C. Manetta, 'Orientalia' da Vigna Bonelli-Crescenzi Mangani.

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ORIENTALIA DA VIGNA BONELLI-CRESCENZI-MANGANI. RIESAME E NUOVI TENTATIVI DI CONTESTUALIZZAZIONE

CONSUELO MANETTA

L’esposizione del busto in marmo grechetto che rappresenta un sacerdote (gallus) della Dea Syria – Atargatis – Afrodite1 nell’ambito della mostra «Il fascino dell’Oriente nelle collezioni

Esprimo un sincero ringraziamento alla professoressa Beatrice Palma Venetucci, alla quale devo preziose suggestioni e consigli e, soprattutto, le proficue occasioni di discussione e confronto scientifico che i mesi di preparazione della mostra hanno frequentemente consentito. 1 La presenza di sacerdoti (Arcigalli e Galli, questi ultimi membri di un ordine inferiore) preposti al culto di divinità orientali (in primo luogo della Dea Syria, assimilata a Iside / Cibele – Fortuna, così come della Magna Mater) è attestata a Roma e nel Lazio da documenti epigrafici (cfr. in proposito ENSOLI 2003, nota 14, p. 46) e archeologici: tre esemplari ostiensi (CIPRIANI ET AL. 1995, p. 77 e nota 3; cfr. anche, infra, il contributo di M.C. Vincenti); due esemplari conservati nei Musei Capitolini (la stele con sacerdote della Magna Mater, PIETRANGELI 1951, fig. 93 e la statua di Gallus, PIETRANGELI 1951, figg. 90-92; BUCOLO 2010, cat. III.13, pp. 144-145). Per le attestazioni di Galli in area albana si cfr. infra, i contributi di M. C. Vincenti e di I. Della Giovampaola.


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e nei Musei d’Italia»2 e la redazione della relativa scheda di catalogo hanno offerto a chi scrive l’occasione di riesaminare un’opera di sicuro interesse nell’ambito delle collezioni museali romane, che offre ancora – sebbene più volte descritta ed indagata – interessanti spunti di ricerca antiquaria e topografica, in termini, soprattutto, di contestualizzazione. Il marmo in questione3 (fig.1) rientra, come noto, nella Collezione dei Musei Capitolini, nella quale è confluito tramite commercio antiquario; già esposto nella prima stanza del museo, esso giace attualmente nei magazzini della Centrale di Montemartini. Al momento dell’acquisto da parte del Comune di Roma, avvenuto, forse, tra gli inizi e la prima metà del XX secolo4, a giudicare dall’espressione «alcuni anni or sono» usata da Carlo Pietrangeli in un contributo dedicato al busto, apparso una prima volta nel 19515, e, più recentemente, nella Raccolta di suoi scritti6, il manufatto venne registrato con l’imprecisa denominazione di «scultura palmirena». Se abbigliamento e acconciatura del sacerdote, infatti, appaiono seguire una moda tipica del costume femminile e maschile palmireno evidenziata da numerosi noti rilievi funerari7, con i quali il marmo capitolino condivide, altresì, particolarità iconografiche e stilistiche (la frontalità, la chiusa staticità del volto come la generale stereotipia, l’enfatizzazione più o meno accentuata dello sguardo e la profilatura netta dei lineamenti), il busto presenta una propria specificità e prevede un ambito di A cura di Beatrice Palma Venetucci, l’esposizione è stata ospitata presso le Scuderie Aldobrandini di Frascati dal 4 dicembre 2010 al 27 febbraio 2011. 3 FRAPICCINI 2005, p. 240; MANETTA 2010, n. X.1, pp. 217-219, con relativa bibliografia di riferimento. 4 Particolarmente interessante potrebbe rivelarsi, a tale proposito, l’accesso agli archivi del Museo presso la Centrale di Montemartini, fino ad oggi purtroppo non consentito. 5 PIETRANGELI 1951, pp. 19-20, cat. n. 28 e tav. III. 6 CIPRIANI et al. 1995, pp. 76-77, figg. 96-97. 7 Si cfr. tra gli altri, EQUINI SCHNEIDER 1996, pp. 293-300 con bibliografia precedente e BONANNO ARAVANTINOS 2010, pp. 173-174, V. 8, p. 175, con ulteriore bibliografia di riferimento. 2

