Horti Hesperidum Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica Rivista telematica semestrale
MATERIALI PER LA STORIA DELLA CULTURA ARTISTICA ANTICA E MODERNA a cura di FRANCESCO GRISOLIA
Roma 2013, fascicolo I
UniversItalia Horti Hesperidum, III, 2013, 1
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I presenti due tomi riproducono i fascicoli I e II dell’anno 2013 della rivista telematica Horti Hesperidum. Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica.
Cura redazionale: Giorgia Altieri, Jessica Bernardini, Rossana Lorenza Besi, Ornella Caccavelli, Martina Fiore, Claudia Proserpio, Filippo Spatafora
Direttore responsabile: CARMELO OCCHIPINTI Comitato scientifico: Barbara Agosti, Maria Beltramini, Claudio Castelletti, Valeria E. Genovese, Ingo Herklotz, Patrick Michel, Marco Mozzo, Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, Ilaria Sforza Autorizzazione del tribunale di Roma n. 315/2010 del 14 luglio 2010 Sito internet: www.horti-hesperidum.com
La rivista è pubblicata sotto il patrocinio e con il contributo di
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Scienze storiche, filosofico-sociali, dei beni culturali e del territorio Serie monografica: ISSN 2239-4133 Rivista Telematica: ISSN 2239-4141 Prima della pubblicazione gli articoli presentati a Horti Hesperidum sono sottoposti in forma anonima alla valutazione dei membri del comitato scientifico e di referee selezionati in base alla competenza sui temi trattati. Gli autori restano a disposizione degli aventi diritto per le fonti iconografiche non individuate.
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © Copyright 2013 - UniversItalia – Roma ISBN 978-88-6507-551-7 A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.
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INDICE
SIMONETTA PROSPERI VALENTI RODINÒ, Presentazione
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FRANCESCO GRISOLIA, Editoriale
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FASCICOLO I
SIMONE CAPOCASA, Diffusione culturale fenicio-punica sulle coste dell’Africa atlantica. Ipotesi di confronto
13
MARCELLA PISANI, Sofistica e gioco sull’astragalo di Sotades. Socrate, le Charites e le Nuvole
55
ALESSIO DE CRISTOFARO, Baldassarre Peruzzi, Carlo V e la ninfa Egeria: il riuso rinascimentale del Ninfeo di Egeria nella valle della Caffarella
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ISABELLA ROSSI, L’ospedale e la chiesa di Santa Maria dei Raccomandati a Cittaducale: una ricostruzione storica tra fonti, visite pastorali e decorazioni ad affresco
139
MARCELLA MARONGIU, Tommaso de’ Cavalieri nella Roma di Clemente VII e Paolo III
257
LUCA PEZZUTO, La moglie di Cola dell’Amatrice. Appunti sulle fonti letterarie e sulla concezione della figura femminile in Vasari
321
FEDERICA BERTINI, Gli appartamenti di Paolo IV in Vaticano: documenti su Pirro Ligorio e Sallustio Peruzzi
343
FASCICOLO II
STEFANO SANTANGELO, L’ ‘affare’ del busto di Richelieu e la Madonna di St. Joseph des Carmes: Bernini nel carteggio del cardinale Antonio Barberini Junior
7
FEDERICO FISCHETTI, Francesco Ravenna e gli affreschi di Mola al Gesù
37
GIULIA BONARDI, Una perizia dimenticata di Sebastiano Resta sulla tavola della Madonna della Clemenza
63
MARTINA CASADIO, Bottari, Filippo Morghen e la ‘Raccolta di bassorilievi’ da Bandinelli
89
FRANCESCO GRISOLIA, «Nuovo Apelle, e nuovo Apollo». Domenico Maria Manni, Michelangelo e la filologia dell’arte
117
FRANCESCA DE TOMASI, Diplomazia e archeologia nella Roma di fine Ottocento
151
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CARLOTTA SYLOS CALĂ’, Giulio Carlo Argan e la critica d'arte degli Anni Sessanta tra rivoluzione e contestazione
199
MARINA DEL DOTTORE, Percorsi della resilienza: omologazione, confutazione dei generi e legittimazione professionale femminile nell’autoritratto fotografico tra XIX secolo e Seconda Guerra Mondiale
229
DANIELE MINUTOLI, Giovanni Previtali: didattica militante a Messina
287
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GLI APPARTAMENTI DI PAOLO IV IN VATICANO: DOCUMENTI SU PIRRO LIGORIO E SALLUSTIO PERUZZI FEDERICA BERTINI
Un’analisi puntuale dei registri di spesa pontifici, i Camerali 1296, 1297 e, soprattutto, 12981, conservati nell’Archivio di Stato di Roma, ci permette in queste pagine di illustrare alcune fasi dell’allestimento degli appartamenti di papa Paolo IV in Vaticano, negli anni tra il 1555 e il 1558, ad opera di un grande numero di artisti, operai e artigiani variamente specializzati, coordinati da Sallustio Peruzzi e da Pirro Ligorio. Gli appartamenti La direzione del cantiere era affidata all’architetto Sallustio Peruzzi, successivamente affiancato da Pirro Ligorio, architetto ed antiquario ormai ben affermato che, originario di Napoli, vantava adesso di essersi formato nella Roma degli anni Trenta alla scuola di Baldassarre Peruzzi. 1
Appositamente trascritto ed indicizzato (adesso in corso di pubblicazione).
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Le informazioni di cui disponiamo sull’attività di Sallustio, figlio di Baldassarre, sono molto scarse2. Sappiamo del suo impegno nella risistemazione delle fortificazioni di Tivoli, volute proprio da papa Carafa; ci sarà utile ricordare, al riguardo, la testimonianza dovuta al tiburtino Giovanni Maria Zappi, contemporaneo di Ligorio, su cui di recente Carmelo Occhipinti ha richiamato l’attenzione degli studiosi: Giunge contemporaneamente da Roma [scil. a Tivoli] un ingegnere pontificio chiamato Sallustio, il quale ne’ suoi piani militari aveva segnato anche quello della demolizione della maggior parte del Quartiere di Santa Croce per costruire in quel luogo bastioni e trincee. Questa risoluzione peraltro sembrò così stravagante e ruinosa che fece nascere un popolare tumulto, e poco mancò che il signor architetto non venisse accoppato3.
Questo «ingegnere pontificio chiamato Sallustio» sembrerebbe aver goduto di un ruolo importante all’interno della corte papale4. Proprio Michelangelo, in una lettera datata il 28 maggio 1556, informava Giorgio Vasari di aver chiesto a Sallustio di intercedere presso il Carafa, affinchè il pittore fiorentino potesse ottenere la tanto attesa ricompensa per una pala d’altare, commissionata e consegnata al tempo di Giulio III5. La vicenda PORTOGHESI 1970, p. 500, vol. 2. Si rinvia, per la bibliografia, alla recente monografia di SEIDEL 2002. 3 OCCHIPINTI 2009, p. 218. 4 Lo studioso De Maio riporta che nel gennaio del 1558 Sallustio Peruzzi era «architetto» prediletto di Paolo IV. Inoltre viene definito come architetto del conclave dello stesso papa (ANCEL 1908, p. 51, vol. XXV) e assunto immediatamente dopo l’elezione pontificia come «architector Suae Sanctitatis» (CAMERALE 898). È menzionato nel pagamento del 16 giugno 1555 come «architetto nuovo di Sua Beatitudine» (CAMERALE 898, f. 90; CAMERALE 900, ff. 58, 59, 60v, 65 v, 66; CAMERALE 1296 D, f.16; CAMERALE 1297, ff. 17v, 20 v, 39 v, 44 v, 54 v, 60). 5 La lettera venne inviata da Michelangelo come risposta a Vasari per la sua richiesta di pagamento di una tavola dove era raffigurata la scena della «Chiamata degli Apostoli Pietro ed Andrea» commissionata da Giulio III, ormai deceduto, per essere collocata nella sua cappella. ENEA 2010, p. 19 2
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GLI APPARTAMENTI DI PAOLO IV IN VATICANO
suggerisce una riflessione sugli stretti rapporti confidenziali che a quel tempo intercorrevano tra l’architetto ed il papa; sempre Michelangelo riferirà al Vasari che Paolo IV non prendeva decisioni in merito a opere d’arte senza essersi prima consigliato col Peruzzi6. Proprio a partire dal 16 giugno del 1555, Sallustio riceveva una ricompensa mensile di 18 scudi d’oro, in veste di «architetto nuovo di Sua Beatitudine»7: A Maestro Sallustio, architetto nuovo di Sua Beatitudine per sua provvisione del mese presente cominciata dal primo giorno, concessali da Nostro Signore scudi 18 di oro8.
