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lirica L’opera attraversa la pandemia — di Pierfrancesco Giannangeli, Gianni Poli e Francesco Tei

Con trucchi, magie e adattamenti l’opera attraversa l’epidemia

Nelle Marche niente era scontato, dopo che i numeri, nella prima fase della pandemia, erano stati piuttosto preoccupanti, sommati a un conto pesante in termini di vite umane perdute. Così la riapertura, in agosto, dello storico Rossini Opera Festival, di cui il sovrintendente Ernesto Palacio aveva annunciato già il 19 maggio la presenza. Certo, con un programma rivoluzionato che ha rimandato all’anno prossimo alcuni appuntamenti, ma comunque capace di attrarre la parte che ha potuto di quel pubblico fedele ed entusiasta che ne ha segnato la fortuna per decenni. Alla fine, tra il Teatro Rossini e la piazza, la cantata Giovanna D’Arco e l’opera La cambiale di matrimonio, regia di Laurence Dale, insieme ad alcuni concerti, hanno raccolto quasi seimila spettatori. Il pubblico straniero, da sempre punto di forza del Rof, anche quest’anno non è mancato, pur ovviamente in misura minore rispetto al passato (33% degli spettatori). Il Festival, prima dell’estate 2021, tornerà in autunno, con un’appendice dal 1° al 29 novembre e un cartellone che, tra l’altro, riproporrà l’elegantissimo Barbiere di Siviglia firmato due anni fa da Pier Luigi Pizzi. Entusiasmo e pubblico presente anche a tutte le serate del Macerata Opera Festival, tra luglio e agosto allo Sferisterio e in varie zone della città. Obiettivo raggiunto, come tengono a sottolineare il sovrintendente Luciano Messi e la direttrice artistica Barbara Minghetti, con oltre diecimila biglietti venduti. Sul palcoscenico da cento metri dell’arena neoclassica all’aperto è andato in scena il Don Giovanni di Mozart con la regia di Davide Livermore e, tra l’altro, il Trovatore in forma di concerto, oltre ad alcune serate crossover, occasioni diventate nel tempo tradizionali per mettere in dialogo arti molteplici e protagonisti di estrazione diversa, sempre nel segno dell’opera. Tra i tanti appuntamenti del Mof anche l’ormai celebre Notte dell’Opera, che quest’anno si è moltiplicata per tre date e altrettante location cittadine. La consolidata dimensione internazionale del festival è stata poi confermata anche da un originale passaggio di mano dei biglietti: diversi spettatori che, a causa dell’emergenza sanitaria mondiale, non hanno potuto raggiungere Macerata, hanno deciso di donare i loro tagliandi già acquistati ad altre persone. Pierfrancesco Giannangeli

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BASTIANO E BASTIANA, di Wolfgang Amadeus Mozart. Regia e scene di Davide Livermore. Costumi di José María Adame. Luci di Antonio Castro. Quintetto d’archi del Teatro Carlo Felice, direttore Aïda Bousselma. Con Valentino Buzza, Giorgia Rotolo, Jorge Eleazar Alvarez Mora e 5 attori. Prod. Teatro Nazionale di GENOVA - Teatro Carlo Felice, GENOVA.

La pastorella Bastiana (Giorgia Rotolo), corteggiata da Bastiano (Valentino Buzza), frequenta il bosco dove il sedicente mago Colas (Jorge Mora) millanta i suoi prodigi. Sfoggiando arie, recitativi e cori, l’operina già preannuncia la grazia, arguta e suadente, distintiva del geniale compositore. La vicenda è introdotta, quale affettuosa parodia del genere operistico, dal Nano narratore e dai suoi compari, guitti d’un teatrino da fiera. Le gags da farsa accompagnano gli incontri dei due innamorati. La pastorella si sente trascurata perché il suo amoroso è distratto da una misteriosa Dama del Castello. La coppia in crisi chiede allora consiglio e aiuto a Colas. Il mago suggerirà alla ragazza di mostrarsi fredda e frivola e per il giovane esasperato, che minaccia il suicidio, chiede frecce a Cupido oltre a preparare le sue magie. Attraverso duetti, cori e sequenze danzate, si perviene al lieto fine, pure segnato da una soave malinconia. Nei facili versetti rimati, il “libretto” in italiano concede un omaggio all’ambientazione genovese con inserti in dialetto per i dialoghi fra Colas e Bastiana. I toni delle scene, dal bianco e nero alla variopinta natura favolosa, ben s’accordano con le tonalità delicate o sgargianti dei costumi. Fluido l’amalgama di canto e recitazione - già collaudato nell’edizione spagnola di Valencia (1917) da cui il lavoro deriva - in questa ripresa ricca di innovazioni, suffragate dalla qualità canora degli interpreti (nitida e potente la voce di Bastiana) e dalla guida orchestrale di Aïda Bousselma. L’abilità della regia di Davide Livermore, la sua disinvolta maestria giocosa, conduce al limite del paradosso teatrale uno spettacolo che mantiene l’equilibrio proprio rischiando qualche ammiccamento allo spettatore, comunque divertendolo. Gianni Poli

GIANNI SCHICCHI, di Giacomo Puccini. Regia di Valentina Carrasco. Scene e costumi di Mauro Tinti. Luci di Peter Van Praet. Ort-Orchestra della Toscana, direttore John Axelrod. Con Bruno Taddia, Elisabetta Zizzo, Alessandro Fantoni, Rossana Rinaldi e altri 10 interpreti. Prod. Festival Pucciniano, TORRE DEL LAGO (Lu).

Nello spazio della Cittadella del Carnevale di Viareggio, anziché sul palco del consueto Teatro al Lago, il Festival dedicato al grande operista lucchese ha aperto l’edizione 2020 presentando il primo allestimento in forma scenica di un’opera lirica in Italia e in Europa dopo la chiusura dovuta al Covid-19. Ma l’epidemia è protagonista, sia pure in chiave ironica, a momenti grottesca, come era appropriato per un’opera comica. Buoso Donati muore, molto probabilmente di Covid, fulmineamente irrompe sul palco una squadra di disinfezione e sanificazione in tuta protettiva, la Firenze evocata e celebrata dal testo cantato è quella desertica del lockdown - ritratta in suggestive, inquietanti, liriche immagini. Tutti i personaggi portano la mascherina, anche quando cantano (salvo nei momenti solistici di maggiore impegno vocale). Ma tute, protezioni, mascherine, gel igienizzanti e rapide misurazioni della febbre col termometro inflitte ai nuovi personaggi che arrivano in scena diventano - nello spettacolo di Valentina Carrasco - ingredienti ideali di una sorta di caos organizzato, un divertimento colorito, anche un po’ cialtronesco, con una punta di trasgressione (la bambola gonfiabile che custodisce il testamento di Buoso), completato dall’accumularsi d’invenzioni sui costumi. Le mascherine riportano le figure bizzarre alle atmosfere della Commedia dell’Arte. Un’idea felice, evidente in alcuni passaggi, come durante l’aria del mattatore Gianni (Si corre dal notaio), un Bruno Taddia convincente sia nel canto sia nelle doti d’attore indispensabili per la parte. Tra gli altri interpreti meglio la Lauretta di Elisabetta Zizzo del Rinuccio di Alessandro Fantoni. Il finale - non patetico ma, giusto e toccante - ha previsto un bis di O mio babbino caro, sulle immagini dei volti o delle mani di tanti dei “babbini” e delle “mammine” persi nell’ecatombe di anziani causata dal coronavirus. Francesco Tei

Gianni Schicchi (foto: Lorenzo Montanelli)

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