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produzione probabilmente romano. A suggerirlo, come già nota Serena Ensoli8, contribuiscono: il particolare del materiale di realizzazione (l’uso del marmo in luogo del calcare abitualmente utilizzato per i rilievi palmireni), il piano di appoggio, la lavorazione del lato posteriore del pezzo e, di conseguenza, la sua destinazione. Tali elementi permettono altresì alla studiosa di ipotizzare che in origine, sul muro di fondo o sul plinto al quale la scultura si appoggiava, fosse presente un’iscrizione dedicatoria. Il fatto che nella parte posteriore la porzione inferiore della scultura risulti appena sbozzata evidenzia, inoltre, che, in origine, il pezzo, visibile soltanto frontalmente, fosse accostato ad una parete o, piuttosto disposto all’interno di una nicchia. La base – un piano irregolare – su cui il busto è realizzato presenta fori (quello di destra visibile con maggiore chiarezza), la cui funzione era quella di assicurarlo a una superficie sottostante. Una provenienza romana della scultura, sebbene fino ad oggi non sia possibile specificare il luogo di ritrovamento, sembra, tuttavia, a sua volta, pressoché sicura. Di particolare interesse risultano, a tale proposito, le considerazioni di recente avanzate da Serena Ensoli nell’ambito dello studio del Santuario della Dea Syria e dei culti palmireni9, la cui esistenza e rilevanza nell’ambito della Regio XIV Transtiberim10 è questione da tempo unanimemente accettata nella letteratura archeologica11. Altrettanto importanti per il discorso che si intende seguire risultano alcuni particolari iconografici degli attributi e degli ornamenti portati dal sacerdote. Si tratta, rispettivamente, del piccolo simulacro tenuto nella mano sinistra e del busto (figg. 23) della divinità che figura all’interno del caratteristico ENSOLI 2002, pp. 360-361, n. 219; ENSOLI 2003, pp. 45-46, fig. 3 e nota 14; p. 50, nota 55; p. 51, nota 59; p. 56, nota 94. 9 ENSOLI 2003, pp. 45-59. 10 Anche rispetto al cosiddetto «santuario siriano» del Gianicolo, il culto principale nell’ambito del quale risulta, peraltro, essere riservato a Hadad – Juppiter – Heliopolitanus: ENSOLI 2003, p. 45. 11 ENSOLI 2002, ENSOLI 2003, pp. 49-50, con ulteriore bibliografia; ENSOLI 2004. 8