A differenza di altri, egli riceveva dunque una quota fissa, a dimostrazione di un suo continuo impegno, non occasionale, al servizio del papa, giacché proprio in questi anni era già lui a dirigere i lavori nel Palazzo Apostolico. Ma ripercorriamo le fasi del cantiere degli appartamenti papali, ritornando a una lettera del 17 ottobre del 1556 redatta dall’ambasciatore fiorentino Bongianni di Jacopo Gianfigliazzi9, allora stabilmente a Roma, dove troviamo riportata la motivazione che spinse Paolo IV ad abbandonare gli appartamenti di Giulio II10, già subito dopo la sua elezione: Le stanze ch’era solito abitar Nostro Signore perché minacciavano ruina, ha causato che Sua Santità s’è ritirato a abitar nelle stanze nuove che fece Giulio sopra il corridore, che va a Belvedere, per VASARI, FREY 1923, p. 451, vol. I. CAMERALE 898, f. 90; CAMERALE 900, ff. 58, 59, 60v, 65 v, 66; CAMERALE 1296 D, f. 16; CAMERALE 1297, ff. 17v, 20 v, 39 v, 44 v, 54 v, 60 v. 8 A tale proposito, l’Ancel consiglia la consultazione anche del mandato del 14 maggio 1555: Ad bonum computum fabrice constructionis conclavis pro creatione Pont. proxime creaudi (Roma, Archivio di Stato, Mand. 1553-1555, f. 227). Cfr. ANCEL 1908, p. 51, n.1, vol. XXV. 9 Bongianni di Jacopo Gianfigliazzi era ambasciatore a Roma dal 1556 al 1560. 10 Al secondo piano del Palazzo Apostolico presso il braccio orientale dell’attuale Cortile del Papagallo. Cfr. ACKERMAN 1954, pp. 83-86. 6 7
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non rimanere alla stiaccia, et io ho visto quella stanza che la chiamano la camera verde, il palco essere inclinato più di quattro gradi di braccio e fesso tutto lo adorramento del detto palco e dicono essere rotta una trave e nelle altre stanze ancora ove dormiva Sua Santità fatto el medesimo, di modo che sta ora del continuo in dette stanze nuove11.
Proprio l’avanzato stato di degrado in cui quelle stanze riversavano sembrerebbe aver costretto il Carafa a ritirarsi nell’appartamento di Giulio III del Monte, collocato nell’angolo sud-orientale del terzo e quarto piano del cortile del Belvedere12. La «camera verde», menzionata dal Gianfigliazzi, è stata identificata come una di quelle piccole stanze che si affacciavano verso l’attuale cortile del Papagallo e che il Carafa progettava di distruggere per fare spazio ad una nuova loggia13. Considerando la data riportata nella lettera, è presumibile che già a partire dall’ottobre del 1556 il papa avesse abbandonato l’appartamento Medici e che, quindi, l’opera di rifacimento delle stanze nuove avesse avuto inizio già dai primi mesi della sua elezione. Ad avvalorare questa ipotesi, un pagamento, riportato nel Camerale 1296, risalente al giugno del 1555 (ovvero a due settimane dopo l’elezione), attesta che tale muratore Geronimo era impegnato nel rifacimento della camera del pontefice e della cappella delle nuove stanze: A maestro Geronimo muratore a buon conto dei suoi lavori di muro in Palazzo Apostolico alla camera di Nostro signore e alla cappella delle stanze nuove, 30 scudi14.
ANCEL 1908, p. 49, n. 3, vol. XXV. ACKERMAN 1954, p. 83. FEA 1819, pp. 166-167. 13 Queste piccole stanze trovavano la loro collocazione vicino la famosa Sala di Costantino, anch’essa manomessa dal pontefice. Cfr. COFFIN 2004, pp. 29 e 31. 14 ANCEL 1908, pp. 50-52, vol. XXV. 11 12
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GLI APPARTAMENTI DI PAOLO IV IN VATICANO
Risultano dunque numerosi pagamenti a favore di muratori, fabbri, falegnami, scalpellini e pittori già a partire dal primo giugno dello stesso anno. Tra i vari protagonisti di questa fase iniziale: gli scalpellini Domenico Roscelli, Nicolò Bresciano, Benedetto Schela, Lorenzo Benuccio e tale Ridolfo; il muratore Geronimo Fabrici, che abbiamo appena incontrato; il falegname Giovanni Fregosino; il fabbro Pellegrino ed il pittore Pietro Venale. Questi stessi nomi saranno ricorrenti anche nei rendiconti degli anni successivi. I pagamenti continuano anche nei mesi compresi tra aprile e settembre del 1555, a favore di: Angelo Ferraro, Pietro «chiavaro» in Agona e Francesco falegname (definito anche falegname di Palazzo, probabilmente da indentificarsi con l’intagliatore Francesco da Volterra). Una spesa risalente al primo luglio riporta la realizzazione di una base per la cappella Nuova di Paolo IV, dove, come già evidenziato, i lavori di muratura iniziarono solo appena dopo due settimane dall’elezione pontificia: 1° luglio, Maestro Nicolo scalpellino riceve 5 scudi a un buon Conto della base che lui fa per la cappella Nuova di Nostro Signore, alle stanze del Corritore di Belvedere15.
In questa fase, dunque, è già all’opera Nicolò Longhi da Viggiù, che ritroveremo successivamente, tra gli anni cinquanta e sessanta, in stretta collaborazione con Pirro Ligorio, non solo nel Casino di Pio IV ma anche nel cantiere della villa d’Este di Tivoli16. Sempre dai pagamenti effettuati nel 1555, e durante i primi mesi del 1556, sono cospicui gli interventi all’interno delle stanze, più che nella cappella Nuova, mentre al termine del primo anno di pontificato risulta frequente il coinvolgimento dei falegnami più che dei muratori17. Ciò denota che il grosso dei lavori strutturali era ormai in via di conclusione. Ricordando ANCEL 1908, pp. 50-51, n.6, vol. XXV. OCCHIPINTI 2009, pp. 236, 238, 381, 382,382. 17 ANCEL 1908, p. 51, vol. XXV. 15 16
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però le parole del Gianfigliazzi, Paolo IV dovette risiedere in questi luoghi già a partire dalla metà dell’ottobre 1556. A quella data solo la Cappella rimaneva inconclusa18. Se i lavori agli appartamenti vennero terminati in così breve tempo, occorre presupporre, come vedremo, che il pontefice avesse lasciato quasi del tutto immutate le residenze di Giulio III. Inoltre l’assiduo intervento, nei primi mesi, di muratori, scalpellini e falegnami, denota un impegno più che di natura decorativa, di natura strutturale. Gran parte del lavoro di muratura sembra, però, essere concluso già all’inizio del 1556. Ciò lascia pensare, come già detto, a modifiche e rifacimenti più che ad una ricostruzione ex novo. Come vedremo, infatti, in alcune stanze permangono, a tutt’oggi, testimonianze pittoriche risalenti all’epoca di Giulio III. Effettivamente è possibile individuare, alla luce di quanto finora documentato e sulla base delle parole del Vasari, due degli interventi più importanti – e decisamente invasivi rispetto alla preesistente situazione – realizzati dal Carafa: l’erezione della cappella Nuova, ricavata dalla chiusura della loggia di Giulio III, e quella delle stanze nuove situate «sopra il corridore di Belvedere». Per quanto riguarda la cappella Segreta, o cappella Nuova, i rendiconti mostrano pagamenti già a partire dal giugno del 1555. Proprio la realizzazione di quest’ultima comportò la chiusura di una loggia degli appartamenti del Monte che, a detta del Vasari, sarebbe stata decorata con «tutte le fatiche di Ercole»19 da Taddeo Zuccari (assieme al quale lo stesso Vasari aveva lavorato a Villa Giulia e nella Sala Regia del Palazzo Apostolico). Taddeo dovette anche «dipignere in alcune stanze sopra il corridore di Belvedere alcune figurette colorite, che servirono per fregi di quelle camere»20.
