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Horti Hesperidum Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica Rivista telematica semestrale

DISEGNARE A ROMA TRA L’ETÀ DEL MANIERISMO E IL NEOCLASSICISMO a cura di FRANCESCO GRISOLIA

Roma 2014, fascicolo I

UniversItalia


Il presente tomo riproduce il fascicolo I dell’anno 2014 della rivista telematica Horti Hesperidum. Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica. Cura redazionale: Michela Gentile, Marisa Iacopino, Marta Minotti, Giulia Morelli, Jessica Pamela Moi, Gaia Raccosta, Deborah Stefanelli, Laura Vinciguerra.

Direttore responsabile: CARMELO OCCHIPINTI Comitato scientifico: Barbara Agosti, Maria Beltramini, Claudio Castelletti, Valeria E. Genovese, Francesco Grisolia, Ingo Herklotz, Patrick Michel, Marco Mozzo, Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, Ilaria Sforza Autorizzazione del tribunale di Roma n. 315/2010 del 14 luglio 2010 Sito internet: www.horti-hesperidum.com

La rivista è pubblicata sotto il patrocinio e con il contributo di

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Scienze storiche, filosofico-sociali, dei beni culturali e del territorio Serie monografica: ISSN 2239-4133 Rivista Telematica: ISSN 2239-4141 Prima della pubblicazione gli articoli presentati a Horti Hesperidum sono sottoposti in forma anonima alla valutazione dei membri del comitato scientifico e di referee selezionati in base alla competenza sui temi trattati. Gli autori restano a disposizione degli aventi diritto per le fonti iconografiche non individuate.

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © Copyright 2014 - UniversItalia – Roma ISBN 978-88-6507-740-5 A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.

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INDICE

FRANCESCO GRISOLIA, Presentazione

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MARCELLA MARONGIU, «… perché egli imparassi a disegnare gli fece molte carte stupendissime…». I disegni di Michelangelo per Tommaso de’ Cavalieri

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ALESSIA ULISSE, Una proposta per Siciolante

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MARCO SIMONE BOLZONI, Qualche aggiunta a Nicolò Trometta disegnatore

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STEFAN ALBL, Tre nuovi disegni di Giovanni Andrea Podestà e proposte su Podestà pittore

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KIRA D’ALBURQUERQUE, Aggiunta alla serie dei Piatti di San Giovanni: il ruolo di Ciro Ferri e Pietro Lucatelli

121

LUCA PEZZUTO, Novità su alcuni “petits maîtres” del Seicento tra L’Aquila, Roma e Ascoli Piceno: Francesco Bedeschini, Cesare Fantetti, Ludovico Trasi

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Horti Hesperidum, IV, 2014, 1

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URSULA VERENA FISCHER PACE, SIMONETTA PROSPERI VALENTI RODINÒ, Per Giacinto Brandi disegnatore

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GONZALO ZOLLE, La centralità del disegno nella ricostruzione dell’opera pittorica di Andrea Procaccini: tre casistiche e nuovi dipinti

223

PILAR DIEZ DEL CORRAL, «To breathe the ancient air». Il disegno ornamentale e architettonico spagnolo e l’Accademia di Francia a Roma nel Settecento

269

STEFANIA VENTRA, Disegni di Tommaso Minardi in Accademia di San Luca. Il legato testamentario e altre acquisizioni

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GIULIO ZAVATTA, Per Francesco Coghetti: nuovi documenti e un inedito disegno per il sipario del teatro di Rimini

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FRANCESCO GRISOLIA, Un disegnatore dalmata a Roma: su Francesco Salghetti-Drioli e un foglio firmato

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ABSTRACTS

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«…PERCHÉ EGLI IMPARASSI A DISEGNARE GLI FECE MOLTE CARTE STUPENDISSIME…». I DISEGNI DI MICHELANGELO PER TOMMASO DE’ CAVALIERI MARCELLA MARONGIU

Michelangelo conobbe Tommaso de’ Cavalieri, giovane gentiluomo romano, alla fine del 1532, probabilmente all’interno della cerchia radunata intorno al cardinale Ippolito de’ Medici, composta da intellettuali, artisti e letterati accomunati dagli interessi antiquarî1. La straordinaria bellezza del giovane2, la sua cultura e le non comuni competenze antiquarie favorirono la nascita di un’amicizia profonda e

Desidero esprimere la mia gratitudine a Barbara Agosti, Antonio Corsaro, Eva Del Soldato, Antonio Geremicca, Francesco Grisolia, Elena Lombardi, Simona Mercuri, Fernando Piras, Pina Ragionieri, Vittoria Romani. 1 Per la ricostruzione del contesto in cui Michelangelo incontrò Tommaso de’ Cavalieri, mi permetto di rimandare a MARONGIU 2013A, con bibliografia precedente. 2 Ne è testimonianza un celebre passo delle Lezzioni del Varchi: «M. Tommaso Caualieri giouane Romano nobilissimo, nel quale io conobbi gia in Roma (oltra l’incomparabile bellezza del corpo) tanta leggiadria di costumi, & cosi eccellente ingegno, et graziosa maniera, che ben meritò, & merita ancora, che piu l’amasse chi maggiormente il conosceua»: VARCHI 1549, p. 47.


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duratura, che lo legherà a Michelangelo fino agli ultimi istanti della vita dell’artista. Per quanto risulta dal carteggio michelangiolesco, gli inizi di questa amicizia videro i due protagonisti scambiarsi visite di cortesia e lettere; fin dai primi momenti il Buonarroti usò accompagnare le lettere all’amico con il dono di componimenti poetici e disegni di straordinaria finitezza formale e raffinata ispirazione antiquaria, ma anche con doni più modesti, come i frutti del suo orto. Il dono di disegni o componimenti poetici agli amici era praticato frequentemente dall’artista3: è celebre il sonetto con l’autoritratto ironico di Michelangelo, realizzato al tempo degli affreschi della Volta Sistina, indirizzato a un tale Giovanni da Pistoia4; negli anni qui considerati prendevano parte allo scambio di rime gli amici Giovan Francesco Fattucci e Bartolomeo Angelini, e successivamente Luigi del Riccio, Vittoria Colonna, Giorgio Vasari5. Del dono di disegni ad Antonio Mini o a Gherardo Perini abbiamo notizia dal Vasari6, mentre da memorie familiari abbiamo documentazione di quelli ad Andrea Quaratesi7; il dono di disegni (oltre che di componimenti poetici) era parte integrante del rapporto con Vittoria Colonna8, e ancora negli anni tardi della sua vita Michelangelo usava donare disegni agli amici, come risulta dai

HIRST 1988B, pp. 144-146. BUONARROTI, ed. Residori 1998, pp. 9-11, n. 5; GNANN 2010, pp. 161-163, n. 44. 5 Si veda CORSARO 2008. 6 VASARI, ed. Barocchi 1962, I, pp. 121-122. 7 Del bellissimo ritratto di Andrea Quaratesi, eseguito da Michelangelo intorno al 1530 e ora conservato al British Museum (inv. 1895-9-15-519), si conserva una copia di Carlo Dolci al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi (inv. 824 E), accompagnata dall’iscrizione: «Questo Disegno è copiato dall’Originale quale è in Casa il sig: Gio: Quaratesi et è di mano di Michelagnolo et è il ritratto D’Andrea di Rinieri Quaratesi mio Nonno, e qsto è di mano di Carlin Dolci fatto D’Ott:re 1645». 8 VITTORIA COLONNA E MICHELANGELO 2005. 3 4

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documenti ufficiali redatti al momento della sua morte9. L’invio di disegni e rime a Tommaso de’ Cavalieri, dunque, non costituisce un’eccezione all’interno degli abituali comportamenti di Michelangelo nei confronti degli amici, ma è evidente che nel suo caso – come in quello di Vittoria Colonna, di poco successivo – questi doni non avevano carattere occasionale ma, piuttosto, erano fondanti dello speciale rapporto che legava Michelangelo all’amico, cui inviava opere appositamente realizzate e frutto di un intenso impegno formale. Giorgio Vasari, nella biografia torrentiniana del Buonarroti, ricorda: Sonsi veduti di suo in più tempi bellissimi disegni, come già a Gherardo Perini amico suo et al presente a Messer Tommaso de’ Cavalieri romano, che ne ha degli stupendi, fra i quali è un Ratto di Ganimede, un Tizio et una Baccanaria, che col fiato non si farebbe più d’unione10.

