LUCI ED OMBRE NEL DE ARCHITECTURA TRA SETTE E OTTOCENTO : EDIZIONI VITRUVIANE ITALIANE A CONFRONTO
ELENA GRANUZZO
Da sempre Vitruvio ha rappresentato uno stimolo culturale e intellettuale, ma anche una fonte inesauribile che ha sollecitato la fantasia dei suoi interpreti. Gli architetti, anziché tentare di desumere dai precetti vitruviani forme che potessero diventare oggetto di applicazione o di pedissequa imitazione, hanno solitamente trovato nel De architectura la giustificazione di una grande libertà creativa. «È chiaro che l’architetto debba esser galantuomo da vero, e possedere quel gruppo di belle virtù morali, che Vitruvio con paterna premura raccomanda», dichiara Francesco Milizia; ma «né Vitruvio, né Palladio sono giunti alla perfezione, e per conseguenza sono superabili. Allegramente: vediamoli» . Dopo le celebri edizioni vitruviane dei secoli XV e XVI (tra le quali spiccano quella di Lione curata da Guillaume Philandrier nel 1552, e quella di Venezia di Daniele Barbaro del 1567) del De Architectura non abbiamo che una sola edizione notevole: la 1
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M ILIZIA 1823, p. 373.
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famosa di Amsterdam del 1649, opera di Giovanni de Laet. Il lavoro venne ripreso, sotto l’impulso di nuove esigenze filologiche e critiche, nel XVIII secolo, che si può definire, in un certo senso, il secolo vitruviano per eccellenza. Infatti una fioritura di edizioni interessò allora l’Europa: solo per citarne alcune, rimasero celebri quelle del Rode (Berlino 1800) e, più ancora, quella dello Schneider, pubblicata a Lipsia negli anni 1807-1808. Tanto interesse per Vitruvio trovò importanti risposte anche in Italia, in particolar modo nel Veneto, dal momento che proprio il Settecento vedrà Venezia (con Giovanni Poleni, Carlo Lodoli, Andrea Memmo, per fare solo alcuni nomi) confermarsi come il più vivo centro teorico architettonico italiano, capace di intrecciare, in nome del razionalismo neopalladiano, intensi rapporti con l’Inghilterra, oltre che con i centri più vivi della penisola. La missione che i trattatisti dell’epoca vogliono portare avanti viaggia su un doppio binario: da un lato lo studio e la riscoperta di Vitruvio, testo antico per antonomasia; dall’altro la ricerca di rispondenza con i resti delle architetture antiche, all’epoca fatti oggetto di interesse dagli studiosi . Tanto impegno darà vita a interpretazioni critiche, verifiche sul campo, ricerche autonome che condurranno a un approccio sempre più indipendente del testo, complice anche un importante fatto culturale, la nascita delle Accademie, che nuovo fermento porteranno intorno all’esegesi vitruviana. Nel 2
2 Scrive Luigi Marini nell’Antico compendio di architettura di anonimo scrittore emendato, appunto, dal Marini e pubblicato nel 1855: «Non di rado può avvenire, ed avviene in effetto, che il monumento non riveli da sé tutte le ragioni ed il particolare consiglio dell’architetto nell’edificarlo e disporlo: senza che le reliquie che ci restano, o che almeno furono conosciute finora, non sono poi tante da rivelarci affatto tutto il complesso delle dottrine professate dai Greci e dai Romani in tal arte. Inoltre, se non v’ha oggetto materiale qui al mondo, procedente dall’industria e dall’ingegno dell’uomo, che tanto di sua natura richieda non peritura durata, quanto gli edificii, o vogliam dire i lavori architettonici; e se i Romani, come dall’effetto si mostra, seppero così ben conciliare alle loro opere questa mirabile prerogativa; egli ne viene di legittima conseguenza, che le teorie di questo popolo eminentemente architettonico devono essere dai posteri con somma avidità ricerche».
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corso degli anni, infatti, il De Architectura venne messo a confronto, in ambito accademico, appunto, con i principali teorici che, in vario modo, elaborarono i loro trattati di architettura a partire da quello vitruviano. L’approccio al massimo teorico dell’antichità, quindi, non poteva basarsi su una accettazione passiva, bensì su un esame critico del testo, in funzione delle reali esigenze del sistema costruttivo. Già i primi tentativi in tal senso – volti ad una consapevole esegesi del testo ad opera di Perrault , legati all’iniziativa del volgarizzamento del De architectura intrapreso da Frémin e Le Clerc, e sviluppati con indipendenza critica e, per così dire, razionalista da parte di De Cordemoy, e poi ancora approfonditi da Laugier in direzione delle sue tesi funzionaliste e da Blondel nelle sue opere teoriche – testimoniano l’esistenza di un filo conduttore esegetico che fino al Settecento, appunto, aveva come comune denominatore il processo di emancipazione da Vitruvio. Bisogna anche dire che, inevitabilmente, il comportamento del traduttore tradirà quasi sempre la sua formazione e le sue intenzioni: diverso sarà l’approccio dell’architetto «pratico», dell’architetto «teorico», dell’erudito, di chi cerchi nozioni da mettere in atto o di chi voglia recuperare a nuova vita il testo antico. Si avranno allora versioni complete e fedeli, o versioni con tagli più o meno severi del testo, soprattutto di fronte a passi estremamente complicati e resi oscuri dai guasti della tradizione manoscritta; si avrà o meno una maggiore caparbietà nel comprendere; si cercherà di interpretare il testo con ostinazione e di tradurlo realmente, oppure ci si abbandonerà a una traslitterazione passiva. 3
3 L’opera di P ERRAULT 1673 non è soltanto una traduzione (peraltro molto fedele all’originale) ma costituisce, grazie ad un fitto apparato di note, una vera e propria riorganizzazione della materia con individuazione dei precetti che possono essere utili per una elaborazione moderna. Questa interpretazione personale, al tempo ritenuta rivoluzionaria, testimonia un’ulteriore autonomia nei confronti del trattato vitruviano.
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Naturalmente con il procedere della trattazione i problemi aumentano, conformemente a quanto sostiene Vitruvio, che cioè gli architetti debbano possedere competenze pressoché enciclopediche. Vengono così affrontati argomenti sempre più tangenziali o tecnici, che fanno sì che la passività nell’accettare una traduzione sia legata alla mancanza di competenze specifiche. Infatti l’architetto, traducendo, vuole anche impadronirsi di un lessico, ristabilendo il complesso e delicato nesso tra segno e significato. L’uso di latinismi vitruviani risponde quindi ad uno scopo preciso: quello di appropriarsi di una terminologia che è spiegata dapprima per via di glosse, ma che poi è utilizzata normalmente nel corso della traduzione nonché, allargando i confini dal testo al sistema, nella elaborazione delle pagine di commento e di vera e propria trattatistica specializzata. L’attenzione sul lessico viene spesso richiamata grazie a un breve glossario, solitamente aggiunto in appendice, da intendersi non come semplice strumento del traduttore, bensì in funzione del lettore cui è destinata la pubblicazione. La formula editoriale in tal caso messa a punto conferma come l’obiettivo principale sia quello di rendere trasparente Vitruvio, non già di appropriarsi della sua terminologia, spesso oscura . Le immagini stesse diventano strumento e chiave di lettura per chiarire il significato di passaggi problematici, in quanto esse hanno, a livello figurativo, una funzione interpretativa che va a incidere sul livello filologico. 4
4 Particolarmente interessanti si sono rivelati quei casi in cui il latinismo vitruviano segue il termine di origine volgare usato inizialmente per tradurre: quindi si tratta non di una spiegazione, ma di una marcatura del testo, di un collegamento preciso con quel testo latino della cui traduzione non ci si sente sicuri, e che si ha intenzione di affrontare ulteriormente, recuperando con facilità il passo di riferimento grazie alla spia lessicale giustapposta a quello che sembra caratterizzarsi come probabile traducente. Emergono lavori di traduzione in cui appare solo la volontà di traslitterare, dove il traduttore annota le possibili spiegazioni dei termini o dei concetti meno chiari, rimandando a un successivo passaggio l’affinamento, la metamorfosi da traslitterazione a traduzione. Come in una copia di lavoro, appunto.
