di riconoscere ad occhio nudo più di 2000 tonalità, però non tutti le vedono allo stesso modo. È proprio il caso del mese scorso, quando l’epidemia di “the dress” ha invaso la rete e fatto il giro del mondo in 24 ore. Sicuramente avrete sentito parlare del vestito che alcuni vedevano blu e nero e altri bianco e oro, quel vestito che ha scatenato le maggiori riviste di scienza. Infatti gli esperti non sono pienamente in grado di spiegare il perché di questa differenza; la nostra mente ci cela ancora dei segreti. L’ipotesi più valida è che la nostra percezione corrisponde a un tentativo di interpretazione del cervello. Il cervello deve decidere se prendere per buono l’oggetto così come appare o se tenere in considerazione la variabile dell’illuminazione e usarla come parte dell’informazione per capire cosa ha davanti. Ovviamente ci sono un’altra serie di fattori che incidono sul rompicapo del vestito, come il dispositivo su cui guardiamo l’immagine, l’angolazione della fotografia e il fatto che quest’ultimo si trovasse dietro una vetrina. Un processo simile avviene anche nelle illusioni. Il termine illusione indica ogni errore dei sensi e della mente che falsi la realtà facendoci percepire qualcosa che non è presente o presentandocelo diversamente. Ad esempio il colore modifica la dimensione apparente degli oggetti: i colori detti pesanti (il rosso, il blu, l’arancione) appaiono più piccoli. Per questo motivo la bandiera della Marina francese formata da strisce verticali blu bianche e rosse è costituita da bande di proporzioni diverse che osservate da lontano sembrano però uguali. Per via del rapporto occhio-cervello, ogni individuo ha una sua personale interpretazione del colore in base alle proprie esperienze di vita, alla propria cultura, alla fascia di età a cui appartiene, al suo sesso e così via. Gli eschimesi ad esempio sono in grado di riconoscere ben sette tipi diversi di bianco, mentre per noi ne esiste solo uno; per i Cinesi il bianco è il colore del lutto mentre per gli occidentali è il nero, i bambini piccoli preferiscono i colori primari, gli uomini i colori scuri e le donne le tonalità pastello. Nonostante ciascuno veda i colori in modo diverso, essi ci trasmettono sensazioni comuni. È proprio “la psicologia del

Psicologia

colore” la disciplina che studia il rapporto tra i colori e il comportamento umano. Tutti hanno dei colori preferiti e magari altri che non amano. Di conseguenza la colorazione di ciò che ci circonda influenza il nostro umore… e il nostro umore influenza i nostri acquisti! Perciò i grafici pubblicitari sfruttano molto il colore nel loro lavoro di persuasori occulti. Perché il colore è un mezzo di comunicazione, ci provoca delle sensazioni e delle emozioni, ha un forte potere attrattivo anche se spesso non ce ne accorgiamo; sono reazioni dettate dal subconscio. Il rosso, per esempio, è uno dei colori più interessanti e più usati nelle pubblicità, è un colore vitale e dinamico che trasmette emozioni forti, anche se non sempre positive. Dà l’idea del coraggio e della grinta, nonché della passione e dell’amore, ma rappresenta anche violenza e aggressività. Alcuni studi hanno dimostrato che questo colore porta il consumatore a spendere di più: non a caso è quello predominante nel marchio della Coca Cola e del Mc Donald’s. Associato al rosso, anche il giallo è il colore dei fast-food, perché se il primo serve a creare l’atmosfera gioiosa, accogliente e calda, il secondo stimola la fretta: ecco che si desidera trovarsi in un luogo apparentemente familiare, ma anche consumare in fretta per lasciare il posto ad altri. Il giallo rappresenta appunto calore, espansione, attività, vitalità, luminosità, ma è anche il colore della follia, spinge all’impulsività, per questo al supermercato le offerte spesso sono segnalate in giallo e per questo è il colore del logo del “gratta e vinci” e dei principali siti di scommesse: stacca il cervello, agisci! Anche il blu ha il suo carico di emozioni, è un colore rilassante che induce alla calma e alla serenità, ma soprattutto alla fiducia, per questo lo troviamo nei siti di carattere politico o medico come quello della Casa Bianca, dove è fondamentale la sicurezza, nelle cravatte di uomini politici in visita ufficiale o nei principali social network. Il blu compare inoltre nei prodotti caseari per esprimere freschezza e genuinità oppure nei detersivi, sempre legato all’idea di natura: il colore del cielo e dell’acqua. Quindi, che dire, ricordatevi che i nostri occhi sono sempre manipolati e che la prossima volta, quando non saremo d’accordo con qualcuno, dovremo riflettere perché non sempre la nostra percezione corrisponde a quello che veramente è nella realtà.


