AEGYPTIACA DELLE COLLEZIONI VITELLESCHI E VEROSPI TRA XVII E XVIII SECOLO MARIA GRAZIA PICOZZI
Nelle collezioni romane di antichità, com’è ben noto, è assai frequente la presenza di antichità egizie ed egittizzanti, spesso provenienti dalla città stessa o dagli immediati dintorni: compaiono sin dal XV secolo, e si diffondono nelle raccolte maggiori delle famiglie pontificie, in quelle delle casate cardinalizie, nei gabinetti di curiosità e nelle dimore degli antiquari che contestualmente ne intraprendevano lo studio1. Tra le collezioni che si erano formate e sviluppate nella prima metà del XVII secolo sia la raccolta di Ippolito Vitelleschi2 che
Le ricerche sul collezionismo di antichità orientali, tra cui quelle egizie ed egittizzanti occupano un ruolo rilevante, hanno avuto recentemente un notevole nuovo impulso grazie a Beatrice Palma Venetucci, che ha dedicato particolare attenzione ai problemi di provenienza e di contestualizzazione di questi materiali: si ricordano soprattutto tra le importanti iniziative della collega il convegno con i relativi atti Culti orientali 2008, e la mostra con il relativo catalogo Il fascino dell’Oriente 2010. 2 Sulla raccolta Vitelleschi in generale PICOZZI 1993, con bibliografia; vedi anche PICOZZI 2003. 1
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quella di Ferrante Verospi e di suo fratello, il cardinal Fabrizio3 comprendevano antichità legate all’Egitto, aegyptiaca, anche se come vedremo in numero veramente modesto, e per lo più cronologicamente inquadrabili in età romana. Mi sono occupata a diverse riprese di queste due collezioni, la Vitelleschi e la Verospi, che all’inizio del Settecento erano entrambe pervenute in proprietà di Leone, secondogenito di Giovan Battista Verospi; nel 1684 infatti Sulpizia Vitelleschi, figlia di Ippolito, legata da parentela con la famiglia Verospi, era morta senza eredi e aveva lasciato a Leone Verospi allora quindicenne, a patto che portasse il cognome Vitelleschi, il suo intero patrimonio ed il Palazzo all’inizio della via del Corso, vicino al Palazzo d’Aste poi Bonaparte, comprese le antichità raccolte da suo padre4; durante il primo decennio del Settecento Fabrizio Verospi aveva rinunciato ai beni ereditati dal padre Giovan Battista in favore del fratello minore Leone, che veniva così in possesso anche delle antichità della sua famiglia di origine5. Le due collezioni restarono sostanzialmente distinte, inventariate separatamente, dal momento che la collezione Vitelleschi era sottoposta al fedecommesso istituito da Sulpizia col suo testamento6; tuttavia alcune sculture Vitelleschi di particolare importanza vennero presto spostate da Leone nel Palazzo Verospi, anch’esso sul Corso, accanto a Palazzo Chigi, dove la sua famiglia risiedeva. Con l’aiuto di inventari, documenti d’archivio, pubblicazioni dell’epoca e soprattutto attraverso la Sulla raccolta Verospi soprattutto PICOZZI 2004, con bibliografia. Per queste vicende PICOZZI 1989-1990, p.447ss., e PICOZZI 1993, p.59. 5 La rinuncia di Fabrizio Verospi e il documento di concordia tra i due fratelli, del dicembre 1704, è richiamata in occasione del matrimonio di Leone Verospi con Veronica Bolognetti (seconda moglie di Leone: la prima era stata Faustina Cavallerini, morta nel 1711): cfr. ASR, 30 Notai Capitolini, Uff. 17, A. Ficedola, 1712, parte 1°, c.88. In una recente giornata di studi sul “Collezionismo e studio dell’Antico nel Seicento” (25 ottobre 2011), organizzata da C. Gasparri all’Università Federico II di Napoli, ho avuto occasione di ricordare anche questa documentazione. 6 Su questo fedecommesso PICOZZI 1989-1990, p. 449, nota 42; PICOZZI 1993, passim; PICOZZI 2003, p.312. 3 4