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Mai come tra Sette e Ottocento, infatti, si affacciano in «libraria» nuovi lettori, sempre più numerosi, appartenenti a fasce sempre più estese della popolazione, di cui facevano parte anche gli artisti e gli architetti. Un pubblico nuovo portava con sé esigenze e richieste diverse, anche originali, che gli editori e i librai cercavano di volta in volta di intercettare e indirizzare, talvolta di suggerire, intervenendo pure sulla veste tipografica del libro. Si andavano così differenziando formati e costi, in considerazione di quelle categorie di lettori che solo all’inizio del secolo erano escluse dal mercato librario. Nasce così la figura del curatore-filologo, ma nascono anche nuove tipologie editoriali in quanto pure il formato varia, a seconda della destinazione del libro e delle attitudini intellettuali del destinatario e del compratore. Tutto ciò comporta l’esistenza di diversi tipi di edizioni vitruviane, che a loro volta danno origine a diversi modelli di tavole, che variano nel numero, nella disposizione del testo, nei contenuti, nelle funzioni più o meno tecniche, più o meno illustrative, di insieme o di dettaglio. Le illustrazioni, quindi, assumono il compito di chiarire i passaggi più problematici del testo, dimostrando come le parole possano passare dal segno scritto a quello figurato, diventando le protagoniste di veri e propri dibattiti architettonici. Volendo ora concentrare l’attenzione su un gruppo selezionato e ben preciso di autori (Poleni, Galiani, Stratico, Amati, Marini, Orsini), dobbiamo subito precisare che le discussioni intorno al testo vitruviano lungo il corso del Settecento trovavano spesso scenari comuni: solo per citare le questioni principali, ricordiamo l’uso e la predisposizione di strumenti matematici per la misurazione sistematica degli edifici; la definizione degli obiettivi dell’architettura, irreggimentati nella tripartizione assiomatica di utilitas, firmitas, venustas; le origini più o meno mitiche dell’architettura e delle sue parti (degli ordini innanzitutto), per non dire di tutti i problemi relativi alla percezione visiva e alla correzione ottica. Inoltre dobbiamo precisare che nel Settecento si svilupparono ed ebbero particolare fortuna tre generi di critica vitruviana. Horti Hesperidum, II, 2012, 2
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Il primo genere presuppone un interesse per l’opera di Vitruvio intesa genericamente come un classico della letteratura latina; di conseguenza, le relative pubblicazioni si rivolgevano per lo più a un pubblico di dilettanti, non competenti cioè delle questioni tecniche. Il secondo filone è riconducibile a una tendenza più strettamente filologica, inaugurata da Giovanni Poleni, come vedremo. Infine il terzo filone prevede il reimpiego di Vitruvio, per così dire, per trarne precetti utili per gli architetti, in una accezione quindi più utilmente pratica, di immediata fruibilità. Un esempio di quest’ultimo filone è fornito dall’edizione curata dal milanese Carlo Amati negli anni 1829-1830. Per Amati si rendeva necessaria, infatti, una nuova edizione che trovasse il giusto equilibrio tra erudizione e operatività, e fosse «non molto costosa, comoda ed alla portata della Gioventù che si dedica all’arte importantissima di edificare» . Per questa edizione egli si appoggia ai lavori di Fra Giocondo, Durantino, Barbaro, Galiani, Orsini, Poleni-Stratico, tutti presenti nella sua biblioteca. Per quanto riguarda il primo filone invece (in riferimento a edizioni indirizzate a un pubblico di dilettanti), Gian Francesco Galeani Napione, intellettuale piemontese, non architetto, nella prefazione al suo epistolario sui temi delle belle arti pubblicato nel 1820 , afferma di volersi rivolgere alla categoria dei «dilettanti» in una sua progettata edizione vitruviana. Egli difende l’approccio dell’uomo colto, esperto del mondo piuttosto che di questioni esclusivamente tecniche e artistiche. Con artificio letterario si appoggia a una lettura tendenziosa di Vitruvio attribuendogli, in base alla prefazione del Sesto Libro, una particolare inclinazione per i dilettanti in architettura, fino ad affermare che Vitruvio stesso era un dilettante. Il secondo filone invece, quello di natura più strettamente filologica, è ben rappresentato dall’opera di Poleni e Stratico 5
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A MATI 1829-1830 (1988), p. XXII. G ALEANI N APIONE 1820.
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pubblicata a Udine negli anni 1826-1830, comprendente 120 tavole incise in rame e circa 200 silografie, tanto che l’edizione, secondo il parere di numerosi esperti, può essere considerata una vera e propria enciclopedia vitruviana, e come tale è stata infatti di solito indicata . Già il fatto che non vi sia un elenco delle tavole è significativo della sua poca maneggevolezza e praticità: essa non è un’opera pensata per una facile e pronta consultazione. Non è pensata per gli architetti, appunto. 7
Giovanni Poleni, professore all’Università di Padova, scienziato di fama europea, autore di dotte monografie di matematica, di astronomia, di idraulica, si immerse con autentico fervore nello studio del De Architectura tanto da pubblicare nel 1739 e nel 1741, come preludio all’edizione completa, tre Exercitationes vitruvianae . Con la sua morte però, avvenuta nel 1761, la grande opera rimase incompleta: fu allora che il governo veneziano, rimasto in possesso degli studi poleniani, ne affidò la continuazione a Simone Stratico . 8
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7 E NGELMANN 1847. Vedi la scheda di G.M. Fara in F ARA , T OVO 2001, pp. 340344, n. 218. Inoltre riviste come la «Biblioteca italiana» e l’«Antologia» ne parlarono con lode, definendolo l’opera «il Vitruvio de’ Vitruvi». 8 Su Giovanni Poleni scienziato, idraulico, erudito antiquario, rimandiamo a COSSALI 1813; GUADAGNINO LENCI 1974-1975, pp. 543-567; SOPPELSA 1983, pp. 961-992; BERNABEI 1985, p. 501; RICCATI , VALLISNERI 1985; Giovanni Poleni 1988; FONTANA 1988, pp. 93-105; GIUNTINI 1990, pp. 99-125; RICCATI, POLENI 1997; NARDO 1997, pp. 31-75; FONTANA 2007, pp. 374-383; GRANUZZO 2010, pp. 235-250. 9 Simone Stratico, nato a Zara nel 1733, successore di Poleni nella cattedra di matematica e di nautica, anch’egli autore di apprezzati saggi di fisica, meccanica, idraulica, si accostò agli studi architettonici scrivendo di applicazioni della meccanica e della statica all’architettura ed estendendo la sua attività a specifiche monografie. Nel 1801, cominciato a insegnare nautica all’Università di Pavia, conobbe Alessandro Volta, di cui prese il posto nell’insegnamento della fisica. Morì novantenne a Milano, nel 1824, quasi alla vigilia della pubblicazione dell’opera vitruviana, intorno alla quale aveva lavorato per trentacinque anni. Su Simone Stratico ci limitiamo a ricordare i fondamentali saggi di CAVALLARI MURAT 1966 , pp. 176-182; CAVALLARI MURAT 1978a, pp. 256-278; CAVALLARI MURAT 1978b, pp. 453-463; DEL NEGRO 1980, pp. 77-114; DEL NEGRO 1984, pp. 191-229; DEL NEGRO 1989, pp. 97-128; PUPPI 2006, pp. 121-170; GRANUZZO 2009, pp. 163-175; GRANUZZO 2009-2010.
