M.C. Vincenti, Culti orientali: contesti e rinvenimenti tra Roma e Colli Albani

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CULTI ORIENTALI: CONTESTI E RINVENIMENTI TRA ROMA E COLLI ALBANI

MARIA CRISTINA VINCENTI

Nel mio lavoro di ricerca sui culti orientali dell’area romana e albana, che sto conducendo presso l’Università di Tor Vergata in Roma1, sono emersi dei dati interessanti sia nel più noto contesto romano localizzato nell’area di Trastevere che nel suburbio. I culti orientali, già introdotti a Roma dall’età repubblicana come “culti misterici”, a partire dal I sec. d.C., conoscono una nuova fioritura. In particolare, con la realizzazione del porto di Ostia, culti palmireni e siriani si affermano nell’area portuale del Tevere, dove si concentra il commercio dei mercanti orientali e l’afflusso della manodopera servile. Importanti testimonianze del culto delle divinità orientali sono presenti anche nelle aree albane raggiunte dai tracciati delle vie consolari, in particolare l’Appia e la via Latina, con la restituzione di materiali significativi.

Questo contributo fa parte del più ampio lavoro di tesi di dottorato in “Antichità classiche e loro Fortuna”, tutor la prof.ssa Beatrice Palma Venetucci, che ringrazio per i suoi consigli e suggerimenti. 1


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I culti orientali nella zona meridionale di Trastevere. È noto che nel giardino della casa dei Mattei in Trastevere erano conservate numerose iscrizioni dedicate alle divinità orientali2, e il Lanciani ipotizza che Battista di Jacopo Mattei nel Quattrocento abbia scavato il sito della vigna Bonelli-CrescenziMangani, al I miglio della via Portuense, dove oggi è stata realizzata la moderna stazione di Trastevere3. Nell’area, caratterizzata come zona commerciale per la sua vicinanza all’Emporium e agli Horrea Galbana e quindi abitata da commercianti e manodopera schiavile di provenienza orientale, è ben documentato il culto di Giove Palmireno, ma altri rinvenimenti attestano anche pratiche cultuali che riguardano Giove Sabazio, la dea Siria, Giove Dolicheno, e Mercurio4. LANCIANI I 1901, p.112; CIL VI 115, 116, 117, 429, 430, 710, 1603, 2130, 2269. 3 LANCIANI 1989, tav. 39. 4 Le statue della dea Siria e di Giove Dolicheno, acefale e munite di iscrizioni sulle basi recanti la dedica pro salute di un imperatore concordemente ritenuto Nerone, già negli Horti di Jacopo Mattei in Trastevere, erano note dai disegni del Cinquecento: Cod. Coburgensis f. 106; Cod. Berol. f. 10; Boissard, Holm, f. 55v. Nei codici di Ligorio (Neap. 7, f. 17, 46), e nel Codex Miniatus, ff. 123, 124, sono raffigurate le statue sedute di Juppiter Optimus Maximus con i tori e della Dea Syria con i leoni complete della testa, quando si trovavano nella vigna Carpi a Montecavallo, ove furono descritte anche dall’Aldovrandi. Passarono quindi in collezione Sforza, ma sono oggi perdute (PALMA VENETUCCI 2007, pp. 99-102); un altare alla dea SyriaAtargatis si trovava in età medievale nella chiesa di S. Benedetto in Piscinula. L’ara è dedicata da P. Acilius Felix alla dea Syria-Atargatis, rappresentata seduta con due leoni ai lati e con un’alta mitra conica con crescente lunare. Nella mano sinistra ha lo specchio di Afrodite e nella destra forse tiene un fuso. Si tratta di un prodotto, probabilmente locale, realizzato nel III sec. d.C. Il piccolo altare è stato attribuito al santuario di Bel e delle divinità di Palmira in Trastevere, vista la sua ipotetica provenienza: i Giardini Mattei. Inoltre, fuori Porta Portese, luogo frequentato da mercanti orientali e schiavi, esisteva un luogo di culto della dea Atargatis. Lo dimostra il fatto che sia i reperti archeologici che quelli epigrafici, riconducibili alla dea, provengono dagli Orti Mattei (PIETRANGELI 1951, p. 14, n. 14; ENSOLI 2002, p. 138; DE ROMANIS 2008, pp. 149-157). Un frammento di rilievo dedicato ad Hadad e Atargatis oggi ai Musei Capitolini, inv. 2968, alt. cm.32, 2

