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. franco giacomazzi: il nuovo marketing B2B . Chris McChesney: quattro discipline per un’ottima execution . Logistica, la rivoluzione dell’eCommerce . Storie di Digital Transformation: Avio Aero, Church’s, Dainese, IMA Group, Generali Italia, Thun
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EDITORIALE
Amazon “octopus”
di
UMBERTO BERTELÈ PRESIDENTE DIGITAL360
@umbertobertele
Che cos’è Amazon? Un e-retailer o una piattaforma di eCommerce? Un operatore logistico? Un produttore di apparati elettronici (quali Kindle o Eco) e sistemi operativi (quali Alexa o Fire TV)? Un operatore finanziario, nell’ambito dei pagamenti e dei finanziamenti agli utilizzatori delle proprie piattaforme? Un’impresa operante nell’entertainment? Un fornitore di servizi cloud? Amazon è tutto questo, ma non solo: è da poco entrata con una significativa acquisizione (seguendo la strada tracciata in Cina da Alibaba) nella distribuzione fisica, integrandola con quella online; ha iniziato ad aprire librerie e drugstore, con una concezione sperimentale innovativa; è leader nel lobbying e l’acquisizione del Washington Post da parte di Jeff Bezos (suo fondatore, CEO e principale azionista) può essere letta in questo quadro; sembra voglia entrare nel digital advertising, in competizione con Alphabet-Google e Facebook, e assumere un ruolo più forte nella finanza. “Is Amazon Going to Rule the World?”, si chiedeva di recente The Wall Street Journal, sottolineando le resistenze che un disegno strategico così “bulimico” potrebbe destare non solo negli Stati Uniti (ove lo scontro con Trump è sempre più evidente) ma in generale nelle aree del mondo ove Amazon vuole assumere posizioni dominanti. E The Economist, qualche tempo addietro, rappresentava Bezos in un disegno caricaturale come un octopus, un polipo con volontà - e progetti concreti di crescita - in tutti gli ambiti delle nostre vite. Il dubbio che traspare da questi articoli è che una strategia “octopus” rischi di coalizzare un numero sempre più elevato di nemici di Amazon - le imprese a rischio “disruption” piuttosto che gli addetti alla logistica soggetti a una disciplina a loro dire “militare” - e di diventare politicamente indigesta e foriera di misure volte a frenarne la crescita. Io vorrei guardare le cose anche da un punto di vista meramente economico: può creare problemi la convivenza di business che, ancorchè correlati, hanno caratteristiche ed esigenze spesso lontane fra loro? C’è il rischio che nel medio-lungo periodo le distanze aumentino ulteriormente e che le disergie prevalgano sulle sinergie? Non è un problema nuovo, come i testi di strategia insegnano, e non è un problema solo di Amazon: Alibaba ha un portafoglio almeno altrettanto articolato e la diversificazione correlata è presente in tutte le altre “grandi del digitale”, spinta dalle comunanze tecnologiche, dalle voglie di integrazione verticale e dai vantaggi di disporre (incrociandoli) di grandi masse di dati. Un episodio illuminante di qualche giorno fa: Amazon costretta a venire a patti con Best Buy – una delle principali catene commerciali statunitensi divenuta con successo sua concorrente online – per poter disporre di una “vetrina fisica” privilegiata per le smart TV che utilizzano il suo sistema operativo Fire TV, prodotte da Toshiba e con marchio proprio dalla stessa Best Buy. Uno fra i dubbi sul futuro: potrà Amazon essere allo stesso tempo leader sia nell’eCommerce sia (come vuole diventare) nella logistica? Non c’è il rischio per l’eCommerce di perdere competitività se nasceranno nuovi operatori logistici più efficienti? Non rappresenta un freno alla crescita della logistica il non poter avere come clienti i competitori di Amazon (la ragione che ha spinto ad esempio al divorzio fra PayPal e eBay)? Sono preoccupazioni però, sia quelle legate alla politica sia le economiche, che almeno per il momento non turbano la Borsa, che a 24 anni dalla nascita - affascinata dai suoi successi - continua a trattare Amazon con i multipli solitamente riservati a una startup. Il 20 aprile la sua capitalizzazione risultava infatti pari a 740 miliardi di dollari, 340 volte l’utile netto: solo 7 miliardi meno di Alphabet-Google, nonostante un utile (22,5 miliardi) di quest’ultima 10 volte superiore; 160 miliardi meno di Apple, che a quota 902 “valeva” solo 17 volte i suoi 53 miliardi di utile. www.digital4executive.it
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I prossimi Convegni
Gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano organizzano ogni anno oltre 30 convegni pubblici di presentazione dei risultati delle ricerche, con testimonianze del Top Management di importanti imprese nazionali e internazionali. Per offrire una fotografia accurata e continuamente aggiornata sugli impatti che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) hanno in Italia su imprese, pubbliche amministrazioni, filiere, mercati. Le ricerche affrontano i più importanti temi dell’Innovazione Digitale per elaborare strategie e modelli per molteplici ambiti B2c, B2b, PA, Professinisti e Startup: finance, customer experience, export, gioco online, risorse umane, sanità, beni e attività culturali, retail, turismo, media, banking, food, sport, manufacturing, supply chain finance, logistica.
di presentazioni dei risultati delle Ricerche degli Osservatori Convegno dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali Presentazione dei risultati della seconda edizione della Ricerca (2017-2018)
L’Osservatorio nasce con l’intento di rispondere alla sfida e alle opportunità di innovazione del settore. In particolare, si pone come obiettivo l’introduzione nell’ecosistema culturale italiano di un luogo in grado di: fornire una visione sistemica dell’innovazione digitale applicata ai processi di conservazione, valorizzazione, gestione, promozione, commercializzazione e fruizione del patrimonio, dei prodotti e servizi nel mercato dell’arte e della cultura, per facilitare l’upgrading dell’ecosistema culturale; intercettare le tendenze emergenti, in chiave di innovazione digitale applicata e applicabile all’arte e alla cultura in genere; facilitare il confronto tra i player della domanda e dell’offerta per diffondere la cultura dell’innovazione digitale e tracciare le linee evolutive del settore.
Convegno dell’Osservatorio Internet Media Presentazione dei risultati della Ricerca 2017-2018
L’Osservatorio si pone l’obiettivo di valutare il mercato dei Media Digitali, sia advertising sia dei contenuti a pagamento, con particolare attenzione alle sue componenti più innovative, ad esempio Social Network, Video Online, Mobile, Native e Programmatic advertising. L’Osservatorio vuole essere un punto di riferimento per l’intero settore dei Media nella comprensione dei molteplici fenomeni di innovazione nel mondo digitale, favorendo un confronto aperto tra gli attori della filiera e sensibilizzando i decision maker sulle numerose opportunità offerte, con l’intento ultimo di supportare lo sviluppo del mercato.
Convegno dell’Osservatorio Food Sustainability
Presentazione dei risultati della prima edizione della Ricerca (2017-2018)
L’Osservatorio è una nuova iniziativa della School of Management del Politecnico di Milano, che prende avvio da un solido lavoro di ricerca condotto negli anni scorsi sui temi della riduzione dello spreco alimentare e dell’innovazione per la sostenibilità. L’Osservatorio vuole dare un contributo concreto alla trasformazione sostenibile del sistema Agrifood attraverso attività di ricerca, sensibilizzazione e disseminazione, che mettono al centro il ruolo dell’innovazione. Vuole aiutare le aziende a passare da innovazioni tecnologiche «isolate» ad innovazioni sistemiche nei modelli di business e nei processi, a livello di singola azienda e a livello di sistema, per la creazione di valore condiviso lungo la supply chain e nella società. In particolare, l’Osservatorio si pone l’obiettivo di analizzare in profondità e farsi portavoce e promotore delle best practice di innovazione per la sostenibilità, con particolare attenzione alla riduzione dello spreco alimentare, alla promozione della prosperità condivisa lungo la filiera e alla tutela dei prodotti tipici e delle tradizioni alimentari locali, in stretta collaborazione con le imprese Agrifood, le associazioni di categoria, le organizzazioni no-profit, le startup e gli enti pubblici.
30.05.2018 Location in fase di definizione Per restare aggiornato: www.osservatori.net
07.06.2018 Aula Magna Carassa e Dadda Politecnico di Milano Campus Bovisa Edificio BL28 Via Lambruschini, 4 20156 Milano
19.06.2018 Aula Magna Carassa e Dadda Politecnico di Milano Campus Bovisa Edificio BL28 Via Lambruschini, 4 20156 Milano
Scopri tutti i prossimi convegni e rivedi quelli passati su: www.osservatori.net/it_it/convegni
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COVER STORY
Marketing B2B, 8 tendenze spingono la trasformazione in chiave digitale
Franco Giacomazzi, Presidente Associazione Italiana Sviluppo Marketing (AISM)
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MANAGEMENT
Definire le strategie è facile, il problema è realizzarle: 4 discipline per un’ottima Execution Chris McChesney, Global Practice Leader of Execution, Franklin Covey
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DIGITAL TRANSFORMATION
Hr - Mindset e business digitale, occorre cambiare la mentalità dell’organizzazione
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Hr - Avio Aero, dalla cultura a silos alla collaborazione orizzontale con il digitale
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Procurement - L’ufficio acquisti diventa digitale: i benefici del Procurement 4.0
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Manufactoring - Manifatturiero italiano, Industria 4.0 è il primo passo: obiettivo customer experience
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Marketing - Dainese, un approccio omnicanale che punta sui valori del brand
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Supply Chain - Church’s e l’omnicanalità nel Lusso: il punto di vista del CFO
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Supply Chain - Fatturazione Elettronica B2B, il parere delle filiere: i rischi da non sottovalutare
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Finance - Acquisizioni, cinque soluzioni digitali per aiutare il CFO
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Supply Chain - Logistica in Italia, parlano gli operatori: con l’eCommerce è partita una rivoluzione
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Marco Planzi, Associate partner, P4I - Partners4Innovation Barbara Preti, Direttore risorse umane, Avio Aero
Marco Perona, Ordinario di Logistica Industriale, Università di Brescia
Gabriele Gianello, Direttore Marketing, Dainese Hamun Shah, Chief Financial Officer, Church’s
Stefano Bassi, Giorgio Casanova, Daniele Marazzi, Mirko Repetto
OSSERVATORI
Industria italiana, il Supply Chain Finance vale 637 miliardi: la spinta decisiva del Fintech
Antonella Moretto, Direttore Osservatorio Supply Chain Finance, Politecnico di Milano
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INTERVISTE
Biomarketing, studiare le emozioni per attrarre e trattenere i clienti
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IMA Group, 18 progetti di digitalizzazione per il “fuoriclasse” del Made in Italy
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Generali Italia pronta a utilizzare l’Intelligenza Artificiale. «Con chatbot e robotica miglioriamo il servizio»
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Thun, innovazione digitale e omnicanalità. Cresce l’eCommerce e aumentano i negozi
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Giuliano Noci, Ordinario di Strategia e Marketing, Politecnico di Milano Pierluigi Vanti, ICT Corporate Director, IMA Spa
David Cis, Chief Operating Officer, Generali Italia Paolo Denti, Amministratore Delegato, Thun NORMATIVE
Data protection, si cambia. Entra in vigore il GDPR
Gabriele Faggioli, Giurista, CEO, P4I - Partner4Innovation
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RUBRICA | RICERCHE E STUDI
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RUBRICA | NOMINE
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COV E R S TORY di
FRANCO GIACOMAZZI
Marketing B2B, 8 tendenze spingono la trasformazione in chiave digitale Customer expectation, responsabilità sulle vendite, conoscenza approfondita dei clienti, aspettative sempre più “consumer” dei buyer, competenze di comunicazione e tecnologiche, e soprattutto nuove metriche di misurazione dei risultati. Tutti i trend che stanno determinando il presente e il futuro del marketer business-to-business
La numerosità di canali di comunicazione, dispositivi, applicazioni, come pure le maggiori aspettative dei consumatori, oltre al cambiamento di molti valori, hanno reso la Customer Journey più complessa, investendo in tale senso anche il Marketing Business-to-business (B2B). Marketing B2B che gode di numerose innovazioni tra cui Marketing Automation, Marketing Analytics, Predictive Nurturing, generazione automatizzata di contenuti, e nuovi approcci all’Account-Based-Marketing (ABM) con possibilità di fornire personalizzazioni a scala. Di fronte a tante tendenze, però, spesso divergenti e talvolta fonte di confusione, è lecito chiedersi dove è diretto il Marketing B2B, per rendere più agevole al Responsabile di Marketing l’assegnazione di priorità ai programmi, azioni e canali. È ovvio che le nuove finestre di opportunità non si aprono all’improvviso. Tuttavia si può prevedere l’accentuarsi di tendenze che non possono essere | 6 |
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ignorate perché spingono a trasformare la funzione Marketing in chiave digitale, in termini di ruoli e di competenze. LA CUSTOMER EXPECTATION, UNA GUIDA PER LE STRATEGIE DI MARKETING La Customer Expectation continuerà a evolvere, e sarà l’unica costante nel 2018. È questo il faro che deve guidare le strategie e tattiche di Marketing. Le expectation variano sensibilmente da segmento a segmento ma anche nel tempo, cosicché un’attenta e continua osservazione del mercato è un prerequisito di competitività. Il dilemma “volume o valore” si risolverà a favore del valore. Un valore individuato attraverso la lettura delle esigenze del cliente, grazie alla segmentazione, che permette di offrire a ogni particolare gruppo di consumatori un prodotto/servizio consono ai loro desideri.
C OV E R S TORY | M AR K E T I NG B 2B , 8 T E N DE N Z E C H E SP IN G O N O L A T RA SF O RMA Z IO N E IN C H IAV E DIG ITA LE
Le tecnologie digitali permettono una segmentazione più fine (e talvolta anche innovativa) e quindi azioni di Marketing più mirate o addirittura la possibilità di affrontare nuovi mercati. Un altro impulso al soddisfacimento delle esigenze del cliente sarà la tendenza a passare dalla personalizzazione a quella che potremmo chiamare “individualizzazione”, cioè una personalizzazione spinta al massimo grado. Questa è sempre stata un sogno del marketer, ma di fatto “è rimasta un esercizio di comunicazione di massa, basata su personas dell’acquirente o analisi del segmento di mercato, cioè modelli di ciò che si crede sia il comportamento di un acquirente”, secondo le parole di Melissa Tatham (“Four B2B Marketing Trends That Will Define 2018”, sul sito MarketingProfs). L’individualizzazione è permessa dall’impiego di tecnologie molto avanzate, come Artificial Intelligence (AI) e Machine Learning, che si approfondiranno in seguito. Certo, non tutte le imprese potranno permettersi questi investimenti, che del resto non sono adatti a tutte le situazioni. Pur mettendo al primo posto le esigenze del cliente, abbiamo il dovere di assicurare redditività all’azienda. Spesso le iniziative commerciali hanno fortemente privilegiato questo aspetto rispetto alla soddisfazione del cliente. Nel futuro prossimo dovremo invertire queste priorità. Potrà essere necessario fare cose che privilegiano i clienti, mentre manteniamo i risultati economico-finanziari aziendali a livello “abbastanza soddisfacente”.
FRANCO GIACOMAZZI GIÅ PROFESSORE DI MARKETING INDUSTRIALE AL POLITECNICO DI MILANO E PRESIDENTE ASSOCIAZIONE ITALIANA SVILUPPO MARKETING (AISM)
CMO, SEMPRE PIÙ RESPONSABILITÀ SUI RISULTATI DI VENDITA È molto probabile che le aspettative di controllo finanziario del CFO e del Top Management aumenteranno, alimentate dalle promesse del digitale. Similmente ci si aspetterà un incremento delle vendite grazie alla maggior efficacia e penetrazione della comunicazione digitale. Ne conseguirà una maggiore responsabilizzazione del Marketing B2B sui risultati. Circa la metà dei Marketer B2B hanno dirette responsabilità sui risultati di vendita, secondo Forrester. Per di più, il maggior orientamento economico finanziario spin-
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gerà a richiedere più accountability lungo tutto il percorso del funnel. DATI E TECNOLOGIE, COME CONOSCERE I CLIENTI Via via che la centralità del cliente prende il sopravvento, abbiamo bisogno di conoscerlo in modo sempre più approfondito. Tale conoscenza diventa la risorsa aziendale chiave. Così, il Marketing è particolarmente sensibile alla completezza e qualità dei dati e dipendente dalle tecnologie per interpretarli. La capacità di un’organizzazione di apprendere interpretando dati e informazioni e tradurre tale apprendimento in azione rapidamente, rappresenta la frontiera del vantaggio competitivo. Il Team di Marketing dovrebbe sempre aspettarsi l’emergere di nuove tecnologie all’orizzonte. Trovare ciò che funziona per la squadra, ricordando di fare test, misurazioni e di mettersi in discussione. Bisogna ricordare tuttavia che non tutti i settori e non tutte le imprese hanno l’esigenza di avvalersi di tecnologie di frontiera. E che, oltre al settore, ciò che fa la differenza è la dimensione dell’impresa, la sua maturità digitale e il numero di clienti attuali e potenziali. Altro tema delicato riguarda la raccolta e la pulizia dei dati, con particolare attenzione per le imprese che si avvalgono di tecnologie avanzate e Big Data: l’attenzione si sposta sull’evoluzione tecnologica e sulla protezione dei dati. Per le altre, sicuramente è raccomandabile una maggiore attenzione alla raccolta dati con mezzi anche semplici, come si dirà appresso. I dati possono essere raccol-
ti con tre modalità: low-tech (ne sono un esempio il confronto con il personale del servizio clienti, con i Sales Reps o anche con i clienti, anche attraverso i siti internet); mid-tech, per esempio creando una stazione di ascolto o diffondendo sondaggi; “ad alta tecnologia”, e in questo caso si fa riferimento alle situazioni in cui entrano in gioco Big Data, Analytics, e finanche AI. CONTENUTI E CANALI, LE ASPETTATIVE DEI BUYER BUSINESS-TO-BUSINESS I nuovi Buyer B2B cercano le stesse esperienze d’acquisto online e mobile, e quelle tipiche del mondo consumer. Vogliono funzionalità di ricerca avanzata, valutazione e recensioni, prodotti personalizzati e consigli. Si aspettano contenuti fattuali che raccontano la storia del fornitore e dei prodotti/servizi esposti in maniera coerente e senza intoppi attraverso tutti i media e device digitali, e lungo tutte le fasi del processo di acquisto. Ciò spiega perché si deve dare attenzione al Content Marketing, un approccio di marketing strategico incentrato sulla creazione e distribuzione di contenuti di qualità e pertinenti per attrarre e mantenere attivo un ben preciso segmento target con lo scopo ultimo di trasformare il prospect in cliente. Oggi più della metà dei Buyer B2B guarda almeno otto contenuti durante un processo di acquisto. Essi cercano interazione concisa, ma quando non la trovano, eliminano il fornitore prima ancora di qualsiasi contatto con il venditore. I Buyer B2B sono spesso affiancati da collaboratori giovani,
Le tecnologie: analytics, machine learning e ABM Tra le numerose tecnologie innovative disponibili per il marketing, merita porre attenzione ad alcune perché ci si aspetta un’evoluzione che renda più facile e meno costoso il loro impiego. Si tratta di: • Analytics - questi strumenti si evolvono in due direzioni: miglioramento nella facilità di impiego e maggior capacità analitica grazie all’adozione di algoritmi di intelligenza artificiale. • Machine Learning - è una tecnologia atta a valorizzare i dati al massimo grado, basata sull’apprendimento automatico, in grado di raccogliere dati da qualsiasi sorgente provengano. • ABM (Account Based Marketing) - in realtà si tratta di una strategia di Marketing, adottata da anni, che trova forte sostegno e sviluppo da una tecnologia in
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evoluzione. Si deve individuare un target di imprese dotato di certe caratteristiche, i ruoli facenti parte del centro di acquisto in relazione alla propria offerta, oltre a selezionare i contenuti da inviare ai singoli ruoli; terminato questo lavoro preparatorio, il sistema invia in maniera automatica e massiva i contenuti ai destinatari, i cui indirizzi sono ricavati da un data base esterno associato al sistema. Nell’Unione Europea, il modus operandi ora descritto ha difficoltà a causa della legge sulla privacy, che rende legalmente incerta la possibilità di creare un tale data base, salvo ricorrere a modalità più complesse ma solo parzialmente valide. Si prospetta che LinkedIn diventi tale data base (in quanto pubblico) con associato il relativo sistema software.
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digitalmente molto evoluti. Essi passano sui loro dispositivi molto più tempo della precedente generazione, e usano più facilmente i siti Web per effettuare acquisti o acquisire informazioni. Questa tendenza continuerà nel 2018, man mano che un maggior numero di nativi digitali entrerà in ruolo, e via via che essi assumeranno posizioni più decisionali. Il Marketer B2B deve tenere conto di questa evoluzione. L’impiego pressoché assoluto dei mobile device costringe a invertire l’approccio e concepire il proprio impianto di comunicazione partendo dal mobile, per adattarlo successivamente al desktop. Oltre all’importanza di erogare contenuti solidi e di qualità, l’impiego di video nel 2018 sarà quasi un prerequisito per attirare l’attenzione. Inoltre la ricerca vocale si sta diffondendo, perché è assai più comoda della digitazione. È quindi necessario prepararsi a creare contenuti che siano ottimizzati per questo genere di ricerche. Infine, con l’uscita di iPhone 8 e iPhone X, Apple ha chiarito che l’intenzione è di puntare sulla realtà aumentata (AR). Con la diffusione di questi dispositivi, i brand principali e più avanzati inizieranno a sperimentare nuovi contenuti basati sull’AR. Nel 2018 assisteremo ai primi esperimenti, e questo nell’immediato non rappresenterà una minaccia, anche se potrebbe diventarlo nel caso in cui questa pratica si diffondesse. COMPETENZE: PIÙ VICINI ALLE VENDITE, COERENZA DEI MESSAGGI, TECNOLOGIE Più i clienti ricercano e acquistano attraverso i canali digitali, più il Marketing assume un ruolo centrale, perché permette di migliorare i risultati aziendali perfezionando la Customer Journey del cliente. Questa tendenza richiede adeguate
competenze, risorse e finanziamenti. Nel 2018 il team di Marketing dovrà quindi lavorare per colmare lo storico divario con le Vendite. Questo perché il cambiamento della Customer Expectation, affrontato in precedenza, richiede una visione olistica, che vada oltre i vecchi ruoli: il marketing qualifica i lead, e li passa alle vendite per l’azione. È necessaria quindi una visione unica del profilo cliente, accessibile a tutte le funzioni aziendali con cui interagisce su vari canali, partendo dal contatto personale a quello web. La collaborazione tra Marketing e Vendite trova il suo fondamento nella trasparenza e visibilità sui reciproci dati e attività: pipeline, campagne, budget, risultati segmentati per aree, settore, ecc.. A metà degli Anni ‘90 fu pubblicato il libro di Richard Schonberger “Building a Chain of Customers” che, per l’appunto, indicava come creare collaborazione tra le varie funzioni aziendali rompendone le barriere tipiche, immaginando che ogni funzione dovesse vedere quelle ad essa collegate come clienti da servire. Purtroppo quella fu una voce poco ascoltata. Nel 2018 non dovrà venire meno l’attenzione sulle competenze e sulle criticità da gestire che toccano vari aspetti. Il primo riguarda la gestione della multicanalità nelle 4 direzioni lungo le quali si svolge la comunicazione: dall’impresa al mercato, dal mercato all’impresa, all’interno dell’impresa, all’interno del mercato. Tali competenze devono assicurare coerenza dei messaggi lungo i vari canali, su più livelli e dispositivi, oltre ad assicurare l’ascolto del cliente. Il secondo aspetto riguarda la padronanza delle tecnologie avanzate, come Big Data, e Analytics, anche se è in atto una tendenza a facilitare il loro impiego. Ci sono persone che hanno skill tecniche settoriali, “verticali”, ma poche che hanno una compe-
In ogni fase del percorso si impiegano metriche diverse, passando da indicatori di input a metriche via via più complesse o più globali, dove però è meno agevole individuare il contributo del Marketing a causa dell’influenza di fattori esterni
SISTEMA DI OBIETTIVI: I PROGRESSIVI EFFETTI DELLE AZIONI DI MARKETING
Metriche di input
Metriche tipiche
Metriche tipiche
Metriche tipiche
Metriche tipiche
Azioni di marketing
Effetti sulla mente del consumatore
Comportamento del consumatore
Risultati di mercato
Risultati economici e valore dell’impresa
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tenza d’insieme, complessiva, con sensibilità alla comunicazione e all’interpretazione del comportamento del cliente. E questa è un’altra criticità che dovremo affrontare nel 2018. LE METRICHE DEL MARKETING B2B Nel Marketing si può misurare quasi tutto, ma dobbiamo fare attenzione a selezionare perché non tutto ciò che conta può essere contato, e non tutto ciò che può essere contato conta. Ciò vale in modo particolare per il digitale. Così, è bene evitare di concentrarsi unicamente sulle metriche di input (che misurano l’impiego di risorse) o sul banale click-through. Bisogna prendere in considerazione anche parametri più significativi che misurino il contributo del Marketing lungo il percorso del funnel. Nella parte superiore del funnel, ad esempio, si misura la Brand Awareness, al centro il Content Engagement, seguito dalla Lead Generation e successivamente dalla Sales Conversion, che misura il vero contributo dell’azione di Marketing. Questi concetti, inseriti in un più ampio contesto aziendale, sono rappresentati graficamente nella figura “Sistema di obiettivi”, che evidenzia i progressivi effetti delle azioni di marketing, (innovazione di prodotto/servizio, comunicazione & social media, branding, pricing, promozione, personal selling, programmi di loyalty, ecc.) misurabili con varie me-
Il 2018 è l’anno della Cybersecurity L’incremento esponenziale degli attacchi informatici nel corso del 2017 ha reso gli utilizzatori più sensibili al tema della protezione dei sistemi e dei dati, complice anche la recentissima scoperta di bug in tutti i processori. Per questo si può affermare che il 2018 sarà l’anno della Cybersecurity, che vedrà privilegiare i prodotti e le soluzioni che proteggono i dati personali. Questa sensibilità è certamente rinforzata dai regolamenti emessi dai Governi, e i Marketer B2B non possono più prescindere dal tema della privacy e della protezione dei dati nella loro Value Proposition. Con l’entrata in vigore il 25 maggio 2018 del GDPR (General Data Protection Regulation), il regolamento europeo che richiede alle aziende più trasparenza sulle informazioni raccolte sugli individui e sul loro utilizzo, i Marketer dovranno porre più attenzione e sviluppare competenze anche in ambiti regolamentari perché sempre più si arriverà a una sorta di ‘Compliance by Design’ e a un vantaggio competitivo per chi saprà gestire temi delicati quali privacy e reputazione.
