MOTIVI ORIENTALI NEL CULTO DI DIANA A NEMI I.IL SANTUARIO E LE NAVI DI CALIGOLA GIUSEPPINA GHINI
“Dicono che il tempio di Artemide Aricina sia una copia di quello di Artemide Tauropolos, infatti, nei riti predomina un elemento barbarico e scitico.” (Strab. Geografia, V, 12)
Il bosco che circonda il bacino lacustre di Nemi, e in particolare il versante settentrionale, fu luogo di culto fin dall’età protostorica, come attestano sia i ritrovamenti degli inizi dello scorso secolo1, sia i recenti scavi nell’area del Santuario di Diana2. A partire dall’età arcaica, come testimonia Catone3 nel bosco venne dedicato un lucus4 a Diana, dea latina legata alla natura, alla caccia, ma anche alle nascite e alla fertilità. (fig. 1) Suo sacerdote era il rex nemorensis, uno schiavo fuggitivo che succedeva al suo predecessore dopo averlo sfidato in un duello dall’esito necessariamente mortale per uno dei due contendenti,
*Sul Santuario di Diana esiste un’ampia bibliografia, di cui si citano qui solo i testi più completi: MORPURGO 1903; COARELLI 1987; In the sacred grove, 1997; Nemi-Status Quo 2000. Sugli ultimi scavi: GHINI 1993; GHINI 2006; DIOSONO 2006; GHINI-DIOSONO c.s. 1 GIEROW 1964;.GIARDINO 1985; CARANCINI 1991. 2 BRUNI-CALDERONI 2009. 3 Cato, Orig., fr. 58: secondo l’autore fondatore del lucus sarebbe stato il tuscolano Egerio Bebio; invece secondo Festo (p. 128 L) si sarebbe trattato dell’aricino Manio Egerio. 4 Per il significato di lucus si veda in particolare Les bois sacrés 1993.
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che, prima della sfida, doveva cogliere un ramo di vischio da un albero di quercia5. Gli stessi antichi avevano probabilmente perso memoria dell’origine di un rituale così inusuale nel mondo latino, che spiegavano con una provenienza greca: sarebbe stato Oreste, figlio del re di Micene Agamennone e di Clitennestra, che, dopo aver ucciso la madre e il suo amante Egisto per vendicare la morte del padre, fuggito nella Tauride (attuale Crimea), avrebbe ritrovato la sorella Ifigenia, creduta morta e invece divenuta sacerdotessa della divinità locale, la Artemide Taurica, che esigeva sacrifici umani; i due, fuggiti insieme con il simulacro della dea, avrebbero costeggiato la Grecia, giungendo fino alle coste dell’Italia meridionale e da qui, risalendo il Tirreno, sarebbero giunti sino alle coste laziali, per approdare infine sul lago di Nemi6. Grazie a lui e ad Ifigenia, quindi, si sarebbe instaurato nel bosco sacro a Diana il culto sanguinoso dell’Artemide Taurica, che prevedeva il sacrificio degli stranieri sul suo altare. Primo rex nemorensis, secondo un’altra tradizione anch’essa di origine greca, sarebbe stato Ippolito, figlio di Teseo, re di Atene È noto come il rituale della successione cruenta del rex nemorensis abbia ispirato “Il ramo d’oro”, di James G.Frazer; l’opera, scritta nel 1890, può essere considerata una pietra miliare della storia delle religioni e dell’antropologia, anche se alcune teorie in essa contenute sono attualmente superate. L’autore, partendo dalle rive del lago nemorense, compie un excursus attraverso usanze e rituali del mondo e di popoli all’epoca definiti “primitivi”, cercando correlazioni, secondo un metodo comparativo diffuso nella cultura positivista degli inizi del XX secolo. Secondo J.G.Frazer la successione cruenta del sacerdote di Diana nasce dall’esigenza che il resacerdote, personificazione della natura boschiva e della fertilità, non invecchiasse, né si ammalasse e cedesse il passo ad un successore più giovane e forte, non appena desse cenni di un cedimento fisico. La sua morte, ottenuta con lo spargimento di sangue, fecondava la terra; la sua natura servile e la sua provenienza straniera lo ponevano al di fuori della comunità, così come il vischio, la pianta che egli doveva cogliere prima di affrontare il sacerdote in carica, pianta parassita che nasce dalla quercia, non appartiene né alla terra né al cielo, né all’umano né al divino. 6 Strab., Geogr., V, 2; Ig., Fab., 261; PASQUALINI 2009. 5