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testimonianza visiva costituita da alcuni disegni relativi a sculture conservate nel Palazzo Verospi accanto a Palazzo Chigi, commissionati dal collezionista inglese Richard Topham negli anni 1720-17307, nell’ambito del suo progetto di un corpus grafico di antichità delle raccolte romane8, possiamo individuare alcuni esemplari di aegyptiaca di un certo interesse, identificabili con sculture da tempo conosciute, di cui non si ricostruivano sinora le vicende collezionistiche. Iniziamo dalla collezione di Ippolito Vitelleschi, un personaggio singolare, che faceva anche commercio di antichità, ma era dotato di passione antiquaria e di gusto raffinato; la sua raccolta era all’epoca piuttosto nota tra i viaggiatori inglesi, come Richard Symonds9 e John Evelyn10, ed apprezzata anche da antiquari e artisti, come Cassiano dal Pozzo11 e Orfeo Boselli12, e dallo stesso gesuita Athanasius Kircher. Quest’ultimo, nel III volume dell’Oedypus Aegyptiacus, pubblicato nel 1654, a proposito delle statue egizie che incutevano terrore ed allontanavano così il male, ricordava una figura di marmo scuro nel Museo di Ippolito Vitelleschi13 (che proprio in quell’anno era morto): ne presentava anche un’immagine (fig. 1), identica però a quella attribuita nella pagina successiva ad una statua in possesso di Francesco Serra14. Questa singolare maniera di utilizzare la stessa immagine per esemplari di due diverse collezioni, anche Sui disegni della collezione Verospi eseguiti per Richard Topham da Pompeo Batoni, cfr. in particolare MACANDREW 1978, pp.146-147. 8 In generale sulla raccolta di disegni di Richard Topham vd. CONNOR 1993, CONNOR BULMAN 2006, CONNOR BULMAN 2008. 9 Su Richard Symonds e la collezione Vitelleschi vd. oltre, note 16-17. 10 John Evelyn ha menzionato la raccolta di Ippolito nel suo Diario: E.S. DE BEER (ed.) 1955, II, p. 283; per una biografia sul personaggio DARLEY 2006 (rec. in Apollo 165, 2007, 541, pp.120-121). 11 LUMBROSO 1875, p. 72, p. 200; SCHREIBER 1885, p.103; SOLINAS 2001, pp.85-95 (Ms. Dal Pozzo 955, Napoli, Bibl. Nazionale Ms. V.E. 10, cc. 40rv, 141r, 146v). 12 BOSELLI (ED. DENT WEIL)1978, pp. 102-103 (per un indice delle sculture del Palazzo Vitelleschi menzionate nelle Osservazioni della scoltura antica). 13 KIRCHER 1654, p. 487. 14 KIRCHER 1654, p. 488. 7
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se descritte come tipologicamente affini, è stata già notata15, e si è pensato a una possibile inesattezza di padre Kircher, ma purtroppo la documentazione disponibile per la collezione Vitelleschi non consente alcuna possibilità di riscontro, né riusciamo ad identificare questa statua. L’unica testimonianza complessiva sulla raccolta di Ippolito Vitelleschi, risalente al periodo in cui l’appassionato collezionista era in vita, è la descrizione che ce ne ha lasciato Richard Symonds, che soggiornò a Roma tra il 1649 e il 1651, studiando pittura ed incisione presso Giovanni Angelo Canini16. Symonds annotava nei suoi taccuini, da amante dell’arte, le opere che nelle diverse collezioni romane visitate suscitavano il suo interesse; il più conosciuto di questi taccuini, di lettura non sempre semplice – tra l’altro Symonds alterna nella scrittura parole inglesi e italiane – è conservato alla British Library di Londra, ms. Egerton 1635, ed è stato di recente edito17: tra le sculture menzionate esiste in realtà un “Idolo Aegiptio”18, che potrebbe al limite