FEA 1819, pp. 166-167. VASARI 2001, p. 1180; Enea 2010, p. 23. 20 VASARI 2001, p. 1180; Enea 2010, p. 23. 18 19
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GLI APPARTAMENTI DI PAOLO IV IN VATICANO
Una stima dei lavori «Reveduta e tassata per Pirro Ligorio architetto il dì 4 di marzo 1559»21, scritta dal pittore Pietro Venale, testimonia che il Carafa aggiunse alcune camere sopra l’appartamento del Monte, precisamente al quarto piano, tra cui era proprio la sua camera da letto. Venale stesso dichiara di aver contribuito alla decorazione di alcuni ambienti: Stima dei lavori di pittura fatti per mano di Maestro Pietro Venale pittore, fatti detti lavori nel Sacro Palazzo Apostolico […]. Nella prima camera per entrare sopra al corridoio quale va in Belvedere, per aver fatto un fregio a una facciata della detta camera fatto di figure colorite in campo azzurro con varie figure, parte sopra il carro trionfante e parte innanzi con putti che buttano fiori sopra il carro e nelle cantonate del detto fregio due figure in abito di termini di chiaro e scuro con l’ornamento delle dette cantonate di chiaro e scuro con un tondo finito di bronzo con una figura dentro per ciascheduno tondo con il suo architrave di chiaro e scuro tutto intagliato con teste di maschere e fogliame. Stimato insieme Scudi 25. E più stimiamo la volta della loggia di Belvedere cioè nel mezzo di detta volta due tondi grandi con i raggi nel mezzo un’arma della felice memoria di Papa Innocenzo coloriti. In lo entrare di detta loggia dietro la porta un pilastro dal mezzo in gioso dipinto e messo di oro e raconciata la detta porta con il basamento sotto la finestra della Cappella con le bande di qua e di là dalla detta finestra sopra gli archi di detta volta […] fatte le arme del detto Pontifice dove erano quelle della felice memoria di Papa Giulio e sopra una finestra che guarda verso prato v’è dipinto un mazzo di festoni dove era il petafio di lettere detto Papa Giulio e due finestre che guardano verso il giardino dei merangoli fatte di nuovo dipinte a paesi che accompagnano l’altra pittura e nell’altra loggia dipinto un paese sopra la finestra che guarda verso prato con una cornice finta intorno […]. Scudi 60. E più stimato un palio tutto dorato nella camera nuova che Sua Santità ha fatta far sopra quelle di Papa Giulio III quale ha la finestra che guarda verso il bosco e la porta che riesce […] nella camera dove dorme Sua Santità tutto il parco dorato di oro. Scudi 200. 21
ACKERMAN 1954, pp. 171-172, doc. 115.
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E più stimato una Cappella con un frontespizio finto di marmo con l’arma di Sua Santità dorata […] Scudi 25. E più stimiamo uno palco nella stanza nova dove Sua Santità volle che si faccia il coro per la musica della cappella, il detto palco e li balaustri dello sopradetto coro con le sue cornici, Scudi 50. Addì 26 marzo 1558, … per aver dipinto due angeli quali ha fatto il disegno Pirro Ligorio architetto di Sua Santità dipinti in tavola di grandezza sei palmi l’uno tutti e due dipinti di colori fini con tempera quali sono di qua e dillà dell’altare in cappella montano… scudi 7.
Lo stesso pittore, attivo durante il pontificato Medici, sotto la direzione dello Zuccari, proseguirà il suo impegno al servizio di Paolo IV, come è confermato dai pagamenti pontifici22. Il Cara-
Pietro Venale da Imola lavora durante il pontificato di Giulio III alle lunette con figure di nudo femminile della Galleria del Primaticcio di Palazzo Firenze, dove è attivo anche il pittore Prospero Fontana. Egli poi è impegnato alla decorazione di Villa Giulia dove, assieme all’esperto di grottesche Pietro Veltroni, dipinge amorini e uccelli per il portico circolare del primo piano (CARUNCHIO 2000, p. 25). Esperto di grottesche e stuccatore è coinvolto poi in Vaticano tra il 1541 ed il 1558. Proprio per Giulio III in questi luoghi esegue le decorazioni di alcune stanze (SANTAGATI 2004, p. 18). Egli continuerà poi a lavorare per Paolo IV (come testimonia anche la stima dei lavori da lui stesso redatta). Nel CAMERALE 1298 è riportato un pagamento a suo favore risalente al novembre 1557: «A Maestro Pietro Pittore per pagare alcune giornate al cartone del paliotto dell’altare della cappella, Scudi 2,3». Inoltre, stando ancora a quanto riportato dalla stima da lui stesso redatta, dipinge due angeli disegnati da Pirro Ligorio, su tavola di sei palmi da collocarsi ai lati dell’altare della cappella voluta dal papa Carafa. In base alle notizie riportate dal fondo Camerale A.S.R I, Fabbriche B 1517, il pittore riceve inoltre pagamenti tra il 1550 ed il 1555: «Maestro Pietro da Imola a buon conto della sua pittura nell’ultima stanza del Corridore scoperto di Belvedere» (ff. 62v, 68v); «per la pittura a grottesco e per stucco a oro alla seconda camera nova, dico alla volta del dado […]; per la pittura di un fregio della predetta camera da sopra appresso le vecchie lavorato a grottesco sopra lo stucco con un quadro a paese per facciata della stantia, li altri quadri a grottesche con imprese del PP. e di S.S.R.ma […]; per la pittura e oro nel studiolo appresso le stanze vecchie […]; per la pittura della loggetta che riesce dove stanno i trombetti […]; per 22
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GLI APPARTAMENTI DI PAOLO IV IN VATICANO