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e figliastro di Fedra, accusato ingiustamente da quest’ultima di averla insidiata. Cacciato dal padre, il giovane sarebbe morto travolto dai cavalli imbizzarriti del suo carro, ma, resuscitato dal dio medico Asclepio per intercessione di Artemide, venne trasformato in un vecchio, per non essere riconosciuto e, con il nome di Virbio (vir bis = uomo per la seconda volta) sarebbe stato portato sulle rive del lago di Nemi, esercitando il culto di Diana, che per questo era chiamata anche Virbia7. In ricordo di questo mito nel Santuario era interdetto l’ingresso ai cavalli. Secondo Virgilio invece Virbio era il nome del figlio di Aricia, principessa di Trezene, città del Peloponneso8. Questo quanto riportano le fonti antiche; quello che è certo è che ancora ai tempi dell’imperatore Caligola la successione cruenta era in uso9 – tanto che l’imperatore inviò quello che Svetonio definisce “un suo sicario” per eliminare il sacerdote in carica – e lo rimase per lo meno fino al II sec. d.C., quando ancora ne parla Pausania10. Il rex nemorensis era identificato anche con Giove, cui era sacra la quercia; la sua morte rituale, inizialmente un vero sacrificio, successivamente dovette trasformarsi in duello-spettacolo, che, a partire dal I sec. a.C., si svolgeva nel piccolo teatro presso il Santuario11. Ciò che si evince da questo culto inusuale è che l’Artemide Taurica si sovrappose ad una precedente Diana latina, protettrice della caccia e delle nascite, a sua volta succeduta ad una precedente divinità silvestre. É verosimile che sia stato importato dalla Grecia; infatti il viaggio di Oreste e di Ifigenia segue la stessa rotta dei commerci greci verso l’Occidente12. Ov., Fast., III, 262-272; Ov., Met., XV, 488 ss. Verg., Aen., VII, 761-782. 9 Svet., Cal. 35 10 Paus., Descr., II, 27,4. 11 Per gli scavi al teatro: MORPURGO 1931. 12 Pausania (Descr., III, 17,7) pone in relazione l’Artemide Taurica con la Orthia venerata a Sparta, dove il rituale prevedeva un’ iniziazione violenta, 7 8
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La sovrapposizione dell’Artemide Taurica dovette avvenire non prima del V sec., a seguito della diffusione del mito di Oreste e Ifigenia narrato nelle tragedie euripidee13. In questo periodo il Santuario nemorense aveva anche un significato politico, essendo il centro federale delle città latine che si riunivano presso il Lucus Ferentinae o bosco ferentino, identificato a Monte Savello, ad Albano; tale funzione politica, già indebolita dopo la battaglia del Lago Regillo (499 o 496 a.C.), finì definitivamente dopo lo scioglimento della Lega Latina nel 338 a.C.14 Alla fine del II sec. a.C. il Santuario venne ricostruito con un aspetto monumentale e scenografico, analogamente a quanto avvenne in altri santuari laziali coevi o di poco posteriori: quelli di Giunone a Gabii, di Ercole Vincitore a Tivoli, di Fortuna Primigenia a Praeneste, di Giunone Sospita a Lanuvio, di Feronia a Terracina. A questa fase è attribuibile l’impianto attualmente visibile, costituito da almeno due terrazze, di cui quella inferiore consistente in una piattaforma di m. 200 x 175, sostenuta a valle da sostruzioni triangolari (A) e a monte, su due lati, da nicchioni semicircolari (B) nascosti da un portico dorico con colonne in muratura intonacate in rosso e trabeazione in peperino (R), dietro il quale, separato da un muro (Q) si trovava un secondo con fustigazione, per i giovani; tale inusuale rito viene citato anche da Cicerone (Tuscul., II, XIV, 34); sul suo significato: BRELICH 1969, p. 245. Il culto sarebbe attestato anche nell’Attica a Brauron, ad Halai Araphnides (Loutsa?), a Rodi, in Asia Minore a Focea, Hierakome, Laodicea e, nel Ponto, a Komana, Komana Pontike, Hierapolis-Kastaba (fig. 5); in alcuni di questi santuari sono noti rituali cruenti: ad Halai il taglio della mano con una spada, a Focea il rogo umano (GULDAGER BILDE 2003, p. 167). 13 Ifigenia in Aulide e Ifigenia in Tauride; secondo Coarelli (1987, p. 167) nell’introduzione dei miti di Oreste e di Virbio si deve riconoscere l’influsso di Cuma, intervenuta a fianco delle città latine nella battaglia di Ariccia contro Etruschi di Chiusi (Porsenna) e Romani; al contrario Guldager Bilde ritiene che il culto dell’Artemide Taurica non sia stato introdotto a Nemi prima delle guerre mitridatiche (GULDAGER BILDE 2003, p. 177). 14 AMPOLO 1981.
