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nati ieri
La drammaturgia contemporanea europea sbarca a Rubiera con Forever Young
I protagonisti della giovane scena/54: si è conclusa alla Corte Ospitale la seconda edizione di Forever Young. Tra i sei finalisti, vince la Compagnia Dellavalle/Petris, mentre segnalati con menzione speciale sono Oyes e Pierfrancesco Pisani.
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di Claudia Cannella
Thea Dellavalle e Irene Petris
Al bando hanno risposto 107 compagnie under 35. Un bel risultato per un progetto residenziale biennale giunto, nel luglio scorso, al compimento della sua seconda edizione (la prima, 2015-16, era stata vinta da Delirio bizzarro della Compagnia Carullo-Minasi, tuttora in tournée e pubblicato su Hystrio n. 2.2018). Parliamo di Forever Young, ideato e promosso dalla Corte Ospitale di Rubiera, con l’obiettivo, nel tempo, di creare un osservatorio permanente sui nuovi linguaggi scenici. In palio, per i finalisti di questa edizione, un periodo di prove in residenza alla Corte Ospitale e, per il vincitore, un sostegno alla produzione dello spettacolo (euro 8.000) e alla sua circuitazione, che prevede anche una replica ospitata nell’ambito del Premio Hystrio 2019 al Teatro Elfo Puccini di Milano. Due le novità dell’edizione 2017-18: l’attenzione, nella scelta dei finalisti, a progetti produttivi che partissero da drammaturgie di autori viventi europei e la possibilità di vedere, alla finale di luglio, tutti e sei gli spettacoli in forma compiuta (non video da 20 minuti come nel biennio 2015-16). Chi scrive è un insider, essendo parte della giuria, composta da Ferdinando Bruni, Paolo Cantù, Giulia Guerra, Carlo Mangolini, Fabio Masi e Pietro Valenti. Meglio dirlo subito. 12 luglio 2018. Arriviamo alla spicciolata alla Corte Ospitale. Le compagnie sono già tutte lì, alcune stanno dando gli ultimi ritocchi in prova, altre sono pronte ad andare in scena. L’atmosfera è serena, l’adrenalina è palpabile ma senza isterismi. Vediamo tre spettacoli il primo giorno e tre il secondo, intervallati da spuntini, pranzi e cene, confezionati in loco dallo staff. La scelta del vincitore non è facile. Il livello, soprattutto degli interpreti, è complessivamente alto. Alla fine la spunta la compagnia Thea Dellavalle/Irene Petris con The dead dogs di Jon Fosse, un thriller dell’anima che, partendo dall’uccisione di un cane, indaga dinamiche famigliari irrisolte, solitudini e violenze serpeggianti in relazioni sociali apparentemente normali. A dominare su tutto la reticenza e la sensazione di una minaccia incombente, con lo sguardo rivolto a Bergman e a Pinter. La giuria lo sceglie, oltre che per la coerenza rispetto alle linee guida del bando, perché «lo spettacolo, pur con ancora ulteriori potenzialità di crescita, già mette in evidenza una regia nitida e compiuta e ha come punto di forza un gruppo di attori e attrici di talento (Alessandro Bay Rossi, Giusto Cucchiarini, Federica Fabiani, Luca Mammoli e Irene Petris), soprattutto nella capacità di sostenere i ritmi e i “non detti” tipici della scrittura di Fosse». Ma da non sottovalutare sono anche Schianto della Compagnia Oyes e Growth della Compagnia Pierfrancesco Pisani, che vengono segnalati con una menzione speciale. Il primo, ideato e diretto da Stefano Cordella, è uno spaccato onirico-surreale di una generazione in crisi, in equilibrio precario su tutti i fronti – lavorativo, sentimentale, ideologico –, senza prospettive e con pochi, quanto confusi, desideri. Bella scrittura, ottimi attori, anche se il piglio acido e politicamente scorretto con retrogusto moraleggiante ricorda un po’ le atmosfere drammaturgiche di Carrozzeria Orfeo. Generazionale è anche Growth di Luke Norris, trentatreenne autore inglese che, con questo testo, ha vinto il Fringe First Award al Festival di Edimburgo 2016. Dialoghi dal ritmo forsennato e una certa logorrea anglosassone raccontano di un ventenne che non vuole crescere, mantenuto dalla mamma, disoccupato per vocazione, lasciato dalla fidanzata e sull’orlo dello sfratto. Tre attori interpretano con bella grinta e ritmo tutti i ruoli, diretti con precisione da Silvio Peroni. Quanto agli altri tre finalisti, molto interessante era il testo Il drago d’oro di Roland Schimmelpfennig, proposto dalla Compagnia Evoè Teatro, una favola nera ambientata in un ristorante thai-cino-vietnamita, in cui si intrecciano in modo apparentemente casuale le storie di chi ci lavora e degli avventori. Crudele e surreale, quanto sottile nelle sue dinamiche interne, è stato un po’ appiattito da soluzioni registiche tendenti allo sketch e da una recitazione sopra le righe. Ambizioso, ma con interessanti potenzialità, era invece Ovid Hotel della Compagnia Giuliano Scarpinato/Wanderlust Teatro, un melò noir-fantascientifico, ispirato al film The Lobster, ambientato in una clinica-albergo dove i clienti devono trovare entro 45 giorni l’anima gemella, pena l’essere tramutati in animali. Fantascienza e futuro distopico, ma senza guizzi di originalità, anche per X di Alistair MacDowall, messo in scena dalla Compagnia Daf-Teatro dell’esatta fantasia, dove un piccolo gruppo di uomini rimane bloccato su una base di ricerca sul pianeta Plutone, trovandosi a fare i conti con l’assenza di cognizione del tempo. ★