In occasione della seconda edizione delle Vite, il biografo ebbe modo di fornire un’informazione più precisa: perché egli imparassi a disegnare gli fece molte carte stupendissime, disegnate di lapis nero e rosso, di teste divine, e poi gli disegnò un Ganimede rapito in cielo da l’uccel di Giove, un Tizio che l’avoltoio gli mangia il cuore, la Cascata del carro del Sole con Fetonte nel Po et una Baccanalia di putti, che tutti sono ciascuno per se cosa rarissima e disegni non mai più visti. Ritrasse Michelagnolo Messer Tommaso in un cartone, grande di naturale11.

La maggior parte di questi disegni è fortunatamente sopravvissuta. Fanno parte delle collezioni reali inglesi Il

GOTTI 1875, II, pp. 151-154. VASARI, ed. Barocchi 1962, I, pp. 121-122. 11 VASARI, ed. Barocchi 1962, I, p. 118. 9

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supplizio di Tizio12, una versione della Caduta di Fetonte13 e Il baccanale di putti14; altre due versioni della Caduta di Fetonte sono conservate al British Museum15 e alle Gallerie dell’Accademia di Venezia16; una delle ‘teste divine’, la Cleopatra, è conservata alla Casa Buonarroti17, mentre Il Sogno, ricordato da Vasari nella Vita di Marcantonio Raimondi18 e probabilmente riconducibile a questo gruppo19, è ora custodito alla Courtauld Gallery20.

Michelangelo Buonarroti, Il supplizio di Tizio (r), Cristo risorto e studio di figura (v) (1532). Windsor, Royal Collection, inv. RL 12771 (fig. 4). Si vedano, con bibliografia precedente, MICHELANGELO’S DREAM 2010, pp. 110-117, n. 2, e GNANN 2010, pp. 272-275, n. 82. 13 Michelangelo Buonarroti, La caduta di Fetonte (1533). Windsor, Royal Collection, inv. RL 12766 (fig. 8). Si veda MICHELANGELO’S DREAM 2010, pp. 131-135, n. 6 (con bibliografia precedente), e MARONGIU 2013B, pp. 329-343. 14 Michelangelo Buonarroti, Il baccanale di putti (1533). Windsor, Royal Collection, inv. RL 12777 (fig. 9). Si veda, con bibliografia precedente, MICHELANGELO’S DREAM 2010, pp. 138-145, n. 8. 15 Michelangelo Buonarroti, La caduta di Fetonte (1533). Londra, The British Museum, Department of Prints and Drawings, inv. 1895-9-15-517 (fig. 6). Si rimanda a MICHELANGELO’S DREAM 2010, pp. 125-127, n. 4 (con bibliografia precedente), e MARONGIU 2013B. 16 Michelangelo Buonarroti, La caduta di Fetonte (1534).Venezia, Gallerie dell’Accademia, inv. 177 (fig. 14). Si rimanda a MICHELANGELO’S DREAM 2010, pp. 128-130, n. 5 (con bibliografia precedente), e MARONGIU 2013B, 17 Michelangelo Buonarroti, Cleopatra (1534 circa). Firenze, Casa Buonarroti, inv. 2 F recto e verso (fig. 15). Si veda GNANN 2010, pp. 284-287, n. 86 (con bibliografia precedente). 18 «Sono poi da altri state intagliate molte cose cavate da Michelagnolo a requisizzione d’Antonio Lanferri, che ha tenuto stampatori per simile essercizio, i quali hanno mandato fuori libri con pesci d’ogni sorte; et appresso il Faetonte, il Tizio, il Ganimede, i Saettatori, la Baccanaria, il Sogno»: VASARI, ed. Bettarini, Barocchi 1966-1987, V, pp. 19-20. 19 L’inclusione del Sogno nel gruppo dei disegni per Cavalieri è implicitamente rifiutata da HIRST 1978, II, p. 253, p. 258 nota 2, e HIRST 1988B, pp. 152159. Dubitativa la posizione di JOANNIDES 1996, p. 55. 20 Michelangelo Buonarroti, Il Sogno (1533-1534). Londra, The Courtauld Gallery, Samuel Courtauld Trust D.1978.PG.424 (fig. 11). Si rimanda a 12

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Attraverso copie coeve è documentato Il ratto di Ganimede21 e, forse, un’altra ‘testa divina’, la Minerva22. In anni recenti, è stata autorevolmente proposta l’identificazione del Ritratto di giovane del Musée Bonnat di Bayonne con il ritratto – già considerato perduto – del Cavalieri23. Poche opere, tra quelle realizzate da Michelangelo nella sua lunga vita, hanno suscitato nella critica più interesse di questo straordinario gruppo di disegni. Eppure, nonostante la mole quasi incontrollabile di scritti sull’argomento, essi rimangono ancora, per molti versi, un mistero insondato. Questo perché nel corso dei secoli – ma soprattutto nel Novecento – sono stati caricati di significati che spesso trascendevano i disegni e talvolta erano del tutto estranei alle opere, al loro autore, al loro destinatario e al contesto che le vide nascere. Tra le letture proposte si possono individuare alcuni filoni dominanti: considerati, al pari delle rime, come un veicolo di espressione dei propri sentimenti nei confronti del giovane Tommaso24, sono stati analizzati da un punto di vista MICHELANGELO’S DREAM 2010, pp. 100-109, n. 1 (con bibliografia precedente). 21 Il ratto di Ganimede (già attribuito a Michelangelo). Cambridge, Mass., Harvard University Art Museums, Fogg Art Museum, inv. 1955.75 (fig. 1). Si vedano MICHELANGELO’S DREAM 2010, pp. 118-122, n. 3, e GNANN 2010, pp. 276-280, n. 83 (con bibliografia precedente). 22 Giulio Clovio, Minerva (da Michelangelo) (1540 circa). Windsor, Royal Collection, inv. RL 0453 (fig. 16). Si veda, con bibliografia precedente, GNANN 2010, pp. 360-361, n. 112. Per l’ipotesi di identificazione della Minerva di Windsor con una delle ‘teste divine’, si veda MARONGIU 2013A, pp. 274-275, nota 57. 23 Michelangelo Buonarroti, Ritratto di Tommaso de’ Cavalieri (?) (1533-1535 circa). Bayonne, Musée Bonnat, inv. 595 (fig. 18). La proposta di identificare in Tommaso de’ Cavalieri il giovane ritratto su questo foglio è stata avanzata da JOANNIDES 2003, p. 253, sub n. 107, ed è stata accolta da HIRST 2011, pp. 263, 375-376, nota 90. 24 HEKLER 1930, pp. 201-223; TOLNAY 1943-1960, III, pp. 111-115 (con aperture verso l’interpretazione neoplatonica); HIRST 1988B, p. 152; JOANNIDES 1996, pp. 54-55; KIRKENDALE 2001, pp. 37-41; CHAPMAN

