P. Sanvito, Il ruolo dei diagrammata e schemata nelleedizioni di Vitruvio a cura di Barbaro

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IL RUOLO DEI DIAGRAMMATA E SCHEMATA NELLE EDIZIONI DI VITRUVIO A CURA DI BARBARO : DI NUOVO SULL ’ARCHITETTURA COME SCIENTIA PAOLO SANVITO

La consultazione delle tre edizioni vitruviane dei Dieci Libri a cura di Barbaro, di suoi numerosi manoscritti e di altri testi di provenienza universitaria padovana, rivela una preponderanza di schemi diagrammatici di ampio respiro, che sembrerebbero destinati meramente alla delucidazione dell’argomentazione del testo. Essi tuttavia spesso sono stati trascurati sia nell’indagine della loro specifica genealogia, sia nel loro ruolo essenziale, assunto, o sul piano epistemologico o ai fini dell’esposizione, da parte del commentatore, delle proprie teorie. Per questi diagrammi si dovrebbe infatti parlare di un fenomeno di logica interna, autodimostrativa e autonoma. Quanto segue cercherà di spiegarlo. Tali diagrammi dovrebbero piuttosto essere decifrati autonomamente rispetto al testo, dato che non è il testo a essere riassunto da loro: infatti, non sono le dimostrazioni a trovare sintesi nei diagrammi aggiunti e spesso visualmente accostati, ad esso, ma sono invece questi ultimi a ampliare e precisare il


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contenuto del testo. Applicando i parametri dell’uso che se ne fa oggi nella cultura contemporanea, si potrebbe pensare invece che anche nel Cinquecento i diagrammi abbiano avuto una mera e banale funzione di compendio, rispetto a ciò che nel testo è spiegato e argomentato. Ma è vero piuttosto l’opposto: i diagrammi condensano in sé più significato del testo stesso. Parimenti bisogna escludere che essi siano tributari di – non meglio identificabili – «medical publications of the Renaissance» (come è stato ipotizzato, ancora di recente, da Louis Cellauro), dato che una tale dipendenza univoca non è mai stata dimostrata e i riferimenti di Barbaro certamente non erano solo nella medicina . In questi ultimi anni lo studio di schemi e diagrammi sta esperendo una moda: di recente Felix Thürlemann, nel suo studio «Riflessioni su una teoria del diagramma» ha scritto che «die Eigenständigkeit diagrammatischer Darstellungstechniken wird z. Z. in verschiedenen Bereichen erkannt» . Ma, come tutte le mode, essa in alcuni casi esagera nella sopravvalutazione della rilevanza scientifica del diagramma in sé nelle culture antiche, proiettando forse inconsciamente su di esso funzioni che sono più pertinenti al nostro mondo computerizzato, digitalizzato. Ancora secondo Thürlemann, sarebbe «più 1

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CELLAURO 2004, pp. 293-329, 324. Tale passo (CELLAURO 2004, p. 324), classifica la cosiddetta synoptic table di Barbaro (1556), p. 18, definendola «a device commonly found in medical publications of the Renaissance: the whole form of architecture was to be considered either in itself (in se) or relatively (riferita)»: naturalmente tali categorie pertengono non alla medicina ma alla Logica (aristotelica), come esplicata negli Analitici II, per esempio - ma ipotizzo che non fosse neppure necessario averli letti per farne uso. 3 THÜRLEMANN 2003, pp. 1-22, 3. 4 Nel convegno di Berlino, per esempio, che generalizza alquanto l’ambito semantico del termine diagramma, Stil-Linien diagrammatischer Kunstgeschichtsschreibung (aprile 2011) ad uso quasi esclusivo della storia del disegno, perdendo di vista dunque i contorni del concetto di diagramma anche in prospettiva contemporanea. Indagini sulla storia del diagramma sul piano della teoria mediale ad opera di Wolfgang Ernst si sono concretizzate, tra l’altro, nel seminario «Operative Diagrammatik» a Berlino nel 2009. 1 2