WEB

Rete o Ragnatela?

Di Vieri Raddi II B

Le dita mescolano parole sulla tastiera. Il pollice nuota scivolando sul touch screen dello smartphone. Differenti opinioni si librano sulle grandi onde di Internet. Il web, la rete. All’incirca 30-40 anni ci separano dalla nascita di questo gigantesco mezzo d’interazione tra la nostra semplice tasca (grazie ai cellulari) e tutto ciò che c’è là fuori. Mi è balenata in testa l’idea di dedicare un articolo ad Internet per fotografare in pochi minuti di lettura un rilevante pezzo della nostra vita quotidiana, per descrivere una realtà abituale. Perché ci appartiene, proprio come noi apparteniamo a lui, in un qualche modo. Pochi ormai non ne usufruiscono almeno una volta al giorno. L’uso che ne facciamo è irrilevante: una ricerca su Google, una canzone su Spotify o Youtube, uno sguardo alla vita “esterna” da un qualsiasi social network; e qua mi volevo soffermare. I social media nascono dal concetto di interazione tra grandi masse, l’unificazione di ogni individuo per formare un grande puzzle che facilita comunicazione e informazione. Con fragorosi scrosci di applausi sono stati accolti dalle generazioni più giovani, a cui appunto puntano i social. Dall’ormai morto Myspace, un grosso sito dove era possibile postare contenuti, tra cui video, foto o musica, alla grande “F” bianca su sfondo blu, Facebook. Credo che non abbia bisogno di presentazioni quest’ultimo, un grosso oceano di persone dietro a numerosi schermi, video, stati e foto sulle bacheche. Altri siti hanno successivamente seguito le sue impronte, come Twitter o Instagram, ovviamente creandosi un format originale e piuttosto distaccato dallo stile di Facebook. Pian piano i social network hanno invaso il trasferimento dati di ogni apparecchio che si connettesse a internet, entrando nelle abitudini quotidiane di ogni persona in possesso di un account. Il botto. L’esplosione dei social era stata appiccata. Fu una ventata di novità. Il social network dava (e dà tutt’ora, ovviamente) la possibilità di chattare gratuitamente con tutti coloro che avessero un altro account. Caricare foto è un modo fantasioso per condividere esperienze con amici e non, oltre ad essere una sorta di diario per se stessi. Scrivere stati per esprimere stati d’animo (appunto), confrontarsi con gli altri o semplicemente divertirsi è un altro dei tanti svaghi che il social permette. Un mezzo tanto comodo quanto controverso; infatti esso alimenta una serie di comportamenti che possono portare a odio, esibizionismo, invidia, o addirittura dipendenza. I

creatori hanno trovato un mezzo semplice e pratico per condividere o apprezzare un contenuto come una foto o uno stato sui vari social: il “mi piace”. Questo simpatico elemento provocato da un click è diventato una vera e propria arma di distruzione di massa, rendendo pesante e più complessa la navigazione sui social. “Tanti mi piace” uguale a “popolarità”. Un’equazione precisa nella sua semplicità. La popolarità sul web va però a formare quella bolla invisibile che circonda ognuno di noi, una sorta di livello di pregiudizio e di autostima. Per un esoso numero di mi piace l’utente medio è disposto a postare foto provocatorie, taggando magari altri utenti più famosi sul social per avere più visibilità. Questo numero può allo stesso modo dare una sensazione pulsante di inferiorità, che a conti chiusi si rivela un’idiozia perché, levatevelo fin da ora dalla testa, una persona non dipende da dei numeri su Internet. Il web non è la realtà. E neanche il suo specchio. Possiamo definirlo una realtà parallela con qualche similitudine, ma non è facile da digerire come concetto; ogni utente è portato in qualche modo all’odio, all’invidia di chi è più popolare, alla discussione con altri utenti per la vittoria della propria opinione (avendo solo uno schermo davanti al naso è molto più facile proteggere le proprie idee, anche quando sbagliate). Sostanzioso svantaggio dei social network è inoltre la dipendenza che questi provocano, il voler essere sempre aggiornati su ciò che gli altri fanno, sui propri mi piace ecc… La RETE che si trasforma in RAGNATELA. Faccio un’ultima parentesi per un social network di cui si sente parlare spesso ultimamente: “Ask”, che ti permette di rispondere a infinite domande fatte da altri utenti sia in anonimo che non. Ovviamente a ogni utente è concesso di inviare domande in entrambi i modi. L’anonimo però è spesso una brutta bestia, e non dando peso alle domande proposte è in grado di mortificare le persone più sensibili, che magari tendono a sentirsi inferiori o a disagio. E un’offesa o diffamazione da parte di un anonimo può condurre a pensare qualsiasi cosa sull’opinione che gli altri hanno di te. Tutto ciò ha portato ad una troppo lunga serie di suicidi di ragazze adolescenti o omosessuali perseguitati; per colpa di qualche deficiente che si diverte a sfottere. Il web è un mezzo troppo grosso per noi, non riusciremo mai a sfruttarlo nel modo giusto.