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triche di input. Tali effetti si snodano lungo la sequenza: effetti sulla mente del consumatore, che si riflettono in effetti sul suo comportamento. Il che a sua volta causa effetti sul mercato (come aumento delle vendite o della quota di mercato), che a loro volta influiscono sul risultato economico/finanziario/patrimoniale e sul valore dell’impresa. In ogni fase di questo percorso si impiegano metriche diverse, passando da indicatori di input (i più semplici da misurare, come un investimento in pubblicità o la modifica di un prezzo di listino) a metriche via via più complesse o più globali, dove però è meno agevole individuare il contributo del Marketing a causa della influenza di fattori esterni. Spostandosi verso la destra della figura, entrano in gioco Manager di livello e orientamenti culturali diversi, che tendono a leggere il contesto secondo propri schemi di riferimento e parametri di valutazione. Chi è fortemente orientato all’osservazione e interpretazione dell’atteggiamento del Consumatore difficilmente potrà sintonizzarsi a fondo con la logica dell’Alta Direzione, tutta orientata verso risultati economico finanziari e di mercato. Il modello mette in luce le difficoltà in cui può trovarsi il Marketer. La distanza culturale tra i ruoli e il linguaggio impiegato possono spiegare il limitato accesso del Marketer alla cosiddetta stanza dei bottoni. Se il Marketing intende acquisire un ruolo chiave, è importante che usi linguaggio e orientamento in chiave di Business, senza perdere la specificità professionale. Ma è importante anche l’opposto: lo schema può essere utile ad avvicinare l’Alta Direzione alle metriche dei valori intangibili. GRANDI OPPORTUNITÀ MA ANCHE GRANDE SENSO DI URGENZA Concludendo si può affermare che l’entità dei cambiamenti causata dallo sviluppo e dall’introduzione delle tecnologie digitali richiede ai Marketer B2B, nel 2018, un ulteriore sforzo di aggiornamento e adattamento. I Marketer hanno l’opportunità di utilizzare tecnologia e dati per coinvolgere i clienti in modi radicalmente nuovi, anticipando le loro esigenze e accelerando le loro decisioni di acquisto, rafforzando al tempo stesso la fedeltà alla marca. Il rapido cambiamento del comportamento degli acquirenti richiede che i Professionisti del Marketing si muovano con un grande senso di urgenza per rimanere al passo. Considerazioni analoghe valgono anche per le funzioni acquisti B2B, che si trovano di fronte a nuove opportunità di acquisto più facile, meno costoso e con un’offerta più ampia.
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INTERVISTA di
MANUELA GIANNI
GIULIANO NOCI PROFESSORE ORDINARIO DI STRATEGIA E MARKETING POLITECNICO DI MILANO
biomarketing, studiare le emozioni per attrarre e trattenere i clienti Il consumatore non è razionale e i Big Data non sono la risposta a tutti i problemi dei marketer. Lo spiega Giuliano Noci, docente di Marketing al Politecnico di Milano, in questa intervista realizzata in occasione della pubblicazione del libro “Biomarketing”. «Serve costruire un sistema di interazioni virtuose in grado di creare empatia tra la marca e l’individuo»
La funzione marketing deve trasformarsi profondamente e diventare un vero driver di profitto e crescita. Perché ciò accada servono nuove tecniche di indagine, quelle del biomarketing, che vanno a integrare quelle puramente neurologiche del neuromarketing, e un nuovo “ritmo”, che non è quello tradizionale delle campagne. È quanto sostiene Giuliano Noci, ordinario di Strategia e Marketing al Politecnico di Milano, intervistato in questo video in occasione della pubblicazione del nuovo libro “Biomarketing“, edito da Egea. Professor Noci, cos’è il biomarketing? Biomarketing è una nuova piattaforma per la costruzione di relazioni virtuose con il mercato che parte da un assunto di fondo: la centralità dell’uomo. In un contesto ipertecnologico e iperconnesso come quello attuale si tende ad associare alle dinamiche di comportamento degli individui decisioni razionali, assunti pienamente basati su processi cognitivi. In | 12 |
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realtà non è così: oltre il 90% delle decisioni d’acquisto di oggi si basano ancora su emozioni. Le emozioni inducono ad azioni. In questa prospettiva, il biomarketing è la capacità di utilizzare la tecnologia per costruire al meglio una relazione marca-consumatore. In pratica, come funziona il biomarketing? Il biomarketing nella pratica si traduce in due traiettorie di cambiamento principali. Da una parte nuovi strumenti di indagine. Nel marketing siamo tutti abituati ad utilizzare ricerche di mercato che si basano sul dichiarato; queste sono un po’ meno utili rispetto al passato per interpretare le ragioni per cui un individuo reagisce a un certo stimolo. Utilizziamo quindi nel biomarketing un approccio nuovo: tecniche biometriche che rilevano attività celebrali e parametri corporei per rilevare le emozioni che un individuo prova a fronte di uno stimolo cui è sottoposto. La seconda traiettoria guarda invece a un nuovo ritmo, che non è più quello della campagna
INTERVISTA | BIOMARKETING, STUDIARE LE EMOZIONI PER ATTRARRE E TRATTENERE I CLIENTI
«Il marketing oggi ha un nuovo ritmo, che non è più quello della campagna. Serve costruire nel tempo una narrativa, un insieme di interazioni che impattino positivamente nella mente del consumatore, agendo sui love times»
di marketing, ma è la capacità di costruire nel tempo uno “storydoing”, cioè una narrativa di marca, un insieme di interazioni che da un lato impattino positivamente nella mente del consumatore, creino una condizione di risonanza emotiva e nello stesso tempo agiscano sui cosiddetti momenti dell’amore, i love times. Il processo d’acquisto in questa chiave non è più piatto, ma ha dei momenti, degli istanti, dei touchpoint del tutto particolari, che occorre individuare per sviluppare azioni consistenti e coerenti, con l’obiettivo di indurre il consumatore all’acquisto. Che ruolo ha l’analisi dei Big Data in questo contesto? Ai Big Data attribuiamo una dimensione salvifica. Sono un insieme di algoritmi che ci permettono di avere la risposta a problemi che io reputo complessi. In realtà, siamo un po’ degli integralisti dell’intelligenza artificiale dei Big Data se adottiamo questa prospettiva. Un esempio: se tutte le aziende adottassero Big Data cioè algoritmi che si basano su logiche correlative ed associative in qualche misura tutti arriverebbero alle stesse conclusioni, quindi arriveremmo al paradosso dell’isomorfismo comportamentale, in cui tutti fanno la stessa cosa, che è la negazione stessa del gioco competitivo. In questa prospettiva, l’uomo, in questo caso come manager, può fare la differenza, che non vuol dire negare l’utilità dei Big Data. Essi sono uno strumento a supporto di un sistema di connessioni creative e innovative che solo la mente di un uomo è in grado di generare. Cosa non funziona oggi nel marketing tradizionale? Nel nuovo contesto del marketing tradizionale non funzionano un certo numero di cose. La prima è il mito del consumatore razionale. Noi purtroppo ci appiattiamo su una visione di prezzo e non realizziamo profitti come imprese perché conosciamo
poco l’individuo ed è la leva più semplice per cercare di conquistare fatturato. Siamo ancora ancorati ad una prospettiva di proposizione del valore legata al “che cosa”, ovvero la qualità e i valori intrinseci del nostro prodotto. In verità, quello che sostengo nel mio libro è che la vera proposizione di un’impresa sia il combinato disposto del che “cosa” più il “come”. “Come” vuol dire la capacità di costruire un sistema di interazioni virtuose in grado di creare fiducia, empatia tra quella che è la marca e l’individuo. Questa dimensione di processo sarà sempre di più quella che farà la differenza, mettendo in secondo piano il prodotto. E in questo senso Amazon docet. Come opera il laboratorio Pheel del Politecnico di Milano? Il Politecnico di Milano ha creato un laboratorio di biomarketing, che è frutto di competenze interdisciplinari: bioingegneria, design, information technology e business vanno a braccetto per cercare di aiutare le imprese a interpretare meglio reazioni di individui esposti a determinati stimoli. Stiamo lavorando con molteplici imprese. Un esempio è quello di una Media Company che ha la necessità di veicolare e analizzare il rapporto messaggio pubblicitario-contenuto. In altre parole, capire come la qualità del programma può influenzare l’efficacia del messaggio pubblicitario. Un altro caso molto frequente è la valutazione dell’efficacia delle interfacce web, tipicamente in grandi progetti di e-commerce. Inoltre, testiamo layout di punti vendita per capire come l’esperienza del consumatore cambia a fronte di layout e forma. Infine, stiamo approcciando un tema estremamente interessante: l’impatto dell’auto elettrica sulle emozioni di un individuo, che guida un’auto ad alte prestazioni senza più sentire il rombo del motore. www.digital4executive.it
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INTERVISTA di
DANIELE LAZZARIN
IMA Group, 18 progetti di digitalizzazione per il “fuoriclasse” del Made in Italy «Il nostro vertice aziendale ha voluto sfruttare fin da subito il Piano Industria 4.0 del Governo». Dall’Internet of Things per la manutenzione preventiva ai Collaborative Robot, fino alla “connected field force”: Pier Luigi Vanti, ICT Corporate Director di IMA SpA, racconta le principali iniziative del gruppo emiliano, uno dei 5 top performer italiani per utili e ricavi degli ultimi 10 anni
«Il nostro vertice aziendale ha voluto sfruttare fin dal primo momento il Piano Industria 4.0 del Governo. Abbiamo 18 progetti di digitalizzazione in corso, quasi tutti finanziati in parte con incentivi Industria 4.0, o comunque statali o regionali. Il Gruppo storicamente ha sempre investito nell’innovazione tecnologica, vive di questo, ma il Piano Calenda è stato una spinta ad accelerare l’impegno sulla ricerca e sviluppo e sull’innovazione». Così Pier Luigi Vanti, ICT Corporate Director di IMA SpA, spiega in poche parole il piano di trasformazione digitale del gruppo emiliano, che produce macchine e impianti per il confezionamento di prodotti alimentari, farmaceutici, cosmetici e tabacco. IMA Group è una delle punte di diamante del Made in Italy nel mondo. Qualche mese fa il Sole 24 Ore l’ha classificata tra le cinque “fuoriclasse” italiane degli ultimi dieci anni, sulla base dei dati di crescita, redditività, debito, performance di bilancio e di borsa. Nata a Bologna nel 1961 come | 14 |
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produttrice di macchine per confezionare bustine da the – ambito in cui è tuttora leader mondiale con il 70% del mercato – nel tempo si è espansa in altri mercati con acquisizioni in tutto il mondo. Oggi è una multinazionale a conduzione familiare da 1,44 miliardi di euro (fatturato preliminare 2017, cresciuto del 10% rispetto al 2016), realizzati per l’88% all’estero, 5500 dipendenti di cui oltre 2600 all’estero, 41 stabilimenti, e una rete di vendita che opera in 80 paesi. I TRE PILASTRI DEI SISTEMI INFORMATIVI: ERP, CRM E GESTIONE DOCUMENTALE Negli ultimi 10 anni IMA ha completato l’implementazione e consolidamento a livello gruppo dei sistemi ERP, CRM, e di gestione documentale, ci spiega Vanti. «Sono i tre pilastri dei sistemi informativi che abbiamo distribuito nel mondo, e ci garantiscono una governance centralizzata dei
INTERVISTA | IMA GROUP, 18 PROGETTI DI DIGITALIZZAZIONE PER IL “FUORICLASSE” DEL MADE IN ITALY
ci occupiamo direttamente di montaggio, collaudo, validazioni, eccetera. Questo introduce una necessità di coordinamento con i nostri fornitori particolarmente critica e complessa. Quindi da due anni è partito un progetto che nei confronti dei fornitori più fidelizzati e strategici ha previsto un’integrazione nativa “SAP-to-SAP” tra il loro sistema gestionale e il nostro. Mentre con i fornitori meno strategici e non dotati di un sistema ERP l’integrazione avviene attraverso un portale web». Un terzo progetto riguarda il “virtual commissioning”, per verificare in modo virtuale il corretto funzionamento del software e degli impianti. «Questa verifica si fa al termine della progettazione di ogni gruppo funzionale dell’impianto. Man mano che se ne aggiunge uno, il test diventa sempre più completo. Ed evidenzia non solo i bug del software, ma anche errori di progettazione meccanica che di solito emergono solo al collaudo in officina. In questo modo possiamo anticipare il time-to-delivery di diverse settimane: da 3 a 6 in funzione del tipo di impianto». ROBOT, SOLO PER ATTIVITÀ A BASSO VALORE AGGIUNTO DEI CLIENTI processi e delle tecnologie. Poi da circa due anni abbiamo avviato i 18 progetti di digitalizzazione di cui accennavo». Uno di questi riguarda l’integrazione della progettazione. «Il gruppo ha molte business unit, ciascuna specializzata su un mercato, con il proprio ufficio tecnico, che progetta impianti costituiti da diverse macchine connesse con componenti meccanici, elettrici, elettronici e software. Avevamo la necessità di integrare il lavoro di tutti questi uffici con uno strumento globale di gestione e coordinamento dei progetti, per cui abbiamo introdotto un sistema PLM che comprende anche la gestione del software applicativo a bordo macchina». SUPPLY CHAIN, L’INTEGRAZIONE “SAP-TO-SAP” CON I FORNITORI STRATEGICI Un altro progetto riguarda la Supply Chain. «Il 95% della produzione è esterno dell’azienda, noi
Poi IMA sta lavorando anche sull’additive manufacturing. «Da anni utilizziamo componentistica di plastica stampata in 3D, ora stiamo verificando la maturità delle tecniche di stampa 3D di componenti metallici, e i rapporti costi/benefici dei vari materiali». Altro progetto riguarda i Collaborative Robot, cioè carrelli con bracci antropomorfi pensati non come sostituzioni ma come supporti agli addetti dei clienti. «Le nostre linee sono molto manuali e difficilmente automatizzabili, perché ogni impianto è realizzato su specifica e personalizzato. Però possiamo robotizzare alcune attività a basso valore aggiunto che nelle fabbriche dei clienti assorbono fino al 20% del tempo degli operatori». Per esempio il prelievo in magazzino e la sostituzione di materiali di consumo per l’alimentazione degli impianti. «A maggio è previsto il primo progetto pilota presso un cliente per la sostituzione delle bobine www.digital4executive.it
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INTERVISTA | IMA GROUP, 18 PROGETTI PER LA DIGITALIZZAZIONE DEL “FUORICLASSE” DEL MADE IN ITALY
Tutte queste iniziative fanno parte della strategia “IMA Digital”. «Non c’è un unico “regista centrale”, ma c’è un comitato strategico, e tre figure operative che coordinano tutti i progetti»
di carta filtro, etichette, filo ecc. su impianti di produzione di bustine da the». MANUTENZIONE PREVENTIVA, AL VIA IL PRIMO PROGETTO PILOTA Non poteva mancare poi uno dei fronti più promettenti dell’Industrial Internet of Things: la manutenzione preventiva. «Gli impianti IMA sono sempre stati ricchi di software e sensori, ma finora erano stand-alone, cioè non interagivano attraverso canali digitali con l’uomo o con altre macchine o sistemi esterni, e poi non avevano sensori “diagnostici”, ma solo sensori legati alla sicurezza e alle performance. Questo progetto colma queste due lacune con una piattaforma di connettività e con sensoristica che consente anche la diagnostica preventiva, per monitorare da remoto lo stato di salute dei componenti critici degli impianti installati presso i clienti». La tecnologia, selezionata dopo un’analisi di fornitori, system integrator e soluzioni, è Leonardo, la piattaforma IoT di SAP. «Stiamo ormai andando in produzione con il primo cliente pilota, proprio questo mese installeremo in uno stabilimento in Belgio la prima macchina IMA connessa e monitorata da remoto, dalla sede centrale del nostro cliente». BIG DATA, PER ORA SOLO “OFFLINE” IN LABORATORIO In questo caso, precisa Vanti, i dati rimangono di proprietà e nel perimetro societario del cliente. «Per altri invece stiamo realizzando un servizio di control room dove i dati rimarranno a IMA, che erogherà a questi clienti un servizio continuativo di monitoraggio e manutenzione preventiva». Per ora questi dati sono processati con sistemi di analytics “tradizionali”. «Sulla piattaforma Leonardo stiamo raccogliendo dati dagli impianti presso i clienti, che mettiamo già elaborati e filtrati in cloud, quindi non sono grandi volumi. Arriveremo a uno scenario Big Data con il tempo, o decidendo di raccogliere più tipi di dati». Finora IMA ha ap| 16 |
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plicato tecniche di analisi Big Data solo offline, su alcune settimane di dati di comportamento delle macchine, raccolti con accelerometri e sensori di temperatura e di grandezze fisiche. «È un lavoro fatto nei nostri laboratori per mettere a punto algoritmi di apprendimento sull’usura di alcuni componenti, da poter utilizzare poi in tempo reale sulle macchine all’opera nelle fabbriche dei clienti». CONNECTED FIELD FORCE PER 600 TECNICI Infine l’ICT Corporate Director di IMA cita il progetto Connected Field Force, «molto importante dal punto di vista strategico, perché sta crescendo sempre più l’enfasi sul post-vendita. I nostri impianti hanno cicli di vita dai 15 ai 25 anni, venderli resta il nostro business principale, ma i servizi di assistenza e manutenzione in prospettiva possono diventare più importanti». I tecnici IMA lavorano in paesi e zone spesso mal connesse, sia dalle strade che dalle reti cellulari, quindi usano molta carta e dispositivi offline. «Con questo progetto doteremo i tecnici di tablet connessi ai sistemi centrali aziendali – ERP, CRM e PDM – e con possibilità anche di lavorare offline, sincronizzandosi poi appena il dispositivo può riconnettersi. Stiamo partendo con 40 tecnici di due divisioni pilota. Poi man mano estenderemo alle altre società e divisioni, con un parco utenti a regime di 600 tecnici». TRE MANAGER PER COORDINARE IL PIANO DIGITALE Tutte queste iniziative fanno parte, conclude Vanti, della strategia “IMA Digital” supportata attivamente sia sul piano della comunicazione che su quello dell’organizzazione dai vertici aziendali. «Non c’è un unico manager che fa da “regista centrale”, ma c’è un comitato strategico, che risponde al CdA, e tre figure operative che coordinano tutti i progetti. Uno sono io, che rappresento la parte IT, uno rappresenta la parte innovazione e ricerca di prodotto, e il terzo rappresenta marketing, esigenze dei clienti e comunicazione al mercato».
MANAGEMENT - WORLD OF BUSINESS IDEAS di
DANIELE LAZZARIN
in collaborazione con
CHRIS MCCHESNEY GLOBAL PRACTICE LEADER OF EXECUTION FRANKLIN COVEY
Definire le strategie è facile, il problema è realizzarle: 4 discipline per un’ottima Execution Chris McChesney ha spiegato al World Business Forum di Milano le tesi del suo libro, tra i più venduti su Amazon nella categoria “strategia”. Focalizzarsi, misurare, coinvolgere, responsabilizzare: cosa fa la differenza tra un piano sulla carta e la sua concretizzazione. «L’innovazione affascina, ma bisogna saper anche scartare buone idee»
Definire una strategia è facile, il difficile è metterla in pratica. È un concetto quasi scontato, ma nonostante questo gli errori di execution continuano a essere molto frequenti, anche nelle organizzazioni con management esperto e strutturato. Probabilmente per questo “The 4 Disciplines of Execution” di Chris McChesney e Sean Covey, uscito nel 2012, è tuttora il secondo libro di strategia più venduto su Amazon, dietro solo allo storico “Innovation and Entrepreneurship” di Peter Drucker. McChesney è intervenuto al World Business Forum 2017 di Milano, e la sua presentazione è stata in effetti una delle più seguite. «Il problema è che nelle scuole di management si studia Strategia, e non Execution», ha spiegato, precisando che ci sono due tipi di strategie, quelle del “tratto di penna”, e quelle “behavior change”. «Le prime si possono realizzare semplicemente avendo le risorse e l’autorità: l’investimento in un
macchinario per la fabbrica, una serie di assunzioni per rafforzare un reparto, una campagna pubblicitaria, un’acquisizione». Le seconde - per esempio migliorare il livello di customer satisfaction nei negozi, implementare un nuovo sistema di Sales Automation, adottare una nuova organizzazione per processi - per riuscire richiedono cambiamenti di comportamento, spesso di molte persone. «E cambiare il comportamento delle persone, questo lo sappiamo tutti, è difficilissimo», continua McChesney. «In particolare lo sanno i top manager, che però non chiedono aiuto, non dicono “vorrei essere più bravo su questo aspetto”, ma dicono “i miei collaboratori non mi hanno capito”. Danno la colpa alle persone. Eppure, come dice Deming, il padre del Quality Management, se la maggioranza delle persone si comporta in un certo modo, il problema non sono le persone: è il sistema. E il sistema lo fa il leader, lo fa il top management». www.digital4executive.it
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MANAGEMENT- WORLD OF BUSINESS IDEAS | DEFINIRE UNA STRATEGIA È FACILE, IL PROBLEMA È REALIZZARLA: LE QUATTRO “DISCIPLINE” PER UN’OTTIMA EXECUTION
«Cambiare il comportamento delle persone, lo sappiamo tutti, è difficilissimo. Lo sanno anche i top manager, che però non dicono “vorrei essere più bravo su questo aspetto”, ma dicono “i miei collaboratori non mi hanno capito”»
DUE FORZE SEMPRE IN LOTTA: QUOTIDIANITÀ E STRATEGIC GOAL Secondo McChesney, per “eseguire” bene anche le strategie “behavioral change” occorre partire da due elementi. Uno è che nell’organizzazione combattono due forze: il “whirlwind” (vortice), cioè l’operatività quotidiana, le attività che bisogna fare per portare avanti il business così com’è, e gli “strategic goals”, cioè le iniziative innovative per cambiare il business e migliorarlo. Queste due forze competono continuamente per aggiudicarsi le risorse dell’organizzazione. La parola d’ordine del whirlwind è “urgente”, quella degli strategic goals è “importante”. Il secondo elemento è che per ottenere un “behavioral change” bisogna motivare le persone, anzi bisogna appassionarle. Bisogna coinvolgerle in un “winnable game”, che come tutti i giochi spinga le persone a dare il massimo per vincere. «E per mettere in piedi un “winnable game” bisogna instaurare le quattro discipline della execution. Le ho chiamate “discipline” perché sono concetti molto semplici se presi a uno a uno, però sono regole, difficili da realizzare e soprattutto mantenere nel tempo nella quotidianità di una organizzazione». NESSUNA ORGANIZZAZIONE PUÒ GESTIRE TUTTI I PROBLEMI CHE HA La prima disciplina riguarda il Focus, McChesney la riassume nella frase “Focus on the Wildly Important”. «Partiamo dal presupposto che il “whirlwind” si prende fino all’80% delle risorse, sia a livello dell’organizzazione che del singolo team. Il resto bisogna dedicarlo a obiettivi molto importanti, che vanno centrati assolutamente ma che non accadono spontaneamente, richiedono una speciale attenzione: io li chiamo Wildly Important Goals, o WIG». La tesi di McChesney è che il singolo team può occuparsi al massimo di due o tre WIG alla volta: se cerca di fare di più otterrà risultati mediocri. «È scientifico, si chiama legge dei rendimenti decrescenti». Eppure tutto congiura contro la foca| 18 |
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lizzazione. «In ogni momento un’organizzazione deve affrontare più problemi di quanti sia in grado di gestirne concretamente. Inoltre si tende a promuovere persone creative e ambiziose, che sono portate a fare sempre di più. Terzo: l’innovazione affascina, si fa di tutto per promuovere la generazione di idee su sempre più canali, ma questo crea confusione. Pochissimi hanno il coraggio di dire no a nuove idee, anche se buone, per concentrarsi solo sulle più promettenti. Una di queste è Apple, ha sottolineato McChesney riportando una citazione del CEO Tim Cook: «Ogni giorno rifiutiamo buone idee. Lo facciamo per concentrarci su pochissime cose alla volta, e poterci investire enormi quantità di risorse in modo da farle in modo eccellente». Altra difficoltà della focalizzazione è definire i WIG. Il che significa non solo sceglierli, ma anche “quantificarli”. «Non basta dire “aumentiamo le vendite dei nuovi prodotti”, o “miglioriamo la gestione delle scorte”: bisogna applicare la regola “X to Y by When”, cioè definire il punto di partenza, il punto di arrivo e il tempo del percorso. Per esempio ”aumentiamo le vendite dei nuovi prodotti portando la loro incidenza dal 12% al 20% del fatturato entro 12 mesi”, oppure “miglioriamo la gestione delle scorte aumentando il tasso di rotazione del magazzino da 8 a 10 entro il 31 dicembre”». MISURARE SÌ, MA COSA? FATE SCEGLIERE IL TEAM Le misure sono quindi fondamentali per una buona execution, questo è intuitivo, però c’è misura e misura, e questo introduce la seconda disciplina: “Act on the lead measures”. Ci sono due tipi di misura: Lag e Lead. Le Lag Measure vanno a rilevare direttamente la grandezza connessa al WIG. Esempi: fatturato, profittabilità, indici di qualità e di customer satisfaction. «Il problema è che sono dati a consuntivo, e non c’è modo di capire quanto le nostre azioni quotidiane li influenzino. Per esempio il report delle vendite di settimana scorsa è un dato di fatto, non ci si può fare più niente».
