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teatromondo Austria: il Festival di Salisburgo e le Wiener Festwochen — di Irina Wolf

Vienna e Salisburgo, le fragilità dell'uomo contemporaneo

Se il festival salisburghese conferma il proprio ruolo pionieristico, nei cento anni dalla fondazione e, grazie a un protocollo rigidissimo a prova di Covid, riesce a offrire spettacoli di qualità, a Vienna va in scena la crisi del presente.

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di Irina Wolf

Il 25 maggio, sul filo di lana, quando quasi tutti gli eventi estivi erano stati cancellati, la direzione del Festival di Salisburgo decise di andare avanti. L’annuncio che l’edizione che avrebbe celebrato i cento anni del festival avrebbe avuto luogo ha provocato molte alzate di sopracciglia. È stato, però, messo in atto un rigido pacchetto di misure di prevenzione. La pandemia da Covid-19 ha costretto l’organizzazione a ridurre i posti disponibili da 240mila a 80mila e a ridimensionare il programma. Ai progettati duecento eventi giornalieri per quarantaquattro giorni, si è sostituito un cartellone di centodieci repliche totali programmate in tutto il mese di agosto. I luoghi di spettacolo e gli orari sono stati pensati così da evitare assembramenti e, per lo stesso motivo, si sono evitati gli intervalli. Per il resto, la città di Salisburgo appariva quella di sempre: strade strette e caffetterie piene di gente, ma, a differenza di quanto avviene in Germania, ben pochi indossavano la mascherina. Non ci sono stati buffet né feste eppure, malgrado le restrizioni, la direzione del festival è riuscita ad allestire due opere, tre drammi e cinquantatre concerti con musicisti di vaglia.

Hugo von Hofmannsthal vs Milo Rau

Fra gli spettacoli teatrali ci sono state due prime mondiali. Zdenek Adamec, del controverso Premio Nobel per la letteratura Peter Handke, è basato su una vicenda reale: nel marzo 2003, il dicottenne Adamec si diede pubblicamente fuoco in piazza Venceslao, a Praga, per protestare contro la situazione mondiale. Il testo di Handke sembra più un saggio che un dramma, ma la regista Friederike Heller distribuisce le frasi fra sette personaggi in modo da evidenziare la qualità poetica del testo. Lo stesso Adamec non compare in scena ma è presentato attraverso le storie raccontate dagli altri. I dialoghi oscillano costantemente fra ricerca storica, esplosioni emotive, reminiscenze musicali, citazioni letterarie e sottili riferimenti all’attualità. L’altra prima mondiale, Everywoman, di Milo Rau e Ursina Lardi, è una riscrittura del dramma morale di Hugo von Hofmannsthal, Jedermann, tradizionalmente allestito al Festival di Salisburgo. Inizialmente, Rau intendeva sviluppare un monologo drammatico che ponesse i temi di Jedermann in una prospettiva globalizzata e post-coloniale, a partire dalla situazione della foresta amazzonica. A causa della crisi portata dal coronavirus, il regista si è dovuto concentrare su qualcosa di più vicino. Al centro di Everywoman c’è Helga Bedau, un’insegnante in pensione di settantuno

anni, malata terminale di cancro al pancreas. Rau e Lardi hanno incontrato la Bedau in una casa di cura berlinese e riprendendola mentre racconta la sua vita seduta a un tavolo, a richiamare la scena del banchetto di Jedermann. La Bedau parla al pubblico ma si rivolge anche direttamente a Lardi, che interagisce con il video proiettato alle sue spalle. La performance di Lardi è spogliata di ogni sentimentalismo eppure non riesce a convincere. Jedermann rimane il cuore del Festival. In tempi di pandemia, il dilemma esistenziale che informa il dramma di Hoffmannsthal – cosa accade quando la morte fa capolino nelle nostre vite – risulta più stringente che mai. Rifacendosi alla tradizione dei misteri medievali, il testo di Hoffmannsthal, che risale al 1911, venne rappresentato per la prima volta il 22 agosto 1920, con la regia di Max Reinhardt, proprio sulla piazza di fronte alla cattedrale di Salisburgo. Il dramma allegorico – in distici rimati – ha come sottotitolo Dramma sulla morte di un uomo ricco, ed è incentrato sulla figura di Jedermann, la cui insensibilità e l’appetito per denaro e donne, hanno offeso il paradiso. Quando la Morte, inattesa, gli fa visita, Jedermann tenta disperatamente di trovare un compagno per il suo viaggio nell’aldilà. Abbandonato da amici e amanti, finalmente consapevole dalla scarsità delle buone azioni compiute, ritorna alla fede e muore in pace. Al Festival che, smentendo le aspettative, è comunque stato realizzato anche quest’anno, anche Jedermann è stato messo in scena come da consuetudine. Fino a 1.250 spettatori ammessi ad assistere a questo appuntamento all’aperto, con posti fissi e con l’obbligo di indossare la mascherina soltanto all’entrata e all’uscita (consigliato però tenerla anche durante lo spettacolo). Soltanto il 20% circa degli spettatori, tuttavia, ha deciso di rispettare il consiglio. I biglietti erano personalizzati e all’entrata veniva controllato il documento d’identità, così da poter garantire il tracciamento dei contatti. Una curiosità: anche le borsette venivano controllate, alla ricerca di eventuali ventagli, proibiti. La messinscena era quella, assai efficace, realizzata nel 2017 da Michael Sturminger, con il carismatico Tobias Moretti nelle vesti del protagonista. Dare un senso alla vita attraverso l’arte fu uno dei principi all’origine della nascita del Festival di Salisburgo, successiva alla catastrofe della Prima Guerra Mondiale. Il suo centesimo anniversario passerà alla Storia. In virtù delle rigide misure di sicurezza adottate, al 30 agosto non era giunta notizia di eventuali contagi.