Tecnologia

9


Parole d'oltreoceano Mi vida en un año

Di Matilde Barucci

Sono passati cinque mesi da quando ho lasciato la mia Firenze, il tempo corre veloce e ce la sto mettendo tutta per vivere a pieno ogni momento. Chiudo gli occhi e penso alle difficoltà affrontate, alle lacrime, ai sorrisi e ai nuovi legami creati, alle amicizie lasciate, quelle trovate, ai nuovi amori. Li riapro, sono seduta sul terrazzo di casa, la maglietta a maniche corte e i pantaloncini, guardo gli uccellini dalle piume gialle volteggiare allegri nell’aria sfiorando le cime degli alti alberi di banane. Sorrido e sono fiera di poter affermare di essere parte di questo mondo. Adesso il mio cuore è diviso in due: una metà è verde, bianca e rossa, l’altra ormai si è tinta di bianco e azzurro. L’Honduras è diventata casa mia e questo paese è parte di me: le strade sterrate e la polvere, i bambini scalzi che rincorrono un pallone da calcio sgonfio, le risate dei taxisti, la doccia fredda e il rumore della pioggia contro la finestra. Questo paese possiede una bellezza nascosta che si impara ad apprezzare ed amare col tempo. Con i suoi innumerevoli cavi elettrici che quasi oscurano il cielo nel centro della città, le case coloratissime con le pareti adornate dalle pubblicità di pepsi e coca-cola, i taxi decorati con adesivi con scritto “solo dio può giudicarmi”. A primo impatto fa un po’ paura, lo ammetto, però ho imparato a cogliere le piccole cose e renderle migliori. Ho lasciato che questa nuova cultura e questo nuovo modo di vivere entrassero dentro di me, la mia vita è cambiata, è stata stravolta e questo cambiamento ha significato qualcosa di sorprendente, non sono stata mai così felice. Sto imparando a conoscere il mondo che mi circonda, a interagire con esso, ma

soprattutto sto imparando a conoscere me stessa, ad amarmi e apprezzarmi di più, ho scoperto una Matilde capace di fare delle scelte, di prendere delle decisione in piena autonomia e riflettere sulle conseguenze; imparare a condividere le preoccupazioni con la mia famiglia ospitante, affezionarmi e fidarmi di loro. Tra cinque mesi riabbraccerò i miei genitori, i miei amici e le mie abitudini: devo essere sincera, non voglio che il tempo passi così velocemente, salire su quell’aereo sarà l’azione più difficile della mia vita perché quello che ho costruito fino adesso, relazioni e legami tra persone, realizzato desideri e ambizioni, affrontato paure e difficoltà, mi hanno trasformata, probabilmente non me ne accorgerò subito e credo che con il passare del tempo sarò in grado di vederlo in modo più chiaro. Già adesso è come se smontassi singoli pezzi di me stessa per poi tentare di rimetterli insieme secondo un nuovo e naturale ordine. Sento di essere cresciuta e vivere questa esperienza mi darà una ricchezza interiore che rimarrà sempre nel mio cuore. Dall’Honduras con amore, hasta luego!

