IDEE, PERSONE, STRATEGIE E SOLUZIONI CHE COMUNICANO
David Wilkinson Al cuore dei cittadini: l’UE a Expo
Christine Hine Osservare la vita di ogni giorno. Online
Guido Rasi Salute, trasparenza e patient-empowerment
PHILIP KOTLER Millennial marketing
EDIZIONE SPECIALE
2015
Le idee fanno la differenza. Progettiamo idee che comunicano valori. Con nuove idee costruiamo un rapporto paritetico tra cittadino e Istituzioni. Di idee nutriamo il nostro laboratorio esclusivo, arricchito dei contributi dei migliori guru al mondo. Con le idee unifichiamo la visione tra comunitĂ di Europa e Mediterraneo. Con le idee, anticipiamo il futuro. Ideas can
Photo: Emil Otto Hoppe - Rhinoceros, 1940 (collezione privata Pomilio Blumm)
ideas can be different www.pomilioblumm.it
International Communication Summit ICS è un laboratorio internazionale di approfondimento specialistico, uno spazio di discussione per comunicatori e tra comunicatori, per seguire le innovazioni e le tendenze del settore attraverso il pensiero dei suoi più acuti interpreti
Expo 2015 Edizione speciale
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Il metodo è il messaggio
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Franco Pomilio 4
Vintage Expo: 1889-1900
Il grado zero del marketing
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Philip Kotler 13
Dai valori di prodotto ai valori sociali
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Il cuore d’Europa
Verso una Europa del cibo
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Il pane, simbolo di vita
Il giornalismo che verrà International Journalism Festival
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L’era della ricerca Franz Fischler, Vladimír Šucha
iniziativa promossa da powered by
L’etnografo e il suo avatar Christine Hine
Giancarlo Caratti 30
Narr-azioni territoriali Annalisa Spinelli
David Wilkinson 24
Pazienti 2.0 Guido Rasi
Vincenzo Boccia 18
Coltivare la sicurezza Tom Arnold, Ladislav Miko, Tibor Navracsic
Oscar Blumm 14
C’era una volta a Parigi
Marocco: sapori del deserto Expo 2015: i padiglioni
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Editoriale Il metodo è il messaggio di Franco Pomilio
Expo 2015 è stata un’opportunità straordinaria per la comunicazione delle istituzioni. Sono state loro infatti, a conti fatti, nelle vesti ufficiali di Stati, Regioni e in certi casi macroregioni – vere chiavi di volta dei nuovi equilibri transnazionali – le principali protagoniste di questa esperienza a lungo attesa. Tra loro, indubbiamente in uno dei posti d’onore, c’è stata anche l’Unione Europea, che ha visto in questo palcoscenico l’occasione per ri-presentarsi al mondo – o meglio: ai cittadini del mondo – rinnovando la sua promessa, antica di sessant’anni, di costruire una comunità fatta prima di tutto di valori, che chiedono di essere comunicati in nuovi modi e nuove forme. E in questo quadro, l'Italia ha trovato un ruolo particolare. Come paese ospitante, ma anche come luogo che da sempre ha fatto del nutrimento, del corpo come dello spirito, un valore primario e distintivo. «Pensiamo a quante grandi e importanti innovazioni dobbiamo all'Italia, nelle arti, nella musica, nella filosofia. L’ultima meravigliosa invenzione degli italiani è lo slow food. Ora, io mi aspetto che gli italiani
inventino anche lo slow thought». Così parlava Zygmunt Bauman, nel 2010, al pubblico del nostro summit, richiamando gli italiani e l’Europa in generale al compito di ritrovare in questa lentezza una via di fuga, un modo per riprendere fiato di fronte all’accelerazione dell’era digitale e ritrovare "il giusto ritmo". Se ne è parlato nella prima edizione del Philip Kotler Marketing Forum a Milano, in un focus specificamente dedicato al marketing delle istituzioni. Un incontro dal quale sono emerse molte idee stimolanti e importanti, ma una in particolare da tenere a mente: la consapevolezza che la nuova sfida della comunicazione pubblica si chiama engagement e ha una natura più che mai relazionale e sociale. La risposta a questa nuova sfida sta, a nostro avviso, in un diverso metodo di costruzione condivisa dei valori, più che in nuovi strumenti per comunicarli. Tanto da poter dire – e vale ancora di più per Expo 2015, che senza una riflessione di lungo termine rischia di risolversi in una kermesse fine a se stessa – che oggi, a ben guardare, non più il medium, ma il metodo è il messaggio.