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psicologico in indagini volte a definire il carattere di Michelangelo, le sue inclinazioni, le sue fragilità, i condizionamenti esercitati su di lui dalle convinzioni filosofiche e religiose25. Partendo dalla stessa considerazione della funzione – per così dire – comunicativa di questo gruppo di opere, è stata proposta nel 1939 da Erwin Panofsky26 un’interpretazione neoplatonica che mirava a fornire un quadro armonico che unificasse il presunto contenuto allegorico dei disegni con quello delle rime e con altri progetti di Michelangelo, il monumento funebre per Giulio II e quelli medicei della Sagrestia Nuova. Indipendentemente, si è affermato un altro filone interpretativo dei presentation drawings27 per Tommaso de’ Cavalieri. Prestando fede alla notizia vasariana dell’edizione giuntina della biografia michelangiolesca – «…perché egli imparassi a disegnare gli fece molte carte stupendissime, disegnate di lapis nero e rosso…» – si è pensato che i disegni avessero una funzione didattica28, e si 2005, pp. 224-227; FARINELLA 2007, pp. 26-115, p. 74; MARONGIU 2008, pp. 135-141; GARRARD 2014. 25 PETROVICH 1945, pp. 330-337; SASLOW 1986, pp. 17-60; BARKAN 1991, pp. 21-35, 78-89; JOANNIDES 1996, pp. 64-65, n. 12; RUVOLDT 2010, pp. 207-224; WALLACE 2010, pp. 43-45, 176-180; RUVOLDT 2013, pp. 105-114. 26 PANOFSKY 1939, in particolare le pp. 295-315: Panofsky parte da considerazioni di carattere psicologico per arrivare a un’interpretazione di carattere marcatamente neoplatonico. Le posizioni di Panofsky sono state seguite in particolare da FROMMEL 1979, che ha ricostruito su questo principio l’amicizia di Michelangelo per il Cavalieri, i presentation drawings, ma anche altre opere di Michelangelo di questo periodo, come il Giudizio sistino. 27 Definizione coniata da Johannes Wilde e ormai entrata nell’uso della critica, senz’altro da preferire a quella di gift drawings, di uso più recente: il termine presentation, infatti, oltre all’idea del dono ha nel suo significato anche la dimensione pubblica, che mi sembra molto adatta a questo gruppo di opere, più di quella strettamente privata di gift. 28 I DISEGNI DI MICHELANGELO 1975, p. 73, n. 105; FROMMEL 1979, pp. 6667; RUVOLDT 2003, 1, p. 65; MICHELANGELO’S DREAM 2010, pp. 76-78; REGAN 2012, pp. 274-290; RUVOLDT 2013, pp. 116-117. Recentemente PALUMBO 2012 ha esteso il concetto della funzione didattica dal campo artistico a quello etico-filosofico.

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è arrivati a creare un corpus di disegni del Cavalieri attraverso la sottrazione di fogli da quello del Buonarroti, presentando così Tommaso de’ Cavalieri come uno degli artisti più grandi del Cinquecento29, senza che sia sopravvissuta nessuna opera certa a lui riferibile, senza alcun riferimento delle fonti e senza altri riscontri documentari. Già questi elementi sarebbero sufficienti a dimostrare i limiti di questa proposta interpretativa; parimenti, è significativo un altro passo della stessa biografia, nel quale Giorgio Vasari ricorda che Michelangelo amò gli artefici e praticò con essi, come con Iacopo Sansovino, il Rosso, il Puntormo, Daniello da Volterra e Giorgio Vasari aretino […]. E questi che dicano che non voleva insegnare, hanno il torto, perché l’usò sempre a’ suoi famigliari et a chi dimandava consiglio; e perché mi sono trovato a molti presente, per modestia lo taccio, non volendo scoprire i difetti d’altri. Si può ben far giudizio di questo, che con coloro che stettono con seco in casa ebbe mala fortuna, perché percosse in subietti poco atti a imitarlo

e ricorda Pietro Urbano, Antonio Mini, Ascanio Condivi30: nessun cenno, invece, a Tommaso de’ Cavalieri. Senza escludere il fatto che Tommaso potesse avere qualche pratica nel disegno, esercitato come passatempo e forse legato alla passione e allo studio antiquarî, la frase del Vasari «perché egli imparassi a disegnare», presente soltanto nella seconda edizione delle Vite, non deve essere presa alla lettera, ma va considerata come un escamotage per riabilitare l’immagine pubblica di Michelangelo dopo le accuse infamanti rivoltegli a questo proposito da Pietro Aretino31, così come aveva fatto nel PERRIG 1991, pp. 78-85. VASARI, ed. Barocchi 1962, I, pp. 119-120. 31 In una celebre lettera, nella quale critica aspramente il Giudizio universale, l’Aretino accusa Michelangelo di essersi sempre rifiutato di donargli una sua opera: «perché il sodisfare al quanto vi obligaste mandarmi doveva essere procurato da voi con ogni sollecitudine, da che in cotale atto acquetavate la invidia, che vuole che non vi possin disporre se non Gherardi et Tomai»: CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, pp. 215-219, n. MXLV. La 29 30

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1553 Ascanio Condivi, scrivendo – sotto la direzione di Michelangelo – una biografia ‘antivasariana’ dell’artista: il Condivi, infatti, lasciava passare sotto silenzio il dono dei disegni e metteva in ombra l’amicizia dell’artista con il giovane, preferendo soffermarsi, invece, su quella con Vittoria Colonna32. Più complessa è la valutazione dei primi due filoni d’interpretazione. I disegni e le rime realizzati per Tommaso de’ Cavalieri possono essere considerati un’eccezione all’interno della produzione michelangiolesca per l’impegno formale profuso e l’altissimo valore stilistico33 che quasi mai si ritrova in Michelangelo, se non nei doni, di poco successivi, a Vittoria Colonna. È indubitabile che le rime composte da Michelangelo per il Cavalieri abbiano una marcata impostazione neoplatonica e che, così come le lettere indirizzate al giovane, dimostrino una irruenza passionale che difficilmente si troverà negli scritti di altri momenti. E tuttavia, proprio il parallelo con le opere realizzate per Vittoria Colonna – concordi nell’impegno formale e nella profondità dottrinaria, ma scevre dell’impeto passionale – dovrà far riflettere sulla radicalizzazione di tali proposte interpretative avvenuta nell’ultimo secolo, portata agli estremi fino ad assumere un carattere autoreferenziale, e responsabile da un lato della mistificazione del gruppo dei disegni, dall’altro della limitazione del loro significato, formale e contenutistico, all’interno del percorso creativo di Michelangelo. Il ritorno a una lettura stilistica delle opere che permetta di coglierne sia le peculiarità formali e contenutistiche, sia i legami con quante le hanno precedute o seguite, ma anche la riconsiderazione delle fonti coeve e del contesto culturale che lettera, risalente al novembre 1545 e pubblicamente nota attraverso la circolazione manoscritta, fu in seguito pubblicata ne Il quarto libro de le lettere (Venezia 1550), con la data luglio 1547 e l’indirizzo di Alessandro Corvino; nella versione a stampa è stato eliminato il riferimento a Gherardo Perini e Tommaso de’ Cavalieri come destinatari di disegni d’omaggio. 32 MARONGIU 2013C, p. 68. 33 Si veda HIRST 1978, pp. 255-256.