fa dunque continuò ad impiegare anche gli stessi artisti ed artigiani già coinvolti nei cantieri del suo predecessore. Tornando alle nuove stanze, osservando le due ben note incisioni pubblicate da Antoine Lafréry (figg. 1-2)23 si può notare la presenza, nell’angolo sud-est del Cortile del Belvedere, di un segmento del quarto ordine, probabilmente iniziato da Antonio da Sangallo al tempo di Giulio III o addirittura di Paolo III 24, e poi concluso dal Carafa25 (come osservato da Pietro Venale nella sua perizia). Un disegno con una veduta dall’alto dal Palazzo Apostolico (fig. 3), oggi attribuito a Giovan Battista Naldini26 (ma per molto tempo a Giovanni Antonio Dosio), datato tra il 1558 e il 1561 (a conclusione del pontificato Carafa o all’inizio di quello Medici), mostra come a quel tempo dovesse presentarsi il cortile bramantesco. Ancora lontano dall’essere concluso, il Belvedere mostrava solamente l’ala est, mentre il Cortile della Pigna l’emiciclo centrale della facciata della Villa di Innocenzo VIII. Per quanto riguarda il cortile superiore, oltre al primo piano di ordine porticato, è possibile osservare la costruzione di una parte del secondo, voluto proprio da Pio IV (ciò renderebbe plausibile una datazione del disegno all’epoca del pontificato Medici). La corte intermedia presentava invece due piani, mentre quella inferiore tre ordini sovrapposti. Ma in questo caso non è possibile, a causa del taglio della veduta, dimostrare se effettivamente fosse stato già dato inizio al quarto piano. Tuttavia è evidente che tutta l’ala ovest era impostata solo a livello delle fondamenta27. la pittura del dato in su della prima camera della sala e sopra» (ff. 28v, 29v). Cfr. ACKERMAN 1954, pp. 165-168. 23 LANCIANI 1990, pp. 238-239, vol. III. 24 HESS 1967, p. 151, vol. I. 25 ACKERMAN 1954, pp. 171-172, doc. 115. 26 GAMBI, PINELLI 1994, pp.34-41, vol. I. Lanciani attribuiva il disegno a Giovanni Antonio Dosio (LANCIANI 1990, p. 235, vol. III). 27 Dopo la morte di Donato Bramante, nel 1514, il progetto del Belvedere subì un arresto, per poi essere ripreso con papa Paolo IV. Sarà Pio IV a ri-
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Per illustrare gli interventi negli appartamenti di Giulio III ed identificare cosa di essi rimane oggi visibile, occorre prima di tutto ripercorrerne brevemente la storia. L’appartamento di Paolo IV subì in effetti diverse vicissitudini; ciò che oggi rimane è noto sotto il nome di Appartamento della Guardia Nobile. I successori non dimorarono in queste stanze, e solo con l’elezione di papa Urbano VIII (1623-1644) vennero intraprese campagne di restauro e di ridipintura. Il pontefice Barberini ordinò il rifacimento pittorico delle stanze che, a quel tempo, versavano in uno stato di degrado, mantenendo in parte intatte le decorazioni esistenti; inoltre ridefinì i due ambienti attigui all’appartamento dando luogo ad una nuova stanza, quella detta di Carlo Magno, e ordinò la ristrutturazione di un’altra camera, quella detta della Contessa Matilda28, che diede il nome a tutto l’appartamento29. Con Alessandro VII Chigi, nel 1658, esso venne poi trasformato in mezzanino, fino al corpo della biblioteca30. Queste notizie, assieme a quanto riportato da Pietro Venale, ai rendiconti camerali, alle testimonianze dei contemporanei e di attenti osservatori settecenteschi, quali Agostino Taja e Giovanni Pietro Chattard, si rendono per noi utilissime ai fini di una ricostruzione dell’assetto decorativo degli appartamenti. Proprio dalla Sala di Carlo Magno, dalle due porte di fondo rispettivamente sormontate da due dipinti in chiaroscuro che vedono come protagonista Clemente XIII31, a cui si deve un importante intervento di restauro e riallestimento, si accede alla prendere i lavori in quest'ala aggiungendo il catino del nicchione ed il loggiato che lo corona. Egli si servì dell'architetto Pirro Ligorio, fece inoltre realizzare un piano superiore ai corridoi del Cortile della Pigna e sostituì con una scala doppia quella circolare già esistente nel nicchione. Cfr. HESS 1967, pp. 143-150. 28 Questa camera, attigua a quella di Carlo Magno e collocata tra il Palazzo nuovo e quello antico, avrebbe dovuto ospitare temporaneamente le spoglie della contessa (ENEA 2010, p. 83). 29 MORONI 1741, p. 65, vol. 9. 30 HESS 1967, p. 151, vol. I. 31 Papa Clemente XIII intraprese lavori di restauro presso la Sala di Carlo Magno tra il 1768 ed il 1769 (ENEA 2010, pp. 92-104). 352
GLI APPARTAMENTI DI PAOLO IV IN VATICANO
prima anticamera degli appartamenti di Paolo IV. Ci sarà utile qui riportare le parole di Giovanni Pietro Chattard, autore della Nuova descrizione del Vaticano, edita nel 1776, che indica con precisione i diversi modi per accedere, negli ultimi decenni del Settecento, a quello che egli chiama ancora l’appartamento di Giulio III (e di conseguenza a quello di Paolo IV): Per una scaletta, la quale ha il suo ingresso dal quarto branco della Cordonata, che dal Cortile di Belvedere sale al Corridore della Cleopatra. Il secondo ingresso lo riceve dalla scala a lumaca di Belvedere, come verrà dimostrato a suo luogo; e finalmente il terzo e più comodo adito, il ritrae dalla sopraenunciata porta, la quale nella prima anticamera di questo appartamento introduce.32
La prima anticamera delle «stanze nuove», che stando alle descrizioni più antiche presentava una ricca decorazione con «diverse figurine»33 e «scherzi di putti, di maschere, di baccanali e di altre poetiche fantasie»34 all’interno dei riquadri lignei dell’attuale soffitto, sembra aver mantenuto, evidentemente anche grazie ai restauri del papa Barberini, gran parte delle decorazioni pittoriche dovute agli interventi di Paolo IV e prima ancora di Giulio III. Proprio al di sotto del soffitto, sulle pareti, corre un fregio con sfondo turchino che ospita numerosi puttini che giocano tra le lettere dorate che formano la dedicatoria al papa del Monte: «JULIUS III. PONTIFEX OPT. MAX.»35. Proprio Pietro Venale36 afferma, nel suo rendiconto, di aver a sua volta dipinto una parte del fregio della prima anticamera con putti che gettano fiori, precisamente in una delle pareti della camera:
CHATTARD 1776, p. 195, vol. II. CHATTARD 1776, p. 195. 34 TAJA 1750, p. 203. 35 TAJA 1750, p. 203. 36 ENEA 2010, p. 26. 32 33
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Nella prima camera per entrare sopra al corridoio quale va in Belvedere, per aver fatto un fregio a una facciata della detta camera fatto di figure colorite in campo azzurro con varie figure, parte sopra il carro trionfante e parte innanzi con putti che buttano fiori sopra il carro e nelle cantonate del detto fregio due figure in abito di termini di chiaro e scuro con l’ornamento delle dette cantonate di chiaro e scuro con un tondo finito di bronzo con una figura dentro per ciascheduno tondo con il suo architrave di chiaro e scuro tutto intagliato con teste di maschere e fogliame. Stimato insieme Scudi 2537.
