DANZA
La danza contemporanea verso nuove drammaturgie Con Noemi Arcangeli, Saul Daniele Ardillo, Damiano Artale, Hektor Budlla, Alessandro Calvani, Martina Forioso, Arianna Kob, Philippe Kratz, Ina Lesnakowski, Grace Lyell, Valerio Longo, Ivana Mastrovili, Giulio Pighini, Roberto Tedesco, Lucia Vergnano, Serena Vinzio. Prod. Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto, Reggio Emilia. FESTIVAL TORINODANZA.
NOUVELLES PIÈCES COURTES, coreografia e regia di Philippe Decouflé. Scene di Alban Ho Van. Costumi di Laurence Chalou, Jean Malo. Luci di Begoña Garcia Navas. Musiche di Pierre Le Bourgeois, Peter Corser, Raphael Cruz, Violette Wanly. Con Flavien Bernezel, Meritxell Checa Esteban, Julien Ferranti, Aurélien Dudot, Alice Roland, Suzanne Soler, Violette Wandy, Cengiz Djengo Hartiap. Prod. Compagnie Dca/ Philippe Decouflé, Saint Denis (Fr) e altri 6 partner. FESTIVAL TORINODANZA. Non uno spettacolo unitario bensì una carrellata di pezzi brevi, legati dall’unico filo rosso dipanato dall’inesauribile fantasia di Philippe Decouflé, artista poliedrico capace di amalgamare danza e circo contemporaneo con musica composita - da Vivaldi a sonorità sudamericane - coloratissimi costumi e utilizzo origi-
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nale delle nuove tecnologie. Ecco allora il trio di danzatori-musicisti che combina improvvisazioni rap al microfono con canzoni d’amore eseguite al pianoforte e al flauto traverso, accompagnando il tutto con una coreografia che, senza batter ciglio, affianca danza classica e hip hop. Poi la fantasia - futuristico-fauves ispirata al folklore nigeriano e il duetto aereo che vuole celebrare in un’atmosfera che le proiezioni video e il metallico disegno luci rendono oniricamente irreale - l’atavico desiderio di saper volare. E, in conclusione, la pièce japonaise, in cui il coreografo sintetizza le contraddizioni della cultura giapponese, affiancando al kabuki e alle pitture di Hokusai i manga e quel senso di estraneità avvertito dai visitatori occidentali ben descritto nel film Lost in translation, implicitamente citato. Suggestioni visive e musicali eterogenee che si susseguono senza soluzione di continuità in uno spet-
tacolo che mira, in primo luogo, a offrire un’ora e mezza di meraviglia al pubblico, un divertissement senza implicazioni di sorta. Ammiriamo la perfezione tecnica dei poliedrici interpreti - danzatori e acrobati ma anche attori e musicisti - la cura millimetrica dell’allestimento, in cui nulla è lasciato al caso, e la capacità di Decouflé di immaginare mondi “altri” e mescolare, in modo omogeneo, disparati linguaggi artistici. Eppure lo spettacolo appare effimero quale un soffio di vento: incanta per novanta minuti ma nulla sedimenta nel cuore del pubblico, se non qualche isolata immagine destinata a divenire ognora più sfocata e indefinita. Laura Bevione NON SAPEVANO DOVE LASCIARMI, coreografia di Cristiana Morganti. Costumi di Cristiana Morganti e Francesca Messori. Luci di Carlo Cerri. WOLF, coreografia, costumi, luci e musica di Hofesh Shechter.
Un discorso sull’origine, spesso assai prosaica, di una vocazione e sugli imprevisti di una professione non ordinaria: Cristiana Morganti spinge nove danzatori di Aterballetto a ripercorre sul palcoscenico la propria carriera, fra insulse interviste e infortuni dolorosi. Non un tema originale, ma il reale limite della coreografia ideata da Morganti è la reiterazione di stilemi immediatamente riconducibili a quella che oramai è la “ tradizione” del Tanztheater di Pina Bausch, di cui l’ar tista è stata per lungo tempo membro - e di cui dif fusamente trattò nei precedenti Moving with Pina e Jessica and me. Ecco allora ballerini in tutù e pattini a rotelle; sigarette e bicchieri di vino: situazioni che, benché suggestive, sono divenute cliché che nulla aggiungono, dunque, al percorso ar tistico autonomamente condotto da Morganti. Non sapevano dove lasciarmi, così, si apprezza più per la perfezione tecnica e la generosi tà interpretativa dei danzatori che per l’originalità della coreografia. Diverso, invece, il caso di Wolf, seconda nuova produzione di Aterballetto: il poliedrico artista di origini israeliane Hofesh Shechter immerge l’ammirevole compagnia in un’atmosfera nebbiosa e percorsa da musica ipnotica e sincopata, tramutandola in una sorta di branco, ferino eppure a tratti disorientato. Congerie di creature simili che aspirano a diventare comunità: ecco allora lo struggente duetto con quel deside-