riferirsi alla statua menzionata da Kircher, ma evidentemente occorrerebbe qualche elemento meno generico anche per una semplice ipotesi di identificazione. In un altro caso siamo però più fortunati: compare infatti nell’elencazione di Richard Symonds anche un “Dio” indicato con un nome poco leggibile, per cui riporto la recente trascrizione: “Dio del [Solirte] in Porphyde 4 spans long hands by his thighes”19. Un idolo di porfido, quindi, connotato dalla caratteristica posizione delle mani sulle cosce: FAEDO 2008, p. 126; a nota 30 l’A. ricorda giustamente una mancanza di accuratezza nell’apparato illustrativo utilizzato da padre Kircher in quest’opera; vedi anche CAPRIOTTI VITTOZZI 2008, p. 31. 16 In generale su Symonds ancora valido il lavoro di BEAL 1984. 17 Per il ms. Egerton 1635 della British Library, che contiene il resoconto della sua visita a Roma nel 1649-1650, BROOKES 2007; a p. 53 il commento della Brookes alla collezione di Ippolito Vitelleschi visitata da Symonds non dispone purtroppo di bibliografia aggiornata, e l’A. non conosce i miei lavori su questa raccolta. 18 Cfr. la trascrizione di BROOKES 2007, p. 85 (f. 20r, con n. 26) 19 BROOKES 2007, p. 85. Ho anch’io controllato il manoscritto, ed è veramente difficile proporre una lettura alternativa a “Solirte”. 15
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ritroviamo in seguito con sicurezza nel Palazzo Vitelleschi questa scultura grazie ad un elenco delle antichità ivi conservate, stilato nel 1701, quando Leone Vitelleschi Verospi aveva deciso di affittarlo al cardinal Gabrielli: il n. 128 dell’elenco è infatti un “Idolo egizio di porfido alto p.mi 3 1/4, posa sopra una colonnetta di porfido scannellata per diametro sulla base p.mi 2 alta p.mi 2 1/3”20. Poco tempo dopo questa figura di porfido fu trasferita, con altre sculture della raccolta, nel Palazzo Verospi accanto a Palazzo Chigi: lo spostamento è già deducibile in realtà dalla terza edizione (apparsa nel 1715) del Mercurio errante di Pietro Rossini, con aggiornamenti del figlio Giovanni Pietro, in cui si ricorda infatti un idolo egizio di Porfido nel Palazzo Verospi21, ma è ufficialmente registrato all’interno di un inventario notarile del 1744, relativo ai beni del fidecommesso Vitelleschi, redatto alla morte di Leone dal figlio Girolamo22. L’idolo egizio di porfido è presente in questo documento tra le “statue sottoposte al fidecommesso di detta Signora Marchesa Sulpizia Vitelleschi trasportate dal palazzo Fidecommissario Vitelleschi nel palazzo Verospi dove presentemente si ritrovano”23. Il trasferimento era già avvenuto nel 1720-1730, all’epoca della collezione di disegni di Richard Topham: nella biblioteca del College di Eton si conserva infatti un disegno di Domenico Campiglia (vol. Bm 6, n. 14 ) (fig. 2), che corrisponde, nell’elenco manoscritto Finding Aid di Eton relativo alle sculture del “Palazzo di Signor Verospi”, appunto ad “Un idolo di porfido, curioso”24. Il disegno ci permette facilmente e definitivamente di identificare la scultura Vitelleschi-Verospi con un’immagine di Bes piuttosto nota, di notevole interesse, sia per il materiale che per le dimensioni, più Cfr. per questa Descrittione di Statue, Busti, bassirilievi… soprattutto PICOZZI 1989-1990, p.451 ss., PICOZZI 1993, p. 73. 21 ROSSINI 1715, p. 69 ss.; sul Mercurio errante e le sue edizioni, FIABANE 1999, pp. 281-294.. 22 Per quest’inventario PICOZZI 1989-1990, p. 451, e PICOZZI 1993, p. 75. 23 Inv. 1744 (vedi nota precedente), c. 95r. 24 Windsor, Eton College Library, ms. Finding Aid, 2, f. 60, n. 8. 20