Il pittore afferma di aver dipinto il fregio su «un campo azzurro», con un carro trionfante, putti che gettano fiori ed ai margini di esso due figure e due medaglioni «di chiaro e scuro», dimostrando di aver ripreso comunque la tematica dei decori già esistenti. Nonostante la parte del fregio, decorata da Venale, sia andata perduta a causa dei restauri promossi da Urbano VIII38, il resto è a tutt’oggi visibile e può essere proprio attribuito ad un primo intervento, risalente all’epoca di Giulio III; l’intervento di Pietro Venale è da collocarsi, dunque, solo in un secondo tempo, probabilmente in occasione dei restauri intrapresi da Paolo IV. Quest’ultimo papa, già in questa prima anticamera dovette soltanto integrare senza stravolgere la planimetria ed i decori voluti da Giulio III; stando anzi alle parole del Venale, possiamo constatare come il pontefice cercasse una continuità, riprendendo temi e tipologie esistenti. Egli mantenne addirittura, come è possibile ammirare ancora oggi, la dedicatoria con lettere dorate a Giulio III così come lo stemma del Monte del pavimento in cotto39. Per quanto riguarda la paternità delle pitture realizzate al tempo di Giulio III in questa stanza, l’intervento di Taddeo Zuccari è ricordato solo dal Vasari, ma non trova riscontri documentari. ACKERMAN 1954, pp. 171.172, doc. 115. ENEA 2010, p. 26. 39 ENEA 2010, p. 27. 37 38
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Probabilmente Vasari intendeva riferirsi ad un intervento soltanto progettuale dello Zuccari. Taddeo aveva lavorato, assieme a Perin del Vaga, a Pietro Venale e a Prospero Fontana40, alla decorazione di Villa Giulia negli stessi anni del cantiere vaticano. Ma proprio Vasari riporta che Taddeo venne anche coinvolto da Giulio III nella decorazione in Vaticano, oltre che nella villa: Perciò che, piacendo a quel Papa il suo modo di fare, gli fece dipignere in alcune stanze sopra il corridore di Belvedere alcune figurette colorite, che servirono per fregii di quelle camere; et in una loggia scoperta, dietro quelle che voltavano verso Roma, fece nella facciata di chiaro scuro, e grandi quanto il vivo, tutte la fatiche di Ercole, che furono al tempo di Papa Pavolo Quarto rovinate per farvi altre stanze e murarvi una cappella41.
Al tempo di Giulio III lo Zuccari avrebbe dunque avuto il compito di dipingere «figurette colorite che servirono per fregi» in alcune stanze sopra il Corridoio del Belvedere che potrebbero coincidere con quelle del fregio di Giulio III prima descritto. Non è possibile però definire con certezza la paternità dell’opera ma è comunque possibile pensare che essa venne affidata all’équipe degli artisti già attivi a Villa Giulia. Le stesse finestre senza la cimasa, la trabeazione delle porte e la decorazione pittorica delle altre stanze sembrano richiamare proprio quel cantiere42. In conclusione, il confronto tra quanto è ancora visibile dell’anticamera, le testimonianze di contemporanei e le descrizioni degli osservatori successivi, ha reso possibile prendere atto di come, in linea generale, essa abbia conservato l’aspetto che avrebbe dovuto mostrare al tempo di Paolo IV, il quale a sua volta si era preoccupato di mantenere pressoché inalterato l’assetto voluto da Giulio III. In questo caso verrebbe avvaloraSia Prospero Fontana che Taddeo Zuccari furono allievi di Perino. BAROCCHI, BETTARINI 1966-1987, ed. 1568. 42 ENEA 2010, p. 20. 40
41VASARI,
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ta l’ipotesi precedentemente esposta, che vede il Carafa dedicarsi per lo più agli interventi di natura strutturale che a quelli decorativi nell’appartamento. Continuando il percorso, si raggiunge la seconda anticamera, detta oggi «Stanza della Consegna»43. In linea con quella precedente è la decorazione del soffitto, anch’esso suddiviso in riquadri che in questo caso avrebbero però dovuto ospitare diverse specie di uccelli dipinti. L’articolazione delle pitture parietali è invece caratterizzata da un grande fregio con diversi riquadri che ospitano alcuni paesaggi e vedute, tra cui la raffigurazione di Castel Sant’Angelo e della Girandola dove tra gli spettatori è possibile riconoscere «Giulio III in abito pontificio con un cardinale e due camerieri d’onore»44. L’allusione al papa del Monte continua nella parte centrale delle pareti lunghe, dove finte edicole «con fregio tondo, cornice e frontespizi rotti scartocciati con una testina nel mezzo che regge con la bocca due festoni, il tutto di chiaroscuro e due figure di giallo dipinte a sedere sopra i detti frontespizi, che reggono nel mezzo tre monti con un ramo d’olivo intorno», alludono all’emblema di Giulio III, mentre l’ape sottostante «la detta testina» si riferisce a quello di Urbano VIII45 (raffigurato in diverse scene). Nonostante le manomissioni dovute agli interventi Barberini, la presenza di scene che vedono protagonista Giulio III, accompagnate dall’emblema del Monte, dimostra ancora una volta come Paolo IV non stravolse quanto di già realizzato dal suo predecessore. La contigua «Sala delle Udienze» ricalca più o meno la stessa decorazione di quella appena considerata46. A dare il nome all’anticamera è l’affresco raffigurante il Cristo che consegna le chiavi a San Pietro. ENEA 2010, p. 45. 44 CHATTARD 1776, p. 195. 45 In questo caso la descrizione del Chattard si riferisce alla decorazione della parete sinistra, al di sopra della finestra. La medesima raffigurazione caratterizza la parete opposta (CHATTARD 1776, p. 195). Si consiglia di visualizzare l’immagine riportata dall’Enea (ENEA 2010, p. 33, fig. 7). 46 Quest’ultima stanza viene chiamata dall'Enea «Sala della Basilica di San Pietro». Cfr. ENEA 2010, p. 34. 43
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Tornando però alla prima anticamera, da essa è possibile accedere in una stanza47, detta del «Fregio dei Sette Colli»48, così chiamata per la decorazione che la contraddistingue. L’aspetto attuale di essa, nonostante qualche modifica, sembra rispettare la linea decorativa stabilita sotto Giulio III. Il fregio sottostante il soffitto ligneo si presenta come un finto cornicione, dove sono raffiguranti alcuni paesaggi mentre agli angoli si riconoscono i tre monti dell’emblema pontificio. Oltre ai sette colli, viene rappresentata anche Villa Giulia (dove in una delle sue stanze ricorre una decorazione analoga). Considerando quanto ipotizzato in precedenza riguardo il coinvolgimento di Taddeo Zuccari nella decorazione della prima anticamera, si potrebbe pensare ad un suo intervento, almeno progettuale, anche per questi fregi alla cui realizzazione avrebbe lavorato lo stesso Venale. Sono evidenti infatti analogie, non solo stilistiche, con quanto da lui realizzato a Villa Giulia. Evidentemente i due cantieri, la villa e gli appartamenti, avrebbero dovuto procedere di pari passo. Tornando alla Sala della Consegna, una porta dell’angolo della parete destra «con stipiti, architrave, fregio cornice e frontespizio acuto di marmo greco scorniciato, con iscrizione del fregio bisnodato di Paolo IV», conduce poi a quella che avrebbe dovuto essere la cappella Nuova49 voluta dal Carafa. Essa è contigua alla cappella Nuova di Paolo IV. ENEA 2010, p. 35. 49 CHATTARD 1776, p. 195. Sempre dalle parole del Chattard ricaviamo come avrebbe potuto presentarsi la cappella al momento della descrizione da parte dell’autore: «quadrata con volta a botte e due pilastri per facciata con due mezzi pilastri negli angoli con base e capitelli corinzi, questi sostengono un fregio e cornice dentellata che gira tutt’intorno. Nella parete di fronte l’ingresso c’è una nicchia con un pilastro per parte nella zona interna e mezzo pilastro negli angoli dipinti a chiaroscuro con base e capitelli dorati e con architrave fregio e cornice che girano intorno alla nicchia. Sopra ai due pilastri è esaltata da un arco a sesto scorniciato decorato da arabeschi e chiaroscuro con fondo rosso e tre armi dipinte di Paolo V. Nella zona sotto il sesto ci sono teste di angeli con ali e campo turchino. Nella volta della nicchia c’è Padre Eterno con gloria di angeli e spirito santo con corte di altri angeli 47 48
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La Cappella Nuova La cappella Nuova, voluta da Paolo IV, avrebbe dovuto ospitare il tabernacolo bronzeo commissionato a Pirro Ligorio, oggi collocato dietro l’altare del Duomo di Milano. L’allestimento di questa cappella, assieme alla sistemazione di altre stanze, provocò la chiusura di quella loggia dietro le camere che davano verso Roma, decorata con il ciclo delle Fatiche di Ercole, che Vasari attribuisce, come abbiamo visto, a Taddeo Zuccari50. I pagamenti risalenti al novembre e al dicembre del 1555, riportati dal Camerale 1296, evidenziano spese effettuate per le «impannate della loggia» e per il «tramezzo che fanno per la loggia»51. I lavori iniziarono, evidentemente, già a partire dal giugno del 1555.