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Anche altri importanti reperti palmireni erano conservati presso gli Orti Mattei, come l’altare parallelepipedo dedicato al Sol Sanctissimus5 con iscrizione bilingue in latino e palmireno, datata alla fine del I sec. d.C., e dedica posta da più persone tra cui Tiberius Claudius Felix6. Sulla fronte dell’altare compare il busto del Sole, rappresentato con la testa circondata da raggi con ciocche fiammeggianti, che emerge dal corpo di un’aquila con le ali spiegate e ricurve7 che rappresentano verosimilmente la volta celeste8. Sul fianco sinistro una divinità solare sta salendo su un carro trainato da quattro grifoni alati. Sul fianco destro il rilievo mostra il busto di Saturno velato con capelli ondulati, barba e l’attributo del falcetto. Per il Visconti la Vigna Bonelli occupava una parte del sito “dove furono un tempo i giardini di Cesare”, concessi ad uso pubblico dopo il trionfo ispanico9. Egli seguì gli scavi del Guidi, essendo coadiutore del Commissario delle Antichità, che descrisse minutamente nei suoi resoconti. Delle emergenze vennero alla luce, tra il 1859 e il 1860, alle falde del Gianicolo10, riconducibili probabilmente ad un tempio. A maggio del 1859, fu rinvenuta nei pressi del supposto tempio “la Venere della Vigna Bonelli”11 e, sempre nell’area, vennero alla luce molti frammenti di iscrizioni12. In uno di essi forse era

largh. cm 38, ma proveniente dal mercato antiquario, potrebbe provenire dalla stessa area (PIETRANGELI 1951, p. 10 s.n. 5; HELBIG, II, n. 1181); cfr. MANETTA, fig. 6. 5 ENSOLI 2002, fig. 169; PALMA VENETUCCI 2010, p. 130: D. VELESTINO. 6 EQUINI SCHNEIDER 1987, p. 76. 7 ENSOLI 2002, pp. 138-139, fig. 169. 8 PIETRANGELI 1951, pp. 21-22, n. 33, tav. V. 9 VISCONTI 1860, p. 415. 10 VISCONTI 1860, p. 417. 11 VISCONTI 1860, p. 418, oggi all’Hermitage di San Pietroburgo. 12 Una delle iscrizioni provenienti da Vigna Bonelli ha una sua gemella al British Museum, di cui è ignota la provenienza. Entrambe le iscrizioni, datate all’età adrianea, riportano la dedica di un aedem Belo da parte di C. Licinius N. e di Heliodorus Palmirenus. Un’altra iscrizione datata al 102 d.C., scoperta dal Guidi presso le strutture in laterizio, dice che C. Iulius Anicetus ha effettuato

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menzionato un teatro, e altre strutture attigue al tempio stesso: “si videro delle pareti di grandi camere […] colle volte cadute, dei corridoi, dei portici, ed altro”13. I laterizi utilizzati mostravano dei bolli della fine dell’età adrianea. Proprio qui furono rinvenuti due frammenti, i cui disegni sono riportati nella tavola del Visconti (fig. 1)14 che li considerò parte di un unico monumento, relativi al rilievo con dedica greco-palmirena a Bel (Giove Sole) e al dio lunare Iarhibol (fig. 2)15, e al rilievo con Astarte. Il frammento su cui compare la testa di Astarte in realtà fu giudicato più tardi non pertinente a causa del diverso spessore del marmo16 (fig. 3). Esso trova un parallelo con un rilievo di Astarte alata stante sul leone con iscrizione in greco incisa sul lato destro, proveniente dalla Villa dei Quintilj17. Il rilievo con iscrizione bilingue in greco e in palmireno mostrava verosimilmente una serie di divinità disposte frontalmente, riprendendo schemi ben noti a Palmira e in altre località della Siria dove i gruppi divini sono composti anche di