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ha permesso la nascita di questi capolavori, potrebbero portare a un’apertura verso nuove possibilità interpretative. Questo, tuttavia, senza voler negare il valore comunicativo di questo gruppo di opere e la matrice neoplatonica che le caratterizza all’interno del corpus poetico e grafico dell’artista. Già una delle prime lettere inviate al giovane dall’artista – forse la seconda34, di fatto la più antica a noi pervenuta – testimonia non solo la forte emozione suscitata in Michelangelo dall’incontro con Tommaso, ma anche l’invio in dono di sue opere, o almeno la promessa di un invio: «Però Vostra S(ignori)a, luce del secol nostro unica al mondo, non può sodisfarsi d’opera d’alcuno altro, non avendo pari né simile a·ssé. E se pure delle cose mia, che io spero e promecto di fare, alcuna ne piacerà, la chiamerò molto più aventurata che buona»35. Il dono di disegni è confermato dalla tempestiva risposta di Tommaso: «In questo mezo mi pigliarò almanco doi hore del giorno piacere in contemplare doi vostri disegni che Pier Antonio me à portati, quali quanto più li miro, tanto più mi piacciono, et appag[h]erò in gran parte il mio male pensando alla speranza che ’l detto Pier Antonio mi à data di farmi vedere altre cose delle vostre»36. Quali fossero i «doi vostri disegni» ricordati dal Cavalieri è possibile ipotizzarlo da una successiva lettera, inviata qualche mese dopo a Michelangelo nel frattempo rientrato a Firenze: il 6 settembre 1533 Tommaso scrive al maestro per ringraziarlo del dono recente di un sonetto, e aggiunge: Forse tre giorni fa io ebbi il mio Fetonte assai ben fatto, e àllo visto il Papa, il cardinal de’ Medici e ugnuno. Io non so già per Cfr. CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, III, p. 443-444, n. DCCCXCVII: «Ò da scusarmi che nella prima mia mostrai...». 35 CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, III, pp. 443-444, n. DCCCXCVII. 36 CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, III, pp. 445-446, n. DCCCXCVIII. 34

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qual causa sia desiderato di vedere. Il cardinal de’ Medici à voluti veder tutti li vostri disegni, e sonnogli tanto piaciuti che voleva far fare quel Titio e ’l Ganimede in cristallo; e non ò saputo far sì bel verso che non habbia fatto far quel Titio, e ora il fa maestro Giovanni. Assai ò fatto a salvare il Ganimede37.

La citazione congiunta del Tizio e del Ganimede – quest’ultimo, almeno, già terminato fin dalla metà di luglio38 –, l’evidente legame iconografico stabilito dall’artista tra i due disegni, così come la volontà del cardinale Ippolito de’ Medici di farne realizzare degli intagli in cristallo di rocca da Giovanni Bernardi da Castelbolognese, fanno ipotizzare che fossero questi i primi due disegni donati al Cavalieri; la lettera fornisce anche altre preziose informazioni, perché rappresenta un preciso termine cronologico per La caduta di Fetonte e testimonia l’esistenza di altri disegni, probabilmente la Baccanalia di putti ricordata dal Vasari nella Vita del Buonarroti come parte di questo gruppo, e forse anche il Sogno, ricordato insieme agli altri quattro soggetti nella Vita di Marcantonio Bolognese e d’altri intagliatori di stampe. In entrambi i fogli del dittico mitologico costituito dal Supplizio di Tizio e dal Ratto di Ganimede39, campeggiano un’aquila CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, p. 49, n. CMXXXII. Per datare la fortuna del Ganimede, si rimanda alla lettera di Sebastiano del Piombo a Michelangelo del 17 luglio 1533 (CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, pp. 17-19, n. CMX). 39 Al di là della differenza di formato tra la più fedele copia del Ratto di Ganimede (fig. 1) e Il supplizio di Tizio (fig. 4), penso che i voluti parallelismi tra i due autorizzino a pensare alla volontà dell’artista di creare un dittico. Il problema del formato – verticale o orizzontale – dell’originale perduto del Ratto di Ganimede resta aperto. Il foglio di Cambridge, con motivazioni convincenti attribuito a Michelangelo da HIRST 1975, p. 166 e HIRST 1978, è ora nuovamente giudicato una copia (si veda GNANN 2010, pp. 276-280, n. 84). Ciononostante, credo che il formato verticale e la presenza in primo piano di un cane, alcune pecore e gli attrezzi da pastore, siano una precisa scelta di Michelangelo, come confermano alcune importanti derivazioni (dalla miniatura di Giulio Clovio, ora in Casa Buonarroti, ad alcune incisioni – una già attribuita a Béatrizet, l’altra opera di Cornelis Bos – fino alle illustrazioni di Giulio Bonasone per le Symbolicae Quaestiones di Achille 37 38

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gigantesca con le ali spiegate e un giovane nudo virile di perfette proporzioni classiche, modellati attraverso finissimi tratti di matita che, insieme all’uso sapiente della colorazione e della grana della carta, riescono a rendere la dolcezza quasi epidermica dei corpi e la variegata lucentezza delle piume, così come i valori atmosferici del cielo verso il quale Ganimede è portato o le asperità della caverna nella quale Tizio è prigioniero. Questa tecnica, che trova il suo apice proprio nei disegni d’omaggio per il Cavalieri40, caratterizza i disegni più finiti di Michelangelo della fine del terzo e del quarto decennio del Cinquecento. La straordinarietà di questo gruppo di fogli all’interno della grafica michelangiolesca è stata sottolineata già dal Vasari nella prima edizione della Vita del Buonarroti e torna puntualmente nella letteratura critica fino ai giorni nostri, come ben chiarisce Vittoria Romani: Caratterizzate da una raffinata ispirazione all’antica, nelle forme e nei soggetti, in cui si sono rintracciate allusioni al sentimento che legava l’artista al giovane romano, precedute da una accurata e lunga preparazione e condotte con varietà di artifici tecnici – parti non finite contrapposte a dettagli finitissimi, effetti di unione e di modulazione chiaroscurale ottenuti sfruttando l’interazione tra il segno e la grana della carta che culminano nel Baccanale di Windsor –, queste prove sono anche tra le più consapevoli affermazioni dell’importanza e dell’autonomia del disegno41.

Bocchi), e che invece le copie in formato orizzontale, limitate al gruppo di Ganimede con l’aquila, siano il frutto di un adattamento indipendente dall’artista, e forse condizionato dai cristalli di Giovanni Bernardi e dalle placchette che ne furono tratte. Per l’invenzione michelangiolesca e la sua fortuna nel Cinquecento, si veda IL MITO DI GANIMEDE 2002, pp. 30-33, 74107, nn. 18-34. L’ipotesi di un unico disegno di Michelangelo di formato verticale è stata formulata da M. Clayton, in GENIUS OF THE SCULPTOR 1992, p. 392, e JOANNIDES 1996, pp. 54-55, 72-74; si veda anche IL MITO DI GANIMEDE 2002, pp. 74-75, n. 18. 40 Si veda HIRST 1988B, pp. 153-154, 158. 41 BIANCO, ROMANI 2005, p. 152.

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Il dittico contiene un’evidente citazione del celeberrimo Laocoonte del Belvedere vaticano42. Il ratto di Ganimede presenta anche un riferimento all’omonimo gruppo scolpito da Leochares per Alessandro Magno, ricordato da Plinio nella Naturalis Historia, una copia del quale era all’inizio del Cinquecento di proprietà del cardinale Domenico Grimani43, mentre Il supplizio di Tizio mostra evidenti analogie con il Gigante morto, elemento di un insieme di pregevole qualità scoperto a Roma meno di vent’anni prima44. Nonostante il ricorso a modelli classici, dichiarati fin quasi a volerli espressamente citare, in questi disegni Michelangelo attenua significativamente l’evidenza plastica e il dinamismo espressivo45, per cercare piuttosto l’effetto del bassorilievo classico o della glittica, e ben si comprende come le prime derivazioni – incisioni su cristallo Atanadoro, Agesandro, Polidoro, Laocoonte (terzo quarto del I sec. a.C.). Città del Vaticano, Musei Vaticani (fig. 2). Per il confronto, si veda IL MITO DI GANIMEDE 2002, pp. 68-69, n. 15, pp. 74-77, nn. 18-19. Si noti come il riferimento al Laocoonte, al di là del valore canonico che l’opera assunse fin dal momento della sua scoperta, possa costituire un riferimento velato al Cavalieri e stabilire così un legame tra il dono e il destinatario. Tommaso era infatti imparentato con Felice de Fredis, lo scopritore del gruppo antico: l’epigrafe dedicata a quest’ultimo, posta nella chiesa di Santa Maria in Aracoeli, a pochi metri dalla cappella funebre dei Cavalieri, ricorda infatti la figlia Giulia de Fredis de Militibus (nome latinizzato dei Cavalieri), moglie di Giacomo de’ Cavalieri. Per la trascrizione e la traduzione dell’epigrafe, ad opera di Sonia Maffei, si rimanda a SETTIS 1999, pp. 114-115. 43 Il ratto di Ganimede (da Leochares: originale bronzeo realizzato intorno alla metà del IV secolo a.C.). Venezia, Galleria dell’Accademia (fig. 3). Il riferimento al gruppo marmoreo per il disegno di Michelangelo è stato proposto da TOLNAY 1943-1960, III, fig. 300, che tuttavia citava l’esemplare ora ai Musei Vaticani, non ancora noto al tempo di Michelangelo. 44 Gigante morto (I-II sec. d.C.). Napoli, Museo Archeologico Nazionale, inv. 6014 (fig. 5). Per il confronto, si veda POPHAM, WILDE 1949, pp. 252-253, n. 429. 45 Si considerino, per contrasto, la tensione dinamica e volumetrica di altri due fogli ispirati al Laocoonte: lo Studio per Aman (1511-1512) del British Museum (inv. 1895-9-15-497), e il Ratto di Ganimede (1525 circa) del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi (inv. 611 E). 42