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opportuno parlare di un diagrammatic turn, che si sta imponendo» (sich abzeichnet) oggi. A cominciare dalle loro origini, i diagrammi sono, di consueto, una parte integrante della trattatistica filosofica antica; di conseguenza, erano istituzionalizzati in quanto suoi strumenti, prima che dal Rinascimento, dall’antichità ellenistica, e poi latina, per esempio proprio da Vitruvio, in cui leggiamo nella traduzione italiana del 1567 (fig. 2: Rosa dei venti)5: «mi è parso nell’ultimo del libro porre due figure dette da[’] Greci schemata, una, che dimostri d’onde uengono certi gli impeti de i uenti; l’altra con che maniera le loro forze con diuerse dritture di borghi, & di piazze si possa schifare i noiosi fiati de i uenti». Un ruolo a parte va riconosciuto all’inventore dello speciale diagramma detto «arbor porphyriana», appunto il filosofo Porfirio di Tiro (III sec.), di cui non a caso Barbaro pubblicò a stampa degli ottimi commenti: Porfirio presentò la sua, per così dire, «invenzione» nella Eisagogé, ovvero Introduzione alle categorie aristoteliche, nel libro II, che in seguito fu ripresa più volte, prima da Boezio, e poi da Pietro Ispano; forse un’eco se ne trova anche in Raimondo Lullo e negli schemi della sua ars magna; e poi, a conclusione del Medioevo, in un altro famoso aristotelico padovano, Pietro d’Abano (†1316) il più tardo dei suoi conoscitori medievali, nel Conciliator differentiarum quae inter philosophos et medicos versantur (edito per la prima volta a stampa a Venezia, presso Giunta, nel 1548). In effetti, i diagrammi, o schemata, nella tradizione greco-romana sono l’argomento stesso di cui si parla, e il suo fulcro o centro, secondo un principio della didattica aristotelica e in seguito tardoantica, ai fini dell’interpretazione di fenomeni e concetti, vigente evidentemente non solo a Padova – ma di certo ivi più che dovunque altrove – che forniva le basi agli studi di tutte le scienze esatte. Barbaro era a corrente di questo al più tardi già a partire o dai suoi studi universitari, o dalla sua collaborazione dal 1545 al 1548 nella locale istituzione universitaria a scopi 5

Nell’edizione italiana BARBARO 1567, p. 62.

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puramente di ricerca naturalistica (il Giardino botanico, di cui fu direttore per quel periodo). Infatti essi sono in molti casi più completi, complessi, e informativi dei trattati. Sono analoghi - in questo senso - alla semiotica dei thought-signs interiori della mente, proposti da Charles Peirce molto più tardi: anche essi più ricchi dei segni tangibili stessi . Una delle prove evidenti ne è il fatto che alcuni schemata sono stati redatti, sia da Barbaro, sia anche da suoi contemporanei e concittadini come l’ottico e prospettico Ettore Ausonio (fig. 1: Ausonio, Classificazione delle scienze, dal manoscritto della B. A. M., G 121 Inf., f. 16v.), e poi sono stati perfino trascritti in cosiddetta bella copia, ma infine non più inseriti in un’edizione a stampa forse anche a causa della morte, piuttosto subitanea, dell’autore. 6

1. Per una storia compendiaria del concetto di diagramma Le origini degli schemata dei trattati si trovano evidenti nella tradizione greca, e principalmente in quella matematica. Leggiamo in Stückelberger che in greco «Das Wort διάγράµµα /diagramma oder diagraphe bezeichnet mit Vorliebe eine geometrische oder astronomische Konstruktionszeichnung». Per Platone διάγράµµα è «ciò che è espresso con figura»; Aristotele usa anche i termini hypographé, schêma, diagraphé e altri simili: a cui aggiunge sempre poi: «come mostra la figura» . La preposizione hypó nel termine hypographé indica che l’illustrazione si trova in calce, al termine del testo . Come ha scritto di recente Carl Huffman, e vale almeno fin dall’età aristotelica, «in mathematical writings διάγράµµα regularly means “theorem” or “proof” rather than diagram 7

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«Thought-signs are, when giving their best performance, inventions - and often interventions - of the mind: they are pinned to the ‚actually real’ only at certain points [...]», come scrive MERRELL 1997, p. 78. 7 STÜCKELBERGER 1994, p. 13. 8 Ibid, p. 24. 6

