GLI AEGYPTIACA DELLA COLLEZIONE PALAGI SIMONE CAPOCASA
La collezione egiziana del Museo Archeologico di Bologna è, in Italia, inferiore solo a quella conservata nei musei di Torino e di Firenze, ed è certamente, con i suoi 3500 oggetti circa, una delle più ricche e significative tra quante ne esistono in Europa e forse nel mondo intero. Anch’essa al pari di importanti sezioni del Museo di Bologna è costituita in gran parte da oggetti provenienti dalla magnifica collezione di antichità che il pittore bolognese Pelagio Palagi (1775-1860) raccolse durante la sua vita e volle poi lasciare al Municipio della sua città1. L’interesse verso le antichità sviluppatosi in Pelagio Palagi può essere fatto risalire alla sua amicizia con Eduard Gerhard, illustre archeologo, membro dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica di Roma, il quale contribuì a suscitare nell’artista l’interesse verso l’archeologia2. L’incontro con lo studioso tedesco era avvenuto molto tempo addietro, negli anni che il Palagi aveva trascorso a Roma (1806PERNIGOTTI, MORIGI GOVI 1994, p. 19. Secondo quanto è documentato negli archivi della Biblioteca bolognese dell’Archiginnasio i primi rapporti epistolari tra Palagi e Gerhard risalgono al 1832 (BONORA, SCARDOVI 1979, p. 52; CARANTI MARTIGNAGO 1995, p. 9). 1 2
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1815). La permanenza in questa città era stata di basilare importanza per la formazione culturale del giovane artista, il quale oltre a perfezionare gli studi di pittura, qui diede inizio alla sua attività di raccoglitore d’oggetti antichi: la presenza diretta delle realtà archeologiche che gli scavi avevano messo in luce e l’opportunità di ammirare le opere del passato organizzate nelle grandi collezioni pubbliche e private, se da una parte erano servite da spunto per la creazione di nuove opere, dall’altra servirono da stimolo a far scaturire quella passione collezionistica che non si era ancora manifestata, ma che era logico nascesse in un uomo colto che amava e studiava l’antico. Nella fase iniziale gli interessi collezionistici del Palagi sono orientati verso un ampliamento più quantitativo che qualitativo della raccolta, soprattutto in relazione al fatto che le disponibilità finanziarie del momento, condizionarono alquanto gli acquisti. Egli preleva in blocco oggetti provenienti da collezioni in via di smembramento3. Il conseguimento di una posizione sociale di prestigio e di una condizione economica più stabile consentì al Palagi di adottare nell’acquisto degli oggetti criteri maggiormente selettivi e di affidare la scelta degli stessi all’espertissimo archeologo tedesco conosciuto ai tempi della sua giovinezza. L’intento del collezionista era formare, progetto compiuto nell’arco cronologico che va dal 1840 al 1860, una raccolta rappresentativa della cultura archeologica di quegli anni, riunendo con competenza e dedizione migliaia di oggetti, con lo scopo di creare un vero e proprio museo dove tutte le civiltà fossero rappresentate sotto ogni loro vario aspetto4. La corrispondenza con Gerahard avveniva anche sotto forma di scambio di disegni, secondo un sistema in voga a quel tempo: era, infatti, usuale nel commercio antiquario ottocentesco accompagnare le descrizioni scritte degli oggetti circolanti con BONORA 1987, p. 160, cartone 1, a). Acquista vasi a Vienna dal Dupont, o si serve di commercianti ed antiquari del tempo quali i fratelli veneziani Sanquirico. 4 MORIGI GOVI, VITALI 1982, p. 11. 3