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A Poleni furono necessari 35 anni per emendare e illustrare «quel testo scabroso»; a Stratico altri 35 anni per rivedere, arricchire e completare il commento. Infatti le note in cui l’architettura si lega alle scienze matematiche sono di mano del Poleni, quelle invece in cui l’architettura si abbina alle scienze fisiche sono opera di Stratico. Giovanni Poleni da sempre si è mostrato consapevole delle difficoltà esegetiche del testo vitruviano. In una lettera inedita, indirizzata a Jacopo Riccati e datata 22 luglio 1733, che possiamo considerare un piccolo «manifesto» del suo atteggiamento di fronte a Vitruvio, leggiamo: Ella mi ha dato animo perché io perfezioni la mia Edizione di Vitruvio: né questo è un picciolo motivo, perché io vi ci travagli vie più volentieri. Circa alli cinque punti, intorno a cui V.S. Ill.ma saggiamente ragiona, Le dirà p.o che le misure e le proporzioni di Vitruvio sono bensì differenti da quello, che si veggono in uso nelli vecchi Edificj: ma questi stessi sono poi tanto differenti tra di loro, che ben mostrano il dissenso tra gli antichi Architetti in alcune parti e misure; né sappiamo (se non misurando le Pietre) le regole di essi Architetti; onde giova illustrare li Precetti di quell’Architettura, li di cui Libri sono arrivati alla nostra età. 2° Confesso volentieri che (eccettuate le parti delle Macchine) le cose scritte da Vitruvio intorno alla Musica sono delle più oscure: e, benchè egli paja di riferirle principalmente al Teatro, non ostante però non è assai chiaro, come a questo si adattino quelle cose, né come alle altre parti della Architettura. Ho arricchite alcune conghietture, ma non so qual fortuna sieno per avere. 3° Non si può negare che Vitruvio non abbia lasciate alcune cose addietro: ma forse egli credette, che, posti li principj dati da Lui, si potessero poi con l’esempio del suo metodo le altre regole necessarie constituire. 4° Egli è vero che nelle dimensioni ebbe Vitruvio riguardo alle altezze più che a tutt’altro: ma in varj luoghi inculca che l’Architettura deve regolarsi secondo le circostanze della Fabbrica intorno cui lavoro. 5° Egli è certo che gli Antichi non sapevano cancellare le tenacità del marmo, le quali dipendevano dalle loro tali quali estimazioni delle resistenze delle pietre, dagli usi per gli passaggi tra colonna e colonna, dalla quantità delle colonne che dovevano porsi in uso, e da simili cose. Ma quanto a me: io ho avuto in mira di mettere ben in netto quale sia stata la mente del mio Auttore; e spero che Ella approverà molto la da me osservata massima di cavare la verità delli sentimenti del Auttor mio;
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EDIZIONI VITRUVIANE TRA SETTE E OTTOCENTO e non le formule di renderlo per ogni luogo o infallibile, o ammirabile, come far sogliono alcuni Commentatori.
Poleni come risolve questi problemi nella sua trattazione vitruviana? La prima delle tre Esercitazioni consiste in un commentario critico sulle edizioni e illustrazioni di Vitruvio venute in luce fino al 1730. Le due Esercitazioni successive racchiudono, fra le altre cose, la vita di Vitrvio composta dal Baldi e commentata da Poleni; vari scritti d’uomini dotti sopra i passi più controversi di Vitruvio, per esempio sugli «scamilli impari», sulla «voluta jonica» (interpretata variamente dal Goldman e da altri), sui vasi teatrali (oggetto delle indagini dal Cavalieri fino al Kirker), un’epistola del Morgagni «de quodam Vitruvii loco ad rem medicam attinente»; un compendio dei libri vitruviani di scrittore anonimo che Poleni, commentandolo, crede appartenere al settimo secolo; gli Elementi d’architettura del Wotton, tradotti dall’inglese in latino dal de Laet. Naturalmente, per avere quanti più elementi possibili per il suo progetto, Poleni tenne corrispondenza con studiosi in Italia e all’estero: a loro infatti chiedeva informazioni biografiche, o pareri su passi vitruviani particolarmente criptici. Fra questi corrispondenti ricordiamo Giovanni Bottari, Tommaso Temanza, Berardo Galiani, Giovanni Crisostomo Trombelli, Antonio Serra, Ludovico Muratori, Apostolo Zeno, Johann Albert Fabricius e Scipione Maffei. E sono proprio questi i nomi degli studiosi che più contribuirono all’avanzamento degli studi di Poleni. Per quanto riguarda gli stranieri, Richard Mead (il notissimo collezionista di opere d’arte) gli invia una copia del Codice di Amsterdam collazionato con un manoscritto di Eton, mentre Sigbert Havercamp gli trasmette le varianti dei codici di Leida e le annotazioni di Giuseppe Scaligero sull’edizione giocondina di Firenze del 1522. In Italia, invece, Muratori gli invia uno studio da lui stesso effettuato su un codice trecentesco conservato alla Biblioteca Estense di Modena; Scipione Maffei gli porta da Parigi l’edizione di Amsterdam collazionata con tre codici della Biblioteca Reale; Apostolo Zeno gli trasmette le annotazioni tratte da Stefano Baluzio da Horti Hesperidum, II, 2012, 2
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un codice antico, mentre Giovanni Fabricio gli invia da Amburgo una copia elzeviriana con varianti di codici anseatici. Inoltre Pietro Tommaso Cacciari studia per lui a Roma il codice Alessandrino Vaticano 1504 e il Vaticano 229; i bolognesi Francesco Maria Zanotti e Giovanni Cristoforo Trombelli gli trasmettono copia di un codice del primo Trecento già utilizzato da Filandro, e Carlo Antonio Serra gli procura copia di un codice quattrocentesco citato da Leandro Alberti. Ma è a Scipione Maffei che Poleni deve la scoperta più preziosa: quella del codice Harleiano 2767 del IX secolo, di cui gli reca da Londra un’accurata trascrizione . Maffei del resto era stato il maggiore ispiratore di Poleni per l’edizione di Vitruvio , come possiamo leggere nella Verona Illustrata: «Altre riflessioni di lui degne farà qui il Marchese Poleni, della cui sincera amicizia mi pregio, se varranno le mie esortazioni a farlo risolvere di prender per mano quanto ha raccolto per una edizione di Vitruvio, che ci faccia conoscere come veramente non abbiamo ancora quell’autore in tutto il suo lume» . Anzi la metodologia di Poleni nello studio di Vitruvio era stata già preannunciata da 10
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10 Leggiamo infatti in una lettera che Maffei gli invia da Londra il 30 luglio 1736: «Vi scrivo in fretta, ma non in fretta vi ho fatta collazione del più bel manoscritto di Vitruvio ch’ io abbia veduto mai. Può essere di 1000 anni, e certo non è di meno di 700». Cfr. M AFFEI 1955, II, p. 760. Bisognerà attendere il Marini (1836) perché si ripeta una indagine altrettanto vasta sulla tradizione manoscritta del De Architectura, e l’edizione di V. Rose, H. Müller Strübung (Lipsia 1867) perché l’Harleiano, non più adoperato dopo Poleni, vi assuma la sua attuale posizione di primato. Le benemerenze del Maffei non hanno certo bisogno di essere enumerate. Ricordiamo in breve che egli era impegnato in prima persona nella pubblicazione delle opere di Sant’Ilario, antesignano degli studi su San Zenone e Raterio (culminati nelle fondamentali edizioni di Pietro e Girolamo Ballerini) promotore della grande edizione gerolimiana di Domenico Vallarsi, scopritore dei codici della Biblioteca Capitolare di Verona. 11 M AFFEI 1955, p. 436, dichiara a Poleni: «Niuna cosa può fare più onore all’Italia, e può contribuire più a restituire la gloria delle lettere, quanto l’applicarsi di nuovo all’edizione degli antichi. Ella ne ha dato un esempio, che non so però se sarà più atto a far coraggio agli altri, o a toglierlo». In tutta l’opera di Poleni compaiono parole elogiative nei confronti del grande studioso veronese, spesso denominato «Summus Vir». Stima condivisa anche da Stratico: si veda la Sesta Esercitazione, alle pp. 230 e 244. 12 M AFFEI 1732, cap. II, p. 102.