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(Netz 1999: 36), although in some philosophical contexts it clearly means diagram (e.g. Pl. R. 529e)» . Huffman cita dunque la Repubblica di Platone, ma anche l’Eutidemo platonico, presentando la soluzione al problema del calcolo dei due tipi di medi proporzionali, evidentemente basandosi proprio sulle conoscenze tramandate dai Pitagorici e più precisamente da Archita Tarantino (428–347 a. C.): in questo dialogo, come ha chiarito Huffman «the point is that the mathematicians do not really make the diagrams which they use (oὖ γὰρ ποιοῦσι τὰ διαγράµµατα), they instead discover the ones that really are» («tà ónta aneurískousin») . Questo è un postulato con il quale Platone ha già argomentato all’interno della Repubblica: i matematici non si occupano della sfera di ciò che è fisico, ma piuttosto di quella di ciò che è intelligibile . È alle «sostanze intelligibili e concepibili nel pensiero - agli schemata in sé - [che] gli studiosi di geometria devono, secondo Platone, guardare e di quelle studiare le proprietà con l’aiuto dei disegni che tracciano. Lo stesso vale per l’astronomo che studia un cosmo, quello sensibile, che non è quello vero ma che è stato modellato su quello vero» . Ma, ovviamente, tutti questi concetti furono in seguito traslati nell’aristotelismo e lo integrarono, dunque giunsero facilmente fino a Padova. Infatti, per Aristotele, «‘figura’ è ciò che è contenuto, non separato da ciò che contiene, schema è nel limite, non è il limite. La stessa linea di pensiero che sarà anche di Euclide» . In età ellenistica, in Erone Alessandrino (Hero, Deff., 23: περὶ σχήµατος), leggiamo: «Schema è ciò che è contenuto da uno o più limiti, o ciò che è racchiuso da una o più estremità. Questo è dunque lo schema interno. Ma si dice invece schema, in altro 9

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HUFFMAN 2005, p. 566. Eutidemo, 290,b-c. 11 HUFFMAN 2005, p. 396. 12 CATONI 2008, p. 28. 13 Ibid, p. 29. 9

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senso, l’estremità che racchiude, perché è ciò che dà figura. Lo schema viene chiamato così da sema, ossia ciò che racchiude o è racchiuso» . Noi oggi sappiamo che questa derivazione è scorretta, se non altro per fondarsi su una falsa etimologia. I limiti (pérata) degli schemata sono le superfici e le linee. Si chiamano limiti per il fatto che delimitano fino a dove si estende lo schema, cioè così vengono individuati i confini degli schemata e le loro estremità. Originariamente, ovvero per Euclide e i suoi seguaci, schemata sono la stessa cosa che «figure piane», che egli denomina con il termine schema epipedon, e le solide sono dette schema stereon. Prima ancora, Euclide aveva definito schema come «ciò che è contenuto da uno o più limiti»: è la Def. n. 13 del I libro degli Elementi. In età ellenistica, in Erone Alessandrino (Hero, Deff., 23: περὶ σχήµατος), leggiamo: «Schema è ciò che è contenuto da uno o più limiti, o ciò che è racchiuso da una o più estremità. Questo è dunque lo schema interno. Ma si dice invece schema, in altro senso, l’estremità che racchiude, perché è ciò che dà figura. Lo schema viene chiamato così da sêma, ossia ciò che racchiude o è racchiuso»15. Noi oggi sappiamo che questa derivazione è scorretta, se non altro per fondarsi su una para-, o falsa etimologia. I limiti (pérata) degli schemata sono le superfici e le linee. Si chiamano limiti per il fatto che delimitano fino a dove si estende lo schema, cioè così vengono individuati i confini degli schemata e le loro estremità. Per Proclo, ben più tardi, nel V sec. d.C., nel Commento al I libro degli Elementi di Euclide , schema è direttamente «figura, ciò che è figurato», eschematisménon, da schematízein, da cui deriva l’italiano schematizzare. Sempre secondo Proclo, «[E] sembra 14

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Ibid, p. 20. Ibid., p. 20. 16 Proclo (in Euc.), 14, 142-144, qui nella trad. di TIMPANARO CARDINI 1978, pp. 129-130. 14

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che Posidonio Rodio, in certo modo, guardi al limite che ricinge dall’esterno, Euclide invece all’intero oggetto; cosicché questi dice che il cerchio è figura in virtù di tutto il piano e del circuito esterno, quegli, che è figura in virtù della circonferenza». «[Euclide] intende mettere in evidenza il concetto della figura come ciò che limita e racchiude la quantità». Proclo dunque mette in chiaro che il filosofo Posidonio di Rodi, ormai nell’avanzato I sec. a.C., diversamente da Euclide, aveva definito «la figura come l’estremità che contiene, separando il concetto di figura dalla quantità e ponendola come causa del limitare, del terminare e del contenere.» Ci sono dunque, dobbiamo concludere, due definizioni di schema: una che ne fa ciò che è interno al limite, l’altra che ne fa il limite, e dovettero vigere parallele almeno fino a Proclo. Per Posidonio, «schema» è il πέρας, il perimetro o contenitore corporeo e separato da ciò che è contenuto; è stato accertato d’altronde come questo autore fosse un modello per la Roma dell’età classica e in particolare per Vitruvio che a lui notoriamente attinse, sia come teorico di geometria, sia per le sue conoscenze geografiche, quali emergono nel suo Lib. 6, 1, 7 . Per Posidonio e gli Stoici in generale la figura, appartenendo alla categoria della qualità, è, come tutte le qualità, corporea . Nel caso che schema sia il limite, il contenitore, tale contenitore diviene causa della configurazione della materia e insieme causa delle proprietà della materia così configurata. Quindi, deduciamo, esso va oltre la figura in sé: è un condensatore di significati, specialmente secondo la concezione euclidea, che 17

