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Il playboy più triste del mondo

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di Fabrizio Sebastian Caleffi

«L’unica cosa peggiore del fatto che la gente parli male di te è che nessuno parli di te» (Oscar Wilde)

Cinque Mogli 60 Film: così Mondadori nel 1982 titola, pubblicandola, la vivace autobiografia della Kolossal Celebrity John Huston. Cinque sono anche le signore che sono state sposate con il Maestro Bergman. Perciò la sentimental bio che stiamo per presentare potrebbe, secondo il suggerimento dell’editor, uscire come Cinque mogli, 600 amanti. Ma il marketing propone un’altra soluzione: Il posto delle fregole. Un po’ frivolo, se vogliamo, ma non è il caso di storcere il naso nella prospettiva di un paio di copie vendute in più. Comunque, il vostro recensore di fiducia, come vedete sopra, lette le bozze, ha già deciso la sua personale titolazione. Gli è venuta in mente di botto un pomeriggio in redazione e le ragazze hanno vivacemente approvato. Autore per definizione, il Bergman che sta alla regia come Ingrid sta a Rossellini è stato rivoltato come un calzino (corto) dentro a un sandalo swedish style in occasione del centenario celebrativo della nascita di cotanto genio. Ma le scene dal suo matrimonio multiplo meritano il libro Seicento sfumature di grigio di cui vi sto parlando. Il calcolo per difetto del numero delle lovers viene stabilito su una media statistica di un centinaio di quegli episodi extraconiugali chiamati, in climi meno freddini di quello scandinavo, “corna” per ogni tranche de vie à deux. Quel che subito balza all’occhio nel profilo seduttivo di Maitre Ingmar è la propensione alla tristezza post cojtum manifestata prima delle conoscenze bibliche. In altre parole, stando alla ricostruzione del sexual profilar del proverbiale cineasta e teatrante, il settimo sigillo impresso in calce alle sue conquiste era un cocktail (e se conoscete lo slang cock vi fornisce un sottosignificato in più) di eros cerebrale spruzzato di ennui, servire ghiacciato. Ma andiamo ora a scoprirle le principali coprotagoniste. Ernst Ingmar Bergman di Uppsala sposa la coetanea Else Fischer di Lund, ci fa una figlia, Lena, tre anni dopo divorzia. È proprio allora che la ballerina decide di farsi un bel viaggio di nozze solitario: va in Kenya e ci resterà per tutta la vita. Il Signor B nel frattempo ha conosciuto un’altra ballerina, Ellen Lindstrom, che diventa la sua seconda moglie. Con Ellen i figli sono quattro in un sol colpo (è un modo di dire, non una prodezza sessuale). Poi sul set on location (Heinsingborg) del film Verso la goia incontra la giornalista Gun Hagberg, una taught girl del tipo preferito da Hemingway: caccia, pesca e grazia sotto pressione. La apprezza al punto di metterla incinta, ritrovandosi così a mantenere due mogli, la compagna Gun e cinque figli. I conti non tornano e il regista si adatta a dirigere commercials (messaggi pubblicitari). Sposata la Hagberg nel ‘51, supera di solo 12 mesi la crisi del settimo anno e nel ‘59 celebra le quarte nozze della sua vita con la pianista Kabi Laren, bella estone rifugiata in Svezia dopo l’invasione delle armate sovietiche. Altro figlio e dieci anni di un matrimonio già finito allo scoccare del fatidico settimo anno. Era entrata in scena Liv Ullman! La norvegese nata a Tokyo si trova a interagire con Berit Elizabeth Andersson detta Bibi, conosciuta da Ingmar quando Bergman dirigeva lo spot del detergente Bris. Lo Svengali teatrale, dopo averla ripescata per un piccolo ruolo in Sorrisi di una notte d’estate, la rende protagonista del suo allestimento di Chi ha paura di Virginia Woolf?, per affiancarla quindi a Ullman nel film Persona. Ma Liv non pare avere affatto paura di Bibi Andersson. A Oslo il 9 agosto 1966 nasce Linn, figlia di Liv e di Bergman, che si firmerà sempre Ullman. Nel 1974, separazione da Liv e successivo matrimonio con Ingrid von Rosen, che, fino alla fine, avvenuta nel 1995, risponderà dunque al nome anagrafico di Ingrid Bergman. E sarà l’ultima moglie del Casanova Cupo. Che, precedentemente, ha avuto rapporti significativi con un’altra Andersson, Harriet (una vaga somiglianza con Maria Schneider e Lea Massari) e Ingrid Thulin. Mesdames et messieurs, il catalogo è questo: cinque mogli e nessuna che potesse dire con la Ginzburg «ti ho sposato per allegria». Sua Mestizia Ingmar di Svezia ha dunque conquistato, secondo il per ora anonimo estensore della sua brillante, acuta Love Stories Story con il negative approach. Una tecnica, si deduce, imparata facendo pubblicità. La stessa che ha contribuito a farlo diventare il miglior copy angst del mondo, il campione mondiale dell’angoscia esistenziale, sul podio olimpico dei playboy al gradino più alto, avendo battuto in fotofinish lo svagato dominicano Porfirio Rubirosa, abbattuto da un ostacolo fatale lungo i boulevards, a sua volta per una narice davanti ai bronzei ex aequo transalpini Sartre&Gainsbourg, di pari bruttezza e di egual fascino irresistibile. L’excursus sul cursus honorum virile del Nostro si conclude con un in cauda venenum (capirete tra poco il senso del latinorum): la testimonianza raccolta dal Saggista Mascherato. È stata da lui scovata la quasi centenaria (vivente) Vera Bergman. Che non è un attributo: è una vera attrice, nata Vera von Bergman a Berlino nel 1920; dopo studi teatrali con Max Reinhardt (mica Pinco!), la figlia di Karl, già ambasciatore tedesco a Parigi, approda a Roma allo scoppio del secondo conflitto mondiale (non ancora condiviso dal Crapone) per un provino con Vittorio De Sica (mica Pinco!) che la prende per Maddalena zero in condotta; si ritira dopo L’ultima gara (sic!), film diretto da Piero Costa, collaboratore di Vittorio. Vera a domanda risponde: dei due antagonisti virtuali del cinema europeo, Fellini e Bergman, avrebbe preferito esser diretta da Federico. Perché (parole sue) «un ateo luterano è un figlio di pastore, mentre un cattolico distratto nutre fantasie insuperabili».

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