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schizzi e riproduzioni più o meno fedeli, eseguite da anonimi o dagli stessi intenditori, per meglio illustrare le caratteristiche formali dell’esemplare proposto, l’apparato decorativo che lo ornava, le iscrizioni che poteva recare. La rappresentazione grafica offriva all’artista la possibilità di valutare in maniera più tangibile se gli oggetti che gli venivano proposti rispondessero nella forma e nello schema compositivo e tematico delle raffigurazioni a quei requisiti che egli andava cercando, garantendogli di operare scelte oculate e di evitare iterazioni di tipologie già presenti nella raccolta5. In seguito alla partenza di Gerhard dall’Italia (1841), il compito di selezionare ed acquistare gli oggetti per la collezione passò ad Emil Braun, segretario dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica, che instaurò con il Palagi un rapporto epistolare non certo assiduo come era stato quello con Gerhard e senza dubbio di carattere più professionale, comunque interessante per la storia degli acquisti della raccolta6. Questo primo momento collezionistico è caratterizzato dalla raccolta di un gran numero di reperti esclusivamente d’origine classica, provenienti dal corredo di tombe etrusche del periodo orientalizzante rinvenute negli scavi di Vulci da Luciano Bonaparte Principe di Canino, ma anche dalle scoperte di Cerveteri, Tarquinia e Ruvo in Puglia. Inoltre, grazie alla continua mediazione dei suoi coadiutori ben introdotti nel mercato antiquario dell’epoca, riuscì ad acquistare nuclei consistenti di reperti dall’antiquario Basseggio, dal collezionista dott. E. Boselli di Sarteano presso Chiusi, quest’ultima località nella quale Gerhard instaurò proficui rapporti anche con altri antiquari come ad esempio il Luccioli, ed il canonico Mazzetti. D’altronde non meno rilevanti furono le ricerche nel mercato internazionale, le quali, sempre per intercessione Questo aspetto, documentato in altre collezioni pubbliche e private che si costituiscono in quel periodo, è risultato presente anche nella raccolta bolognese, nella cui formazione Palagi ebbe un ruolo di particolare rilievo (CARANTI MARTIGNAGO 1995, p. 10). 6 BONORA 1987; CARANTI MARTIGNAGO 1995, p. 26. 5
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dell’archeologo tedesco, procurarono numerosi oggetti che andarono a completare le lacune della collezione7. La passione per l’antico Egitto invece dovette senz’altro prendere inizio nel Palagi dopo i suoi primi contatti con la città di Torino8, in cui pochi anni prima era stato allestito con il materiale raccolto dal console di Francia in Egitto Bernardino Drovetti il primo grande Museo Egizio: il fascino che i resti di questa antica civiltà esercitarono nel collezionista, unito alla possibilità offerta dal nuovo museo di analizzarli di persona, sollecitarono in lui il desiderio di arricchire la sua raccolta a quel tempo in via di formazione, di una sezione egiziana. Questo collezionista bolognese attentissimo ai fermenti culturali del suo tempo e aperto, per la sua sensibilità di artista, alle più disparate esperienze espressive, anche a quelle più lontane dalla cultura classica ed europea, acquista sul mercato antiquario quell’insieme di oggetti che costituirà la parte quantitativamente e qualitativamente più importante della raccolta egizia del Museo Civico9. Palagi comprò la maggior parte degli oggetti che entrarono a far parte della sua collezione da Giuseppe Nizzoli, il quale aveva prestato servizio come cancelliere presso il consolato d’Austria in Egitto tra il 1817 ed il 182810.