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TRÜDINGER 1918, p. 121, n. 2. Ne raccogliamo le citazioni da POSIDONIUS 2004, p. 742, anche per l’uso corrente per la parola «eîdos»: con riferimento ai frammenti A254, A256, A258 («Euclide chiama figura ciò che è dotato di forma e di materia e che coesiste con la quantità, mentre Posidonio intende il perimetro contenente», A254; «il contenente è una forma del contenuto», A66a», e la citazione proveniente da Simplicio, In Aristotelis de caelo, IV, 3: «Ciò che tende verso il proprio luogo naturale tende verso il contenente. […] Il luogo è il limite del contenente». 17 18

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vede figura e suo contenuto come legati strettamente, in un senso complessivo e pregnante, ben al di là della funzione compendiaria che i diagrammi apparentemente sembrano avere per il teorico . Essi infatti incorporano, più che riassumere, l’essenza dei concetti e di tutte le entità vive, essendo prodotte dall’azione dei viventi, e anche dalle altre forze della natura. È per questo che i digrammi della cultura greca spesso assunsero anche un valore simbolico; inoltre, trasposti nella teoria dello spazio, uno degli ambiti della quale è la pianificazione urbana, essi trasportarono sapienza e saperi precedenti fino agli schemi progettuali di fondazione delle città. Erano schemi tanto più evidenti nel loro valore simbolico, quando si trattava di fortificazioni in forma di figure centrate, ovvero figure geometriche regolari, o stelle raggiate. Per concludere, di certo alcune di queste divergenti concezioni del modo di leggere gli schemi geometricipossono avere delle ricadute sull’uso che si è fatto in seguito, in età postclassica e poi rinascimentale, dello schema figurato o del diagramma nella trattazione di ordine scientifico. E vediamo infatti che fu un uso molto abbondante. 19

2. I diagrammi di Barbaro e la loro funzione Il bel diagramma iniziale su «Che cosa è / architettura» è il più complesso del trattato, e anche il più complesso nella codificazione, ma rimase manoscritto o venne impiegato in parte minima (fig. 3). Meno interessanti sono i diagrammi più conosciuti, usciti nell’edizione a stampa nel 1556, a c. 18 e, nell’edizione ampliata del 1567, a p. 27, sulla classificazione dei predicati formali dei prodotti delle arti, o rispettivamente dei loro «attributi», d’origine aristotelica - in particolare, formalizzati già in un frequentatissimo testo di riferimento, il trattato degli Analitici I e Si vedano tra gli altri MARCONI, 1968, p. 53-94 e MURATORE, 1973, p. 335-383. 19

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II: era noto, a Barbaro come a noi oggi, che «non c’è nessun pensatore nell’intera storia della logica formale la cui importanza, sia storica, sia sistematica, possa essere comparata con quella di Aristotele», ben maggiore di quella di Platone . Alla successiva pagina 29, sempre dell’edizione del 1567, invece, lo schema che abbiamo visto è sottoposto ad una acribica analisi dei suoi significati. O anche abbiamo, più interessante per i climatologi, a p. 60 il diagramma con la rosa dei venti, che è uno dei primi diagrammi di cui parli espressamente nel testo Vitruvio. Qui i commentari rinascimentali sono obbligati ad adattarsi all’uso che riconoscono essere stato già di Vitruvio stesso. Il trattato conteneva almeno nove disegni: uno, per esempio, dal Menone platonico (Meno 82b ovvero 9, pr. 5) per la duplicazione del quadrato; altri tre per le colonne e capitelli (in Vitr. 3, 3, 13, l’entasi; in 3, 4, 5 gli scamilli; 3, 5, 8, le volute); poi il notorio διάγραµµα sulla teoria dell’armonia, 5, 4, 1; in 1, 6, 12 la rosa dei venti; in 8, 5, 3, il corobate; 6, 1, 7; 10, 6, 4 la vite d’Archimede; in 9 pr. 8 il triangolo di Pitagora per calcolare la forma delle scale). È noto come essi siano andati tutti perduti a causa della ripartizione dei compiti all’interno degli scriptoria, che prevedeva gli specialisti della scrittura, distinti da quelli del disegno . Nelle versioni d’età moderna essi si moltiplicheranno. Lo stesso, identico uso di schemata è stato riscontrato paradigmaticamente in altri trattati manoscritti: ad esempio in quelli di Tommaso Campanella, o di Galileo, o più tardi, di Federico Cesi, nelle sue Tabulae phytosophicae del 1628. Anche il diagramma molto complesso del manoscritto marciano (fig. 7), esattamente come quello a stampa, verte intorno ad una scansione tra l’argomento «in sé» e l’argomento «in quanto riferito ad altro»: in alto sono esplicati i tre argomenti della definizione del soggetto «architettura», ovvero «che cosa è»; poi dell’origine, «da che nasce»; e infine «in che consiste». 20