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di rocca e placchette bronzee – abbiano saputo rendere a pieno la peculiarità di questi disegni. Il parallelismo istituito da Michelangelo tra Il supplizio di Tizio e Il ratto di Ganimede è riflesso anche nel loro contenuto: entrambi i soggetti, infatti, pur presenti in numerosi testi antichi e medievali, hanno come fonte principale le Metamorfosi di Ovidio, lette dall’artista nelle versioni in volgare quattro-cinquecentesche46. Ganimede, principe troiano, a causa della sua straordinaria bellezza fu rapito da Giove, trasformatosi in aquila, mentre pascolava le greggi sul monte Ida; condotto nell’Olimpo, divenne coppiere degli dei e ricevette il dono dell’eterna giovinezza. Tizio invece, appartenente alla stirpe dei Giganti, fu punito da Giove per aver tentato di sedurre Latona e condannato alla pena eterna inflittagli da un avvoltoio che gli divorava le viscere, perennemente rigenerantesi. Anche per La caduta di Fetonte Michelangelo trasse ispirazione da un lungo passo delle Metamorfosi di Ovidio: Fetonte, figlio di Apollo, per avere conferma della sua origine divina, chiese al padre di poter condurre per un giorno il carro solare; il dio gli consegnò le redini, ma lui non fu in grado di tenerle a lungo; i cavalli privi di controllo portarono il carro fuori dal percorso ordinario, sconvolgendo l’ordine naturale del cosmo. Perciò Giove scagliò il fulmine verso il giovane, che precipitò nelle acque dell’Eridano, presso il quale accorsero le sorelle e l’amico Cicno: per il dolore quest’ultimo fu trasformato in cigno, mentre le Eliadi furono lentamente avvolte da una corteccia che le rese dei pioppi47. Su questo soggetto si conservano tre diverse versioni, realizzate da Michelangelo in un brevissimo lasso di tempo, tutte ispirate a un modello antico, il sarcofago che si

Per le fonti letterarie del mito di Ganimede, si rimanda a IL MITO DI GANIMEDE 2002, pp. 9-18. Per il mito di Tizio, si veda VOLLKOMMER 1997, p. 37. 47 Per le fonti letterarie del mito di Fetonte, si veda MARONGIU 2008, pp. 148. 46

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trovava nella chiesa romana di Santa Maria in Aracoeli48: un modello che da iconografico diventa anche, in qualche modo, stilistico nella versione finita elaborata da Michelangelo, disegno che nel trattamento dei volumi e delle luci tanto ricorda la levigatezza di un rilievo marmoreo. Nel primo disegno, conservato al British Museum49, Michelangelo inserisce la narrazione all’interno di una struttura piramidale, rappresentando alla sommità Giove sul dorso dell’aquila mentre scaglia il fulmine sul figlio di Apollo; al centro, in un turbinoso vortice, i quattro cavalli del sole e il corpo di Fetonte, spinto lontano dal carro, che precipita sulla Terra; in primo piano, l’Eridano che solleva lo sguardo in attesa di accogliere il corpo del giovane, le Eliadi, con le gambe imprigionate in robuste cortecce e le braccia che terminano in rami frondosi, e Cicno, già trasformato in uccello. Il disegno effettivamente donato al giovane Tommaso deve essere riconosciuto nel foglio della Royal Library, caratterizzato da una grande cura formale e da un alto grado di finitezza, che riprende lo schema compositivo del foglio di Londra, accentuandone tuttavia la drammaticità – si notino, per esempio, la maggiore inclinazione in avanti e la più insistita torsione del busto di Giove, il deciso movimento verso il basso di Fetonte e dei cavalli, la gestualità concitata e le espressioni deformate dei visi delle Eliadi – e insieme conferendo maggiore unità e armonia alla struttura compositiva. Spesso ritenuta uno studio alternativo a quello di Londra, la versione della Caduta di Fetonte Storie di Fetonte (170-180 d.C.), Firenze, Galleria degli Uffizi, inv.181 (fig. 7). Per il confronto con la serie michelangiolesca, si veda FREY 1909-1911, III, pp. 31-32, nn. 57-58. Per altri riferimenti all’antico, si veda TOLNAY 1975-1980, II, pp. 108-109, n. 343. Per la fortuna dell’invenzione michelangiolesca, si rimanda a MARONGIU 2008, pp. 80-92, 177-181. 49 Si legge in basso, nonostante una decurtazione del foglio, la breve nota con cui Michelangelo accompagnava il disegno: «[Messe]r Tomao, se questo sc[h]izzo non vi piace, ditelo a Urbino, [acci]ò che io abbi tempo d’averne facto un altro doman da·ssera, [co]me vi promessi; e se vi piace e vogliate che io lo finisca, [rim]andatemelo». 48

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delle Gallerie dell’Accademia di Venezia va considerata una meditazione successiva al disegno di Windsor, in uno spirito che già supera la classicità apollinea di questo per avvicinarsi alla drammaticità tormentata del Giudizio universale (di cui reca sul verso alcuni studi preparatori)50: l’insistita assialità della composizione, infatti, accentua il senso di tragicità e fatalità della caduta del giovane, mentre sono amplificate, come poi nell’affresco sistino, la concitazione dei gesti e la monumentalità delle figure in primo piano, che assistono impotenti alla sciagura. Meno chiare e ancora poco studiate sono le fonti letterarie del Baccanale di putti51, il disegno più elaborato e complesso dal punto di vista compositivo e quello nel quale la maestria di Michelangelo in questa particolare tecnica grafica è espressa ai massimi livelli. Non a caso, Giorgio Vasari dichiarerà entusiasticamente «una Baccanaria, che col fiato non si farebbe più d’unione». Per quanto riguarda i modelli figurativi, sono stati proposti dei paralleli con i bassorilievi della base della Giuditta di Donatello, con la Scoperta del miele di Piero di Cosimo o con l’Offerta a Venere e gli Andri di Tiziano, che sicuramente Michelangelo vide nei suoi viaggi a Ferrara del 152952; ancora, La cronologia interna a questo gruppo è controversa, e in particolare è discusso il posizionamento del foglio di Venezia rispetto agli altri due. Per la discussione di questo problema rimando a MARONGIU 2013B. Anche su questo foglio è contenuto un messaggio al destinatario del disegno, che ancora una volta sembra sia stato sollecitato ad esprimere il suo parere: «...lo ritracto el meglio ch[e] o saputo... vi rimando il vostro p[er]ch[e] ne son servo vostro che lo ritraga un altra volta... ». 51 Per HIRST 1988B p. 158, «Lo sviluppo da uno all’altro disegno [ovvero, dallo studio di Bayonne, richiamato alla nota 59, al disegno finito di Windsor] sembra precludere il fatto che in questo caso Michelangelo si sia accinto a illustrare un testo determinato; il soggetto del foglio di Windsor sembra essere stato di sua invenzione». 52 Donatello, Giuditta (1457-1464). Firenze, Palazzo Vecchio, Sala dei Gigli. Piero di Cosimo, La scoperta del miele (1505 circa), Worcester, Worcester Art Museum. Tiziano Vecellio, Gli Andri (1523-1524 circa). Madrid, Museo del Prado. Tiziano Vecellio, L’offerta a Venere (1523-1524 circa). Madrid, Museo 50