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volte pubblicata, e datata di solito in età imperiale 25 (fig. 3); per quanto so esiste solo un’altra statuetta di Bes di porfido, da Ostia, nella collezione Torlonia26. La figura si conserva oggi nel Museo Archeologico Regionale A. Salinas di Palermo27, ma proviene dal Museo che padre Ignazio Salnitro aveva istituito sin dal 1730 a Palermo presso il collegio Massimo della Compagnia di Gesù28. Sotto la direzione di padre Giuseppe Gravina, alla fine degli anni Cinquanta del Settecento, il museo Salnitriano si arricchì di opere acquistate a Roma29, tra cui evidentemente questa scultura: ce lo fa capire in realtà anche lo stesso Winckelmann, che nella Geschichte der Kunst des Althertums a proposito dell’arte egizia ricorda la statua per la rarità del suo materiale, per la testa “eines chimärische Tiere”, e segnala che era stata portata in Sicilia da Roma30. Winckelmann non nomina il proprietario romano della singolare statua di porfido, ma ora sappiamo che tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Settecento era Girolamo Verospi, figlio di Leone, uno dei principali artefici della dispersione sia della raccolta Vitelleschi che di quella della sua famiglia31. Ho già potuto documentare una parte delle DELBRÜCK 1932, p. 81, tav. 29a; SFAMENI GASPARRO 1973, p. 233, n. 214, fig. 61, e LIMC III, 1, 1986, pp. 99-100, n. 18; Marmi colorati 2002, p. 304, n.5 (G. Sarà), con altra bibliografia precedente; GK Denkmäler 2006, p. 39, n. 13; CAPRIOTTI VITTOZZI 2006, p.62, fig. 6; PALMA VENETUCCI 2009, nota 57 a pp. 164-165. La scultura è alta m. 0, 71, con il sostegno raggiunge m. 1,26. 26 La statuetta reca però sulla testa il busto di Hathor: CURTO 1967, p. 54, tav. 21; LIMC III, 1,1986, p. 99, n. 17; CAPRIOTTI VITTOZZI 2006, p. 62; PALMA VENETUCCI 2009, nota 57 con altra bibliografia. 27 Palermo, Museo Archeologico Regionale A. Salinas, Inv. 5629 (per la bibliografia cfr. supra, nota 25). 28 Sul Museo Salnitriano cfr. in particolare Bibliotheca Archaeologica 2004, pp. 47-50. 29 Bibliotheca Archaeologica 2004, p. 49. 30 WINCKELMANN 2003 (trad. di F. Cicero), p.217: “ Delle più antiche figure egizie in porfido oggi ne conosciamo soltanto una che presenta la testa di un animale chimerico, la quale è stata però portata in Sicilia da Roma”; cfr. anche GK Denkmäler 2006, p. 39. 31 Su Girolamo III Verospi (1700-1775) e la dispersione delle raccolte PICOZZI 1993, pp. 75-76, e PICOZZI 2003, p. 312. 25
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vendite, avvenute per volontà di Girolamo, cui si deve ora aggiungere la vendita al padre Gravina per il Museo dei Gesuiti di Palermo: dobbiamo ricordare però che la scultura era stata in precedenza anche compresa tra quelle offerte in acquisto al re di Polonia Augusto il Forte, nel 1728, al tempo di Leone Verospi Vitelleschi, come è indicato da un documento dell’Archivio di Stato di Dresda recentemente reso noto32, ma allora la trattativa non si era conclusa. Lasciamo la collezione Vitelleschi ed occupiamoci invece di qualche esemplare egizio presente nella raccolta della famiglia Verospi. Il marchese Giovanni Battista Casali, noto collezionista ed autore di studi antiquari, nel I volume della sua opera De profanis et sacris veteribus ritibus opus tripartitum, dedicato ai riti degli egiziani, e pubblicato per la prima volta nel 1645, illustra, insieme ad altre immagini egizie della sua collezione personale, anche una figura di naoforo “in Aedibus emin(entissimi) D(omi)ni Card(inalis) Verospii”, riferendosi nel testo all’immagine di Osiride presente nel tabernacolo33 (fig. 4). Il cardinale Verospi era in quegli anni Girolamo figlio di Ferrante, nominato a questa carica nel 1643 da papa Urbano VIII Barberini34: la raccolta Verospi, come si è detto, era stata soprattutto incrementata nel primo quarto del secolo da suo padre e dallo zio cardinal Fabrizio, entrambi morti nel 163935, personaggi ben inseriti nell’ambiente culturale dei Barberini, in cui anche le