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colonnato dorico, di minori dimensioni, in peperino (Z) 15 (fig. 2). La tecnica impiegata è il conglomerato cementizio, rivestito in opera incerta e reticolata di peperino e basalto e, per i restauri adrianei, l’opera mista di reticolato e laterizio. Sulla terrazza erano dislocati il Tempio della dea (K), ambienti per i sacerdoti e i fedeli (F). Nel I sec. a.C. vennero addossati al muro di fondo della terrazza inferiore del Santuario una serie di ambienti chiusi (M), tra cui un’esedra semicircolare, che, per la ricchezza e la quantità dei reperti che contenevano vennero definiti “celle donarie”; nello stesso periodo vennero realizzati, all’esterno del Santuario, bagni idroterapici (T) e un piccolo teatro (S). Sulla terrazza superiore si trovava una vasca circolare, sostituita nel I sec. d.C. da un monumentale ninfeo ad esedra semicircolare, con sottostanti ambienti quadrati, che anticamente era rifornita d’acqua da una vicina fonte, verosimilmente identificabile con quella sacra alla ninfa Egeria citata dalle fonti16. Al di sotto del ninfeo, in quello che probabilmente fu il primitivo luogo di culto, si mantenne anche in età storica la memoria del bosco e dell’albero sacro17. Restauri e abbellimenti vennero apportati dagli imperatori giulio-claudi e antonini, in particolare da Adriano, a cui risale il rifacimento dell’ala settentrionale del portico interno al recinto a nicchioni e di un edificio già appartenuto a Dario, figlio del re dei Parti, che qui ci interessa per il rapporto con l’Oriente. Il Santuario venne frequentato fino al IV sec. d.C., anche se il suo declino dovette iniziare poco dopo il II sec. d.C. Nel lungo arco di tempo della sua frequentazione il Santuario subì diverse trasformazioni, anche nel culto. GHINI, in Nemi. Status Quo 2000. Ov., Metamorph., XV, 488 ss. 17 Qui si è infatti rinvenuta un’area priva di costruzioni, con ceramica della media età del bronzo e resti di piante dello stesso periodo (cfr. nota 1) e accanto quello che è senz’altro identificabile con l’alloggiamento per una pianta (l’albero sacro); GHINI c.s. 15 16
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Diana era venerata nel suo triplice aspetto di Diana (dea della caccia), Lucina (protettrice delle nascite) ed Ecate (dea infera) e come tale era raffigurata la sua statua di culto, di cui abbiamo la rappresentazione numismatica in una moneta repubblicana di P.Accoleio Lariscolo18 e una copia marmorea arcaistica di età augustea19. Anche Artemide Tauropolos era identificata con Ecate e, benché le fonti 20 riferiscano che, proprio per la ferocia del rituale della successione cruenta del rex nemorensis, la dea orientale sarebbe stata rispedita a Sparta 21 il legame del Santuario con la divinità taurica era ancora molto vivo nel I sec. a.C., come testimoniano alcune fonti epigrafiche. Nel suo studio sui santuari repubblicani del Lazio F.Coarelli analizza alcune iscrizioni provenienti da quello di Diana; la prima, andata perduta, menziona un Licinio e un Voconio, personaggi che l’autore identifica con Licinio Lucullo e Voconio, il suo legato durante la terza guerra mitridatica (74-73 a.C.)22. Un’altra iscrizione, bilingue in latino e greco23, incisa su una colonna destinata a sostenere una statua, menziona C.Salluvio Nasone, luogotenente di L. Lucullo nella stessa campagna militare; si tratta di un riconoscimento al generale da parte delle popolazioni degli Abbaiatae e degli Epictetes che abitavano i territori tra la Frigia e la Mesia (fig. 3) Lo studioso ritiene che la menzione di ben due personaggi legati a Lucullo sia dovuta ad un episodio avvenuto nel corso della campagna militare contro Mitridate riportato da Plutarco (Luc. 13, 2-3): durante una tempesta venne distrutta l’intera flotta di Mitridate, che rischiò di perdere la vita. Il re dei Parti aveva ALFÖLDI 1960; RIIS 1966. PARIBENI 1960. 20 Ig., Fab. 261; Acr. Ad Hor., C, 1,7,10; Mit.Val. II, 202; Serv. Aen. 2,116 ss. 21 Per i rapporti tra l’Artemide Taurica e l’Artemide Orthia di Sparta si veda la nota 12. 22 Plut., Luc., 13,15. 23 CIL XIV, 2218; GRANINO CECERE 2000. 18 19
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precedentemente saccheggiato il Santuario di Artemide a Priapos, nella Propontide, identificata con la Tauropolos e l’evento venne interpretato come una vendetta della dea. Nella stessa campagna militare, mentre l’esercito romano si preparava ad attraversare l’Eufrate in piena, il fiume si ritirò e le truppe poterono guadarlo senza alcuna difficoltà24; quasi contemporaneamente si vide, su una roccia, una giovenca bianca sacra all’Artemide Persiana (Anahita, identificata con la Tauropolos)25 chinare il capo in un gesto di approvazione dell’avanzata dell’esercito romano, che di lì a poco avrebbe sconfitto quello di Tigrane a Tigranocerta. Pertanto la dedica da parte di Lucullo e quella a Salluvio Nasone sono da spiegarsi con la persistenza del culto della Tauropolos ancora nel I sec. a.C, quando ormai il Santuario aveva perso la funzione federale e la Diana latina, protettrice delle nascite, aveva ripreso il sopravvento nel culto aricino. Un’altra iscrizione, incisa su una cornice marmorea di un monumento menziona il restauro da parte di Adriano ad un edificio (tempio?) costruito da un figlio del re dei Parti26 (fig. 4). Si tratterebbe di Dario, il figlio del re dei Parti Artabano III, portato a Roma come ostaggio sotto Tiberio e mostrato da Caligola nella pompa sul ponte tra Pozzuoli e Bacoli27. Lo stesso personaggio è menzionato su un bollo su una fistula plumbea rinvenuta negli scavi presso il teatro28; il testo (Darii Regis) aveva fatto ritenere che si trattasse di un rex nemorensis, ma alla luce di quanto sopra scritto è evidente che sia da identificare con il Dario menzionato da Svetonio.
