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danza
Da Trento a Catania, la danza e il suo respiro internazionale
WINTERREISE, coreografia e costumi di Angelin Preljocaj. Scene di Constance Guisset. Luci di Eric Soyer. Musiche di Franz Schubert. Con il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala, James Vaughan (pianoforte) e Thomas Tatzl (voce). Prod. Teatro alla Scala, MILANO - Ballet Preljocaj, AIX-EN-PROVENCE (Fr).
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Winterreise di Angelin Preljocaj vede per la prima volta il coreografo francese all’opera in una nuova creazione commissionata dalla compagnia scaligera. Restio a sviluppare nuovi spettacoli con ensemble diversi dal suo, Preljocaj intrattiene con la Scala un rapporto già avviato agli inizi degli anni Duemila che ha portato all’ingresso in repertorio di tre dei suoi titoli (Annonciation, Le Parc e La Stravaganza). Partendo dai ventiquattro Lieder che Franz Schubert compose sui testi di Wilhelm Müller nel 1828, poco prima di morire, questo Viaggio d’inverno, nella visione di Preljocaj, si incarna nei corpi di tredici ballerini, sette donne e sei uomini di alto livello tecnico, accompagnati dalla voce del basso-baritono Thomas Tatzl e dal pianoforte di James Vaughan. Atmosfere intime, dunque, che vedono nella parte sonora posizionata in proscenio l’elemento di raccordo tra spettatori e interpreti, questi ultimi alle prese con un linguaggio
coreografico da loro molto ben assimilato. La tornitura dei corpi e il lavoro di cesello dei movimenti paiono espandersi secondo differenti rivoli, offrendo allo sguardo diverse possibilità per agganciare quel lirico struggimento che porta alla morte. Da andamenti astratti in cui il movimento, con la propria energia modulata, staglia in scena forme edonistiche a sequenze dal taglio prettamente descrittivo, dove è il gesto in specifiche azioni a seguire una testualità, Preljocaj pare non voler aderire in questo caso a una rigorosa prassi compositiva ma perlopiù lasciarsi suggestionare da ciò che la partitura musicale gli suggerisce al momento. Così a volte segue il cantato, dotando gli interpreti di diversi oggetti scenici, e a volte stempera il tutto in un susseguirsi di linee rette e curve che stuzzicano lo sguardo, grazie anche alle belle scene di Constance Guisset e alle argute luci di Eric Soyer. L’intimità di cui l’opera Winterreise necessita per essere apprezzata appieno risulta, però, qui elusa da un andamento coreografico altalenante e poco incline a restituire visivamente le sensazioni immaginate da Schubert. Carmelo A. Zapparrata
EXCERPT FROM GOLDBERG
VARIATIONS, coreografia di Steve Paxton. Musiche di J. S. Bach. Con Nicholas Sciscione. UNTITLED TOUCH, coreografia di Stephen Petronio. Costumi di H. Petal e Naomi Luppescu. Musiche di Son Lux. BUD SUITE, coreografia di Stephen Petronio. Costumi di H. Petal e Tara Subkoff. Musiche di Rufus Wainwright. HARDNESS 10, coreografia di Stephen Petronio. Costumi di Patricia Field ArtFashion. Musiche di Nico Muhly. Luci di Ken Tabachnick. Con la Stephen Petronio Company. Prod. Stephen Petronio Company, NEW YORK.
Un rigore compositivo dalle sfumature cangianti, in cui non si negano le possibilità del sentire umano e si accoglie il pop con passione. È questo che la Stephen Petronio Company ha presentato al Teatro Sociale di Trento. Legato a figure di spicco della postmodern dance, il coreografo Stephen Petronio ha fatto tesoro del proprio passato ampliandone gli orizzonti verso scenari attuali. Durante gli anni del college l’incontro con Steve Paxton porta infatti il giovane Petronio ad approfondire la pratica della danza sino a diventare il primo danzatore uomo della Trisha Brown Dance Company (dal 1979 al 1986). Ammirato in apertura Excerpt from Goldberg Variations di Paxton con l’eccellente Nicholas Sciscione, poi diversi lavori di Petronio, quali Untitled Touch e Bud Suite, l’asso della serata trentina è stato Hardness 10. Si tratta dell’ultima fatica coreografica di Petronio, presentata a marzo 2018 al The Joyce Theater di New York. Come una seconda pelle, aderenti maillot su cui campeggiano diversi graffiti femministi («She is the Boss» e «Read my hips») vestono i corpi di sette danzatori intenti a sviluppare mirabili giochi di incastro accompagnati dalle musiche di Nico Muhly. Movimenti morbidi e fluidi cedono il posto a costruzioni plastiche in cui si nota un raffinato passaggio da piani orizzontali a piani verticali e viceversa. Lucidissimo, l’andamento coreografico procede rivelando strutture ed equilibri nel rapporto tra diversi interpreti per sottolinearne le dinamiche di gruppo oppure la posizione del singolo. Con un titolo che richiama la classificazione della pietra più preziosa, Hardness 10, splende come un diamante rivelandone nel proprio ordito la struttura al taglio. Carmelo A. Zapparrata
THE THREAD, regia e coreografia di Russell Maliphant. Concept di Georgia Iliopoulou. Costumi di Mary Katrantzou. Luci di Michael Hulls. Musiche di Vangelis. Con 18 interpreti danzatori. Prod. Lavris Productions, ATENE - Megaron ATENE - Sadlers Wells, LONDRA - Marche Teatro, ANCONA.