Per il documento (Dresda, Hauptstaatarchiv, Loc.380, f.217r), CACCIOTTI 2004, p. 63, e nota 104; è pubblicato integralmente in CACCIOTTI 2009, p. 102, e App. Doc. 3, pp. 361-362, n.[24]: “Un Idole de [e]gittio de porfire rouge sur une colon[n]ette ou le pied est de porfire”: l’Idolo egizio è ritenuto “pas trop cher”, se ne chiedevano 200 scudi. 33 CASALI 1681 (ed. consultata), cap. De veteribus aegyptiorum ritibus, p. 28, con tav. tra le pp. 18 e 19; sul personaggio SANTOLINI GIORDANI 1989, p.20. 34 BREVAGLIERI 2001, pp. 51-52; cfr. anche la tavola genealogica a p. 165. 35 BREVAGLIERI 2001, pp. 26-33; sulla collezione di antichità nel XVII secolo soprattutto PICOZZI 2004. 32
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antichità egizie erano apprezzate.36 Nell’inventario alla morte di Ferrante, come in uno precedente del 163637, non è facile riconoscere questa scultura, che potrebbe forse essere l’esemplare indicato in entrambi i documenti come “idolo o dio penate”, di oltre tre palmi, forse a motivo della presenza del naos; in ogni caso, poco meno di un secolo dopo, al tempo di Leone, siamo certi che la scultura appartenesse ancora ai Verospi perché ne troviamo un disegno nella collezione di Richard Topham (vol. Bm 6, n.7), anch’esso eseguito da Domenico Campiglia (fig. 5): nel manoscritto collegato ai disegni, nella parte già citata che elenca le antichità del Palazzo Verospi, è stato identificato con “un idolo egizio, assai curioso”38. Un’immagine di quest’idolo egizio è ancora riportata nel volume a stampa sulle antiche iscrizioni di Palermo di Gabriele Lancillotto Castelli, principe di Torremuzza, pubblicato nel 1762: alla tav. CXIV è infatti illustrato un “Sacerdote egizio nel Museo Salnitriano”(fig. 6), e il testo spiega che la statua “scolpita in nero durissimo marmo di Egitto” fu acquistata a Roma per il Museo Salnitriano dal padre gesuita
In particolare per la ricostruzione dell’ambiente culturale barberiniano FAEDO 2008. 37 Per l’Inventario del 1636, PICOZZI 2004, pp. 235-238, e Appendice (pubblicazione della parte relativa alle sculture dei cortili); per l’Inventario del 1639, BREVAGLIERI 2001, pp. 31-32, e Appendice I, n.3, pp. 166-168, e PICOZZI 2004, p. 236. Ho in preparazione l’edizione completa dei due documenti, nel volume che intendo dedicare alle raccolte Verospi e Vitelleschi. 38 Windsor, Eton College Library, ms. Finding Aid, 2, f. 61, n.39 (“Un idolo egizio assai curioso”): il disegno della scultura di cui ci stiamo occupando è identificato con questo numero ad Eton; in alternativa si potrebbe proporre un’identificazione con f. 60, n. 7 “Un idolo di pietra egizia bigia”, che sembrerebbe più pertinente; ad Eton questa voce dell’elenco è tuttavia attribuita al disegno Bm 6, n.13, che rappresenta un’erma di Eracle, il cui materiale negli inventari è descritto come marmo bianco (testa) e pietra bigia (corpo): il pezzo è ora a Berlino, Antikensammlung SK187, ed effettivamente nell’elenco Topham non ci sono altre voci che consentano un più chiaro riferimento a quest’ultimo disegno. 36
