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Horti Hesperidum Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica Rivista telematica semestrale

MATERIALI PER LA STORIA DELLA CULTURA ARTISTICA ANTICA E MODERNA a cura di FRANCESCO GRISOLIA

Roma 2013, fascicolo I

UniversItalia Horti Hesperidum, III, 2013, 1

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I presenti due tomi riproducono i fascicoli I e II dell’anno 2013 della rivista telematica Horti Hesperidum. Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica.

Cura redazionale: Giorgia Altieri, Jessica Bernardini, Rossana Lorenza Besi, Ornella Caccavelli, Martina Fiore, Claudia Proserpio, Filippo Spatafora

Direttore responsabile: CARMELO OCCHIPINTI Comitato scientifico: Barbara Agosti, Maria Beltramini, Claudio Castelletti, Valeria E. Genovese, Ingo Herklotz, Patrick Michel, Marco Mozzo, Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, Ilaria Sforza Autorizzazione del tribunale di Roma n. 315/2010 del 14 luglio 2010 Sito internet: www.horti-hesperidum.com

La rivista è pubblicata sotto il patrocinio e con il contributo di

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Scienze storiche, filosofico-sociali, dei beni culturali e del territorio Serie monografica: ISSN 2239-4133 Rivista Telematica: ISSN 2239-4141 Prima della pubblicazione gli articoli presentati a Horti Hesperidum sono sottoposti in forma anonima alla valutazione dei membri del comitato scientifico e di referee selezionati in base alla competenza sui temi trattati. Gli autori restano a disposizione degli aventi diritto per le fonti iconografiche non individuate.

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © Copyright 2013 - UniversItalia – Roma ISBN 978-88-6507-551-7 A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.

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INDICE

SIMONETTA PROSPERI VALENTI RODINÒ, Presentazione

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FRANCESCO GRISOLIA, Editoriale

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FASCICOLO I

SIMONE CAPOCASA, Diffusione culturale fenicio-punica sulle coste dell’Africa atlantica. Ipotesi di confronto

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MARCELLA PISANI, Sofistica e gioco sull’astragalo di Sotades. Socrate, le Charites e le Nuvole

55

ALESSIO DE CRISTOFARO, Baldassarre Peruzzi, Carlo V e la ninfa Egeria: il riuso rinascimentale del Ninfeo di Egeria nella valle della Caffarella

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ISABELLA ROSSI, L’ospedale e la chiesa di Santa Maria dei Raccomandati a Cittaducale: una ricostruzione storica tra fonti, visite pastorali e decorazioni ad affresco

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MARCELLA MARONGIU, Tommaso de’ Cavalieri nella Roma di Clemente VII e Paolo III

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LUCA PEZZUTO, La moglie di Cola dell’Amatrice. Appunti sulle fonti letterarie e sulla concezione della figura femminile in Vasari

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FEDERICA BERTINI, Gli appartamenti di Paolo IV in Vaticano: documenti su Pirro Ligorio e Sallustio Peruzzi

343

FASCICOLO II

STEFANO SANTANGELO, L’ ‘affare’ del busto di Richelieu e la Madonna di St. Joseph des Carmes: Bernini nel carteggio del cardinale Antonio Barberini Junior

7

FEDERICO FISCHETTI, Francesco Ravenna e gli affreschi di Mola al Gesù

37

GIULIA BONARDI, Una perizia dimenticata di Sebastiano Resta sulla tavola della Madonna della Clemenza

63

MARTINA CASADIO, Bottari, Filippo Morghen e la ‘Raccolta di bassorilievi’ da Bandinelli

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FRANCESCO GRISOLIA, «Nuovo Apelle, e nuovo Apollo». Domenico Maria Manni, Michelangelo e la filologia dell’arte

117

FRANCESCA DE TOMASI, Diplomazia e archeologia nella Roma di fine Ottocento

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CARLOTTA SYLOS CALĂ’, Giulio Carlo Argan e la critica d'arte degli Anni Sessanta tra rivoluzione e contestazione

199

MARINA DEL DOTTORE, Percorsi della resilienza: omologazione, confutazione dei generi e legittimazione professionale femminile nell’autoritratto fotografico tra XIX secolo e Seconda Guerra Mondiale

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DANIELE MINUTOLI, Giovanni Previtali: didattica militante a Messina

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TOMMASO DE’ CAVALIERI NELLA ROMA DI CLEMENTE VII E PAOLO III MARCELLA MARONGIU

Al di là del tentativo – peraltro poco seguito – compiuto da Alexander Perrig1, di presentare Tommaso de’ Cavalieri come uno degli artisti più grandi del Cinquecento, attraverso la creazione di un suo corpus di disegni ottenuto sottraendoli a quello del Buonarroti, generalmente l’immagine che gli storici dell’arte e della letteratura hanno del nobile romano e della sua amicizia con l’artista è quella derivata da Erwin Panofsky: Non si può pertanto mettere in dubbio che tale disegno2 simboleggi il furor divinus, o, per esser più precisi, il furor amatorius, e ciò Una parte delle ricerche confluite in questo saggio è stata svolta durante la mia fellowship a Villa I Tatti – The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies (2010-2011): per questo ringrazio il Direttore Lino Pertile, lo Staff e i colleghi Fellows con cui ho condiviso quest’esperienza e dai quali ho ricevuto spunti di riflessione. Sono inoltre grata, per il generoso aiuto, a Giovanni Agosti, Elisabetta Archi, Carmen C. Bambach, Francesco Bausi, Stephanie Buck, Hugo Chapman, Antonio Corsaro, Claudia Echinger Maurach, Caroline Elam, Emanuela Ferretti, Riccardo Gennaioli, Francesco Grisolia, Paul Joannides, Elena Lombardi, Simona Mercuri, Annalisa Perissa, Pina Ragionieri, Vittoria Romani, Carl B. Strehlke. Infine, un grazie speciale a Barbara Agosti, per l’insostituibile e determinante supporto in ogni fase della ricerca. 1 PERRIG 1991, pp. 78-85. 2 Il Ratto di Ganimede, realizzato da Michelangelo per il Cavalieri nell’autunno 1532, ora ritenuto perduto e testimoniato da diverse copie, una delle quali,


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non in senso astratto e generale, ma come espressione della passione veramente platonica, totale e esclusiva che aveva colpito l’esistenza di Michelangelo all’incontro con Tommaso Cavalieri3.

L’incontro tra il maturo artista e il giovane patrizio, allora quasi ventenne4, impresse una svolta radicale alla vita di entrambi, e su questo avvenimento, e sull’invio a Tommaso di disegni e componimenti poetici, si è concentrato l’interesse degli studiosi5. E tuttavia, per restituire un ritratto più veritiero e completo del Cavalieri, e per comprendere quale fu il suo ruolo nella vita culturale romana per oltre mezzo secolo, è necessario tornare alle notizie pubblicate quando lui era ancora in vita da parte di autori che lo conobbero personalmente, fonti primarie insieme alle informazioni contenute nel carteggio michelangiolesco; ulteriori elementi scaturiscono dallo studio delle sue collezioni e della circolazione dei disegni e delle rime che Michelangelo aveva realizzato per lui. conservata al Fogg Museum di Cambridge, Mass. (inv. 1955.75) (fig. 1), è stata autorevolmente ritenuta autografa: si veda GNANN 2010, pp. 276-280, n. 83 (con bibliografia precedente); per un approfondimento sul tema, al di là del dibattito attributivo, si veda IL MITO DI GANIMEDE 2002. 3 PANOFSKY 1939, pp. 298, 302. 4 La data di nascita di Tommaso de’ Cavalieri non è nota, anche se può essere collocata in un arco di tempo abbastanza limitato grazie alla documentazione su alcuni avvenimenti della sua vita. Grande clamore, e confusione, ha generato la pubblicazione da parte di Gerda Panofsky-Soergel (PANOFSKYSOERGEL 1984, pp. 399-400) di un documento, già in parte trascritto da FROMMEL 1979, p. 128, nota 258, la cui inesatta interpretazione portava la studiosa a collocare la data di nascita di Tommaso tra il 1519 e il 1520, contro il tradizionale 1511-1512 (FROMMEL 1979, p. 72): il documento, datato 1536, diceva Tommaso «maior XVI minor tamen vigintiquinque annis», che non significa affatto «not yet 25, but [still] a minor of 16» (PANOFSKYSOERGEL 1984, p. 399). Se Tommaso de’ Cavalieri nel 1536 si trovava tra i 17 e i 24 anni, se nel 1525 lui e il fratello maggiore Emilio erano di età inferiore ai 14 anni (FROMMEL 1979, p. 128, nota 256), e se nel 1539 Tommaso doveva aver compiuto 25 anni perché ricopre una carica pubblica (Caporione del quartiere Sant’Eustachio: FROMMEL 1979, p. 76), si può ragionevolmente affermare che sia nato nel 1513 o 1514. 5 In particolare, si vedano PANOFSKY 1939, pp. 295-317, e FROMMEL 1979. 258


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Nel 1547 Giorgio Vasari aveva già presumibilmente completato la biografia di Michelangelo, nella quale scriveva: Sonsi veduti di suo in più tempi bellissimi disegni, come già a Gherardo Perini amico suo et al presente a Messer Tommaso de’ Cavalieri romano, che ne ha degli stupendi, fra i quali è un Ratto di Ganimede, un Tizio et una Baccanaria, che col fiato non si farebbe più d’unione6.

Il testo fu pubblicato nel 1550; tre anni dopo usciva la Vita di Ascanio Condivi, il quale si presentava al lettore non «buono scrittore» ma «raccoglitor di queste cose diligente e fidele, affermando d’averle raccolte sinceramente, d’averle cavate con destrezza e con lunga pazienzia dal vivo oraculo suo, e, ultimamente, d’averle scontrate e confermate col testimonio de’ scritti e d’uomini degni di fede»7; in questa biografia non si trova notizia alcuna del dono dei disegni, mentre il riferimento al Cavalieri compare nell’elenco delle notabili amicizie dell’artista. La ragione di ciò va cercata principalmente nelle critiche moralistiche rivolte a Michelangelo, in particolare dopo la rivelazione del Giudizio universale della cappella Sistina, di cui si era fatto portavoce Pietro Aretino in una lettera al Buonarroti, scritta nel 1545 e circolata manoscritta fino alla pubblicazione nel 15508: VASARI, ED. BAROCCHI 1962, I, pp. 121-122. Passo citato quasi alla lettera da Varchi nell’orazione funebre di Michelangelo: «Lascierò infiniti altri modegli e disegni, che egli donò a più bellissimi giovani, suoi carissimi, e honestissimi amici, come fu Gherardo Perini, e più di tutti gl’altri M. Tommaso Cavalieri, cortesissimo, e honoratissimo gentilhuomo romano, e tra questi era una Baccanaria, un Tizio, e un Ganimede, quando fu rapito dall’aquila; a quali non manca nessuna, per esser vivi, se non il fiato solo» (VARCHI 1564, p. 17). 7 CONDIVI, ED. NENCIONI 1998, p. 6. 8 Non c’è traccia della lettera nell’Archivio Buonarroti; il testo, autografo nell’intestazione, nella sottoscrizione e nel poscritto, è conservato all’Archivio di Stato di Firenze (Carte Strozziane, I Serie, 137, cc. 249, 254). Nella versione a stampa la lettera reca la data luglio 1547 e l’indirizzo di Alessandro Corvino (ARETINO, ED. PROCACCIOLI [1997-2005], vol. IV, pp. 130-131, n. 189). 6

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l’Aretino, irritato dal fatto che Michelangelo rimandasse all’infinito il dono di una sua opera, accusava l’artista: perché il sodisfare al quanto vi obligaste mandarmi doveva essere procurato da voi con ogni sollecitudine, da che in cotale atto acquetavate la invidia, che vuole che non vi possin disporre se non Gherardi et Tomai9.

Il significato e la ragione del silenzio del Condivi furono recepiti dal Vasari, che nell’edizione giuntina delle Vite, pubblicata quattro anni dopo la morte dell’artista, citava il Cavalieri nel discorso sulle amicizie di Michelangelo e introduceva il motivo della funzione didattica dei disegni d’omaggio: Con tutto ciò ha avuto caro l’amicizie di molte persone grandi e delle dotte e degli uomini ingegnosi, a’ tempi convenienti, e se l’è mantenute [...]; et infinitamente amò più di tutti Messer Tommaso de’ Cavalieri, gentiluomo romano, quale essendo giovane e molto inclinato a queste virtù, perché egli imparassi a disegnare gli fece molte carte stupendissime, disegnate di lapis nero e rosso, di teste divine10, e poi gli disegnò un Ganimede rapito in cielo da l’uccel di Giove11, un Tizio che l’avoltoio gli mangia il cuore12, la Cascata del carro del Sole con Fetonte nel Po13 et una Baccanalia di putti14, CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, pp. 215-219, n. MXLV. L’unico disegno sicuramente inseribile in questo gruppo è la Cleopatra di Casa Buonarroti (inv. 2 F) (fig. 7): GNANN 2010, pp. 284-287, n. 86 (con bibliografia precedente). 11 Cfr. sopra, nota 2. 12 Il supplizio di Tizio, 1532, Windsor, Royal Collection, inv. RL 12771 (fig. 2): si veda, con bibliografia precedente, GNANN 2010, pp. 273-275, n. 82. 13 Della Caduta di Fetonte si conservano tre versioni, realizzate tra il 1533 e il 1534: la prima è ora conservata a Londra, The British Museum, Department of Prints and Drawings, inv. 1895-9-15-517 (con un avviso di Michelangelo al destinatario: «[Messe]r Tomao, se questo sc[h]izzo non vi piace, ditelo a Urbino, [acci]ò che io abbi tempo d’averne facto un altro doman da·ssera, [co]me vi promessi; e se vi piace e vogliate che io lo finisca, [rim]andatemelo»), la seconda a Windsor, Royal Collection, inv. RL 12766, e la terza a Venezia, Gallerie dell’Accademia, inv. 177 (con la nota, autografa 9