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prostethidion, il medaglione circolare che pende dal grande torques che completa la ricca parure indossata dal personaggio. Il primo (fig. 2), in parte mutilo, si compone di una base poggiante a sua volta su un piano, il bordo del quale è decorato con una teoria di eroti e delfini, mentre al di sopra della base resta traccia di due animali, con ogni probabilità due leoni, assisi ai fianchi di un trono, sul quale doveva figurare una divinità seduta, nelle mani o sul grembo della quale figurava un qualche attributo o oggetto di forma circolare, oggi pressoché illeggibile, caratterizzato da quattro fori di trapano corrente. In entrambi i casi, la divinità raffigurata ritrae, evidentemente, la Dea – Syria nell’iconografia dell’Afrodite – Tyche , secondo l’identificazione del tutto condivisibile recentemente rimarcata da S. Ensoli13, sulla base di vari confronti. Tale identificazione consente alla studiosa di sottolineare l’importanza che il busto riveste come testimonianza, tra le altre esistenti nell’urbe collegate alle comunità orientali operanti in prossimità dell’area portuale tiberina, in ambito puteolano14, greco (Delo) e mediterraneo15, dell’identificazione appunto della Dea Syria – Atargatis con Afrodite – Venere Celeste e con Afrodite- Tyche, a sua volta connessa con Cibele . Entrambi gli aspetti ben si adattano al culto della dea venerata nel temenos siriano fuori Porta Portese, significativamente connesso, in senso anche topografico, all’area in cui lo stesso fu Si confrontino le suggestive proposte avanzate da B. Palma Venetucci, a proposito di alcune statue di Artemide di Efeso, all’epoca di Ligorio denominate Dea Syria: PALMA VENETUCCI 2008, p. 77, figg. 4a e 4b. 13 ENSOLI 2003, p. 45, nota 6 (con ulteriore bibliografia); p. 50, nota 55; p. 51, nota 59. 14 ENSOLI 2003, p. 50, nota 52 con relativa bibliografia di riferimento. 15 TURCAN 1989, p. 135 ss. 16 Vale la pena ricordare, a questo proposito, il recente rinvenimento, a Roma, in Via dei Salumi (in giacitura secondaria tra materiali eterogenei, non lontano dal vicolo delle Palme), della statuetta marmorea di Afrodite di Aphrodisia (Museo Nazionale Romano, Inv. n. 500091). Per il sito e il rinvenimento (è stato ipotizzato che appartenesse ad un sacello dedicato alla dea esistente nella regio XIV nel III secolo d. C.): FILIPPI 2004, pp. 11-18; FILIPPI 2007, p. 177, I, 197; ATTILIA – FILIPPI 2008, p. 178 e fig. 12, p. 188. 12

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collocato: nell’ambito, cioè, degli Horti di Cesare17, personaggio tradizionalmente devoto a Venere, dove è attestata anche l’esistenza di un tempio di Fors Fortuna. Il busto potrebbe suggestivamente collegarsi, come qui si propone in via ancora del tutto preliminare e con ogni cautela del caso, dunque, ai cospicui ritrovamenti archeologici ed epigrafici avvenuti presso Vigna Bonelli – Crescenzi – Mangani18, in parte confluiti dal XV secolo nella Collezione Mattei, di formazione locale, in parte frutto di scavi ottocenteschi condotti nell’area19. Al XV secolo appare risalire il nucleo della collezione comprendente ben 33 iscrizioni, raccolte da Battista di Jacopo Mattei in seguito a scavi condotti in un’area indicata, tra l’altro, con il toponimo «Ortaccio degli Ebrei»20. Disposte in hortulus ad pontem Insulae Tiberinae, nei giardini, cioè, della dimora della ricca e antica famiglia, di cui è noto, dopo il 1372, il trasferimento a Roma in rione della Regola, corrispondente al n. civico 22 di Piazza della Tartarughe, già Piazza Mattei, esse rimandavano in maggioranza ai cosiddetti «culti superstiziosi», riferibili, tra gli altri, a divinità come Giove Sabazio, Dea Syria, Giove Dolicheno21. Al periodo compreso tra il 1859 e il 1860 risalgono, piuttosto, gli scavi eseguiti da Guidi sulle pendici di Monteverde22. Oltre ad un cospicuo numero di iscrizioni votive in latino -greco e in greco- palmireno e di bolli laterizi databili nel 135 d.C., le indagini condussero alla scoperta di strutture in laterizio, corridoi, portici e ambienti voltati, che C. L. Visconti identificò dapprima con un tempio di età tardo- adrianea, dedicato al dio PAPI 1996, pp. 55-56 con bibliografia; D’ARMS 1998, pp. 41-42; ENSOLI 2003, p. 49, con ulteriore bibliografia. 18 Cfr. LANCIANI, FUR, Tav. 39: Vigna Crescenzi – Mangani. 19 TAGLIETTI 1996, pp. 209-223; ENSOLI 2003, p. 46; DE ROMANIS 2008, pp. 149-157. 20 LANCIANI 1902, p. 145. 21 Cfr. LANCIANI 1989, p. 145. Si cfr. infra il contributo di M.C. Vincenti nella parte relativa a «I culti orientali nella zona meridionale di Trastevere». 22 Riferiscono di tali rinvenimenti il Visconti (VISCONTI 1860), lo stesso e il LANCIANI – VISCONTI (1884) e il BORSARI (1887). 17