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Giuseppe Maria Gravina39. Anche in questo caso non si menziona il venditore, evidentemente sempre Girolamo Verospi figlio di Leone, che non aveva venduto questa volta un esemplare della raccolta Vitelleschi, ma una scultura della sua famiglia. La vicenda della statuetta è quindi analoga a quella del Bes di porfido, e anch’essa si conserva nel Museo Archeologico Regionale A. Salinas di Palermo40 (fig. 7): si tratta con ogni probabilità di una scultura egittizzante di età romana, ispirata a modelli della XXVII dinastia, ed i geroglifici sul naos hanno una pura funzione decorativa41. Un ulteriore disegno della raccolta Topham ci mostra un’altra scultura Verospi (vol. Bm 6, n.21): è stato eseguito tra il 17201730 da Carlo Calderi, ed è riprodotta anche in questo caso una figura di Bes, in una tipologia seduta, più rara rispetto a quella stante42 (fig. 8): nell’elenco delle sculture di Palazzo Verospi il disegno, con riferimento molto generico, potrebbe corrispondere a “Un idolo assai curioso”43. Uno schizzo preparatorio del disegno di Calderi per Topham (fig. 9) si conserva nella raccolta di disegni appartenuti a Richard Mead, medico, dottore all’Università di Padova in filosofia e fisica nel 1695, collezionista di antichità, disegni, manoscritti, morto nel
CASTELLI 1762, p.89, tav. CXIV. Palermo, Museo Archeologico Regionale A. Salinas, Inv. 5624; SFAMENI GASPARRO 1973, pp. 233-234, n. 215, fig. 62, con bibliografia. L’altezza è di m. 1,36. Ringrazio la dott. Agata Villa, direttore del Museo, e la dott. Lucina Gandolfo per la fotografia cortesemente inviata, e per il permesso di pubblicazione. 41 Sono molto grata all’amica e collega Loredana Sist, che ha esaminato le fotografie della scultura, per le sue preziose indicazioni. Per le statue egizie di naofori in generale cfr. la bibliografia raccolta in GK Denkmäler 2006, pp. 5556, n. 55 (in relazione ad un naoforo oggi nei Musei Vaticani). 42 Su questa iconografia in particolare CAPRIOTTI VITTOZZI 2006, pp.62-66. Sulle figure di Bes nelle collezioni rinascimentali cfr. il recente lavoro di PALMA VENETUCCI 2009, pp. 150 – 170. 43 Windsor, Eton College Library, ms. Finding Aid, 2, f. 63, n.101 (indicato nell’”Altro portico, o sia loggia”). 39 40
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175444: una sconosciuta mano tardo-settecentesca ha inserito sotto il disegno un’annotazione che informa su alcuni dei successivi possessori della scultura raffigurata, acquistata nel 1777 in “an obscure place” dal banchiere e collezionista Lyde Browne, e passata nel 1778 in proprietà di Mr. Ladbroke 45: il palazzo Verospi non è esplicitamente menzionato, ma se fosse l’“obscure place”, la scultura venne alienata più tardi rispetto alle altre. I disegni riproducono esattamente una figura di Bes in marmo lunense oggi nel Fitzwilliam Museum di Cambridge46 (fig. 10). Il Museo, istituito dal settimo visconte Richard Fitzwilliam di Merrion nel 1818, registra nel suo primo anno di vita l’ingresso di questa scultura, donata dal proprietario di allora, il gesuita padre Gregory47: e sin dai primi cataloghi del museo a Cambridge era anche già nota la sua provenienza dalla raccolta Verospi, sulla base di un disegno successivo a quello commissionato da Richard Topham, che l’abate Jean-Baptiste Claude Richard de Saint-Non aveva eseguito nel periodo del suo soggiorno romano, tra il 1759 e il 1761, quando aveva riprodotto una serie di antichità di diverse collezioni. Il disegno del Bes di Saint-Non (che fu poi anche inciso) reca l’indicazione chiara: “Gallerie du Palais Verospi – en marbre deux pieds de haut”48 (fig. 11).