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che tutti sono ciascuno per se cosa rarissima e disegni non mai più visti. Ritrasse Michelagnolo Messer Tommaso in un cartone, grande di naturale, che né prima né poi di nessuno fece il ritratto, perché aborriva il fare somigliare il vivo, se non era d’infinita bellezza15. Queste carte sono state cagione che, dilettandosi Messer Tommaso quanto e’ fa, che n’ha poi avute una buona partita che di Michelangelo, «...lo ritracto el meglio ch[e] o saputo... vi rimando il vostro p[er]ch[e] ne son servo vostro che lo ritraga un altra volta...») (figg. 3-4): si vedano MICHELANGELO’S DREAM 2010, pp. 123-135, nn. 4-6 (con bibliografia precedente), e MARONGIU 2013. 14 Baccanale di putti, 1533, Windsor, Royal Collection, inv. RL 12777 (fig. 5): si veda, con bibliografia precedente, MICHELANGELO’S DREAM 2010, pp. 138145, n. 8. 15 FROMMEL 1979, fig. 1, proponeva di riconoscere un ritratto del Cavalieri nella testa di Windsor, Royal Collection, inv. RL 12764 (secondo PERRIG 1991, pp. 77-79, si tratterebbe di un autoritratto del Cavalieri); tuttavia, come già proposto da POPHAM, WILDE 1949, pp. 257-258, n. 434, e ribadito da JOANNIDES 1996, pp. 37-39, n. 1, il disegno è più probabilmente uno studio per una figura femminile. JOANNIDES 2003A, p. 253, sub n. 107, ha proposto di identificare in Tommaso de’ Cavalieri il giovane ritratto sul foglio di Bayonne, Musée Bonnat, inv. 595 (fig. 9); la proposta è stata recentemente accolta da HIRST 2011, pp. 263, 375-376, nota 90. L’identificazione si basa su una postilla apposta su un esemplare dell’edizione giuntina delle Vite del Vasari conservata alla Biblioteca Corsiniana di Roma (29.E.4-6, III (6), p. 755) e resa nota già da Bottari: «stupivamo a vedere la diligenza usata da Michelangiolo nel ritratto di detto Messer Tommaso fatto di matita nera, che pare di mano d’un Angiolo, con quei begli occhi, e bocca, e naso vestito all’antica, e in mano tiene un ritratto, o medaglia, che si sia; sbarbato, e insomma da spaurire ogni gagliardo ingegno» (VASARI, ED. BOTTARI 1759-1760, III, pp. 309-310, nota 3). La descrizione concorda con la notizia fornita da Pablo de Céspedes (che conobbe Tommaso nel 1567 e rimase in contatto epistolare con lui anche dopo il ritorno in Spagna: BOUBLI 2003, p. 229) nel Discurso de la comparación de la antigua y moderna pintura y escultura: «Retrató Miguel Angel á su amigo Tomas del Caballero en un cartoncillo cerca de una vara algo ménos, de lápiz negro, con tanta vivacidad y grandeza con trage, que en aquel tiempo se usaba, y en una mano tiene una medalla. No espere nadie ver en algun tiempo mejor cosa, aunque sea de colores, ántes á mi parecer, quedan muchos pasos atrás, con una manera de dibuxar tan grande y hermoseada, que non solo es cosa meravillosa; pero hasta ahora nunca imitada, aunque de muchos tentada, ni hasta aquel dia vista» (in BOUBLI 2003, p. 236, nota 64).

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già Michelagnolo fece a fra’ Bastiano Viniziano, che le messe in opera, che sono miracolose; et in vero egli le tiene meritatamente per reliquie e n’ha accomodato gentilmente gli artefici16.

Rispetto alla notizia pubblicata nel 1550, nella giuntina il Vasari forniva dunque un elenco più completo, soffermandosi sul soggetto dei disegni e sulla tecnica esecutiva. È probabile che nella prima edizione il biografo non avesse osservato le opere personalmente, almeno non tutte; invece, tale possibilità gli si presentò in seguito, grazie alla disponibilità del possessore dei disegni, di cui infatti ricorda che «n’ha accomodato gentilmente gli artefici». Che al tempo della prima redazione Vasari non avesse avuto accesso alla collezione del Cavalieri sembra confermarlo un passo della Vita di Valerio Vicentino intagliatore, nella quale sono citati i «cristalli di Giovanni da Castel Bolognese, fatti per Ipolito cardinale de’ Medici, il Tizio, il Ganimede»17; solo nella versione giuntina di questa biografia le invenzioni sono riferite a Michelangelo, anche se Vasari continua a considerare il cardinale Ippolito come committente dei disegni: Et avendo Michelagnolo fatto un disegno [...] al detto cardinale de’ Medici d’un Tizio a cui mangia un avoltoio il cuore, Giovanni [l’] intagliò benissimo in cristallo, sì come anco fece con un disegno del medesimo Buonarroto un Fetonte, che per non sapere guidare il carro del Sole cade in Po, dove piangendo le sorelle sono convertite in alberi18.

L’elenco dei disegni fornito dal Vasari nella giuntina, al quale si dovrà aggiungere almeno il Sogno19, concorda con quanto emerVASARI, ED. BAROCCHI 1962, I, p. 118. VASARI, ED. BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, IV, p. 620. 18 VASARI, ED. BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, IV, p. 622. 19 Il Sogno, 1533-1534, Londra, The Courtauld Gallery, Samuel Courtauld Trust D.1978.PG.424 (fig. 6): si veda MICHELANGELO’S DREAM 2010, pp. 100-109, n. 1 (con bibliografia precedente). Per la datazione, si rimanda alla nota 47. Più problematico è l’inserimento in questo gruppo dei Saettatori (Windsor, Royal Collection, inv. RL 12778: GNANN 2010, pp. 266-269, n. 16 17

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ge da più passi del carteggio michelangiolesco. Alla fine di dicembre 1532, nella prima delle lettere note, Michelangelo scriveva al Cavalieri: E se pure delle cose mia, che io spero e promecto di fare, alcuna ne piacerà, la chiamerò molto più aventurata che buona; e quand’io abbi mai a esser certo di piacere, come è decto, in alcuna cossa a Vostra S(igniori)a, il tempo presente, con tucto quello che per me à a venire, donerò a quella20.

Questo riferimento generico al dono di opere trova conferma nella risposta del giovane, databile al primo gennaio 1533: In questo mezo mi pigliarò almanco doi hore del giorno piacere in contemplare doi vostri desegni che Pier Antonio me à portati, quali quanto più li miro, tanto più mi piacciono, et appag[h]erò in gran parte il mio male pensando alla speranza che ’l detto Pier Antonio mi à data di farmi vedere altre cose delle vostre21.

Nel mese di settembre, mentre Michelangelo era a Firenze, Cavalieri gli scriveva: Forse tre giorni fa io ebbi il mio Fetonte assai ben fatto, e àllo visto il Papa, il cardinal de’ Medici e ugnuno. Io non so già per qual causa sia desiderato di vedere. Il cardinal de’ Medici à voluti veder tutti li vostri disegni, e sonnogli tanto piaciuti che voleva far fare 80, con bibliografia precedente), ricordato insieme al Sogno nella Vita di Marcantonio Bolognese e d’altri intagliatori di stampe (cfr. oltre, nota 83), ma precedente l’incontro con il Cavalieri: oltre a ragioni stilistiche, la datazione del disegno non può prescindere dall’appunto sul verso del foglio, datato 12 aprile 1530, che ricorda una visita di Andrea Quaratesi, giovane fiorentino frequentato da Michelangelo nella seconda metà degli anni venti (si veda il ritratto a matita nera del British Museum, Department of Prints and Drawings, inv. 1895-9-15-519: CHAPMAN 2005, pp. 209-211). 20 CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, III, pp. 443-444, n. DCCCXCVII. 21 CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, III, pp. 445-446, n. DCCCXCVIII.

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quel Titio e ’l Ganimede in cristallo; e non ò saputo far sì bel verso che non habbia fatto far quel Titio, e ora il fa maestro Giovanni. Assai ò fatto a salvare il Ganimede22.

A questa data, dunque, dovevano esistere altri disegni oltre ai tre ricordati, anche se è quasi impossibile stabilire quali fossero. Si può comunque ipotizzare che il cardinale Ippolito de’ Medici avesse visto due versioni della Caduta di Fetonte, quella di Londra e quella di Windsor23, forse il perduto ritratto e qualche Testa divina, o anche il Baccanale di putti, che Michelangelo realizzò soprattutto a Firenze24 e che il cardinale non avrebbe richiesto perché inadatto a essere replicato in un cristallo a causa della sua complessità compositiva e del gran numero di figure. Tra i primi a conoscere i disegni fu certamente Sebastiano del Piombo che il 17 luglio 1533, scrivendo a Michelangelo impegnato a Firenze nel mausoleo mediceo della Sagrestia Nuova, gli proponeva di affrescare nella cupola il Ganimede, convertito in San Giovanni evangelista25: un’idea certamente sorta dalla conoscenza diretta del disegno. Oltre che uno dei più cari amici e fidi consiglieri di Michelangelo, Sebastiano divenne, dopo la morte CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, p. 49, n. CMXXXII. Sia il cristallo inciso dal Bernardi, sia la lunga ecfrasi de La Ninfa Tiberina del Molza, dimostrano la conoscenza di entrambe le redazioni: cfr. oltre nel testo, e note 32-33, 50. 24 Quindi tra giugno e ottobre 1533 (POPHAM, WILDE 1949, pp. 254-255, n. 431) o tra maggio e settembre 1534. All’Ashmolean Museum di Oxford (inv. P 410: JOANNIDES 2007, pp. 301-304, n. 66) si conserva un disegno di Raffaello da Montelupo che, per le significative varianti rispetto all’originale michelangiolesco di Windsor, deve essere considerato una copia da una versione precedente e non un ricalco del foglio della Royal Library, come sostenuto da Joannides; tale versione, ora perduta, fu verosimilmente a disposizione del Sinibaldi durante la collaborazione con Michelangelo nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo. 25 «De l[le vo]lte che se ha da l[avorar]e che è nel cielo de la lanterna, [Nostro] Signore se referise a vui, che fate far quello volete vui. A me parebbe [che] li staese bene de Ganimede, e farli la diadema che paresse San Ioanni de l’Apochalipse quando el fu rato in cielo»: CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, pp. 17-19, n. CMX (18). 22 23

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di Raffaello e la diaspora dei suoi allievi, il più importante artista alla corte di Clemente VII, al cui fianco restò anche nei giorni drammatici del Sacco di Roma e dell’esilio a Orvieto. Il rapporto privilegiato del pittore veneziano con il papa si estese, a partire dal 1529, a Ippolito de’ Medici, giovanissimo cardinal nepote, e agli intellettuali della sua cerchia, in particolare monsignor Giovanni Gaddi26, Francesco Berni, Gandolfo Porrino e Francesco Maria Molza27; la grande considerazione che per lui nutriva il giovane cardinale è dimostrata dalla decisione (giugno 1532) di inviare Sebastiano a Fondi per ritrarre l’amata Giulia Gonzaga28, e dalle lodi tributate al dipinto dai versi del Molza e del Porrino29. Il suo nome, infatti, compare spesso nelle lettere di Sebastiano a Michelangelo (nell’ottobre 1531 il pittore scrive «messer Zuan Gaddi, chierico de Camera molto mio patrone, che mi ama più di quello che io merito»: CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, III, pp. 332-335, n. DCCCXXVIII); lo stesso Gaddi fa riferimento a Sebastiano in una lettera al Buonarroti (CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, III, pp. 367-368, n. DCCCXLV). Dei rapporti tra il pittore e il monsignore parla anche il Cellini nella propria autobiografia (CELLINI, ed. Ferrero 1980, pp. 174, 191). Giovanni Gaddi faceva parte di una famiglia di banchieri fiorentini con forti interessi a Roma, legati alla famiglia Medici: da Clemente VII Niccolò Gaddi ottenne la porpora (1527) e Giovanni la dignità di chierico della Camera apostolica. Nel palazzo romano di Giovanni Gaddi avevano spesso sede le riunioni dell’Accademia della Virtù (cfr. oltre nel testo); il monsignore riceveva quotidiane visite di Sebastiano del Piombo e ospitò Cellini, l’Aretino, Varchi, Jacopo Sansovino, il Tribolo e Annibal Caro, che lo servì dal 1525 fino alla morte (ARRIGHI 1998A e ARRIGHI 1998B). 27 «E perché era amicissimo di tutti gli uomini virtuosi, spesso avea seco a cena il Molza e messer Gandolfo, facendo bonissima cera. Fu ancora suo grandissimo amico messer Francesco Berni fiorentino, che gli scrisse un capitolo, al quale rispose fra’ Sebastiano con un altro assai bello, come quelli che, essendo universale, seppe anco a far versi toscani e burlevoli accomodarsi»: VASARI (1568), ED. BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, V, pp. 100101. 28 VASARI, ED. BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, V, p. 97; si leggano anche le lettere di Sebastiano a Michelangelo dell’8 giugno («Credo dimane partirmi da Roma et andar insino a Fondi a retrarre una signiora, et credo starò 15 zorni»: CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, III, p. 408, n. DCCCLXXI) e del 15 luglio 1532 («Compare mio carissimo, tornato da 26