CARANTI MARTIGNAGO 1995, pp. 11-30. Palagi si trasferì a Torino dietro invito di Carlo Alberto di Savoia, per la ristrutturazione dei palazzi reali di Racconigi e di Torino stessa, e per la progettazione di nuovi edifici annessi agli stessi castelli (CARANTI MARTIGNAGO 1995, p. 10). 9 MORIGI GOVI, VITALI 1982, pp. 118-119. 10 Il Nizzoli non era nuovo ad imprese commerciali di questo genere. Per comprendere nei suoi giusti termini l’importanza della sua attività come mercante di antichità egiziane basterà ricordare che due altre raccolte erano state da lui vendute in Europa durante i primi vent’anni dell’Ottocento. Una di esse è il nucleo centrale attorno a cui si forma la collezione egiziana del Kunsthistorisches Museum di Vienna, mentre l’altra, venduta poco appresso al Granduca di Toscana Leopoldo II (1824), ha costituito la base da cui in seguito si è sviluppata quella del Museo di Firenze (MORIGI GOVI, VITALI 1982, pp. 118-119; BONORA 1987, p. 160, cartone 2; PERNIGOTTI, MORIGI 7 8
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Il Nizzoli acquistava antichità sul mercato antiquario del Cairo, allora assai fiorente: altre se ne procurava tramite scambi oculati con diversi mercanti ed altre ancora mediante scavi, tra i quali meritano di essere ricordati quelli che forse nel 1826 affidò alla moglie Amalia Sola Nizzoli, dai quali provengono molti oggetti, specie bronzi, che oggi si trovano nella collezione del Museo Civico Archeologico. Tuttavia nessuno, o quasi, degli oggetti della raccolta Palagi proviene da scavi regolari: tali non furono né quelli compiuti da Amalia Nizzoli né quelli dei mercanti dai quali Nizzoli si rifornì di antichità. Si tratta di oggetti della collezione, notevoli per la loro singolarità e la loro bellezza, ma ai quali talvolta manca qualcosa per una piena utilizzazione dei dati che si possono ricavare da essi, il contesto appunto11. L’interesse del Palagi per l’Egitto antico non si esaurirà con questo primo e più importante acquisto. Negli anni seguenti egli continuò a procurarsi oggetti non solo dal Nizzoli, ma anche da altri mercanti di antichità. Studi recenti hanno dimostrato difatti che un consistente numero di antichità egizie di notevole importanza provengono dallo smembramento di alcune famose collezioni venete, come quella delle famiglie Grimani e Nani, attraverso la mediazione dell’antiquario Antonio Sanquirico12. La raccolta al momento della morte del pittore comprendeva 3109 reperti13. Nella corrispondenza del Braun e soprattutto del Gerhard che proprio in quegli anni cominciava a divenire intensa e ricca di notizie riguardanti gli incrementi che la collezione aveva, non si fa menzione della cospicua acquisizione egiziana. Le uniche segnalazioni citate riguardo ai monumenti egizi sono un busto egizio ed una maschera di mummia, i quali probabilmente non
GOVI 1994, p. 19; CARANTI MARTIGNAGO 1995, p. 30; GUIDOTTI, CORTESE 2002, pp. 15-21; DEL FRANCIA 2005, pp. 6, 56-57). 11 PERNIGOTTI, MORIGI GOVI 1994, pp. 19-20. 12 PALMA VENETUCCI 2010b, pp. 79-84: I. Favaretto. 13 MORIGI GOVI, VITALI 1982, pp. 118-119; PERNIGOTTI, MORIGI GOVI 1994, p. 20.
