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humour G(l)ossip — di Fabrizio Sebastian Caleffi
G(L)OSSIP
Woody über Allen
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di Fabrizio Sebastian Caleffi
Se vi state chiedendo come mai non prenderò un paio di Oscar, il prossimo Nobel per la letteratura, qualche Grammy, parecchi Emmy e una sfilza di Tony Awards, la colpa è di Apropos of Nothing, dalla cui lettura è impossibile staccarsi. Comunque, non rammaricatevi troppo: dagli States m’è arrivata quest’estate una laurea honoris causa come well known playwright, che assomma ai miei titoli natali anche il fino a ora mancante titolo accademico, tanto prestigioso nel mondo anglosassone da diventare eponimo di Doc con Dolittle (assonante con Doctor in Litterature per l’uomo che sussurrava ai cavalli, ai cani, ai gatti e alle capre sapeva gridare «capèra, capra»). All’editrice Elisabetta Sgarbi, che ha sfidato il Bigot Power, andrebbe eretto (sempre che il verbo non v’appaia troppo maschilista) un monumento, magari equestre, (che poi un commando di code di paglia infuocate s’affretterebbe di certo ad abbattere) per la pubblicazione tempestiva in tempi mediaticamente tempestosi di questa autobiografia, indispensabile a ogni teatrante. E se il titolo del presente Glossip sembrasse a qualcuno – ma di sicuro non al destinatario, il König Prinz dell’autoironia devastante – di cattivo gusto, pensate a quante calunnie di pessimo gusto si van da tempo lanciando impunemente addosso a Mister Königsberg. Lettura, dicevo, di formazione per ogni aspirante alla ribalta e di conforto per tutti i veterani da camerino, essendo Allen tiratore scelto di polvere di palcoscenico (Bullets on Broadway) fattosi cineasta per potersi autorappresentare scrittore (vedi Manhattan). A proposito di niente non si legge, si ascolta: è il monologo per eccellenza del miglior stand up comedian di Nyc e dintorni. Librone giallo, dovrebbe diventare il libretto rosso agitato in piazza nelle manifestazioni di protesta teatrale, ahinoi spesso fatte “a sproposito di niente”. A scanso di agiografie, anche Woody ha le sue pecche: una per tutte, un non felice rapporto con gli animali cosiddetti domestici, appartenenti a pieno diritto all’anagrafe delle migliori famiglie. Ma, come disse il viennese campionissimo dei battutisti, no, non Freud, Billy Wilder, nessuno è perfetto. Ascoltate, dunque, il signor Allen e appassionatevi alle sue varie esperienze di spettacolo e incuriositevi su nomi citati con cui pochi di noi hanno confidenza, come Elaine May, Mort Sahl, S.J. Perelman, Danny Simon, fratello di Neil, Moss Hart & George S. Kaufmann; la loro influenza e la conoscenza del loro stile gioverebbero a chiunque. La docenza esistenziale (grace under pressure degna del nonno di Muriel Hemingway) ed esperienziale di questo Autore – che avrebbe voluto essere Tennessee Williams e ancora ci sta provando – è preziosissima. Il memoir è all’altezza di quello di Gore Vidal, Palinsesto: leggendo e godendo insieme i due volumi, vi fate le basi che nessuna accademia potrà mai fornirvi. Da un ragazzo di West Point di origini furlane, vissuto per anni a Ravello come dal boychik ashkenazita di Brooklyn imparerete a essere europei e ad amare il meglio d’Italia. È il Nuovo Mondo a ridarci il nostro mondo rimesso a nuovo! Seguitemi allo stagedoor di un teatro di Broadway. Con noi c’è Riggan, che non diventerà Presidente degli Stati Uniti, ma potrebbe perfettamente dirigere il Piccolo Teatro-Teatro d’Europa. Riggan Thomson è un attore di cinema che vuole riqualificarsi nello show dal vivo (siamo nel 2014 e mancano sei anni al covid) e produce e interpreta uno spettacolo da Carver: col film Birdman or The Unexpected Virtue of Ignorance, diretto dal messicano Iñárritu, vi si schiudono i segreti dell’essere o non essere attore. Di che cosa parliamo quando parliamo di teatro, insomma: ve lo garantisce un attore a suo tempo tra gli interpreti a Venezia di un mediometraggio da lui (da me) intitolato Di che cosa parliamo quando non parliamo di calcio. E cito il soccer poiché il calcio d’agosto ha saputo tener vivo lo spettacolo più bello del mondo , malgrado l’assenza di tifosi sugli spalti. Rimanendo lo spettacolo più bello del mondo. Dopo il teatro, si intende. W Allen, allora, e viva i vivi e i divi che vivono (vivano) a lungo quanto la civiltà e via con la nuova stagione, che, comunque sia, sarà radiosa! Per concludere con un accenno al Problema del Giorno, la gestione post-Escobar del Teatro d’Europa, il vostro Dolittle chiede il parere di Ciro, walsh terrier Premio Hystrio, in scena e in platea fin dall’infanzia. Interpellato, il maltesino risponde: «Picculo serve Picculi per tornare Grande». Va bene, parla un po’ come Vujadin Boskov. Ma, alla sua sintesi, chapeau. Ciro, interpreto, intende che a tutto il teatro servono esordi coraggiosi nel segno dei Centenari dal Secolo Troppo Breve: il Tedeschi trasferito alla Storia e la Signora Norsa che, tagliato il primo traguardo, prosegue il cammino oltre il ponte. Noi teatranti siamo tutti contemporanei e contemporanei a tutti: tutti in scena con Franca e Gianrico e Giorgio e Valentina e Willy e Luigi e Marta e Dario e la sua Franca e Gianni e Luchino e il Carlo avvocato veneziano e la Mariangela e Rossella e Vittorio e Carmelo e la Sarah. I millennials guardino avanti, sulle spalle dei giganti.