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Lo stretto rapporto di Sebastiano col Cavalieri, fin dai primi momenti della sua amicizia con Michelangelo, è documentato dal carteggio del Buonarroti, che vede i due amici spesso nominati insieme dall’intermediario Bartolomeo Angelini. Nella già citata lettera del 17 luglio 1533 Sebastiano dimostra di conoscere bene il Ratto di Ganimede, mentre in quella del 6 settembre è lo stesso Cavalieri a informare Michelangelo: «L’altro giorno feci la vostra imbasciata a fra’ Sebastiano, e ve se ricomanda per mille volte». L’amicizia di Sebastiano col Cavalieri e la familiarità del pittore con la corte clementina, oltre che il nome di Michelangelo, possono essere state le ragioni per le quali «il Papa, il cardinal de’ Medici e ugnuno» avessero avuto la possibilità di ammirare i disegni d’omaggio gelosamente custoditi dal giovane Tommaso. Una conferma dell’amicizia con Sebastiano, ben oltre la stagione clementina, è offerta dalla testimonianza di Giorgio Vasari, che attesta come il primo nucleo della collezione grafica del Cavalieri fosse costituito dai disegni a lui donati da Michelangelo e da quelli che lo stesso aveva realizzato per Sebastiano del Piombo: il pittore doveva averli donati – o venduti – personalmente al Cavalieri, perché nell’inventario dei suoi beni, compilato dopo la morte, non compare alcun riferimento ad essi30. Se si torna ancora una volta alla lettera scritta da Tommaso il 6 settembre 1533, vi si trova notizia dell’esecuzione, per conto di Ippolito de’ Medici, di una copia in cristallo del Tizio affidata a «maestro Giovanni»: questi era Giovanni Bernardi da CastelboFondi io ho trovato morto el povero nostro Benvenuto [della Volpaia]»: CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, III, pp. 419-420, n. DCCCLXXXI). 29 N. Macola, in VITTORIA COLONNA E MICHELANGELO 2005, pp. 109-111, n. 30. 30 Per la trascrizione dell’inventario, si veda HIRST 1981, pp. 154-156. WILDE 1953, pp. 30-31, nota 1, ricorda la notizia vasariana del passaggio nella collezione del Cavalieri dei disegni realizzati da Michelangelo per Sebastiano del Piombo e si chiede come gli studi per la figura di Lazzaro del British Museum siano potuti arrivare in Casa Buonarroti, da cui provengono; in realtà Vasari precisa che non tutti i disegni, ma «una buona partita», passarono nelle collezioni di Tommaso. 266


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lognese, uno dei più importanti incisori di pietre e medaglisti del Cinquecento, come Sebastiano del Piombo attivo nella corte di artisti e letterati di cui si circondava il cardinale Ippolito de’ Medici31. Michelangelo era informato anche del desiderio del cardinale di tradurre in cristallo il Ganimede, un foglio che Tommaso si vantava di essere riuscito a salvare; tuttavia, nonostante le sue resistenze, alla fine il Bernardi intagliò nel cristallo non solo il Tizio ma anche il Ganimede e una versione della Caduta di Fetonte che combina motivi derivati dal disegno di Londra e da quello di Windsor32. Oltre che nei tre cristalli commissionati da Ippolito, Bernardi riprese i soggetti in una serie destinata a Pier Luigi Farnese, probabilmente realizzata per una cassetta sul tipo della celebre Cassetta Farnese, decorata con scene di soggetto mitologico, sulla base di un programma forse dettato da Claudio Tolomei33. Rispetto alla prima serie, questi cristalli sono di dimensioni maggiori e presentano delle varianti, talvolta significative come nel caso della Caduta di Fetonte34, che non fanno escludere la possibilità che il Bernardi, anziché usare gli stessi modelli, abbia attinto nuovamente agli originali posseduti dal Cavalieri. Intorno alla corte di Ippolito gravitava anche Francesco Salviati, il quale «colorì un Fetonte con i cavalli del Sole, che aveva diseDONATI 1989, pp. 40-42; REBECCHINI 2010, pp. 235-238. Il ratto di Ganimede, 1533-1535, perduto (noto soltanto attraverso placchette bronzee): DONATI 1989, pp. 82-83; DONATI 2011, p. 24. Il supplizio di Tizio, 1533-1534, firmato «.IO.C.B.» in basso al centro, Londra, The British Museum, inv. Dalton 787: DONATI 1989, pp. 78-79; DONATI 2011, pp. 22-23. La caduta di Fetonte, 1533-1535, firmato «.IOVANES.» in basso al centro, Baltimora, The Walters Art Museum, inv. 41.69: DONATI 1989, pp. 86-87; DONATI 2011, p. 25. 33 SLOMANN 1926, pp. 10-13; KRASNOWA 1930. A questa serie dovevano appartenere Il supplizio di Tizio, 1537-1547, firmato «.IOVANES.B.» in basso al centro, e La caduta di Fetonte, 1537-1547, firmato «.IOANEI.» in basso al centro, entrambi perduti (noti soltanto attraverso placchette bronzee): DONATI 1989, pp. 80-81, 84-85. 34 MARONGIU 2008, pp. 81, 83. 31 32

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gnato Michelagnolo»35, ora perduto. Paul Joannides ritiene che l’opera fosse destinata al cardinale Ippolito36, ma tale committenza non è documentata; anzi, la notizia vasariana sembrerebbe smentirla, poiché il riferimento è inserito subito dopo la descrizione della Visitazione di San Giovanni Decollato «che fu finita l’anno 1538», precisando «perché non perdeva Francesco punto di tempo, mentre lavorò quest’opera fece molte altre cose e disegni, e colorì un Fetonte…»37. Se davvero la copia della Caduta di Fetonte era stata commissionata dal giovane cardinale, il Salviati potrebbe aver utilizzato sia gli originali in possesso del Cavalieri, sia eventuali copie dei disegni commissionate da Ippolito perché venissero utilizzate dal Bernardi; se però non si tratta di una commissione del cardinale, morto nell’agosto del 1535, è altamente probabile che il pittore abbia copiato uno o più disegni autografi grazie alla disponibilità di Tommaso38. Un rapporto diretto tra i due, oltre che da questa possibilità, è attestato dal gran numero di disegni del Salviati di proprietà del Cavalieri che risulta dall’inventario della vendita di una parte della collezione, di certo non la più importante, fatta dal Cavalieri a Giovan Giorgio Cesarini – genero del cardinale Alessandro Farnese – il 16 gennaio 1580; in questo inventario, rintracciato recentemente da Lothar Sickel39, sono presenti ben otto disegni del Salviati, oltre a due cristalli del Bernardi, uno dei quali è la Caduta di Fetonte ora a Baltimora40. VASARI, ED. BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, V, pp. 517-518. JOANNIDES 2003B, pp. 79, 82. 37 VASARI, ED. BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, V, p. 517. 38 Pur collegando la copia della Caduta di Fetonte a una commissione di Ippolito de’ Medici, Joannides è convinto di un prestito diretto di disegni al Salviati da parte del Cavalieri (JOANNIDES 2003B, p. 79). Si deve notare come il Vasari, documentatissimo sulle vicende biografiche dell’amico Francesco, dica che questi aveva tratto la copia dal disegno di Michelangelo. 39 SICKEL 2006. 40 Cfr. sopra, nota 32. Il secondo cristallo è La presa di Pavia, come il Fetonte proveniente dalla collezione Strozzi e attualmente conservato allo Walters Art Museum, recante la sigla «HIP. MED.»: un destino collezionistico che lo accomuna alla Caduta di Fetonte: SICKEL 2006, pp. 187-188; 213-214, doc. II. 35 36

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L’inventario della vendita al Cesarini è un documento di straordinaria importanza non solo perché uno dei più antichi che presenti un ordinamento per artisti, ma soprattutto perché molti dei personaggi citati ebbero rapporti diretti col Cavalieri: questo fatto, evidenziato da Sickel41, è una garanzia dell’autografia delle opere, ma l’elenco appare di fondamentale importanza anche perché testimonia di rapporti non altrimenti documentati, o conferma le ipotesi formulabili attraverso lo studio sistematico delle copie e delle derivazioni dai presentation drawings. Per questa via, oltre che ipotizzare un rapporto diretto tra il Cavalieri e Francesco Salviati, si possono comprendere e contestualizzare le copie di singoli motivi inserite da Battista Franco nei suoi dipinti della seconda metà degli anni trenta: nell’inventario, infatti, compare anche un disegno del Franco, un altro artista che certamente ebbe accesso ai disegni del Cavalieri quando, all’inizio degli anni trenta, giunse a Roma nel seguito del cardinale Francesco Corner, con il quale furono in rapporto anche Francesco Berni42 e Sebastiano del Piombo43; in particolare, a Roma Battista entrò nell’orbita michelangiolesca, legandosi soprattutto a Raffaello da Montelupo, con il quale lavorò alla realizzazione degli apparati effimeri per gli ingressi trionfali di Carlo V a Roma e Firenze (1536)44. Nel dipinto commissionatogli l’anno successivo per celebrare la battaglia di Montemurlo45, combattuta dal nuovo duca di Firenze Cosimo de’ Medici contro le truppe repubblicane, il pittore inserì alcuni motivi tratti dai disegni donati da Michelangelo al Cavalieri (il Ratto di Ganimede e il Sogno)46. Battista non poté vedere le opere a

SICKEL 2006, pp. 185-186. Cfr. oltre nel testo e note 90, 94. 43 F. Biferali, in BIFERALI, FIRPO 2007, pp. 18-20. 44 M. Firpo, in BIFERALI, FIRPO 2007, p. 45; VARICK LAUDER 2009, pp. 1920. 45 Firenze, Galleria Palatina, inv. 1912, n. 144 (fig. 10): M. Marongiu, in IL MITO DI GANIMEDE 2002, pp. 82-83, n. 22 (con bibliografia precedente). 46 MARONGIU 2004, pp. 4-9. 41 42

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Firenze – come ha sostenuto Anne Varick Lauder47 – ma a Roma, durante il suo soggiorno degli anni trenta, quando «vedute le maniere di diversi, si risolvé non volere altre cose studiare né cercare d’imitare che i disegni, pitture e sculture di Michelagnolo; per che datosi a cercare, non rimase schizzo, bozza o cosa, non che altro, stata ritratta da Michelagnolo, che egli non disegnasse»48. Battista ebbe anche occasione di copiare il Baccanale di putti, una figura del quale è ripresa nella Deposizione di Cristo ora a Lucca49. Della circolazione di questi disegni nella cerchia che gravitava intorno a Ippolito de’ Medici, e poi ad Alessandro Farnese, sono testimonianza sei ottave de La Ninfa Tiberina, composta da Francesco Maria Molza nel 1537, che appaiono come una straordinaria rievocazione dei disegni di Michelangelo: «In the painting, the figure of Ganymede was taken from Michelangelo’s drawing, the Rape of Ganymede, which Franco would have known from copies. The original was sent to Rome in 1532 or 1533»: VARICK LAUDER 2003, p. 97-98. Tuttavia, non ci sono prove che il Ratto di Ganimede sia stato eseguito a Firenze, come invece furono la Caduta di Fetonte, in parte, e il Baccanale di putti (cfr. sopra, nota 24). L’assenza di derivazioni a Firenze, la cronologia interna al gruppo e le notizie del carteggio permettono di affermare che il Ratto di Ganimede sia stato eseguito da Michelangelo a Roma negli ultimi mesi del 1532. Più difficile stabilire in quale momento e in quale città sia stato realizzato il Sogno: il disegno presenta uno stretto legame con le statue della Sagrestia Nuova, e il gruppo principale sembra avere un qualche rapporto con il medaglione quattrocentesco di palazzo Medici a Firenze, derivante dal celeberrimo intaglio antico con Diomede e il Palladio. Si conserva a Francoforte (Städel Museum, inv. 393) un foglio recentemente attribuito al Clovio, probabilmente copia di un disegno perduto di Michelangelo riferibile a un momento abbastanza precoce dell’elaborazione del gruppo principale del Sogno (M. Marongiu, in PREGIO E BELLEZZA 2010, p. 104, n. 19): questo porterebbe a considerare il disegno eseguito a Roma (novembre 1533-maggio 1534, oppure a partire da settembre 1534), forse sviluppando idee maturate a Firenze. 48 VASARI, ED. BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, V, p. 459. 49 Lucca, Museo Nazionale di Villa Guinigi, inv. 128. Anche in questo caso VARICK LAUDER 2003, p. 102, pensa alla mediazione di una copia, che individua nel disegno di Raffaello da Montelupo a Oxford (Ashmolean Museum, inv. P 410: cfr. sopra, nota 24). 47

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E d’ulivo una tazza, ch’ancor serba quel puro odor che già le diede il torno: nel mezzo a cui si vede in vista acerba portar smarrito un giovinetto il giorno, e sì ’l carro guidar, ch’accende l’erba, e fin al fondo i fiumi arde d’intorno: stolto, che mal seppe il vïaggio, e ’l consiglio seguir fedele e saggio. Ecco Giove, che in ciel fra mille lampi dà, folgorando, il segno, e lo percuote; ecco i destrier per gli aerosi campi fuggir turbati a parti più remote, là dove par che minor fiamma avampi; così dal carro ardente e da le ruote cadde il misero in Po nel fumo avolto, tardi pentito de l’ardir suo stolto. L’umor, che col cader ei frange e parte là ’ve più molle ha ’l re de’ fiumi il piede, rassomiglia sì ’l ver, che dirai: l’arte quivi d’assai pur la natura eccede: Con sì alto saper l’opra comparte chi che si fosse che tal pegno diede del saggio ingegno suo chiaro e gradito, e mosse a fama glorïosa ardito. Da l’altra parte v’è intagliato il pianto, che fan le sue dolenti e pie sorelle lungo il gran fiume, ove si dolser tanto, che ’l cordoglio n’andò sovra le stelle; onde, cangiato il lor corporeo manto, le vaghe membra e le chiome irte e belle, come il ciel per pietà dispose e volse, tenera fronde e duro legno avolse. Le braccia in rami andarno, in fronde il crine, e i piedi diventâr ferme radici: cotal ebbe il lor pianto acerbo fine, e le luci già sante, alme, beatrici, Horti Hesperidum, III, 2013, 1

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e le polite membra e pellegrine, ch’altri sperâr godendo esser felici, per divina sentenza, in breve forza, una amara converse e dura scorza. Indi poco lontan sovra un gran sasso, cui verde musco d’ogni intorno appanna, con gli occhi fitti giù nell’onda al basso, e in man tenendo una tremante canna, canuto vecchio, e per molt’anni lasso, con l’amo i pesci d’allettar s’affanna: vero argento pareggia, a chi ben mira, la preda ch’a lo scoglio aduna e tira50.