MANAGEMENT- WORLD OF BUSINESS IDEAS | DEFINIRE UNA STRATEGIA È FACILE, IL PROBLEMA È REALIZZARLA: LE QUATTRO “DISCIPLINE” PER UN’OTTIMA EXECUTION
«Se voglio dimagrire non devo monitorare il peso sulla bilancia, ma le calorie che assumo, o i km che percorro: sono queste le misure su cui posso agire direttamente»
Le Lead Measures invece tracciano le attività che determinano il percorso verso il raggiungimento del WIG, e sono direttamente influenzate dal team di lavoro. «Supponiamo che il mio obiettivo WIG sia perdere peso: la misura Lag è il peso che leggo sulla bilancia, le misure Lead sono il numero di calorie che assumo, o il numero di km che percorro camminando o correndo: sono queste che bisogna monitorare giorno per giorno, ed è su queste che posso agire direttamente». Una criticità in questo caso è che le Lag sono facili da misurare e rappresentano direttamente l’obiettivo. Le Lead sono più difficili da definire, e da misurare. «Ma è il monitoraggio delle Lead che facilita l’execution». Supponiamo che il WIG sia aumentare le vendite in una catena di negozi, o ridurre gli infortuni in fabbrica. Nel primo caso misure Lead possono essere il numero di messaggi promozionali ai clienti o il volume d’investimento in campagne promozionali. Nel secondo il numero di addetti sottoposti a corsi di formazione sulla sicurezza, o il numero di caschi protettivi acquistati». Una seconda criticità è che ai manager viene spontaneo imporre delle Lead Measure, «e invece la cosa migliore è che vengano scelte dal team stesso che deve perseguire l’obiettivo WIG». COINVOLGERE VUOL DIRE AGGIORNARE CONTINUAMENTE SUI RISULTATI La terza “disciplina della execution” secondo McChesney è “Keep a Compelling Scoreboard”. «Questa è la disciplina del coinvolgimento: le persone danno le migliori performance quando
sono coinvolte, e vengono coinvolte se vedono in modo immediato se stanno vincendo, dove per “vincere” intendo “essere sulla buona strada per realizzare l’obiettivo WIG su cui sono concentrato”». Per questo occorre mostrare visivamente in modo immediato su uno “scoreboard” l’andamento delle misure Lead e aggiornarle regolarmente. Per un team, vedere come si sta procedendo rispetto a un parametro che il team stesso ha scelto è una garanzia di forte coinvolgimento.Infine la quarta disciplina è “Create A Cadence Of Accountability”. Occorre fissare degli incontri regolari e frequenti, spesso la cadenza ideale è settimanale, per fare il punto su ciò che si è fatto e impegnarsi sui prossimi passi. «Una riunione del team di non più di 20 minuti in cui ciascuno dice se ha centrato gli impegni della scorsa settimana, se questi hanno impattato sullo scoreboard, e assume 1-2 impegni per la prossima settimana per migliorare lo scoreboard». Le prime tre discipline, sottolinea l’esperto americano, definiscono le regole del gioco, la quarta è la “realizzazione” del gioco, in cui le persone agiscono individualmente e come team – impegnandosi in attività ideate da loro, e non calate dall’alto - e si aggiornano sui progressi verso l’obiettivo. «Con gli altri autori del libro abbiamo implementato più di 1500 volte queste discipline prima di scriverlo: volevamo testarle e rifinirle su centinaia di casi reali - ha concluso McChesney -. Esaminandole singolarmente possono sembrare banali, ma implementarle non lo è perché richiede a sua volta di cambiare il comportamento delle persone: richiede energia, impegno e costanza. Ma soprattutto per ottenere i migliori risultati vanno implementate tutte e quattro insieme, e coordinate nel tempo».
«Queste discipline a una a una possono sembrare banali, ma per funzionare vanno implementate tutte insieme e mantenute nel tempo: le abbiamo testate e rifinite su centinaia di casi reali» www.digital4executive.it
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INTERVISTA di
MANUELA GIANNI
DAVID CIS
Generali Italia pronta a utilizzare l’Intelligenza Artificiale «Con chatbot e robotica miglioriamo il servizio»
CHIEF OPERATING OFFICER GENERALI ITALIA
Software intelligenti e robot entreranno presto a pieno regime in tre ambiti: l’assistenza agli agenti, lo smistamento della posta e la chatbot per i clienti. È l’inizio di un percorso di automazione dei processi che si svilupperà ulteriormente nei prossimi anni. Obiettivi: «Qualità, velocità e più risorse da convogliare verso nuovi servizi e attività a maggiore valore aggiunto», spiega David Cis, Chief Operating Officer della compagnia assicurativa
È positivo il primo bilancio di Generali Italia sull’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale. Lo conferma a Digital4Executive David Cis, Chief Operating Officer della compagnia assicurativa, raccontando i risultati delle sperimentazioni portate avanti in questi ultimi mesi. Sistemi di robotica e software intelligenti sono stati sperimentati con successo per automatizzare tre diversi processi, ovvero l’assistenza agli agenti, lo smistamento della posta e la chatbot per il servizio ai clienti. La compagnia del Leone, guidata da Marco Sesana, ora è pronta ad ampliarne il raggio d’azione e fare così un nuovo passo avanti in un percorso che punta sempre più sulle tecnologie innovative e sul digitale. Luogo simbolo della nuova strategia è l’Innovation Park inaugurato a Mogliano ad aprile, un laboratorio pensato proprio per accelerare la trasformazione digitale. Generali Italia considera l’automazione dei processi uno strumento essenziale per l’evoluzione | 20 |
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del proprio modello operativo. Quali vantaggi vi aspettate? L’automazione dei processi non è l’unico strumento importante per evolvere il modello, ma è sicuramente uno degli ambiti su cui ci stiamo maggiormente focalizzando. Con due obiettivi chiari in mente: da un lato migliorare la qualità e la velocità del servizio che forniamo ad agenti e clienti; dall’altro liberare risorse da convogliare verso nuovi servizi e attività a maggiore valore aggiunto, dove sono necessarie competenze specifiche. Da dove siete partiti? Abbiamo avviato il percorso utilizzando tecnologie di robotica, che sono più mature, per automatizzare alcune procedure operative ben codificate. In questo ambito siamo già oltre la sperimentazione: abbiamo oltre 20 robot funzionanti che svolgono in modo automatico attività molto ripetitive, precedentemente fatte dalle nostre persone.
INTERVISTA | GENERALI ITALIA PRONTA A UTILIZZARE L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Tra il 2017 e inizio 2018 abbiamo invece sperimentato le tecnologie che vanno sotto il cappello di Intelligenza Artificiale, con il riconoscimento di testi e immagini. Per essere chiari, i robot di cui parla sono software… Esattamente, i robot sono software, algoritmi che simulano e ripetono operazioni e processi standardizzati, agendo sulle nostre applicazioni esattamente come avrebbe fatto una persona. Un esempio in questo senso è la gestione delle disdette, richieste che necessitano di una sequenza di attività molto standardizzata e automatizzabile. Invece con l’Intelligenza Artificiale si aggiunge la capacità di interpretare e apprendere… Anche in questo caso stiamo parlando di software e di algoritmi, ma si va al di là delle operazioni standardizzate che utilizzano dati strutturati. Queste soluzioni sono in grado di “comprendere” il significato di un testo libero e non strutturato e indirizzare le attività da eseguire dopo averlo letto: questa operazione è più complessa e richiede Intelligenza Artificiale. Questi algoritmi sono in anche grado di apprendere, man mano che vengono alimentati con nuovi dati, nuove domande e interpretazioni. Naturalmente questa evoluzione richiede comunque presidio da parte di risorse esperte. In quali ambiti Generali Italia ha già sperimentato l’Intelligenza Artificiale? Ne cito in particolare tre. Il primo è il servizio di assistenza ai nostri agenti. Attraverso un sistema di ticket, possono inviarci una richiesta di assistenza a testo libero quando hanno qualche esigenza specifica. Abbiamo creato un motore di Intelligenza Artificiale che è in grado di processare 30mila richieste l’anno: capisce il testo libero scritto dall’agente e attiva un robot per completare la richiesta, eseguendo le attività necessarie. Si tratta in questo caso di un primo prototipo realizzato su una serie di casistiche specifiche relative all’assistenza degli agenti. Il secondo ambito riguarda lo smistamento della posta. Generali Italia riceve circa 1 milione di comunicazioni l’anno, fra carta ed email, che non hanno un destinatario specifico, ma sono genericamente indirizzate alla compagnia. Finora c’era bisogno di persone che ne leggessero il contenuto per poi smistarli agli uffici di competenza. Abbiamo testato con esito positivo, e metteremo in produzione, un sistema OCR (Optical Character Recognition) di lettura della posta abbinato a un motore di Intelligenza Artificiale che
capisce in automatico dove indirizzarla. Riusciremo così a smistare centinaia di migliaia di pezzi di posta ogni anno, con un grado di accuratezza assolutamente paragonabile a quello dei processi precedenti: i test lo confermano pienamente. Un terzo ambito è quello della chatbot, il primo assistente virtuale dedicato ai nostri clienti assicurativi, con cui dialoga fornendo risposte automatiche. In questo momento è in grado di gestire un numero di casistiche circoscritto, problemi banali ma molto frequenti come ad esempio la perdita di password, ma abbiamo già pianificato degli ampliamenti. I volumi sono già interessanti: solo nel mese di gennaio abbiamo gestito 7mila richieste. Siete quindi soddisfatti dei risultati? I sistemi funzionano bene e dai test abbiamo avuto le conferme positive necessarie per poterli portare su ampia scala. Non ne avevamo la certezza all’inizio del percorso. In tutti i casi citati l’infrastruttura tecnologica che abbiamo realizzato è scalabile e pronta a incamerare nuovi casi d’uso, che prevediamo di aggiungere nei prossimi mesi. L’obiettivo, ripeto, è migliorare il servizio al cliente e liberare risorse e competenze per i servizi aggiuntivi che dobbiamo sviluppare, oltre che per gestire i casi complessi, che ci saranno sempre, e che potranno avere un trattamento prioritario. La personalizzazione è stata onerosa? Nelle casistiche che abbiamo sperimentato c’è sempre stato bisogno di una fase articolata e corposa di personalizzazione e adattamento del software alla nostra specifica esigenza, con il supporto del fornitore. Che impatti sull’organizzazione del lavoro prevedete? Fino a questo momento abbiamo coperto una quota piccola dei volumi complessivi, con un impatto minimo che non ha richiesto una gestione particolare. È ancora presto per capirlo, ma davvero pensiamo che l’automazione permetterà di dedicare le persone ad attività a maggiore valore aggiunto per puntare all’eccellenza del servizio. Per noi è una priorità essere più veloci, più efficienti e più trasparenti e dedicare le risorse necessarie a questo scopo. I prossimi passi? Sicuramente estenderemo a breve le casistiche gestite: stiamo stilando un piano per dare massima priorità alle sperimentazioni. Per questo, serve raccogliere in modo strutturato i feedback e gli esiti. www.digital4executive.it
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INTERVISTA di
ANNALISA CASALI
Thun, innovazione digitale e omnicanalità. Cresce l’eCommerce e aumentano i negozi Dalle bomboniere alla realtà aumentata: la società altoatesina unisce tradizione e nuove tecnologie, puntando su social network e app per ingaggiare i clienti più giovani, e sul commercio elettronico per espandersi velocemente in nuove aree geografiche. «L’integrazione online-offline è cruciale anche per chi ha prodotti tutt’altro che tecnologici», raccontano l’AD Paolo Denti e l’innovation manager Francesco Spanedda Innovazione digitale e omnicanalità. Parte da questi due fondamentali il nuovo percorso strategico avviato da Thun, l’azienda altoatesina che deve la sua fortuna ai famosi angioletti di ceramica. Il piano industriale varato lo scorso anno prevede infatti investimenti per 40 milioni di euro nel triennio 2017-2019, concentrati principalmente sulla digitalizzazione, l’ampliamento e il rimodernamento dei punti vendita e la formazione del personale. La crisi che ha caratterizzato gli anni dal 2013 al 2015, il periodo più buio per Thun, è ormai un lontano ricordo. Il 2017 ha fatto da spartiacque: sotto la guida dell’Amministratore Delegato Paolo Denti, il fatturato è aumentato a doppia cifra (+12,5%), sfiorando i 98 milioni di euro, e la crescita si è tradotta anche in 200 nuove assunzioni. «Il concetto di innovazione digitale in Thun è fortemente integrato con quello di omnicanalità», ha spiegato nel corso di un convegno al Politecnico di Milano l’AD. «L’integrazione di online e offline, oggi, anche per una realtà come la nostra, con una forte tradizione e un prodotto tutt’altro che | 22 |
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tecnologico, è fondamentale. Occorre mettere il consumatore al centro delle nostre strategie e noi lo stiamo facendo». Ma come si traduce questa visione in pratica? «Anzitutto, a livello dirigenziale. Da inizio 2017 è presente in azienda un Digital Innovation Manager, che ha il compito di aiutarci in questo percorso di innovazione digitale con un approccio fortemente collaborativo. Si tratta di un investimento importante, fatto in vista di un obiettivo che per noi è un punto di partenza più che un traguardo, ovvero mettere a fattor comune tutte le informazioni provenienti dai clienti (85mila i soli collezionisti membri del Thun Club, ndr) per ingaggiarli e fidelizzarli meglio, ma anche attrarre nuovi target». REALTÀ AUMENTATA PER MIGLIORARE LA CONOSCENZA DEL BRAND Nel mirino dell’azienda ci sono i giovani e, in particolare, i Millennials, molto presenti sui social e che vivono con lo smartphone sempre acceso. Proprio a
INTERVISTA | THUN, INNOVAZIONE DIGITALE E OMNICANALITÀ. CRESCE L’ECOMMERCE E AUMENTANO I NEGOZI
loro è dedicato il nuovo progetto di brand awareness ed engagement potenziato che sfrutta l’innovazione digitale e, in particolare, le tecnologie di realtà aumentata (AR). «L’App mobile Zappar – spiega Francesco Spanedda, Brand Director della società – permette di portare virtualmente gli oggetti Thun all’interno della propria casa o in vacanza». Grazie alla campagna social “Viaggia con Teddy” collegata all’hashtag #teddygoesto è possibile interagire in modo virtuale con l’iconico orsacchiotto Thun, oggi disponibile in versioni che richiamano le mete più battute dai turisti: Teddy Paris, Teddy New York o Teddy Venezia. «L’App permette di scaricare dei marker per collocare l’immagine di Teddy all’interno delle proprie foto digitali, che diventano vere e proprie “cartoline” di viaggio condivise sui social, contribuendo a potenziare la notorietà del brand». IL VALORE DELLA LOGISTICA PER SOSTENERE L’OMNICANALITÀ Nuovi target significano anche nuovi canali di vendita. «L’eCommerce pesa al momento per il 5% del fatturato ma cresce in modo deciso soprattutto nella modalità “click and collect”, che prevede l’ordine online e il ritiro nel negozio più vicino», chiarisce Spanedda. «Fino a qualche anno fa – tiene a sottolineare l’AD Denti – l’eCommerce si poneva in contrasto con il negozio. Oggi, invece, i due canali in Thun sono perfettamente integrati. Online ogni 4 secondi viene effettuata una ricerca del marchio Thun. L’eCommerce, poi, è un abilitatore eccezionale per entrare nei nuovi mercati. Le vendite online ci danno una fotografia istantanea delle potenzialità di una geografia e questo vale molto più di qualsiasi analisi preventiva». Il riferimento è ad Amazon, che rivende i prodotti Thun, in parallelo allo shop online. Ovviamente, la vendita sul Web presuppone anche la capacità di sostenere con un’infrastruttura adeguata i flussi di prodotto per venire incontro alle esigenze del cliente. Thun ha intercettato la “sete” di innovazione digitale della logistica e ne ha fatto una fonte di business creando Connectbay, realtà da un centinaio di dipendenti e un fatturato di circa 14 milioni di euro che propone consulenza e soluzioni avanzate di Supply Chain Management. THUN CAFFÈ: IL NUOVO FORMAT CHE STRIZZA L’OCCHIO AI MILLENNIALS Partendo dall’evidenza che, secondo indagini interne, gli store a gestione diretta fanno registrare performance di vendita superiori del 20% rispetto a quelli in franchising, la società ha deciso di focalizzarsi sui negozi di proprietà. Lo fa non solo investendo
PAOLO DENTI AMMINISTRATORE DELEGATO THUN
nel restyling e nell’acquisto di negozi tradizionali ma sperimentando nuovi format in grado di avvicinare il marchio Thun a una clientela meno tradizionale, più giovane e cosmopolita. Anche, perché no, a una clientela maschile che poco volentieri farebbe shopping in un negozio di bomboniere e oggetti di ceramica. Ecco come nascono i Thun Caffè, concept store di nuova generazione che vogliono creare occasioni di svago e socializzazione. Al loro interno trovano spazio servizi di caffetteria, ristorazione di qualità e anche un corner che offre la possibilità di acquistare bomboniere e bijoux della casa altoatesina. Nel 2017 sono stati inaugurati i primi tre Thun Caffè a Milano, Montebelluna (TV) e Cittadella (PD), che diventeranno otto entro fine anno.
Oltre mille negozi, 600 dipendenti, 98 milioni di euro di fatturato È il 1950 quando i coniugi Thun, Othmar e Lene, avviano la produzione di piastrelle decorative per stufe e oggetti da regalo in ceramica in un laboratorio ricavato nelle cantine del Castello di Klebenstein (Sant’Antonio), a Bolzano. Le Officine Ceramiche Thun devono il loro successo agli iconici angioletti, che Lene Thun ha disegnato ispirandosi ai figli dormienti, ma oggi la produzione spazia dai complementi d’arredo ai servizi da tavola, dalle bomboniere alla bigiotteria. La rete di vendita conta su 1.070 negozi in tutta Europa: 700 negozi multimarca e oltre 300 monomarca, di cui 120 gestiti o controllati direttamente. A questi si aggiungono i flagship store di Bolzano e Mantova e tre Thun Caffè. Oggi Thun è una realtà internazionale di circa 600 dipendenti, con un fatturato che lo scorso anno ha toccato quota 97,8 milioni di euro, in crescita del 12,5% rispetto al 2016.
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DIGITAL TRANSFORMATION - HR di
Mindset e business digitale, occorre cambiare la mentalità dell’organizzazione
PAOLA CAPOFERRO RONCHETTA
MARCO PLANZI ASSOCIATE PARTNER P4I - PARTNERS4INNOVATION
Una rivoluzione che non sia accompagnata da un rinnovo culturale rischia di non portare i benefici attesi: è quindi necessario attuare una strategia di "svecchiamento", come suggerisce uno studio Gartner. Per valutare il mindset delle persone sul lavoro si può ricorrere a un modello per la mappatura delle competenze che P4IPartners4Innovation ha chiamato “Digital DNA”
Un progetto di digital business transformation richiede sempre anche un cambiamento del mindset. Ma le organizzazioni che intraprendono un percorso di trasformazione digitale sembrano ancora non esserne pienamente consapevoli e ancora troppe ignorano la necessità di un cambio di mentalità. Per Marco Planzi, Associate Partner di P4I-Partners4Innovation, «l’innovazione digitale ha cambiato profondamente la struttura del mercato del lavoro globale. La trasformazione in corso ha un impatto enorme sulle competenze richieste per partecipare al mercato del lavoro e riguarda centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, cui è richiesto di acquisire nuove competenze o aggiornare quelle possedute con programmi di training e reskilling. L’entità dei numeri in gioco dà l’idea della sfida che ogni giorno raccolgono le funzioni HR di tutto il mondo». Affinché qualsiasi trasformazione abbia successo le persone devono essere pienamente coinvolte nel progetto e condividere la vision dell’azienda, soprattutto quando c’è di mezzo il digitale, sotto| 24 |
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linea Aashish Gupta, research analyst di Gartner. «Cultura e tecnologia vanno infatti di pari passo. Le risorse umane non possono rimanere intrappolate in un mindset ‘fisso’: si rischia di diventare elementi di rallentamento o di fallimento del piano di business. La cultura è la spina dorsale di tutte le iniziative di cambiamento, soprattutto quando un’azienda intraprende un percorso di trasformazione». Partendo dall’assunto che ogni organizzazione abbia un suo DNA e un patrimonio culturale unico, oggi è necessario comprendere quali siano le strategie per attrarre e trattenere i talenti, puntando su valori e mindset allineati alla mission e alla cultura dell’azienda stessa. Come ribadisce Gupta, «tutto ciò richiede un ambiente sano e psicologicamente sicuro, che punti sulla squadra. Dove “psicologicamente sicuro” vuol dire rendere colleghi e membri del team sereni sulle interazioni, dando loro la possibilità di esprimere remore e/o preoccupazioni, di ammettere errori e vulnerabilità». Puntare su una cultura che ponga l’enfasi sul-
DIGITAL TRANSFORMATION | MINDSET E BUSINESS DIGITALE, OCCORRE CAMBIARE LA MENTALITÀ DELL’ORGANIZZAZIONE
È utile misurare e monitorare continuamente l’impatto del cambiamento attraverso delle survey. Si può, per esempio, chiedere ai dipendenti quale messaggio hanno colto per vedere se è stato compreso pienamente
la crescita continua del mindset è quindi uno dei fattori chiave di successo. Ne sono un esempio le aziende che operano online: i rivenditori di abbigliamento e calzature, solitamente prevedono per i nuovi assunti un periodo di osservazione presso i propri call center. L’obiettivo è coinvolgerli direttamente e far acquisire loro una sensibilità verso il business, il prodotto e il cliente. Secondo Gartner, per mettere in piedi un processo di svecchiamento e di rinnovo dei mindset si può prevedere un percorso in quattro fasi. AVERE UNA VISION Il punto di partenza è una vision convincente, che possa essere condivisa come una storia, per ispirare e motivare il desiderio di cambiamento. Tutti dovrebbero comprendere cosa s’intende con ‘mentalità di crescita’ e ‘mentalità di prodotto’. «Avere un mindset aperto alla crescita richiede alle persone di essere in grado di stare al passo con la velocità dell’era digitale, e di essere disposte a scommettere sul futuro e puntare forte. Avere un ‘mindset di prodotto’ richiede, altresì, alle persone di assumersi la piena responsabilità, sia in caso di successo sia in caso di fallimento», ricorda Gupta. DEFINIRE GLI ELEMENTI DISTINTIVI DEL CAMBIAMENTO È importante a questo punto definire gli elementi comportamentali chiave, che riflettono il cambiamento di mentalità previsto. Si può trattare di traguardi individuali, che contribuiscono al risultato del team, dell’azienda o del cliente, oppure possono riguardare nello specifico i diversi progetti seguiti o, ancora, l’acquisizione di nuove competenze. RENDERE REALE IL CAMBIAMENTO VUOL DIRE COINVOLGERE La funzione HR dovrebbe essere coinvolta per garantire che le metriche delle prestazioni, nonché le
descrizioni di ruoli e responsabilità, siano aggiornate e che lo siano anche gli attributi comportamentali chiave, prima di trasmetterli a tutti i reparti. «L’accettazione totale ci sarà solo se il cambiamento è visibile a tutta l’organizzazione. Inoltre è importante incentivare le persone a condividere conoscenze o apprendere nuove competenze», osserva Gupta. MISURARE, MONITORARE E ASPETTARE Deve trascorrere un po’ di tempo perché si possano cogliere i primi benefici. Per questo è utile misurare e monitorare continuamente l’impatto del cambiamento attraverso delle survey. Si può, per esempio, chiedere ai dipendenti qual è il messaggio che hanno colto dall’organizzazione, per vedere se è stato compreso pienamente. Oppure si può indagare sulla percezione che hanno del valore che il cambiamento di mindset ha per il business, dell’impatto che la digital transformation ha sulla cultura aziendale. Per far sentire i dipendenti ancora più coinvolti, poi, si può chiedere loro se ritengono che i loro leader seguano le nuovi indicazioni e che i loro colleghi prendano seriamente l’iniziativa. Infine bisogna sempre ricordarsi di monitorare le performance, per riuscire anche a restituire degli elementi tangibili. «Ricordiamoci che le organizzazioni hanno la necessità di misurare in qualche modo il valore degli investimenti, soprattutto laddove siano onerosi non solo in termini economici, ma anche in termini di coinvolgimento e impegno dell’intera popolazione aziendale», conclude Gupta. Ma come si può misurare effettivamente il mindset digitale delle persone? «In P4I – afferma Marco Planzi – abbiamo sviluppato un modello per la mappatura delle competenze che abbiamo chiamato “Digital DNA”, uno strumento sintetico che può portare benefici ai principali processi HR connessi allo sviluppo organizzativo. Mappare, sviluppare e valorizzare il patrimonio di skill digitali interne è fondamentale per prepararsi al futuro e coinvolgere i dipendenti nel sostenere i percorsi di crescita e trasformazione delle organizzazioni».