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Maffei nella Verona Illustrata, precisamente laddove l’erudito veronese, ringraziando chi lo aveva aiutato a chiarire l’origine del sopraornato toscano, dichiara: «Farò principio dal marchese Poleni […] da cui un Vocabolario d’Architettura si spera, chè necessario per fissare una volta i termini e i nomi de’ membri, che per essere variamente usati soglion generare confusione» . Poleni si appoggia inoltre alla collaborazione di Giulio Pontedera (1698-1757) genero di Poleni stesso, direttore dell’Orto Botanico e titolare della cattedra di botanica all’Università di Padova . In Pontedera il metodo filologico di Poleni trovò uno tra i suoi più validi assertori . Pontedera per quarant’anni si dedicò agli scrittori rustici latini , e per quanto riguarda il De Architectura mise subito sotto accusa l’edizione aldina del 1514 curata da Fra Giocondo come corrotta e generatrice di ulteriori corruttele. Anziché emendare 13
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M AFFEI 1732, cap. IV, p. 115. Su Giulio Pontedera cfr. G ENNARI 1758, pp. 209-220; F ABRONI, Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculo XVIII floruerunt, Pisis 1783, pp. 205-235; S ACCARDO 1869, pp. 28-30; S ACCARDO 1898; B EGUINOT 1921, I, pp. 90-94; L AZZARI 1973, p. 104; E RIKSSON 1975, p. 83; N ARDO 1981, p. 14; M AGGIOLO 1983, p. 257; N ARDO 1985, p. 93; N ARDO 1988, pp. 123-127; O NGARO 1993, pp. 154-156; T ORNADORE 2002, pp. 297-302. 15 Cfr. P ONTEDERA 1740 e P ONTEDERA 1791. Le Antiquitates sono formate da sessantotto lettere indirizzate ad Andrea Marano (1662-1744) singolare figura di studioso vicentino, rinnovatore del rigido classicismo di Gian Giorgio Trissimo. Cfr. R UMOR 1905, p. 263; T OFFANIN 1923, pp. 153-155; N ATALI 1960, p. 524. 16 Cfr. P ONTEDERA 1791, II, pp. 225-226: «Quadraginta annorum spatio, quo Rusticos Scriptores die ac nocte pertracta». L’attività filologica del Pontedera iniziò con il contributo da lui offerto (insieme con il Morgagni e per sollecitazione del Facciolati) all’edizione degli Scriptores rei rusticae progettata da Thomas Fritsch e condotta a compimento da Jo. Matthias Gesner nel 1735. Cfr. G ESNER 1743, I, p. XXVI: «Non ausim confirmare, plane nihil esse in hac [Pontederae] Epistola veri: supersunt enim, quae nondum invenire potui: fateor aliquot locis omissum esse, cum ego Gottingae jam essem, ultima operis excuderentur Lipsiae, nomen Pontederae». E vedasi pure p. XXVIII: «De Crescentio, ut bona fide et quasi testis circumspectus agam, non ausim post XV annorum intervallum, neque dicere, neque negare, primam illius notitiam a me deberi vel Pontederae vel Morgagno». Ma si veda N ARDO 1981, pp. 50-55. 13 14
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il testo dagli errori, Pontedera ritenne che Fra Giocondo lo abbia arbitrariamente rimanipolato . Pontedera, come Poleni, era consapevole del fatto che troppe volte il textus receptus mascherava le rabberciature e le congetture di copisti ed editori che avevano basato il proprio lavoro su spogli occasionali e imprecisi di codici, che si dovevano individuare tramite metodiche collazioni delle prime stampe . Per questo una esplorazione preliminare di tutta la tradizione manoscritta sembrava a Pontedera irrinunciabile, riprendendo quell’emendatio ope codicum che già era stata praticata nel Cinquecento, per esempio da Pier Vittore, che non a caso egli cita sempre con grande stima . Anche Pontedera credeva che la collazione dei codici dovesse essere costantemente sottoposta al vaglio stringente della ratio, in nome di quella «mentem Newtonii» che così bene caratterizzava il metodo della scuola poleniana: «Ante omnia nostrum institutum pulchre calles, solere nos omnia, quae in Re Rustica praeter rationem, et veterum monumentorum auctoritatem immutavit Aldus, removere, antiquis repositis» . Un atteggiamento innovativo in Italia, accostabile a quanto di più avanzato in campo filologico si stava compiendo in 17
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17 «Quo crebrius vetusta cum Aldinis confero, eo certior fio, Aldi curam fuisse, non aetatis et lubrariorum vitia eximendi, sed Rusticos Auctores, ut ludi magistrum, ex ingenio emendandi». Dunque non era possibile alcun progresso critico se non abbandonando la vulgata basata su quell’edizione e ritornando all’esame dei primi codici. Cfr. P ONTEDERA 1791, I, p. 271. 18 Scrive infatti Pontedera, P ONTEDERA 1791, II, pp. 228 e 157: «Quis ista sine Codicibus in dubium revocaverit? Attamen nonnulla sunt ab Aldo, nonnulla ab antiquoribus librariis. Censesne ista esse a Columella? Cur non, inquies? Vulgo probantur. Attamen qui probant, Aldine probant, et ab Aldo vitiata. Subiciam vetusta cusa, et manu exarata, ut vera a falsis conoscas». 19 Si veda P ONTEDERA 1740, p.42 («Victorii auctoritas plurimum me movet») oppure p. 96 («Immortalis memoriae viro Victorio») e p. 173: «Victorii emendationem […] quae […] a tanto viro auctoritatem habet». «Notum tibi probatumque», dichiara sempre Pontedera al Trombelli, «vetustos Auctores sine magno codicum praesidio non esse attingendos: eumque futurum optimum explanatorem qui omnia ex Codicibus ex scripta ad opus contulerit». Cfr. P ONTEDERA 1791, II, p. 225. 20 P ONTEDERA 1791, I, p. 92.
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Germania da parte di studiosi come Bengel e Wettstein e anticipatrice, per certi aspetti, di quanto verrà teorizzato dal più grande studioso di metà Ottocento, Karl Lachmann, al quale dobbiamo il famoso «metodo di Lachmann» . Non ci si stupisca, però, se Pontedera ammetteva con disinvoltura anche le prime edizioni a stampa: questa «concessione» esprime la volontà di dimostrare come e in che misura si avesse avuto un degrado testuale del testo vitruviano , insieme alla convinzione che quelle edizioni fossero l’unica testimonianza giuntaci dei manoscritti perduti e che andassero, quindi, considerate come veri e propri codici. 21
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Bernardo Galiani Per quanto riguarda l’edizione di Berardo Galiani pubblicata a Napoli nel 1758, già Francesco Milizia ne parlava con grande entusiasmo: «Con gran ragione dunque vien riguardato Vitruvio come il Principe dell’Architettura: con più ragione ha meritato tanti commenti, e traduzioni, fra le quali finalmente è comparsa quella del signor Marchese Galiani, la quale a guisa del Sole ha fatto sparire tutte l’altre; e con massima ragione è stato sempre, e deve sempre essere lo studio principale di chi vuol aver giusti, e sodi principj architettonici». Le fonti utilizzate da Galiani sono Filandro (per l’erudizione e perché è l’edizione «fin’oggi la più esatta») e Perrault, «il solo, che merita sopra tutto finora singolare stima e per l’utilità delle sue note ben ragionate, e per la nettezza de la versione». L’autore non ha difficoltà ad ammettere di essersi servito anche delle edizioni «del Giocondo, o del Barbaro, o d’alcuno de’ due Codici della Vaticana, que’ due cioè, che fra i molti sono
Cfr. T IMPANARO 1981. Si veda, ad esempio, P ONTEDERA 1791, I, p. 198: «Quae immutaverit, quae immiscuerit, quae finxerit Aldus, ut intelligas, vetusta formis cusa tibi subiiciam […]. Quae sane et imperfecta, et vitiosa: nihilominus longe veriora quam Aldina». 21 22
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dagl’intendenti stimati i più antichi, e più correnti di tutti gli altri». Emerge tra le righe di Galiani la consapevolezza delle difficoltà che i traduttori trovarono, nel corso dei secoli, di fronte al testo latino, tanto da riportare nell’introduzione un passo della lettera datata 14 novembre 1543, ove Claudio Tolomei dichiara al conte Agostino de’ Landi: «Per la qual cosa insino a questi tempi Vitruvio è stato tradotto almen tre volte di Latino in volgare, ma così stranamente, e con parole e costruzioni così aspre ed intricate, che senza dubbio manco assai s’intende in Volgare, che non fa in Latino» . Inoltre, sempre tra le righe di Galiani emerge la consapevolezza dell’inferiorità editoriale dell’Italia rispetto ad altre Nazioni europee, soprattutto a quella francese: «Mancava sempre, e con poco onore della nostra Italia, una traduzione che si potesse in qualche modo opporre alla Francese. Or se in tentar ciò è stato forse troppo il mio ardire, mi dovrà però sempre esser grato il pubblico, e l’Italia tutta pel buon animo avuto nel sostenere colle maggiori, benché piccole mie forze, la gloria del suo linguaggio. Che se questa edizion mia, fatta a proprie spese, non potrà nella magnificenza competere colla Francese, fatta a spese d’un grandissimo Re, spero almeno che non le ceda né in esattezza, né in diligenza, né in ogni intrinseca bellezz» . Quindi, come interviene Galiani? Lui stesso fornisce delucidazioni sulla misura cauta e avveduta del suo intervento: «E quando né da’ testi stampati, né da’ manoscritti, né da autorità d’uomini dotti ho avuto alcun soccorso per rendere intelligibile un senso, mi sono veduto nell’obbligo di metter io le mani a qualche correzione. In pochissimi casi, e molto cautelatamente l’ho fatto: dove cioè era troppo chiaro, che vi fosse scorso errore di copisti, non consistendo il più delle volte, che in piccole trasposizioni di qualche lettera; né mi sarei certo presa tanta licenza, se non l’avessi trovata usata frequentemente dal Filandro in Vitruvio medesimo, e da’ commentatori, e 23
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P ONTEDERA 1791, p. III, nota 4, introduzione. P ONTEDERA 1791, p. IV.