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Il grado zero del marketing di Daniela Panosetti
Il guru Philip Kotler svela i segreti del marketing 3.0. Neuroscienza e storytelling le parole chiave per un futuro dove il content management sarĂ un asset fondamentale. E la comunicazione istituzionale diventa un benchmark a cui ispirarsi
Marketing esperienziale e viral marketing, branded content e word of mouth. A scorrere il profluvio di etichette, il territorio del nuovo marketing è una selva piuttosto intricata, ancora tutta da esplorare, ma in ogni caso molto lontana dalla rassicurante e ordinata simmetria di un'analisi SWOT o di un diagramma GANTT. D'altra parte è chiaro a tutti che, con l'avvento del digitale, la comunicazione commerciale è entrata in una nuova era, che curiosamente sembra avvicinarla sempre più alla comunicazione istituzionale, e in certi casi addirittura ispirarsi a questa. Valori, dialogo, engagement: ognuno ha la propria teoria a riguardo e le formule magiche si moltiplicano, sospinte dall'onda inarrestabile della condivisione. Ma è proprio in queste situazioni che, a volte, vale la pena tornare alle origini. E non certo per recuperare o restaurare un ordine perduto, ma per osservare da lì, da dove tutto è iniziato, la strada che si è fatta, nella speranza di cogliere meglio, dal punto di vista privilegiato dei fondatori, dove è probabile (o preferibile) che vada a parare. Così, quando all'inizio dell'anno ha iniziato a circolare la notizia che il padre indiscusso del marketing moderno, Philip Kotler, avrebbe tenuto una lectio magistralis a Milano durante un grande evento a lui dedicato, l'entusiasmo e le aspettative tra gli addetti ai lavori sono salite alle stelle, insieme alla voglia di chiedergli: cosa ci riserva il futuro? Cosa resterà del marketing così come abbiamo imparato a conoscerlo? La profezia di Kotler, che dell’old marketing è stato il teorico più celebrato, alla fine è arrivata, e non ha mezze misure: il marketing è destinato a diventare più umano, più relazionale, più attento a valori un tempo considerati secondari e oggi fondamentali nel muovere quelle soggettività collettive che la rete ha creato, plasmato e potenziato. Insomma, sostiene Kotler: «Il futuro del marketing è già qui. Gli strumenti già ci sono. La speranza – aggiunge – è che in futuro saremo
Un bravo insegnante non si regola sui propri standard più alti, ma su livelli comprensibili ai propri studenti. Così funziona anche nel marketing
in grado di formulare il giusto messaggio per la giusta persona, al momento giusto, con il giusto prezzo: questa sarebbe la perfezione».
UNA NUOVA ERA In apertura e a destra, due scene della serie TV Mad
Negli ultimi vent'anni, l'avvento del nuovo marketing è stato annunciato più volte. Non si fa in tempo a definire un nuovo paradigma che subito si affaccia all'orizzonte un “più nuovo del nuovo”. Quali saranno i trend del marketing nei prossimi dieci anni?