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BOCHEŃSKI 1951, p. 19. FLEURY 1990, pp. 62ss. 22 Studiate a fondo da FREEDBERG 2002, p. 381. 20 21

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In basso si trovano gli oggetti che vengono definiti da un rapporto di causa-effetto con l’architettura, in quanto sono suoi prodotti: essi sono A. gli edifici, B. gli orologi («le ombre di stili»), C. le macchine (fig. 4). Dalle parti costituenti, al punto tre, dell’ars architectura derivano i sei predicati formali (ordine, disposizione, corrispondenza, proporzionata misura, decorum, distribuzione). Ciò a cui si approda è, più che una teoria epistemologica dell’architettura (che già in sé sarebbe di grande interesse), qualcosa di meno teorico, ma forse più centrale alla disciplina: è una teoria della progettazione edile e come essa funziona, attraverso quali fondamentali momenti preparatori e presupposti essa passa. Ma non posso soffermarmivi in questa sede. Compariamo questo diagramma, nella sua struttura, con il diagramma a f. 33v del Ms. It. cl. IV, 152 5106 ancora più complicato, corrispondente alle investigazioni alle pagine 41-2 sulla meteorologia, del Libro I, cap. 4: «Della elettione de i luoghi sani, & quali cose nuocono alla sanità. Cap. IIII» (fig. 6): «Gran forza, & uirtù; è posta nella natura de i luoghi, & dello aere, come quello, che da noi non si puote separare; & il luogo è come padre della generatione, in quanto egli è affetto dalle qualità celesti. & però le cose naturalmente si conseruano piu doue nasceno che altroue. Egli si ragiona adunque della elettione de i luoghi sani per fabricare la città: & questa è la prima consideratione, che si deue hauere. La regione adunque contiene alcune qualità, delle quali altre sono palesi, altre ascose. & di queste, & di quelle alcune sono ree, alcune buone. Le ree si conosceno dalle buone per lo contrario. Delle buone altre ci serueno al commodo, come il paese abondante di acque, di frutti, di pascoli, che ha buoni uicini, porti, entrate, per commodità del contrattare, & condurre le merci. Altre sono buone alla sanità. sì perche hanno l’acque mobili, lucide, non uiscose, non metalliche, senza qualità di odore, colore, & sapore, sì anche, perche i uenti non uengono troppo freddi a troppo caldi, o da luoghi infetti. Similmente se la temperatur a sarà alquanto humida, & dolce, cioè temperata. Dopo la quale è piu sana la fredda: & se lo aere sarà puro, purgato, peruio alla 22


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uista, mobile, & uniforme; & il sole non cuocerà molto, o non sarà troppo lontano, ma potrà col suo calore consumare le fredde aure mattutine. Le ascose qualità, che ree sono, come ho detto, si conosceno dalle buone. Et le buone si attendeno da gli animali grandi, gagliardi, saporiti di carne, & fegato buono, & da gli huomini, quando sono copiosi dell’uno, & l’altro sesso, & quando sono belli, sani, & di lunga uita: & che sono coloriti, gagliardi, & di temperata complessione. Et dalle piante, quando sono belle, ben nodrite, non offese da i uenti, & non sono di quelle specie, che nasceno in luoghi paludosi, o strani. Et dalle cose diuine, come dal Genio, & buona fortuna del luogo: & dalle naturali, quando le cose si conseruano, come sono le merci, i frutti: & dalle artificiose, quando gli edificij non sono corrosi da i uenti, o dalla salsugine». Un altro simile diagramma è a carta 40r dello stesso manoscritto: su «La ragione del fondare» (intendendosi: fondamenta su diversi suoli). A c. 40v ne abbiamo un altro sull’«Ampiezza et giro della cittate» (ad esempio: «quanto alla dignità», o ad altre caratteristiche). A c. 48r il diagramma «Elettione dei luoghi all’uso comune della città» (corrisponde al Cap. VII del L. I, p. 64 della seconda edizione, dove appunto - nuovamente - il diagramma è stato omesso). Molto rilevante, ancora sui temi della sanità delle città, il cap. IV dello stesso libro, a cui qui solo tangenzialmente si rinvia . A c. 59r, sempre del manoscritto, si trova il diagramma degli elementi naturali, terra aria acqua e fuoco (come di consueto, lo schema è un cerchio). A c. 60v le diverse categorie dei materiali da costruzione (pietre calce arena legnami), e in seguito ognuno di questi riceve ad hoc un diagramma per sé; particolarmente bello quello a c. 71r, Divisione delle parti della fabrica sopra il fondamento, et officio di esse parti, e a c. 80r si giunge a quello sul legname (singolare per struttura: in una metà contiene il riferimento al materiale legname; nell’altra la comparatione [a] 23