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interessarono il Palagi non essendo stati individuati tra quelli ora confluiti nel Museo di Bologna14. Nelle dodici cartelle in cui sono raccolti i disegni del Palagi, alcuni sono inerenti al mondo egizio; in particolare nel disegno 85615, che riproduce una serie di svariati reperti, è importante sottolineare la raffigurazione di oggetti già presenti nel Recueil d’Antiquites del conte di Caylus16 (fig. 1): degli esempi sono costituiti dalla testa di Iside con copricapo hatorico, dal cercopiteco accovacciato17, dallo scarabeo con testa femminile, dal frammento statuario della protome bifronte, dal coperchio di vaso a forma di protome di Anubi, dal falco Horo, da Arpocrate su fiore di loto, dallo scriba, ecc…18 Mentre per alcune raffigurazioni del disegno dell’Archivio suddetto si può arrivare ad un diretto confronto con i reperti conservati al Museo Civico Archeologico di Bologna, in un contesto più ampio, il paragone dei reperti della Collezione Palagi con le incisioni presenti nell’intera opera del conte di Caylus, ha condotto all’identificazione di altri reperti. Ad esempio è stato possibile riconoscere in un reperto conservato a Bologna raffigurante una statuetta di Iside lactans di bronzo seduta, con Arpocrate mancante, la quale indossa un caratteristico copricapo hathorico singolarmente spezzato19 (fig. Il busto e la maschera furono probabilmente acquistati ma allo stato attuale delle conoscenze mancano dati certi per poterli identificare in quelli che in buon numero sono attestati nella collezione (CARANTI MARTIGNAGO 1995, p. 30). 15 Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, disegno Palagi 856 (CARANTI MARTIGNAGO 1995, p. 30; PALMA VENETUCCI 2010a). 16 Nei disegni Palagi rappresentati nella cartella 856 si evidenzia anche la presenza di immagini derivanti dall’Album di Disegni di B. De Montfaucon (a tal proposito si veda DE MONTFAUCON (2.a ed.), 1722). 17 Passato già nella Collezione Davila in seguito allo smembramento della Collezione Caylus. Si veda a tal proposito ROME’ DE L’ISLE, 1767, p. 61, n. 162. 18 Recueil d’Antiquites 1752-1767. 19 Museo Bologna, inv. MCA-EGI-EG_0248; si veda anche Disegno Palagi 856. Sempre della Collezione Palagi è una seconda statuetta di Iside lactans, inv. MCA-EGI-EG_0249, mentre in agemina di bronzo ed oro è una 14
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2), una protome di Iside del Recueil20, riguardo alla quale l’autore informa di aver riprodotto parte di una statuetta integra, mancante come nel caso del reperto Palagi del trono. Quest’interessante e diffusissima iconografia della dea nutrice è riproposta, nella collezione bolognese, anche in una deliziosa placchetta in faience azzurra21 del XI-VIII sec. a. C. Da segnalare, per questo pezzo, l’esecuzione molto accurata, caratterizzata da una spessa invetriatura color cobalto sul lato anteriore e da numerosi ritocchi anche su quello posteriore a emulare una piccola scultura a tutto tondo. Un secondo paragone può essere condotto con un bronzetto rappresentante Arpocrate22. La nudità del corpo, la presenza di un complesso copricapo costituito dalla falce lunare su cui sono sovrapposti in sequenza il disco solare, le corna di ariete e la corona bianca con piume di struzzo (atef), affiancata da due serpenti urei con disco solare, la lunga treccia che ricade sul lato destro del volto, sono i tipici tratti dell’infanzia che connotano questo dio fanciullo. La figura di confronto della Collezione Caylus23 presenta l’unica differenza di essere stata rappresentata, forse per un’arbitrarietà del conte, invece che con l’indice portato alla bocca, con il braccio sinistro semi disteso in avanti. Di contro si potrà obbiettare, che l’iconografia di Arpocrate è stata soggetta in antichità a subire le più varie interpretazioni, come dimostra sempre nella Collezione Palagi, una stele magica con la figura di Horus su coccodrilli in altorilievo, che stringe nelle mani alcuni animali pericolosi ed è sovrastato dalla testa del dio Bes24 (fig. 3). statuetta di offerente di Maat, inv. MCA-EGI-EG_1851. Inoltre nel Museo di Bologna è presente un altra statuetta di Iside lactans, in bronzo, datata in Epoca Tarda, alt. 21 cm, di provenienza ignota (PERNIGOTTI 1994, p. 114). 20 CAYLUS 1752-1767, vol. I, tav. IV, n. 2. 21 Museo Bologna, inv. MCA-EGI-EG_0800. 22 Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_0160. 23 CAYLUS 1752-1767, vol. V, tav. XXIV, nn. 1-2. 24 Museo di Bologna, inv. MCA-EGI-EG_0242 (una seconda stele magica con Horo/Arpocrate è documentata con n. inv. MCA-EGI-EG_0242; PALMA VENETUCCI 2009, pp. 5-20).