Men, che racconta la fine dell'epoca d'oro della pubblicità e i primi cambiamenti nei modelli classici del marketing
Il vecchio marketing di massa non scomparirà, ma non potrà competere con il nuovo. Perché il primo non fa distinzioni, colpisce tutti indistintamente, mentre il marketing 3.0 segmenta e colpisce con grande precisione, quasi a livello individuale. Il vecchio marketing è infatti, essenzialmente, mass marketing: fondato su grandi numeri e grandi volumi di investimento, dove quello che più conta è la capacità di un messaggio di raggiungere il più ampio numero di potenziali consumatori o utenti, in modo indiscriminato. In questo modo però non ha bisogno di conoscere davvero il consumatore, gli basta sapere che questo può sviluppare una specifica motivazione di acquisto: il desiderio di quella macchina, la necessità di un nuovo abito e così via. Il nuovo marketing invece ragiona in termini di STP
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Lo storytelling non può essere un semplice “snocciolare fatti”. Lo storytelling è l'arte di dare vita alle informazioni
(Segmentation, Targeting and Positioning), vuole conoscere il consumatore nel modo più dettagliato possibile: chi è, quali sono le sue preferenze, i suoi meccanismi decisionali, i suoi comportamenti abituali. E per farlo si serve di diversi strumenti. Uno di questi è la neuroscienza, che permette di mappare le preferenze del consumatore a livello neuronale, registrandone le reazioni emotive e cognitive rispetto a vari stimoli, senza più bisogno di chiedergli esplicitamente “Cosa preferisci?”, ma misurando direttamente l'impatto di diversi prodotti o idee a livello inconscio. Come sono cambiati i principi portanti del marketing, anche da un punto di vista teorico? Tutti conosciamo le basi del marketing, ovvero le “4 P”: product, price, place e promotion. A
queste oggi si aggiungono altre “3P”: profits, people e planet. Una buona azienda non solo deve realizzare un buon prodotto, ma anche trattare bene le persone, assicurando il giusto guadagno e salvaguardando l’ambiente. La parola chiave è diventata “responsabilità sociale”, che impone alle aziende di fare quello che potremmo definire un marketing “sostenibile”, ovvero raggiungere gli obiettivi usando la quantità minore di risorse possibile, nella consapevolezza che queste non sono infinite. Per come la vedo, per avere una buona azienda servono tre elementi: fare buoni prodotti, pagare bene dipendenti e fornitori e, appunto, praticare la sostenibilità. Il problema è che per quest’ultimo aspetto non ci sono ancora parametri di valutazione condivisi, in grado di fare del “tasso di sostenibilità” un vero fattore competitivo e, quindi, di scelta di un brand da parte del consumatore. L'Europa, oggi, affronta una nuova grande impresa: creare una nuova nazione. La sfida è mettere insieme istituzioni e cittadini, far loro comprendere i valori fondanti di questa nuova entità. In che modo il marketing può contribuire a questo processo? In molti modi. Pensiamo per un attimo a cosa
La comunicazione istituzionale non può fare a meno del marketing. Ogni volta che ci sono due o più punti di vista intorno a un problema, ci sarà di mezzo il marketing
significa costruire una nazione. Prima di tutto bisogna decidere: che tipo di sistema economico e politico vogliamo adottare? Normalmente le risposte sono, rispettivamente: “capitalismo” e “democrazia”. Ma questo non basta: subito dopo bisogna decidere anche che tipo di capitalismo si ha in mente; quello svedese, ad esempio, è molto diverso da quello giapponese o pakistano, così come la democrazia parlamentare è molto diversa da quella presidenziale. Quello che davvero serve, allora, è definire una visione, una prospettiva sugli obiettivi che una nazione dovrebbe perseguire con questi sistemi. Ma neppure questo è sufficiente, perché per farlo occorre aprire un dibattito aperto, alla ricerca di un accordo sul miglior sistema da adottare. Ed è proprio a questo punto che entra in scena la comunicazione. Ecco: ogni volta che ci sono due o più punti di vista intorno a un problema, ci sarà di mezzo il marketing. Allo stesso modo non si può più sfuggire al potere dello storytelling, perché avere una visione, a conti fatti, significa raccontare una storia su ciò che il paese potrebbe diventare. Detto ciò, raccontare questo tipo di visione non è affatto facile: non si tratta solo di parole, ma di linguaggio del corpo, capacità argomentativa, eloquenza. Pensiamo solo alla forza persuasiva di un presidente come Obama a fronte di altri presidenti del passato, con stili comunicativi molto più confusi e opachi.