BARBARO 1567, p. 40: «NEL [sic] fabricare le mura della città questi sono i principij. Primamente è la elettione di luogo sanissimo…». 23

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delle parti; [b] del tutto). Per decifrare dunque il diagramma di cui al f. 2v, il materiale interpretativo disponibile è più controverso e infatti ha stimolato diversissime esegesi, spesso tuttavia poco aderenti al dettato delle parole in esso contenute (tra cui quella, citata, di Cellauro). Secondo la logica aristotelica assimilata dall’autore a Padova negli stessi anni, o già in quelli giovanili, a monte di queste categorie sono le facoltà (dispositiones) specificamente razionali dell’uomo (o secondo altra definizione, intellettuali, perché appartenenti all’intelletto), chiamate dagli Aristotelici, e come chiarito già da Peter Laven in una memorabile tesi dell’istituto Warburg, habitus, o originalmente ῞Εξις (Etica Nicomachea, II, 1; 1103a14-25). Barbaro giunge a formulare il suo schema sul fondamento di questi concetti. Ovvero, le facoltà sono le seguenti: se teoretiche, mens, sapientia, scientia, o se pratiche, ars e prudentia. I concetti corrispondenti sono ripresi non solo dall’Etica Nicomachea, ma anche dagli Analitici II, come ha potuto dimostrare la filosofa Rosa Maria Davi; lo leggiamo nella sua sistematizzazione redatta dal docente di Logica Filosofica della stessa facoltà del Barbaro, Bernardino Tomitano, nella cui edizione (e traduzione a sua cura) del 1562 Aristotele enumera «gli altri habitus intellettuali che… completano il quadro delle nostre facoltà razionali e morali». E Tomitano offre un’ampia classificazione degli habitus . Di conseguenza, è importante indicare come il trasferimento di conoscenze possa essere avvenuto dagli studi dei filosofi all’ambito di Barbaro, conoscente di filosofia ma non attivo professionalmente nei loro studi: confrontando le date, vediamo che la sua attività didattica in quanto docente di filosofia etica per pochi anni alla fine degli anni 1530 va a coincidere quasi perfettamente con quella di Tomitano, che 24

24 DAVI 1995, p. 123 (nell’edizione 1562, al libro I, p. 33). Cfr. Animadversiones aliquot 1562, altre versioni delle Animadversiones contengono commentari del l. I degli Analitica posteriora: per la precisione Bologna, BU, Ms. 124, vol. 45, f. 1-82: commentaria der Analitici posteriori, c. 40v-41v: qui si fornisce anche la classificazione degli habitus mentali.