10 Esperienze di vita


Pagine in sequenza

Gli sdraiati

Di Elisabetta Adamo IV B

Alzi la mano chi è “eretto”? Quanti di noi possono dirsi eretti? Certi e sicuri di non sbagliare mai? Di fare sempre le cose giuste, di dire sempre le cose perfette e condivisibili con il resto del mondo nei secoli dei secoli? E gli sdraiati? Chi sono gli sdraiati di Serra? Sono quelli che sbagliano, che urlano, che trascinano i piedi; sono i disordinati, i disubbidienti, i nevrotici, i maleducati, gli insolenti, gli apatici, gli eternamente stanchi, insomma i giovani odierni. I giovani adolescenti non hanno le ombre che si adagiano al suolo, ma è tutta la loro persona e il loro essere che si sdraia; sono “divanizzati”, quei ragazzi che si connettono col mondo solo se sdraiati, con le dita impegnate su una tastiera, alla ricerca di domande e risposte sul web, mentre altre dita sfogliano svogliatamente le pagine di un testo scolastico e altre ancora fanno zapping tra un reality e l'altro alla tv. Masticano merendine e spargono cenere di sigarette ovunque, stando sempre sdraiati, connessi con le cuffie di un iPod e sempre meno collegati con la realtà. L'involuzione della specie o l'evoluzione della società del domani? L'autore cerca di rispondere a questa domanda attraverso la voce narrante di un padre che mette nero su bianco il suo fallimento di genitore e la conversione al concetto di “dopopadre”, insicuro su ciò che è giusto e non giusto fare, non il tipo da punizioni esemplari, non ben consapevole del suo ruolo, pensa: “ come è stato facile amarti da piccolo. Quanto è difficile continuare a farlo ora che le nostre stature sono appaiate”. Cerca di riportare ordine nella scia di caos che lascia dietro di se un ragazzo ormai diciottenne, che sembra appartenere a una “tribù” tutta sua. Come dargli torto in effetti quando parla con tono a metà fra l'incredulo e il rassegnato del tappeto pieno di pieghe e terra, del lavello colmo di piatti sporchi, con macchie di sugo ormai calcinate o padelle carbonizzate; degli asciugamani lasciati zuppi sul pavimento e i vestiti tutti ammucchiati su una sedia di cui ormai non ci si ricorda più neanche il colore, senza neanche prendersi la briga di separare la maglietta dalla felpa quando ci svestiamo, calzini ovunque, a migliaia. Serra ci definisce i perfezionisti della negligenza e, onestamente, non me la sento di dargli contro. Già dalla prima pagina sfido chiunque a non fare un sorrisetto sotto i baffi quando il padre

racconta delle sue mille paranoie perché il figlio non risponde al telefono e che sicuramente deve essersi sincronizzato con il fuso orario di chissà quale città per uscire e rincasare a orari così assurdi. Sinceramente a volte mi chiedo se mia mamma, consigliandomi questo libro, non abbia voluto mandarmi un qualche segnale. Il protagonista dunque passa molto tempo ad osservare suo figlio cercando di capire la sua natura intrinseca che non lo porta neanche ad avere il buonsenso di togliere lo sputo di dentifricio dal lavandino, senza però arrivare ad una verità consolidata. Lo guarda come si guarda un estraneo, livello di comunicazione: zero. L'unico escamotage che il padre trova per avvicinarsi al figlio è compiere insieme un'escursione in montagna al Colle della Nasca, località dove era stato da bambino. Questo desiderio si inserisce come una sorta di mantra lungo il testo ed è esilarante il climax ascendente con il quale cerca di convincere il figlio, passando da un invito delicato –Non hai idea come ti piacerebbe-, ora pressante -Non farlo per me, fallo per te!-, ora patetico – Ti pago!-, ed infine impetuoso -Ti rompo la schiena a bastonate!-. È convinto che con la complicità del paesaggio e della natura possente, scuoterà il ragazzo dal suo torpore e che nella fatica possano trovare un momento di condivisione. Le ultime pagine sono davvero belle, è quando il figlio acconsentirà finalmente ad andare che vengono alla luce tutte le incertezze e esitazioni del padre. Si chiede come gli sia venuta una tale idea, che probabilmente non si sarebbe ricordato neanche il percorso e non sarebbe stato bello come sperava. Si immagina il figlio inerme, al freddo, con i vestiti e le scarpe sbagliati e probabilmente un padre “sbagliato”. Un padre però a cui nessuno ha mai dato un libretto di istruzioni, i genitori, come noi, imparano lungo il percorso, sbaglio dopo sbaglio e forse dovremmo essere noi ragazzi per una volta a imparare a dare una pacca sulla spalla invece che puntare il dito. E quando alla fine il padre riesce a liberarsi di tutte le paure si rende conto che il destino di suo figlio gli sfugge giorno dopo giorno dalle mani, perché così è la vita e finalmente può vedere quello “sdraiato” in piedi, in alto, molto più in alto di lui, salire “con passo elastico, che esprime destrezza, sicurezza, forse felicità”. E' giunto per lui il momento di farsi da parte e invecchiare.

Rubrica di letteratura

11


Il bel paese

Come un soffio di vento, un inaspettato arrivo sconvolgerà il paese e il cuore di Silvia. . .

