V. Colonna, L'oggetto islamico tra conoscenza e collezione. Il Museo artistico industriale di Roma

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L’OGGETTO ISLAMICO

TRA CONOSCENZA E COLLEZIONE. L’ESPERIENZA DEL MUSEO ARTISTICO INDUSTRIALE DI ROMA

VALENTINA COLONNA

Nel bazar di Costantinopoli, scriveva Théophile Gautier nel 1853, «[…] si trovano le belle sciarpe di Tunisi, i tappeti e gli scialli di Persia, gli specchi in madreperla, i bruciaprofumi in filigrana d’oro e d’argento, in rame sbalzato e rabescato, le tazze della Cina e del Giappone […] tutta la curiosa chincaglieria d’oriente e la ricchezza chimerica di quei paesi»1. Questo non è che un frammento dei numerosi récits de voyage che a partire dalla metà dell’Ottocento avevano descritto dettagliatamente i luoghi d’oriente. Circa vent’anni dopo, Edmondo De Amicis ripercorreva gli stessi itinerari di Gautier, coinvolgendo nella sua avventura i lettori della «Illustrazione Italiana» con la descrizione dello sfarfallio degli oggetti che popolavano il bazar, stoffe, ceramiche smaltate, profumi e narghilè: «[…] è un emporio di bellezze da perderci gli occhi, il cervello e la borsa»2. GAUTIER 1853, citato in GUADALUPI 1989, p.80. DE AMICIS, Costantinopoli, reportage giornalistico per la rivista «L’Illustrazione Italiana», Milano 1878-79 in due volumi. Il brano sul bazar è ripubblicato in DE AMICIS 1979, pp. 233-241. 1 2


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