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curatori tutti delle più belle edizioni d’Autori antichi. E non già, che io abbia ciò fatto per mero capriccio, ma con tutte le regole dell’arte Critica, non avendo né anche trascurato mai di darne in simil caso in una nota le ragioni» . Massima attenzione è posta da Galiani anche al rapporto tra testo e figure , così come alla facilità di consultazione dell’opera, alla sua chiarezza e semplificazione . Sempre all’insegna della correttezza è il rapporto di Galiani con l’edizione che stava curando Poleni (rapporto che egli avverte in maniera stringente), insieme alla consapevolezza della ricchezza dello studio dello scienziato padovano, «faticosissima edizione, collazionata co’ più rari e pregevoli codici d’Europa tutta» . Tra i due studiosi non si pone alcuna conflittualità, in quanto Galiani (oltre a venire informato direttamente da Poleni dei ritardi editoriali dell’opera) , da subito progetta di dare alle stampe una traduzione, e non la resa latina, filologica, del testo 25
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25 Anzi, continua Galiani, «in contrassegno della mia renitenza, spesse volte si troverà da me ripreso il Perrault, per aver voluto troppo facilmente porre mano a correggere il testo, essendomi io sempre ingegnato di sostenere la comune lettura per tutti i versi e congetture possibili» (P ONTEDERA 1791, p. V). 26 Si veda ad esempio il Libro IV, sulle porte valvate: «Questo, che è uno de’ più oscuri passi di questo Autore, e che gl’interpetri [sic] lo hanno finora trapassato con una semplice secca traduzione, e tutti senza figura, a me non pare, che meriti d’esser trascurato» (P ONTEDERA 1791, p. 89). 27 Dichiara infatti, con estrema correttezza intellettuale: «In alcuni luoghi, ove il testo parea, che descrivesse qualche figura, o formasse qualche costruzione, per farlo capir meglio col prossimo ajuto delle da me disegnate figure, vi ho inserito per entro ai propri luoghi le lettere, o i numeri, che indicano i punti, o le parti delle figure: ma coll’avvertenza di serrare le dette lettere, o numeri fra due parentesi nel testo Latino, per far conoscere non essere cosa di Vitruvio, o de’ testi antichi, ma aggiuntevi da me». 28 P ONTEDERA 1791, p. IV. 29 Per Galiani l’edizione di Poleni «quando avrà la sorte di veder la luce, dee senza fallo alcuno superare di gran lunga ogni altra. In questa aspettativa sarei stato mal consigliato dar preventivamente questa mia: ma le notizie degli amici, anzi una lettera di lui medesimo avendomi avvisato, che non era in istato di presagirmi, se più o meno di tempo era per correre dal presente a quello di por mano all’edizion sua; ed il considerare, che lo scopo mio principale è stato di dar la traduzione, non il testo Latino, che è lo scopo suo, mi hanno indotto a non aspettarlo» (P ONTEDERA 1791, p. IV).
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vitruviano, ponendo così un chiaro discrimine tra le due opere, sulla base dei diversi obiettivi di comunicazione e divulgazione. Simone Stratico Simone Stratico, dicevamo, riprende e completa l’opera progettata da Poleni, e a partire da1768 si dedica all’interpretazione dei passi controversi dei codici vitruviani. Sia Poleni che Stratico risultavano consapevoli di quanto ancora ci fosse da fare per restituire i Dieci Libri corretti «ad antiquam fidem», ed entrambi furono disposti ad affrontare questa fatica che costò loro «opus […] lucubrationes et studia diuturna» . Pur abbracciando un arco cronologico così dilatato, il testo complessivo risulta di estrema unitarietà. Ciò significa che la collaborazione Poleni-Stratico non è stata una semplice sommatoria di competenze, né una diseguale collaborazione all’interno di un’opera che invece richiedeva un profondo equilibrio di struttura e di organizzazione, bensì una calibrata integrazione di metodo tra «testatore ed ideale erede» . La distributio operis ufficiale, pubblicata da Stratico, prevedeva: 30
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- Exercitationes Vitruvianae Jo. Poleni iam editae, et ineditae Simonis Stratico. Textus Vitruvianus restitutus juxta Poleni, Stratico, et praesertim professoris Pontederae criticas observationes, ope codicum manuscriptorum probatae fidei. - Notae integrae Philandri, et excerptae a Barbaro, Salmasio, Laetio, Perraultio, Galiano, Ortizio, nec non a recentioribus Vitruvii interpretibus, interjectis amplissimis commentariis Jo. Poleni et Simonis Stratico.
30 Per questo nell’introduzione dell’opera di Stratico (p. 7) leggiamo: «Quamobrem evulgatione tam desiderati operis jam jam [sic] imminente, ei cui Poleni et Stratico lucubrationum cura demandata est, necessarium videtur de iisdem breviter praefari, ut tum artium, tum litterarum studiosi utilitates et commoda nostrae prae aliis editionis intelligant, et bona maxima prospiciant, quae ex eadem non ad nobilissimum Architectonices studium tantummodo, sed ad litterarum etiam scientiarumque emolumentum ac dignitatem sunt profectura». 31 Cfr. CAVALLARI MURAT 1966, V, p. 511.
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EDIZIONI VITRUVIANE TRA SETTE E OTTOCENTO - Exercitationes Poleni novissimae, seu eiusdem novissima collectio opuscolorum quorumdam auctorum, qui Vitruvium illustrarunt. - Exercitationes Simonis Stratico ultimae. - Lexicon Vitruvianum Baldi cum additamentis Poleni et aliorum, et synonymis italici set gallicis verborum technicorum. - Index generalis rerum et verborum Vitruvii, atque eorum quae in commentariis continentur.