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alcuni sarcofagi con giochi di putti del Camposanto di Pisa 53 o, per il putto presentato in ginocchio nel gruppo in alto a destra, è stato proposto un confronto con un Torso di giovane inginocchiato54, celebre per essere appartenuto a Lorenzo Ghiberti. A questi modelli si potrebbero aggiungere gli universalmente noti Baccanali del Mantegna55; ma anche, per uno dei putti al centro, il gruppo del putto con un’oca allora in collezione Savelli56 e, per i putti intorno al pentolone in alto a destra, il Gruppo della bollitura del maiale della collezione Farnese57, assai celebre al tempo e da cui furono precocemente tratte delle

del Prado. Tali modelli sono stati richiamati da PANOFSKY 1939, pp. 308309. Per il confronto con Tiziano, si veda anche FARINELLA 2007, pp. 74-78, che suggerisce punti di contatto anche con altri due quadroni del Camerino di Alfonso d’Este: il Festino degli dei di Giovanni Bellini, parzialmente ridipinto da Tiziano (1514, 1529 circa) ora alla National Gallery of Art di Washington (Collezione Widener, inv. 1942.9.1) e con il Bacco e Arianna di Tiziano (1522) ora a Londra, National Gallery. 53 TOLNAY 1975-1980, II, p. 106, n. 338. 54 Torso di giovane inginocchiato (300 d.C. circa). Monaco, Glyptothek. Confronto proposto da NATALI 1992, p. 314. 55 In particolare: Andrea Mantegna, Baccanale con il tino (ante 1481). New York, The Metropolitan Museum of Art, Purchase Rogers Fund, The Charles Engelhard Foundation Gift and Elisha Whittelsey Collection, The Elisha Whittelsey Fund, 1986, inv. 1986.1159. Il ricordo di questa incisione mi sembra particolarmente presente nel Baccanale di Bayonne (si rimanda alla nota 59), precursore del capolavoro della Royal Library. 56 PRAY BOBER, RUBINSTEIN 2010, pp. 252-253, n. 200. 57 Gruppo della bollitura del maiale (metà del I sec. d.C.). Napoli, Museo Archeologico Nazionale, inv. 6218 (fig. 10). Composizione assai diffusa nel mondo antico in diversi media (rilievi, lucerne, gemme): si veda, anche per la fortuna cinquecentesca del motivo, S. PAFUMI, in SCULTURE FARNESE 2009-2010, I, pp. 207-209, n. 97. Tale gruppo potrebbe aver ispirato anche il putto che soffia sul fuoco in basso a sinistra nei Saettatori contro un’erma (1530 circa) della Royal Library di Windsor (inv. 12778), spesso accostato al gruppo dei disegni d’omaggio per Tommaso de’ Cavalieri ma che andrà piuttosto considerato nel quadro dell’amicizia dell’artista con il giovane fiorentino Andrea Quaratesi; per la datazione e contestualizzazione di questo disegno, si veda ROMANI 2013.

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stampe58. Ma è tuttavia evidente come, al di là della ripresa di singoli motivi, l’invenzione di Michelangelo ci appaia assolutamente originale per concezione e composizione. Una composizione alla quale – al pari della Caduta di Fetonte – Michelangelo dedicò parecchio tempo, come potrebbe indicare il disegno con uno Studio di nudo sdraiato e putti intorno a un tino59, forse preparatorio per il dono al Cavalieri, e sicuramente Il baccanale di putti di Raffaello da Montelupo che, per le significative varianti rispetto all’originale michelangiolesco di Windsor, deve essere considerato la copia di una versione precedente ora perduta60. Non ricordato dal Vasari nella lista dei presentation drawings per Cavalieri, né più tardi dal Varchi nell’Orazione funerale composta per le solenni esequie di Michelangelo in San Lorenzo a Firenze61, potrebbe essere stato realizzato per il nobile romano anche Il Sogno, che presenta forti analogie compositive e stilistiche con gli altri quattro fogli. Un angelo con le ali spiegate piomba dal cielo verso un giovane, seduto su un basamento – all’interno del quale sono collocate delle maschere – e poggiato su un globo terrestre; intorno a lui, realizzate in scala minore e con tratti più rapidi, numerose figure radunate in gruppi, impegnate in movimenti complessi e concitati: si dovrebbe trattare della rappresentazione dei vizi capitali, da cui il messaggero divino viene a liberare il giovane. Per quest’opera – che presenta una coincidenza compositiva, oltre al ricorrere di Si veda il bulino attribuito ad Adamo Scultori, intitolato L’Autunno: Roma, Istituto Nazionale per la Grafica, vol. 40.H.17, FC 50692. 59 Il disegno è conservato a Bayonne, Musée Bonnat, inv. 650v. Per il rapporto con il foglio di Windsor, si veda HIRST 1988A, pp. 113-114, n. 47, e MICHELANGELO’S DREAM 2010, pp. 140-141 (sub n. 8). 60 Ora conservato all’Ashmolean Museum di Oxford (inv. P 410). Questo disegno è già stato considerato un ricalco del foglio della Royal Library da JOANNIDES 2007, pp. 301-304, n. 66. Il disegno potrebbe essere stato copiato dal Sinibaldi durante la collaborazione con Michelangelo nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze. 61 VARCHI 1564, p. 17. 58

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alcuni motivi, con il pressoché contemporaneo dipinto raffigurante Venere e Amore dipinto dal Pontormo su cartone di Michelangelo62 – non sono generalmente ricordati dei modelli antichi; si dovrà però notare come il gruppo principale sembri avere un qualche rapporto con il medaglione quattrocentesco di palazzo Medici a Firenze, derivante dal celeberrimo intaglio antico con Diomede e il Palladio63: un foglio recentemente attribuito al Clovio64, probabilmente copia di un disegno perduto di Michelangelo riferibile a una fase abbastanza precoce dell’elaborazione del gruppo principale del Sogno, sembra costituire il momento intermedio tra il modello classico e il disegno d’omaggio65. L’elenco inserito da Vasari nella biografia giuntina di Michelangelo comprendeva anche «molte carte stupendissime, disegnate di lapis nero e rosso, di teste divine». Un riferimento, questo alle ‘teste divine’66, che per la sua genericità sarebbe quasi impossibile da accostare ai disegni noti, se non fosse per una notizia vasariana contenuta nella Vita di Madonna Properzia de’ Rossi, a proposito della pittrice cremonese Sofonisba Anguissola – «E non è molto che Messer Tommaso Cavalieri, gentiluomo romano, mandò al signor duca Cosimo (oltre una carta di mano del divino Michelangelo, dove è una Cleopatra) un’altra carta di mano di Sofonisba»67 – che andrà collegata a una lettera insieme alla quale Tommaso inviava due disegni a

Firenze, Galleria dell’Accademia, inv. 1890, n. 1570. Bottega di Donatello, Diomede e il Palladio. Firenze, Palazzo Medici (fig. 12). 64 Francoforte, Städel Museum, inv. 393 (fig. 13). Attribuito a Giulio Clovio in MICHELANGELO 2009, pp. 125-135, 148-149, p. 162, n. 22. 65 M. Marongiu, in PREGIO E BELLEZZA 2010, p. 104, n. 19. 66 Definizione che si riferisce all’alta qualità formale e non ai soggetti rappresentati per HIRST 1988B, p. 147; la definizione avrebbe anche un riferimento ai soggetti per JOANNIDES 1996, pp. 34-35, che pensa a ritratti idealizzati di personaggi immaginari o leggendari. 67 VASARI, ed. Bettarini, Barocchi 1966-1987, IV, p. 405. 62 63