Il “filo” cui fa riferimento il titolo del nuovo spettacolo del coreografo britannico Russell Maliphant è, ovviamente, quello che consente a Teseo di uscire dal labirinto, ma non solo. Si tratta di un filo ben più resistente e di lunghezza quasi infinita, la cui origine è nell’antichità leggendaria e che si dipana fino all’epoca attuale. Una linea, magari non perfettamente dritta, che unisce tradizione e contemporaneità, senza una consistente soluzione di continuità. Ecco, dunque, che la coreografia costruita da Maliphant, a capo di una compagnia formata in parte da ballerini di danze tradizionali greche quali il sirtaki, sviluppa un racconto gestuale assolutamente coeso, in cui il movimento strettamente codificato scivola nella sinuosa azione contempo-
ranea, senza stridii né incoerenze. La scena spoglia, illuminata da luci suggestive che, nella parte finale, disegnano sul palcoscenico strisce parallele variamente attraversate dai danzatori, apparentemente intenti a spezzare un’invisibile, rigida, geometricità. Quella della fila di ballerini impegnati in una rivisitazione del sirtaki ovvero quella, sinuosa in verità, che traccia una sorta di spirale umana che, con ieratica precisione, si scioglie in linee rette. È la geometria dei dipinti che ornavano i vasi greci e che ritornano sui colorati e immaginosi costumi, che mescolano fogge e arti antiche con il gusto contemporaneo. E passato e presente convivono pure nell’ipnotica partitura composta ad hoc da Vangelis, che campiona motivi tradizionali ottenendo un’atmosfera che è perfetto correlativo sonoro di quella geometricità ognora alla ricerca di strade alternative che contraddistingue la coreografia. Uno spettacolo concentrato e ammaliante, che mostra come la fedeltà alla tradizione si possa esprimere al meglio nella contaminazione e nel tradimento, quest’ultimo accuratamente pianificato e messo in atto, come testimoniano i danzatori, fra i quali è impossibile distinguere quelli di balli tradizionali dai professionisti di classica e contemporanea. Laura Bevione
BAUHAUS/BOLERO (Die Feier/
Handman/Bolero), coreografie di Mary Wigman/Edward Clug/Mauro De Candia. Costumi di Elis Griebel/ Edward Clug/Mauro De Candia e Margrit Flagner. Luci di Henrietta Horn e Julian Rickert/Tom Visser e Loes Schakenbos/Mauro De Candia. Musiche di Martin Rapple/Milko Lazar, Justin Hurwitz e Tim Simone/ Maurice Ravel. Con la Dance Company Theater Osnabrück. Prod. Dance Company Theater OSNABRÜCK (De).
A celebrare il centenario di una delle più importanti e influenti avanguardie del Novecento - che sovvertì, tra l’altro, i concetti di linea, ritmo e forma - l’ensemble di danza del Teatro di Osnabrück ha messo in scena un trittico di indubitabile fascino e interesse, presentato per Danza a Bari. La giovanissima e assai valente compagnia (dodici ballerini che non superano i venticinque anni di età) è diretta dall’italiano Mauro De Candia. La serata si apre con una coreografia del 1928, Die Feier di Mary Wigman, di cui sono presentate le prime due parti, faticosamente ricostruite in anni di ricerche da Henrietta Horn e Susan Barnett. I canoni del Bauhaus trovano modo di esplicitarsi con la danza, rivelando straordinaria ricchezza di possibilità. La Wigman allarga lo spettro di ricerca con lo studio dei colori e contaminando la modernità con espliciti riferimenti a suggestioni antiche, come le gestualità rituali balinesi o le vertiginose danze dei dervisci. Handman è un pezzo di gran successo creato due anni fa da Edward Clug. Un virtuosismo di composizioni coreografiche che è anche un bel banco di prova per gli interpreti, impegnati a dimostrare come ancor oggi una concettualità espressa ben cento anni fa riesca a fornire un’inesauribile fonte di ispirazione. Inoltre Clug non rinuncia a un lieve tocco di ironia in un lavoro ammirevole per complessità e leggerezza. Non era facile essere all’altezza di due momenti di così alto livello ma De Candia riesce a fare del suo Bolero un’avvincente conclusione di serata. Imprigionati in un tronco di piramide di fredda luce, i bravissimi danzatori, inguainati in luccicante argento, procedono all’unisono in formazione compatta secondo scansioni precise di ritmo spesso dissonante rispetto all’andamento musicale. Si crea così un flusso incessante e quasi ipnotico tra scena e platea, un’emozione che cattura inesorabilmente lo spettatore. Nicola Viesti
HUMANA VERGOGNA, ideazione, drammaturgia e costumi di Silvia Gribaudi e Matteo Maffesanti. Costumi di Lia Zanda. Luci di Angelo Piccinni. Con Antonella Iallorenzi, Ema Tashiro, Mariagrazia Nacci, Mattia Giordano, Simona Spirovska. Prod. #reteteatro41/Fondazione Matera Basilicata 2019 per Matera Capitale Europea della Cultura 2019, MATERA.