Sottolineiamo che, come Poleni, anche Stratico diede particolare importanza alla stesura di un duplice indice (per voci e per autori) e alla compilazione di un Dizionario Vitruviano (o meglio Index omnium verborum Vitruvianorum) ordinato alfabeticamente. Quest’ultimo era stato oggetto di particolare cura da parte di Poleni, che ad Apostolo Zeno dichiarava: «Quell’autore ha un linguaggio latino particolare, quale al di lui tempo esser doveva delle persone meno colte. Per rilevare le di lui parole ho creduto che non vi fosse ripiego migliore di vedere parola per parola (che importi) in qual senso sia stata da lui adoperata in tutti li luoghi in cui se ne è servito» . Progetto, questo, che verrà condiviso da un altro allievo del Poleni, Tommaso Temanza (tra l’altro, diretta conoscenza di Stratico) come traspare in alcuni suoi manoscritti che abbiamo rinvenuto alla Biblioteca del Seminario Patriarcale di Venezia, lunghi e curati elenchi di termini architettonici con relative delucidazioni, che si possono considerare a tutti gli effetti le bozze iniziali di questo progetto . Segnali importanti di un 32
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32 Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Cod. it. IV, 597 (5126), c. 254, Lettera di Poleni al Sig. Apostolo Zeno a Venezia, datata 3 novembre 1732. Nell’introduzione dell’opera leggiamo (p. 25): «Ad corrigendos dilucidandosque Vitruvii libros perspicacissimus Poleni probe intellexerat, primum omnia sibi auctoris manuscripta, omnes pervetustas editiones consulendas esse, omnia opera ad trutinam revocanda, quae superiorum aetatum interpretes confecerant. Labor ingenio cuilibet formidandus patientissimum Poleni animum minime deterruit». Poleni fece in tempo ad ampliare il lessico vitruviano di Bernardino Baldi, De verborum vitruvianorum significatione, Augustae Vindelicorum 1612. 33 Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale, mss. 314.6. In una lettera indirizzata a Galiani datata 26 aprile 1766 (Venezia, Biblioteca del Seminario Patriarcale, mss. 318.7) Temanza dichiara: «Avea in animo il signor marchese Poleni di darci in fine del Vitruvio un Vocabolario Italiano Latino e Francese d’Architettura. Se questo uscirà alla luce un dì col suo Vitruvio nol so».
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dialogo e di una continuità di progetti editoriali su Vitruvio mai interrotti con i propri allievi . Il complesso lavoro di Stratico fu per lo più di scavo e sistemazione delle basi concettuali vitruviane, nel desiderio di riscoprire modelli archetipici tra logica ed estetica, tradizione e contemporaneità, pulchritudo e rigore razionale. Il tutto, naturalmente, all’insegna della fedeltà al metodo poleniano Proprio grazie al metodo poleniano Stratico, a differenza di altri studiosi del tempo, si trovava in possesso di criteri filologici e orientamenti archeologici per valutare nelle sue stratificazioni contenutistiche l’opera vitruviana. Una operazione scientifica di notevole importanza quindi, che non voleva limitarsi a continuare l’opera di Poleni, bensì dare al suo intervento un chiaro carattere integrativo, ponendo le sue competenze al servizio di questa impresa. Dobbiamo anche ricordare che recentemente Dante Nardo ha dichiarato che l’opera di Poleni e Stratico non ha il suo punto di forza nella ricostruzione del testo. Infatti, sempre secondo Nardo, «l’estesa recensio attuata dal Poleni aveva portato alla ribalta, insieme con l’Harleiano, soltanto nipoti degeneri di quel medesimo codice, sicchè il lavoro di espurgazione della vulgata, formatasi appunto sui discendenti dell’Harleiano, avrebbe potuto sortire un esito positivo soltanto a patto di riconoscere a quel manoscritto la sua natura di capostipite, e di fondare su di esso il testo vitruviano; come farà, ma solo tanti anni più tardi, il Rose» . 34
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34 Da segnalare anche che alcuni di questi testi, pur essendo stati scritti originalmente in italiano, sono stati tradotti dal Poleni, non per sfoggio di erudizione bensì perché in questo modo egli era consapevole che ciò avrebbe favorito la diffusione in Europa della sua opera, dato l’uso corrente della lingua latina da parte delle personalità colte dell’epoca. 35 Continua NARDO 1997, pp. 46-47: «Nelle note del Poleni, che s’arrestano al libro V, le lezioni dell’Harleiano si allineano invece a livello quasi paritetico con quelle dei suoi stessi discendenti, né mai compare il concetto di “eliminatio codicum descriptorum”; cosicchè non è raro il caso che la nuova edizione attinga dai “descripti” interpolazioni e trivializzazioni assenti nella vulgata. L’eccessiva fiducia accordata alla larga base testimoniale, la quale suggeriva piuttosto scelta fra varianti che interventi congetturali, riduce anche di molto il contributo personale del Poleni
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Affermazione di un latinista che ha del fondamento, soprattutto se teniamo presente che nelle edizioni vitruviane più importanti a partire da fine Ottocento (ovvero il Rose, Lipsia 1899, il Krohn, Lipsia 1912, sino al Fensterbusch, Darmstadt 1976), il testo di Poleni e Stratico non viene citato nel florilegio delle «Übersetzungen». Però bisogna anche tenere presente che Stratico per formazione e professione non era un filologo bensì uno scienziato. Uno scienziato, per lo più, dalle vastissime competenze e dalla mentalità enciclopedica, come i suoi interessi e i suoi contributi ci dimostrano chiaramente. E con una mentalità e approccio da scienziato egli si avvicinò all’opera del Vitruvio. È quasi inevitabile che lo stesso imprinting enciclopedico, la stessa impostazione metodologica traspaia dal suo modo di concepire l’opera vitruviana, sia da un punto di vista di organizzazione e distribuzione dei capitoli interni, sia da un punto di vista di ricostruzione e annotazione del testo. Per questo Stratico lascia che a parlare di filologia siano per lo più le note di Poleni e Pontedera. E di questo erano consapevoli già i contemporanei di Stratico, secondo i quali «il Poleni, per ciò che sembra, si è tenuto strettamente fra i limiti assegnatigli dal suo autore; lo Stratico n’è uscito per fare qualche escursione sui nuovi campi della critica architettonica» . Così appare analizzando il piano generale dell’opera e il carattere delle sue annotazioni. E questo emerge dalla stessa scelta di inserire sette Esercitazioni di argomento vitruviano, che davano modo a Stratico di approfondire tematiche non filologiche bensì attinenti all’ambito architettonico, nello sforzo di restituire raffronti stringenti (anche se dall’esterno possono apparire dispersivi) tra testo e applicazione dello stesso testo, tra pura teoria e concreta applicabilità. In questo modo egli capiva 36
all’emendamento del testo: lo studioso dava invece il meglio di sé nella parte tecnica del trattato, solido punto di partenza per ogni successiva esegesi» (NARDO 1997, pp. 46-47). 36 Cfr. «Nuova Antologia», marzo 1826, n. LXIII, p. 107.
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di avere tutti gli strumenti a disposizione per esprimere in termini scientifici, nel senso più pieno del termine, la sua stessa ricerca filologica. Per questo possiamo dire che Stratico concepisce la propria opera in funzione prettamente enciclopedica, secondo l’articolazione dei temi trattati. Essa appare come una grande, monumentale summa di argomenti vitruviani, i cui materiali sono raccolti non solo nelle Esercitazioni o nei Dieci Libri, bensì anche in tutti gli opuscoli di argomento vitruviano scritti da autori che nel corso dei secoli, soprattutto nel Quattro-Cinquecento, hanno dibattuto questioni nevralgiche ancora oscure . Ciò emerge chiaramente dall’ultimo volume, l’ottavo, che Stratico ha voluto inserire all’interno dell’opera, dedicato alla postuma e ancora inedita Quarta Esercitazione di Poleni che, come spiega Stratico stesso, si deve intendere quale «silloge opuscolorum quae ad Vitruvii loca difficilia explicanda auctores varii scripserunt». Essa infatti racchiudeva in sé: 37
Epitome in omnes Georgii Agricolae de mensuris et ponderibus libros Guilielmum Philandrum Castitionum; - De ratione invenienda mixtionis auri et argenti in corona; - De cochlio Archimedis; - Joannis Buteonis ad locum Vitruvii corruptum cultura o qui locus est de proportione inter lapides mittendos et balistae foramen; - Ziegleri Jacobi Landavi remyciclum uberosi de quo mentionem fecit Vitruvius lib. IX cap. 9; - H emyciclium Berosi de Jacobi Ziegleri Landavi traditione; - Leo Baptista Alberti De Pictura libri tres (Liber primus. Rudimenta; Liber secundus. Qui pictura inscribitur; Liber tertius. Pictor incipit); - Clarissimo viro doctori medico ac mathematico excellentissimo Jacobo Milichio;
37 Questa valenza enciclopedica venne recepita già dai contemporanei di Stratico, come si evince per esempio leggendo la Storia della letteratura italiana del secolo XVIII scritta da Antonio Lombardi (Modena 1830), p. 88: «Si cominciò nel 1825 una magnifica edizione di Vitruvio o si prosegue attualmente in Udine dai tipografi fratelli Mattiuzzi: in essa oltre le esercitazioni Vitruviane del Poleni trovansi le dotte illustrazioni fatte a Vitruvio dal conte Simone Stratico Chiar. Idraulico ed Erudito, e molte altre insigni giunte, cosicchè questa edizione dir puossi una Biblioteca Vitruviana».