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appunto a Padova è il «third ordinary Professor in 1539, moved to second position in 1540, and first ordinary in 1543». La classificazione di tutte le arti, corrispondenti alle rispettive facoltà o habitus, è quadruplice o, a seconda, triplice, e questo è quanto, molto probabilmente, Barbaro ha appreso nelle aule di filosofia forse da Tomitano, come io ipotizzo. Le arti si suddividono infatti per gli Aristotelici nelle classi activa (praktiké), contemplativa (theoretiké) factiva (poietiké) o comparans (ktetiké) – come di nuovo spiega l’Etica Nicomachea. Il fine delle artes activae si raggiunge nell’azione dell’arte stessa, di quelle contemplativae nella comprensione della loro essenza. Invece, per le factivae e le comparantes, che sono tra loro molto simili, il fine è esterno all’arte stessa: per esempio nel caso dell’arte dell’agricoltura, o della caccia, che ottengono prodotti di natura di per sé estranei all’esercizio dell’arte stessa . La classe di arti corrispondente all’architectura è, evidentemente, quella delle pratiche, praktikái; essa fa uso dell’habitus di sapienza, in Aristotele la sophía, che, come verifichiamo in Etica Nicomachea, VI, 11, 1143b14-17 è la capacità di pensare gli oggetti della scienza (episteme); se infatti fosse contemplativa dovrebbe far uso di mens, o noûs. Si riconosca la sua posizione nel diagramma costruito recentemente da Ursula Wolf (fig. 5: schema di Wolf, dall’Etica Nicomachea; Die dianoetischen aretai (VI 3-7): «Die dianoetische arete, die das Gutsein des theoretischen Vernunftsteils ausmacht, ist die sophia (Weisheit). Da der vernünftige Teil zwei hexeis enthält, episteme und noûs, ist sie die arete dieser beiden Unterbereiche». La sapienza, dunque, è naturalmente uno degli habitus principali e fondamentali per la mente umana, il cui scopo in un architetto viene raggiunto e ottenuto solo a speciali condizioni, cioè dopo un ricco percorso di formazione e che, comprensibilmente, pone l’architettura in una posizione più alta rispetto alla 25

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Ibid, c. 42r. WOLF 2002, pp. 142 e 145.

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maggior parte delle arti; ma in ogni caso «sophia» si riferisce, a mio avviso, specialmente alle proprietà multiple, ampie, della professione dell’architetto, sebbene sia difficile compilare una graduatoria di privilegio o prestigio tra di esse; e non è forse questo neppure l’interesse di Barbaro. Sul significato preciso di questo concetto di sapienza hanno lavorato numerosi interpreti, a cui tralascio qui di accennare . In questa sede è sostanziale soltanto sottolineare che le fasi preparatorie per raggiungere questo habitus sono almeno delineate ed accennate nelle loro coordinate principali, proprio dai diagrammi e dagli schemata che mostrano la posizione della noûs, e dunque della areté ad essa correlata (la sophia) all’interno delle arti (dettaglio, ms. Marciana, in alto sul f. 2v). Questa dimostrazione, che collega l’una all’altra le facoltà o héxeis, le arti o technaí e infine tutte le discipline artistiche possibili tra di loro, serve evidentemente a Barbaro per fornire una solida collocazione teoretica, epistemologica al tema centrale del trattato di Vitruvio. Nel fare questo, è anche ovvio che Barbaro scavalchi, integri o ignori in gran parte i contenuti del De architectura, che offre solo una limitata possibilità per tali riflessioni e che, soprattutto, non aveva avuto la stessa ambizione teorica che invece aveva Daniele. In ogni caso, è infine chiaro che lo schema di classificazione della conoscenza e in particolare delle scienze ha fondamenti nella logica. Proprio il citato professore padovano di logica, Tomitano, negli stessi anni delle edizioni di Vitruvio, editava per la prima volta gli Analitici primi e secondi, allo scopo di 27

27 Il dibattito sul tema venne inaugurato per la prima volta e con sensibilità da Manfredo TAFURI, nei suoi numerosi studi sul Barbaro e il suo ambiente; fondamentale, in proposito, la riedizione moderna del Vitruvio in volgare del 1567 (Milano 1987, con ampi saggi introduttivi anche a cura della sua allieva Manuela Morresi); più di recente si veda la monografia di ANGELINI 1999; in generale sul tema nel Cinquecento, in parte sul Barbaro, cfr. MITROVIC 1998, pp. 667-688; e ID., 2005; Cellauro ha contribuito, come indicato all’inizio di questo saggio, per la propria parte. Imprescindibile, tuttavia, da ultimo l’introduzione di OECHSLIN 1997, pp. I-XXXVIII, e dello stesso OECHSLIN 2003, pp. 22-31.

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radicare ancora più profondamente nell’ambiente accademico.