Di Costanza Mannini IV C

Silvia conosceva bene i proprietari di quella piccola bottega. Erano una vecchia coppia: lui, grande appassionato di classici e studioso di filosofia, era sempre seduto in un angolo della sua bottega, intento a leggere e a recensire libri di ogni genere. Aveva un animo molto profondo; era di poche parole, ma riusciva ad esprimere grandi concetti anche attraverso un solo sguardo. Vecchio sognatore e con la testa per aria, non sarebbe andato lontano senza sua moglie, Maria, che era il suo esatto apposto. Era una donna pragmatica, la razionalità fatta persona: se non le tornava qualcosa riusciva ad impuntarsi finché non la risolveva. Era quasi impossibile riuscire a dissuaderla dai suoi ideali ed era più forte di lei l'indole di fare il capo della situazione. La chiamavano "la donna di Ghiaccio”: non manifestava quasi mai affetto per nessuno, in primis per suo marito, che trattava come una specie di fedele servitore e che chiamava spesso il suo "buono a nulla" oppure “quel miserabile scansafatiche". Quello non ribatteva minimamente, le obbediva come un cagnolino, in pratica la venerava in tutto ciò che faceva. Maria al contrario di Armando aveva una straordinaria parlantina, e la sua voce acuta e sgraziata si udiva in tutto il paese, soprattutto quando criticava suo marito. Ma non tutti sapevano che quel modo apparentemente scontroso e pignolo che aveva nei suoi confronti in realtà era la sua più chiara manifestazione di affetto, l'unica che poteva permettersi per il suo carattere. Non avevano figli, ma si erano particolarmente affezionati a Silvia, l'unica bambina che si mostrava gentile e rispettosa nei loro confronti, l'unica che all'uscita di scuola passava a salutarli; loro, a volte, la accoglievano caldamente offrendole dei biscotti fatti in casa. Quando suo padre lo venne a sapere inventò una falsa accusa contro di loro: disse che erano sospettati da tempo di complottare contro il paese e in breve tempo le guardie irruppero nella bottega, prelevarono i due vecchietti e li condussero in prigione senza nemmeno processarli. Silvia assistette a tutto ciò e promise ai suoi due amici che si sarebbe presa cura della loro cara bottega. E mantenne la promessa. Così tre volte a settimana si rifugiava in quel luogo pieno di ricordi e si sentiva appagata per quello che faceva. Ormai erano trascorsi dieci anni dall'accaduto, ma il loro ricordo rimaneva sempre nitido nell'animo di Silvia.

12

Scrittura creativa

Una notte, un tuono fece tremare la sua stanza, la finestra si spalancò violentemente facendo volare per tutta la camera dei fogli che erano appoggiati sul suo comodino. Il frastuono svegliò Silvia, che ancora frastornata si alzò per chiuderla. Si avvicinò al balcone che dava sul maestoso giardino; in lontananza riusciva a scorgere il portone principale, che resisteva saldo e imponente contro al caos che si stava abbattendo tutto attorno. Irruppe nella stanza un dipendente, mandato sicuramente dal padre, che voleva essere certo che Silvia stesse bene. La trovò affacciata alla finestra, con i capelli che si scompigliavano furiosamente al vento e lei che mirava in lontananza come se stesse aspettando un segno dal cielo. La strattonò rapidamente, facendola indietreggiare di qualche passo e chiuse con forza la finestra, che continuava a scalpitare senza sosta come un cavallo rinchiuso nel suo box stanco di restare immobile, desideroso di correre via con tutta la forza che ha. Silvia si riprese e domandò cosa ci facesse nella sua camera, anche se sospettava già la risposta che avrebbe ottenuto. Ma con sua immensa sorpresa ricevette forse la notizia più lieta della sua vita: "Abbiamo ospiti". Non la lasciò nemmeno parlare che si voltò e scomparve. Silvia non esitò un secondo, afferrò in fretta e furia una mantella e corse fuori, incontro ai forestieri. Ma, non appena finì di scendere frettolosamente le scale, si trovò la strada bloccata dalle guardie di suo padre. Tentò invano di farsi strada, chiese delle spiegazioni, ma l'unica risposta che ottenne fu "Ritorni nella propria camera, non le è concesso uscire con questo tempo". Tuttavia lei sapeva più che bene che in realtà la causa era che suo padre le stava impedendo di incontrare i nuovi arrivati e che questo non era certo dovuto al clima. Questa volta decise di dare ascolto al suo istinto che le comandava di uscire, di sfruttare quella situazione di trambusto per poter scappare e finalmente vedere il resto del mondo. Si fece coraggio e tornò in silenzio in camera, sotto gli sguardi imperscrutabili delle guardie, con il chiaro intento di andarsene da quel posto quella sera stessa, convinta che niente è nessuno avrebbe potuto fermarla. O almeno, così pensava...


Che mondo sarebbe senza Nutella? Per realizzare un sogno. . . basta un cucchiaio!