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Cosimo I68. La Cleopatra di Casa Buonarroti, proveniente dalle collezioni medicee, è dunque il disegno donato da Michelangelo al giovane amico. Concepita come un torso all’antica per l’elaborata acconciatura con bende e boccoli che ricadono sul viso, ma anche per il taglio all’altezza del seno e la mancanza delle braccia69, nell’espressione sofferente ma composta mostra la sublimazione del dolore in una serenità olimpica; la ricerca dell’armonia – non solo compositiva ma anche espressiva – è raggiunta anche attraverso l’originale invenzione dell’aspide che, avvolgendo il torso della regina, riprende il movimento sinuoso della sua treccia, dissimulando la tragicità del momento. Questo straordinario risultato formale fu l’esito di un lungo lavoro di elaborazione e di non pochi ripensamenti. Il verso della Cleopatra, infatti, presenta una versione alternativa, molto simile nella figura della regina e nella sua posizione, ma ritratta in un’espressione sofferente e tormentata, tanto lontana dalla malinconia olimpica del recto, e accostabile, in questa svolta espressiva, alla terza versione della Caduta di Fetonte70. «La Eccellenza Vostra non si è punto ingannata nel promettersi di me, e per seggno di ciò mando questo diseggno a me tanto caro, ch’io reputo privarmi di uno de’ miei figliuli, né altra persona del mondo era mai bastante a cavarmelo de le mane. E che questo sia così, molti, quali sono stati padroni di Roma, se ci sono provati e non è riuscito loro. Oltra di questo, avendo io considerato il bellissimo desiderio di Vostra Eccellenza in far questo libro, mi è parso che tra tanti eccellenti uomini che ci potesse capire una donna, e però, avendo io un diseggno di mano di una gentildonna cremonese, chiamata Sofonisba Anguisciosa, oggi dama della Regina di Spaggna, lo mando insieme con questo e credo che potrà stare a paragone di molti, perché non è solamente bello, ma ci è ancora invenzione»: in DOKUMENTE UND FORSCHUNGEN 1906, pp. 443-444, n. III.2. 69 HIRST 1988B, pp. 159. 70 Anche il Supplizio di Tizio presenta sul verso un altro disegno: eseguito a ricalco, e da leggere ruotando il foglio di 90°, il nudo eroico rappresenta un Cristo risorto, un tema al quale Michelangelo lavorava con assiduità nel breve volgere di anni che lo vide impegnato nei presentation drawings per il Cavalieri. Per il gruppo delle Resurrezioni si vedano (con bibliografia precedente) CHAPMAN 2005, pp. 217-221; MICHELANGELO’S DREAM 2010, pp. 146-147, 148-159, nn. 9-11. 68

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Si potrebbe considerare parte del gruppo delle ‘teste divine’ per Cavalieri anche un altro disegno, ora perduto ma noto da una bella copia attribuita a Giulio Clovio e conservata alla Royal Library di Windsor. Si tratta della Minerva, che non solo rientra iconograficamente in questa tipologia, ma è assimilabile al gruppo anche per le peculiarità stilistiche fedelmente riportate dal copista e per l’evidente richiamo a un celebre modello antico, il cammeo appartenuto a Lorenzo il Magnifico71 che godette di ampia fortuna sin dalla fine del Quattrocento e fu replicato in diversi contesti. Un disegno del Clovio compatibile con il soggetto descritto fu infatti venduto nel 1592 da Emilio de’ Cavalieri, figlio di Tommaso, al cardinale Alessandro Montalto, ed è possibile che si trattasse di una copia dell’originale michelangiolesco realizzata in occasione di una vendita, come Tommaso fece quando fu costretto a separarsi dalla Cleopatra72. L’insistito riferimento al mondo classico, tanto nei soggetti, quanto nei modelli e nelle scelte stilistiche, è una caratteristica esclusiva di questo gruppo di disegni, che non trova corrispondenze in nessun altro episodio della produzione michelangiolesca, se si escludono opere giovanili come la Battaglia dei centauri73, il perduto Cupido dormiente74 e il Bacco75. Ora a Firenze, Museo Archeologico Nazionale, inv. 14491; reca sull’elmo l’incisione «LAV.R.MED.» (fig. 17). 72 Per questa copia della Cleopatra, si veda RAGIONIERI 2005, p. 28. Per le vendite di parte della collezione di disegni di Tommaso de’ Cavalieri, si veda SICKEL 2006, pp. 179-190, pp. 213-214, docc. I-II. 73 Michelangelo Buonarroti, La battaglia dei centauri (1490-1492). Firenze, Casa Buonarroti, inv. 194. 74 Realizzato da Michelangelo all’età di vent’anni, fu proposto in acquisto dal cardinale Raffaele Riario come opera antica; dopo essere stato posseduto da Cesare Borgia, dal duca di Urbino e di nuovo da Cesare Borgia, fu infine acquistato da Isabella d’Este e collocato nel suo Studiolo mantovano. Si veda V. FARINELLA, in MICHELANGELO E L’ARTE CLASSICA 1987, p. 43. 75 Michelangelo Buonarroti, Bacco (1496-1497). Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 10 S. 71

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Nelle opere giovanili, tuttavia, si assiste a una profonda meditazione sui testi letterari e sulla scultura antica, utilizzati come punti di riferimento per l’elaborazione di un linguaggio e per la realizzazione di opere del tutto originali: un riferimento, però, che esclude il rimando a un modello riconoscibile e che mai arriva alla citazione76. L’atteggiamento particolare di Michelangelo nei presentation drawings non può prescindere dalla fisionomia culturale del loro destinatario, come dimostrano gli scambi di opinione a proposito dei disegni, documentati dai messaggi scritti sui fogli della Caduta di Fetonte di Londra e Venezia77. Tommaso, sebbene molto giovane di età, doveva già essere noto per la cultura antiquaria, elemento caratterizzante della sua personalità che lo renderà, nel corso degli anni, un punto di riferimento per i collezionisti romani. Come esperto di arte classica e di architettura, Tommaso svolse infatti prestigiosi incarichi pubblici: nel 1548 fu scelto da Alessandro Farnese come giudice dell’integrità degli Orti Farnesiani ed ebbe la carica di deputato speciale per la sistemazione dei Fasti Consolari e Trionfali nel cortile del palazzo dei Conservatori, nel 1554 quella di deputato ordinario alla fabbrica del Campidoglio; alle cariche pubbliche si affiancarono numerose occasioni private, che confermano il ruolo di primo piano svolto dal Cavalieri nella cultura del suo tempo78. A titolo di esempio per verificare la trasfigurazione dei modelli nell’opera di Michelangelo, e la loro costante decontestualizzazione, si considerino i disegni ricordati sopra (nota 45) come esempi di riferimento al Laocoonte, ma anche gli Ignudi della Volta Sistina, che sommano la ricerca archeologica a quella anatomica. 77 Si vedano sopra la nota 49 e la nota 50. 78 Nel 1562 fu chiamato da Alessandro Farnese, con Guglielmo della Porta e Girolamo Galimberti, per stimare la collezione di Paolo del Bufalo, che il cardinale intendeva acquistare (LANCIANI 1902-1912, II, p. 179); nel 1567 si occupò, per conto degli eredi, della stima della collezione di Luca de’ Massimi (LANCIANI 1902-1912, I, p. 230); nel 1583 fece parte della commissione per la valutazione della collezione di antichità di Ottaviano Capranica (LANCIANI 1902-1912, II, p. 92). Per un quadro complessivo del 76

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Il testo della lettera scritta da Tommaso a Michelangelo il 6 settembre 1533, già citato all’inizio di questo saggio, offre importanti indicazioni per comprendere il contesto nel quale i disegni nacquero, che è anche quello all’interno del quale ebbero la loro prima circolazione79: Tommaso scriveva infatti Forse tre giorni fa io ebbi il mio Fetonte assai ben fatto, e àllo visto il Papa, il cardinal de’ Medici e ugnuno. Io non so già per qual causa sia desiderato di vedere. Il cardinal de’ Medici à voluti veder tutti li vostri disegni, e sonnogli tanto piaciuti che voleva far fare quel Titio e ’l Ganimede in cristallo; e non ò saputo far sì bel verso che non habbia fatto far quel Titio, e ora il fa maestro Giovanni. Assai ò fatto a salvare il Ganimede.