un restauro ad un portic(um) Solis cum marmoribus opere novo ampliato (ENSOLI 2001, p. 123). 13 VISCONTI 1860, p. 422. 14 VISCONTI 1860, p. 423, tav. R. 15 Collocazione attuale: dal 31/03/2006 ai Musei Capitolini, Centrale Montemartini, Magazzino (IV piano); inv. n. S 105. Datazione: II-III sec. d.C. Misure: in basso alt. 20 cm., lungh. 31 cm.; in alto: alt. 12 cm.; lungh. 13 cm. Marmo lunense. Si tratta di un frammento di rilievo che nella parte inferiore presenta due figure maschili ed una dedica a Bel e Iarhibol, divinità palmirene. L’iconografia che il reperto presenta, e la sua tipologia, così come l’iscrizione bilingue in greco e in palmireno, fanno presumere che potrebbe trattarsi di una produzione romana, visto anche l’utilizzo del marmo lunense. Forse fu dedicato dai palmireni che risiedevano nell’Urbe. PIETRANGELI 1951, p. 13 n. 11; ENSOLI 2002, p. 137 e nt. 16. 16 Collocazione attuale: dal 31/03/2006 ai Musei Capitolini, Centrale Montemartini, Magazzino (IV piano); inv. n. S 2970. Datazione: II-III sec. d.C. Misure: alt. 12 cm., largh. 18 cm. Il rilievo in marmo presenta la testa di Astarte con calathos e velo. A lato è incisa l’iscrizione che permette di identificare la figura femminile con la dea. PIETRANGELI 1951, p. 14 n. 15. ENSOLI 2002, pp. 137 e 140, fig. 170; ENSOLI 2001, p. 358 e n. 213. 17 PISANO 2008, pp. 199-203.

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nove divinità18. Il confronto è puntuale con un’edicola proveniente probabilmente dal santuario di Bel e delle divinità di Palmira in Trastevere databile al 235 d.C., dedicata ad Aglibol e Malakbel19, molto importante dal punto di vista iconografico poiché vi compaiono entrambe le divinità coi loro rispettivi attributi, ed una dedica bilingue greco/palmireno posta da T. Aurelios Heliodoros20. Aglibol, a destra, presenta un crescente lunare dietro alle spalle e indossa abiti militari, con corazza, clamide e lancia. A sinistra, il giovane dio solare (Malakbel) è rappresentato nel tipico costume palmireno. Al centro, tra le due divinità, compare un cipresso. Nella tavola del Visconti (fig. 1) sono riportati i disegni di due frammenti pertinenti ad un vaso con rappresentazioni del culto egizio21, anch’essi rinvenuti nell’area della vigna Bonelli. Il reperto, che conosciamo unicamente dal disegno del Visconti, ha delle corrispondenze con un pezzo simile conservato al Museo Barracco22. Si tratta verosimilmente di un vaso per la misurazione del tempo (clessidra ad acqua). Per il Visconti si tratterebbe di un “lavoro di imitazione”, di età adrianea23. Forse vi è rappresentato un offerente od un defunto che compie un viaggio iniziatico per rendere omaggio alle divinità, in particolare a quelle del Basso Egitto. Nell’area ci furono successivamente altri importanti rinvenimenti, come la serie di iscrizioni votive bilingui che presentavano l’uso del latino-greco e del greco-palmireno24. EQUINI SCHNEIDER 1987, pp. 73 e nt. 26. EQUINI SCHNEIDER 1987, n. 19, p. 16; ENSOLI 2002, p. 137. 20 EQUINI SCHNEIDER 1987, p. 82; VISCONTI 1860, p. 432. 21 VISCONTI 1860, p. 437, fig. 1, R 3a, b. 22 CIMA 2010, pp. 159-165; cfr. MANETTA, fig. 5. 23 VISCONTI 1860, p. 437. 24 VISCONTI 1860, p. 428 e ssg.; già studiate da MORETTI 1968, I, pp. 99-107 (n. 117, n. 118; nn. 120-121; n. 122) e da EQUINI SCHNEIDER 1987, pp. 70 e ssg. e nt. 10, la quale fa notare che le iscrizioni bilingui in latino palmireno sarebbero opera di siriani insediati a Roma in maniera stabile per un periodo lungo, quelle in greco palmireno espressione di commercianti siriani che sostavano a Roma per brevi periodi. 18 19