Di Ginevra Baratta II B

Nel 2014 la Nutella ha compiuto cinquant'anni e, nonostante l’età, il suo successo non ha mai conosciuto crisi. Ritengo che la crema alla nocciola più famosa al mondo non sia un peccato di gola, ma un vero elisir del buonumore: il solo delizioso profumo che si diffonde nell’aria quando svito il coperchio del barattolo è sufficiente a scatenare le mie endorfine e a rimettermi in pace con il mondo. Non c’è delusione che un cucchiaio di Nutella non riesca a confortare. Non sono l’unica a sostenerlo. Questo prodigio di dolcezza, da sempre imitato ma mai eguagliato, è stato celebrato in film, opere teatrali, libri e canzoni. Indimenticabile è la scena del film “Bianca” (1984) di Nanni Moretti in cui il protagonista, lo psicotico professore di matematica Michele Apicella, affoga l’ansia in un enorme barattolo di Nutella. Dieci anni dopo Giorgio Gaber nella canzone “DestraSinistra”, tratta dall’album “E pensare che c’era il pensiero” (1994), indica la Nutella come uno di quei termini che, indelebili nel tempo, definiscono il mondo. Nel 1995 Riccardo Cassini pubblica “Nutella Nutellae” dove, in un linguaggio tra il maccheronico e il burlesco con uno stile simil-latino, sottolinea come la Nutella sia oramai un fenomeno di costume. Il successo è stato tale da essere duplicato nel 2013 con la pubblicazione della versione “Nutella Nutellae 2.0”. Questa delizia è stata creata da Michele Ferrero, scomparso da poche settimane all’età di ottantanove anni. Tutto ebbe inizio quando suo padre Pietro, data la crisi che colpì l’Italia nel dopoguerra, decise di aggiungere nocciole al cacao: il cioccolato era un bene di lusso mentre in Piemonte le nocciole erano assai diffuse ed economiche. Questi due fattori innescarono la genialità del pasticcere di Alba. In principio il prodotto venne commercializzato come un panetto di gianduia che si tagliava a fette. La rivoluzione arrivò nel 1964 quando Michele, poco meno che quarantenne, modificò la ricetta originale: da questo momento le merende dei bambini non sarebbero mai più state le stesse! Inizialmente, l’idea gli venne ispirata dagli operai della sua fabbrica: pensando che al momento della pausa pranzo

avrebbero gradito terminare il pasto con qualcosa di dolce che fosse al contempo facile da mantenere ed economicamente accessibile, recuperò gli ingredienti della pasta gianduia creata da suo padre, sostituì il burro di cacao con oli vegetali lavorati secondo un procedimento tuttora segreto, e il panetto gianduia si trasformò in crema di nocciole. Immediatamente, da grande industriale quale era, Ferrero intuì l’importanza di rivolgersi alle mamme; ebbe così inizio una poderosa campagna pubblicitaria che, nel corso degli anni e attraverso indovinati slogan, ha presentato la Nutella come un prodotto sano, nutriente e goloso adorato da grandi e piccini. Quella di Michele si rivelò anche una grande strategia di marketing: scelse un nome che richiamasse le nocciole delle Langhe “nut” abbinato al suffisso “ella” che lo rendesse dolce, orecchiabile e, addirittura, “spalmabile”; poi, per rendere il prodotto più accattivante per mamme e bambini, lo confezionò in vasetti di vetro, riutilizzabili come bicchieri e divenuti ormai un’icona. Il 20 aprile 1964, dallo stabilimento Ferrero di Alba uscì il primo vasetto esagonale di Nutella, da allora compagno di vita e conforto per mezzo mondo. Michele Ferrero è diventato uno degli uomini più ricchi del pianeta restando, nonostante ciò, una persona di grande umanità che ha dedicato attenzione ai temi della responsabilità sociale: nelle sue fabbriche gli operai sono sempre stati privilegiati e considerati parte della grande famiglia Ferrero. Attualmente la Nutella è diffusa in oltre cento Paesi e le trecentocinquantamila tonnellate di vasetti prodotte ogni anno escono da dieci stabilimenti collocati in varie parti del mondo. Anche la Grande Mela non ha saputo resistere alla “tentazione Nutella” e a maggio verrà inaugurato il primo Nutella Bar, dove i cultori della nostra crema di nocciole potranno gustarla in ogni modo. Non c’è dubbio che la Nutella sia uno dei dolci più conosciuti e amati del mondo; in questi anni ha segnato la vita di molte generazioni e, passando indenne attraverso svariate rivoluzioni di costume, è diventata un mito. Ogni 2,5 secondi ne viene venduto un barattolo, a dimostrazione del fatto che la Nutella può essere considerata, ormai, una “coccola patrimonio dell'umanità” e, per conquistarla, basta un cucchiaio!