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DIGITAL TRANSFORMATION - HR di
GAIA FIERTLER
Avio Aero, dalla cultura a silos alla collaborazione orizzontale con il digitale Il progetto di HR Transformation della divisione aeronautica italiana di GE si sviluppa lungo tre assi principali: gruppi di lavoro cross-funzionali, Smart Working e Performance Development. Il tutto facendo perno sulla digitalizzazione dei processi HR. A raccontarlo Barbara Preti, Direttore delle Risorse Umane
Avio Aero ha avviato un progetto di trasformazione che vede coinvolti i suoi 4.800 dipendenti (4.200 in Italia), con gruppi di lavoro autonomi e interfunzionali che sperimentano il nuovo e trovano soluzioni innovative per il business. Barbara Preti, Direttore delle Risorse Umane della divisione di GE Aviatio , ci ha raccontato la strategia di HR Transformation adottata e il ruolo della funzione HR. Qual è la strategia digitale di Avio Aero? Siamo una realtà innovativa e globale dell’aeronautica, con una lunga storia e tradizione industriale. L’agenda digitale per Avio Aero ha come elemento caratterizzante l’uso delle informazioni per modificare e migliorare il nostro modo di lavorare e i processi. Per prendere decisioni la cosa migliore è partire dall’analisi dei dati e dalla loro interpretazione. Mescolando insieme competenze diverse – dalla capacità di gestire grossi volumi di dati alla loro interpretazione, allo sviluppo di analytics -, un | 26 |
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gruppo di lavoro cross-funzionale, Digital League, cerca di aumentare il valore delle informazioni medesime. Data scientist sono chiamati a mostrare trend ed estrapolare informazioni rilevanti dall’enorme volume di dati che elaborano. Il loro obiettivo è anticipare qualcosa che noi ancora non vediamo. Al tempo stesso, i nostri esperti di processo devono saper recepire i loro risultati e stimolare la conversazione con le giuste domande. Alla task force avanzata parteciperanno anche i capi progetto e i tecnici: essi renderanno operative le informazioni in modo da ottimizzare le nostre linee di produzione, a tutto vantaggio della nostra competitività sul mercato. Come cambia la cultura in azienda, oltre all’uso evoluto dei dati? Stiamo passando da una cultura a silos a un concetto di collaborazione orizzontale. In sostanza, si cercano insieme soluzioni per raggiungere obiettivi comuni, e si è disposti a mettere in secondo piano
DIGITAL TRANSFORMATION - HR | AVIO AERO, DALLA CULTURA A SILOS ALLA COLLABORAZIONE ORIZZONTALE CON IL DIGITALE
formare ingegneri di fabbrica, esperti di Industria 4.0 e di stampa 3D. Che azioni avete messo in campo come HR per favorire il cambiamento verso una cultura della collaborazione e delle priorità aziendali? Interveniamo su tre livelli, supportati anche dal Performance Development: un approccio che abbiamo introdotto quattro anni fa, elaborato internamente da GE. Incentrato sullo sviluppo, cambia la prospettiva rispetto al Performance Management, che invece gestiva la prestazione. Ora il focus è sulla crescita professionale e culturale dei collaboratori. Si parte quindi dalle priorità aziendali, una cornice di riferimento flessibile che si adegua alle sollecitazioni dei nostri clienti interni ed esterni e al dialogo col proprio manager. All’interno di questa cornice, siamo chiamati ad agire in autonomia e con intelligenza su tempi e risorse. Noi HR, in partnership con il business, favoriamo dei team di attivazione trasversali (“mission based”) allineati con le priorità, senza gerarchia interna, che metabolizzano la strategia sui vari temi, dall’inclusione a tutto tondo, allo specifico femminile, al public speaking con un “Corporate Toastmasters”. In pratica diventano gli influencer, gli ambassador del nuovo e del cambiamento ai vari livelli dell’organizzazione per stimolare il sistema ad autorigenerarsi e innovarsi. Sempre grazie all’innovazione introdotta dal Performance Development, lo scambio di opinioni avviene tra tutti i livelli organizzativi. Infatti siamo le proprie priorità di funzione, se questo concorre al raggiungimento di obiettivi aziendali. Il focus, quindi, è sull’impatto aziendale di comportamenti e competenze. Abbiamo commissionato uno studio agli studenti di un master di Escp Europe da cui è emerso che, per rispondere ai requisiti di Industria 4.0, servono le capacità attitudinali almeno quanto quelle tecniche. Non le chiamiamo più “soft skill”, perché sono anch’esse fondamentali e riguardano coscienza di sé e dei propri limiti, la propensione all’apprendimento permanente e la leadership per far crescere gli altri. Il nostro compito, quindi, è lavorare sia sugli aspetti attitudinali e comportamentali delle persone – garantendo loro un’adeguata formazione mirata, anche on the job – sia sulle loro competenze tecniche. Facendo leva per esempio sul nostro network di partnership con le università, come testimonia il lavoro avviato con i Politecnici di Torino e di Bari, l’Università del Salento e la Federico II di Napoli per
BARBARA PRETI DIRETTORE RISORSE UMANE, AVIO AERO
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DIGITAL TRANSFORMATION - HR | AVIO AERO, DALLA CULTURA A SILOS ALLA COLLABORAZIONE ORIZZONTALE CON IL DIGITALE
«Cinque anni fa anche i dirigenti timbravano, oggi lo fanno solo operai e turnisti. Gli altri si organizzano con il loro team e sono dotati degli strumenti tecnologici per lavorare a distanza»
tutti invitati a dare e ricevere “Continue e/o Consider Insights” (e non “feedback” che ha un’accezione di passato, piuttosto che di futuro), sottolineando sia il comportamento positivo, sia quello migliorabile del nostro capo o collega, ma sempre con un tono costruttivo, senza frustrare l’altro. Siamo tutti corresponsabili della crescita di ciascuno di noi. Il Performance Development ha anche un’applicazione di riferimento dove possiamo scambiarci “Insight”, anche se a noi interessa soprattutto la conversazione che si crea e il cambiamento culturale che viene a innescarsi, per cui conta l’efficacia, non lo status altrui. Tuttavia ci vuole tempo per farlo diventare una pratica comune, superando la sensazione negativa di fare una critica piuttosto che un regalo. In questo contesto come cambia il modo di lavorare? La gestione del Workplace diventa molto importante, il che non significa mettere dei divanetti, una cucina e un po’ di verde, ma ripensare gli spazi in modo funzionale alle diverse attività, comprendendo anche la possibilità di lavorare da fuori, quando non sia hanno riunioni in sede. Quando sono arrivata cinque anni fa, per esempio, anche i dirigenti timbravano, oggi lo fanno solo gli operai e i turnisti, mentre tutti gli altri si organizzano con il proprio team e ognuno di noi è dotato degli strumenti tecnologici per lavorare a distanza. Avete lo Smart Working? Sì, l’abbiamo, come frutto di un accordo libero tra dipendente e manager, basato sulla funzionalità degli spazi in base alle attività da svolgere e anche in base alle esigenze personali. Non regolamentando lo Smart Working non si rischia di incontrare resistenze nei capi? Nel complesso non accade perché stiamo lavorando molto sulla cultura dell’orientamento ai risultati in base alle priorità aziendali. Piuttosto, notiamo ancora qualche reticenza a usufruire della flessibilità d’orario da parte dei colleghi che temono il giudizio sia da parte dei superiori, sia da parte dei loro vicini di scrivania. Stiamo spingendo anche per favorire | 28 |
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occasioni di scambio e incontro con l’esterno, con la partecipazione a convegni, seminari, iniziative di networking. Quanto al work-life balance, favorito dalla flessibilità d’orario, sto cercando di portare il concetto oltre il bilanciamento verso l’integrazione. Sono sempre una manager, una donna e una mamma nei vari momenti della giornata, porto tutto ciò che sono in ogni situazione e ho imparato e sto imparando davvero tanto sulla leadership grazie alla gestione dei miei figli. Non divido, integro. Come cambia con le tecnologie il modo di lavorare della divisione HR? È in atto una trasformazione della funzione HR, con lo spostamento della parte amministrativa a centri di eccellenza interni per avere più risorse per fare da business partner, per occuparci di attività a maggior valore aggiunto e trascorrere più tempo con le persone e i leader. C’è una grande mobilitazione, perché ora non ci si può più trincerare dietro la scusa del carico amministrativo, ed è richiesto un HR che sappia fare le domande giuste al leader, in pratica un partner che guidi verso gli obiettivi aziendali con un contributo attivo. Inoltre cerchiamo di non essere autoreferenziali, partecipando a seminari e conferenze e riportando in azienda best practice ed esperimenti da valutare se replicabili o meno e in che modalità. Abbiamo inserito una persona dedicata alla digitalizzazione dei processi HR, che si sta occupando di intelligenza artificiale e degli esperimenti per accelerare il cambiamento, in partnership con la divisione IT e il change management. L’intelligenza artificiale, per esempio, può aiutare a selezionare il training più adatto e può supportare il primo screening di selezione. Per ora abbiamo affidato al video la registrazione delle risposte a quattro domande standard, con cui già risparmiamo una enorme quantità di tempo. E abbiamo sviluppato qui in Italia un tool che consente alla linea di monitorare in tempo reale i costi degli straordinari e delle ferie, potendo intervenire tempestivamente. In pratica, disintermediando rispetto alla raccolta dei dati che era lenta e passava dal vaglio HR. Ora l’andamento delle presenze è direttamente sui device della linea: questi tool offrono intelligenza veloce al business e tolgono all’HR le attività a basso valore aggiunto.
Il punto di riferimento
per l’aggiornamento Executive sull’Innovazione Digitale Gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano sono una fonte unica di informazioni, dati e conoscenza sui temi chiave dell’Innovazione Digitale. Attraverso una piattaforma multimediale e interattiva, WWW.OSSERVATORI.NET, è possibile accedere al know-how e agli eventi sui temi chiave dell’Innovazione Digitale per essere costantemente aggiornati in qualsiasi luogo e con qualsiasi dispositivo. Gli Osservatori elaborano strategie e modelli per molteplici ambiti B2c, B2b e PA: finance, customer experience, export, gioco online, risorse umane, sanità, beni e attività culturali, retail, turismo, media, banking, food, sport, manufacturing, supply chain finance, ...
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DIGITAL TRANSFORMATION - PROCUREMENT
di
L'ufficio acquisti diventa digitale: i benefici del Procurement 4.0
MARCO PERONA
PROFESSORE ORDINARIO DI LOGISTICA INDUSTRIALE, UNIVERSITÀ DI BRESCIA
Cosa accade quando una multinazionale decide di digitalizzare il processo di acquisto? Uno studio dell’Università di Brescia fa il punto sui processi di purchasing, analizzando soluzioni tecnologiche, benefici monetizzabili e non, e possibili passi per guidare il cambiamento
Da alcuni anni è in atto nelle imprese un profondo processo di evoluzione strutturale dei modelli di business, dei parametri competitivi, dei modi di realizzare i processi fisici e decisionali e delle competenze richieste per svolgerli. Questo processo è chiamato da alcuni digitalizzazione, da altri quarta rivoluzione industriale, industria 4.0 o meglio impresa 4.0. Nell’ambito dei processi e attività di approvvigionamento e acquisto tutto ciò si declina nel paradigma Procurement 4.0. La priorità dell’Ufficio Acquisti è sempre stata di garantire la consegna dei materiali e servizi richiesti dalle funzioni aziendali a valle, rispettandone i requisiti di tempo, costo e qualità. Ora questo non è più sufficiente a garantire una leadership di mercato. A causa della graduale diminuzione del valore aggiunto generato internamente, la catena di approvvigionamento sta diventando sempre più aperta, complessa e critica, e il know-how necessario per realizzare la value proposition della generica azienda è più spesso reperito esternamente. La chiave di successo per l’ufficio acquisti moderno è quindi di evolvere verso catene di | 30 |
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valore dinamiche e interconnesse. Inoltre la continua ricerca di standard crescenti di efficienza ed efficacia, unitamente alla disponibilità di tecnologie d’avanguardia a un costo decrescente, permette di automatizzare parti delle attività più ripetitive anche all’interno dei processi di procurement. Ciò consente di aumentare la velocità di reazione, ridurre l’intensità di lavoro delle attività e garantire una maggiore conformità e ripetibilità dei processi medesimi. Il processo di digitalizzazione del Procurement è al centro di uno studio basato sullo sviluppo di un business case su una multinazionale del settore alimentare operante sul mercato globale, con fatturato annuo di due miliardi di euro, denominata convenzionalmente ALFA. Nello specifico sono stati analizzati i processi di approvvigionamento, confrontando la situazione con le tecnologie esistenti oggi e quelle più presumibilmente disponibili nel futuro prossimo, al fine di verificarne l’applicabilità e di quantificare i risultati raggiungibili. La trattazione è suddivisa in cinque capitoli. Nel primo sono analizzati i processi standard dell’Ufficio
DI GI TAL TRA NS F OR M ATI ON - P R OC UR E M E N T | L'UFFICIO ACQUISTI DIVENTA DIGITALE: I BENEFICI DEL PROCUREMENT 4.0
Acquisti. Il secondo capitolo fa il punto sulle tecnologie più promettenti per l’automazione delle attività dell’Ufficio Acquisti. Nel terzo capitolo si analizza l’applicazione di questi strumenti ai processi di acquisto. Nel quarto capitolo sono presentati e discussi i risultati raggiunti, evidenziando i benefici monetizzabili e non. Nel quinto capitolo infine sono elencate le possibili fasi per guidare il cambiamento, con particolare focalizzazione sulle risorse umane, punto di forza e leva principale di questa evoluzione. 1. I PROCESSI DI PURCHASING Quando è stato realizzato lo studio, gli acquisti di ALFA corrispondevano a più di 2/3 del fatturato aziendale. I principali compiti dell’Ufficio Acquisti erano: 1. l’individuazione e caratterizzazione dei beni materiali ed immateriali da acquistare 2. il reperimento e la selezione dei fornitori più atti a provvedere tali beni 3. la negoziazione dei contratti di fornitura 4. l’emissione e controllo degli ordini d’acquisto Il ruolo, il valore, gli obiettivi e le attività dei processi di purchasing sono stati analizzati in estremo dettaglio, suddividendoli in tre livelli gerarchici: strategico, tattico e transazionale. All’interno di ciascuno di questi livelli sono state descritte le singole sotto-fasi e le relative attività di dettaglio (vedi figura a pag. 26). 2. LE TECNOLOGIE ABILITANTI A questo punto è stato realizzato uno scouting delle principali tecnologie a oggi disponibili per una applicazione a supporto delle attività identificate nel capitolo 1. In particolare sono emerse 3 aree tecnologiche. La prima tecnologia è denominata Robotic Process Automation (RPA), e consiste nell’utilizzo di robot software (non fisici) per l’automazione di semplici e ripetitivi task. Un robot software è un programma dotato di un appropriato livello di intelligenza artificiale, che lo rende in grado di replicare le azioni umane. Può realizzare, ad esempio, mansioni di data entry, interagendo con l’interfaccia di un sistema ERP esattamente come farebbe un operatore umano. È tipicamente possibile istruire un RPA cablando al suo interno il processo, attraverso la realizzazione di process flow charts tramite un’interfaccia grafica. La seconda tecnologia è l’intelligenza artificiale (AI), con particolare riferimento al cognitive computing (CC). Le piattaforme CC sono tipicamente dotate di machine learning, capacità di ragionamento, capacità di riconoscimento vocale e di processamento del linguaggio naturale, oltre che di visione artificiale. Esse possono quindi percepire il contesto attraverso estensioni sensoriali simili a quelle umane, elaborarlo attra-
verso una funzionalità intelligente di “agente virtuale”, ed esplicitare un suggerimento della migliore azione da porre in atto in risposta al contesto osservato. Il terzo ambito funzionale studiato è quello degli integrated analytics (IA). L’ambito generale degli analytics, spesso collegato a quello dei big data, si riferisce alla capacità di analizzare grandi moli di dati applicando stratificazioni multi-dimensionali e criteri di analisi statistica capaci di passare dal dato elementare all’informazione e dall’informazione alla conoscenza, attraverso processi di aggregazione, inferenza statistica e analisi multivariata. Più in particolare gli applicativi esaminati mettono a disposizione funzionalità di tipo: • descrittivo, usate ad esempio per contestualizzare il comportamento dei fornitori, raggruppandoli in classi omogenee; • predittivo, usate per prevedere il comportamento futuro dei fornitori sulla base del comportamento passato e dello specifico contesto come emerge dagli algoritmi descrittivi; • prescrittivo, o decisionale, che permettono di porre in relazione tutti gli elementi di una decisione per cercare di prevederne gli esiti, e quindi supportano i manager nel processo decisionale. La figura a pag. 26 evidenzia le principali caratteristiche delle nuove tecnologie analizzate e le relazioni reciproche tra di esse nel caso di ALFA, di cui proseguiamo la trattazione in questo articolo. 3. L’APPLICABILITÀ DELLE TECNOLOGIE ABILITANTI È importante quantificare i benefici, monetizzabili e non, derivanti dall’impiego delle tecnologie RPA, CC e IA, alle varie fasi e attività specificate nel capitolo 1, con l’obiettivo di valutare: • il contenuto di lavoro umano risparmiato applicando la specifica tecnologia al singolo processo, fase e attività in termini di FTE (Full Time Equivalent) e di risparmi di costi corrispondenti a tale carico di lavoro; • i benefici non monetizzabili connessi all’implementazione delle tecnologie, in termini di: qualità, derivante dalla maggior precisione di esecuzione processuale con risultati migliori; consistenza, dovuta alla maggiore univocità del risultato dovuto a una procedura codificata e standardizzata; e compliance delle attività aziendali alle disposizioni normative, ai regolamenti, alle procedure e ai codici di condotta. Per svolgere tali valutazioni si è seguita una metodologia in 3 step. Anzitutto è stato quantificato il contenuto di lavoro complessivo di ciascuna delle attività elementari descritte dall’analisi dei processi nel capitolo 1, disaggregandolo sui 3 livelli di front-office, middleoffice e back-office. Tale risultato è stato raggiunto a partire dal numero complessivo di addetti dell’Ufficio www.digital4executive.it
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DI GI TAL TRANSFORM ATI ON - P R OC UR E M E NT | L'UFFICIO ACQUISTI DIVENTA DIGITALE: I BENEFICI DEL PROCUREMENT 4.0
Acquisti di ALFA (112 FTE) e dalle attività svolte. Una volta quantificato l’effort del personale per ogni attività elementare, si è ipotizzata l’applicabilità delle 3 tecnologie considerate nel capitolo 2 a ciascuna di esse. A puro titolo d’esempio, si consideri l’attività elementare 3.1.3. in figura (Inviare l’ordine d’acquisto al fornitore). Si è ritenuto che in quest’attività si possa applicare la RPA per eseguire la verifica che l’ordine sia stato approvato dalle figure a ciò delegate, e che tutti gli step amministrativi previsti siano stati completati. Si è inoltre considerato utile e possibile applicare il cognitive computing per l’interpretazione e la risposta a eventuali richieste del fornitore, realizzate via email, chat o voce virtuale. Infine non si è ritenuta applicabile a quest’attività alcun supporto basato sugli analytics. 4. I BENEFICI, MONETIZZABILI E NON Per quanto riguarda i benefici monetizzabili, si è rilevata la possibilità di ridurre il numero di addetti dell’Ufficio Acquisti di 41 unità su 112, pari al 37% del totale. Il risultato è stato stratificato sotto due prospettive differenti: organizzativa e processuale. L’analisi organizzativa ripartisce il vantaggio tra le categorie BackOffice, Middle-Office e Front-Office: l’impatto più significativo in termini di saving è dell’89% e riguarda il Back-Office, area costituita da attività ripetitive e standardizzate che ben rispondono all’elaborazione tecnologica soprattutto da parte del RPA, seguito dal 75% del Middle-Office. Le attività di Front-Office,
caratterizzate da più creatività e capacità relazionale, hanno un ipotetico risparmio di appena il 7% dei FTE. L’analisi processuale invece suddivide i risultati fra attività strategiche, tattiche e transazionali. Il feedback è in linea con i dati emersi a livello organizzativo: a livello transazionale l’applicazione tecnologica genera un saving di 12,2 FTE (90% del contenuto di lavoro attuale), includendo le attività routinarie e ripetitive che ben rispondono all’adozione degli strumenti in analisi; a livello tattico il risparmio è di 15,7 FTE (36% del totale), a livello strategico è 13,1 FTE (24%). Il risultato complessivo raggiunto è stato ritenuto promettente anche dal management di ALFA, oltre le aspettative. Viceversa le indicazioni ricevute attraverso le due stratificazioni coincidono, attribuendo il massimo potenziale di saving alla tecnologia RPA applicata alle attività più povere dal punto di vista del contenuto intellettuale o relazionale: quelle di tipo transazionale ed esecutivo, tipicamente di Back-Office o MiddleOffice. Invece le attività con maggiore intensità di relazione o che richiedono il maggiore contributo intellettuale, tipicamente di tipo strategico e concentrate nel Front-Office, sono prevedibilmente quelle in cui è più difficile sostituire il lavoro umano. I benefici non monetizzabili possono essere riassunti in incrementi di qualità dovuti a una maggior precisione di esecuzione con risultati migliori. Viene migliorata la compliance delle attività aziendali a regolamenti, procedure e codici di condotta e la consistenza dovuta alla certezza di univocità del risultato grazie a una
1. LIVELLO STRATEGICO 1.1 Sviluppo di una strategia di Sourcing
1.1.1 Definire bene/servizio da acquistare
1.1.2 Compilare matrice strategica di posizionamento e scelta strategica
1.1.3 Capire le esigenze d'acquisto dell'azienda
1.2 Selezione e valutazione dei fornitori
1.2.1 Definire regole per selezionare i fornitori
1.2.2 Definire una lista di fornitori
1.2.3 Definire procedura per valutare le prestazioni del fornitore
2.1 Gestione del fornitore e negoziazione
2.1.1 Sviluppare un piano di coinvolgimento del fornitore
2.1.2 Condurre un'asta o una richiesta di proposta (RFP)
2.1.3 Costruire un modello di costo che identifica i dati dei fornitori
2.2 Stipulazione e gestione dei contratti
2.2.1 Definire linee guida da seguire e forme di contratto strutturate
2.2.2 Stipulare il contratto
2.2.3 Inserire e validare il contratto all'interno dell'organizzazione
3.1.1 Creare una richiesta d'acquisto
3.1.2 Processare ordine d'acquisto
3.1.3 Inviare l'ordine d'acquisto al fornitore
2. LIVELLO TATTICO
3. LIVELLO TRANSAZIONALE 3.1 Esecuzione del processo di P2P
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DI GI TAL TRA NS F OR M ATI ON - P R OC UR E M E N T | L'UFFICIO ACQUISTI DIVENTA DIGITALE: I BENEFICI DEL PROCUREMENT 4.0
procedura codificata e standardizzata: si minimizza la probabilità di errore nell’esecuzione dell’attività e di mancato rispetto delle procedure interne. 5. IL PERCORSO DI CAMBIAMENTO A corollario del case study descritto, si è ritenuto utile tracciare le linee guida: una checklist che un’azienda dovrebbe applicare per migrare da un’organizzazione tradizionale dell’Ufficio Acquisti verso l’applicazione del paradigma Procurement 4.0. Le organizzazioni sono chiamate a re-ingegnerizzare in ottica digitale tutti i processi e attività, affinché le funzioni di acquisto possano controllare i processi di approvvigionamento dell’intera organizzazione: da un lato la tecnologia consente di avere una visione integrata per facilitare le decisioni che riguardano l’intera catena del valore, e dall’altro elimina la discontinuità e coordina i processi e le attività per accrescere la produttività e la facilità d’uso. In questa trasformazione tecnologica il fattore determinante sono le risorse umane. Si possono distinguere tre passaggi per guidare il cambiamento dando loro valore: 1. Sviluppare adeguati processi di formazione: occorre progettare un percorso che crei consapevolezza e sensibilità dalla “testa dell’azienda” e che diffonda tali conoscenze verso gli strati più operativi dell’organizzazione. È molto frequente assistere invece a processi opposti, che si sviluppano con direzione “bottom-up”,
partendo dall’addestramento pratico del personale operativo all’impiego dei nuovi mezzi tecnologici. Questo approccio comporta un alto rischio di fallimento, visto che l’aspetto più rilevante è spiegare cosa fare di nuovo e diverso rispetto a prima. 2. Riprogettare il modo di lavorare e interagire con i dipendenti: una volta diffuso l'approccio di formazione top-down, è possibile spingere sul cambiamento organizzativo, ridisegnando l’esperienza lavorativa delle persone nell’organizzazione, puntando su attività ricche dal punto di vista relazionale e intellettuale, per aumentare la soddisfazione degli addetti e l’engagement, stimolando un atteggiamento più proattivo e collaborativo. Raggiunto questo risultato, è possibile attivare un progressivo superamento dei modelli operativi tradizionali, basati sulla gerarchia e sui ruoli, a favore di modelli più “anarchici”, con organigramma più piatto e ruoli meno espliciti. 3. Attrarre nuovi talenti dal mercato del lavoro: il modo nuovo di lavorare può risultare difficilmente assimilabile dai membri più statici dell’organizzazione; in aggiunta, l’apertura di nuovi ruoli, famiglie professionali e saperi frequentemente richiede l’introduzione di nuovo personale, che andrà ricercato ad esempio dando rilievo al talento digitale delle persone selezionate, al di là delle loro competenze di dominio o soft skills. Va poi sottolineato che lavorare in modo digitale implica l’abbattimento di numerosi vincoli e legami di tempo e spazio, implicando di fatto una revisione profonda della relazione tra l’azienda e la propria forza lavoro.