Poco tempo dopo, sempre nell’ambito farnesiano, fu eseguita la miniatura di Giulio Clovio raffigurante il Ratto di Ganimede51, tratta direttamente dall’originale in possesso del Cavalieri, come attestano le testimonianze dei Diálogos em Roma di Francisco de Hollanda52 e delle Vite vasariane53. Il Clovio dovette avere una MOLZA, ED. BIANCHI 1991, 12-17. Cfr. AGOSTI 2008, p. 96; MARONGIU 2008, pp. 81-82. Il riferimento a Giove fulminante e allo sguardo di Eridano rivolto verso il basso – assenti nel cristallo del Bernardi – lasciano supporre che il Molza descrivesse i disegni di Londra e Windsor, fusi anche dal Bernardi nella sua composizione: lo sguardo del dio fluviale rivolto verso il basso è presente soltanto nel foglio della Royal Library, mentre lo svolgimento della metamorfosi delle Eliadi è presente soltanto nel foglio del British Museum. 51 Firenze, Casa Buonarroti, inv. Gallerie 1890, n. 3516 (fig. 11): M. Marongiu, in IL MITO DI GANIMEDE 2002, pp. 84-85, n. 23 (con bibliografia precedente). 52 Nel racconto di uno degli incontri in San Silvestro al Quirinale, promossi da Vittoria Colonna, Francisco ricorda: «Qui Don Giulio ci mostrò un Ganimede, miniato di sua mano su disegno di Michel Angelo, lavorato tanto soavemente, che era stata la prima cosa con cui egli a Roma si era guadagnata fama»: OLANDA, ED. MODRONI 2003, p. 144. Da quanto risulta dai dialoghi, sarebbe stato Francisco a introdurre il Clovio in quella cerchia: «mi avviai a Monte Cavallo. E, tuttavia, mi sembrava presto e, passando dalla casa del cardinale Grimaldi, volli ricordare a Don Giulio di Macedonia, suo gentiluomo, ed il più colto di tutti i miniaturisti di questo mondo, un’opera che faceva per me. / Giulio fu contento di vedermi, perché erano diversi giorni 50

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frequentazione abbastanza stretta con il Cavalieri, poiché, oltre alla miniatura, si attribuiscono al croato anche le copie dagli altri disegni d’omaggio54 e di un foglio realizzato da Michelangelo per Sebastiano del Piombo, probabilmente entrato nelle collezioni del nobile romano già dalla fine degli anni trenta55. che non ci vedevamo; e quando ebbi visto la nostra opera (e la chiamo nostra, perché erano mio il disegno e suoi i colori) e mi volevo licenziare da lui, mi chiese dove andassi, dal momento che lo lasciavo così. / Come gli dissi che me ne andavo per conversare con maestro Michel Angelo e con la signora Vittoria Colonna, Marchesa di Pescara, e con Messer Lattanzio Tolomei, gentiluomo senese, alla chiesa di San Silvestro, Don Giulio cominciò a dire: / - “Oh, Messer Francisco, che mezzo mi consigliereste perché fossi degno della conversazione di tanto nobile corte, e perché il signor Michel Angelo mi accogliesse nel numero dei suoi servitori per vostra intercessione?”». Poco oltre Francisco dice al Clovio che Michelangelo «sarà ben contento di conoscervi» e «egli è ancora un estraneo rispetto a voi, per il fatto che voi ancora non l’avete conosciuto» (OLANDA, ED. MODRONI 2003, pp. 142-143). Se la testimonianza è attendibile, alla data del dialogo (novembredicembre 1538) i rapporti del Clovio con Michelangelo non erano stretti e il croato doveva aver avuto accesso al Ratto di Ganimede in virtù di suoi rapporti col Cavalieri. 53 «Ha dunque il Duca, oltre le cose dette, un quadretto di mano di don Giulio, dentro al quale è Ganimede portato in cielo da Giove converso in aquila; il quale fu ritratto da quello che già disegnò Michelagnolo, il quale è oggi appresso Tomaso de’ Cavalieri, come s’è detto altrove»: VASARI, ED. BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, VI, p. 218. 54 Sono attribuite al Clovio tre copie del Ratto di Ganimede (Windsor, Royal Collection, inv. RL 13036: M. Marongiu, in IL MITO DI GANIMEDE 2002, pp. 86-87, n. 24; Parigi, Musée du Louvre, Département des arts graphiques, inv. 734: JOANNIDES 2003A, pp. 232-234, n. 86; Palermo, Galleria Regionale di Palazzo Abatellis: A. Francischiello, in GIORGIO VASARI 2011, p. 39, n. 10), una del Sogno (Chatsworth, Devonshire Collection, inv. 18: MICHELANGELO’S DREAM 2010, pp. 164-166, n. 13) e una della Cleopatra (Parigi, Musée du Louvre, Département des arts graphiques, inv. 733: JOANNIDES 2003A, pp. 258-259, n. 115). 55 Flagellazione di Cristo, 1545 circa, Windsor, Royal Collection, inv. RL 0418: JOANNIDES 1996, pp. 120-122, n. 34; GNANN 2010, pp. 176-179, nn. 49-50: Joannides e Gnann ritengono la copia eseguita quando il disegno era ancora nelle mani di Sebastiano, dati i rapporti di amicizia tra questi e il Clovio. Tuttavia, si deve ricordare come il 23 giugno 1571 Ludovico Tedeschi, maggiordomo del cardinale Alessandro Farnese, in una lettera a Ottavio, duca di

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Nell’inventario della vendita al Cesarini si trovano ben nove disegni del Clovio56, e altre sue opere Tommaso dovette tenere per sé, dal momento che otto pezzi tra disegni e dipinti risultano venduti dal figlio Emilio al cardinale Alessandro Montalto nel 159257. Parma, scriveva che era stato concluso un dipinto a lui destinato, basato su un disegno che Michelangelo aveva fornito a Sebastiano del Piombo, concesso in prestito da Tommaso de’ Cavalieri: potrebbe trattarsi della Flagellazione, di cui esiste una copia del Venusti alla Galleria Borghese (inv. 133: CAPELLI 2001, p. 25; CAPELLI 2003; SICKEL 2006, p. 167; GNANN 2010, pp. 176-179, nn. 49-50). La notizia potrebbe confermare la presenza del disegno originale nella collezione di Tommaso, anche se la difficoltà a datare le copie del Clovio rende insolubile il dubbio su chi abbia fornito l’originale al miniatore croato. Per quanto riguarda la Flagellazione Borghese (la cui attribuzione al Venusti non è accolta da KAMP 1993) si deve però notare che sul mercato antiquario è passato un dipinto analogo, firmato e datato da Venusti, e con esplicito riferimento a Sebastiano del Piombo («MA VENU / 1552 / AP. S. VEN»: cfr. KAMP 1993, p. 124, n. 35): è improbabile che Venusti, dopo vent’anni, abbia avuto bisogno del disegno, che invece si rendeva necessario per un altro artista; la lettera, dopo tutto, non menziona il Venusti. Secondo WALLACE 1985 il dipinto citato nella lettera sarebbe una copia del Ratto di Ganimede, mentre RUVOLDT 2011 pensa a una copia del Sogno. 56 SICKEL 2006, pp. 213-214, doc. II. 57 «Noi Ales.ro Cardinal Montalto promettiamo pagare al S. r Emilio de’ Cavalieri durante la vitta sua scudi cinque d’oro in oro il mese così convenutosi per il prezzo delle infrascritte cose comper[ate] da lui […] Una nostra donna di Acquacella d.d. Giulio […] L’ovatino d.d. Giulio […] Una testa di Alessandro Magno di lapis nero d.d. Giulio / Cinque quaditti a uolio di d. Giulio»: KIRKENDALE 2001, p. 112. Kirkendale ritiene che «don Giulio» sia Giulio Romano, ma si noti come fin dal 1527, dopo aver preso i voti nell’ordine degli Scopetini, il croato, il cui nome originario era Giorgio, veniva chiamato «don Giulio» (SMITH 1976, p. 20); anche nell’inventario della vendita al Cesarini «don Giulio» è distinto da «Giulio Romano». La «testa di Alessandro Magno di lapis nero d.d. Giulio» potrebbe essere la ‘testa divina’ ora a Windsor (inv. RL 0453) (fig. 8), di chiara ascendenza michelangiolesca (da un disegno per il Cavalieri?), utilizzata per la Minerva del Commento alle Lettere di san Paolo ai Romani (miniato per il cardinale Marino Grimani tra il 1534 e il 1538: Londra, Soane Museum. Ms. 11, fol. 1), e ripresa in controparte nel ritratto di Alessandro Magno inserito nel Libro d’Ore Farnese (1538-1546: New York, The Pierpont Morgan Library, M 69, foll. 32v-33r) come pendant di quello di 274


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Allo stesso Francisco de Hollanda, che tra la fine degli anni trenta e inizi quaranta frequentò Michelangelo e gli intellettuali radunati da Vittoria Colonna in San Silvestro al Quirinale58, Paul Joannides ha attribuito una copia della Caduta di Fetonte di Londra59, eseguita probabilmente a ricalco dall’originale in possesso del Cavalieri. Questa copia andrà datata tra il 1539 e il 1541, successivamente agli incontri descritti nei Diálogos em Roma, poiché in essi non è presente alcun riferimento al Cavalieri, neppure a proposito del Ratto di Ganimede del quale il Clovio stava eseguendo la copia60. Si dovrà quindi presumere che Francisco de Hollanda abbia conosciuto solo in un secondo tempo il Cavalieri, forse con il tramite di Michelangelo, o forse in incontri successivi nel cenacolo di San Silvestro, poiché si data a quegli stessi anni (1538-1541) una lettera di Michelangelo che documenta il ruolo di Tommaso come latore di un disegno d’omaggio a Vittoria Colonna61. Alessandro Farnese (che compare in abito classico e non cardinalizio), come ricordava anche il Vasari (VASARI, ED. BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, VI, p. 215). Per il disegno si veda JOANNIDES 1996, pp. 46-47, n. 5; per le miniature SMITH 1976, p.n.n. (foll. 32v-33r); CIONINI VISANI, GAMULIN 1980, pp. 34, 38-42, 53-58. La testa è stata riutilizzata dal Clovio anche nella miniatura sciolta Sacra famiglia con soldato del Museo Marmottan di Parigi (inv. M 6119: LEZIONARIO FARNESE 2008, p. 28, p. 57 nota 65). 58 Si leggano i suoi resoconti nei Dialoghi romani (OLANDA, ED. MODRONI 2003, pp. 101-165); sulla sua collezione di disegni: DESWARTE-ROSA 2006. 59 Parigi, Musée du Louvre, Département des arts graphiques, inv. 829: JOANNIDES 2003A, pp. 259-260, n. 116. 60 Cfr. sopra nel testo, e nota 52. 61 «Signiora marchesa, e’ non par, sendo io in Roma, che gli achadessi lasciare il Crocifisso a messer Tomao e farlo mezzano fra Vostra Signioria e me, suo servo, acciò che io la serva, e massimo avend’io desiderato di far più per quella che per uomo che io conosciessi mai al mondo; ma l’ochupatione grande in che io sono stato e sono non à lasciato conoscier questo a Vostra Signioria»: CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, pp. 102-103, n. CMLXVII. Il disegno in questione è ora conservato al British Museum, inv. 1895-9-15504 (V. Romani, in VITTORIA COLONNA E MICHELANGELO 2005, pp. 165167, n. 49, con bibliografia precedente). Da questa invenzione, integrata con le figure dei dolenti, sempre su disegno di Michelangelo ma databili verso la

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Una copia del Sogno, ora agli Uffizi, è stata attribuita a Marcello Venusti, con una datazione intorno al 154062. Se la gamma cromatica e il trattamento delle superfici e dei volumi inducono a dubitare di questa proposta attributiva, ciò che è certo è che il dipinto fu tratto dal disegno originale e non dalle incisioni, e la sua provenienza romana non è inficiata dalla presenza di una figura femminile sulla sinistra, simile all’Aurora della Sagrestia Nuova, che è evidente frutto di un successivo intervento moralistico, che ha cancellato la figura dell’amante e modificato la parte superiore del corpo della donna63. Noto fin dai suoi primi anni romani come abile copista del Giudizio universale, attività per la quale si guadagnò nel 1542 la stima di Michelangelo64, Venusti divenne solo in seguito il traduttore in pittura delle sue invenzioni, quando, nella vecchiaia, il Buonarroti abbandonò l’attività pittorica limitandosi a eseguire dei cartoni da far colorire a Marcello. Questi, prima ancora della copia dell’affresco sistino, commissionatagli nel 1549 da Alesmetà degli anni cinquanta (Musée du Louvre, inv. 720 e 698: JOANNIDES 2003A, pp. 174-178, nn. 39-40; V. Romani, in VITTORIA COLONNA E MICHELANGELO 2005, pp. 168-169, n. 50-51; A. Rovetta, in L’ULTIMO MICHELANGELO 2011, pp. 154-159, nn. 3.1-3.2), il Venusti trasse per il Cavalieri il dipinto devozionale ora a Oxford, Campion Hall (cfr. oltre, nota 76), così come quello, databile verso il 1554-1555, realizzato per l’Urbino (Francesco Amadori), fedele servo di Michelangelo (vedi anche JOANNIDES 2011, pp. 26, 28, 33). Il Buonarroti si servì spesso dell’Urbino per recapitare lettere, disegni e rime (cfr. CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, p. 12, n. CMVI; p. 100, n. CMLXV; p. 176, n. MXVII). 62 Galleria degli Uffizi, inv. Gallerie 1890, n. 9434. Il dipinto, riferito a Venusti da S. Meloni, in DIPINTI SALVATI 1966, p. 13, n. 17, e in UFFIZI 1979, p. 584, n. P1866, e confermato da RUVOLDT 2003, p. 97, BUCK 2010, pp. 5961, PARRILLA 2011, non è tuttavia compreso nel catalogo di KAMP 1993 né considerato in RUSSO 1990 e CAPELLI 2001. PARRILLA 2011, p. 94, sposta la datazione al 1560 circa e dice la copia eseguita grazie all’originale michelangiolesco messo dal Cavalieri a disposizione del Venusti (p. 98). 63 L’inserimento della figura ispirata all’Aurora è attribuito all’autore del dipinto e considerato un esempio dell’autocitazionismo di Michelangelo – adottato anche dal seguace e amico Venusti – da RUVOLDT 2003, p. 97. 64 KAMP 1993, pp. 132-133, doc. 2. 276