Il progetto La poetica della vergogna è uno dei primi ad andare in porto del nutrito programma di Matera Capitale della Cultura 2019. Un progetto complesso che ha visto dallo scorso anno susseguirsi molteplici contributi e partner anche internazionali intorno al tema della vergogna, filo conduttore dell’intera manifestazione in una città indicata, sino a cinquant’anni fa, per lo stato dei suoi Sassi, una «vergogna nazionale» e che caparbiamente in questo lasso di tempo è riuscita a trasformare il suo paesaggio degradato nel trionfo della bellezza. Atto conclusivo una performance, Humana vergogna, che ha lo spessore di uno spettacolo compiuto e che è stato presentato, non a caso, nella Casa Circondariale della città lucana. Silvia Gribaudi e Matteo Maffesanti fanno ricorso a una grande semplicità di allestimento, che facilita l’empatia con il pubblico, fondamentale per il necessario coinvolgimento, e a una buona dose di leggerezza e d’ironia, tipiche dello stile della Gribaudi, anche nell’affrontare temi assai profondi. Suddivisa in vari capitoli, quasi fulminei sketch, la performance si affi da alla presenza di cinque giovani e infaticabili protagonisti impegnati, con ritmo incessante, ora in coinvolgenti dialoghi o assoli, senza dimenticare di chiamare in causa anche gli spettatori, ora in coreografie che trasmettono vitalità ed energia. Cinque corpi, soprattutto, assai diversi l’uno dall’altro, accomunati tutti dalla capacità di incontrarsi, di stabilire relazioni reciproche nel segno della cooperazione e della solidarietà. Cinque presenze dalla comunicativa contagiosa che va ben oltre il limite del palcoscenico e che rendono Humana vergogna un’esperienza da vivere. E per l’autrice di R.osa, che tanto successo ha riscosso negli scorsi anni, un ulteriore, forse più completo, passo in avanti della sua particolare poetica. Nicola Viesti
LIEDERDUETT (DUE EPISODI SU
CAINO E ABELE), da un’idea di Nello Calabro e Roberto Zappalà. Coreografia, regia, luci e scene di Roberto Zappalà. Musiche di Pierpaolo Cimino e Franz Schubert. Costumi di Veronica Cornacchini e Roberto Zappalà. Con la Compagnia Zappalà Danza. Prod. Scenario Pubblico- Czd-Centro di Produzione della Danza, CATANIA - Bolzano Danza/Tanz Bozen, BOLZANO.
IN TOURNÉE
Le opposizioni binarie nascondono sempre dei rapporti simbiotici attraverso i quali si è costruita la storia dell’umanità. Pare essere proprio questo il fulcro dell’ultima creazione di Roberto Zappalà Liederduett (due episodi su Caino e Abele). Il lavoro dall’ampio respiro, frutto del lungo processo creativo tipico del coreografo siciliano, ha visto gemmare prima del debutto due “meditazioni” sulla tematica dei due fratelli biblici (Corpo a corpo e Come le ali) che hanno trovato una propria dimensione speculare in questo allestimento. Tutto al maschile, Liederduett si sviluppa nella forma della doppia coppia, impegnando quattro danzatori a sottolineare sia l’incontro dell’individuo con l’altro da sé, sia le differenti dinamiche che si instaurano nel dialogo tra i corpi. Più che un incontro è uno scontro quello che caratterizza la prima coppia, intenta a prendersi a pugni come in un match di boxe. Sulle sonorità elettroniche composte per l’occasione da Pierpaolo Cimino, i due stemperano l’aggressività in un contatto pieno tra i loro corpi in elaborati groundworks. Chi è il Bene e chi il Male? Chi è la vittima è chi il carnefi ce? Sono i quesiti mossi dai due interpreti, vestiti simbolicamente con magliette di colore rosso e blu. Ceduto il campo d’azione all’altra coppia, vestita con tute mimetiche dai colori variopinti, l’asse drammatico si sposta dallo scontro alla comunione, regalando delicati movimenti all’unisono da cui si stagliano dolci gesti delle mani. A questa nuova dimensione, impreziosita dalle poderose luci ideate dallo stesso autore, fanno da eco diversi Lieder di Schubert eseguiti dal vivo dal controtenore Riccardo Angelo Strano e dal pianista Luca Ballerini. Così, nelle raffinate melodie del compositore austriaco, si conclude questa creazione a due facce che ricalca la forma di una medaglia antica. Carmelo A. Zapparrata
In apertura, The Thread; in questa pagina, Hardness 10 (foto: MoniQue).