Plut., Luc., 24, 2-5 Proc., bell. Goth., IV, 5; bell. Pers., I 17, 11 26 CIL XIV, 2216; COARELLI 1987, pp. 179-180 (l’autore fornisce una spiegazione di propaganda politica dell’episodio: la partecipazione di Dario alla pompa dell’imperatore Caligola che si nominava nuovo Alessandro voleva emulare o perlomeno ricordare le vittorie del Macedone contro i Persiani); GRANINO CECERE 2000, p. 40, fig. 7 27 Svet., Cal.14,3; 19,2; Cass.Dio. 59,7,3; PIR2 D 10. 28 MORPURGO 1931, pp. 252, 298-299; BRUUN 1995, pp. 52-55. 24 25
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Quanto all’edificio da lui realizzato e restaurato da Adriano, si tratterebbe di un fanum sacro all’Artemide Persiana, forse realizzato con il bottino di guerra delle guerre mitridatiche29 (fig. 5). Ma il legame più forte e attestato con certezza è quello del santuario con i culti egiziani, provato da numerosi rinvenimenti. Il più significativo è quello di una stele marmorea con una lunga iscrizione rubricata, menzionante una serie di offerte e doni preziosi ai fana di Iside e Bubasti30; il testo, datato al I sec. d.C., cita statue (ben 17), busti in argento, altari in bronzo, un tripode in bronzo, vasi preziosi, sistri, collane, gioielli, abiti e stoffe preziose, ecc.(fig. 6). Tra gli oggetti di culto del santuario sempre negli scavi del XIX secolo, si rinvennero il manico bronzeo di uno specchio con una palmetta di loto e terminale inferiore a testa di cervo, che rimanderebbe all’Artemide Tauropòlos (ovvero elaphochtonia)31 (fig. 7), una statuina bronzea di Arpocrate secondo la rappresentazione ellenistica di negretto con una cornucopia in mano32, una testina in avorio di Iside33 (fig.8). Dagli scavi condotti negli anni ’20 del secolo scorso proviene una testa marmorea appartenente ad una sacerdotessa di Iside o COARELLI 1987, p. 181; non è invece determinante per il culto dell’Artemide Persiana il rinvenimento di terracotte architettoniche con l’immagine della dea nella posizione della Potnia Theron alata, con polos, che sorregge due leoni, presente anche in altri luoghi di culto dove questa divinità non è attestata (Ardea, Civita Castellana, Lavinium, Chieti, ecc.) (Mysteries 1983, pp. 30-31). 30 L’iscrizione venne rinvenuta nel 1870 accanto a quella menzionante il restauro di Adriano sopracitata, in giacitura secondaria, davanti ai primi nicchioni in opera incerta del santuario; CIL XIV, 2215; MORPURGO 1931, p. 257, 303-305; PASQUALI 1990-91; GHINI 1997. 31 Mysteries 1983, p. 57, fig. 11, N 647; il complesso rapporto tra Artemide Tauropòlos (o Taurica, venerata dai Tauri) e Artemide Tauropòlos o elaphochthonos (che uccide la cerva), che esula da questo intervento, è affrontato e approfondito in GULDAGER BILDE 2003; GULDAGER BILDE 2004. 32 MORPURGO 1931, p. 278, fig. 39. 33 MORPURGO 1931, p. 283, fig. 44. 29
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alla stessa dea34: indossa una cuffia di tipo egizio (klaft o calantica o calvatica) e viene datata al I sec.d.C. (fig. 9). La quantità di oggetti del culto isiaco concentrati nella prima metà del I sec. d.C. è senza dubbio da ricollegarsi alla figura di Caligola, che qui a Nemi possedeva una villa35 e due gigantesche navi, una con funzione di palazzo, l’altra cerimoniale, a bordo delle quali si sono rinvenuti oggetti di culto isiaco, in particolare un sistro36 (fig. 10). È noto come l’imperatore, tramandatoci come un despota sanguinario e folle, fosse particolarmente sensibile alle influenze orientali, avendo trascorso alcuni anni della sua infanzia in Oriente con il padre Germanico e si deve senz’altro a lui, non solo un rinnovato interesse per il rituale sanguinoso della successione violenta del rex nemorensis nel santuario di Diana, ma l’identificazione Diana-Iside, frutto di quel sincretismo religioso introdotto a Roma a seguito della conquista dell’Oriente37. Il suo misticismo religioso lo portava ad adorare la Luna e ad identificarsi con Giove Capitolino e con Giove Laziale, il cui santuario, sul Mons Albanus, incombeva sul lago nemorense, da cui era visibile. É stato peraltro ipotizzato che almeno una delle due navi, la maggiore con funzione cerimoniale, venisse utilizzata per l’Isidis navigium, il rituale dono di modelli navali alla dea, che si compiva il 5 marzo per ingraziarsene il favore e la protezione38. Vedremo meglio nella parte seguente il significato politico, propagandistico e religioso delle due navi imperiali.