Le Wiener Festwochen ripensate

Questa edizione del Festival di Salisburgo ha giocato un ruolo decisivo per gli eventi culturali successivi. Dopo sforzi notevoli, gli organizzatori delle Wiener Festwochen, inizialmente programmate dal 15 maggio al 21 giugno e cancellate per la prima volta dal 1951, sono riusciti a offrire una versione ridotta dal vivo. Quindici delle quarantasei produzioni originariamente programmate sono state incluse nel programma delle Wiener Festwochen, dal 26 agosto al 26 settembre. Gli spettacoli al chiuso nelle sale del Museum Quarter sono stati seguiti da dibattiti con il pubblico. Ci sono stati anche inconsueti eventi all’aperto, come una conversazione fra l’artista tedesco Thomas Geiger e la statua di Ludwig van Beethoven. Lo spettacolo inaugurale, selezionato dal direttore del Festival Christophe Slagmuylder, ha avuto come protagonista Anne Teresa de Keersmaeker. The Golberg Variations, BWV 988 è nato durante il periodo di lockdown quale dichiarazione di amore per Vienna, dove la danzatrice si esibì per la prima volta fuori dal Belgio, ventisette anni fa. Questo nuovo assolo in due parti è in verità un duetto con il pianista russo Pavel Kolesnikov, che interpreta magistralmente le Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach. Decisamente diverso il lavoro della danzatrice e coreografa Marlene Monteiro Freitas. Mal-Embriaguez Divina si riferisce alla “divina intossicazione” di una vita incline al male. Punto di partenza è il saggio di George Bataille intitolato La letteratura e il male. La messinscena consiste in un collage di miniature performative costruite con grande attenzione al dettaglio e con uno humour finemente sfaccettato. Freitas presenta il male come un’unità militare, un tribunale o una scuola. Dei nove personaggi, a uno mancano entrambe le gambe, eppure la danzatrice mozambicana Mariana Tembe si muove con disinvoltura, offrendo una performance fisicamente molto espressiva. Il male è sopra un semplice foglio di carta che viene usato per vari scopi. La coreografia è impeccabile, il ritmo è sostenuto, sviluppando a tratti un dinamismo assurdo. Alcuni spettacoli teatrali, come Dragón di Guillermo Calderón, Eraser Mountain di Toshiki Okada e Ultraworld di Susanne Kennedy sono stati cancellati all’ultimo momento a causa delle restrizioni ai viaggi previste dalla pandemia. Pochi sono stati gli artisti che sono riusciti a raggiungere Vienna. Poiché il tema dell’edizione di quest’anno sarebbe dovuto essere l’antropocene, ecco che Farm Fatale di Philippe Quesne è uno dei migliori esempi della nostra compromessa relazione con la natura. Quesne – autore di testo, regia, scenografia e costumi – ha creato un divertente evento teatrale con una sua profondità filosofica. In verità la fattoria del titolo non esiste più, persino gli uccelli sono scomparsi. Soltanto gli spaventapasseri sono sopravvissuti all’Apocalisse. Indossano maschere bianche, parrucche e stivali di gomma. I loro costumi sono riempiti di paglia, inibendo così i movimenti degli attori. Le loro voci sono distorte. Farm Fatale eccede con il suo goffo attivismo. Cartelloni attorno a una balla di fieno riportano slogan come: «No Nature/No Future». Gli spaventapasseri suonano anche dal vivo e animano una stazione radio pirata che comprende anche un archivio di suoni naturali. La drammaturgia pone in evidenza il messaggio che pesticidi, mucche turbo e carote geneticamente modificate devono essere combattuti. Lo spettacolo abbonda di sipari slapstick e si dimostra un intelligente dramma pastorale che invoca un mondo migliore. Ma si tratta di un universo oramai senza uomini. ★ (traduzione dall’inglese di Laura Bevione)

In apertura, Jedermann (foto: Matthias Horn); in questa pagina, Farm Fatale (foto: Martin Argyroglo).

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