Curiosità 13


What's on? L'ora del futuro Il drone che ci guarda Di Ginevra Baratta II B

Il 9 marzo 2015, durante un evento esclusivo tenutosi a San Francisco, Tim Cook, erede del geniale e compianto Steve Jobs, ha presentato al mondo il nuovo prodotto ideato dal gigante californiano: l’Apple Watch. Considerato uno status symbol ancora prima di essere immesso sul mercato, il nuovo orologio Made in Cupertino è la più personale delle tecnologie prodotte da Apple e, soprattutto, il primo oggetto integralmente nuovo dai tempi dell’IPad. La Apple è da sempre considerata un’icona di innovazione, perciò tutti aspettano con trepidazione il nuovo gioiello hitech. Dotato di un display protetto da vetro zaffiro, può essere controllato attraverso il tocco, la voce o ruotando la corona laterale. Ogni Apple Watch funziona rimanendo sempre collegato al proprio IPhone dal quale riceve le informazioni; al ricevimento di una telefonata si può rispondere parlando direttamente al quadrante touch screen rettangolare, che verrà prodotto da 38 e 42 mm. Tra le varie applicazioni inserite nel Watch, Apple ha pubblicizzato da subito con particolare entusiasmo la funzione di controllo fitness andando così a soddisfare le esigenze delle numerose persone che tengono sotto controllo prestazioni fisiche e salute. Si tratta di un orologio multifunzionale, con ricarica wireless, facile da consultare perché sempre “a portata di mano” che impone una nuova gestualità che costringerà i possessori del Watch a guardare il proprio braccio ad ogni notifica o messaggio. L’Apple Watch verrà prodotto in tre versioni, estremamente personalizzabili e, anche per questo, con un costo piuttosto elevato: il modello “Sport”, con cinturino di caucciù colorato e cassa in alluminio, costerà 350 euro circa; il modello “Collection”, interamente in acciaio, avrà un prezzo compreso tra 500 e 1.000 euro in base al tipo di configurazione; il modello dorato “Edition”, in edizione limitata, si aggirerà intorno ai 10.000 euro. Gli immancabili detrattori di Apple sostengono che l’orologio presenta dei difetti: è sprovvisto di GPS, ha dimensioni troppo piccole che lo rendono poco funzionale e autonomia limitata (18 ore). Tuttavia le previsioni degli analisti di mercato sono più che rosee e stimano che solo nel 2015 Apple venderà oltre 10 milioni di Watch … un dato significativo per un orologio la cui funzione principale, indicare l’ora, è un puro optional.

14 Curiosità

Di Niccolò Garbarino III B

Quando passeggiate, può capitarvi, a volte, di guardare in alto. Lassù, stormi di droni muniti di telecamere e apparecchi fotografici stanno volando sulle vostre teste. Se siete in giro con l'amante e ne sentite ronzare uno, allora preoccupatevi: potrebbe essere l'occhio lungo di un investigatore privato. Sarebbe solo una delle mille applicazioni di cui questi oggetti volanti, telecomandati da un operatore a terra, sono capaci. I droni, sistemi aeromobili a pilotaggio remoto con un lato in media di 50cm, sembrano giocattoli facili da pilotare, ma basta accenderli e ascoltare il ronzio delle otto pale rotanti per capire che non si tratta di un banale modellino d'aereo o d'elicottero. Nati in ambito militare, servono a sorvegliare il nemico e colpirlo senza mettere a rischio la vita degli operatori, ma da alcuni anni hanno sempre più spazio nella vita civile. E in pochi sanno che dal 30 aprile 2014 per far volare un drone professionale in Italia serve la patente dell'Ente Nazionale per l'Aviazione Civile, con tanto di corso teorico e pratico. Diffusi ormai in tutto il mondo, questi apparecchi stanno aprendo una nuova realtà: secondo gli analisti finanziari, in meno di dieci anni il mercato mondiale di droni è destinato a raddoppiare, per un valore di 11 miliardi di dollari. I loro impieghi sono innumerevoli, quello militare in primis: i modelli grandi decollano dalle portaerei per bombardare i terroristi dell'Isis; nell'agricoltura, i droni volano sulle vaste piantagioni per rilevare problemi; negli USA sono utilizzati per conoscere in anticipo la direzione delle trombe d'aria e lanciare l'allarme; sono sempre più utilizzati nel cinema, perché consentono un risparmio sui costi di quelle scene che sarebbero solitamente riprese da aerei o elicotteri, e nella fotografia, per inquadrare scene di massa e panorami mozzafiato; per il soccorso, utilizzati dalla Protezione civile o dalla Marina militare per individuare gli scafi degli immigrati in arrivo dal Nord Africa; nell'archeologia, per esplorare nuove aree e per proteggere i siti dai tombaroli; per trasportare pacchi e posta, come fanno in Cina nelle zone più remote o per le consegne mediche nelle isolette del Mare del Nord; nei controlli ambientali, per accertare abusi edilizi e monitorare lo stato di avanzamento dei lavori, come per i cantieri Expo 2015; o nell'esplorazione, come nel caso della grotta vietnamita di Hang Son Doòng, la più grande del pianeta, in cui si è avventurato il drone del fotografo Ryan Deboot proprio alcuni giorni fa, scoprendo un intero mondo. Arriveremo quindi in un futuro sorvolato da droni o robot? Chi lo sa, certo è che i cari droni violano facilmente la privacy. E non solo. Occhio quindi al drone che ci guarda.