MORPURGO 1931, tav. IV. La residenza, situata sulla riva sud-occidentale del bacino, è stata oggetto di scavo da parte degli Istituti Nordici dal 1998 al 2002 (GHINI 2008; MOLTESEN-POULSEN 2010). 36 UCELLI 1950, p. 136, fig. 145. 37 Sulla problematica, soprattutto in relazione alla complessa figura di Caligola: CUMONT 1929; MORPURGO 1933; MOMIGLIANO 1932. 38 WITT 1971; DUNAND 1973; PASQUALI 1990-91. 34 35
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II. IL SANTUARIO E LE NAVI DI NEMI ALESSIA PALLADINO
Il complesso culto sincretistico della Diana Nemorense si lega in modo stretto alla figura dell’imperatore Caligola. Le fonti antiche39 riferiscono, infatti, di un suo grande interesse sia per il santuario che per i suoi rituali. A questi ultimi egli fu certamente legato per via di una profonda valenza politica della figura del sacerdote della dea, il rex Nemorensis, che rendeva ancora vivo, nell’ottica della monarchia teocratica di questo imperatore, il concetto di arcaica regalità. Ma un’analisi accurata del rapporto tra Caligola ed il santuario di Nemi non può esimersi dal valutare anche un altro aspetto legato sempre alla personalità dell’imperatore, vale a dire la sua predilezione per i culti egiziani ben attestati, come abbiamo visto, anche nel contesto del santuario. Un tale interesse si spiega con la profonda ammirazione nutrita dall’imperatore per il suo bisnonno Antonio, ammirazione già viva in suo padre Germanico, che lo portò sicuramente ad interessarsi alle pratiche religiose tolemaiche ed alla terra d’Egitto, fulcro della divinizzazione del suo avo. Nell’ambito di questa propensione di tipo orientale un elemento molto forte è costituito proprio dal legame con il culto isiaco. Racconta a tale proposito Svetonio40 che Caligola non permetteva che fosse ricordata la sua discendenza da Agrippa visto che quest’ultimo aveva comandato la flotta di Ottaviano ad Azio e a seguito di ciò aveva appoggiato Augusto nelle restrizioni verso quei culti isiaci41 che Gaio volle invece reintrodurre nel calendario42. Suet., Cal. 35. Per la bibliografia si veda LEONE 1994-95; BERNARDI 1953, pp. 273-287; NERAUDAU 1988, pp.324-341; PALLADINO 2003. 40 Suet., Cal. 23,1. 41 Cass. Dio. LIII 2, 4; LIV 6, 6. 42 MALAISE 1972, pp. 226-227. 39
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Un primo elemento egittizzante nella personalità di Caligola, le fonti lo ricordano in occasione della divinizzazione dell’adorata sorella Drusilla, alla quale lo legò un amore incestuoso analogo a quelli consumati tra i re tolemaici43. Nell’ambito di questo episodio molto indicativo è sopratutto il parallelo, legato appunto alla propensione di Gaio per i culti isiaci, tra il lutto scomposto dell’imperatore per la sorella ed il dolore di Iside per l’uccisione dello sposo-fratello Osiride. Entrambi i racconti, infatti, si snodano attraverso una sequenza di eventi molto simili44. Ma il legame tra il santuario nemorense, Caligola e l’Oriente venne in un certo qual modo “sublimato” dal recupero nel lago dei resti delle due grandi imbarcazioni45 che grazie alle iscrizioni sulle fistulae plumbee ed ai bolli laterizi fu possibile attribuire al suo regno46. Le due imbarcazioni, nonostante la presenza di alcuni elementi tipici delle navi da guerra, erano in realtà due enormi talameghi posti come una sorta di appendice della villa imperiale presente lungo le rive sud-occidentali del lago (contrada S. Maria) (fig. 11).