1.1.4 Definire traguardi e obiettivi
1.1.5 Identificare vantaggi e svantaggi di tutte le possibili strategie di acquisto
1.1.6 Selezionare la migliore strategia
1.2.4 Eseguire segmentazione fornitori
1.2.5 Valutare le performance dei fornitori
2.2.4 Modellare la proposta di valore
2.1.5 Eseguire la negoziazione
2.2.4 Monitorare le prestazioni del fornitore relativamente alle condizioni stipulate
2.2.5 Identificare problematiche relative al fornitore
2.2.6 Risolvere tali problematiche e modificare se necessario termini e condizioni
3.1.4 Ricevere il bene o il servizio
3.1.5 Processo di fatturazione
3.1.6 Emettere il pagamento al fornitore
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DIGITAL TRANSFORMATION - MANUFACTURING di
DANIELE LAZZARIN
Manifatturiero italiano, Industria 4.0 è il primo passo: obiettivo customer experience Da un’indagine Accenture in Italia su 40 grandi aziende e 50 piccole e medie imprese emerge che le realtà produttive stanno investendo molto in soluzioni Smart Manufacturing. Ma per ottenere i ritorni attesi occorre estendere le tecnologie digitali a tutti i processi del ciclo di vita del prodotto, dall’ideazione al postvendita. Realizzando il modello Industry X.0
Le aziende manifatturiere italiane sanno di dover investire in tecnologie digitali, in particolare in quelle legate al Piano Industria 4.0 (Piano Calenda), per migliorare l’efficienza e aumentare i ricavi. Circa il 60% vorrebbe ottenere ricavi da prodotti connessi e intelligenti nei prossimi 3 anni. E stanno investendo su livelli paragonabili agli altri grandi Paesi industrializzati. Però non stanno ottenendo i ritorni desiderati, perché manca un ulteriore passaggio: estendere gli investimenti digitali a tutti i processi del ciclo di vita del prodotto, dall’ideazione ai servizi post-vendita. Obiettivo: migliorare la customer experience. Sono queste in sintesi le conclusioni di un’indagine di Accenture su 90 dirigenti di aziende italiane (40 grandi e 50 piccole e medie imprese) di 22 settori produttivi, presentata alla recente inaugurazione dell’Industrial IoT Innovation Center di Accenture e HPE Coxa a Modena. Da questa ricerca emerge che le priorità strategiche degli investimenti in tecnologie digitali sono sviluppare prodotti e servizi innovativi (64%), adottare le stesse tecnologie digitali in modo | 34 |
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profittevole (58%), entrare in nuovi mercati (58%), aumentare il coinvolgimento dei clienti (53%). Solo al quinto posto viene l’aumento di efficienza e flessibilità di operations e supply chain, cioè il tema della riduzione dei costi (48%). Inoltre le imprese italiane intervistate indicano come tecnologie più importanti Cyber Security, Big Data Analytics, e Mobile Computing per ottenere efficienza operativa. E Realtà Aumentata, Mobile e “Digital Twin” per ottenere customer experience iper-personalizzate. COLMARE IL DIVARIO TRA BENEFICI ATTESI E BENEFICI REALI Diverse analisi e studi negli ultimi mesi – per esempio l’edizione 2017 dell’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano, e un recente report di KPMG Italia – hanno evidenziato la confortante risposta del manifatturiero italiano al Piano Industria 4.0. Accenture cita anche IDC (Worldwide Semiannual IoT Spen-
DIGITAL TRANSFORMATION - MANUFACTURING | MANIFATTURIERO ITALIANO, INDUSTRIA 4.0 È IL PRIMO PASSO: OBIETTIVO CUSTOMER EXPERIENCE
ding Guide) secondo cui il settore industriale italiano nel 2017 si è piazzato al secondo posto per spesa in tecnologie Internet of Things nei cinque principali paesi europei. Alle spalle del manifatturiero tedesco, ma davanti a quelli di Regno Unito, Francia e Spagna. Eppure nell’indagine Accenture meno di 3 aziende intervistate su 10 pensano che le tecnologie digitali le aiuteranno a ridurre i costi (28%), o a migliorare il livello di customer engagement (29%). I ricercatori spiegano questi dati con la difficoltà – sia delle grandi, sia delle piccole imprese italiane – di adeguarsi ai rapidi cambiamenti tecnologici. Il principale ostacolo citato dagli intervistati all’adozione delle tecnologie digitali sono i costi da rapida obsolescenza di tali tecnologie. Altri ostacoli sono insufficiente disponibilità di budget, carenza di competenze digitali interne, scarsa e discontinua conoscenza delle esigenze del cliente, carenza di liquidità. Il problema quindi è colmare questo distacco tra benefici attesi e reali, riuscendo a innovare con il digitale in un contesto di produzione di alta qualità e buoni margini. Le aziende manifatturiere italiane infatti – spiega il report citando l’analisi Trade Competitiveness Map di World Bank – sono ben posizionate nel mercato mondiale grazie appunto all’alta qualità di prodotto, che permette di applicare dei “premium price” nei mercati di esportazione, e di realizzare margini rilevanti nonostante la produttività del lavoro stagnante e la forte concorrenza. INDUSTRY X.0 ALLA PORTATA ANCHE DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE Per sostenere l’innovazione digitale in questo contesto, e ottenere benefici all’altezza delle aspettative, la soluzione secondo Accenture è il paradigma Industry X.0, che va oltre Industria 4.0 superando i confini della fabbrica. L’idea infatti è partire dall’aumento di efficienza operativa creato con Industria 4.0 e investire le risorse “liberate” in altre tecnologie digitali lungo tutto il ciclo di vita del prodotto – dalla ideazione al post-vendita – per ottenere come risultato finale il miglioramento della customer experience. Industry X.0 secondo Accenture è alla portata sia delle piccole e medie imprese (PMI) che delle grandi aziende. «Questo paradigma non si limita a sperimentare pacchetti IT o SMAC (Social, Mobile, Analytics, Cloud), ma combina sinergicamente
le tecnologie digitali per ottenere una crescita più forte, efficienze operative tipiche di Industria 4.0, e anche esperienze iper-personalizzate sia in ambito B2C (business-to-consumer) che B2B (business-tobusiness)». Il report cita un’altra analisi Accenture, stavolta estesa a tutto il mondo, secondo cui combinando intelligenza artificiale, mobile, blockchain, realtà aumentata, Big Data analytics e 3D Printing si può ridurre il costo totale per dipendente del 20% nel settore apparecchiature industriali, del 14% nell’automotive, e del 23% nel chimico. REALIZZARE INDUSTRY X.0 IN ITALIA: I SEI IMPERATIVI STRATEGICI Come realizzare quindi Industry X.0 in Italia? Accenture propone sei imperativi strategici: 1.Trasformare il core business, e cioè in sintesi ottimizzare l’efficienza di fabbrica attraverso le tecnologie Industria 4.0. 2. Concentrarsi su esperienza e risultati: creare molti “touchpoint” digitali lungo il ciclo di vita del prodotto, e analizzare le informazioni che forniscono con soluzioni Big Data per decisioni in real time di miglioramento della customer experience. 3. Innovare i modelli di business. I prodotti connessi consentono di monetizzare le interazioni prodottocliente attraverso app, software e nuovi servizi payper-use. 4. Formare una forza-lavoro preparata al digitale. Le competenze digitali, spiega Accenture, non consistono nel saper usare strumenti e tecnologie, ma nell’usarli per risolvere i problemi aziendali reali. «Le aziende Industry X.0 stanno già sviluppando componenti digitali per i vari ruoli entro le loro organizzazioni, e ridisegnando gli stessi ruoli per incoraggiare la collaborazione tra persone e macchine». 5. Creare nuovi ecosistemi. Le aziende Industry X.0 traggono e sviluppano nuove idee per prodotti e servizi da molte fonti interne ed esterne, tra cui startup, incubatori e centri di eccellenza tecnologica. 6. Riorientare il modello di business. Le aziende Industry X.0 bilanciano continuamente gli investimenti tra core business e nuovo business per sincronizzare innovazione e crescita. Inoltre monitorano i risultati di performance tradizionali, ma mappano anche le forze che possono sconvolgere tali risultati. Esse sistematicamente inseriscono tecnologie digitali nelle attività core dell’azienda. www.digital4executive.it
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DIGITAL TRANSFORMATION - MARKETING di
Dainese, il nuovo shop online è un’esperienza. Un approccio omnicanale che punta sui valori del brand
MANUELA GIANNI
GABRIELE GIANELLO DIRETTORE MARKETING DAINESE
Non solo prodotti, ma storie che raccontano il DNA dell’azienda. Con questo approccio la società italiana di abbigliamento tecnico sportivo ha ridisegnato la shopping experience per i propri clienti in una nuova prospettiva omnicanale, valorizzando i punti vendita, in aumento in tutto il mondo, e potenziando il sito di eCommerce grazie alla piattaforma Salesforce
Non è solo un nuovo shop online quello che Dainese ha messo di recente a disposizione dei propri clienti. Ai tanti motociclisti e atleti che vestono i capi tecnici del brand, sinonimo di passione, sicurezza, innovazione, coraggio e adrenalina, la società propone oggi un’esperienza immersiva che va altre lo shopping, un viaggio nei valori e nella storia dell’azienda, un’occasione per entrare in relazione con chi, a livello professionale o amatoriale, pratica gli sport dinamici: gare motociclistiche, sci alpino, mountain bike, competizioni veliche, fino alla conquista dello spazio. Il sito di eCommerce è il frutto della nuova strategia di marketing avviata quando l’azienda, eccellenza del made in Italy fondata nel ‘72 da Lino Dainese e in costante espansione, ha deciso di affrontare la sfida della omnicanalità. Nel 2016 con l’arrivo in azienda di Gabriele Gianello, Worldwide Marketing Director è stato infatti avviato un percorso di digital transformation che abbraccia l’intera esperienza cliente in ogni suo touchpoint, fisico e digitale, con l’obiettivo di creare esperienze | 36 |
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rilevanti attraverso l’uso mirato ed intelligente delle informazioni, con l’obiettivo di offrire una customer journey fluida e coerente con i valori dei brand del gruppo Dainese. «Oggi non si può prescindere dalla presenza sui canali online e dalla conoscenza approfondita del cliente, due aspetti fondamentali” dice Gianello. In questi mesi di intenso lavoro, abbiamo realizzato un progetto veramente completo, con una visione del mercato omnicanale in cui la relazione inizia dal punto vendita e continua online, offrendo un’esperienza che porta i nostri clienti a contatto non solo con i prodotti, ma con il nostro mondo e i nostri valori». Dainese, con un fatturato di oltre 180 milioni di euro (in crescita a doppia cifra anno su anno) gestisce infatti 25 negozi monomarca e ha un trend di aperture importante, con una media di 6 nuovi punti vendita ogni anno. «Si tratta di “Destination shop”, e questo rappresenta un grandissimo potenziale: il cliente non visita il negozio per caso, guardando le vetrine, ma esce da casa con la
INTERVISTA | DAINESE, IL NUOVO SHOP ONLINE È UN’ESPERIENZA
precisa intenzione di entrare in contatto con il nostro mondo. Siamo partiti da qui, con una visione molto chiara di questo tipo di interazioni, per razionalizzare i processi e fluidificare i flussi in un’ottica omnicanale. Oggi è possibile ad esempio acquistare online e ritirare nel punto vendita. Abbiamo avviato un pilot sui flagship con risultati molto soddisfacenti». Lo sviluppo del nuovo e-shop si è basato sui risultati di un’analisi delle necessità dei clienti. «Ci siamo focalizzati su tre livelli: innanzitutto l’esperienza da offrire a chi visita il nostro website, poi il tipo di messaggio da trasmettere - che in precedenza era essenzialmente legato alla qualità del prodotto – e, in terzo luogo, sulle modalità di interazione durante il processo di acquisto, creando un percorso semplice e immediato verso il check out, soprattutto da mobile. Ma l’attività non è conclusa: l’asticella si alza ogni settimana, il nostro obiettivo è rendere l’esperienza fantastica». La piattaforma tecnologica selezionata è Salesforce Commerce cloud, uno dei motori di eCommerce più utilizzati dai retailer a livello mondiale. «L’utilizzo di Salesforce ha aiutato a identificare i pillar su cui focalizzare lo sviluppo e a confrontarci con le best practice internazionali, rendendo più semplice il percorso: siamo molto soddisfatti», commenta il manager. La piattaforma fornisce anche customer insights, monitorando KPI studiati per ottimizzare la customer journey e migliorare costantemente l’efficienza di processo, con attività di interazione sui canali social mirate a incrementare engagement e conversioni. È stato dato ampio spazio ai contenuti, soprattutto video, che meglio rappresentano il DNA dell’azienda, raccontando le storie e la passione di chi indossa i capi Dainese, inclusi i caschi AGV: gente comune e grandi campioni, fra cui veri miti viventi come Valentino Rossi o Giacomo Agostini. Il sito offre un’esperienza immersiva che comunica l’obiettivo primario del marchio Dainese, che è sempre stato quello di garantire la sicurezza negli sport dinamici, proponendo soluzioni innovative ed ergonomiche ad atleti che vogliono sfidare e superare i propri limiti. Ampio spazio è dato anche alla ricerca. Dainese realizza infatti i propri capi innovativi dopo approfonditi studi nelle condizioni più estreme, anche nello spazio, attraverso collaborazioni importantissime con enti come ESA e MIT. LA TRASFORMAZIONE ORGANIZZATIVA Con oltre 150 nuove assunzioni solo nell’ultimo triennio, il gruppo Dainese oggi conta un totale di quasi 800 persone nel mondo. Il paradigma della multicanalità si è quindi concretizzato anche attraverso
una radicale trasformazione organizzativa, che ha portato a internalizzare la gestione dell’eCommerce, prima delegato all’esterno, e di conseguenza a ridisegnare tutti i processi, dalla logistica al customer care. Un cambiamento profondo, come spiega Gianello: «Per 40 anni Dainese è stata un’azienda orientata al B2B. L’eCommerce apre alla relazione con l’utente finale, potenzialmente a milioni di clienti nel mondo. Di fatto la macchina organizzativa a supporto equivale, per complessità, ad un’azienda nell’azienda”, il negozio Dainese più grande del mondo, aperto 24 ore su 24. La trasformazione è avvenuta lavorando fianco a fianco con il dipartimento retail e con il sup-
porto di tutto il management. Ci ha inoltre aiutato a gestire il cambiamento avere acquisito dall’esterno nuove competenze e preziosi talenti. Quando si affronta un processo di cambiamento l’errore è parte del processo di apprendimento. Non fermarsi davanti alle difficoltà, cercare la soluzione collaborando con tutti i colleghi, saper aggirare e quindi superare gli ostacoli insieme è una caratteristica imprescindibile per il successo. Sono orgoglioso del mio team, senza di loro, la loro passione, il loro impegno nulla sarebbe possibile”. In parallelo, una trasformazione societaria ha fornito le risorse per affrontare in modo più strutturato il mercato: nel 2015, infatti, l’80% del capitale azionario è stato rilevato dall’investitore internazionale Investcorp. Nei prossimi mesi i riflettori saranno puntati fuori dal continente Europeo. «Replicheremo, con gli opportuni adattamenti, l’esperienza dell’Europa negli Stati Uniti e nel Mondo asiatico, in particolare in Giappone e in Cina, dove di fatto le logiche sono molto diverse, così come lo è il rapporto con il digitale. Abbiamo inoltre avviato un nuovo progetto di CRM: stiamo lavorando sulle fondamenta, il data lake».
Con oltre 150 nuove assunzioni nell’ultimo triennio, il gruppo Dainese oggi conta un totale di quasi 800 persone nel mondo, con un fatturato di oltre 180 milioni di euro e 25 negozi monomarca
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DIGITAL TRANSFORMATION - SUPPLY CHAIN di
DANIELE LAZZARIN
HAMUN SHAH
Church’s e l’omnicanalità nel Lusso: il punto di vista del CFO
CHIEF FINANCIAL OFFICER CHURCH'S SHOES
«La digital transformation è decisiva in questo settore perché impatta direttamente sul brand, e aiuta il mio lavoro perché dà visibilità completa sul business». Hamun Shah, Chief Financial Officer, spiega i benefici dell’integrazione di eCommerce, retail e produzione del marchio di calzature artigianali del Gruppo Prada
Coniugare le tendenze più avanzate di gestione della Supply Chain e del Retail su scala globale, con un marchio che rappresenta 150 anni di produzione artigianale di lusso conosciuto in tutto il mondo. Questa è una delle più importanti esigenze di Church’s – il produttore di calzature britannico che dal 1999 fa parte del Gruppo Prada – che il CFO (Chief Financial Officer) Hamun Shah ha raccontato all'evento annuale di Dedagroup Stealth a Milano. «Il settore di riferimento di Church’s non è il Fashion, è il Luxury: un mercato in cui il brand e l’heritage hanno un’importanza vitale, decisiva – ci ha spiegato Shah in una intervista a margine dell’evento -. E la digital transformation è particolarmente importante nel Luxury perché attraverso varie tecnologie, come eCommerce, digital advertising, gli stessi motori di ricerca, impatta direttamente sulla percezione del brand, e quindi sul suo valore, con una precisione, una coerenza sui vari mezzi, e una “potenza di fuoco” prima inimmaginabili». | 38 |
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IL VALORE DELLE SCORTE DI MATERIE PRIME CON UN SOLO CLICK Per avere un’idea delle dimensioni, il volume di business (turnover) di Church’s è intorno ai 100 milioni di euro, continua Shah, con circa 350 artigiani nella produzione, e altrettanti addetti nei 55 Store distribuiti in tutto il mondo e gestiti centralmente dalla sede di Northampton, città dove l’azienda è stata fondata nel 1873. «Il mercato principale è ovviamente il Regno Unito, il secondo è l’Italia, poi ci sono Francia, Hong Kong e in generale il Far East: al momento siamo ancora molto incentrati sull’Europa ma il piano è di espandersi soprattutto in Asia». Church’s ha appena implementato Stealth Retail per la gestione della supply chain e della rete dei punti vendita («per ora il sistema è attivo in Europa, prossimamente lo estenderemo agli altri continenti»). Un progetto, ha detto il CFO di Church’s sul palco dell’evento, che si inserisce in un ambizio-
DI GI TAL TRA NS F OR M ATI ON - S UP P LY C H A I N | CHURCH’S E L’OMNICANALITÀ NEL LUSSO: IL PUNTO DI VISTA DEL CFO
«Ci vogliono oltre 200 fasi e 8 settimane per fare un paio di Church’s: ma anche per un processo così tradizionale e artigiano oggi si possono ottenere con un click informazioni accurate su stato d’avanzamento della produzione e giacenze» so piano di cambiamento dei sistemi informativi, con benefici di miglioramento del customer service, integrazione completa di eCommerce, Retail e Produzione, e informazioni e reporting in tempo reale. «Il nostro processo di produzione è definito nei dettagli da decenni, ci vogliono oltre 200 fasi e 8 settimane per fare un paio di Church’s: ma anche per un processo così tradizionale e artigiano oggi si possono ottenere con un solo click informazioni accurate e precise sullo stato d’avanzamento del singolo prodotto o sul valore delle scorte di materie prime». DA 3 SISTEMI CHE NON SI PARLAVANO ALLA VISIBILITÀ SULLA SUPPLY CHAIN Ma più in generale il principale beneficio, sottolinea Hamun Shah, è la visibilità sulle giacenze in tutta la supply chain, che sia il magazzino centrale, la rete di negozi o l’eCommerce. «Prima avevamo 3 sistemi separati che non si parlavano, e non c’era neanche sincronizzazione tra i sistemi di retail dei vari paesi, o tra il canale outlet e quello degli store. Ora abbiamo un sistema omnichannel che – quando un cliente entra in uno dei nostri store e non trova l’articolo che vuole – ci permette di cercare quell’articolo dappertutto e di garantire la data in cui potremo consegnarlo al cliente». Questa visibilità completa sulle giacenze, continua il CFO di Church’s, è fondamentale nel Retail di oggi, perché ha effetti benefici sul customer service, sui costi di gestione scorte, e sul fatturato. «L’eCommerce ha aperto una finestra sul mondo, ma è un
altro elemento con cui si “espone” il brand, per cui deve essere all’altezza degli altri: un singolo articolo (modello, misura, colore) diventa disponibile in tutto il mondo, ma dovunque sia fisicamente devo garantire la stessa accuratezza nella data di consegna». PERCHÉ UN CHIEF FINANCE RACCONTA UN PROGETTO TECNOLOGICO Abbiamo poi chiesto a Shah perché a parlare di un progetto tecnologico all’evento di un fornitore di tecnologie sia andato il CFO. «Church’s è un’azienda relativamente piccola, l’head office conta 30-40 persone. Ogni senior manager è coinvolto in tutti i progetti più importanti dell’azienda, qualunque sia l’ambito. In questo progetto, in particolare, io sono stato coinvolto dall’inizio alla fine, ho definito insieme all’IT Manager i requisiti di business, e i report che il sistema deve darmi come CFO, e più in generale devo assicurarmi che il sistema garantisca il valore che il business si aspetta». La digital transformation sta aiutando il lavoro del CFO, continua Shah, perché assicura una visibilità completa non solo sul capitale circolante, ma anche sulle vendite, sia quelle nei negozi fisici che quelle sui canali digitali, e sui costi, per esempio quelli di marketing, «che ora è un aspetto molto più complesso visto che richiede di coordinare la pubblicità sui canali fisici come la stampa e su quelli digitali». «Il concetto è che oggi occorre fornire dati in tempo reale, in pochissimi passaggi. Prima avevamo dei dati sul sistema di eCommerce, altri dati sul sistema ERP, altri su quello di retail. Oggi sono tutti su una piattaforma sola, univoci, e attraverso la business intelligence si può arrivare a decisioni più accurate al momento giusto. Questo certamente mi ha semplificato la vita».