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sandro Farnese65, acquisì fama grazie all’Annunciazione dipinta per l’altare della cappella Cesi in Santa Maria della Pace, eseguita su modello di Michelangelo66: come riporta Giorgio Vasari67, fu Tommaso de’ Cavalieri, alla fine degli anni quaranta, a richiedere al Buonarroti il cartone per la pala d’altare della cappella del cardinale Federico Cesi68, da affidare al Venusti, e a commissionare allo stesso pittore anche la pala destinata all’altare del Collegio dei Benefattori e Chierici in San Giovanni in Laterano a Roma, tratta dall’invenzione scartata dal Cesi69. Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte, inv. Q. 139: U. Bile, in PALAZZO FARNÈSE 2010, pp. 438-439, n. 211 (con bibliografia precedente). Nello stesso anno Venusti riceve un pagamento per pitture nel soffitto della cappella Paolina (RUSSO 1990, p. 23). 66 La pala d’altare risulta dispersa; una replica è ora custodita a Roma, presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Corsini (inv. 255) (fig. 12). Il disegno di Michelangelo è conservato a New York, The Pierpont Morgan Library (inv. IV, 7): M. Marongiu, in AGOSTI 2007, pp. 358-363, n. 23. 67 «Ha fatto poi fare Messer Tommaso a Michelagnolo molti disegni per amici, come per il Cardinale di Cesis la tavola dove è Nostra Donna annunziata dall’angelo, cosa nuova, che fu poi da Marcello Mantovano colorita e posta nella cappella di marmo che ha fatto fare quel cardinale nella chiesa della Pace di Roma»: VASARI, ED. BAROCCHI 1962, I, p. 119. 68 Che i rapporti tra il cardinale e Michelangelo non fossero molto stretti lo suggerisce una lettera di Michelangelo a Luigi del Riccio della fine del 1543: «Messer Luigi amico caro, perché io so che voi siate maestro di cerimonie tanto quant’io ne sono alieno, avend’io ricevuto da monsignor di Todi il presente che vi dirà Urbino, vi prego, faccendovene parte e credendo che siate amico di Sua S(ignior)ia, quando vi vien bene in nome mio la rengratiate con quella cerimonia che c’è facile e dura [a me]»: CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, p. 176, n. MXVII. WALLACE 2003, pp. 139-145, parla invece di una lunga consuetudine e di uno scambio di favori piuttosto che di una vera e propria commissione. 69 «Ha fatto poi fare Messer Tommaso a Michelagnolo [...] un’altra Nunziata, colorita pur di mano di Marcello, in una tavola nella chiesa di San I<o>anni Laterano, che ’l disegno l’ha il Duca Cosimo de’ Medici, il quale dopo la morte donò Lionardo Buonarruoti suo nipote a Sua E(ccellenza)»: VASARI, ed. Barocchi 1962, I, p. 119. Il secondo cartone eseguito da Michelangelo, con un impianto compositivo differrente ma con evidenti parallelismi che dimostrano un’elaborazione contemporanea a quello di New York, è attualmente conservato a Firenze, Ga65

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Ben più che per tutti gli artisti finora ricordati, i rapporti tra Venusti e Cavalieri furono tanto stretti quanto documentati70; anzi, in base alle informazioni ricavabili dalle fonti, si può affermare che precedettero l’amicizia tra Venusti e Michelangelo. La familiarità tra Venusti e Cavalieri si protrarrà oltre la morte del Buonarroti – Tommaso lo chiamerà a dipingere nel palazzo dei Conservatori71, e presterà forse un disegno di Michelangelo della propria collezione per un dipinto richiesto a Marcello dal carbinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, inv. 229 F; il dipinto si trova ancora in San Giovanni in Laterano, trasferito nella Sagrestia Vecchia (fig. 13): HIRST 1988, pp. 133-137, nn. 54-55; M. Marongiu, in AGOSTI 2007, pp. 358-363, n. 23. Si consideri però la proposta di JOANNIDES 2011, pp. 31-32, secondo il quale i due disegni non sarebbero coevi, ma realizzati ad oltre un decennio di distanza: il cartonetto degli Uffizi entro la metà degli anni quaranta, lo studio di New York intorno al 1555; vicino a questa data lo studioso colloca anche la commissione della pala Cesi, per la quale Michelangelo avrebbe recuperato un’invenzione precedente. 70 «Per lo che gli ha finalmente il gentilissimo messer Tommaso de’ Cavalieri, che sempre l’ha favorito, fatto dipignere con disegni di Michelagnolo una tavola, per la chiesa di San Giovanni Laterano, d’una Vergine annunziata, bellissima»: VASARI, ED. BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, VI, pp. 221-222. Sia Cavalieri, sia Venusti erano membri della Compagnia del Crocifisso di San Marcello, con il cui abito furono sepolti (per il testamento del Cavalieri, dettato il 27 febbraio 1580, si veda DOKUMENTE UND FORSCHUNGEN 1906, pp. 446-447, n. III.6; per quello del Venusti, del 14 ottobre 1579, KAMP 1993, pp. 143-149, doc. 25); Cavalieri è documentato tra i membri della Compagnia fin dal 1555; nel 1557 ne fu eletto priore e fece parte della commissione incaricata di scegliere il sito per la costruzione dell’Oratorio, affidata a Giacomo della Porta; nel 1562 fu nominato guardiano; nel 1573 partecipò alla commissione per l’affidamento della realizzazione del soffitto ligneo (affidato al Boulanger) e nel 1578 in quella per l’incarico della decorazione delle pareti (affidata a Giovanni de’ Vecchi). Della Compagnia fecero parte anche i figli di Tommaso, Mario (documentato dal 1568) ed Emilio (documentato dal 1572) (HENNEBERG 1970, pp. 159-160, 164, 167-168; KIRKENDALE 2001, pp. 50, 63-64). 71 Un pittore «Marcello», con tutta evidenza il Venusti, riceve dei pagamenti tra l’ottobre del 1577 e l’aprile successivo, per aver dipinto la nicchia d’altare della cappella del Palazzo dei Conservatori (RUSSO 1990, p. 25; KAMP 1993, pp. 142-143, doc. 23; BEDON 2008, pp. 387-388): si tratta della Madonna col Bambino in gloria fra i santi Pietro e Paolo, tuttora in situ (inv. 103): RUSSO 1990, p. 15; KAMP 1993, p. 112, n. 15; CAPELLI 2001, p. 31, fig. 24. 278


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dinale Alessandro Farnese72 – e fino alla morte del Venusti, nel cui testamento sono nominati come esecutori testamentari Giacomo della Porta insieme a Mario de’ Cavalieri e Valerio della Valle, rispettivamente figlio e cognato di Tommaso73. La collezione di Tommaso comprendeva alcune opere del Venusti: quattro suoi disegni furono venduti al Cesarini nel 158074, mentre un dipinto con l’Orazione nell’orto, su disegno di Michelangelo, fu venduto dal figlio Emilio al cardinale Alessandro Montalto nel 159275; infine, sue opere sembrerebbero ancora presenti nel palazzo Cavalieri secondo l’inventario del 175576. Una copia del Ratto di Ganimede, eseguita da Daniele da Volterra presumibilmente verso la metà degli anni quaranta e ora perduta, è registrata nell’inventario delle opere possedute da Fulvio Orsini77. Daniele, giunto a Roma intorno al 1537 e in un primo tempo attivo nell’orbita di Perin del Vaga, nella seconda metà Si tratterebbe della già ricordata Flagellazione di Cristo della Galleria Borghese: cfr. sopra, nota 55. 73 KAMP 1993, pp. 143-149, docc. 25-26. 74 SICKEL 2006, pp. 213-214, doc. II. 75 KIRKENDALE 2001, p. 112; cfr. sopra, nota 57. 76 KIRKENDALE 2001, pp. 116-117. Nell’inventario citato da Kirkendale l’opera di maggior valore è «un quadretto rappresentante il SS. o Crocifisso spirante con la Madonna e S. Giovanni, opera di Michel Angelo Buonarota», inserito in una «custodia […] di pietre dure»: a questa notizia andrà ricollegato il dipinto ora a Oxford (Campion Hall) (fig. 14), ancora inserito in un tabernacolo in legno e marmo colorato, che rimase di proprietà della famiglia Cavalieri fino al 1797, fatto finora sfuggito agli studiosi del Venusti. Sul dipinto si veda A. Rovetta, in L’ULTIMO MICHELANGELO 2011, pp. 160-161, n. 3.3 (con bibliografia precedente, ma senza riferimenti all’inventario settecentesco). 77 «97. Disegno senza cornice, col ratto di Ganimede rapito in l°, di mano di Da-nielle, copiato da Michelangelo» (HOCHMANN 1993, p. 88). DUSSLER 1959, p. 314, n. 722, aveva riferito a Daniele la copia del Ratto di Ganimede a Windsor (Royal Collection, inv. RL 13036; per JOANNIDES 1996, pp. 72-74, n. 15, opera di Giulio Clovio) e quella degli Uffizi (inv. 245 F): cfr. M. Marongiu, in IL MITO DI GANIMEDE 2002, pp. 86-89, nn. 24-25. Per l’influenza dei disegni d’omaggio di Michelangelo sulla grafica di Daniele alla metà degli anni quaranta, si veda V. Romani, in DANIELE DA VOLTERRA 2003, p. 32, pp. 90-91, n. 17. 72

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degli anni quaranta impresse al suo stile una decisa svolta in chiave michelangiolesca, che – a queste date in cui acceso era il dibattito sulla moralità del Giudizio universale – significava anche una precisa scelta ideologica, apertamente dichiarata nelle scene allegoriche inserite all’ingresso della cappella Orsini a Trinità dei Monti (1545-1547)78. Daniele non fu soltanto un fedele traduttore delle invenzioni di Michelangelo e il più profondo interprete del suo stile, ma anche uno dei sui amici più cari: lui e Tommaso de’ Cavalieri erano presenti al capezzale dell’artista morente 79 e alla stesura dell’inventario dei suoi beni80. Questi fatti sono anche conferma della grande amicizia che legò Tommaso e Daniele81, ed è significativo che, alla morte del Ricciarelli, il Cavalieri protesse i suoi

Distrutte alla fine del Settecento, sono note attraverso le copie fatte eseguire da Alonso Chacón negli anni ottanta-novanta del Cinquecento (taccuino conservato a Roma, Biblioteca Angelica, ms. 1564: cfr. foll. 285v-286r, 287v): si veda B. Agosti, in DANIELE DA VOLTERRA 2003, pp. 84-87, n. 15. È interessante notare che Daniele dichiara come suo modello non solo Michelangelo ma anche Sebastiano del Piombo: il ritratto congiunto dei due artisti, Michelangelo e Sebastiano, è una testimonianza dell’avvenuta riconciliazione dopo i dissapori sorti su questioni tecniche relative al Giudizio universale (cfr. oltre, nota 90), confermando la notizia vasariana «Michelagnolo mise mano all’opera, non si scordando però l’ingiuria che gli pareva avere ricevuta da fra’ Sebastiano, col quale tenne odio fin quasi alla morte di lui» (VASARI, ED. BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, V, p. 102; il corsivo è mio); i rapporti tra i due dovevano essere ancora tesi nel 1538, poiché Francisco de Hollanda, riportando un discorso di Michelangelo, lo definiva «pigro pittore [che] non aveva dipinto a Roma più di due sole cose» (OLANDA, ED. MODRONI 2003, p. 132). 79 Quattro giorni prima della morte dell’artista, Diomede Leoni scriveva a Leonardo Buonarroti, nipote di Michelangelo: «potete esser certo che m. Tomaso del Cavaliere, m. Daniello et io non siamo per mancare in assentia vostra di ogni offitio possibile per honore et utile vostro»: CARTEGGIO INDIRETTO 1988-1995, II, pp. 172-173, n. 358. 80 Cfr. lettera di Averardo Serristori a Cosimo I de’ Medici del 29 febbraio 1564, in GAYE 1839-1840, III, pp. 127-128, n. CXXII. 81 Nella vendita di disegni a Giovan Giorgio Cesarini sono presenti tre disegni di Daniele: SICKEL 2006, pp. 213-214, doc. II. 78