Lo storytelling in effetti oggi sembra essere diventato uno strumento irrinunciabile della comunicazione in ogni campo, anche per le istituzioni. Qual è la sua opinione a riguardo? Qual è il contrario di storytelling? Per come la vedo io, è semplicemente snocciolare fatti. C'è chi pensa che le persone vogliono semplicemente ottenere informazioni, in qualsiasi modo le si presenti. Il problema è che le modalità di presentazione sono spesso molto poco interessanti e coinvolgenti. Lo storytelling non è che l'arte di dare vita alle informazioni. Ricordo quando gli esperti di marketing, per raccontare una storia, avevano a disposizione solo 30 secondi, la durata di uno spot. Bisognava essere molto brevi ed efficaci. Oggi con Internet non abbiamo più vincoli di spazio e di tempo e c'è molta più libertà di formati: diventa così possibile costruire storie adattandole alla diversa “fame” di informazione dei vari tipi di pubblico e finanche delle singole persone. Il content management – la capacità di creare storie intorno a un prodotto – è diventato quindi fondamentale. Parlando di comunicazione delle istituzioni, c'è un altro aspetto importante da considerare: la trasparenza. Nella sua visione sembra che
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La svolta umanistica del marketing: Pomilio e Kotler a confronto
PAROLA DI GURU In alto, Franco Pomilio e Philip Kotler sul palco durante la prima edizione del Philip Kotler Marketing Forum
Milano, maggio 2015, aula magna dell'università Bicocca. In un'aula gremita di studenti ed esperti di comunicazione, nella capitale italiana del marketing, prende la parola un anziano signore che del marketing, senza esagerazioni, si può considerare il padre, il pioniere, il nume tutelare. Philip Kotler parla delle virtù del nuovo marketing 3.0, fondato su relazioni sempre più “umane”, collaborative e partecipative. Tra riflessioni sulla rivoluzione social e sul consumer empowerment, trova posto un panel specifico sulla comunicazione pubblica e istituzionale: sul palco, accanto a Kotler, Franco Pomilio, presidente di Pomilio Blumm, e Giancarlo Caratti, capo della Task Force UE-Expo 2015. «A differenza della comunicazione di prodotto – ha esordito Pomilio – la comunicazione delle istituzioni non comunica prodotti, ma valori. Per di più, valori collettivi. Questa semplice differenza porta con sé un modello del tutto nuovo, che sostituisce al mercato la comunità e al consumatore, come target privilegiato, il cittadino». Una vocazione che, dalla polis alla koinè ellenica, risiede da sempre nel DNA dell'Europa, ancor prima della nascita del progetto comunitario, e che oggi continua a marcare uno scarto rispetto alla cultura
americana e ai suoi valori distintivi, più vicini a una ideologia di mercato. «Un esempio? La differenza tra storytelling corale, da Omero a Shakespeare, e individuale. O quella tra la felicità come obiettivo individuale, tipico del sogno americano, o come benessere comune, tipico di una certa visione sociale europea». L'evento Expo 2015, ha aggiunto poi Caratti, rappresenta per l'Europa un banco di prova di questa vocazione millenaria. Il concept del pane, scelto dall’UE, tramuta infatti il valore identitario in cibo, “materializzandolo” come prodotto, con un'operazione esattamente inversa a quella tipica del marketing. «Anche le istituzioni – ha spiegato Kotler, raccogliendo gli spunti emersi – dovrebbero sviluppare un talento comunicativo per dialogare con i cittadini e sostenere un avanzamento nelle idee. Ad esempio, se il messaggio è “non sprecare”, occorre passare dal marketing al “demarketing”, dall’invito a consumare a quello a ridurre i consumi». A fargli eco ancora Pomilio, che ha concluso: «Le istituzioni devono puntare sulla semplicità, su uno storytelling realizzato secondo precise regole umanistiche, capace di raggiungere differenti culture e contribuire alla creazione di un senso reale di comunità».
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Tutti conosciamo le “4 P” del marketing: product, price, place e promotion. Oggi dobbiamo aggiungerne altre 3: profits, people e planet
EMBLEMA DEL MARKETING
sia possibile usare il marketing per comunicare in modo ancora più trasparente: è così?