Cruciverba Rockettaro

Di Fox

Orizzontali

4. Nome della mascotte zombie di casa agli Iron Maiden 7. Il Paul dei Beatles, creduto morto e sostituito dai complottisti 9. Appellativo dato alle persone che comprano merchandise di band senza sapere chi siano 12. Band protagonista di un' attrazione di Disneyland Paris chiamata "Rock n'Roll Coaster" 14. Il cantante suicidatosi lo stesso anno che nacque Justin Bieber (Coincidenze?) 15. Il gruppo alternative metal di "free thinkers" armeni 17. La band che ha dato vita alla colonna sonora per il film "Iron Man 2" 18. Canzone degli Slayer che parla di fenomeni atmosferici... Strani 19. "You wanted the best! You got the best! The hottest band in the world..." 20. Gli anarchici negli UK 21. Il defunto bassista Cliff dei Metallica

Verticali

1. Soprannome del Darrell chitarrista dei Pantera ucciso da uno squilibrato mentre suonava con i Damageplan 2. Il Syd ex-cantante dei Pink Floyd, alla cui memoria è stato messo un messaggio rovesciato nella canzone "Empty Spaces" 3. Le iniziali dell'inventore delle corna come gesto di riconoscimento tra i fan del metal 5. New Wave Of British Heavy Metal 6. I dirigibili precipitati dell'hard rock 8. Il geniale Freddy frontman dei Queen 10. Il cantante accusato di essere alla base del suicidio di un teenager per la canzone "Suicide Solution" 11. Gli Stones di Satisfaction 13. Band di comedy rock fondata dal famoso attore Jack Black, protagonista anche di un film 15. Il chitarrista dei Guns n'Roses, spesso associato al suo cilindro e alla sua foresta di capelli 16. Gruppo di blues-psychedelic rock fondato e capitanato dall' "American Poet"

Giochi 15


Hermes

_ il messaggero

Il giornale del Liceo Classico Machiavelli

LA REDAZIONE:

Elisabetta Adamo IV B Ginevra Baratta II B Margherita Barzagli IV B Elena Brunori V C Chiara Camarlinghi III B Giulia Colli I B Arianna Dessì IV B Niccolò Garbarino III B Giulia Lanzafame I B Francesca Manetti V C Costanza Mannini IV C Rebecca Papi I B Manfredi Pinzauti IV B Camilla Pratesi V C Vieri Raddi II B Ginevra Salesia I B Isabelle Seidita V C Flavia Tossi IV B Giovanni Viti II B e la prof.ssa Giovanna Sansone Grafica: Francesca Manetti

REGOLAMENTO:

Chi volesse partecipare con un articolo o un disegno é caldamente invitato ad inviarli al nostro indirizzo di posta elettronica: il materiale verrà pubblicato solo se ritenuto pertinente, dal contenuto non offensivo o volgare e se rispetterà i limiti di spazio (5000 caratteri circa). Inoltre, la redazione si riunisce ogni venerdì dalle 13.30 nell'aula 317 al secondo piano ed è aperta a chiunque desiderasse assistere o dare un suo contributo.

CONTATTI:

hermes.ilmessaggero.redazione@gmail.com

SITO DEL GIORNALE A COLORI:

http://issuu.com/Hermes.Il.Messaggero

PAGINA FACEBOOK:

https://www.facebook.com/hermesilmessaggero.classicomachiavelli

SOLUZIONI CRUCIVERBA ROCKETTARO:

ORIZZONTALI 4. Eddie 7. Mccartney 9. Poser 12. Aerosmith 14. Kurt Cobain 15. System of a down 17. ACDC 18. Raining blood 19. Kiss 20. Sex pistols 21. Burton VERTICALI 1. Dimebag 2. Barrett 3. RJD 5. NWOBHM 6. Led Zeppelin 8. Mercury 10. Ozzy Osbourne 11. Rolling 13. Tenacious D 15. Slash 16. The Doors


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.