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allievi offrendo loro prestigiosi incarichi nel grande cantiere capitolino82. Nel corso del quinto decennio del Cinquecento dai disegni di Michelangelo furono tratte delle stampe, che ebbero una straordinaria e immediata diffusione inserendosi in un mercato in forte crescita. Queste contribuirono alla fortuna dell’editore Lafrery, come ricordava il Vasari: Sono poi da altri state intagliate molte cose cavate da Michelagnolo a requisizzione d’Antonio Lanferri, che ha tenuto stampatori per simile essercizio, i quali hanno mandato fuori libri con pesci d’ogni sorte; et appresso il Faetonte, il Tizio, il Ganimede, i Saettatori, la Baccanaria, il Sogno83. Michele Alberti e Jacopo Rocchetti realizzarono su commissione dei deputati alle fabbriche capitoline, Tommaso de’ Cavalieri e Prospero Boccapaduli, il fregio della Sala dei Trionfi nel Palazzo dei Conservatori: i pagamenti per gli affreschi sono registrati nel 1571, mentre quelli per altri lavori di stucco e doratura nel 1577 (BEDON 2008, p. 387); e tuttavia, la decorazione pittorica della Sala doveva essere già conclusa nel 1565, poiché è descritta dal Gamucci (GAMUCCI 1565, p. 18) (devo questa informazione a Barbara Agosti). Dal 1575 al 1577 i due pittori sono pagati anche per i lavori alla cappella (PECCHIAI 1950, pp. 149, 175-176; BEDON 2008, pp. 357, 386, 387). 83 VASARI, ED. BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, V, pp. 19-20. Tra le più antiche incisioni tratte dai disegni d’omaggio del Cavalieri, si devono ricordare il bulino generalmente attribuito a Nicolas Béatrizet raffigurante Il ratto di Ganimede (1542), pubblicato da Lafrery (Passavant VI.119.111: BIANCHI 2003, pp. 6-7, n. 35; BARNES 2010, pp. 57-63, p. 196, n. 81); il bulino tradizionalmente attribuito a Nicolas Béatrizet con Il supplizio di Tizio (1542 circa), pubblicato da Salamanca (Bartsch XV.259.39: BIANCHI 2003, pp. 5-6, n. 33; BARNES 2010, pp. 57-63, p. 196, n. 84) – ma una copia fu pubblicata da Lafrery (BARNES 2010, p. 196, n. 84a) – ; il bulino di Nicolas Béatrizet tratto dalla Caduta di Fetonte ora a Windsor (1545-1550), forse pubblicato da Lafrery (Bartsch XV.258.38: BIANCHI 2003, p. 5, n. 32; BARNES 2010, pp. 57-63, p. 196, n. 85); il bulino di Enea Vico dal Baccanale di putti (1546, ma verosimilmente derivante da un disegno eseguito negli anni 15401542) (Bartsch XVI.305.48: BARNES 2010, pp. 64-65, p. 196, n. 86) e quello di Nicolas Béatrizet (1546 circa) dallo stesso disegno (Bartsch XV.260.40: BIANCHI 2003, p. 6, n. 34; BARNES 2010, pp. 64-65, p. 196, n. 87), la cui copia fu pubblicata (1553) da Lafrery (BIANCHI 2003, p. 6, n. 34A; BARNES 2010, p. 197, n. 87a); il bulino attribuito a Nicolas Béatrizet tratto dal Sogno 82

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È probabile che, anche in questo caso, gli originali siano stati forniti dal Cavalieri, non solo grande collezionista ed estimatore delle stampe84, ma anche personalità di rilievo nella diffusione di questo mezzo, essendo stato Curatore e Soprintendente della Stamperia Apostolica, la prima tipografia pubblica di Roma85. È di straordinaria importanza il fatto che l’incisione con La battaglia di Zama realizzata da Cornelis Cort e pubblicata dal Lafrery (1567), sia stata tratta da un disegno, allora attribuito a Raffaello, di proprietà di Tommaso de’ Cavalieri, come dichiara espressamente l’iscrizione: «EX ARCHETYPO RAPHAELIS URBINATIS / QUOD EST APUD THOMAM CAVALERIUM PATRICIUM ROMANUM / EXCUDEBAT IN ROMAE ANTONIUS LAFRERIUS SEOVANI»86. Quest’episodio costitui-

sce un importante tassello per la definizione della personalità del Cavalieri e della sua rete di rapporti, ma soprattutto è la dimostrazione evidente della sua fama di collezionista ed esperto d’arte tra i contemporanei, per i quali l’appartenenza di un disegno alla sua collezione doveva essere una garanzia di autografia e qualità. La produzione e diffusione delle stampe dai disegni d’omaggio costituisce un terminus post quem per poter verificare la circola(ante 1545), pubblicato da Salamanca (Passavant VI.119.112: BIANCHI 2003, p. 7, n. 36; M. Bury, in MICHELANGELO’S DREAM 2010, pp. 167-170, sub n. 14; BARNES 2010, pp. 66-68, p. 197, n. 88). 84 Sono presenti ben 1248 stampe nella vendita al Cesarini: SICKEL 2006, pp. 213-214, doc. II. 85 FROMMEL 1979, p. 78. 86 (fig. 15) SELLINK 2000, III, pp. 92-94, nn. 195-196; SICKEL 2006, p. 175. Cornelis Cort, giunto a Roma alla fine degli anni sessanta e da subito attivo nell’orbita del Lafrery, fu strettamente legato al Clovio, di cui tradusse le invenzioni degli anni tardi. Cort incise anche invenzioni di altri artisti legati al Cavalieri: Francesco Salviati, Marcello Venusti, Bernardino Passeri (uno dei testimoni della vendita di disegni e stampe a Giovan Giorgio Cesarini: SICKEL 2006, p. 213, doc. I), Girolamo Muziano: cfr. SELLINK 2000, ad indicem. 282


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zione degli originali e la loro conoscenza diretta da parte dei copisti. Un’altra possibilità per indagare sulle frequentazioni del Cavalieri è offerta dallo studio della circolazione delle rime composte per lui da Michelangelo. Nella corrispondenza tra i due, o del Buonarroti con l’intermediario Bartolomeo Angelini, numerose sono le testimonianze dell’invio di componimenti poetici. Come nel caso dei disegni, anche le rime non erano fruite esclusivamente dal destinatario, ma note ad altre persone dell’élite intellettuale di cui questi faceva parte87. Spesso l’Angelini copiava i componimenti di Michelangelo prima di consegnarli al Cavalieri, con l’approvazione dell’artista che ne era puntualmente informato, come emerge chiaramente dal carteggio: Honrando e carissimo Michelagniolo, io ò ricevuto la vostra a me carissima insieme chol vostro gemtile e bel sonetto, del quale, riserbatomene copia, ò dato al vostro messer Thomao, qual à ’uto molto charo88,

oppure Honrando e carissimo Michelagniolo, io mi trovo la vostra de’ dì XI d’ottobre, insieme cholla di messer Thomao e li bellissimi sonetti, delli quali n’ò servato chopia e dipoi datoli a chi amdavano, per saper quanta afezione e’ porti a tutte le chose vostre89.

Le due lettere si datano entrambe all’autunno 1533; solo qualche mese più tardi, una testimonianza della circolazione delle rime è offerta da Francesco Berni, nel celebre capitolo A fra Bastian del Piombo in lode di Michelangelo come artista e poeta90. Il Cfr. REBECCHINI 2010, p. 205, per la diffusione orale della poesia, con o senza accompagnamento musicale, all’interno dei cenacoli della Roma post Sacco. 88 CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, pp. 50-51, n. CMXXXIII. 89 CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, p. 56, n. CMXXXVII. 90 La data estrema per la composizione del capitolo è quella di morte di Clemente VII, il 25 settembre 1534: sia Berni sia Michelangelo ne parlano come 87

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capitolo costituisce la visione nostalgica del poeta burlesco, che da Firenze, rivolgendosi a Sebastiano, ricorda gli amici che con lui animavano la corte di Clemente VII e del cardinale Ippolito, in particolare monsignor Carnesecchi e Francesco Maria Molza; questi rapporti d’amicizia sono descritti anche in un passo della biografia vasariana di Sebastiano: «E di continuo aveva a cena il Molza e messer Gandolfo, e facevano bonissima cera. Era amico di tutti li poeti, e particularmente di messer Francesco Bernia, il quale gli scrisse un bellissimo capitolo, et esso gli fece la risposta»91. Dopo aver lodato il Buonarroti come essenza stessa della pittura, della scultura e dell’architettura, Berni ricorda la sua attività come poeta: Ho visto qualche sua composizione: sono ignorante, e pur direi d’avelle lette tutte nel mezzo di Platone. di persona viva. Il riferimento a Sebastiano e all’ambiente romano lascerebbe pensare che Michelangelo si trovasse in quel momento a Roma e Berni a Firenze, quindi la cronologia può essere ristretta alla primavera del 1534, oppure al settembre 1534, subito dopo la partenza di Michelangelo da Firenze e a ridosso della morte di Clemente VII. Berni aveva soggiornato a Roma, inserito nell’entourage di Ippolito de’ Medici, dai primi di aprile al 9 settembre del 1533, quando il cardinale partì per Marsiglia mentre Berni si fermò a Firenze (REBECCHINI 2010, p. 202). Il capitolo bernesco è anche la testimonianza più estrema della profonda amicizia che legava Michelangelo e Sebastiano del Piombo (così Berni si rivolge al Luciani: «Voi solo appresso a lui potete stare / e non senza ragion, sì ben v’appaia / amicizia perfetta e singulare»: vv. 37-39), bruscamente rotta durante la preparazione della parete della cappella Sistina destinata al Giudizio universale (cfr. sopra, nota 78). 91 VASARI (1550), ed. Bettarini, Barocchi 1966-1987, V, p. 100. Per la natura di questi incontri conviviali, si consideri anche la notizia autobiografica del Vasari: «In questo tempo andando io spesso la sera, finita la giornata, a veder cenare il detto illustrissimo cardinal Farnese, dove erano sempre a trattenerlo con bellissimi et onorati ragionamenti il Molza, Anibal Caro, messer Gandolfo, messer Claudio Tolomei, messer Romolo Amasseo, monsignor Giovio, et altri molti letterati e galantuomini, de’ quali è sempre piena la corte di quel signore»: (VASARI, ED. BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, VI, p. 389). 284


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Sì ch’egli è nuovo Apollo e nuovo Apelle: tacete unquanco, pallide vïole, e liquidi cristalli e fere snelle: ei dice cose, e vuoi dite parole92.

Questi versi, oltre a offrire un’acutissima sintesi critica della produzione poetica di Michelangelo e della sua originalità rispetto al petrarchismo cinquecentesco93, sono una prova della conoscenza di un momento particolare dell’attività poetica di Michelangelo: sebbene Berni non dichiari espressamente quale «sua composizione» egli abbia «visto», la lettura del canzoniere michelangiolesco dimostra come i motivi di ispirazione neoplatonica, presenti sporadicamente nelle rime giovanili, diventino una costante nei componimenti dedicati al Cavalieri94. Un esempio tra i tanti è il sonetto n. 105 dell’edizione Girardi, che Varchi cita per esteso95 attestandone la correlazione con il giovane: BERNI, ED. ROMEI 1985, vv. 25-31. CORSARO 1994, pp. 99-101. 94 Anche secondo FROMMEL 1979, p. 56, i vv. 25-27 del capitolo si riferiscono ai componimenti per il Cavalieri. L’incontro tra Tommaso de’ Cavalieri e Francesco Berni si deve datare alla primavera-estate 1533, quando il poeta si trovava a Roma. È probabile che sia stato Tommaso, e non Michelangelo, a mostrargli i testi: non sempre, infatti, il Buonarroti teneva copia dei componimenti inviati all’amico, come risulta dalla Lezzione del Varchi (che spesso trasmette testi o versioni non tramandati in forma manoscritta) o da alcuni passi del carteggio (cfr. oltre nel testo). 95 Si noti come Varchi, introducendo questo sonetto, e attestando che si trattava di un componimento ispirato dal Cavalieri, facesse esplicito riferimento al capitolo del Berni: «Et che il Poeta nostro intendesse di questa arte, & di questo Amore lo mostrano manifestissimamente (oltra l’età, & costumi suoi honestissimi) tutti i componimenti di lui pieni d’Amore Socratico, & di concetti Platonici, de i quali essendo homai l’hora tarda, & restandoci, che dire pure assai intorno la maggioranza dell’arti, uoglio, che mi baste allegare vn sonetto solo, il quale però puo valere per molti, & mostrerrà (come disse quello ingegnosissimo Poeta di ciance, et da trastullo) che egli è nuovo Apollo, & nuouo Apelle, & non dice parole, ma cose, tratte non solo del mezzo 92 93

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Non vider gli occhi miei cosa mortale allor che ne’ bei vostri intera pace trovai, ma dentro, ov’ogni mal dispiace, chi d’amor l’alma a sé simil m’assale; e se creata a Dio non fusse equale, altro che ’l bel di fuor, ch’agli occhi piace, più non vorria; ma perch’è sì fallace, trascende nella forma universale. Io dico c’a chi vive quel che muore quetar non può disir; né par s’aspetti l’eterno al tempo, ove altri cangia il pelo. Voglia sfrenata el senso è, non amore, che l’alma uccide; e ’l nostro fa perfetti gli amici qui, ma più per morte in cielo.

Un caso particolare di circolazione di queste rime è costituito dai madrigali composti da Michelangelo, che sembrerebbero nati già con finalità di pubblica diffusione, come dimostrano alcuni passi significativi del carteggio. Alla fine di luglio del 1533, scrivevano sia Sebastiano del Piombo: Vi mando el canto de’ vostri madrigali, quali non ve despiaceranno: l’uno è de messer Costanzo Festa, l’altro è de Concilion96; et ne ho datto ancora doi copie a messer Thomao97,

sia Bartolomeo Angelini:

di Platone, ma d’Aristotile. / Non vider gl’occhi miei cosa mortale» (VARCHI 1549, pp. 51-52). 96 Jean Conseil, noto come Johannes Consilium, fu tra i cantori della cappella Sistina il preferito di Leone X; ebbe una posizione di rilievo durante il pontificato di Clemente VII, che si servì di lui anche per missioni diplomatiche e lo scelse come cantore della cappella Secreta: FREY 1952, pp. 160-165. 97 CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, pp. 22-23, n. CMXIII. 286


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In questa sarà una di fra’ Bastiano, insieme chonn li dua camti delli vostri madrichali98.