grandi. La nicchia dalla cornice in giù è ornata da diversi riquadri di pietre mischie dipinte a chiaroscuro. Poi nel mezzo c’è l’altare di marmo sopra cui c’è un quadro in tela con cornice intagliata e dorata rappresentante la Madonna e Gesù bambino in seno. Due finestre bislunghe con sesto tondo scorniciato di marmo situate una per parte ai lati dell’altare, con vetri decorati con arabeschi e in una di esse c’è San Pietro con l’arme di Pio IV» (CHATTARD 1776, pp. 204-205). Il Taja riporta però che la cappella era già presente al tempo di Giulio III, anche se la tribuna fu ridipinta da Paolo V, in quanto presenta le arme di casa Borghese dipinte in diversi siti. Sotto «d’una superba ringhiera di marmi a mano manca dell’ingresso campeggi un’arme in pietra colorata di Paulo IV». Inoltre «allato a questa cappella è una stanza come se fosse sagrestia, da cui si sale su detta ringhiera». Nel soffitto della sagrestia, intagliato e con cornici, «negli scompartimenti ci sono i 4 evangelisti su gusto degli scolari di Raffaello». Il Taja procede scrivendo che «l'altra stanza al lato destro della prima stanza e che è in uso di sala privata dei palafranieri ha ancora il soffitto d’intaglio e nel fregio ha dei riquadri ornati a stucco con lo sfondo paesaggi che richiamano Paul Brill». Inoltre riporta che l'appartamento di Giulio III al momento in cui scrive la sua opera era chiamato «dei principi forestieri» (TAJA 1750, p. 205). 50 ENEA 2010, p. 23. 51 ACKERMAN 1954, p. 22. 358
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Come sostiene Jacob Hess, la costruzione della cappella è conseguente alla chiusura di una loggia al terzo piano degli appartamenti di Giulio III52. Oggi è ancora possibile apprezzare l’abside, o quanto ne resta, sotto forma di una piccola sporgenza semicircolare; ad indicarci che la Cappella del papa Carafa non fosse prevista durante il pontificato del Monte è poi il dislivello tra il pavimento di essa e quello del resto delle stanze53, senza dire della disomogeneità esterna dell’abside rispetto al resto della costruzione muraria54. Ora, punto di partenza per ricostruire l’evoluzione dei lavori che condussero alla sua conclusione, nel 1559, sono i rendiconti dei Camerali conservati nell’Archivio di Stato di Roma. A partire dal giugno e poi nell’agosto del 1555 risultano pagamenti a favore di quel «maestro Geronimo muratore» che non solo lavorò alla «camera di Nostro Signore» ma anche «alla Cappella delle stanze nuove»55. Altri pagamenti effettuati nello stesso anno riguardano la fornitura di basi e capitelli, di una porta56 e di finestre in vetro57. Le decorazioni continuarono regolarmente anche durante il 1556 risultando, infatti, pagamenti per le suppellettili, gli stucchi e per cinque capitelli in peperino58. Negli anni successivi compaiono ancora conti riguardanti altri quattro capitelli dello stesso materiale, le «vetriate», un «lastrone di marmo e un pezzo di colonna di mischio verde»59. Stando all’assiduità dei pagamenti, relativi all’anno 1557, è possibile HESS 1967, p. 150. ENEA 2010, p. 21. 54 ENEA 2010, p. 52. 55 CAMERALE 1296 D, f. 15 (trattato da ACKERMAN 1954, pp. 83, 169). 56 L’ingresso principale della Cappella è segnato da una cornice di marmo su cui corre la scritta: «PAULUS IIII PONT. MAX». 57 CAMERALE 1296 D, ff. 25; 36; 38; 18 (riportati da ACKERMAN 1954, pp. 83, 169). 58 CAMERALE 1297 D, ff. 23v: 40v; 58 v; 61 v (riportati da ACKERMAN 1954, pp. 83, 169). 59 ACKERMAN 1954, pp. 83, 169. 52 53
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constatare come le spese per la Cappella continuassero a ritmo incalzante. Si tratta ancora una volta di interventi non riguardanti i lavori di muratura, ma di decorazione e finitura. Numerose sono le elargizioni, già dal mese di gennaio del 1557, a favore di scalpellini, come Nicolò, Benedetto Schela e Domenico Roscelli60. Vengono impegnati anche stuccatori, come Giovanni Maria, e falegnami, tra cui un certo Giovanni61. La lettera scritta il 22 novembre del 1557 dal Gianfigliazzi, riporta che il papa gli chiese di far giungere Vasari da Firenze per dipingere la cappella, ma il tentativo fallì: Mi disse che il papa aveva voglia di ricercare Vostra Eccellenza che li concedessi Giorgino per la sua Cappella62.