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palmireno Bel. Altre iscrizioni in greco e in latino si rinvennero nel corso di scavi successivi, condotti nell’area nel 188723 (Fiorelli); esse, unite a nuove possenti strutture laterizie rinvenute, permisero di comprendere che un tempio dedicato a Bel e alle divinità Palmirene fosse stato, piuttosto, costruito alla fine del regno di Traiano da Iulius Anicetus, con buona probabilità un sacerdote di origine orientale in servizio presso il complesso sacro. La localizzazione e la ricostruzione delle diverse fasi di vita del santuario24 appaiono, di conseguenza, strettamente collegate alle scoperte effettuate in quest’area nei diversi periodi indicati. Riguardo alla localizzazione, è oggi possibile precisare che il santuario in questione sorgesse appunto sul sito degli antichi Horti di Cesare, nell’odierna Vigna Bonelli- Mangani, al di fuori dell’attuale Porta Portese, a destra della moderna Via Portuense, subito a Sud della Naumachia di Augusto, più a nord di quanto parte della critica ha per lungo tempo erroneamente ritenuto (fig. 4). Tra gli equivoci topografici vanno posti, in tal senso, il riferimento alla «nuova» Stazione di Trastevere menzionata da Lanciani, interpretata da alcuni come quella odierna, piuttosto che – come invece va intesa – la «vecchia», localizzata tra Piazza Ippolito Nievo e la Via Portuense e, ancora, il riferimento alla antica Via Portuense, da porre 453 m più a sud del tracciato più moderno, la costruzione del quale – iniziata sotto Urbano VIII – terminò sotto Innocenzo X; la localizzazione esatta del tempio della Fors Fortuna negli Horti Caesaris, da identificare da ultimo con l’edificio circolare riprodotto nella lastra n. 28 della Forma Urbis Severiana, al I miglio della Via Campana-Portuensis, calcolato da Porta Trigemina, sul sito esatto della naumachia di Augusto, tra le attuali piazza S. Cosimato e Ippolito Nievo, in

NotSc 1887 (scavi Fiorelli), pp. 18-19. Per lo status quaestionis e una completa bibliografia si rimanda a ENSOLI 2004, pp. 191-196. 23 24