Ai primi di agosto Michelangelo da Firenze rispondeva a Sebastiano: I’ò ricievuto i dua madrigali e ser Giovan Francesco99 gli à facti cantare più volte; e secondo che mi dice son tenuti cosa mirabile circa il canto. Non meritavan già tal cosa le parole. Così avete voluto, di che n’ho piacere grandissimo; [...] Avete data la copia de’

CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, p. 25, n. CMXV. Si tratta di Giovan Francesco Fattucci, cappellano di Santa Maria del Fiore, che fu tra gli amici più stretti di Michelangelo e, fin dall’inizio degli anni venti, gli fu costantemente accanto aiutandolo nel disbrigo dei problemi pratici, dalla conduzione del cantiere laurenziano (di cui si occupò direttamente durante il pontificato di Clemente VII) ai difficili rapporti con gli eredi di Giulio II, fino a diventare ufficialmente procuratore di Michelangelo nell’estate 1525 (varie sono le testimonianze in CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, II, III e IV). I rapporti tra i due prevedevano anche favori di minor rilievo, come seguire i lavori del sarto, o i raccolti dei poderi, o l’invio di abiti, ma anche occuparsi della madre dell’amico durante le reciproche assenze da Firenze (vari esempi in CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, III e IV). Oltre che con Michelangelo, il Fattucci era in stretti rapporti anche con Gherardo Perini (CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, II, p. 342, n. DL; p. 353, n. DLX) e Andrea Quaratesi (CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, III, pp. 441-442, n. DCCCXCVI), giovani amici di Michelangelo per i quali, tra gli anni venti e trenta, l’artista realizzò disegni d’omaggio: le tre teste divine per Gherardo Perini, oggi al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi (inv. 601 E, 598 E, 599 E: TOLNAY 1975-1980, II, pp. 89-91, nn. 306-308); I saettatori (Windsor, Royal Collection, inv. RL 12778: GNANN 2010, pp. 266-269, n. 80, con bibliografia precedente) e, probabilmente, le Fatiche di Ercole (Windsor, Royal Collection, inv. RL 12770: GNANN 2010, pp. 262-265, n. 79, con bibliografia precedente) per Andrea Quaratesi, oltre al ritratto, per il quale si veda sopra, nota 19. Anche successivamente a questo episodio il Fattucci chiese dei madrigali a Michelangelo (CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, pp. 94-95, nn. CMLX-CMLXI). 98 99

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sopradecti madrigali a messer Tomao, che ve ne resto molto obrigato100.

Gli autori delle musiche erano figure di spicco della corte clementina: oltre a essere uno dei più celebri cantori della cappella Sistina fin dai tempi di Leone X, Jean Conseil godette anche dell’amicizia personale del pontefice101, mentre Costanzo Festa fu il più importante compositore di questa stagione102. In passato, Michelangelo aveva già concesso i propri componimenti poetici ai musicisti103; in questo caso sembra che l’iniziativa sia stata di Sebastiano del Piombo, o comunque sia scaturita nell’ambito della corte papale, dove si deve immaginare che le rime donate da Michelangelo al Cavalieri avessero una circolazione analoga a quella dei disegni. Più tardi altri madrigali furono affidati a Jacques Arcadelt104, il più grande madrigalista del Cinquecento, che fu la figura di riferimento del coro pontificio durante il papato di Paolo III105. È CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, p. 36, n. CMXXIII. SHERR 2005, p. 234. 102 Cantore della cappella Sistina fin dai tempi di Leone X, continuò la carriera sotto Adriano VI, Clemente VII e Paolo III; mantenne stretti rapporti con la famiglia Medici anche dopo la morte dei due pontefici. Cfr. FREY 1952, pp. 165-172; IESUÈ 1997. 103 Il madrigale Com’arò dunche ardire (Girardi 12) fu pubblicato nel 1518, con la musica di Bartolomeo Tromboncino (FREY 1952, pp. 151-157): si tratta del primo componimento di Michelangelo stampato in una antologia. 104 Tra l’autunno 1538 e la primavera 1539 Michelangelo scriveva a Luigi del Riccio in Roma: «Questo mandai più tempo fa a Firenze. Ora, perché l’ò rifatto più al proposito ve lo mando [...]. Se vi piace, fatelo scriver bene e datelo a quelle corde che legan gl’uomini senza discretione» e «Messer Luigi s(ignio)re mio caro, il canto d’Arcadente è tenuto cosa bella; e perché, secondo il suo parlare, non intende avere facto manco piacere a me che a voi che lo richiedesti, io vorrei non gli essere sconoscente di tal cosa. Però prego pensiate a qualche presente da·ffargli, o di drappi o di danari, e che me n’avisiate: e io non arò rispecto nessuno a farlo» (CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, pp. 98-99, nn. CMLXIII-CMLXIV). 105 Originario delle Fiandre, dopo essere stato a Firenze al servizio del duca Alessandro de’ Medici è documentato a Roma nel 1539 tra i cantori della 100 101

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probabile che i madrigali musicati, a Roma come a Firenze, venissero eseguiti all’interno di cenacoli che riunivano, intorno alla figura del ricco e dotto signore, musicisti, poeti, artisti, prelati e cortigiani, di cui le fonti trasmettono ampia documentazione106. Nella lezione pronunciata nel marzo del 1547 davanti agli accademici fiorentini, pubblicata nel 1550107, Benedetto Varchi commentava diversi componimenti poetici di Michelangelo, molti dei quali scritti per Tommaso de’ Cavalieri: di lui diceva: & perche ciascuno possa meglio giudicare non tanto le diuerse cagioni […] ma ancora i bellissimi concetti ui recitarò due interi de’ suoi sonetti […], & il primo sarà quello indiritto à M. Tommaso Caualieri giouane Romano nobilissimo, nel quale io conobbi gia in Roma (oltra l’incomparabile bellezza del corpo) tanta leggiadria di costumi, & cosi eccellente ingegno, et graziosa maniera, che ben meritò, & merita ancora, che piu l’amasse chi maggiormente il conosceua108.

La testimonianza del Varchi è fondamentale, non solo per verificare quanto si debba al Cavalieri la pubblica conoscenza dell’opera poetica di Michelangelo da parte dei suoi contemporanei, ma anche perché un numero importante di componimenti o frammenti è noto soltanto grazie alle citazioni presenti nella lezione. Il testo del Varchi è inoltre prova del rapporto diretto che si era creato a Roma nel 1537109 o nel 1544110 tra il Varchi e

cappella Giulia in San Pietro, ma il suo arrivo in città dovrà collocarsi entro la metà del decennio; dalla fine del 1540 fece parte del coro della cappella Sistina. Si vedano FREY 1952, pp. 179-197; BERNSTEIN 2004, pp. 210-211. 106 Si veda REBECCHINI 2010, pp. 205 sgg. 107 La dedica a Bartolomeo Bettini dell’editore Lorenzo Torrentino è datata 12 gennaio 1549 secondo lo stile fiorentino. 108 VARCHI 1549, p. 47. 109 Per questo soggiorno del Varchi: GINZBURG 2007, p. 182, nota 93. Cfr. lettera di Francesco de’ Pazzi a Benedetto Varchi in Roma del 19 giugno 1537 (LO RE 2006, pp. 210-211, n. XI). 110 Per questo soggiorno del Varchi: LO RE 2012, pp. 512-513.

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il Cavalieri, confermato da una lettera di Michelangelo a Giovan Francesco Fattucci, databile al febbraio 1550: a questi dì messer Tomao de’ Cavalieri m’ha pregato ch’io ringrazi da parte sua il Varchi per un certo Libretto mirabile che c’è di suo in istampa, dove dice che parla molto honorevolmente di lui, et non manco di me; et hammi dato un sonetto fattogli da me in quei medesimi tempi, pregandomi io gl[i]ene mandi per una certa sua giustificazione; il qual vi mando in questa111.

Per contro, i rapporti del Varchi con Michelangelo non erano particolarmente stretti: lo dimostra il passo con cui chiude la prima lezione del 1547112, o una lettera di Michelangelo al Fattucci dello stesso anno113, ma, in generale, è indicativo di ciò anche il tono formale usato nelle lettere. Ulteriore testimonianza di un rapporto tra Varchi e il Cavalieri sarà da rintracciare, sulla fine degli anni cinquanta, nella disponibilità offerta dal Cavalieri al giovane Alessandro Allori di studiare i disegni di Michelangelo della sua collezione, attestata dalle copie rimaste114 e dalla lettera di ringraziamento del Varchi a Michelangelo: CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, pp. 339-340, n. MCXLIII. 112 «Onde io (gia sono molti anni) hauendo non solo in ammirazione, ma in reuerenza il nome suo, innanzi, che sapessi lui essere ancora Architettore feci vn sonetto»: VARCHI 1549, p. 53. 113 «rachomandomi a voi, e pregovi che questa che va a messer Benedetto Varchi, luce e splendore della Achademia fiorentina, perché stimo sia molto amico vostro, gniene diate; e ringratiatelo da parte mia quel più che non so né posso fare io»: CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, p. 260, n. MLXXVIII. 114 Tra i fogli attribuiti all’Allori, si trovano le copie di diversi disegni di proprietà del Cavalieri: La caduta di Fetonte, Washington, National Gallery of Art (già New York, Woodner Collection); Il supplizio di Tizio, Windsor, Royal Collection, inv. RL 0471, e Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, inv. 248 F; Il Sogno, New York, Piepont Morgan Library, inv. IV, 79. L’Allori realizzò anche la copia dipinta del Sogno, pendant del ritratto di Bianca Cappello (Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890, n. 1514), e le repliche ora a Roma 111

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Ma poi che messer Alessandro Allori, il quale non si sazia di predicare le singularissime virtù e unica cortesia di lei, mi disse che ella serbava ancora memoria di me, non mi sono potuto tenere di non significarle con questa lettera quanto ciò mi sia giunto, nuovo non, ma ben caro e giocondo; e ne ringrazio Vostra Signoria, se non come debbo, certo quanto posso, come la ringrazio ancora infinitamente del favore che ella, per somma bontà et amorevolezza sua, s’è degnata di fare a detto messer Alessandro115.

Fin dai primi anni quaranta, a Roma, con la collaborazione di Luigi del Riccio e di Donato Giannotti, Michelangelo stava lavorando al riordinamento della sua produzione poetica, che prevedeva da un lato l’esclusione di un notevole numero di poesie da questo ‘canzoniere’, dall’altro la revisione stilistica dei componimenti prescelti, alcuni dei quali scritti diversi anni prima. È significativo come molti dei versi citati dal Varchi non compaiano nella raccolta, o vi compaiano in una redazione precedente. La raccolta non venne mai stampata, e non è chiaro se questa fosse la finalità, o se invece l’autore pensasse soltanto a una circolazione manoscritta, limitata e controllata. Di fatto ne esistono diverse redazioni116. È certo che il progetto maturò tardi nella mente dell’artista, forse su sollecitazione degli amici: Michelangelo, infatti, spesso dimostra di non tenere copia dei componimenti, come si legge nella già citata lettera al Fattucci: «messer Tomao de’ Cavalieri […] hammi dato un sonetto fattogli da me in quei medesimi tempi»117, o in una lettera a Luigi del Riccio del 1542: «Ancora

e a New York in collezione privata. Si vedano: JOANNIDES 1996, pp. 68-69, n. 13; PILLIOD 2003, pp. 36-48; BUCK 2010, p. 49; M. Marongiu, in LEONARDO E MICHELANGELO 2011, pp. 208-209, n. 66. 115 Lettera del 12 febbraio 1560: CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, V, pp. 203-204, n. MCCCXVII. 116 Attestata in: Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 3211; Archivio Buonarroti, XIII e XIV (parti I, II, IV). Si veda CORSARO 2008. 117 Cfr. sopra, nota 111.

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prego Vostra S(ignio)ria mi mandi […] quel sonecto che io vi mandai, acciò che io lo rachonci»118. Gli elementi fin qui esposti portano ad escludere che le opere, disegni o rime, realizzati da Michelangelo per Tommaso de’ Cavalieri fossero principalmente ed esclusivamente un veicolo per esprimere la passione provata dall’artista per il giovane. Senza voler escludere anche questa componente, essi devono essere considerati piuttosto come frutto della cultura umanistica e antiquaria di Michelangelo e del Cavalieri, e dell’ambiente culturale di cui erano parte integrante. Sia i soggetti e le scelte stilistiche adottati nei disegni e nelle rime, sia i nomi dei personaggi coinvolti nella loro elaborazione e circolazione, rimandano al nutrito gruppo di intellettuali radunatosi intorno a Ippolito de’ Medici, chiamato Accademia della Virtù, i cui membri erano accomunati dall’interesse per l’antichità classica e da un programma di studio che, ampliando quello esposto da Raffaello e dal Castiglione nella lettera a Leone X, aveva come fine la pubblicazione di un’opera enciclopedica, composta da esperti delle varie discipline, incentrata sull’edizione volgare e illustrata del De Architectura di Vitruvio119, CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, IV, p. 141, n. CMXCV. Per l’interesse di Michelangelo per Vitruvio, cfr. lettera a Michelangelo del 7 dicembre 1532 di Giovanni Norchiati, maestro della scuola dei chierici di San Lorenzo, dove si parla della traduzione di Vitruvio e del coinvolgimento di Michelangelo nell’analisi di opere antiche; ma, già negli anni venti, Michelangelo discuteva argomenti vitruviani a Firenze con Averardo Serristori, Pier Vettori, Antonio Alberti, Giovan Francesco da Sangallo, Lorenzo Cresci (G. Agosti, in MICHELANGELO E L’ARTE CLASSICA 1987, p. 81; FERRETTI 2004, p. 457). Probabilmente entro la metà degli anni trenta si datano i sopralluoghi alle antichità del Foro, compiuti da Michelangelo in compagnia di Sebastiano del Piombo, descritti da Raffaello da Montelupo (HIRST 1981, p. 143, nota 87; GATTESCHI 1998, p. 121). Raffaello non fornisce una data per quell’episodio; altrove ricorda che al momento del Sacco di Roma erano presenti in casa sua molti disegni «dal momento che avevo ritratto tutte le antichità di Roma, che erano assai» (GATTESCHI 1998, p. 124). È infine probabile che fossero appartenuti a Michelangelo «Un Vitruvio coperto di raso rosso in stampa […] Un Vitruvio legato in carta pecora […] Un 118 119

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affiancata da studi linguistici, ingegneristici e da una particolare attenzione alle opere d’arte (oltre ad architettura, pittura e scultura, anche medaglistica ed epigrafia); queste ultime erano studiate sia dal punto di vista stilistico, sia da quello iconografico, spesso sulla base di confronti tra le fonti letterarie e quelle figurative120. Alla morte di Ippolito, molti dei protagonisti di questo cenacolo migrarono nell’orbita del cardinale Alessandro Farnese, nipote di Paolo III, sotto il cui pontificato ebbe inizio il prestigioso cursus honorum di Tommaso de’ Cavalieri121.

