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nati ieri I protagonisti della giovane scena: Kepler-452 — di Matteo Brighenti
Kepler-452, la rivoluzione e come farla dentro e fuori il teatro
Dal Festival 20 30 al teatro partecipato, una convinzione guida la giovane compagnia bolognese nella quotidiana ricerca: non siamo impotenti nei confronti del mondo. E il teatro è un posto magnifico per ascoltare e trasformare la realtà. Con l’aiuto degli altri.
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di Matteo Brighenti
Il pianeta più simile alla Terra e il telescopio che l’ha scoperto. I Kepler-452 portano nel nome altri mondi possibili, e lo strumento necessario a osservarli. «Uno dei movimenti cardinali della nostra indagine è cercare fuori dal teatro qualcosa di completamente diverso da noi – afferma Nicola Borghesi – è un’azione centrifuga che ci allontana da noi stessi, per poi tornare in sala e compiere l’azione opposta e complementare, centripeta: capire quali effetti ha prodotto su ciascuno di noi, personalmente, quasi psicanaliticamente». Uscire dal teatro canonico è l’idea nella quale Borghesi si è riconosciuto con Paola Aiello ed Enrico Baraldi nel 2015 a Bologna, quando hanno dato vita e slancio alla compagnia. Una traiettoria declinata, appunto, come «non chiuderci, coinvolgere persone insolite sulla scena e in platea, divertirci, stare bene, soffrire, annoiarci insieme, attraversare la realtà, con una leggerezza che però non perde mai di vista il prezzo da pagare per attraversarla». In comune hanno una smodata passione per la scoperta di relazioni inaspettate, scovate nelle pieghe di una quotidianità che non è previsto frequentare sul palcoscenico. «Certamente a unirci, ora, è l’incredibile intensità di alcune circostanze, teatrali e afferenti alla realtà (e all’unione tra le due cose) che abbiamo affrontato insieme. Se non sempre ci piacciono o ci convincono le stesse cose, abbiamo orizzonti molto simili rispetto a ciò che ci disgusta».
Festival 20 30, parlare ai giovani
L’urgenza è rivolgersi a un pubblico poco incline a entrare nelle sale teatrali, come i giovani. Gli adulti che parlano ai giovani sono tanti; i giovani, invece, che parlano ai giovani, soprattutto a teatro, sono molto pochi. Con Festival 20 30 i Kepler-452 intendono indagare cosa significa avere tra i venti e i trent’anni oggi, e lo fanno da pari a pari. «Nella giovinezza c’è qualcosa che ha a che fare con il rischio, con lo sconosciuto, che rende più disponibili a lasciarsi influenzare. Per questo, credo, ci interessa parlare con i giovani, perché sono più aperti all’ascolto, a mettere in discussione ogni cosa, a lasciarsi stupire. In tutti i giovani c’è una fiamma di individualità e di vitalità che arde. Non si può dire lo stesso di tutti gli adulti». Ogni anno quattro giovani compagnie tengono un laboratorio di quattro giorni con un gruppo di ragazzi del bolognese con l’obiettivo di farli raccontare di sé in scena. Ognuno di questi laboratori si conclude con una prova aperta, che si dà a margine dello spettacolo della compagnia che lo ha condotto. A completare il quadro, il festival propone un artista della scena musicale contemporanea. La prima edizione è stata nel novembre 2014, per la direzione artistica di Nicola Borghesi. «A trentun’anni ho detto che non avrei più messo bocca nelle scelte delle persone che restavano a farlo, ossia Enrico e il gruppo Avanguardie 20 30, e così ho fatto nel 2017. Enrico sta facendo un lavoro straordinario, secondo me, molto diverso dal mio. Quando anche lui com-
pierà trentun’anni (ora ne ha ventisei) vedremo cosa sarà successo nel frattempo, quali nuove energie si saranno aggregate, che cosa sarà allora il gruppo Avanguardie 20 30».