A sinistra, il padiglione della Coca Cola a Expo 2015. La Coca Cola è stata a lungo uno dei simboli vincenti del marketing classico
È un tema delicato. Il fatto è che molte organizzazioni affermano di essere trasparenti, ma non appena si prova a scavare un po' più profondamente alzano una barriera che ti impedisce di condividere quello che vorresti sapere. Esiste insomma quella che io chiamo una “trasparenza fasulla”, che significa imitare un atteggiamento trasparente senza davvero possederlo. Ma c'è un'altra parola che è diventata negli ultimi anni addirittura più popolare: autenticità. Autenticità significa essere disposti a mostrare davvero chi si è e di cosa ci si occupa, senza mascherarlo. Significa affermare di essere esattamente quello che si è. Allora puoi dirti autentico, allora puoi dirti reale. E ovviamente questo implica anche permettere agli altri di metterti alla prova, verificare se effettivamente sei quello che affermi di essere. Secondo alcuni la comunicazione istituzionale chiama in causa un pubblico più “maturo”. È d'accordo o crede che le istituzioni debbano comunque parlare una lingua “di massa”? No, il punto è un altro: qualsiasi tipo di pubblico
è fatto di persone diverse, con livelli più alti e più bassi di competenze culturali e comunicative. È un po' come quando si insegna: non si adatta il livello di insegnamento ai propri standard più alti, ma a quelli comprensibili ai propri studenti. Così quando l'obiettivo è creare consapevolezza di massa, il modo migliore è farlo per gradi: costruire un messaggio concepito per persone che cercano una visione più sofisticata di quello che si ha da dire, ma assicurandosi anche di avere pronta una versione più semplice, comprensibile al grande pubblico, che ha bisogno di coglierne solo l'idea di fondo. Se qualcuno le chiedesse oggi cos'è il marketing, cosa risponderebbe? Il marketing è il processo attraverso il quale si cerca di costruire in un pubblico conoscenza di qualcosa, poi interesse per quel qualcosa e infine un impulso ad acquistarla. In ultima analisi, è lo stesso principio che sta dietro al voto: quello che fa un esperto di marketing è indurre qualcuno a “votare” per un prodotto o, nel caso della comunicazione sociale e pubblica, per un dato valore o comportamento: smettere di fumare, contribuire al bene collettivo. Ecco, forse il principio fondamentale del marketing è proprio questo: influenzare comportamenti.
Kotler is the king
Le citazioni di Philip Kotler sono un vademecum per i discepoli del marketing moderno. “Costumer is the King”, per dirne una, in stile manifesto Cluetrain. Avere sul comodino una delle quattordici edizioni di Marketing Management, sacra scrittura sull’argomento fin dagli anni ’70, è un must. Associare la parola “mix” a “marketing”, riconoscere le 4P, senza scambiarle per un rebus, dimostra di averlo letto, il libro sul comodino. Credere che questa disciplina sia subordinata alla produzione, però, è frutto di un terribile equivoco, a detta dello stesso Kotler. Anche perché il marketing esiste da tempi biblici: “Eva convinse Adamo a mangiare la mela proibita. Ma non fu Eva la prima marketer. Fu il serpente”. Un kotleriano nell’anima, alla domanda “che cos’è il marketing?” risponde che è sia arte che scienza, sintesi di calcolo razionale e slancio creativo. E oggi ragiona in chiave 3.0, all’insegna di un marketing emozionale, incentrato sui valori umani. Philip Kotler, il “guru del management” – parola del Financial Times – non si è mai stancato di studiare, sperimentare in chiave interdisciplinare, ispirare, e trasferire il suo knowhow a generazioni di studenti e manager. Nato a Chicago, nel 1931, allievo di Milton Friedman, ha svolto il suo dottorato con il Premio Nobel Paul Samuelson. Professore di International Marketing alla Kellogg School of Management da quasi cinquant’anni, consulente del Kotler Marketing Group, autore di un numero imprecisato di pubblicazioni. Philip Kotler ha fatto la storia del marketing. Ma è vero anche il contrario: il marketing è parte della storia della sua vita.
Matilena Dagres