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direzione N-S e tra la Via Campana e le pendici di Monteverde, in senso E-W . Sebbene non esistano elementi concreti per precisare l’epoca di fondazione del santuario, che S. Ensoli26, plausibilmente, collega all’iniziativa di congregazioni private, si crede di poter individuare nell’età giulio claudia il periodo di fondazione, in seguito all’intensificarsi degli scambi commerciali tra la Siria a l’Italia27; la sua localizzazione nell’ambito degli Orti di Cesare, spazio reso «pubblico» solo dopo il trionfo ispanico e la naumachia di Augusto, inaugurata nel 2 a.C., potrebbero rappresentare, in questo senso, un terminus ante quem. In esso molteplici devozioni religiose, secondo una prassi che si riscontra in altri contesti urbani dedicati a divinità orientali, attestano nella medesima area sacra la coesistenza di culti della Dea Syria, di Sol e di divinità non siriache come Astarte, espressione di etnie diverse. L’atmosfera sincretistica di aree di questo tipo si evince inoltre da doni votivi dedicati a divinità synnaoi. Esempio ne è, oltre alle attestazioni di doni dedicati da fedeli isiaci28, il «cratere» di granito nero di cui dà ampia notizia C. L. Visconti29, da identificare con una clessidra egizia oggi conservata a Berlino30. Datata nel III secolo a.C. e da confrontare per contenuti e schemi figurativi con opere egittizzanti create a Roma31, essa costituì un prezioso dono Cfr. ENSOLI 2004, p. 193 e fig. 190. Per altri rinvenimenti dall’area, in occasione della costruzione della nuova stazione ferroviaria a Trastevere, si veda anche MOLTESEN 2007, p. 208 e fig. 12, p. 210. 26 ENSOLI 2004, p. 192. 27 ENSOLI 2003, p. 51. 28 In considerazione dell’antica assimilazione della dea Syria con IsideFortuna: ENSOLI 2003, nota 59 con bibliografia di riferimento. 29 VISCONTI 1860, pp. 437-439. 30 MALAISE 1972, pp. 231-232, n. 245; ROULLET 1972, pp. 42, 145, n. 326, fig. 334-336. La presenza di un tale oggetto nell’ambito del santuario transtiberino è stata imprecisamente collegata all’esistenza di un santuario isiaco nell’area (COARELLI 1982, p. 65, n. 13). Cfr., infra, il contributo di M.C. Vincenti, fig. 1. 31 ENSOLI VITTOZZI 1990, pp. 47-50; 56-58, figg. 27-30, nota 84 e ss.; ENSOLI 1999, pp. 237-239; cfr. anche ENSOLI 2002, p. 127, note 43-46. 25

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votivo importato direttamente dall’Egitto. È interessante, a questo proposito, il suggestivo confronto che si istituisce tra tale clessidra ad acqua e quella, anch’essa in granito nero di Aswan, attualmente conservata nel Museo Barracco32 (fig. 5) che compare negli anni intorno alla seconda metà del XIX secolo tra i primi acquisti della raccolta del barone Giovanni Barracco, accanto ad altri rinvenimenti egizi, come una sfinge rinvenuta nel 1856 nell’area dell’Iseo Campense, in casa di Pietro Tranquilli33. L’ipotesi, finora mai contestata, che quest’ultima clessidra provenga dal medesimo contesto isiaco34, si regge, in realtà, su una sola e alquanto generica notazione di R. Lanciani, il quale al termine della ricognizione dei materiali rinvenuti nell’area dell’Iseo, afferma che alcune sculture del Tranquilli siano passate nella raccolta di G. Barracco35. Essa, in realtà, come ha recentemente ribadito M. Cima, non è menzionata nell’elenco dei ritrovamenti di Henzen e di Lanciani e lo stesso G. Barracco indica in Roma il generico luogo di provenienza36. Solo dubitativamente, infine, tra i rinvenimenti di Vigna Bonelli, si menziona un torso di faraone in granito rosa 37; altrettanto significativo, sebbene non sembra in diretta relazione con il santuario, è l’accenno al ritrovamento di lastre fittili con paesaggi nilotici38. Tra i rinvenimenti che attestano la vitalità del sito in età neroniana si pongono le due basi di statua, probabilmente nella collezione Mattei già dal XV secolo, sicuramente in possesso

Inv. n. 27. Cfr. CIMA 2010, p. 162, fig. 5. CIMA 2010, p. 162 e fig. 4. Per la sfinge SIST 1996, p. 20 ss. 34 CIMA 2010, p. 162. 35 LANCIANI 1883, p. 60. 36 CIMA 2010, p. 162. 37 ROULLET 1972, p. 104 ss., n. 162. Incertezza, a tale proposito, esprime invece S. Ensoli (ENSOLI 2003, nota 49). 38 LANCIANI -VISCONTI 1884, p. 30. La menzione figura tra i rinvenimenti avvenuti nell’area di Vigna Bonelli tra il dicembre 1883 e il gennaio 1884. Nella stessa occasione si rinvenne, tra l’altro, l’erma di Anacreonte. 32 33