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Attraverso questi documenti epigrafici il Visconti giunse alla conclusione che: “fu in questo luogo un tempio di Belo eretto dai Palmireni”25. Sacerdoti di Iside e Cibele, tra Ostia e i Colli Albani in contesti funerari Risale al 1929 il rinvenimento sulla via Severiana, nella necropoli di Porto all’Isola Sacra, di un rilievo datato alla metà del III sec. d.C.26 sul quale è rappresentato un sacerdote nell’atto di officiare un sacrificio a Cibele27 (fig. 4). Il personaggio, un uomo maturo con profonde rughe sul volto, indossa una lunga tunica e pantaloni orientali. Nella mano sinistra ha un piatto con le offerte, e con la destra le pone su un thymiaterion. Sulla testa ha una corona con protomi di Cibele e Attis, e al polso destro indossa un grande bracciale con l’immagine di Cibele che lo connota come Arcigallo. La statua di culto della dea in trono è posta su un alto pilastro con ai lati due torce accese. Davanti a lei, su un tripode con zampe leonine, è raffigurato Mercurio fanciullo. Il rilievo, rinvenuto insieme ad un altro in cui compare lo stesso sacerdote e ad un grande coperchio di sarcofago con la statua ritratto del medesimo personaggio, faceva parte di un unico complesso sepolcrale. Si tratta di un Archigallus di Porto, carica attestata da diverse iscrizioni28. Nel 1824, ad Ostia, fu rinvenuto un cippo29, databile al II sec. d.C., al centro del quale, in una nicchia, è rappresentata una VISCONTI 1860, p. 430; si tratta delle iscrizioni CIL VI, 50 = ILS 4334; MORETTI I, 1968, n. 117; CIL VI, 51; MORETTI I, 1968, n. 118. 26 SIMON 1972, n. 3103. 27 CALZA 1940, pp. 205-210. Il rito segreto 2005, p.238: P. Olivanti. 28 CIL XIV, 408; THYLANDER 1952, A 92, A 142, A 295. 29 NIBBY 1849, II, pp. 470-471. LIVERANI 2008, p. 41 ss, fig. 2; dagli scavi eseguiti da C. L. Visconti al Campo della Magna Mater tra il 1867 e il 1869, provengono una statuetta di Attis giacente dedicata da C. Cartilius Euplus ed una cista con simboli metroaci, entrambe oggi ai Musei Vaticani (VISCONTI 1869, pp. 224-245). 25

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figura maschile con un copricapo alto e appuntito, che indossa il tipico abbigliamento orientale costituito da un corto chitone, una cappa fissata sulla spalla destra con un fermaglio e lunghe brache. Nella mano sinistra tiene un rotolo di pergamena e nella destra un flagellum. Ai lati della nicchia sono rappresentati due fiori di loto stilizzati che, nel lato destro, fungono da sostegno ad una hydria, al di sopra della quale è un gallo e, nel lato sinistro, a due capsae, al livello superiore delle quali è rappresentato un urceus. Nel margine superiore del cippo e al di sotto della nicchia è incisa la seguente iscrizione che ci permette di identificare il personaggio come sacerdote di Iside e di Cibele30: [Dis] M(anibus) [s(acrum)] / L(ucius) Valerius L(ucii) fil(ius) Fyrmus / sacerdos Isidis ostens(is) / et M(atris) D(eum) tra(n)stib(erinae) fec(it) sibi. L’ultima attestazione presa in esame è relativa ad una stele in cui è rappresentato il busto di un sacerdote con il braccio destro alzato, in atteggiamento di adorazione, mentre il braccio sinistro è abbassato e tiene una patera (fig. 5). Il personaggio indossa una tunica e un mantello. La testa è velata e sulla fronte compare un diadema con gioiello. Di lato, sopra la spalla sinistra, è rappresentata a rilievo la testa di un leone. L’iscrizione31, che si trova nella parte bassa della stele, risulta mancante nella parte angolare sinistra32 che tuttavia è conservata in un disegno di Borsari33: fu rinvenuta nel 1895 nell’area interessata dagli scavi del Fortunati (1857-59)34 e dello Stevenson (1875-1876)35, all’altezza del terzo miglio della via Latina36. Attraverso il frammento angolare sinistro conosciamo il luogo del rinvenimento della stele37, entrata nel 1838 nel CIL XIV, 429. CIL VI, 19875. 32 SINN 1991, p. 44. 33 BORSARI 1895, p. 104. 34 GARRUCCI 1859; Bull. Inst. 1857 p. 177; Bull. Inst. 1858, p. 17; Bull. Inst. 1859, p. 99. 35 Bull. Inst. 1875, pp. 225-230; Bull. Inst. 1876, pp. 193-204. 36 BORSARI 1895, pp. 103-104. 37 BORSARI 1895, pp. 103-104. 30 31