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Una terza identificazione è ancora possibile con una statuetta della dea Sekhmet25 in bronzo, seduta in trono, datata al VI sec. a. C.26 (fig. 4), del tutto simile all’immagine della stessa divinità nell’opera del collezionista francese27. Altri oggetti rappresentanti la dea sono, un bel busto in diorite con testa leonina, con un largo collare del tipo usekh, unico elemento decorativo da segnalare, costituito da numerose fila di pendenti sovrapposte, purtroppo frammentario all’altezza dei seni28, particolare questo che non permette di stabilire se la dea fosse seduta oppure in piedi; un amuleto con l’immagine antropomorfa della divinità sempre in trono, di faience verde con iscrizione in caratteri geroglifici incisa sul pilastrino dorsale, serpente ureo sulla testa che nasconde un grande anello di sospensione, parrucca tripartita, lunga tunica aderente al corpo e tavoletta nella mano sinistra su cui l’occhio udjat di Horus29; ed ancora un’egida con testa felina in argento30. Uno dei temi preferiti dei bronzetti sono le statuette di Osiride mummiforme31 con corona atef sul capo e le braccia incrociate sul petto, attraverso le quali è possibile fare ancora un confronto con alcune raffigurazioni presenti nel Recueil del conte di Caylus32. La piccola statuaria è attestata inoltre da altri reperti come, la statua di un naoforo frammentaria della parte inferiore, all’interno del tabernacolo scolpito il dio Osiride in piedi, con il corpo avvolto nel lenzuolo funebre, lo scettro e il flagello stretti nelle mani incrociate sul petto, sul capo la corona bianca atef tra PERNIGOTTI, MORIGI GOVI 1994, p. 119. Ibidem, inv. Buto KS 294. 27 CAYLUS 1752-1767, vol. IV, tav. XVIII, n. 1. 28 Museo di Bologna, inv. MCA-EGI-EG_0293. 29 Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_0868. 30 Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_3068. 31 Museo di Bologna, inv. KS 80, 31, 18, 16. PERNIGOTTI 1994, p. 115; per altri confronti nella Collezione Palagi si veda anche MORIGI GOVI, CURTO, PERNIGOTTI 1990, pp. 191-193, figg. 137-140, invv. KS 52, 76, 77, 79. 32 CAYLUS 1752-1767, vol. II, tav. VII, n. 2; vol. II, tav. VIII, n. 6; vol. V, tav. XXV, nn. I-II. 25 26
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due piume di struzzo33; la statua del personaggio anonimo seduto su un seggio cubico, di dimensioni molto inferiori al naturale, che ha un duplice prolungamento nel pilastrino dorsale e nella base d’appoggio per i piedi, mentre il corpo modellato è rivestito da un gonnellino corto e appena accennato34; una piccola testa di statua maschile di epoca tolemaica, che appartiene alla cosiddetta categoria delle teste “a uovo”, per la levigatezza della superficie, la forma arrotondata del cranio e la mancanza di capelli o di parrucca35; e la statua cubo di Nesmin, seduto su una base rettangolare ed appoggiato a un pilastrino dorsale, con parrucca e piccola barba, avvolto in un mantello aderente al corpo, che ne delinea il profilo sinuoso e dal quale fuoriescono solo le mani: la sinistra a palmo aperto, la destra chiusa a stringere un elemento vegetale, forse una lattuga, simbolo di fertilità e di rinascita36. Oltre a quelli citati in precedenza, gli amuleti costituiscono nella Collezione Palagi una categoria con un repertorio caratteristico dell’arte egiziana, ma allo stesso tempo vario. Le peculiarità prettamente apotropaiche del potente dio Bes, sono racchiuse nella statuetta in steatite invetriata raffigurata iconograficamente come un leone umanizzato ritto sulle zampe posteriori, una figura di nano con le gambe tozze e corte, dal grosso ventre e dalla testa sovradimensionata con folta barba, occhi sbarrati e lingua in fuori tra i denti digrignati37 (fig. 5), ed in un particolare amuleto raffigurante sempre Bes come nutrice, di faience azzurro-verde, del quale si conserva solo l’estremità superiore corrispondente alla testa e al copricapo piumato. Quest’ultimo sorregge posteriormente un orice accosciato, mentre di lato vi si appoggia un cercopiteco con le mani alla bocca che doveva avere un’immagine speculare scomparsa38. Museo di Bologna, inv. MCA-EGI-EG_1828. Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_1826. 35 Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_1836. 36 Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_1827. 37 Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_0615. 38 Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_0639. 33 34
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Altri talismani sono l’ushabti in faience blu cobalto mancante dei piedi, con il nome del faraone Sety I, riconoscibile dal copricapo nemes, il pettorale usekh e alti bracciali ai polsi39; un pendente Toeri in corniola, divinità che riunisce nella sua figura parti anatomiche animali e umane che le conferiscono un aspetto benevolmente minaccioso: la testa da ippopotamo con la bocca appena dischiusa a mostrare la lingua e i denti, le estremità degli arti a zampa di felino e il dorso a spoglia stilizzata di coccodrillo connotano ed enfatizzano il suo ruolo protettivo40; un pilastrino djed del quale va segnalata la raffinata tecnica di esecuzione in una faïence a impasto fine di colore verde tenue, le dimensioni piuttosto grandi e lo spessore sottile, che lo rendono un esemplare di pregio41; il geroglifico ib riprodotto in scultura a forma di cuore42; e un sigillo-amuleto rappresentato con il corpo dello scarabeo sulla cui base piatta, di forma ovale è inciso un breve testo in caratteri geroglifici e la testa di un ariete, in segno di devozione nei confronti del dio Amon-Ra43. Una forte valenza magico-protettiva è da attribuire anche ai preziosi ornamenti personali che costituiscono delle vere e proprie rarità della Collezione Palagi. In questa categoria spiccano per la loro rilevanza, un sottile anello in faience raffigurante l’occhio udjat con verga che si apre in un castone lavorato a traforo, ben definito nell’arcata sopracciliare, allungato dalla linea a rilievo del cosmetico, con la pupilla tondeggiante e le lacrime che scendono dalla palpebra inferiore44; un anello regale con cartiglio riportante in caratteri geroglifici il nome di Tutankhamon, in faience turchese, con verga a sezione circolare e castone ovale45; un secondo anello Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_2056. Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_1246. 41 Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_1357. 42 Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_1500. 43 Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_2665. 44 Museo Bologna, inv. MCA-EGI-EG_0460. 45 Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_0457. Nella Collezione Palagi sono presenti altri due anelli con il nome del faraone KS 458, 472. 39 40
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regale che reca incisi il nome e il prenome del faraone Horemheb con doppio cartiglio, che corrisponde al castone, gioiello di grande pregio che testimonia la notevole abilità degli artigiani egiziani nel lavorare pietre dure come il diaspro 46 (fig. 6); e l’elegante anello, costituito da uno scarabeo in steatite invetriata con montatura e verga in oro, che conserva uno dei nomi del faraone Thutmosis III, Men-Kheper-ra47. Interessante, da un punto di vista comparativo, sono ancora due pendenti in oro, il primo a forma di occhio udjat48 (fig. 7), il secondo, raffigurante l’uccello Ba con testa umana e corpo animale, costituito da due lamine lavorate a sbalzo sovrapposte49 (fig. 8). Entrambi questi amuleti appartenuti alla Collezione Palagi, sono stati rintracciati in altrettanti disegni presenti nel Recueil del conte di Caylus50. Mentre, tra gli elementi di un corredo