Il precedente mitico di questi matrimoni tra consanguinei era rappresentato proprio dall’unione di Iside con il fratello Osiride. Come già aveva sottolineato il Momigliano (MOMIGLIANO 1932, p. 206), il complesso di pratiche legate a questo rituale trova il proprio substrato nella concezione orientale, e più particolarmente egiziana, delle sorelle dee e regine. Secondo la teogonia lagide, infatti, le divinità nascevano sempre a coppie; a questa concezione mitica fanno, ad esempio, riferimento i nomi Alessandro-Helios e Cleopatra-Selene portati dai figli di Antonio e Cleopatra. Perciò Gaio, unendosi alla sorella, poté sublimare la propria divinità mostrando al mondo intero la natura divina della coppia. 44 Sen., cons. ad Polyb. XVI 4-6; Cass. Dio LIX 11, 2-3. Per la morte di Osiride si veda Plut., de Is. et Os. 14. 45 Per la storia del recupero si veda UCELLI 1950; sulla tipologia delle due navi: BONINO 2003.. 46Anche i bolli rinvenuti in entrambe le navi risultarono poi tutti omogenei e contemporanei riportando al secondo quarto del I sec. d.C. (GATTI in UCELLI 1950, pp. 337-348). 43
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Questo tipo di architettura galleggiante trova le sue radici nella terra d’Egitto, i cui sontuosi palazzi sull’acqua erano noti solo da fonti scritte. L’opera di Ateneo “I sofisti a banchetto”, ad esempio, ci ha conservato le uniche due accurate descrizioni di queste realizzazioni navali: la Syrakosía di Gerone II47 e soprattutto la Thalamegós di Tolomeo IV Filopatore48. L’etimologia del nome thalamegós racchiude essa stessa il significato della sua essenza: si trattava di navi con cabine da alloggio, i “thálamoi” appunto, analoghe alle imbarcazioni a fondo piatto utilizzate in Egitto già all’epoca dei Faraoni49. Tolomeo IV monumentalizzò questo tipo di architettura navale passando dal semplice battello con un cassero al centro ad un vero e proprio palazzo galleggiante, per nulla diverso dalle grandi regge ellenistiche. Testimonianze sull’origine egiziana dei talameghi si possono ricavare anche dalle raffigurazioni di tipo nilotico presenti, ad esempio, in alcune case pompeiane50 risalenti all’inizio del secondo stile, ma soprattutto dall’immagine rappresentata nel mosaico del santuario egiziano di Preneste51 (il cosiddetto santuario inferiore). 47Athen.,
Deipnos. V 206 sgg. Deipnos. V 204 sgg. Il passo di Ateneo è stato oggetto anche di attente analisi filologiche per provare a confermarne la veridicità; per una sintesi delle diverse ipotesi vedi CASPARI 1916, pp. 6-11. 49 Rappresentazioni di questi battelli cabinati si trovano appunto sia nelle decorazioni ceramiche più antiche dell’arte egizia realizzate a figure rosse, che nelle pitture murali di città come Hierakonpolis, risalenti alla prima dinastia. L’uso di tali imbarcazioni fu continua spingendosi, attraverso l’età ellenistica, fino all’epoca imperiale. Un paragone interessante con l’architettura di queste navi cabinate ce lo offre, ad esempio, una terracotta di I sec. a.C. proveniente da Alessandria ed ora conservata al Museo Nazionale di Atene che riproduce appunto un battello di questa tipologia; il modellino è stato recuperato privo della prua che doveva probabilmente presentarsi decorata con una protome animale. 50 Si veda in tal senso l’ambiente 11 della casa del Menandro (Regio I, ins. 10, 4), il mosaico nella casa di Paquio Proculo (Regio I, ins. 7, 1) e quello all’interno della casa dell’Efebo (Regio I, ins. 7,11). 51 COARELLI 1990, p. 235. 48Athen.,