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EDIZIONI VITRUVIANE TRA SETTE E OTTOCENTO - De Sculptura excerpta maxime animadvertenda ex dialogo Pomponii Gaurici Neapolitani; - Ludovici Demontiosii Commentarius de Scultura; - De caelatura; - De gemmarum sculptura; - Illustrissimo et Reverendissimo D. Amnae duci de gioiosa Franciae pari et ammiratio Ludovicus Demontiosius; - Ejusdem commentarius de Pictura; - Claudius Salmasius in Solinum; - Lexicon Vitruvianum; - Index Historicus et Geographicus.
Inoltre da un breve testo a stampa pubblicato nel 1773 che possiamo considerare il manifesto dell’intera opera , veniamo a sapere che Stratico prevedeva la pubblicazione di dodici Esercitazioni, cinque in più cioè di quelle effettivamente pubblicate , tutte inerenti ai suoi maggiori campi di interesse ovvero l’idraulica, l’astronomia, la teoria navale e la scienza bellica . 38
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Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Misc. 2060.8. La Prima Esercitazione tratta delle difficoltà che s’incontrano nello studio dei libri di Vitruvio, di Leon Battista Alberti, di Polifilo, e delle proposte fatte da Claudio Tolomeo per illustrare Vitruvio. La Seconda Esercitazione (intitolata De columnarum generibus ipsarumque proportionibus ex Vitruvio) tratta dei diversi generi delle colonne e delle loro proporzioni. La Terza Esercitazione (De calce, arena, pulvere puteolano, gypso, topho, lateribus crudis et coctis, de lapide, saxo, marmore. Proprietates physicae eorum corporum exponuntur, quatenus ad aedificandum pertinent. Tentamen instituitur ad eas proprietates explicandas. Esperimenta adducuntur de praeparatione et usu mortarii. De materia caedenda, ac in usum servanda. De lignorum viribus) tratta delle proprietà fisiche dei materiali da costruzione e in particolar modo della loro resistenza e del loro uso. Nella Quarta (De legibus Opticis ad Architecturam applicandis juxta Vitruvii monita) Stratico ragiona dell’applicazione delle leggi dell’ottica all’architettura, mentre la Quinta (De usu scientiae Musicae in Architectura, atque de earum doctrinarum analogia. Expenduntur quae habet Vitruvius. Discrimina praecipua fundamentorum theoriae Musicae Veterum et Recentiorum. De sonorum ac vocum propagatione. De iis quae propagationi et conservationi vocum magis minusve favent) tratta dell’applicazione della scienza musicale all’architettura. Nella Sesta (De constructione Circi, Amphiteatri, Theatri. De Velario. De spectaculis in Foro) affronta la questione della costruzione dei circhi, degli anfiteatri, dei teatri, dei velari e degli spettacoli nel foro. Infine nella Settima (De fundamentis et de firmitate aedificiorum) parla dei fondamenti e della solidità delle fabbriche. 40 Più precisamente la loro scansione tematica prevedeva: Exercitatio Octava: De aquarum examine instituendo. Ad indicandas earum qualitates per esperimenta Chimica et Physica. De aquis mineralibus. Exercitatio Nona: De hydraulica scientia apud veteres. De 38 39
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Certo, a Stratico era estranea una visione modernizzatrice, così come qualsiasi esigenza di concreta applicazione, creando quasi uno iato tra la sua opera di studioso vitruviano, ligio alla formazione accademica ricevuta, e quella invece di architetto, di tecnico, di costruttore di strumenti scientifici. Uno iato che invece venne superato, in modi e tempi diversi, dalle edizioni successive. Carlo Amati Carlo Amati nella sua edizione vitruviana degli anni 1829-1830 , afferma chiaramente essere necessaria una nuova opera che trovasse il giusto equilibrio tra erudizione e operatività, e che fosse «non molto costosa, comoda ed alla portata della Gioventù che si dedica all’arte importantissima di edificare» , come abbiamo già accennato. Fin dalle Note preliminari egli prende le distanze sia dalla mancanza di strumenti linguistici delle edizioni di Fra Giocondo, Cesariano, Caporali, Filandro, Barbaro, Perrault, Galiani, Newton, Wilkins, attenti al solo aspetto architettonico, sia dalla pura erudizione del de Laet, Rode e Schneider. Infatti per Amati i primi editori non hanno fatto altro che presentare il testo «mutilo e scorretto: Fra Giocondo, il Cesariano, il Caporali che si servì del Cesariano stesso, il Filandro, il Barbaro, il Perrault, non che il Galliani, il Newton, il Wilkins, più dell’architettura in se stessa generalmente si curarono, che della erudizione; e forse non erano in gran parte forniti nemmeno di tutti i lumi filologici, che all’illustrazione dell’Opera si richiedevano». 41
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hydraulica deflumium cursu. De machinis et castellis acquarum. De dimetienda quantitate acquae finentis. Exercitatio Decima: De Astronomia antiquorum et Gnomonica. Exercitatio Undecima: De Machinis bellici set aliorum generum apud veteres. Exercitatio Duodecima: Theoria navale. 41 Cfr. A MATI 1829-1830 (1988), p. XXIII. Sulla edizione dell’Amati, oltre al commento di M OROLLI, cfr. M EZZANOTTE 1997-1998, vol. I, pp. 9-19. 42 A MATI 1829-1830 (1988), p. XXII.