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«Ora abbiamo un sistema omnichannel che – quando non è disponibile un articolo in uno dei nostri store – ci permette di trovarlo e garantire la data di consegna»
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DIGITAL TRANSFORMATION - SUPPLY CHAIN di
STEFANO BASSI, GIORGIO CASANOVA, DANIELE MARAZZI, MIRKO REPETTO
Fatturazione Elettronica B2B, il parere delle filiere: i rischi da non sottovalutare L’1 gennaio 2019 entrerà in vigore l’obbligo di fatturazione elettronica per tutti i rapporti commerciali fra soggetti residenti in Italia. Si parla di oltre un miliardo di fatture all’anno, mentre quelle tra aziende e Pubblica Amministrazione sono qualche decina di milioni. Ediel, Metel, Dafne, e GS1 Italy evidenziano alcuni dei punti su cui concentrarsi per creare le più adatte condizioni al contorno
La fatturazione elettronica verso la PA è stata solo l’inizio. Un nuovo passaggio epocale si prospetta in Italia il prossimo 1 gennaio 2019, con l’obbligo di fatturazione elettronica B2B (business-to-business), cioè per tutti i rapporti commerciali fra soggetti residenti in Italia. Questa nuova fase ha un impatto molto più ampio della fatturazione elettronica verso la PA, per almeno due motivi. Il primo è l’ordine di grandezza: si parla di oltre un miliardo di fatture all’anno, mentre quelle tra aziende e PA sono qualche decina di milioni. Il secondo è la diversissima “maturità digitale” delle aziende coinvolte: si va da quelle che non hanno mai emesso una fattura elettronica, a quelle che hanno digitalizzato da anni (spesso in modi diversi da filiera a filiera) l’intero ciclo dell’ordine. Si tratta quindi di una grandissima innovazione che coinvolge molte parti, e che richiede di creare le più adatte “condizioni al contorno” per essere facilitata. In tal senso qui proseguiamo un discorso avviato con un articolo su Agenda Digitale, che propone un possi| 40 |
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bile modello di fattura per conciliare l’esigenza di gradualità delle aziende più arretrate, e quella di tutela degli investimenti delle aziende che invece hanno già informatizzato fatturazione e ciclo dell’ordine. Qui invece ci concentreremo su alcuni elementi cardine che, a seconda di come sono considerati, possono essere di facilitazione oppure di forte barriera per il funzionamento della Fatturazione Elettronica B2B, con particolare attenzione alle relazioni tra imprese. LA DATA DI EMISSIONE FATTURA DEVE RIMANERE LA DATA DELLA FATTURA Il problema “data” è uno dei principali scogli della fatturazione elettronica B2B. La data di emissione della fattura deve assolutamente rimanere la data della fattura. Questa soluzione – apparentemente banale – è preferibile perché è a impatto zero su processi, modelli di riferimento e sistemi in essere praticamente in ogni azienda. Un esempio delle
DI GI TAL TRANSFOR M ATI ON - S UP P LY C H A I N | FATTURAZIONE ELETTRONICA B2B, IL PARERE DELLE FILIERE: I RISCHI DA NON SOTTOVALUTARE
te di SdI (che potrebbe differire dalla data fattura) avremmo qualche problema di calcolo se la fattura arrivasse dopo la mezzanotte “involontariamente”. Conservando la data della Fattura come è oggi, l’Agenzia delle Entrate, con i dati delle fatture e i dati dello SdI, potrebbe comunque effettuare ogni verifica del caso davanti a differenze sostanziali tra data fattura e “data di elaborazione” da parte dello SdI. I RISCHI DEL “RIFIUTO” IN UNO SCENARIO DIVERSO DALLA FATTURAZIONE ALLA PA
possibili criticità di soluzioni alternative viene dalla consegna delle merci: se una spedizione parte l’ultimo giorno del mese, quel giorno deve essere anche la data fattura. Se la data fattura fosse invece quella di elaborazione da parte di SdI, nel caso SdI abbia un qualsiasi tipo di problema, la fatturazione non avverrebbe entro la mezzanotte del giorno di partenza della spedizione, e i pagamenti a 30 gg data emissione fattura slitterebbero di ulteriori 30 giorni, con evidenti ripercussioni finanziarie, che potrebbero arrivare addirittura a condizionare le reazioni degli azionisti, se l’azienda fosse quotata in Borsa. Un ulteriore problema emergerebbe anche sul fronte dei pagamenti. Alcuni dei clienti che inviano fatture esprimono un pagamento tipo “30 gg data fattura fine mese” con un codice. Ebbene, nella fattura PA (e quindi probabilmente anche in quella B2B) è obbligatorio inserire in numeri le unità temporali (giorni) per stabilire la data del pagamento. Quindi se la data di emissione diventasse la data di elaborazione da par-
La possibilità di “rifiuto” della fattura è presente su SdI per aiutare le PA a respingere fatture prive dei dati necessari per essere registrati (o evidentemente sbagliate perché il mittente è ignoto). Invece per chi fa EDI il rifiuto non esiste come opzione perché il mittente non può essere ignoto. I sistemi EDI si basano su relazioni riconosciute con i destinatari (“interchange agreement”), in assenza delle quali la fattura non arriva proprio. Il rifiuto delle Fatture nella fatturazione elettronica B2B, quindi, entrerebbe “a gamba tesa” su processi che vengono sviluppati per creare efficienza ed evitare casistiche strane. Addirittura, nei sistemi di molti VAN (provider che gestiscono lo scambio di documenti in formato elettronico strutturato), inserire il rifiuto di un file EDI che risulta corretto non è consentito. Se riporta dati errati, andrà in contestazione e verrà gestito in contenzioso (merce danneggiata, prezzi sbagliati, merce mancante, ecc.), se manca di elementi obbligatori viene scartato (anche automaticamente). Ma se risulta formalmente corretto, non esiste ragione per poterlo rifiutare. La fattura EDI segue procedure automatizzate e consolidate in anni di affinamento e accordi. Se da un momento all’altro potesse essere rifiutata dal ricevente – cosa permessa dallo SdI unilateralmente – si metterebbero a repentaglio i vantaggi di tali processi, introducendo pesanti costi di adattamento per le aziende. Inoltre c’è il rischio dell’uso del “rifiuto” di una fattura per rinviarne la ricezione a mesi successivi e quindi diluire unilateralmente i tempi di pagamento. LA NECESSITÀ DI METTERE A PUNTO IL PROCESSO IN UN AMBIENTE DI TEST Per mettere a punto il processo di fatturazione elettronica B2B occorre fare test massivi. Se le aziende saranno obbligate a partire senza poter sperimentare, e verificare la “potenza di ricezione” www.digital4executive.it
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DI GI TAL TRANSFORM ATI ON - S UP P LY C H A I N | FATTURAZIONE ELETTRONICA B2B, IL PARERE DELLE FILIERE: I RISCHI DA NON SOTTOVALUTARE
Da sinistra: Stefano Bassi, Operations Director di Ediel Giorgio Casanova, Direttore Generale di Metel Mirko Repetto, Business Development Manager di GS1 Italy Daniele Marazzi, Consigliere Delegato del Consorzio Dafne
di SdI sotto stress, il rischio di un blocco ricadrà tutto su di loro e sui loro business. Se non fosse possibile avere un sistema di test sarebbe auspicabile introdurre almeno un periodo di test non sanzionabile, che consenta alle imprese di capire se la fattura può non arrivare nei tempi previsti, o può arrivare errata e in quali volumi. L’importanza di testare i flussi sotto sforzo deriva anche dal fatto che oggi su SdI passano alcune decine di milioni di Fatture, quelle inviate alla PA, mentre nel solo B2B se ne contano più di un miliardo l’anno (e altrettante circa nel B2C, tra scontrini e simili). Per di più questi volumi si concentreranno a fine mese, portando SdI a gestire in pochi giorni flussi paragonabili a quelli gestiti oggi in un anno (30-40 milioni di fatture almeno). L’UTILITÀ DI UN PROTOCOLLO NAZIONALE L’approccio del Protocollo Nazionale potrebbe facilitare il percorso della fatturazione elettronica B2B, garantendo massima trasparenza sullo SdI. L’idea è di apporre un numero di validazione (progressivo su base annua, che potrebbe legare le partite IVA di emittente e cliente) o analogo codice su ogni Fattura inviata a SdI, per poi rimandarla al mittente oppure dirigerla verso il destinatario. Si eviterebbe di mappare ogni singolo punto di ricezione (un lavoro intenso che sulle PA ha dato origine all’IPA e che nel mondo delle imprese ha almeno due ordini di grandezza di complessità in più). Chi oggi scambia documenti in formato elettronico strutturato può continuare a farlo, arricchendo del codice di validazione i dati scambiati. Chi carica le fatture su Portali può continuare a farlo e chi ha sviluppato portali per la raccolta delle Fatture può continuare a usarli. Il Protocollo Nazionale consentirebbe alle community EDI di | 42 |
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funzionare con modelli analoghi a quello del flusso semplificato (come oggi funziona la relazione tra la digitalizzazione del ciclo dell’ordine in Emilia Romagna e SdI, per esempio). In questo scenario, SdI assume un ruolo più di validazione delle fatture emesse, che di “postino”. Si conserva il beneficio della tracciabilità delle Fatture (quelle senza codice non risulterebbero valide) ma senza l’onere di doversi costruire e mantenere un indirizzario affidabile e sicuro per tutti gli attori economici del Paese. LA NECESSITÀ DI USARE PIÙ CODICI DESTINATARI, INTERMEDIARI E PEC In diversi settori già oggi abbastanza digitalizzati, in cui è diffuso l’EDI, ci sono multinazionali che operano direttamente, e allo stesso tempo con diversi VAN. E che utilizzano anche diversi sistemi di invio della fattura: via EDI, via email in PDF e/o via posta e/o via portale aziendale, ecc. E le stesse fatture possono essere di varie tipologie: differite, immediate (“fatte al banco”, come gli scontrini), che accompagnano la merce. Insomma, il quadro non è banale e sembra ancora più complicato se si pensa di affrontarlo con un unico operatore (nazionale): richiederebbe di cambiare completamente l’organizzazione aziendale. Se ogni operatore attualmente al centro di relazioni EDI potesse invece proseguire nel suo ruolo anche per l’invio a SdI – seguendo un approccio da sempre sostenuto anche dall’Osservatorio Fatturazione Elettronica e eCommerce B2b del Politecnico di Milano – l’impatto sarebbe minimo, le fatture veicolate non poche, e si potrebbe anche partire subito. Il ruolo dell’intermediario che emette per nome e conto dell’azienda potrebbe essere previsto nel tracciato XML della fatturazio-
DIGI TAL TRANSFOR M ATI ON - S UP P LY C H A I N | FATTURAZIONE ELETTRONICA B2B, IL PARERE DELLE FILIERE: I RISCHI DA NON SOTTOVALUTARE
ne elettronica B2B, così da poter ricostruire e verificare eventuali problemi. È poi importante poter evitare – a chi non lo desidera – di ricevere fatture da un canale che non intende presidiare (per esempio, via PEC nelle grandi imprese). La proliferazione incontrollata dei canali obbligherebbe tutte le aziende (anche le PMI) ad acquisire risorse ad hoc solo per occuparsi di questa attività. La pluralità oggi vigente consente di automatizzare molti processi aziendali: erodere questa pluralità non sarebbe una semplificazione ma un extracosto di adattamento non sottovalutabile. Questi elementi si aggiungono ad alcune specificità di filiera che potrebbero portare a situazioni di “stallo”. Per esempio, la gestione all’interno della struttura del tracciato Fattura dei prodotti “omaggio” o degli “sconto merce”, consuetudini diffuse nelle filiere degli elettrodomestici o dell’elettronica di consumo, ma anche nel largo consumo in generale, che a una prima osservazione non sembrano semplici da traghettare nello standard della Fatturazione Elettronica. IL RISCHIO DEL “DOPPIO FLUSSO DI FATTURAZIONE”: ESISTENTE E SDI L’impressione è che la sfida della fatturazione digitale B2B per l’Italia sia davvero ambiziosa. Da
un lato lodevolissima, perché promuove strumenti in grado di portare cultura digitale ed efficienza nel mondo delle aziende. Dall’altro, ad alto rischio. Soprattutto se si considera che una eventuale mancanza di efficacia del Sistema d'Interscambio – posto attualmente un po’ troppo al centro di ogni relazione di business – potrebbe sia creare blocchi (o addirittura danni?) nelle relazioni tra imprese, sia in ultima istanza addirittura peggiorare l’immagine del Sistema Paese presso i partner europei. I circuiti EDI esistenti - spesso da decenni - in Italia, e i Portali B2B privati delle singole imprese verso il loro indotto, potrebbero svolgere un ruolo di supporto non trascurabile. Già oggi sostengono molte relazioni B2B e potrebbero essere asset sfruttabili nel percorso di Fatturazione Elettronica del Paese, invece che strutture “parallele” da affiancare o addirittura sostituire- Per il solo documento Fattura, oltretutto, e cioè uscendo dalla logica di gestione “per processo unico” che è quella che assicura la piena realizzazione dei potenziali benefici della digitalizzazione B2B. Il rischio è che le imprese conservino le loro reti attuali e accettino di duplicare i soli documenti Fattura a beneficio del Sistema d'Interscambio. In questo modo, l’obbligo di Fatturazione Elettronica risulterebbe a tutti gli effetti solo un costoso e inopportuno adempimento fiscale.
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DIGITAL TRANSFORMATION - FINANCE
acquisizioni, cinque soluzioni digitali per aiutare il CFO Le operazioni M&A sono in continuo aumento, e coinvolgono sempre più la funzione Finance. Ma sono molto complesse da gestire, e i risultati spesso inferiori alle attese. Sta però emergendo una nuova generazione di tool tecnologici per automatizzare le attività di integrazione, e migliorare la visibilità su risultati e scenari
Le fusioni e acquisizioni (in gergo finanziario M&A, mergers and acquisitions) sono tra gli strumenti più utilizzati dalle aziende per creare rapidamente economie di scala, sinergie e quindi valore. Un uso fortemente aumentato negli ultimi anni per le condizioni macroeconomiche favorevoli. Non sempre però i risultati sono all’altezza delle aspettative, per la grande complessità di gestione di tutte le attività che una fusione o acquisizione comporta. Attività che coinvolgono in modo sostanziale i Chief Financial Officer (CFO). Ma una nuova generazione di soluzioni digitali può facilitare appunto i compiti dei CFO, migliorando la velocità ed efficienza di analisi e decisioni legate alle M&A. È la tesi di un articolo di Deloitte nella pagina “CFO Journal” del Wall Street Journal, che parte da alcuni dati del 2018 M&A Trends Report della società di consulenza, secondo cui il 63% dei rispondenti utilizza già tool digitali più avanzati | 44 |
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dei classici spreadsheet per diverse attività legate alle M&A. E il 62% di quelli che ancora non li usano intendono adottarli a breve. Una ragione di questo successo è banalmente la necessità di star dietro a operazioni M&A sempre più frequenti. Secondo il report le aspettative di aziende e investitori finanziari sono di un ulteriore aumento delle M&A nel 2018 rispetto al 2017, che a sua volta aveva visto un aumento rispetto al 2016. Se due anni fa la destinazione di impiego più indicata per la liquidità in bilancio (cash) era la crescita organica, nel 2018 sono proprio le acquisizioni. Quindi più operazioni da gestire, e anche più pressione sui risultati: non stupisce che nel report M&A 2016 di Deloitte ben il 40% delle aziende giudicava insoddisfacente oltre la metà delle operazioni M&A effettuate. Una seconda ragione è che le nuove soluzioni digitali possono rendere più strategico il ruolo dei CFO nelle M&A. Ruolo che finora è sempre
DIGITAL TRANSFORMATION - FINANCE | ACQUISIZIONI, CINQUE SOLUZIONI DIGITALI PER AIUTARE IL CFO
Nel report M&A Trends 2016 di Deloitte ben il 40% delle aziende ha definito insoddisfacenti i risultati di oltre la metà delle operazioni di fusione e acquisizione
stato concentrato soprattutto sulle fasi di integrazione post-acquisizione, mentre oggi si è molto ampliato. Il CFO è coinvolto fin dalle fasi di ricerca dei potenziali target e “due diligence” delle situazioni economico-finanziarie, e spesso ha la responsabilità del processo di integrazione, del rispetto delle “milestone”, e della realizzazione delle sinergie pianificate. Anche se i tool digitali da soli non possono risolvere tutto, gli intervistati della M&A Survey sottolineano il loro contributo nel rendere più semplici, meno costose e più veloci le fasi di integrazione. Effetti che si accentuano nel caso di M&A tra settori diversi. LE SOLUZIONI GENERALISTE, DAI CLOUD ERP AL NATURAL LANGUAGE PROCESSING L’articolo cita due tipi di soluzioni digitali che aiutano il CFO nella gestione delle M&A. Il primo tipo comprende soluzioni “generaliste” che
si rivelano utili in particolare nelle M&A, come “virtual data room”, sistemi ERP cloud-based, strumenti di natural language processing e di data visualization. Nel primo caso chiaramente il beneficio è la possibilità di creare team di persone fisicamente in sedi diverse, che possono interagire e scambiarsi documenti in tempo reale senza perdere in produttività. Nel secondo caso i software gestionali di nuova generazione, spiega Deloitte, facilitano una delle fasi tradizionalmente più difficili di una acquisizione, e cioè l’integrazione di diversi sistemi informativi. Nel terzo caso il beneficio è poter analizzare grandi volumi di documenti e contratti in modo fortemente automatizzato. Nel quarto si tratta di dashboard di sistemi di analytics e l’obiettivo è analizzare velocemente ma con tutti gli approfondimenti necessari i dati delle società target o già acquisite. Il secondo tipo di soluzioni digitali è specifico per le M&A, e si focalizza sia sulle attività “core” (ricerca di target, valutazione, integrazione) di queste operazioni, sia su quelle “soft”, come coinvolgimento del personale e diffusione/rafforzamento della cultura aziendale, che anni fa erano totalmente al di fuori dell’ambito d’azione del software. Si tratta in buona parte di soluzioni sviluppate ad hoc, e l’articolo ne descrive cinque sviluppate direttamente da Deloitte. LE SOLUZIONI AD HOC PER LE OPERAZIONI DI FUSIONE E ACQUISIZIONE Digital target screening. L’obiettivo di questo tipo di soluzione è di produrre una “shortlist” dei migliori target di acquisizione. È alimentata da fonti esterne con informazioni come bilanci, analisi di settore, rating finanziari e operativi, e fa analisi basate sui criteri definiti dall’azienda acquirente in funzione della specifica strategia di crescita e di acquisizioni. È in grado di simulare scenari “real-world” per discutere le possibili evoluzioni del percorso di integrazione. L’articolo fa l’esempio di una grande impresa biotech che in poche settimane www.digital4executive.it
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DIGITAL TRANSFORMATION - FINANCE | ACQUISIZIONI, CINQUE SOLUZIONI DIGITALI PER AIUTARE IL CFO
Il CFO è coinvolto fin dalle fasi di ricerca dei potenziali target e “due diligence” finanziarie, e spesso ha la responsabilità del processo di integrazione, del rispetto delle “milestone”, e della realizzazione delle sinergie pianificate
grazie a questa soluzione ha ridotto un universo di 350 possibili target di acquisizione a 10, arrivando così alla fase “shortlist” in molto meno tempo di quanto preventivato. Interdependency accelerator. Le grandi acquisizioni comportano moltissime interdipendenze tra funzioni e flussi di lavoro. Per rispettare obiettivi e tempi pianificati del percorso di integrazione, i team M&A devono tenere conto di questi legami: la soluzione interdependency accelerator attraverso una dashboard evidenzia i colli di bottiglia, gli snodi che comportano più rischi, e gli impatti dei cambiamenti in una funzione sulle altre. Si basa in parte su un database di roadmap di integrazione distinte per settore. L’articolo cita il caso di una grande azienda hi-tech che per una acquisizione di scala globale ha utilizzato questo tool per analizzare migliaia di milestone di progetto, evidenziando in poche ore i gap e mettendo a punto appositi “mitigation plan” per risolverli. Digital organization design. Utilizzando informazioni interne e benchmark di settore, questa soluzione permette ai CFO di disegnare l’organizzazione post-acquisizione e le sue strutture di costi, evidenziando i gap di competenze nelle varie parti e componenti. Decidere chi va dove attraverso questa “composizione digitale” della organizzazione non determina solo la dotazione di risorse di tutte le funzioni, uffici e team, ma anche la cultura aziendale del futuro, con una visione d’insieme e di dettaglio che aiuta a ridurre l’incertezza e le ricadute negative. Digital purchase accounting. Questo strumento ha l’obiettivo di facilitare la contabilizza-
I benefici delle soluzioni digitali sul processo di M&A sono di cinque tipi: velocità di esecuzione, visibilità su dati e risultati, automazione delle attività, affidabilità dei dati, collaborazione | 46 |
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zione e valorizzazione a bilancio dell’acquisizione, automatizzando diverse parti del processo tramite aggregazione e mappatura dei dati per ridurre i tempi di scritture contabili, rettifiche, revisioni e controlli di errore. Deloitte cita l’esempio della fusione di due grandi compagnie farmaceutiche, che hanno usato il tool di digital purchase accounting per automatizzare la creazione di rettifiche periodiche di prezzi e valute, differimenti delle imposte, ammortamenti, nonché della documentazione di supporto, riducendo il rischio di errori manuali, e anche i tempi di processo da settimane a ore. Divestiture financials processing. Una solida strategia di M&A comprende disinvestimenti (scorpori) oltre che acquisizioni. Per cui è necessario disporre di viste storiche dettagliate della situazione finanziaria, per avere un quadro chiaro dei driver reali del business. Questo strumento automatizza il processo di rettifica dei dati storici per accelerare la creazione di risultati finanziari rettificati. In alcuni casi, spiega l’articolo, il suo uso ha ridotto i tempi del processo che va dall’acquisizione dei dati all’audit da 6-8 settimane a 10 giorni. Riassumendo, sono di cinque tipi i benefici delle soluzioni digitali sul processo di gestione delle fusioni e acquisizioni: maggior velocità di esecuzione, migliore visibilità su dati e risultati, minor dipendenza da attività manuali, più alta affidabilità dei dati, rafforzamento della collaborazione. In ultima analisi, conclude Deloitte, questi strumenti permettono di spostare l’enfasi dell’operazione M&A dai passaggi “tecnici” della transazione stessa agli aspetti strategici.
OSSERVATORIO
ANTONELLA MORETTO
Industria italiana, il supply chain finance vale 637 miliardi: la spinta decisiva del Fintech
DIRETTORE OSSERVATORIO SUPPLY CHAIN FINANCE POLITECNICO DI MILANO
Il monte crediti commerciali è il più alto d’Europa, ma solo il 23% viene finanziato, per lo più con strumenti tradizionali, spiega l’Osservatorio Supply Chain Finance del Politecnico di Milano. Ma si stanno diffondendo soluzioni innovative, come Invoice Auction e Dynamic Discounting. Basate su tecnologie IoT, Big Data e Blockchain. «Anche gli operatori logistici sono sempre più coinvolti nell’offerta di servizi finanziari»
«Il Supply Chain Finance (SCF) è l’insieme delle soluzioni per finanziare il capitale circolante che fanno leva sul ruolo delle aziende entro la filiera, e la ricerca 2018 mostra come in Italia sia ormai una realtà affermata, che evolve verso nuove prospettive. Il mercato servito si consolida, anche se quello potenziale resta ancora molto rilevante, in particolare per il supporto delle PMI. C’è fermento per l’ingresso di nuovi attori sul mercato, soprattutto operatori internazionali e startup che offrono servizi basati su piattaforme digitali». Così Federico Caniato ha presentato l’edizione 2018 dell’Osservatorio Supply Chain Finance del Politecnico di Milano, di cui è Direttore. «Negli anni della crisi economica dopo il 2008, la capacità di finanziare il capitale circolante – in particolare crediti commerciali e scorte – ha significato per molte imprese manifatturiere, soprattutto piccole e medie imprese (PMI), la differenza tra sopravvivenza e fallimento».