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degli Sforza alla fine del XVI e da allora scomparse39. Si trattava, in realtà, rispettivamente di una base dedicata alla dea Syria, in cui la divinità doveva originariamente apparire in trono tra due leoni e di una seconda, offerta a Juppiter Optimus Maximus – in trono tra due tori – per la salvezza di un imperatore40. Si riferiscono al periodo finale del I secolo d.C. (o almeno alla seconda metà), inoltre, l’altare dedicato al Sol Sanctissimus, a Bel e a Malakbel da Claudius Felix, attualmente presso la Galleria Lapidaria dei Musei Capitolini41, dove è confluito tra il 1716 e il 1775. Il ritrovamento di alcune iscrizioni conferma, altresì, la vitalità del sito nel II secolo d.C.. A questo periodo risale, secondo la datazione proposta a suo tempo da C. Pietrangeli, un interessante rilievo in marmo lunense ricomposto da due frammenti, raffigurante le divinità Hadad e Atargatis (fig. 6) assisi in trono, secondo l’iconografia di Zeus ed Hera, con i caratteristici attributi (lo scettro e, forse, un fascio di folgori per Hadad, un mazzo di spighe e forse un fuso per Atargatis) e gli animali loro consacrati (tori per il dio, leoni per la dea). Si tratta anche in questo caso, come già per il gallus inizialmente descritto, di un marmo acquistato da commercio antiquario42. Sebbene la documentazione esistente in proposito non consenta di verificare e appurare il contesto di rinvenimento della scultura, il particolare rapporto iconografico che si Riprodotte in codici cinquecenteschi, tra cui Berolin. f. 10 e 13, e Cod. Holm., f. 55v, sono descritte erroneamente come «due femine a sedere, una mezza et l’altra senza testa»; cfr. HÜLSEN 1917, pp. 63-64, nn. 69 – 70 (A. 303-305), figg. 47 e 48; ENSOLI 2003, p. 45, fig. 1; ENSOLI 2004, p. 394, fig. 189. Si rimanda infra al contributo di M.C. Vincenti (in particolare nota 4) per il riferimento ad altri codici e precisazioni circa i trasferimenti nel tempo subiti dalle opere, fin quando documentabile. 40 Che la critica è ormai concorde nell’identificare con Nerone (la cui predilezione per la Dea Syria, così come la sua identificazione con il dio Sol è copiosamente attestata): si cfr. in proposito ENSOLI 2003. 41 Inv. n. 107. Cfr. da ultimo: VELESTINO 2010, n. II.2, pp. 130-132, con relativa bibliografia di riferimento, a cui si aggiunge ENSOLI 2003, fig. 11; Cfr., infra, il contributo di M. C.Vincenti. 42 Nel caso specifico, però, è noto l’anno di acquisto (1950) del marmo. Cfr. PIETRANGELI 1951, n. 5, p. 10 e Tav. XV. 39