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Il de Laet, il Rode, lo Schneider erano invece «profondi eruditi, ma non erano Architetti; tant’è che il Conte Cicognara, lodando come laboriosissima e preziosa l’edizione dello Schneider, osservò giudiziosamente che molto giovare poteva alla erudizione degli studiosi, ma non altrettanto utile e chiara riusciva per gli Architetti, i quali bramano, dic’egli, di giugnere diritto allo scopo» . Per questo ritiene necessario dedicare ulteriori attenzioni al testo vitruviano (incluso il suo apparato iconografico) , per arrivare a «una nuova edizione di questo insigne Classico, per la quale si collegassero persone versate nelle Latine lettere, nella Geometria, nella Matematica, non che taluni dei più celebri professori nell’arte Architettonica, ed altri addottrinati nelle scienze Naturali» . Per Amati molte oscurità hanno origine soltanto «per la dubbia intelligenza di vocaboli, su i quali si è lungamente disputato, ed ancora si agitano quistioni. […] Non si scrive (dice Vitruvio medesimo) dell’Architettura, come si scrivono le istorie, ovvero i poemi: i vocaboli nati dalla propria necessità dell’arte con inusitato parlare oscurano la intelligenza; e non essendo questi da sé manifesti, e neppure esposti e chiari i nomi nella pratica e 43
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A MATI 1829-1830 (1988), pp. XX-XXI. «Le Figure seguono l’ordine progressivo degli scritti dell’Autore; ed a suo luogo ve ne ho aggiunto alcune interessanti di vetuste opere Romane, da me per la maggior parte esaminate e misurate in luogo, ed altre della Grecia, per chiarire e convalidare il vero senso del testo Vitruviano. Ad oggetto poi di rendere il più possibile spedita l’intelligenza elementare, ho posto di riscontro a ciascuna Tavola una succinta spiegazione delle principali simmetrie, come si trovano registrate nel Testo medesimo. Queste Figure furono nella massima parte compilate sulla lezione originale, ed alcune le ho dedotte da più stimati Illustratori; cosicché questa edizione di nessun’altra cosa del mio sarà tanto abbondante, quanto del buon vedere di essere utile alla Gioventù studiosa dell’Architettura, alla cui istruzione già da sei lustri e più con dolce compiacenza trovami dedicato». 45 A MATI 1829-1830 (1988), pp. XXI-XXII. In Amati è forte anche l’ammirazione per Vitruvio «fisico» e «naturalista», e per le sue conoscenze nelle scienze matematiche e meccaniche, «merito non bene, come doveasi, da taluni apprezzato. Di molt’altre macchine ad esso proposte si sarebbe anche potuto estenderne l’uso, se molti vocaboli fossero stati ben intesi o meglio interpretati, e diversi meccanismi non fossero tuttora involti in una profonda oscurità, per effetto appunto delle voci prese ad imprestito dai Greci, o fors’anco alterate da’ copisti». 43 44
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nella consuetudine, vaghe altresì riescono le scritture de’ precetti, se non si restringono e con brevi ed aperte sentenze non si dichiarano, giacchè la moltitudine e la frequenza del parlare dubbiose rendono le menti dei reggitori» . Ed è proprio per questo che «la recente splendida ed erudita edizione Vitruviana del Conte Stratico e Poleni», continua l’Amati, «e quella non meno magnifica che sta elaborando il dottissimo Conte Martini [sic] romano, porteranno certamente nuova luce, e vantaggi incalcolabili all’arte di edificare» . 46
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Luigi Marini Luigi Marini, nella sua edizione pubblicata a Roma nel 1836 , affronta il testo vitruviano adottando un metodo filologico ed erudito insieme, ponendo una distanza ancor più grande (per riprendere la celebre distinzione di Giovanni Gaetano Bottari) tra coloro che l’architettura «la studiano e non la professano» e chi invece «la professa, ma non la studia» . Nella prolusione al suo lavoro egli rimanda in primo luogo agli antichi monumenti e, dopo aver passato in rassegna diversi codici, versioni ed edizioni a sua disposizione, dichiara di rifarsi per lo più alla lezione di Schneider, di cui però pesa la mancanza di un apparato illustrativo, che rende il lavoro pressoché inavvicinabile da parte degli architetti «che bramano giungere diritto allo scopo» . Marini premette di leggere il De Architectura in modo nuovo rispetto alla tradizionale ortodossia vitruviana, avendo così modo di operare variazioni alle regole esposte, in nome di quella varietà di ornamenti e combinazioni esistenti 48
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A MATI 1829-1830 (1988), Introduzione, p. VII. A MATI 1829-1830 (1988), pp. XXI-XXII. 48 M ARINI 1836. 49 B OTTARI 1826, p. 81. 50 C ICOGNARA 1821, n. 743. 46 47
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nell’architettura antica, ammessa dallo stesso Vitruvio nel Quarto Libro. Egli lascia invece a desiderare nell’indagine della rappresentazione dei monumenti, se è vero che per illustrare la casa romana si appoggia (proprio come aveva fatto Galiani) alle versioni di Perrault. Bisogna anche dire, però, che se l’omissione di Galiani era motivata dal fatto che gli scavi condotti ad Ercolano non avevano ancora portato alla luce le insulae abitative, Marini aveva al contrario i mezzi e le possibilità di operare un’importante correzione. Quindi, possiamo dire che l’edizione mariniana offre un approfondimento maggiore nelle questioni derivanti dalle corruzioni delle trascrizioni antiche, e mira a chiarire i passi oscuri più per l’aspetto linguistico che architettonico, con il risultato di rendersi meno utilizzabile da un punto di vista pratico, nonostante la completezza del testo. Carlo Fea e Baldassarre Orsini A volte può anche presentarsi il caso di edizioni annunciate, ma non pubblicate. Un esempio è fornito dall’erudito abate Carlo Fea, che nel 1788 indirizza a Francesco Perrona, segretario di Stato del re di Sardegna, un Progetto per una nuova edizione dell’Architettura di Vitruvio. Nonostante le non sempre felici iniziative del passato e i progetti editoriali allora in corso, Fea auspica una nuova edizione «che potesse appagare i letterati insieme, e gli artisti», anche perché «non seguendosi la sola pratica de’ nostri maggiori, si vuole in ogni cosa risalire ai principj, e alle più pure sorgenti del sapere solido, e fondamentale degli antichi». Rimane sempre attuale il problema del confronto con i codici, eluso dai filologi sprovveduti. Dichiara Fea: «Tante correzioni deformano ancora, e disonorano un’opera sì degna, e senza dubbio più utile dei Catulli, e dei Properzi, per il pregiudizio a creder mio, che sia necessario essere architetto per mettervi le Horti Hesperidum, II, 2012, 2
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mani. Per questa ragione probabilmente si sono spaventati tanti grand’uomini che hanno faticato da valenti critici sugli autori greci, e latini in questo secolo, e nel passato; e se n’è lasciato il pensiere, e la cura a persone per lo più senza fondo d’erudizione e di critica, che credevano d’essere capaci abbastanza, perché potevano disegnare da se stesse una figura». A una nuova edizione vitruviana serviva dunque «un letterato critico», al quale solo in un secondo momento si sarebbe affiancato un architetto per sciogliere nella traduzione i passi più oscuri «colle regole dell’arte, e degli antichi strumenti». Fea non riesce a realizzare questo progetto, dicevamo. Ma l’attenzione su Vitruvio a cavallo dei due secoli rimane viva. Nel 1801 l’architetto Baldassare Orsini indirizza «agli studiosi alunni dell’Accademia del disegno di Perugia» un Dizionario universale d’architettura e dizionario vitruviano. L’opera intende essere «d’Interprete a Vitruvio; poiché que’ vocaboli di lui, che ora son caduti, [rinascano] con quel vigore in cui l’antichità li riconobbe». Molti autori, del resto, hanno fatto apparire lo scrittore latino misterioso quando invece, a giudizio dell’Orsini, «è semplicissimo». Un equivoco dipeso solo dalla mancanza di confidenza «con le cose d’architettura dei pur dotti curatori». Orsini crede di poter colmare in questo modo una lacuna culturale e professionale, tanto che ad apertura del Dizionario scrive: «Hanno ancora i Letterati, gli Storici, i Geografici, e tutti gli altri Scientifici il loro dizionario; mancava a voi, studiosi d’architettura, il vostro; il primo ve l’ho dato, eccovi il secondo lavorato sul Codice del Maestro degli Architetti; scorretelo se vi piace». Lo stesso Orsini dava alle stampe, dopo pochi mesi, una nuova traduzione vitruviana, dove non mancano le correzioni e le parafrasi del testo antico, dichiarate ad apertura del primo tomo e ribadite nel secondo, con noncurante disprezzo nei confronti dei «nasuti critici». Sfortunatamente non si conosce la reazione di Fea davanti ai lavori di Orsini, ma la si può immaginare fortemente contrariata. Ancora una volta l’unico antico testimone del sapere architettonico veniva manipolato da inesperti, e destinato
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a giovani inconsapevoli del suo valore, quale strumento di lavoro non da leggere bensì da scorrere, all’occorrenza. Vediamo così i diversi modi di intendere Vitruvio contrapporsi per l’ennesima volta, creando un disaccordo tra una lettura antiquaria e un uso strumentale del trattato che le iniziative di Fea e Orsini nello specifico avevano già individuato, andando ad incidere sul futuro del cammino esegetico vitruviano.
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