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Museo Lateranense38, e possiamo ricostruire il testo dell’iscrizione: C. Iulio Basso / M. Aquilius / Primigenius / contubernali suo b.m.f. / cum quo vixit an. XXXI / archigallo Tusculanor(um) / et sibi. Il rilievo è quanto mai singolare visto che restituisce l’unica rappresentazione sicura di arcigallo39, peraltro tuscolano, come è documentato dall’iscrizione e dal luogo del ritrovamento sulla via che conduceva a Tusculum. È interessante notare che il contubernalis è un uomo e che l’iscrizione documenta una relazione omosessuale durata 31 anni40. Un’altra attestazione relativa ad un addetto al culto della Magna Mater proviene da Genzano di Roma, dove nel 1736, fu rinvenuto un rilievo con la rappresentazione di un gallus. Probabilmente si tratta di una stele sepolcrale di età antoniniana, a cui Della Giovampaola ha dedicato un contributo in questo volume. Testimonianze isiache tra Ariccia e Nemi Il reperto più interessante che attesta il culto isiaco in area albana è un frammento di rilievo su tre registri41 (fig. 6) rinvenuto in una tomba a fossa durante i lavori di sterro per la realizzazione di una cantina, a 15 metri dal ciglio dell’Appia Antica e nei pressi della chiesa di Santa Maria della Stella, ad Ariccia. La sepoltura del defunto all’interno della fossa era rivestita di lastre marmoree decorate e coperta parzialmente con

SINN 1991, p. 45, nt. 3. SINN 1991, p. 44. 40 SINN 1991, p. 44; GRANINO CECERE 2007, 258-259. 41 Collocazione attuale: Palazzo Altemps, Sala dei culti pubblici e privati; inv. n. 77255. Provenienza: Ariccia, Via Pratolungo, 1919. Datazione: 100-110 d.C. Misure: alt. 50 cm.; lungh. 111 cm.; prof. 6 cm. Materiale: marmo lunense. Ricomposta da più frammenti: la parte sinistra è interrotta da una frattura obliqua. Cfr. DE ANGELIS D’OSSAT 2002, pp. 266-267. 38 39

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una tegola recante il bollo CN. DOMIT. ARIGNOT 42. Nei pressi della tomba fu rinvenuta anche una lucerna fittile con bollo43. Nella campata centrale del registro superiore compare una figura femminile con un rotolo, fiancheggiata da due alti candelabri44. Il prospetto architettonico con le figure dei babbuini (rappresentazioni del dio Thot), di Bes, Apis e di una dea in trono, è identificabile con un santuario di Iside. Il registro mediano mostra la scena di una danza rituale. La scena rappresentata che si svolge davanti ad un portico con divinità sedute in trono, è forse connessa con la festa del Navigium Isidis che veniva celebrata il 5 marzo, con la riapertura della stagione della navigazione. La cerimonia aveva inizio con una processione in onore di Iside, protettrice dei naviganti, e si chiudeva con il varo di una nave che veniva consacrata alla dea. Al di sotto, è rappresentato un corso d’acqua con ibis in diverse pose. Il tema della danza cultuale con spettatori, presente nel registro mediano, è un unicum e non è documentata in nessun altro modo per quanto riguarda il culto isiaco45. La tegola rinvenuta nella sepoltura, in un contesto secondario, presenta un bollo di Cn. Domitius Arignotus, personaggio che compare anche quale fornitore di materiale edilizio per il più grande e più importante tempio di Iside in Roma. Singolare è il sistro presente su alcuni dei suoi manufatti e che qualifica Arignotus quale seguace di Iside. Secondo un’ipotesi la tegola e il rilievo provengono dal medesimo edificio, una tomba localizzata sulla via Appia Antica nei pressi della chiesa della Stella, nel territorio di Ariccia. Forse potrebbe trattarsi della sepoltura dello stesso Arignotus, il quale potrebbe essere legato alla città di Aricia. Circa 100 anni dopo, tra il 175 e il 225 d.C. (periodo a cui risale la lucerna fittile rinvenuta nello stesso contesto sepolcrale) la La tegola rinvenuta nella sepoltura, in un contesto secondario, presenta un bollo di Cn. Domitius Arignotus, produttore di materiale da costruzione in molti edifici e attivo tra il 75 e il 100 d.C.; cfr. CIL XV, 10 b. 43 CIL XV, 6445; PARIBENI 1919, p. 106. 44 CAIN 1985, tavv. II, 1 - III, 1 - VII. 45 LEMBKE 1994, p. 98. 42