Lo stesso Vasari riporta che nel 1557, giunto a Roma in compagnia del cardinale Giovanni de’ Medici, rifiutò addirittura la proposta di Paolo IV di decorare la Sala dei Re63. CAMERALE 1298, ff. 17r, 19 r, 19 v, 24 v, 25 r, 25 v, 26 r, 26 v, 27 v, 31 v, 29 r, 32 r, 32 v, 33 r, 33 v, 34 v, 36 r, 37 r, 39 r. 61 CAMERALE 1298, ff. 16 r, 23 v. 62 ANCEL 1908, p. 53, n. 4, vol. XXV. Non era certo la prima volta che Vasari rifiutava commissioni del papa per rimanere al servizio del duca Cosimo de’ Medici. Egli stesso riporta che nel 1554, durante l’ultimo anno di pontificato di Paolo IV, era stato chiamato invano da Andrea Tassini per recarsi in Francia al servizio del re. Vasari infatti rispose di «non volere per qualsivoglia gran provvisione o promesse o speranza partirsi dal servizio del duca Cosimo suo signore». Al suo posto partì Francesco Salviati, tornandosene ben presto in patria. (VASARI, BAROCCHI, BETTARINI, 1966-1987, ed. 1568) 63 Con l’elezione di Pio IV ci fu la volontà di terminare la Sala dei Re. Il papa decise di affidare il compito a Daniele da Volterra, già impegnato nei lavori, ma il Cardinale Alessandro Farnese fece di tutto per far assegnare la metà del lavoro a Francesco Salviati. Il Vasari riporta che, giunto a Roma assieme al cardinale Giovanni de’ Medici, figlio del duca Cosimo, gli venne proposto dal pontefice di lavorare alla detta sala. Egli rifiutò dicendo che «nel palazzo del duca Cosimo suo signore aveva a farne una tre volte maggiore di quella, e oltra ciò che era sì male stato trattato da papa Giulio Terzo, per lo quale 60
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Ma nel corso dell’anno 1557 non si fermano le spese e i lavori riguardanti le vetrate, ad opera di personalità come Martino «bicchieraro», Giovanni fiammingo «vetraro», Mambrilla «chiavaro» e Gasparo fiammingo «ferraro»64. Questi pagamenti forniscono un’idea del fervore decorativo che caratterizzò questo luogo. Alla luce dei fatti riportati, la decorazione della Cappella prevedeva comunque una linea di decoro unitaria, dove assoluta rilevanza spettava, fin dalle origini, all’impiego di marmi policromi, in particolare del «mischio verde». Anche il Gianfigliazzi scrive che nel settembre del 1558 la Cappella era decorata con preziose colonne di differenti colori, «colonne mirabili di serpentino e d’altra ragioni, che non è possibile veder le più belle»65. Inoltre, alcuni documenti risalenti al 1557 sembrano affermare come alcune colonne di marmo prelevate da Santa Maria Maggiore e da Santa Sabina a Roma fossero destinate alla cappella66. Sempre nello stesso anno, risulta evidente la presenza di altre colonne di mischio verde, a cui lavora il Pietrasanta «scultore», per le quali lo stesso Pietrasanta riceve un pagamento sia nel mese di novembre, che in quello di dicembre67. Inoltre, sempre nel febaveva fatto molte fatiche alla Vigna, al Monte et altrove, che non sapeva più che si sperare da certi uomini; aggiungendo che, avendo egli fatta al medesimo, senza esserne stato pagato, una tavola in palazzo, dentrovi Cristo che nel mare di Tiberiade chiama dalle reti Pietro et Andrea (la quale gl’era stata levata da papa Paulo Quarto da una cappella che aveva fatta Giulio sopra il corridore di Belvedere, e doveva essere mandata a Milano), Sua Santità volesse fargliela o rendere o pagare». Il Vasari informa che sarà proprio Pio IV a riconsegnargli la tavola. Inoltre prosegue affermando che fu lui stesso a consigliare al papa Francesco Salviati, ma Pirro Ligorio «cominciò a dire al Papa che essendo in Roma molti giovani pittori e valentuomini, che a voler cavare le mani di quella sala sarebbe stato ben fatto allogar loro una storia per uno, e vederne una volta il fine». Sarà lo stesso Salviati allora a decidere di allontanarsi da Roma e recarsi a Firenze. (VASARI, BAROCCHI, BETTARINI 1966-1987, ed. 1568) 64 CAMERALE 1298, ff. 17 v, 18 r, 25 r, 28 v, 35 v. 65 ANCEL 1908, p. 54, vol. XXV. 66 ANCEL 1908, p. 54, vol. XXV. 67 CAMERALE 1298, ff. 35 r, 36 r, 37 v, 38 v.
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braio del 1557, lavora a quattro capitelli di peperino68 e continua a lavorare di scalpello, ancora alle colonne, nel 155869. Proprio quando Battista da Pietrasanta inizia il suo impegno, a partire dal novembre del 1557, ai marmi pregiati, l’architetto Ligorio comincia ad essere coinvolto da Paolo IV nei lavori in Vaticano. È probabile, considerando anche quanto riportato dal teatino Antonio Caracciolo70, riguardo al tabernacolo bronzeo ed al suo modello ligneo, che l’architetto abbia partecipato attivamente, a partire da questo periodo, non solo alla progettazione di esso, ma anche ai lavori riguardanti la cappella. Tornando poi agli interventi risalenti all’anno 1557, nell’ottobre viene effettuato un pagamento anche a favore di Tommaso «indoratore» per l’indoratura di alcuni catenacci71 e nel novembre viene addirittura realizzato il «paliotto d’altare», ad opera di «maestro Pietro pittore» (cioè, ancora, Pietro Venale). I lavori erano, dunque, al termine del 1557, in via di conclusione72. Perciò è menzionato don Antonio, che continuerà a comparire sia nel 1558 che nell’anno successivo nelle funzioni di «chierico della cappella segreta», per essersi occupato della «lavatura dei panni», delle «spese minute» e del «servizio» della cappella73. Con l’ufficializzazione del ruolo di Pirro Ligorio a partire dal gennaio 1558, proseguirono i lavori alla cappella; nel marzo dello stesso anno erano ormai portati a compimento gli arredi. L’ambasciatore Gianfigliazzi, in una lettera del 16 settembre 1558, riporta che a quella data in quel luogo «non li mancava affar se non l’altare»74. Gli interventi si concentrarono per lo più nei primi mesi dell’anno, tra gennaio e febbraio, essendo ancora impegnati PieCAMERALE 1298, ff. 17 r, 18 r, 24 v, 35 r. CAMERALE 1298, ff. 41 r, 48 v. 70 CARACCIOLO 1612, pp. 138-139. 71 CAMERALE 1298, f. 32 v. 72 CAMERALE 1298, f. 35 r. 73 CAMERALE 1298, ff. 31 v, 43 v, 60 r, 69 v. 74 ANCEL 1908, p. 56, vol. XXV, n. 1. 68 69
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trasanta, scalpellino e scultore, ma anche Benedetto Schela scalpellino e Gasparo fiammingo fabbro75. Le opere di scalpello, menzionate nel documento potrebbero riferirsi anche ai lavori promossi per la realizzazione dell’altare (che, come già riportato, nel settembre del 1558 non era stato ancora compiuto), oltre che per il poggio, per le colonne e forse anche per la tribuna in legno. Vengono ancora effettuati lavori alle vetrate, sia nel mese di gennaio che in quello di marzo; inoltre sono pagate sempre nel 1558 «20 viti» per il completamento dei «lavori alle finestre»76. Si menziona la sagrestia della Cappella, per la quale si effettuano nello stesso anno pagamenti per la fornitura di alcuni «balaustri di metallo». Nicolò Calcagni riceve denaro per un ventaglio e per aver comprato del fustagno per coprire le colonne della cappella nel 155977. La consuetudine dell’epoca di rivestire persino l’architettura, ed in questo caso specifico le preziose colonne verdi, testimonia per il luogo un intento di grande fastosità, dimostrandone l’importanza che esso rivestiva per il pontefice. Vengono inoltre fornite armi di marmo, probabilmente sempre con funzione decorativa nella cappella, a cui lavora ancora lo stesso Nicolò scalpellino78 (cioè Nicolò Longhi da Viggiù). Nella stima di Pietro Venale, il «frontespizio finto de marmore con l’arma di Sua Santità dorata», attribuito a Pirro Ligorio79, potrebbe coincidere con il fregio in stucco menzionato già nel settembre 1558. Infatti, a metà dello stesso mese è documentato come la Cappella presentasse lungo le pareti una decorazione in stucco ed una tribuna in legno80, mentre, come sappiamo, l’altare era ancora inconcluso. Osservando i pagamenti pontificali è evidente CAMERALE 1298, ff. 41 r, 41 r, 42 r, 42 r, 43 v, 44 r, 45 r, 45 v, 46 v, 48 v, 52 r. 76 CAMERALE 1298, ff. 43 v, 52 r, 43v, 54 v. 77 CAMERALE 1298, ff. 41 v, 66 r. 78 CAMERALE 1298, ff. 47 r, 50 v, 54 r, 57 r. 79 ACKERMAN 1954, p. 84. 80 ANCEL 1908, p. 56, vol. XXV. 75
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che alla fine dell’anno avvenne un rallentamento dei lavori della Cappella, che si ridussero, nell’anno successivo, solo a spese riguardanti «lavatura di panni» e «spese minute», da parte di don Antonio. Ciò dimostrerebbe come si era ormai giunti al compimento dell’opera. Inoltre al 1559 risalgono due tavole dipinte da Venale raffiguranti due angeli disegnati però da Pirro Ligorio per essere collocate ai lati dell’altare: Per aver dipinto due angeli quali ha fatto disegno maestro Pirro architetto di Sua Santità dipinti in tavola di grandezza di sei palmi l’uno, tutti due dipinti di colori fini con tempera, quali sono di qua e di la dall’altare in Cappella81.