questa

disciplina

3. Diffusione della prassi trattatistica universitaria oltre Padova Gli schemi, e allo stesso tempo la struttura concettuale relativa, usati da Barbaro nelle sue edizioni di trattati antichi, inizialmente nell’Ethica ad Nicomachum, poi nella Ars Rhetorica, poi nel Vitruvio, furono assimilati in ambito tedesco da un altro famoso professore di retorica, Martin Borrhaus, in riferimento, per esempio, alla funzione dei segni, semeîa, e dei sillogismi nell’argomentazione filosofica ; per esempio là dove si definisce l’entimema, un tipo particolare di sillogismo: «Ut enthymema, quae ex signis conflentur, dissolvi possint. Haec ἀσυλλόγιστα esse, hoc est vitiosam concludendi rationem tenere»). Tale edizione, già uscita nel 1551 a Basilea , contiene a sua volta numerosissimi schemata. L’edizione dell’Aristotele di Borrhaus è molto probabilmente, anche se non integralmente, una rielaborazione della ristampa dei commentari del proprio zio Ermolao intrapresa da Barbaro nel 1545 nella stessa città di Basilea (per i tipi dell’editore Bartolomäus Westhemer) a sua volta dipendente dall’editio princeps comparsa precisamente un anno prima in Venezia (1544). Diagrammi sono presenti in moltissimi passi del testo e vale la pena di indicarli brevemente: - a pagina 33, lo ΣΧΗΜΑ «Quod in arte oratoria contineri», simile nella intitolazione già nell’edizione della Retorica di Barbaro, e anche nella sua struttura argomentativa: in Barbaro, nel manoscritto marciano It. cl. IV 37, 5133 «[Vitruvio] determina che cosa è architettura», oppure nel titolo del Cap. II della versione latina, «Ex quis rebus architectura constet»; nel testo preparatorio contenuto nel manoscritto di cui alla fig. 3, 28

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BORRHAUS 1551, p. 333 linea 14. Ibid., p. 33.

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più icasticamente: «Che cosa è / architettura» . - a pagina 38, Figura generum dicendi et eorum distinctionis (Orationes constare tribus) (fig. 8). - a pagina 58, ΣΧΗΜΑ earum rerum quae proponuntur in consiliis (Deliberantibus duo proposita sunt). - a pagina 108, ΣΧΗΜΑ locorum exornationum. - a pagina 166, ΣΧΗΜΑ δικανικοῦ εἴδους partes (ovvero «figura generis iudicialis»). - a pagina 264, ΣΧΗΜΑ τῶν πάθων καὶ ἤθων (In affectus considerari). - a pagina 286, ΣΧΗΜΑ sententiarum. - a pagina 335, ΣΧΗΜΑ (In probanda oratione spectari). - a pagina 396, FIGUR[A]E ELOCUTIONIS (elocutionis partes quatuor). - a pagina 411, ΣΧΗΜΑ Exordiorum. 30

Borrhaus, naturalmente, è soltanto uno dei primi accademici europei a ricuperare i modelli della trattatistica aristotelizzante poco dopo la sua manifestazione padovana (e forse, in generale, italiana), ed il primo di una lunga serie. Ancora molto più intensamente si farà ricorso a diagrammi nella trattatistica architettonica del secolo successivo, apertamente dipendente dagli esempi cinquecenteschi qui citati: eclatante è il caso dell’architetto Hendrick de Keijzer, co-autore con Salomon de Bray del cospicuo trattato ‘Architectura Moderna’, recentemente studiato da dal quale traiamo il complessissimo diagramma alla pagina 10 (fig. 9). Dagli esempi finora addotti, in ogni caso, risulta come il confronto con altri testi coevi dotati di diagrammi, ma d’altra provenienza rispetto a quelli vitruviani, chiarisca in modo esemplare che Barbaro, come altri suoi compagni di ricerca nel Veneto, semplicemente applicava strutture di pensiero che erano e sono conclamati principi della logica filosofica, già altrimenti a lui noti in ambito accademico padovano, o dal 30

BARBARO versione latina 1567, Cap. II, p. 16; nel manoscritto: f. 2v.

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confronto con i numerosi colleghi scienziati, a cui d’altronde riconosce sempre generosamente i credits. Un ringraziamento a Orfea Granzotto ed Elisabetta Lugato della sezione Manoscritti della Biblioteca Marciana; ed un altro speciale a Werner ed Anja Oechslin, per aver reso possibile questa ricerca con un invito al seminario vitruviano di Einsiedeln del 2012.

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Didascalie 1. Ausonio, Classificazione delle scienze, dal manoscritto della B. A. M., G 121 Inf., f. 16v. 2. Rosa dei venti, da Barbaro 1567, p. 60. 3. Daniele Barbaro, diagramma sull’architettura, Venezia, BNM, Ms. It. cl. IV, 152 5106 4. Dettaglio del precedente. 5. Schema di Wolf 2002, dall’Etica Nicomachea: Die dianoetischen aretai. 6. Daniele Barbaro, diagramma sulla sanità dei luoghi e delle fondamenta, Venezia, BNM, Ms. It. cl. IV, 152 5106. 7. Barbaro 1556, diagramma a c. 18. 8. Borrhaus 1551, p. 33: Figura generum dicendi et eorum distinctionis (Orationes constare tribus). 9. Diagramma da De Bray 1631, p. 10.

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