TEMPO MEDIO D’INCASSO CREDITI: 98 GIORNI. LA MEDIA EUROPEA È 61 Oggi il ciclo di cash-to-cash nell’industria italiana è di 44 giorni (dati 2016). È in calo del 17,5% rispetto al 2015, e risulta da valori tutti in calo ma ancora su livelli altissimi. Il tempo medio d’incasso dei crediti commerciali è 98 giorni (-11%, ma la media europea è 61 giorni), il tempo medio di copertura scorte è 70 giorni (-3,5%), e quello medio di pagamento debiti commerciali è 124 giorni (-4,2%). Con questi numeri è logico aspettarsi valori altissimi anche per i crediti commerciali in sospeso, che infatti nel 2016 erano di 637 miliardi di euro: un dato molto superiore a Germania (582 mld), Francia (529 mld), Regno Unito (411 mld), Spagna (341 mld). Finanziare questi 637 miliardi per le imprese industriali italiane è fondamentale, ma solo il 23% è “servito” da soluzioni di finanziamento dall’esterno. Soluzioni che sono in gran parte tradizionali, www.digital4executive.it
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OSSERVATORI O | IND U S T R I A I TAL I ANA, I L S U PPLY CHA IN F IN A N C E VA L E 6 3 7 MIL IA RDI: L A SP IN TA DE C ISIVA DE L F IN T E C H
Un modello basato su 3 indici di performance logistici - DPO, DSO, e Inventory Turnover - è in grado di prevedere con circa 18 mesi di anticipo il default di un fornitore o un cliente nella filiera con un’accuratezza dell’80%
come l’Anticipo Fattura, cioè il finanziamento delle fatture non ancora riscosse, che vale 75 miliardi (-13,8%), e il Factoring, la cessione di crediti commerciali vantati da un’azienda, che sale del 6,6% a 58 miliardi. Nell’ultimo anno è cresciuto di più il Reverse Factoring, che permette ai fornitori di sfruttare il merito creditizio di un’azienda cliente per ottenere tassi più bassi (3 mld, +7%), mentre hanno preso piede anche soluzioni innovative come Invoice Auction, Purchase Order Finance, Dynamic Discounting ed Equipment Finance: un’area prevista in forte crescita nel 2017 grazie al boom del Fintech e all’impiego di tecnologie innovative come Blockchain, Big Data e Internet of Things. L’IMPATTO DI INTERNET OF THINGS, BIG DATA E BLOCKCHAIN Più in dettaglio il Purchase Order Finance è l’impiego di un ordine ricevuto da un cliente con alto merito creditizio come garanzia per ottenere
I CREDITI COMMERCIALI IN ITALIA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: 44 miliardi di euro
MERCATO POTENZIALE (DESTRA) VS MERCATO SERVITO (SINISTRA) CONSOCIATE 166 miliardi di euro
24%
FACTORING 58 miliardi di euro (+ 6,6%)
EXPORT: 47 miliardi di euro
9%
7%
5%
ANTICIPO FATTURA 75 miliardi di euro (- 13,8%)
12%
6%
B2C: 25 miliardi di euro
un finanziamento non della fattura ma dell’ordine, supportando l’acquisto di materiali o prodotti necessari a produrre quanto ordinato. Il Dynamic Discounting è il pagamento anticipato a fronte di uno sconto proporzionale ai giorni di anticipo, che consente il finanziamento anche solo tra attori della filiera senza coinvolgere finanziatori terzi. L’Equipment Finance è l’insieme di strumenti finanziari a supporto non del capitale circolante, ma dell’acquisto di asset durevoli. Da una parte quindi la visione del credito di filiera come sinonimo di Reverse Factoring è sorpassata, spiega Antonella Moretto, anche lei Direttore dell’Osservatorio Supply Chain Finance: oggi l’ambito si sta allargando oltre la fattura, anche a ordini, scorte e investimenti. Dall’altra le imprese italiane intervistate dall’Osservatorio considerano le tecnologie Blockchain, Big Data e Internet of Things come strumenti per superare le barriere all’adozione delle soluzioni più innovative. L’IoT viene impiegato nelle soluzioni di Inventory Finance e Equipment Finance, perché
637 + miliardi di euro
B2B: 521 miliardi di euro
REVERSE FACTORING 3 miliardi di euro (+ 7%)
-1% ALTRE SOLUZIONI < 3 miliardi di euro
-1%
82%
MERCATO NON COPERTO 498 miliardi di euro
77% CLIENTI 471 miliardi di euro
76% Fonte: Politecnico di Milano, Osservatori Digital Innovation
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OSSERVATORI O | I ND U S T R I A I TAL I ANA, I L S U PPLY CH A IN F IN A N C E VA L E 6 3 7 MIL IA RDI: L A SP IN TA DE C ISIVA DE L F IN T E C H
L’analisi dei Big Data provenienti dalle transazioni nella supply chain consente una miglior valutazione del merito creditizio delle imprese, soprattutto delle PMI, che sono poco rappresentate dai tradizionali dati di bilancio
agevola il monitoraggio in tempo reale dei beni oggetto di garanzia, rende più efficienti i processi, riducendo i rischi di frode e aumentando la fiducia degli attori coinvolti. L’analisi dei Big Data provenienti dalle transazioni entro la supply chain consente una miglior valutazione del merito creditizio delle imprese, soprattutto delle PMI, meno rappresentate dai dati di bilancio. La Blockchain si impiega nelle soluzioni di Reverse Factoring, perché riduce costi e tempi di acquisizione delle informazioni necessarie ad esempio per l’inclusione di un nuovo fornitore, e di Inventory Finance, perché garantisce visibilità delle scorte a magazzino, aumenta la trasparenza e riduce i rischi di frode. QUANDO L’OPERATORE LOGISTICO OFFRE SERVIZI FINANZIARI Anche gli operatori logistici, che per definizione fanno già parte delle supply chain, partecipano in modo sempre più decisivo alle soluzioni di Supply Chain Finance, con 4 modelli. Gli Indipendenti offrono soluzioni in autonomia senza supporto finanziario di terzi; gli Spin-Off creano una società per offrire servizi in esclusiva; quelli in Joint Venture creano una società specializzata con un provider di finanziamento; quelli in Collaborazione gestiscono il flusso informativo per il provider di finanziamento. Gli asset più finanziati dagli operatori logistici sono asset durevoli dei clienti (di movimentazione merci e investimenti in innovazione o attività a valore aggiunto), scorte (soluzioni che monetizzano il capitale immobilizzato nelle scorte di magazzino), crediti o debiti commerciali (opera-
tori che agiscono come finanziatori o segnalano informazioni agli operatori finanziari). RISCHIO DI DEFAULT, IL LEGAME CON PAGAMENTI E PUNTUALITÀ DI CONSEGNE Un altro contributo importante del report 2018 dell’Osservatorio SCF è la dimostrazione che i dati operativi sono indicatori dello stato di salute di un’azienda almeno quanto quelli finanziari. «Abbiamo esaminato i bilanci dal 2013 al 2016 di 210mila imprese internazionali, lavorando in particolare su tre voci correlate alle performance di supply chain: DPO (Days Payable Oustanding), DSO (Days Sales Oustanding) e Inventory Turnover – ha spiegato Moretto -. E abbiamo concluso che un modello basato su questi 3 indici è in grado di prevedere con circa 18 mesi di anticipo il default dell’azienda, e questo con un’accuratezza altissima, intorno all’80%». Insomma, l’uso di indici di performance operativa nei modelli di valutazione del merito di credito ne aumenta la reattività e la capacità predittiva. Un’ulteriore conferma viene da un altro lavoro dell’Osservatorio: la simulazione di 10 anni di funzionamento di una filiera a 5 livelli – fornitore di primo livello, fornitore di secondo livello, azienda, distributore, cliente finale – con focus su due parametri: puntualità di consegna e frequenza dei pagamenti. I due responsi sono molto significativi: se un’impresa inizia a cedere sulla regolarità temporale dei pagamenti, con buona approssimazione fallirà dopo 12 mesi. Analogamente, se inizia a cedere sulla puntualità delle consegne, con buona probabilità fallirà entro 18 mesi.
Nell’ultimo anno il Reverse Factoring, che permette ai fornitori di sfruttare il merito creditizio di un’azienda cliente per ottenere tassi più bassi, è cresciuto del 7% e vale 3 miliardi www.digital4executive.it
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NORMATIVE
GABRIELE FAGGIOLI
data protection, si cambia. Entra in vigore il GDPR
CEO, P4I - PARTNERS4INNOVATION RESPONSABILE SCIENTIFICO OSSERVATORIO INFORMATION SECURITY & PRIVACY, POLITECNICO DI MILANO
9 aziende italiane su 10 hanno valutato la compliance Solo l’8% non conosce il tema GDPR, il 58% ha un budget dedicato, l’80% ha individuato ruoli e responsabilità o lo sta facendo, spiega l’Osservatorio Information Security & Privacy del Politecnico di Milano. «Adeguamento quasi completato nelle grandi imprese, poi toccherà alle PMI e alle attività di mantenimento»
La scadenza della piena applicabilità del GDPR, il nuovo Regolamento europeo per il trattamento dati, è ormai vicinissima (25 maggio 2018): come sono messe le grandi imprese italiane? Una fotografia dettagliata viene da un’indagine dell’Osservatorio Information Security & Privacy del Politecnico di Milano, che ha intervistato 160 imprese italiane con più di 250 addetti esplorando tre aspetti in particolare: la conoscenza del tema GDPR (awareness), il budget dedicato e le azioni implementate. In estrema sintesi il quadro è positivo e confortante. Anche se comunque si evidenzia un certo ritardo rispetto all’imminenza della scadenza, la spesa in progetti di adeguamento ad GDPR nel 2017 ha contribuito per oltre la metà alla crescita del mercato delle soluzioni di Information Security in Italia, che ha toccato il valore di 1,09 miliardi di euro, in crescita annua del 12%. Tutti i dati di awareness, budget e iniziative inoltre sono in | 50 |
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forte crescita rispetto a un’analoga indagine effettuata 12 mesi prima dallo stesso Osservatorio. PIÙ DELLA METÀ HA IN CORSO UN PROGETTO DI ADEGUAMENTO Rispetto all’awareness, sono fortemente diminuite le aziende con scarsa conoscenza degli impatti del GDPR, dal 23% del 2016 all’8% di quest’anno. Coerentemente nell’85% dei casi il tema è ormai all’attenzione del vertice aziendale, e non solo delle funzioni specialistiche (Security, Legal, Compliance, ecc.). Nel 2016 solo il 9% aveva già in corso un progetto strutturato di adeguamento alla normativa, nel 2017 tale percentuale è salita al 51%, mentre il 34% ha in corso un’analisi di dettaglio dei requisiti richiesti e dei piani di attuazione possibili. Parallelamente sono in forte aumento anche le risorse dedicate all’adeguamento al nuovo rego-
N O RM AT IV E | DATA P RO T E C T IO N , SI C A MB IA . E N T RA IN V IG O RE IL G D P R
«Il dato più significativo è che tre organizzazioni su quattro hanno steso o iniziato a stendere politiche di sicurezza e valutazione dei rischi: questo significa aver avviato un processo di presa di coscienza del problema»
lamento europeo. Mentre nel 2016 solamente nel 15% dei casi esisteva un budget GDPR dedicato, ora siamo al 58%: il 35% con orizzonte annuale, il 23% pluriennale. Resta però una percentuale molto alta, il 42%, di aziende senza budget: nel 23% dei casi sarà stanziato nei prossimi 6 mesi e nel 19% non è previsto del tutto. LE AZIONI IN CORSO, DALLA GESTIONE DATA BREACH AL REGISTRO TRATTAMENTI Le principali azioni in corso o già implementate riguardano la valutazione della compliance (87%), l’individuazione dei ruoli e responsabilità (80%), la stesura o modifica della documentazione (77%), la definizione delle politiche di sicurezza e valutazione dei rischi (77%), la creazione e aggiornamento del registro dei trattamenti (74%), la valutazione di impatto sulla protezione dei dati personali (57%), la procedura di gestione dei data breach (53%), il servizio di DPO – Data Protection Officer (50%) e l’implementazione dei processi per l’esercizio dei diritti dell’interessato (49%). Le imprese più dimensionate, o comunque appartenenti ai settori dove il trattamento del dato personale è core business (prima di tutto GDO, settore finanziario, bancario e assicurativo, fashion & luxury), hanno avviato ormai da mesi importanti e complessi progetti di adeguamento al GDPR seppur, in larga parte, in grande ritardo rispetto ai due anni che il legislatore europeo aveva lasciato per adeguarsi. È vero che in Italia, dove la legislazione vigente e i vari provvedimenti del Garante hanno creato un apparato normativo parallelo al decreto legislativo 196/2003 (protezione dei dati personali), la scelta di mantenere o meno tali provvedimenti può determinare una sostanziale diversità di costo e di complessità di adeguamento e mantenimento della conformità rispetto agli altri Paesi. «LO SCOPO NORMATIVO, ALMENO NELLE GRANDI IMPRESE, È STATO RAGGIUNTO» La Ricerca rende comunque evidente che è in corso un sostanziale cambio di marcia. «Il fatto
che quasi tutte le aziende dichiarino di aver intrapreso processi di valutazione della compliance normativa e di individuazione di ruoli e responsabilità significa che lo scopo normativo del legislatore europeo, perlomeno sulle aziende di più alto livello, è stato raggiunto – spiega Gabriele Faggioli, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Information Security & Privacy, nonché CEO di P4I-Partners4Innovation e Presidente Clusit -. Il dato probabilmente più significativo è che più di tre organizzazioni su quattro hanno steso o iniziato a stendere politiche di sicurezza e valutazione dei rischi: questo significa aver coinvolto le giuste competenze, aver avviato un processo di valutazione interna, di analisi dei rischi e quindi, in definitiva, di presa di coscienza della problematica». «Nei prossimi mesi assisteremo al completamento dei progetti di adeguamento al GDPR: verranno terminati gli assessment, stesi i registri dei trattamenti, adottate le procedure interne a garanzia dei diritti degli interessati, ed effettuate le analisi dei rischi. Perlomeno dalle società più attente al tema». «VEDREMO UNA GRADUALE CESSIONE ALL’ESTERNO DELL’ATTIVITÀ GDPR» In seguito, continua Faggioli, l’attenzione sul tema GDPR comincerà a salire anche nelle piccole e medie imprese per le quali i dati personali non rappresentano il core business. È probabile inoltre che si assista a una progressiva esternalizzazione dei servizi verso soggetti che, potendo contare su economie di scala, possano proteggere meglio le infrastrutture e le applicazioni e, in ultimo, i dati dei clienti. «Infine ci si può attendere un’ulteriore crescita degli investimenti in sicurezza ICT e uno spostamento delle attività consulenziali dai progetti di adeguamento al GDPR alle attività di mantenimento della compliance. Tra queste soprattutto analisi dei rischi su nuovi trattamenti, Data Protection Impact Assessment, e impostazione legale e tecnologica della privacy by design». www.digital4executive.it
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DIGITAL TRANSFORMATION - SUPPLY CHAIN di
DANIELE LAZZARIN
Logistica in Italia, parlano gli operatori: con l’eCommerce è partita una rivoluzione Servizi differenzianti, customer service, consulenza e diverse applicazioni delle tecnologie digitali sono i tratti comuni delle strategie di Ceva Logistics, Fercam, GEFCO Italia, Kuehne Nagel, Italsempione, Number 1 Logistics, Silvano Chiapparoli Logistica, e Tuvia Italia, spiegate dai loro manager in un incontro organizzato da Digital4Executive e Oracle
Dopo molti anni di relativa calma, il settore logistica è in piena trasformazione, con grandi e rapidi cambiamenti provocati dall’eCommerce e da altri trend epocali. Per capire come tutto questo sta influendo sulle strategie dei principali operatori del settore in Italia, Digital4 ha organizzato recentemente con Oracle un incontro a cui hanno partecipato manager di Ceva Logistics, Fercam, GEFCO Italia, Geodis Logistics, Kuehne Nagel, Italsempione, Number 1 Logistics, Silvano Chiapparoli Logistica, e Tuvia Italia. «Oggi cercheremo di capire in quale misura l’eCommerce e la multicanalità, ma anche le innovazioni digitali, il Customer Service e il modello “Experience Economy”, stiano impattando sulla quotidianità del mercato logistico italiano», ha spiegato Manuela Gianni, Direttore di Digital4Executive, introducendo l’intervento di scenario di Damiano Frosi, Direttore dell’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano. «Ciò che sta accadendo nella logistica in Italia è | 52 |
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molto complesso e articolato, cerco di sintetizzarlo in poche parole chiave. La prima è crescita: il valore della Contract Logistics è 80 miliardi di euro, in aumento da 4 anni, trainato dall’espansione del traffico merci – anche a causa dell’eCommerce – e
DIGITAL TRANSFORMATION - SUPPLY CHAIN | LOGISTICA IN ITALIA, PARLANO GLI OPERATORI: CON L’ECOMMERCE È PARTITA UNA RIVOLUZIONE
o addirittura eCommerce». La terza parola chiave, continua Frosi, è “green”: «Sono in atto rilevanti tendenze per migliorare la sostenibilità ambientale, dai motori LNG per i camion fino ai mezzi elettrici per l’ultimo miglio. La quarta è “omnicanalità”, che va oltre la multicanalità: «Non solo ci sono diversi canali su cui comprare, ma l’esperienza dello shopping diventa uniforme su tutti questi canali. Ciò significa predisporre diversi circuiti logistici, da attivare in funzione delle diverse esigenze del consumatore, massimizzando le sinergie». Infine le tecnologie digitali: «Secondo il nostro Osservatorio, aziende committenti e fornitori di servizi logistici sono interessati a diversi tipi di soluzioni digitali, dagli smart glass alla sensoristica e IoT. Quelle in più forte diffusione sono le Logistics App, usate per la geolocalizzazione dei mezzi, la prova della consegna via foto, l’accettazione pagamenti con POS Mobile, o il monitoraggio dello stato della merce, in particolare nella “catena del freddo”». L’EXPERIENCE ECONOMY È ARRIVATA ANCHE NELLA LOGISTICA
dall’export. La seconda è consolidamento e specializzazione: il settore è sceso sotto le 100mila aziende, e sono sempre più diffusi servizi che vanno oltre la sfera logistica tradizionale, come gestione resi, packaging prodotto, vendor managed inventory,
L’ascesa del modello “experience economy”, in cui la creazione di valore nasce dall’esperienza dell’utente finale, vale anche per l’ambito logistico, ha poi spiegato Massimo Savazzi, CX Sales Development Manager Italy di Oracle. Da una parte l’enorme crescita dell’eCommerce rende l’operatore di consegna il vero “front-end” del brand. Dall’altra i modelli di consegna sono sempre più complessi e variegati consegna in un’ora, in negozio, con i droni, a temperatura controllata, con montaggio compreso, ecc. – e spesso da gestire tutti insieme dinamicamente.
Da sinistra: Damiano Frosi, Direttore dell’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano; Lorenza Cantaluppi, Sales & Marketing Manager di GEFCO Italia; e Alessandro Canese, Managing Director di Tuvia Italia
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Da sinistra: Andrea Sacchi, Responsabile marketing e customer solution Manager diNumber 1; e Gian Luigi Sangermani, CIO di Silvano Chiapparoli Logistica
«Finora nella logistica quando lo scenario si complicava ci si comprava uno specialista, oggi non è più possibile. Un modello che si sa affermando è il brokering: l’operatore ha un ecosistema di specialisti, e ogni volta sceglie il più adatto». L’offerta Oracle, continua Savazzi, punta a supportare con le tecnologie questi modelli, ed essendo totalmente in Cloud non pone vincoli di infrastruttura. «Quando si fa la trasformazione digitale occorre intervenire su tutti i processi, ma gradualmente, iniziando da quelli che evidenziano i maggiori vantaggi o carenze». KUEHNE NAGEL: L’ECOMMERCE SPINGE A INVESTIRE IN TECNOLOGIE Per Kuehne Nagel Italia, Paolo Guidi (Sales & Marketing Director) e Davide Albanesi (National Sales & BD Manager–Divisione Contract Logistics) concordano sulla necessità di specializzarsi con chiaro valore aggiunto per settori di mercato («oggi nella logistica fare tutto e bene con un approccio generalista non è più possibile») e confermano anche la tendenza verso il brokering e l’approccio “control tower”: «C’è una forte domanda di semplificazione della gestione logistica, con un “main contractor”
che orchestra di volta in volta la supply chain facendo da unico interlocutore per il Committente». L’eCommerce, continuano Guidi e Albanesi, sta accelerando tutti i processi di cambiamento e innovazione: è partito nel consumer ma oggi sta prendendo piede anche in settori industriali come l’automotive. «È un canale dove occorre essere presenti. In tale settore, vince chi si sa adattare più velocemente e con la massima flessibilità, e la tecnologia è un fattore chiave: per questo motivo, KN è all’avanguardia in tema di innovazione attraverso l’implementazione di Collaborative Cobot, droni per fare gli inventari, customer service multilingua che parlano direttamente con i clienti dei nostri committenti». CEVA, UN’UNITÀ ORGANIZZATIVA PER L’INNOVAZIONE Per affrontare il cambiamento, Ceva Logistics sta lavorando su tre linee strategiche, spiega Paolo Santoni, Vice President IT Italy. Una è la creazione della funzione innovazione nella struttura organizzativa. La seconda è il fattore umano: «Vogliamo far crescere le persone, creare cultura digitale, perché in questo settore la conoscenza delle nuove tecnologie è caren-
CONSEGNE, L’ECOMMERCE MOLTIPLICA I FLUSSI DA GESTIRE
Fonte: Osservatorio Contract Logistics, Politecnico di Milano
L’approccio omnicanale porta allo sviluppo di una molteplicità di circuiti logistici per la consegna, con attivazione dinamica e segmentazione in base alle diverse esigenze del consumatore
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DIGITAL TRANSFORMATION - SUPPLY CHAIN | LOGISTICA IN ITALIA, PARLANO GLI OPERATORI: CON L’ECOMMERCE È PARTITA UNA RIVOLUZIONE Da sinistra: Tania Vivian, Marketing e Communication Manager di Italsempione; e Stefano Poliani, Head of Research & Business Development di Tuvia Italia
te». Poi c’è la vera e propria innovazione digitale, con 4 aree di interesse: big data con data warehouse enterprise, dematerializzazione documenti, automazione sia software che hardware (robotica), e omnichannel fino al customer service avanzato. «Un aspetto quest’ultimo molto complesso: ormai chiunque ha uno smartphone, e dall’operatore logistico si aspetta informazioni in tempo reale, come le conferme di consegna, o i cambiamenti di itinerario per il traffico». NUMBER 1 E ITALSEMPIONE: ANCHE NEL B2B RICHIESTE SEMPRE PIÙ B2C Essendo concentrata sul business-to-business (B2B), per ora Number 1 non ha avuto a che fare direttamente con l’eCommerce, però sta iniziando a gestire la parte a monte del last mile, consegnando agli hub centrali dei merchant, e a qualche city warehouse, osserva Andrea Sacchi, Responsabile Marketing e Customer Solution Manager. «Dalle sollecitazioni dei clienti però sono nate iniziative come il customer portal, che fa track & trace e redemption dei documenti, un’app in uso al personale per dare al cliente l’esito delle consegne in tempo reale, e un Customer contact center, con portale di ticketing usato ormai dall’80% dei clienti. «In generale quindi stiamo “toccando con mano” una contaminazione in atto dal B2C (businessto-consumer) al B2B, perché le esperienze da consu-
matore influenzano sempre più le aspettative anche quando si lavora». Da Italsempione viene un’altra testimonianza della “contaminazione” sul B2B delle dinamiche tipiche del B2C, a partire dal track e trace ma in generale per i tipi di richieste dalla clientela, spiega Tania Vivian, marketing e communication manager. «Siamo passati da uno scenario con prevalenza di clienti fidelizzati su cui fare attività continuative a uno con prevalenza di richieste spot su cui siamo continuamente messi a confronto con i concorrenti. E qui fanno la differenza la consulenza e i servizi a valore aggiunto basati sulla conoscenza continuamente aggiornata del cliente stesso. Il contatto e la qualità del contatto sono fondamentali, al di là della tecnologia e del flusso informativo che sono comunque imprescindibili». FERCAM E GEFCO, «IL CLIENTE CHIEDE CONSULENZA STRATEGICA» Dagli interventi emerge che molti operatori sono attivi sui fronti app e customer service. Fercam, spiega Marco De Vecchi, Responsabile Logistics Consulting, ha attivato una mobile app con cui il committente può visualizzare lo stato degli ordini dall’inserimento alla consegna, estrarre statistiche e gestire la reverse logistics, e un servizio di customer care verso il cliente finale, «perché il solo tracking della spedizione non Da sinistra: Massimo Savazzi, CX Sales Development Manager Italy di Oracle; e Davide Albanesi, National Sales & BD Director di Kuhne Nagel
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DIGITAL TRANSFORMATION - SUPPLY CHAIN | LOGISTICA IN ITALIA, PARLANO GLI OPERATORI: CON L’ECOMMERCE È PARTITA UNA RIVOLUZIONE
Da sinistra: Paolo Santoni, Vice President IT Italy di Ceva Logistics; e Marco De Vecchi, Responsabile Logistics Consulting di Fercam
basta più, il consumatore deve avere un punto di contatto per qualsiasi tipo di supporto sulla spedizione in tempo reale». Una tendenza da evidenziare, sottolinea De Vecchi, è la richiesta crescente di consulenza strategica: «Il cliente ci chiede “diteci voi quali innovazioni possono fare al caso nostro”. Occorre quindi proporre soluzioni a valore aggiunto dove si può, e soluzioni di efficienza per le attività commodity, il tutto con investimenti condivisi di lungo periodo. Per questo abbiamo istituito delle figure di customer account dedicati, con competenze anche sul business del cliente e visione su tutta la supply chain». Anche GEFCO Italia opera con un modello largamente B2B, e conferma tendenze già evidenziate da altri operatori. «L’eCommerce è diventato un canale di vendita anche per l’industria, ma essendo nati come specialisti per l’automotive, abbiamo dovuto investire molto negli ultimi anni in tecnologie per la tracciabilità dei flussi e la gestione del just-in-time: in tal senso ci sentiamo al passo coi tempi e in certi ambiti anche degli “innovatori” – osserva Lorenza Cantaluppi, Sales & Marketing Manager -. Più in generale, il mercato sta sempre più riconoscendo il ruolo dell’operatore logistico come strategico e profondamente integrato in tutte le fasi della supply chain. La componente di consulenza incide sempre di più: ci viene chiesto di essere un vero e proprio partner, con funzione di “4PL”, cioè con capacità di gestione di più funzioni (acquisti, amministrazione, ecc.), sulla cooperazione di più attori e sulla rapidità nel fornire informazioni in tempo reale». La piena realizzazione di questo richiede una vera rivoluzione digitale rispetto ai sistemi informativi attuali, con molti investimenti, «e forse sulle tecnologie più avanzate il mercato, sempre in cerca di economie, non è ancora pronto a riconoscere il valore aggiunto». CHIAPPAROLI: «CREDIAMO NELLE PIATTAFORME COLLABORATIVE» La collaborazione di filiera è un altro supporto determinante per affrontare i grandi cambiamenti nel settore, sottolinea Gian Luigi Sangermani, CIO | 56 |
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di Silvano Chiapparoli Logistica: «Siamo molto attivi nel Consorzio Dafne, la comunità B2B di Aziende Farmaceutiche e Distributori nata per integrare la filiera del farmaco attraverso lo scambio di documenti in formato digitale». Quanto all’innovazione interna, «puntiamo su nuovi servizi a valore aggiunto, come l’integrazione di CRM - gestiamo per alcuni clienti il loro numero verde – e le attività di direct marketing per i diversi canali della filiera. Abbiamo iniziato un progetto per l’utilizzo dei big data facendo analisi predittive sugli ordini ricevuti e sulla loro composizione, condividendo poi i risultati con i nostri clienti, in un’ottica di continuous improvement dei processi distributivi». TUVIA: ECOMMERCE MERCATO GIOVANE, MOLTE LE COSE DA CHIARIRE «Pensare a servizi innovativi è il lavoro del mio team – spiega Stefano Poliani, Head of Research & Business Development di Tuvia -: abbiamo una visibilità della supply chain più completa dei clienti, possiamo dare loro un grande aiuto. Il punto vendita per esempio sta evolvendo in chiave esperienziale, o come centro di consegna click&collect. Nel secondo caso l’allineamento degli inventari è decisivo: sapere in che punto della supply chain è il prodotto. Per ora non molti hanno questa capacità». Tuvia è nata come spedizioniere, aggiunge Alessandro Canese, Managing Director, trasformandosi quindi quattro anni fa in operatore logistico integrato focalizzato su eCommerce e Retail. «Nella logistica la standardizzazione era il pilastro della sostenibilità economica, ma l’eCommerce è il trionfo del non standard. È un mercato ancora giovane dove gli stessi merchant stanno ancora facendo esperienza e diversi aspetti sono da chiarire, per esempio sull’incidenza e assorbimento dei costi di reverse logistics: occorre capire come noi possiamo diventare più efficienti, e se il pricing del cliente ha una sostenibilità economica. Per ora, in generale stiamo lavorando più sui processi che sulle tecnologie, molte delle quali ad oggi non hanno ancora sostenibilità economica».