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tomba fu saccheggiata e il rilievo fu probabilmente danneggiato durante il trasporto. Ma, grazie all’uso secondario, sfuggì alla distruzione. Si tratta di una delle poche testimonianze del lusso che caratterizza le tombe alto-imperiali. Nel rilievo si ravvisa un contrasto tra la rappresentazione del registro superiore, incentrato sull’architettura e la statuaria ieratica, e il registro mediano, dove compare una raffigurazione naturalistica di danzatori e spettatori in movimento. Dai confronti formali e stilistici, come ad es. i festoni del podio nel registro mediano, il rilievo è stato datato ad un’epoca tardoflavia-primotraianea 100110 d.C. Nel rilievo è probabile così che sia raffigurato l’Iseo del Campo Marzio, ipotesi che sembra suffragata anche dai rinvenimenti archeologici provenienti dalla zona, i quali sembrano concordare con le rappresentazioni del rilievo nel registro superiore (i babbuini, le basi di candelabro, il bue Apis, le sculture egittizzanti). Tuttavia non è escluso, considerato che nell’area nemorense è documentato il culto di Iside già nella prima età imperiale, che possa trattarsi della rappresentazione di una cerimonia che si svolgeva in ambito aricino, verosimilmente in un luogo di culto locale dedicato alla dea46. Presso il Teatro di Valle Giardino a Nemi, durante gli scavi del Gatti (1924-1928)47, furono rinvenuti tre reperti, conservati presso il Museo delle Navi Romane di Nemi, che attestano il culto di Iside. Si tratta di una piccola testa in avorio della dea e di due bronzetti con Arpocrate seduto. Il primo regge col braccio sinistro una grande cornucopia, il secondo con piuma in testa regge con il braccio destro un animaletto. Il ritrovamento di questi due bronzetti (alt. m. 0.028, largh. m. 0.020), probabilmente votivi nei pressi del Teatro di Nemi, è di estremo interesse per chiarire alcuni disegni di Pirro Ligorio raffiguranti alcuni bronzetti di Arpocrate tra i quali uno seduto ritenuto moderno48. Poiché Ligorio si ispira generalmente a pezzi antichi, è molto probabile che egli conoscesse uno di LEMBKE 1994, p. 102. MORPURGO 1931, pp. 237-305. 48 PALMA VENETUCCI 2010, p. 68, fig. 6. 46 47

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questi esemplari: Nemi è località ben nota al Ligorio che menziona nei suoi manoscritti un pezzo ritrovato appunto sul lago di Nemi49 ed anche le navi di Nemi erano state già scoperte alla metà del 1400. La testa di Arpocrate presenta le tipiche caratteristiche etniche dei bambini egiziani. Tuttavia il dio è rappresentato in una posa che si discosta da quelle usuali, in cui compare in posizione eretta, e l’indice della mano destra, solitamente portato alla bocca, indica viceversa la cornucopia che egli tiene nella mano sinistra. Si tratta probabilmente di una rappresentazione realistica di Oro fanciullo di produzione romana50. La testina di Iside è di tipo ellenistico e presenta un’acconciatura stilizzata trattenuta con il diadema ad apice tipico della dea51. Culto di Artemide Efesia tra Ostia e Ariccia Un’attestazione del culto di Artemis Efesia proviene da Villa Falconieri-Rufinella nel territorio dell’odierna Frascati, ma è oggi dispersa (fig. 7b) . Della statua in marmo restava soltanto la parte sinistra del torso con braccio e parte dell’avambraccio. Sul petto una ghirlanda di fiori che termina con delle ghiande. Al di sotto tre file di mammelle. Come in altri casi, la dea indossa una veste cerimoniale di origine orientale decorata con rilievi. Infatti sull’ependytes, al centro, restano tracce di tre protomi di probabili leogrifi non chiaramente riconoscibili, ma che si possono ricostruire sulla base di una statuetta di Artemide Efesia in alabastro, rinvenuta a Roma nel Settecento sull’Aventino (fig. 7a) . Un altro reperto pertinente ad una statua di Artemis Efesia fu rinvenuto ad Ostia nel 1909. Il polos Colli Albani 2011, pp. 27-37. Cfr. i bronzetti di Arpocrate stanti della collezione Kircher, PALMA VENETUCCI 2010, p. 137, nn. 2-3: G. ROCCO. 51 MORPURGO 1931, n. 127, p. 282; cfr. infra GHINI. 52 THIERSCH 1935, p. 3, n. 4; tav. XXII, nn. 2-4. 53 DE FICORONI 1744, p. 77 e tavola. 49 50