libro d’architettura scritto a mano» inventariati alla morte di Daniele da Volterra nella casa che fu del Buonarroti a Roma (inventario pubblicato da GASPARONI 1866, p. 179). Dalla casa il nipote Leonardo portò via certamente i disegni e una cassa contenente denari e documenti (GOTTI 1875, II, p. 155; Del Vita, in VASARI, ed. Frey, Frey, Del Vita 1941, p. 69, nota 9e), ma nessun cenno è fatto ai libri, che potrebbero essere compresi nella generica dicitura «Leonardo lassa in detta casa diverse masserizie» del contratto di affitto; nell’accordo, anzi, Leonardo specificava di «mettere a custodia più tosto che a pigione dela sua casa di Roma una persona amorevole, nela quale possa confidare sicuramente, che debbi non pur conservarla, ma ridurla anco in miglior stato» (GASPARONI 1866, pp. 158-159). Il ruolo di custode traspare anche da alcuni passi del carteggio di Leonardo (Jacopo del Duca chiama il Ricciarelli «guardiano della casa»: CARTEGGIO INDIRETTO 1988-1995, II, pp. 229-231, n. 384; alla morte di Daniele, lo stesso accetta di prendere la casa «per conservare et goderme le cose che forno de quella buona memoria et per essere un guardiano de vostre cose»: CARTEGGIO INDIRETTO 19881995, II, pp. 246-247, n. 392). Di fatto Daniele non abitò mai nella casa di Macel de’ Corvi, nella quale dovevano essere rimasti parecchi oggetti appartenuti a Michelangelo, se Jacopo del Duca, prima di entrarne in possesso, informava Leonardo Buonarroti «che non era fatta la divisione delle cose vostre e de m. Daniello» (CARTEGGIO INDIRETTO 1988-1995, II, pp. 249250, n. 394). 120 Il programma di studio dell’Accademia è esposto nella lettera di Claudio Tolomei ad Agostino de’ Landi del 14 novembre 1542 (pubblicata per la prima volta in De le lettere di M. Claudio Tolomei libri sette, Venezia 1547, foll. 105 v-109r: ora in SCRITTI D’ARTE 1971-1977, III, pp. 3037-3046). Cfr. PAGLIARA 1986, pp. 67-74; DALY DAVIS 1989, pp. 187-197; HERKLOTZ 1999, pp. 251-254, 291, 297; SCHREURS 2000, pp. 84-87. 121 Nel 1539 diventa Caporione del quartiere Sant’Eustachio: FROMMEL 1979, p. 76.

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L’appartenenza a pieno titolo di Tommaso alla cerchia farnesiana, come esperto di arte classica e di architettura, è testimoniata da prestigiosi incarichi pubblici: la nomina, da parte del cardinale Alessandro, a giudice dell’integrità degli Orti Farnesiani, donati a Ottavio Farnese122, o quella di deputato speciale per la sistemazione dei Fasti Consolari e Trionfali nel cortile del palazzo dei Conservatori123, fino all’incarico di deputato ordinario alla fabbrica del Campidoglio124, carica che Tommaso occupò per oltre vent’anni. Alle cariche pubbliche si affiancarono numerose occasioni private, che confermano il ruolo di primo piano svolto dal Cavalieri nella vita culturale romana125. L’ingresso del Cavalieri all’interno dell’élite intellettuale prima medicea e poi farnesiana potrebbe essere avvenuto attraverso il cardinale Andrea della Valle126, possessore della più straordinaria collezione d’arte antica della Roma di primo Cinquecento127. 1548: LANCIANI 1902-1912, II, p. 55; FROMMEL 1979, p. 79; KIRKENDALE 2001, p. 50. 123 1548: LANCIANI 1902-1912, II, p. 225; PERRIG 1979, p. 679; FROMMEL 1979, p. 79; ARGAN, CONTARDI 1990, p. 254; KIRKENDALE 2001, p. 49. 124 1554: PECCHIAI 1950, p. 38; FROMMEL 1979, p. 80; PERRIG 1979, p. 679; KIRKENDALE 2001, p. 52; BEDON 2008, p. 344. 125 Nel 1562 fu chiamato da Alessandro Farnese, con Guglielmo della Porta e Girolamo Galimberti, per stimare la collezione di Paolo del Bufalo, che il cardinale intendeva acquistare (LANCIANI 1902-1912, II, p. 179); nel 1567 si occupò, per conto degli eredi, della stima della collezione di Luca de’ Massimi (LANCIANI 1902-1912, I, p. 230); nel 1583 fece parte della commissione per la valutazione della collezione di antichità di Ottaviano Capranica, insieme ad Andrea Velli, Girolamo Paparone, Paolo Fabi e Pier Tedallini (LANCIANI 1902-1912, II, p. 92). 126 Per i rapporti diretti di Andrea della Valle con Ippolito de’ Medici, cfr. la notizia data da Pirro Ligorio del dono fatto da Ippolito di due tabelle bronzee: LANCIANI 1902-1912, I, p. 298; WREN CHRISTIAN 2008, p. 60, nota 72 (notizia ritenuta non credibile da REBECCHINI 2010, p. 229, nota 32). Cfr. anche le pretese su alcune medaglie e altri oggetti antichi, avanzata alla morte di Ippolito da Faustina della Valle, erede di Andrea; la restituzione di una testa di marmo di Ottaviano era reclamata dal cardinale Paolo Emilio Cesi (REBECCHINI 2010, pp. 227-228). 127 RIEBESELL 1989; PAOLUZZI 2007; WREN CHRISTIAN 2008, pp. 39-53. 122

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Questi era legato sia a Leone X, che lo aveva creato cardinale nel 1517 e del quale incarnava gli ideali estetici e culturali128, sia a Clemente VII, che seguì a Orvieto, dove si era rifugiato dopo il Sacco, e che lo inviò a Roma come governatore in sua vece nel 1529. Il palazzo della famiglia Cavalieri era vicino a quelli dei della Valle, come lo erano le rispettive cappelle funerarie in Santa Maria in Aracoeli; i Cavalieri si rifugiarono presso il cardinale nei giorni più difficili del Sacco129 e più tardi Tommaso sposerà la nipote del cardinale, Lavinia130; nel 1584, infine, Emilio, secondogenito del Cavalieri131, sarà tramite della vendita a Ferdinando de’ Medici della collezione di antichità radunata dal cardinale, i cui pezzi più importanti sono ora esposti nei corridoi vasariani della Galleria degli Uffizi. Non si deve poi trascurare il ruolo che potrebbe aver giocato il cugino Gentile Delfini, di pochi anni maggiore di Tommaso. Gentile, figlio di Giovan Battista Delfini e Jacobella di Gaspare de’ Cavalieri132, noto per gli studi eruditi e per l’attività collezionistica, fu canonico di San Giovanni in Laterano133: qui nel 1539 incontrò il giovanissimo Fulvio Orsini e lo accolse nella sua casa, facendosi carico della sua formazione e introducendolo

FALGUIÈRES 1988, pp. 287-297; WREN CHRISTIAN 2010, pp. 216-220, 385-388. 129 FROMMEL 1979, p. 74. 130 FROMMEL 1979, pp. 74-75. 131 KIRKENDALE 2001, p. 111. Emilio fu uno dei più importanti musicisti della sua generazione (KIRKENDALE 2001). A lui, e non a Tommaso, si deve la vendita al cardinal Farnese (Odoardo e non Alessandro) della parte più importante della preziosa collezione grafica ereditata dal padre: SICKEL 2006, pp. 178-181. 132 AMAYDEN, ED. BERTINI 1906-1914, I, p. 375. 133 Come si è accennato, Tommaso de’ Cavalieri commissionò al Venusti una pala, su disegno di Michelangelo, per l’altare del Collegio dei Benefattori e Chierici in San Giovanni in Laterano a Roma (cfr. sopra, nota 69). Il legame della famiglia Cavalieri con la basilica lateranense rimase costante nel tempo: nel 1584 Tiberio, orfano di Mario de’ Cavalieri, primogenito di Tommaso, ne divenne canonico (KIRKENDALE 2001, p. 57). 128

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presso Angelo Colocci, Annibal Caro e l’entourage farnesiano134. Gentile e Tommaso furono chiamati insieme a uno degli incarichi più prestigiosi per gli antiquari della Roma farnesiana: nel 1548 divennero infatti deputati speciali per la sistemazione dei Fasti Consolari e Trionfali, donati dal cardinale Alessandro Farnese al Popolo Romano e destinati al cortile del palazzo dei Conservatori135, il cui progetto architettonico fu affidato a Michelangelo136. In questo contesto di raffinata cultura antiquaria la personalità di Tommaso de’ Cavalieri trova la sua piena e coerente collocazione, e non nella cerchia antimedicea del cardinale Niccolò Ridolfi, come si è sempre affermato137: i rapporti del cardinale con Michelangelo diventeranno stretti solo negli anni quaranta, mentre quelli col Cavalieri non sono – allo stato attuale degli studi – documentati138. CELLINI 2004, pp. 235-236. Della commissione fecero parte anche Antonio Agostini, Ottavio Pantagato, Gabriele Faerno e Bartolomeo Marliano (LANCIANI 1902-1912, II, pp. 96, 222-226); quest’ultimo risulta essere legato all’ambiente dell’Accademia della Virtù (FERRETTI 2001-2004, p. 40, nota 161); SCHREURS 2000, pp. 8796. 136 Ricordava Vasari nell’edizione giuntina delle Vite: «Il quale edifizio riesce tanto bello oggi, che egli è degno d’essere conumerato fra le cose degne che ha fatto Michelangnolo, et è oggi guidato, per condurlo a fine, da Messer Tomao de’ Cavalieri, gentiluomo romano, che è stato et è de’ maggiori amici che avessi mai Michelagnolo» (VASARI, ED. BAROCCHI 1962, I, p. 86). 137 FROMMEL 1979, pp. 14 sgg., 40, 72; KIRKENDALE 2001, p. 15. 138 Il fatto che per le prime missive il tramite tra Michelangelo e Tommaso sia lo scalpellino Pier Antonio Cecchini, il quale nella lettera del 2 luglio 1532, in cui offriva i propri servigi a Michelangelo, si firmava «Vostro minor servitore Pietrantonio, familiar di monsignor reverendissimo de’ Ridolfi» (CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, III, p. 414, n. DCCCLXXVII), non autorizza a pensare che ci fosse consuetudine tra il cardinale e Tommaso. Dalla lettera datata 15 luglio, di Sebastiano a Michelangelo allora a Firenze, emerge quale fosse il ruolo del Cecchini nella vita dell’artista: «Et io ho ordinato a quel sculptore del cardinale Redolphi che habbi un pocco de cura a la casa et a li marmi, el quale mi ha promesso di far l’officio benissimo» (CARTEGGIO DI MICHELANGELO 1965-1983, III, pp. 419-420, n. DCCCLXXXI). 134 135

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Didascalie

Fig. 1. Il ratto di Ganimede (da Michelangelo), matita nera, mm 361 x 275. Cambridge, Mass., Harvard University Art Museums, Fogg Museum, inv. 1955.75. Fig. 2. Michelangelo Buonarroti, Il supplizio di Tizio, 1532, matita nera, mm 190 x 330. Windsor, Royal Collection, inv. RL 12771. Fig. 3. Michelangelo Buonarroti, La caduta di Fetonte, 1533, matita nera su traccia a stilo, mm 311 x 216. Londra, The British Museum, Department of Prints and Drawings, inv. 1895-9-15-517. © Trustees of the British Museum. Fig. 4. Michelangelo Buonarroti, La caduta di Fetonte, 1533, matita nera, mm 413 x 234. Windsor, Royal Collection, inv. RL 12766. Fig. 5. Michelangelo Buonarroti, Il baccanale di putti, 1533, matita rossa, mm 271 x 385. Windsor, Royal Collection, inv. RL 12777. Fig. 6. Michelangelo Buonarroti, Il Sogno, 1533-1534, matita nera, mm 398 x 280. Londra, The Courtauld Gallery, Samuel Courtauld Trust, D.1978.PG.424. Fig. 7. Michelangelo Buonarroti, Cleopatra, 1534 circa, matita nera, mm 232 x 182. Firenze, Casa Buonarroti, inv. 2 F. Fig. 8. Giulio Clovio, Minerva (da Michelangelo), 1540 circa, matita nera, mm 280 x 197. Windsor, Royal Collection, inv. RL 0453. Fig. 9. Michelangelo Buonarroti, Ritratto di Tommaso de’ Cavalieri (?), 1533-1535 circa, matita nera, mm 695 x 488. Bayonne, Musée Bonnat, inv. 595. Fig. 10. Battista Franco, La battaglia di Montemurlo, 1537-1538 circa, olio su tavola, cm 173 x 134. Firenze, Galleria Palatina, inv. 1912, n. 144. Fig. 11. Giulio Clovio, Il ratto di Ganimede (da Michelangelo), 1538 circa, tempera su pergamena, mm 340 x 235. Firenze, Casa Buonarroti, inv. Gallerie 1890, n. 3516. Fig. 12. Marcello Venusti, Annunciazione (da Michelangelo), 1550 circa, olio su tela, cm. 45 x 30. Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Corsini, inv. 255. Fig. 13. Marcello Venusti, Annunciazione, 1555 circa, olio su tela, cm. 320 x 210 circa. Roma, San Giovanni in Laterano, Sagrestia (già altare del Collegio dei Benefattori e Chierici). Fig. 14. Marcello Venusti, Cristo crocifisso tra la Vergine e san Giovanni, 1550-1560 circa, olio su tavola, cm 51,4 x 33,7. Oxford, Campion Hall. Fig. 15. Cornelis Cort, La battaglia di Zama (da Giulio Romano e Giovan Francesco Penni), 1567, bulino. Düsseldorf, Kunstmuseum. 306


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Horti Hesperidum, III, 2013, 1

313


M. MARONGIU

9

314


TOMMASO DE’ CAVALIERI

10

Horti Hesperidum, III, 2013, 1

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M. MARONGIU

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TOMMASO DE’ CAVALIERI

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Horti Hesperidum, III, 2013, 1

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M. MARONGIU

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TOMMASO DE’ CAVALIERI

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Horti Hesperidum, III, 2013, 1

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