Gli attori-mondo del teatro partecipato
La prima produzione della compagnia è del 2015 e ha debuttato, non a caso, al Festival 20 30: La Rivoluzione è facile se sai COME farla, con anche Lodo Guenzi, voce de Lo Stato Sociale, ex giudice di X Factor, all’esordio nel cinema con Est di Antonio Pisu. «Io e Lodo ci conosciamo da più di vent’anni, dai tempi delle medie. Tra l’altro, io, lui e Paola abbiamo frequentato la “Nico Pepe” di Udine negli stessi anni e già lì facevamo delle cose insieme. In più, ho collaborato con Lo Stato Sociale negli anni precedenti, con i testi o con le chiacchiere fatte al bar (nucleo fondamentale del nostro lavoro). La Rivoluzione è facile se sai COME farla, comunque, è il primo atto formale di collaborazione di Lodo sotto il nome di Kepler-452». In una piazza circondata di platani e tavolini da bar abbandonati, vediamo avvicinarsi la rivoluzione, quella vera. Un motore che, forse, è comune alle piccole rivoluzioni dei protagonisti, con il loro carico di speranza e di frustrazione. Perché non bisogna essere necessariamente giovani per fare la rivoluzione. «Bisogna conservare qualcosa che ha a che fare con la giovinezza: la capacità di immaginare che il mondo non è immutabile e che noi non siamo del tutto impotenti. Difficilissimo non cadere in questa trappola, man mano che il tempo, infame, scorre. Ma ci si può provare tutta la vita». E da qui è nato La Rivoluzione è facile se sai CON CHI farla, l’inizio ingenuo, ma subito generoso, del loro modo di fare teatro partecipato con gli “attori-mondo”, i non professionisti coinvolti sulla scena non in virtù delle loro abilità teatrali, ma in quanto portatori di un mondo e di una storia: la propria. In seguito, sono venuti Comizi d’amore, Lapsus urbano-Rimozione forzata, Lapsus urbano-Dissenso unico, Manifesto, La grande età. «La cosa in più che il teatro partecipato offre, almeno a chi lo fa, è che non ci si annoia mai, che gli esseri umani, per quanto splendidi o terribili, sono sempre una miniera di stupore. In ogni loro lapsus o atto mancato si staglia, in maniera definita, la profondità abissale dell’esistenza di ciascuno, o l’esistenza di Dio, che dir si voglia. Inoltre, è più difficile cadere nell’autoreferenzialità». La scelta dei temi scaturisce dalle persone o dalle circostanze che incrociano, di volta in volta, ai margini del tessuto urbano, là dove tende a sfrangiarsi, a farsi rarefatto e inquieto. Il contesto diventa il testo o, piuttosto, la drammaturgia: io sono io e dunque anche un altro. Nel 2018 ha debuttato Il giardino dei ciliegi. Trent’anni di felicità in comodato d’uso, lavoro vincitore del Premio Rete Critica. Un modo per interrogarsi su che cosa significa perdere il proprio posto dell’anima per ragioni economiche. Al centro del dramma, infatti, c’è la scomparsa di un luogo magico, che in questa rilettura dell’opera di Anton Cechov diventa la dimora di Giuliano e Annalisa Bianchi, sfrattati dopo trent’anni dalla loro casa colonica in comodato d’uso gratuito dal Comune nella periferia di Bologna. Due personaggi “immaginari”, ma realmente esistenti, interpreti in scena di Gaev e Ljuba, i proprietari del giardino dei ciliegi nella Russia pre-rivoluzionaria. «Solo attraverso la verità si può raccontare la realtà, anche se non è vero il contrario: cioè si può dire la verità anche senza ricorrere alla realtà». Dopo la perdita di un luogo fisico, nel 2019 i Kepler-452 hanno fronteggiato uno smarrimento più ampio, più pervasivo: l’identità. F. Perdere le cose è l’indagine intorno alla biografia di F., immigrato nigeriano di quarantadue anni, conosciuto in un dormitorio per senzatetto. Il permesso di soggiorno lo ha rinnovato durante un episodio psicotico, dimenticandosene (nel frattempo è scaduto e Borghesi e compagnia hanno fatto richiesta di rinnovo). Un incontro, quindi, che F. non può impersonare sul palco insieme a loro. «Riusciamo a essere F. e a restare noi stessi perché andiamo a fondo e cerchiamo che parte di lui c’è in noi, se c’è. Di solito, di tutti gli esseri umani che incontriamo c’è traccia in noi stessi, basta cercarla e poi darle spazio, proiettarla enorme come in un gioco di ombre. A volte è faticoso e fa male, nel caso di F. sicuramente». La Storia si è fatta memoria presente con Era il ’68-L’utopia 50 anni dopo/Sotto i sampietrini c’è la spiaggia e con il successivo È assurdo pensare che gli aerei volino, sulla strage di Ustica. Ma la Storia è anche cronaca diretta per chi la vive: Daily Kepler è stato il “durante” del Covid-19, mentre Lapsus urbano-Il primo giorno possibile ne riporta il “dopo”. «Daily Kepler è una serie di radiodrammi istantanei scritti dal punto di vista di chi percepisce avvicinarsi la pandemia. Sono pieni di stupore, di paura, di speranza di un cambiamento repentino, del desiderio di sentire che, finalmente, la Storia ci passa di fianco, quando avevamo già colpevolmente introiettato il pensierino che la Storia è finita. Mentre Lapsus porta in sé tutto il senso di fallimento, di sconfitta, di chi vede quella possibilità sfuggirgli sotto gli occhi, infinita occasione perduta di tirare il freno a mano a questo mondo diretto a velocità di crociera, verso l’orrore del principio di scambio». Ci vorrebbe un terzo lavoro che analizzasse cosa succede ancora dopo, ma è troppo presto. Intanto, il nuovo spettacolo, Capitalismo magico, tratta di ciò che è magico in sé, ma lo è doppiamente perché sfugge al controllo del mercato. «Succede quando due esseri umani dimenticano di stare all’interno di questa gara dolorosa e insensata e, per un attimo, rimangono zitti e si guardano in un modo che dice: “Ho capito, te sei te”. Una magia – conclude Nicola Borghesi – tanto più bella in quanto assomiglia a quelle erbacce che crescevano in mezzo alle pietre e all’asfalto delle nostre città durante il lockdown». ★
Enrico Baraldi, Paola Aiello e Nicola Borghesi (foto: Luca Del Pia)