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Anche la nave che Gerone II offrì a Tolomeo III, frutto della genialità costruttiva degli architetti di Siracusa, tra cui Archimede, era caratterizzata da altrettanta ricchezza architettonica. Ma essa non era destinata, come quella lagide, alla navigazione fluviale, bensì a quella in mare aperto. Il racconto di Ateneo è certamente quello più dettagliato, ma anche altri autori, descrivendo l’Egitto, ci hanno conservato testimonianze analoghe, seppur meno precise. Ad esempio Strabone, descrivendo il lusso delle navi nelle quali i Lagidi organizzavano le loro feste52, definisce il porto di Schedia53, situato presso Alessandria, nauvstaqmon tw=n qalamhgw=n ploivwn; non è escluso, sostiene a tale proposito Rice54, che queste eleganti navi siano state il modello per gli ingegneri di Tolomeo IV. Appiano ricorda invece55 che il predecessore di Tolomeo IV, Tolomeo II, possedeva più di 800 di queste imbarcazioni, con la prua e la poppa dorate, usate per “trasporti reali” in diverse occasioni, anche di carattere bellico. Talameghi meno ricchi di quelli del Filopatore vennero utilizzati anche dall’ultima regina tolemaica, Cleopatra. Svetonio56 ci
XVII I, 15: [...] eujwcou=ntai d* ejn skanfaiò qalamhgoi=ò, ejndunnonteò ei=ò toV puvknwma tw=n kuanmwn kaiV skiazovmenoi toi=ò fuvlloiò∙ ἔsti gaVr sfovdra megavla, ὥste kaiV ajnti pothrivwn kaiV trublivwn cph=stai∙ [...] 53XVII I, 16: dievcei deV tetravscoinon th=ò jAlexandreivaò hJ Scediva, katoikiva povlewò, ejn ἧ/toV nauvstaqmon tw=n qalamhgw=n ploivwn, ejf*oἷò oij hJgemovneò sijò thVn ἄnwqen katagomevnwn kaiV aJnagomevnwn. «Schedia dista da Alessandria quattro scheni; colonia della città, e contiene la stazione per le thalamegoi con le quali i prefetti salgono all’Alto Egitto». 54 RICE 1983. 55 Proom. 10: [...] qalamhgav te crusovprumna kaiV crusevmbola ejò polevmou pomphvn, oἶò aujtoiV diaplevonteò ejpevbaion oiJ basilei=ò, ojktakovsia. «800 battelli cabinati con le prue ed i rostri dorati per i trionfi di guerra con i quali i re stessi affrontarono i combattimenti navali...» 56 Suet., Caes. 52,1: cum qua et convivia in primam lucem saepe protraxit et eadem nave thalamego paene Aethiopia tenus Aegyptum penetravit, nisi exercitus sequi recusasset; «con la quale [Cleopatra] si intrattenne spesso a banchetto fino all’alba, su una nave fornita di stanze si addentrò nell’Egitto fin quasi all’Etiopia, dove sarebbe penetrata se l’esercito non si fosse rifiutato di seguirlo». Cfr. App., 52
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racconta dei suoi viaggi nave thalamego fino all’Etiopia; Plurarco57 quando invece racconta l’arrivo della sovrana presso Antonio in Cilicia, la descrive sdraiata come Afrodite su un battello dalla poppa dorata quasi a porre l’accento sull’ideologia sacrale sottesa a questo tipo di cerimonia. Nei rituali della religione faraonica, infatti, le processioni ricoprivano un ruolo importantissimo, dal momento che esse costituivano la sola opportunità per la popolazione, esclusa dalla partecipazione alle celebrazioni, di entrare in contatto diretto con la divinità58. Molte di queste processioni si svolgevano lungo il corso del Nilo ed utilizzavano, per il trasporto della statua del dio, talameghi a fondo piatto con al centro un baldacchino dorato; basti pensare alla cerimonia con la quale la statua del dio Ammone era trasportata dal santuario di Karnak a quello di Tebe, o al sacro viaggio fluviale della statua di Apis verso Memphis59. Il faraone stesso, assimilato alla divinità in quanto figlio proprio di Ammone, veniva portato in processione sulle acque sacre del fiume sia in vita che durante l’ultimo viaggio verso la sepoltura reale. Proprio al rituale funerario sono probabilmente legate le cinque grandi imbarcazioni trovate dietro la piramide di Cheope: una di esse era quasi certamente quella utilizzata durante il funerale, mentre le altre sarebbero servite al re per andare nel mondo dell’oltretomba.
bel.civ. II 90: KaiV toVn Nei=lon ejpiV tetrakosivwn vew=n, thVn cwvran qewvm evoò, perievplei metaV th=ò Kleopavtraò. 57 Plut., Ant. 26: ὥste plei=n aJnaV toVn Kuvdnon potamoVn evn porqmeivw/
crusopruvmnw/, tw=n meVn iJstivwn aJlourgw=n ejkpepetasmevnwn, th=ò d*eijresivaò ajrgurai=ò kwvpaiò ajnaferomevnhò proVò aujloVn ἅma suvrigxi kaiV kiqavpaiò sunhrmosmevnon. aujthV deV katevkeito meVn uJpoV skiavdi crusopavstw/, kekosmhmevnh grafikw=ò ὥsper jAfrodivth,...