Su Richard Mead soprattutto JENKINS 2006; i tre volume di disegni della sua raccolta sono conservati nel Department of British and Roman Antiquities del British Museum, ed il nostro disegno è edito in JENKINS 2006, p. 344,n. 8, fig. 13. 45 La didascalia del disegno, London, British Museum, Mead Drawings II, 101, dovrebbe essere letta come segue:” this was b(ough)t in 1777 by Lyde Browne in an obscure place; this [is ]a very droll figure about 2 feet and half high. [Mr]Ladbroke b(ough)t it in 1778: così. JENKINS 2006, p. 344. 46 BUDDE, NICHOLLS 1964, pp. 73-74, n.117, Inv. GR. 1, 1818 (alt. m. 0, 595; le integrazioni sono ben segnalate nel catalogo, tra le più notevoli quelle delle mani); VASSILIKA 1998, pp. 106-107, n.51; ASHTON 2004, pp. 174-175, n. 103. 47 BUDDE, NICHOLLS 1964, p. XI (Introduction). 48 Römische Gärten 2006, p.116, fig. 105, scheda n. 48. I disegni di Saint-Non debbono molto a H. Robert. 44
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Non sappiamo tuttavia se la scultura fosse appartenuta alla raccolta Verospi sin dal XVII secolo, anche se è probabile, perché negli inventari più antichi come abbiamo visto spesso gli “idoli egizi” sono menzionati solo genericamente. L’interesse della scultura è dovuto anche alla sua funzione di fontana: un condotto inserito nella base faceva fuoriuscire l’acqua attraverso la bocca del leone. Esiste inoltre un altro Bes di iconografia identica, nella collezione di Giovanni Barracco49 (fig. 12), di cui si indicano come provenienza i resti di una villa romana in località Colonna, come è segnalato anche da Maria Pia Muzzioli che ha redatto una preziosa carta dei luoghi dei culti orientali del Lazio50. Il materiale delle due sculture è lo stesso, marmo probabilmente lunense; il Bes Barracco è purtroppo lacunoso nella parte inferiore, ma non si può escludere che avesse avuto un analogo impiego come fontana: sarebbe importante poter riconoscere uno stesso contesto per questi due Bes replicati da un modello comune, così simili e particolari (figg. 10 e 12), ed in ogni caso il Bes-fontana della collezione Verospi – per cui non abbiamo purtroppo alcuna indicazione di provenienza – poteva ugualmente essere stato collocato nell’ambito di in una residenza signorile, anche se non possiamo escludere altre eventualità51. Entrambe le sculture sono prodotti di età imperiale, con ogni probabilità di officina romana: sinora ne sono state proposte datazioni diverse su basi stilistiche, il Bes
SIST 1996, pp. 94-95, Inv. n. 60 (alt. m. 0,49; la parte sinistra della scultura è integrata, mancano i piedi e la base); CAPRIOTTI VITTOZZI 2006, pp. 62- 64 (riunisce i due esemplari Cambridge e Barracco, nell’ambito del suo studio sul Bes del Museo Gregoriano egizio, sinora un unicum); PALMA VENETUCCI 2009, p. 164, fig. 10; In generale sulla raccolta Barracco NOTA SANTI, CIMINO 1991, pp.5-10, CAGIANO DE AZEVEDO 2002, CIMA 2010. 50 Da ultimo, nell’ambito della provenienza dalla villa in località Colonna, Il fascino dell’Oriente 2010, p. 240, n.11 (L. Sist): per la pianta generale redatta da M. P. Muzzioli, ibidem, tav. XXVI. 51 Cfr. anche le osservazioni di CAPRIOTTI VITTOZZI 2006, pp. 70-71. 49
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Verospi ora nel Fitzwilliam Museum viene datato nel tardo II secolo52, quello Barracco nel II o nel I secolo dopo Cristo53. Ho presentato in questa sede i pochi aegyptiaca dalle collezioni Vitelleschi e Verospi che ho potuto riconoscere con sicurezza, ma ci sono altri esemplari da prendere in considerazione, per cui si può proporre un’identificazione, sia pure con maggiore prudenza: esiste ad esempio ancora un disegno della raccolta Topham, un busto con testa egizia anch’esso nel Palazzo Verospi (vol. Bm 6, n.20) (fig. 13), che potrebbe forse essere la stessa scultura indicata nel ms. Finding Aid col n. 105 “Una testa di putto egizio, di pietra nera”54. La testa sembra molto simile ad una di sacerdote datata alla XXX dinastia (380-362 a.C. ), ora a Monaco55 (fig. 14), che negli anni Sessanta del Settecento era nella collezione