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(fig. 7c) presenta due registri: in quello superiore compaiono due grifoni affrontati, una sfinge e, sul retro, cani che saltano abbaiando e animali fantastici, in quello inferiore, la testa di un grande bovino con orecchie lunghe e appuntite. Ai lati protomi di leogrifi. Il polos, sormontato da un tempietto, costituiva il coronamento di una statuetta di Artemide di Efeso54. Da Ostia proviene anche una statua di Afrodite di Afrodisia rinvenuta in scavi del 1700, già esportata in Inghilterra ed oggi perduta55. Durante gli scavi del Cardinale Despuig (1789-1791)56 fu rinvenuta nella valle di Ariccia una statuetta, oggi dispersa, tipologicamente affine alle rappresentazioni della Afrodite di Afrodisia. L’idolo indossa una larga tunica che scende sino ai piedi e, nella parte anteriore, presenta un rilievo con quattro registri. Nel primo registro, sul busto, compaiono il sole e la luna; nel secondo registro abbiamo il gruppo delle tre Grazie tra due cornucopie; nel terzo la raffigurazione della dea Venere seduta su un mostro marino; il quarto registro presenta tre amorini con arco57. Si tratta di una copia dell’Aphrodite d’Aphrodisias, divinità nota attraverso una serie di 23 repliche58 sparse in tutto l’Impero Romano. Le riproduzioni dipendono tutte da un unico prototipo: il simulacro dell’Afrodite Caria, conservato nel grande tempio di Afrodisia. Alcune di queste opere sono state realizzate in marmo italico da artisti afrodisiensi che lavorarono a Roma, come quella rinvenuta ad Ariccia, databile all’epoca adrianea59.

THIERSCH 1935, p. 20, n. 13; tav. XXXVII, nn. 1-4; NSc 1909, pp. 234235, figg. 2- 2a: D. VAGLIERI; CALZA 1929, p. 172. 55 FLORIANI SQUARCIAPINO 1962, p. 69. 56 VINCENTI 2010, pp. 49 e ss. 57 ROSSELLO BORDOY 2000, p. 36, n. 69; HÜBNER 1862, p. 308, n. 806. Colli Albani 2011, pp. 27-37. 58 FLORIANI SQUARCIAPINO 1959, pp. 99-101. 59 FLORIANI SQUARCIAPINO 1959, pp. 101-105; FREDRICH 1897, p. 365 e ss. 54

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Didascalie Fig. 1. Frammenti di rilievi da Vigna Bonelli (da VISCONTI 1860, tav. R). Fig. 2. Frammento di rilievo con dedica a Bel e Iarhibol (Roma, Centrale Montemartini). Fig. 3. Rilievo frammentario con testa di Astarte (Roma, Centrale Montemartini). Fig. 4. Rilievo con Arcigallo che sacrifica a Cibele da Porto Isola Sacra (Ostia, Museo). Fig. 5. Stele con Arcigallo della via Latina (Museo Gregoriano Profano ex Lateranense). Fig. 6. Frammento di lastra con scena isiaca, da Ariccia (Roma, Palazzo Altemps). Fig. 7a. Statuetta di Artemis Ephesia (Incisione da DE FICORONI 1744) Fig. 7b. Torso frammentario di Artemis Ephesia da villa Falconieri a Frascati, oggi disperso. Fig. 7c. Polos dell’Artemis Ephesia di Ostia (Ostia, Museo).

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