È del tutto comprensibile la curiosità di Clemente VII e del cardinale Ippolito de’ Medici, così come degli altri personaggi della loro corte, nei confronti dei disegni di Michelangelo, ma il tono della lettera dimostra che Tommaso aveva con loro relazioni abituali, come ebbe più tardi – e in questo caso non mancano i documenti – con la corte di Paolo III e del cardinale Alessandro Farnese, cerchia che aveva ricevuto in eredità dalla precedente molti dei suoi elementi di spicco tra artisti e letterati. E furono appunto questi i protagonisti di una delle stagioni più alte degli studi antiquarî a Roma nella prima metà del Cinquecento. Partendo dal progetto avviato da Leone X con la collaborazione di Raffaello e del Castiglione, il gruppo radunatosi intorno a Ippolito de’ Medici, chiamato Accademia della Virtù, perseguiva un programma di studio che aveva come fine la pubblicazione di un’opera enciclopedica, composta da esperti delle varie discipline, incentrata sull’edizione volgare e illustrata del De Architectura di Vitruvio, corredata da apparati di approfondimento sui problemi linguistici, storici ed suo ruolo nella vita culturale romana, si veda MARONGIU 2013A, in particolare le pp. 292-294 (con rimandi alla bibliografia precedente) per quest’ultimo aspetto. 79 MARONGIU 2013A, pp. 263-281.

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ingegneristici, e caratterizzata da una particolare attenzione alle opere d’arte (oltre ad architettura, pittura e scultura, anche medaglistica ed epigrafia), studiate sia dal punto di vista stilistico, sia da quello iconografico, spesso sulla base di confronti tra le fonti letterarie e quelle figurative. Il programma di studio dell’Accademia è esposto nella lettera di Claudio Tolomei ad Agostino de’ Landi del 14 novembre 1542, una sorta di testo programmatico che presenta in maniera sistematica il lavoro svolto nel decennio precedente80. Significativo, a proposito dei presentation drawings per Cavalieri, è il passo nel quale si dichiara l’ampliamento del punto di vista da quello degli studi strettamente architettonici a quelli più propriamente storico artistici: Nel veder, per rispetto de l’architettura, gli edifizii di Roma, si farà un altro studio non manco utile né manco bello, di considerare ed intender bene tutte l’anticaglie per via d’istorie […]. E allargandosi più oltre a molte parti congiunte con l’architettura, si farà una opera de’ pili, ritraendo in un libbro tutti i pili che sono in Roma o intorno a Roma, o interi o spezzati che siano; e appresso di ciascun pilo vi si faranno similmente due isposizioni: l’una per via d’istoria, dichiarando che favola o istoria vi sia scolpita, e a che proposito, e quel che significhi la tal figura o la tale; ove occorrerà dichiarare molte cose de l’antichità, così di sepolture, come di sacrificii e d’altri usi antichi; la qual cosa sarà utilissima e per la cognizion di sé stessa, e per la dichiarazione di molti luoghi de li scrittori grechi e latini. L’altra sarà per via di scoltura, mostrando che maniera di scoltura sia quella, in che parte sia buona, dove maravigliosa, dove manchi; s’ella è di mezzo rilevo, se di basso, se spiccato; s’ella è maniera pastosa, s’ella è secca; di che secolo paia; e insomma si sporrà tutto quello che per l’arte de lo scoltore si può avvertire. Così ancora si farà una altra opera de le statue, ritraendole tutte in un libbro, dichiarandovi appresso, prima, che Pubblicata per la prima volta in De le lettere di M. Claudio Tolomei libri sette, Venezia 1547, foll. 105 v-109r: ora in SCRITTI D’ARTE 1971-1977, III, pp. 3037-3046. Si vedano PAGLIARA 1986, pp. 67-74; DALY DAVIS 1989, pp. 187-197; HERKLOTZ 1999, pp. 251-254, 291, 297; SCHREURS 2000, pp. 84-87. 80

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statua ella sia, e per che ragioni o segni, o autorità o conietture si comprenda. Ponendovi ancora, quando si possa sapere, il tempo che fu fatta e ’l nome del maestro che la fece. Dipoi di che bontà ella sia, o che mancamento ella abbia, e che maniera. E perché in Roma sono molte altre scolture in fregi, in tavole e altre cose spezzate, si farà una altra opera di ritratti di tutte queste altre cose col medesimo ordine, dichiarando particolarmente a ciascuna la sua istoria, e appresso la bontà o mancamento de l’arte81.

I presentation drawings non nacquero certo come illustrazione del programma teorico dell’Accademia della Virtù, ma la considerazione della loro unicità e delle loro peculiari caratteristiche formali e iconografiche farà certo risaltare come essi siano per lo meno in perfetta consonanza con il clima culturale dell’Accademia, e come forse la loro elaborazione possa essere stata favorita da discussioni nate al suo interno. Discussioni cui prese probabilmente parte Michelangelo, in quegli anni impegnato attivamente negli studi vitruviani82, e forse anche il Cavalieri, che, a giudicare dagli incarichi ricevuti più tardi, potrebbe essere stato uno dei «belli ingegni» e «dotti uomini» impegnati nella titanica impresa: A qualcuno parerà forse che questa sia troppo grande e troppo malagevole impresa, e ch’ella abbracci troppe cose, le quali non sia mai possibile condurre a fine; oltre che ce ne saranno alcune così oscure, che non si potran mai per modo alcuno illustrare. Ma s’egli saprà, come non un solo, ma molti belli ingegni si son volti a questa nobile impresa, e come a ciascuno è assegnata la sua In SCRITTI D’ARTE 1971-1977, III, pp. 3041-3043. Il 7 dicembre1532, Giovanni Norchiati, cappellano di San Lorenzo a Firenze, scriveva a Michelangelo, in quel momento a Roma: «A presso, da poi che vi partisti di qua io ho lavorato forte in sul Vitruvio, e sono già nel settimo libro, che sei ne sono tradotti interi, e tuttavia lavoro; ma harei bisogno di havervi a presso, sì anchora coll’ochio vedere certe cose delle antiche, e se Dio mi dà gratia che io mi conducha a primavera, spero di venirvi a visitare a ogni modo, acciò che io veggha coll’ochio qualche cosa»: CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, III, pp. 441-442, n. DCCCXCVI. 81 82

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particolar fatica, non più si maravigliarà, credo, che si maravigli vedendo in una grossa città lavorar di cento arti o più in un medesimo tempo. Conciosiacosa ch’ogni grandissimo peso col partirlo in molte parti si fa leggiero. Così partendosi tra tanti dotti uomini queste fatiche, non è dubbio che ’n manco di tre anni si condurran tutte a fine83.

In conclusione, per tornare al problema iniziale, ovvero al tentativo di comprendere quali siano state le motivazioni che portarono a un nucleo così straordinario e unico di capolavori, credo che la ricostruzione del contesto all’interno del quale le opere sono nate possa offrire un’altra possibilità interpretativa, ma anche portare a disporre di ulteriori elementi per mettere meglio a fuoco la personalità di Tommaso de’ Cavalieri e capire qualcosa di più dello speciale rapporto che lo legò per tutta la vita a Michelangelo.

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In SCRITTI D’ARTE 1971-1977, III, pp. 3045-3046.

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Fig. 18. Michelangelo Buonarroti, Ritratto di Tommaso de’ Cavalieri (?), 1533-1535 circa, matita nera, mm 695 x 488. Bayonne, Musée Bonnat, inv. 595.

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