Albani, notata da Winckelmann su una statua non pertinente di Iside56, anch’essa oggi a Monaco . Della statua è noto il ritrovamento, nel 1665, dall’area di S. Maria della Minerva, nella zona dell’Iseo Campense, una provenienza ricordata fra l’altro da due lettere di Leonardo Agostini ; l’antiquario specificava che la figura di pietra nera di Iside mancava della testa e di parte delle braccia, mentre dal Bartoli sappiamo che venne acquistata dal cardinale Camillo Massimo . L’Iside acefala Massimo giunse nella collezione del cardinale Alessandro Albani, ed anche molte sculture Verospi, ritratti, BUDDE, NICHOLLS 1964, loc. cit.; VASSILIKA 1998, p. 106; in ASHTON 2004, p. 174, la datazione è addirittura ricompresa tra il II secolo e la metà del III d.C. 53 Ne Il fascino dell’Oriente 2010, p. 240 L. Sist propone il II sec. d. C.; PALMA VENETUCCI 2009, p. 164, propone invece il I sec. d. C. 54 Col n. 105 del ms. Finding Aid, 2 è appunto identificato ad Eton il disegno Bm 6, n.20, attribuito a Carlo Calderi. 55 Winckelmann e l’Egitto 2004, pp. 132-133, n. 106 (A. Grimm). 56 GK Denkmäler 2006, pp. 41-42, n.20; Winckelmann aveva notato la differenza stilistica e cronologica tra le due sculture. 57 Winckelmann e l’Egitto 2004, pp. 131-132, n. 105 (A. Grimm). 58 Sono molto grata a Beatrice Cacciotti per le informazioni sulla scultura. Le due lettere dell’Agostini sono state rese note da HERKLOTZ 2004, p. 77, nn. 68 e 69. 59 BARTOLI 1790, mem. 112; POMPONI 1996, pp.136, p.152, nota 292.. 52
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rilievi, copie romane da modelli greci, passarono nella stessa collezione60. È possibile che anche questa bella testa egizia abbia avuto un simile iter, se ipotizziamo che, separata dal busto certamente moderno su cui era impostata nella collezione Verospi, fosse stata collocata a Villa Albani sulla statua di Iside.61
Si vedano ad esempio la statua di “Gladiatore” (Diomede) Verospi, passata a Villa Albani ed ora a Monaco (GASPARRO, MORET 1999, pp. 256269, fig. 18); il “Pupieno” Verospi, ora al Louvre, anch’esso passato nella collezione Albani (DE KERSAUSON 1996, pp. 452-453, n. 211), come rilievi e sculture pervenute a diversi musei o che ancora si conservano nella Villa (ad es. PICOZZI 1993, p. 76). 61In Winckelmann e l’Egitto 2004, p. 132, A. Grimm afferma che il montaggio della testa di sacerdote sulla figura di Iside poteva essere avvenuto in età romana, piuttosto che nel Settecento; ma sappiamo che la statua rinvenuta nel 1665 era acefala, conosciamo l’intensa attività di restauro e integrazione delle sculture della Villa Albani, e non stupisce che anche in questo caso si volesse ottenere per l’esposizione in quest’ultima una statua egizia completa. 60
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Didascalie. Fig. 1. A. Kircher, Oedypi Aegyptiaci Tomus III, Romae 1654, p. 487. Fig. 2. Eton College Library, coll. R. Topham, vol. Bm 6, n.14. Fig. 3. Palermo, Museo Archeologico Regionale A. Salinas: Bes di porfido, Inv. 5629 (da Marmi colorati 2002). Fig. 4. G. B. Casali, De profanis et sacris veteribus ritibus…Romae 1681, tav. s.n. Fig. 5. Eton College Library, coll. R. Topham, vol. Bm 6, n. 7. Fig. 6. G. L. Castelli, Le antiche iscrizioni di Palermo…Palermo 1762, tav. CXIV. Fig. 7. Palermo, Museo Archeologico Regionale A. Salinas: naoforo, Inv. 5624 (Archivio Fotografico del Museo Regionale Antonino Salinas di Palermo). Fig. 8. Eton College Library, coll. R. Topham, vol. Bm 6, n. 21. Fig. 9. Londra, British Museum, Mead Drawings II, 101. Fig. 10: Cambridge, Fitzwilliam Museum: statua di Bes, Inv. GR. 1, 1818. Fig. 11. J.-B. C. R. de Saint-Non, H. Robert, Suite de dix-neuf feuilles d’après l’antique…1762, f.14, particolare (da Rӧmische Garten 2006, fig.105, n.48). Fig. 12. Roma, Museo Barracco: statua di Bes, Inv. 60. Fig. 13. Eton College Library, coll. R. Topham, vol. Bm 6, n. 20. Fig. 14. Monaco, Staatliches Museum Ägyptischer Kunst: testa di sacerdote, Inv. Gl.WAF 26 (da Winckelmann e l’Egitto 2004).
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