RICE 1983 p.180. Diod., I 85: ἔpeit* (toVn movscon) eijò qalamhgoVn nau=vn oἴkhma kecruswmevnon ἔcousan ejmbibavsanteò, wvò qeVon ajnavgousin eijò Mevmfin. «Poi si imbarcano su un battello cabinato provvisto di una cabina dorata e lo scortano come un dio fino a Menfis...» 58 59
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Nel reinterpretare gli antichissimi rituali fissati ormai dai tempi delle antiche dinastie in chiave greco-macedone, i re tolemaici non fecero altro che sostituirsi alla figura del dio-faraone. E Caligola che, come già ampiamente dimostrato, aveva una grandissima predilezione non solo per l’Oriente, ma soprattutto per le gesta ed il modus vivendi del suo avo Antonio, non poté restare indifferente a questo tipo di auto-celebrazione così spettacolare. Anche i talameghi nemorensi, visto il contesto sacro fortemente sincretico in cui si trovavano, dovettero avere una profonda valenza sacrale, valenza legata sia alle festività santuariali celebrate alle idi di agosto60, ma anche alle divinità orientali lì presenti61. Tali strutture, infatti, ben si sarebbero prestate alle celebrazioni isiache, reintrodotte a Roma proprio da Caligola. Laghi sacri, bacini artificiali alimentati dalle correnti del Nilo, erano annessi ai più grandi santuari faraonici ed in tali specchi d’acqua veniva celebrato, il cinque marzo di ogni anno, il Navigium Isidis62. Questo potrebbe inoltre spiegare il rinvenimento, sia sulle sponde del lago che all’interno della prima nave, di alcuni strumenti simbolici usati, come testimoniato da fonti letterarie ed iconografiche, durante le cerimonie isiache. Si tratta di un sistro di bronzo, di varie situlae dorate e di un simpulum. A questo proposito è poi molto suggestivo ricordare che, in alcuni rilievi63 provenienti da santuari dedicati ad Iside, è raffigurato un battello ornato al centro del ponte proprio da un cassero. Nel santuario isiaco di Philae, ad esempio, la decorazione Stat., silvae III 52-60; Hor., carm. saec. V 1-2; Ovid., fasti III v. 262 sgg. MORPURGO 1931. 62 Ovid., Metam. XI 7-11; 16-17. Si trattava di una festa stagionale il cui culmine era appunto rappresentato dal varo di una navicella purificata dal sommo sacerdote con una fiaccola, un uovo e dello zolfo e caricata di offerte di ogni tipo. La festa sembra aver avuto anche significato più ampio: non era solamente la celebrazione della riapertura della navigazione, ma il rinnovarsi di tutta la natura. 63 PEKARY 1999: scheda ET-14, rilievo dal tempio di Iside a Philae, p.64; scheda IM-3, rilievo da Messina, p.166. 60 61
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rappresenta il momento conclusivo della festività dell’Inventio Osiridis, durante il quale dei talameghi andavano in processione dalla città alla tomba di Osiride a Bigeh. In un altro rilievo che proviene dal tempio di Iside a Dendera, nell’Alto Egitto, le imbarcazioni sacre sono raffigurate all’interno del piccolo lago prossimo all’edificio di culto64. Nel collocare le due imponenti imbarcazioni nelle limpide acque del lago di Nemi, Caligola volle simbolicamente ricreare una parte di Egitto e ribadire in maniera chiara e inequivocabile la sua fede nei culti orientali.
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G. GHINI – A. PALLADINO Didascalie Fig. 1. Pianta del lago con presenze archeologiche. Fig. 2. Pianta del Santuario di Diana (aggiornata al 2009). Fig. 3. Iscrizione di Salluvio Nasone con dedica delle popolazioni degli Abbaiatae e degli Epictetes Fig. 4. Iscrizione con la menzione del restauro dell’imperatore Adriano ad un edificio costruito dal figlio del re dei Parti. Fig. 5. Carta di distribuzione dei luoghi di culto dell’Artemide Taurica (da GULDAGER BILDE 2003) Fig. 6. Iscrizione sacra di Iside e Bubasti. Fig. 7. Manico di specchio con foglie di loto (da Mysteries 1983). Fig. 8. Testina in avorio di Iside (da NSc 1931). Fig. 9. Testa marmorea di sacerdotessa di Iside (da NSc 1931). Fig. 10. A-B Sistro rinvenuto presso una delle due navi di Caligola (da UCELLI 1950) Fig. 11. Ricostruzione delle due navi secondo Marco Bonino.
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