funerario, si mette in evidenza per la sua eleganza, una maschera femminile realizzata in cartonnage dipinto ed oro51. Di diversa funzione e materiale sono invece, un pannello, in legno traforato, con dea alata che protegge il faraone Sehibra52; il corpo aggraziato e sensuale di una fanciulla, in legno e avorio, che serviva da manico per uno specchio di metallo53, ed un vaso contenitore per cosmetici, in calcare, raffigurante una statuetta di servitore che sorregge un recipiente troppo grande in proporzione al corpo54. Le ultime testimonianze caratteristiche di questa esposizione orientale della Collezione Palagi, sono alcuni oggetti “esotici” di chiara produzione romana. Rilevante è un raffinato balsamario configurato a dattero55, soffiato a stampo, tipo di contenitore Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_0453. Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_2510. 48 Ibidem, inv. MCA-EGI-Pal_0401. 49 Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_3056. 50 CAYLUS 1752-1767, vol. VII, tav. IV, n. 1. 51 Museo di Bologna, inv. KS 1997, 2015-2019. 52 Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_0289. 53 Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_1859. 54 Ibidem, inv. MCA-EGI-EG_1861. 55 Ibidem, inv. Rom. 10. 46 47
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per oli o medicine, generalmente attribuito a fabbriche siriache per la sua ampia diffusione in Oriente, dove viene prodotto in svariate colorazioni (blu, verde, nero, ambra), ma ampiamente presente anche in Occidente e in particolare in Italia, dall’età claudia all’età antonina (metà I-metà II sec. d. C.); un bronzetto di Arpocrate stante, corona radiata con la mezzaluna e un fiore di loto centrale, il braccio destro piegato e l’indice della mano vicino alla bocca, il corno dell’abbondanza, attorno al quale è avvolto un serpente56; un toro, in bronzo, raffigurato in modo naturalistico, rappresenta un adattamento romano del dio egizio Apis, con grassa e cadente giogaia, zampa anteriore sinistra alzata in avanti e con il muso sollevato ed ornato da un attributo, non conservato, posto in origine nel foro tra le corna, probabilmente una mezzaluna o un uccello57; infine una lucerna configurata a rana, produzione esclusiva dell’Egitto romano e copto, di lavorazione accurata: i particolari anatomici della rana, quali gli occhi, le dita delle zampe e la scabrosità della parte centrale del dorso, sono resi con estrema precisione, inoltre la lavorazione a martellatura del resto del corpo, conferendo un tono dorato al metallo, ne accresce l’eleganza58.
Ibidem, inv. Rom 1031. Ibidem, inv. Rom 1132. 58 Ibidem, inv. Rom 2040. 56 57
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Didascalie Fig. 1. Disegno Palagi 856. Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio. Fig. 2. Iside lactans, bronzo e oro, VII-IV sec. a. C., Coll. Palagi, Bologna, Museo Civico. Fig. 3. Stele arpocratea, serpentino, IV sec. a. C., Coll. Palagi, Bologna, Museo Civico. Fig. 4. Statuetta di Sekhmet assisa, pietra, 589-570 a. C., Coll. Palagi, Bologna, Museo Civico. Fig. 5. Amuleto Bes, steatite invetriata, Egitto XVI-XIII sec. a. C., Coll. Palagi, Bologna, Museo Civico. Fig. 6. Anello Horemheb, diaspro, Egitto XIV-XIII sec. a. C., Coll. Palagi, Bologna, Museo Civico. Fig. 7. Amuleto dell’occhio udjat, oro, VII-IV sec. a. C., Coll. Palagi, Bologna, Museo Civico. Fig. 8. Amuleto dell’uccello Ba, oro, Egitto VII-IV sec. a. C., Coll. Palagi, Bologna, Museo Civico.
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Horti Hesperidum, II, 2012, 1
3
189
S. CAPOCASA
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5
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GLI AEGYPTIACA DELLA COLLEZIONE PALAGI
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Horti Hesperidum, II, 2012, 1
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