Il Poggio della musica e la Sagrestia I pagamenti dei registri camerali riportano anche spese per il modello del «poggio», previsto per le funzioni della Cappella e che avrebbe dovuto collocarsi nella contigua sagrestia. Come apprendiamo dai documenti, di seguito riportati, si trattava di un «poggio della musica», una sorta di palco che doveva accogliere musici e cantori durante le funzioni sacre che si svolgevano nella cappella. Purtroppo non è pervenuto il disegno dell’opera, probabilmente ideato dallo stesso Ligorio. Maestro Geronimo «scalpellino», Nicolò «scalpellino», Bartolomeo «falegname» e Battista Frosino «falegname», lavorano alla realizzazione del modello ligneo, a partire dal febbraio fino all’aprile del 155782. Proprio il pagamento a favore di Battista Frosino «falegname», testimonia la messa a punto di questo modello: [Aprile 1557] Battista Frosino falegname 5 scudi per tanti suoi legnami per fare il modello del poggio della Cappella nuova segreta83. ACKERMAN 1954, pp. 171-172, doc. 115. CAMERALE 1298, ff. 18 r, 18 v, 20 r. 83 CAMERALE 1298, f. 20 v. 81 82
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La decorazione pittorica dello stesso verrà invece compiuta da «Pietro pittore»84 che può essere identificato proprio con Venale. Il modello non viene però più menzionato a partire dall’aprile del 1557, ad indicare che esso doveva essere stato ormai accantonato. A partire da questo mese, infatti, si sarebbe avviata la realizzazione vera e propria dell’opera. Troviamo ancora impegnati in questo lavoro lo stesso Nicolò e Geronimo85. Viene pagata a Francesco Pallavicino una colonna di «mischio giallo»86 e Paolo «scalpellino» riceve denaro per comprare «teverini»87, per il poggio. Tra febbraio e marzo del 1558, vengono poi elargiti pagamenti a favore di «Capitan Cencio funditore»88, per aver realizzato alcuni balaustri di metallo, per il coro: [Marzo 1558] Al Capitan Cencio capitano e funditore dell’Artiglieria 24 scudi per resto di 90 scudi che tanto monta un suo conto dei balaustri di metallo gettati per uso del coro della sagrestia della Cappella segreta89.
È in base a questa testimonianza che è possibile stabilire come il poggio dovesse essere collocato all’interno della sagrestia della CAMERALE 1298, f. 22 r. CAMERALE 1298, ff. 20 v, 21 v, 31 r, 31v, 36 v. 86 CAMERALE 1298, f. 23 r. 87 CAMERALE 1298, f. 38v. 88 La presenza di «Capitan Cencio capitano e funditore dell’Artiglieria» permette inoltre una riflessione. È molto singolare che un fabbricatore di cannoni e di armi sia incaricato di realizzare dei «balaustri», che non hanno niente a che vedere con ciò che è abituato a produrre. È quindi possibile che non esistevano a Roma a quel tempo operai e soprattutto artisti specializzati nella fusione e lavorazione del bronzo, da utilizzarsi in campo artistico. Ciò sarebbe riprova della singolarità e dell’eccezionalità del Tabernacolo bronzeo di Pio IV, la cui fusione venne infatti affidata ad artigiani provenienti dal Lago di Lugano. 89 CAMERALE 1298, ff. 50 v; 42 v; 47 r. 84 85
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cappella. Nella stima di Pietro Venale del 1559 viene citato un pagamento, risalente al 26 marzo del 1558, per un «palco nella stanza nuova dove Sua Santità vuole che si faccia il coro per la musica della Cappella» (avvalorando quanto prima affermato sulla decorazione pittorica del modello del poggio ad opera dello stesso pittore). Ed ancora per «balaustri de lo sopradetto coro con le sue cornici»90. Il «palco della musica», citato dal pittore, sembrerebbe coincidere proprio con il coro della sagrestia, per il quale Capitan Cencio realizzò i «balaustri». Altri pagamenti per i lavori riguardanti il poggio, a favore di Nicolò scalpellino91, continuano sia nel gennaio del 1558, che nello stesso mese dell’anno successivo, quando l’opera doveva ormai essere in via di conclusione. La sagrestia, contigua alla Cappella, potrebbe coincidere dunque con una di quelle «altre stanze», di cui scriveva anche il Vasari, aggiunte a quelle di Giulio III, da Paolo IV, in seguito alla chiusura della loggia. Tutto l’interesse dimostrato nei riguardi del «poggio» e del suo compimento e la cura rivolta anche alle decorazioni contribuivano di certo all’effetto di grande magnificenza che si confaceva alla cappella in funzione del cerimoniale papale. Il Tabernacolo Per quanto riguarda il Tabernacolo, si deve rinviare a un prossimo intervento. Mi limito qui ad avanzare alcune congetture circa la sua collocazione all’interno della Cappella di Paolo IV. Una prima possibilità è che esso fosse posizionato sopra l’altare, distaccato da esso dalle quattro colonne lavorate a partire dal novembre del 1557 dal Pietrasanta e che il Caracciolo afferma essere destinate proprio all’altare della Cappella. Ad avvalorare tale ipotesi concorre la volontà del cardinale Carlo Borromeo di posizionare il Tabernacolo, giunto nel Duomo di Milano, pro90 91
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prio «nel mezzo dell’altare su quattro colonnette ben fatte»92 tenendo conto, con ogni probabilità, dell’assetto che si era originariamente pensato per esso. Questa decisione rispecchia quel clima controriformato degli ultimi anni del Concilio Tridentino, dove anche le questioni architettoniche, quelle riguardanti le immagini sacre ed il coinvolgimento del fedele assunsero primaria importanza. Proprio secondo le Instructiones redatte dal Borromeo qualsiasi tabernacolo sarebbe dovuto essere ben in evidenza, collocato sull’altar maggiore. Se così fosse, considerando che le dimensioni del solo Tabernacolo sono di 2,26 m di altezza, con un diametro alla base di 98,5 cm ed un’altezza del corpo cilindrico di 1,69 m (dalla modanatura di base alla cornice dell’ordine dorico), esso si sarebbe presentato con un carattere fondamentale e preminente all’interno dell’ambiente che doveva ospitarlo. Ciò potrebbe essere spiegato solo con la messa in pratica di una precisa volontà del papa, probabilmente legata a questioni di carattere simbolico. Altra ipotesi, avanzata dalla Scotti93, è che il Tabernacolo sarebbe stato sistemato non proprio sull’altare ma dietro, o lateralmente ad esso, sempre nella zona presbiteriale, in quanto esso, in un disegno riguardante la sistemazione milanese, è posto in fondo a quest’area, dietro l’altare, rialzato su un piedistallo quadrato, apparentemente conformato a tronco di piramide. Inoltre si potrebbe pensare anche che le quattro colonne lavorate dal Pietrasanta fossero state ideate come sostegno di un ciborio per il Tabernacolo, ma ciò rimane soltanto un’ipotesi, in quanto non siamo a conoscenza dell’effettiva altezza di esse e quindi non possiamo definirne con certezza la collocazione.
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Didascalie Fig. 1. Monogrammista HCB, Giostra nel Cortile del Belvedere, incisione edita da Antonio Lafréry. Fig. 2. Etienne Du Pérac, Torneo nel Cortile del Belvedere, incisione edita da Antonio Lafréry. Fig. 3. Giovan Battista Naldini, Il Cortile del Belvedere durante la ricostruzione di Paolo IV. Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi.
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