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instaura, inevitabilmente, tra i due orientalia permette di ipotizzarne, seppure con tutte le precauzioni necessarie, una provenienza dal medesimo contesto sacro transtiberino43. Altri rinvenimenti, oltre al busto raffigurante il sacerdote della Dea Syria Atargatis inizialmente descritto, rimandano, viceversa, alla fase di III secolo d.C.. Si tratta, in primo luogo, dell’ara in marmo lunense con dedica di P. Acilius Felix alla dea Syria, conservata nei Musei Capitolini44. Ad essa si aggiunge il naiskos in marmo pentelico che sorreggeva anticamente un’offerta votiva in metallo prezioso, consacrato ad Aglibol e Malakbel da Aurelius Heliodoros, del quale lo Hülsen45 registra i diversi trasferimenti nel tempo: già nella Collezione Mattei in Trastevere, poi nella Villa Giustiniani presso il Laterano46, esso confluì infine nel Museo Capitolino47. Certamente d’importazione e descritta nell’inventario «come un quadro di marmo con due figurine sculpite dentro, che significa una Pace» l’iscrizione permette di datare l’edicola nel 235-236 d.C. e rappresenta, per quanto la documentazione fino ad oggi raccolta consenta di precisare, il monumento palmireno più tardo noto a Roma48. Un altro naiskos frammentario con iscrizione bilingue (greca e palmirena), dedicato alle divinità Bel e Aglibol49 si rinvenne nel Inv. 2968, alt. cm 32; largh. cm 38: cfr. PIETRANGELI 1951, p. 10 s. n. 5; HELBIG II, n. 1181; ENSOLI 2002, n. 220, p. 361, con ulteriore bibliografia di riferimento; la studiosa, in particolare, ritiene che si tratti di una produzione romana destinata ad uno dei santuari di divinità siriache eretto nella zona del Tevere. 44 Inv. n. 1936; ENSOLI 2002, pp. 124, 301, 361-362, n. 221, con bibliografia precedente; ENSOLI 2003, p. 45 e fig. 2, p. 46; ENSOLI 2004, pp. 191 ss. 45 HÜLSEN 1917, p. 62, n. 53, fig. 45 con precedente bibliografia. 46 «In capo al viale del giardino», all’interno del giardino privato della villa: cfr. HÜLSEN 1917, p. 62, n. 53. 47 Dove fu registrato con Inv. n. 1206. Cfr. VISCONTI 1860, p. 432; PALMA VENETUCCI 2007, p. 99 e fig. 6, p. 101, con ulteriore bibliografia; cfr. infra, il contributo di M.C. Vincenti con ulteriori riferimenti. 48 ENSOLI 2002, pp. 124, 297, 359, n. 215, con precedente bibliografia; ENSOLI 2003, nota 93, fig. 15; ENSOLI 2004, pp. 191 ss.. 49 Cfr. infra il contributo di M.C. Vincenti, nota 15. 43

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1859 nella medesima area. Ad esso venne, erroneamente, connesso un secondo frammento con la raffigurazione di Astarte50, pertinente invece ad un altro monumento. La vita prolungata dell’area sacra potrebbe essere testimoniata, infine, come noto, dalla menzione nel Chronogr. A 354 nella forma corrotta di templum Iasuriae, con un santuario della Dea Syria, non meglio identificato, esistente nella regio III51.

Cfr. infra, il contributo di M.C. Vincenti con ulteriore bibliografia di riferimento e confronti, a cui si aggiunga VISCONTI 1860, p. 415 ss., fig. I,b. 51 ENSOLI 2003, p. 57. 50

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Horti Hesperidum, II, 2012, 1

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C. MANETTA

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Didascalie Fig. 1. Busto marmoreo di sacerdote della Dea Syria – Atargatis – Afrodite, attualmente conservato nei magazzini della Centrale di Montemartini, Inv. n. 2971. Marmo grechetto (H. cm 47; Largh. cm 46; Sp. cm 25), III secolo d.C. (Foto Archivio Centrale di Montemartini). Fig. 2. Busto marmoreo di sacerdote della Dea Syria – Atargatis – Afrodite (Inv. n. 2971). Particolare del prostethidion. (Foto Archivio Centrale di Montemartini). Fig. 3. Busto marmoreo di sacerdote della Dea Syria – Atargatis – Afrodite (Inv. n. 2971). Particolare del piccolo simulacro tenuto nella mano sinistra del sacerdote. (Foto Archivio Centrale di Montemartini). Fig. 4. Localizzazione del Santuario (Ensoli 2003). Fig. 5. Clessidra in granito nero di Assuan (Roma, Museo Barracco, inv. n.27; da Cima 2010). Fig. 6. Rilievo marmoreo delle divinità Hadad e Atargatis, attualmente conservato nei magazzini della Centrale di Montemartini. Marmo lunense (H. cm 32; Largh. cm 38; Sp. cm 7). (PIETRANGELI 1951).

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