Il punto di riferimento
per l’aggiornamento Executive sull’Innovazione Digitale Gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano sono una fonte unica di informazioni, dati e conoscenza sui temi chiave dell’Innovazione Digitale.
I Percorsi di Aggiornamento Executive
Workshop e Webinar tenuti da analisti ed esperti degli Osservatori Digital Innovation
permettono di stare al passo con i trend di innovazione e con le nuove teconologie digitali per essere sempre competitivi Mobile B2C Strategy (2018) Sono sempre più numerosi i consumatori multicanale che interagiscono con le aziende attraverso molteplici canali online e offline. Si moltiplicano, quindi, i dati sul consumatore la cui gestione, nel pieno rispetto delle normative vigenti, diventa un fattore critico di successo. Inoltre i clienti chiedono esperienze maggiormente personalizzate. Come ci si deve muovere pertanto fra dati raccolti, campagne marketing più efficaci e nuovi regolamenti? Questo percorso fornisce un quadro completo.
Omnichannel Customer Experience (2018) Fidelizzare i clienti vuol dire saper gestire le relazioni. Come ci si deve muovere fra dati raccolti, campagne marketing e nuovi regolameni? La pervasività del mobile ha già trasformato l'Internet al quale ci eravamo abituati. Il device più utilizzato in assoluto, oggi, è lo smartphone, che ha fatto del mobile il fulcro di ogni modello di business. In questo percorso vengono forniti tutti gli strumenti necessari per comprendere le dinamiche del mobile e sfruttarne al meglio le opportunità offerte.
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RUBRICA | RICERCHE E STUDI a cura di
PAOLA CAPOFERRO RONCHETTA
LE PROFESSIONI DEL FUTURO: PROGRAMMATORI AI E ROBOTIC ENGINEER Tra i profili IT più ricercati spiccano i Big Data Expert, gli IT Security Specialist, gli App Developer e i Multichannel Architect. Inoltre, con la diffusione dell’automazione e dell’intelligenza artificiale, entro il 2025 assisteremo alla nascita di nuove figure professionali, studiose di robotica e capaci di analizzare e gestire grandi quantità di dati. L’indagine Hays
Programmatori AI e Robotic Engineer: sono questi due dei profili più quotati del prossimo futuro. Anche se è difficile prevedere puntualmente quale sarà l’impatto delle nuove tecnologie, dell’automazione e della digitalizzazione sulle professioni del settore IT, secondo Hays – la società che opera nel mondo del recruitment specializzato – è indubbio che l’innovazione tecnologica costringerà il settore a vivere continui mutamenti e a tenere sempre il piede sull’acceleratore. A metterlo nero su bianco l’indagine “Jobs of The Future”, che la società di recruitment ha condotto 300 professionisti italiani per raccogliere la loro un’opinione su quale sarà l’evoluzione del settore dell’Information Technology entro il 2025. «In futuro si assisterà al riassetto di settori consolidati come la progettazione di siti web e di nuove App che, secondo più del 60% dei professionisti intervistati, potranno essere creati o aggiornati direttamente dagli utenti che li utilizzano – ha commentato Carlos Manuel Soave, Managing Director di Hays –. Nasceranno nuovi mercati incentrati sullo sviluppo di nuove piattaforme di sharing e social network: il lavoro potrà essere svolto in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento e la collaborazione tra colleghi avverrà in tempo reale attraverso le App di Instant Messaging, portando il mondo del lavoro e quello dei social media a essere sempre più interconnessi. Crescerà inoltre la domanda
di consulenti IT esperti di realtà virtuale e simulata, che si occuperanno di far testare i prodotti a computer prima della loro effettiva realizzazione. Sarà quindi necessario contare su una grande adattabilità da parte dei lavoratori, possibile soltanto attraverso la capacità di acquisire nuove abilità e competenze e un’effettiva formazione continua». Secondo l’indagine Hays, nella “top five” dei profili IT più ricercati dai recruiter sul gradino più alto del podio ci sono i Big Data Expert con il 54,62% delle preferenze, seguiti dagli IT Security Specialist (44,58%), gli App Developer (26,10%), i Multichannel Architect (24,90%) e gli Interactive Developer (23,29%). Il primo posto dei Big Data Expert trova riscontro nel fatto che il volume di produzione dei dati aumenterà in maniera esponenziale, cosa di cui è consapevole più del 30% del campione. Per gli esperti di Big Data si creerà così una grande opportunità dal punto di vista occupazionale: le organizzazioni punteranno la loro attenzione su Data Scientist, Data Architect, Big Data Engineer e Chief Data Officer proprio per la loro capacità di analizzare e gestire grandi quantità di dati. Ma, affinché le figure professionali siano in grado di rispondere a quanto richiesto loro dal mercato è necessario investire sulla formazione continua: a sentirsi aggiornato rispetto all’innovazione tecnologica è poco più della metà del campione
Le organizzazioni punteranno la loro attenzione su Data Scientist, Data Architect, Big Data Engineer e Chief Data Officer proprio per la loro capacità di analizzare e gestire enormi volumi di dati | 58 |
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(51%), il 39% si aggiorna ogni 6 mesi e il 39,5% ogni 3. In questo scenario a giocare un ruolo importante sono le organizzazioni chiamate a farsi carico dello sviluppo del personale e dei giovani professionisti. Lo studio mostra tuttavia che le realtà italiane scontano un grave ritardo: secondo solo il 19,78% l’investimento è adeguato. Con la diffusione dell’automazione e dell’intelligenza artificiale molti lavori saranno eseguiti da macchine, robot o droni. Secondo il 74% del campione nel 2025 i software saranno umanizzati, avranno un volto e lavoreranno a stretto contatto con le persone per raggiungere gli stessi obiettivi, inoltre per il 58% quando i robot faranno la maggior parte dei lavori che oggi fa l’uomo, le persone useranno molto meglio il loro tempo. Ma le tecnologie di nuova generazione apriranno anche le porte a nuove opportunità professionali e occupazionali. Si assisterà, ad esempio, alla nascita di Programmatori di Intelligenze Artificiali (49,25%), di Robotic Engineer (48,26%), ovvero studiosi della robotica applicata in ambito industriale, e dei Guardiani della privacy online (36,82). In generale la ricerca mostra che la richiesta di personale preparato a ricoprire le nuove mansioni legate alle tecnologie digitali aumenterà (70,85%), solo il 20% ritiene che i professionisti richiesti saranno meno e con un grado di specializzazione tecnologica maggiore.
RU B RICA | RIC E RC H E E ST UDI
INTERNET OF THINGS, IN ITALIA VALE 3,7 MILIARDI: «È IL MOMENTO DI CAPIRE COME VALORIZZARE I DATI» Forte crescita (32%) del mercato nel suo complesso, composto per tre quarti da Smart Metering, Smart Car e Smart Building. Ma i comparti più dinamici sono la Smart Home e l’Industrial IoT. «Le imprese iniziano a vedere il potenziale delle informazioni raccolte: questo si traduce per ora in servizi “basici”, ma spuntano le prime applicazioni avanzate»: l’analisi dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano
«Le imprese iniziano a intravedere il potenziale dei dati raccolti con i dispositivi intelligenti - aggiunge Angela Tumino, Direttore dell’Osservatorio Internet of Things -: lo dimostrano la diffusione di soluzioni che integrano IoT e piattaforme di analisi dei dati, algoritmi di Intelligenza Artificiale, e policy per la privacy e la cyber security delle informazioni raccolte dagli oggetti connessi. Questo si riflette nella crescita dei servizi, spesso però ancora ‘basici’ (installazione di oggetti smart, invio di notifiche in caso di eventi avversi), anche se affiorano applicazioni più evolute, per esempio di manutenzione predittiva abilitata dal monitoraggio in tempo reale di impianti o grandi asset (Smart Factory, Smart Asset Management), o di
pronto intervento in caso di tentativi di furto in casa (Smart Home)». SMART CAR E SMART LOGISTICS CRESCONO OLTRE IL 40% L’ambito Internet of Things a maggior valore è anche per il 2017 lo Smart Metering che, grazie agli obblighi normativi per il gas (2,4 milioni di contatori gas installati nelle case nel 2017) e alla seconda generazione di contatori elettrici intelligenti raggiunge i 980 milioni di euro (26% del mercato, +3% rispetto al 2016). A breve distanza troviamo la Smart Car con 810 milioni (22% del mercato, +47%), grazie anche agli 11 milioni di veicoli connessi a fine 2017, oltre un quarto del parco circolante in Italia (erano 7,5 milioni Fonte: Politecnico di Milano
Il mercato Internet of Things in Italia ha raggiunto i 3,7 miliardi di euro nel 2017, in crescita del 32% rispetto al 2016, trainata dai servizi abilitati dagli oggetti connessi, che valgono ormai 1,25 miliardi: un terzo dell’intero mercato. «Il 2017 è stato un anno molto positivo per l’loT - spiega Giulio Salvadori, Direttore dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano -. La domanda è trainata dalle imprese coinvolte nel processo di trasformazione digitale delle fabbriche, dalle Pubbliche Amministrazioni che – con o senza partner privati - avviano progetti di Smart City, e dai consumatori sempre più interessati a soluzioni smart per la casa, l’auto, la salute e il tempo libero».
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R UBRI CA | RI CERCH E E S T U D I
nel 2016). Tre quarti di questi 810 milioni vengono dai box GPS/GPRS per la localizzazione e registrazione dei parametri di guida con finalità assicurative (+44% nel 2017), un quarto dalle auto nativamente connesse (+68%). Al terzo posto le applicazioni di Smart Building (520 milioni, 14% del mercato IoT), legate principalmente a videosorveglianza e gestione di impianti fotovoltaici. Quindi le soluzioni IoT per la Logistica (360 milioni, +45%), prevalentemente per la gestione di flotte aziendali e antifurti satellitari, con 1,2 milioni di mezzi di trasporto merci connessi tramite SIM. Segue poi la Smart City (320 milioni di euro, +40%): il 48% dei comuni italiani ha avviato progetti negli ultimi tre anni, e 3 su 4 hanno in programma nel 2018 nuove azioni. Le recenti iniziative si sono concentrate su illuminazione (52% dei comuni), servizi turistici (43%), raccolta rifiuti (41%), gestione di traffico e parcheggi, e sicurezza. La maggior parte di questi progetti non supera però la fase di sperimentazione, soprattutto per la mancanza di risorse economiche (71% dei comuni) e di competenze (61%). C’è poi il problema della governance: l’alternarsi di amministrazioni diverse e la moltitudine di attori proprietari degli asset sul territorio complica l’avvio e la gestione dei progetti. Al quinto posto la Smart Home (250 milioni, +35%), con videocamere di sorveglianza, termostati, caldaie e lavatrici tra i principali protagonisti, mentre retailer (tradizionali e online), produttori, assicurazioni, utility e telco si muovono con velocità diverse verso la casa connessa. Una nuova categoria di prodotti, in grado di generare importanti ricadute in termini di interoperabilità, compatibilità
dei dispositivi e sviluppo di ecosistemi di sviluppatori, sono poi gli assistenti vocali basati su altoparlanti intelligenti. Infine troviamo le applicazioni di Smart Asset Management in contesti diversi dalle utility (6% dell’intero mercato IoT), principalmente per il monitoraggio di gambling machine nel gioco d’azzardo, ascensori e distributori automatici, e le applicazioni per la Smart Factory (4% del mercato) legate a controllo dell’avanzamento della produzione, gestione della manutenzione e supporto agli operatori nelle attività di linea. INDUSTRIAL IOT, UN BOOM GRAZIE AL PIANO CALENDA In Italia l’Industrial IoT è in pieno sviluppo, principalmente grazie al Piano Nazionale Industria 4.0 che ha contribuito a diffondere conoscenza sul tema e incentivare l’adozione di soluzioni IoT nelle aziende. Oggi solo l’8% delle imprese dichiara di non conoscere il tema, contro il 25% nel 2016. «L’Industrial IoT in Italia è in pieno fermento e avrà un ruolo sempre più rilevante, con grandi consorzi e alleanze che scendono in campo per favorire interoperabilità e accesso ai dati - analizza Giovanni Miragliotta, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Internet of Things -. È in costante crescita il numero di imprese capaci di comprendere le opportunità, ma c’è ancora molto da fare per sfruttarle appieno. Sarà fondamentale valorizzare i dati raccolti negli ambienti di lavoro e nelle supply chain e riprogettare i sistemi di monitoraggio e controllo nelle fabbriche». I progetti di Industrial IoT più diffusi in Italia sono legati al controllo d’avanzamento della
Le imprese iniziano a intravedere il potenziale dei dati raccolti con i dispositivi intelligenti: lo dimostrano, ad esempio, la diffusione di soluzioni che integrano IoT e piattaforme di analisi dei dati, algoritmi d’AI e policy di privacy | 60 |
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produzione (31% dei casi), alla manutenzione preventiva (28%), al supporto agli operatori nelle attività sulla linea (22%) e material handling (20%). Seguono le soluzioni per l’efficienza energetica nella fabbrica (17%) e il controllo qualità nelle fasi produttive e di assemblaggio (14%). Manutenzione predittiva (11%), sicurezza sul lavoro (8%) e gestione del ciclo di vita dei prodotti (5%) sono applicazioni meno diffuse, ma allo stesso tempo sono quelle che potrebbero avere impatti più rilevanti sui processi aziendali. NEL 2018 IN VISTA UN’ULTERIORE ACCELERAZIONE Nel prossimo futuro l’Osservatorio prevede un’ulteriore accelerazione del mercato IoT, soprattutto negli ambiti Smart Metering, Smart Car, Smart Home e Industrial IoT. Nel primo caso la normativa continuerà ad alimentare la crescita anche nel 2018, con l’installazione di almeno 4 milioni di smart meter gas e 5,5 milioni di contatori elettrici di seconda generazione. La Smart Car crescerà grazie all’entrata in vigore, lo scorso 31 marzo, dell’obbligo normativo eCall (tutti i nuovi modelli di auto e furgoni leggeri devono essere in grado di allertare automaticamente i servizi di soccorso in caso di incidente) e all’offerta sempre più ampia di servizi abilitati dalla connettività. Nell’ambito Smart Home è molto positivo l’ingresso nel mercato italiano dei grandi OTT (Over-The-Top), ad esempio Google Home da marzo 2018, che possono generare un indotto significativo e trainare tutto il comparto. L’Industrial IoT, infine, potrà beneficiare della proroga degli incentivi del Piano Nazionale Industria 4.0 anche nel 2018.
RU B |RICA | N O M INE RUBRICA NOMIN E
PIERGIORGIO BUREI CEO, SPERLARI Piergiorgio Burei è il nuovo CEO di Sperlari, la storica azienda fondata a Cremona nel 1836 e dallo scorso settembre parte del Gruppo Katjes nota, oltre che per la marca omonima, anche per i marchi Saila, Galatine, Dietorelle e Dietor. «Sono davvero orgoglioso di prendere la guida di un’azienda importante e significativa come Sperlari – ha dichiarato il manager – e credo che il nostro portafoglio di marche e prodotti rappresenti una grande opportunità per crescere a lungo in Italia ed all’estero».
Burei ha lavorato nel mondo del largo consumo, in Italia ed all’estero, in aziende come Kraft/Mondelez, Ferrero, Heinz e negli ultimi 6 anni nel gruppo spagnolo GBfoods, dove ha guidato un profondo processo di trasformazione e rilancio, prima come General Manager di Gallina Blanca in Spagna e poi di Star in Italia. L’innovazione di prodotto e la comunicazione sulle marche, la crescita commerciale dell’azienda in Italia e all’estero e lo sviluppo del talento saranno le priorità del nuovo CEO. Il manager, classe 1964, si è
laurato in Economia Aziendale all’Università Bocconi e si è specializzato successivamente in Business & Management in Italia e all’estero.
MATTEO FRIGERIO COUNTRY MANAGER PER L’ITALIA, AIRBNB Airbnb ha annunciato la nomina di Matteo Frigerio a Country Manager per l’Italia, prendendo il posto di Matteo Stifanelli che ha lanciato la startup nel nostro Paese per intraprendere un’esperienza imprenditoriale all’estero. In questo ruolo il manager sarà responsabile dello sviluppo della strategia nazionale in un momento cruciale per l’azienda che ha da poco dichiarato di voler raggiungere a livello globale un miliardo di ospiti nei prossimi 10 anni. Con un percorso professionale nell’industria del tech, Frige-
rio si occuperà principalmente delle collaborazioni con le istituzioni e con i business partners per favorire la crescita della community e lo sviluppo nel mercato italiano, il terzo per l’azienda a livello globale. Frigerio, 38 anni, è entrato in Airbnb nel 2016 come Legal Counsel per l’Italia dopo aver ricoperto per oltre 10 anni incarichi internazionali per aziende digitali quali Yahoo! e PayPal. Prima di Airbnb è stato inoltre Head of EMEA Regulatory Strategy in Ralph Lauren con base a Ginevra (Svizzera).
MARCO URCIUOLI COUNTRY MANAGER PER L’ITALIA, CHECK POINT SOFTWARE TECHNOLOGIES Check Point Software Technologies ha annunciato la nomina di Marco Urciuoli in qualità di Country Manager per l’Italia. In questo suo nuovo incarico, Urciuoli si occuperà di coordinare tutte le attività commerciali e lo sviluppo strategico dell’azienda sul territorio italiano, riportando a Roberto Pozzi, Regional Director Southern Europe, che aveva ricoperto la carica ad interim. Urciuoli, vent’anni di esperienza nel settore della cybersecurity, è entrato in Check Point Software Technologies nel
2011, dove ha inizialmente ricoperto il ruolo di Major Account Manager e dal 2014, quello di Head of Sales. In questo ruolo ha avuto l’opportunità di essere parte integrante del team executive dell’azienda, e ha messo a punto una strategia di vendita che ha portato l’azienda a rafforzare la presenza nel mercato locale. In passato ha lavorato per importanti player del settore IT tra cui Reply e Trend Micro. «Sono entusiasta di affrontare questa nuova sfida, puntando sulla professiona-
lità di un team qualificato che vanta una grande competenza ed esperienza nel settore», ha commentato il nuovo Country Manager.
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RUBRI CA | NO MI NE
LUCIANO TRAJA AMMINISTRATORE DELEGATO, NEXIVE Luciano Traja è l’Amministratore Delegato di Nexive. Dopo un semestre vissuto in qualità di General Manager al fianco del Chairman Pim Berendsen, ha assunto ufficialmente la piena responsabilità dell’azienda, con l’obiettivo di contribuire alla sua crescita in Italia e di guidare l’innovazione del settore postale italiano. Pim Berendsen, già membro del Comitato di PostNL, assume invece la carica di Chief Financial Officer del Gruppo olandese di cui Nexive fa parte. Pugliese, classe 74, Traja vanta una lunga esperienza in Nexive, dove ha as-
sunto ruoli di crescente responsabilità, contribuendo attivamente all’evoluzione dell’azienda. La sua carriera è iniziata nel 2008 in TNT Post (nome originario dell’operatore prima di diventare Nexive) con il ruolo di Responsabile di Filiale presso i centri di recapito di Bologna e Modena, per arrivare negli anni ad assumere la piena direzione dell’intera rete logistica mail & parcel, sostenendo l’azienda nella sfida di adeguare le esigenze di business con la struttura e i processi del network distributivo su tutto il territorio nazionale. Negli ultimi mesi ha
ricoperto la posizione di General Manager, distinguendosi per la determinazione, la visione di lungo termine e l’attenzione alle persone.
EMANUELE BALISTRERI MANAGING DIRECTOR, DIMENSION DATA ITALIA
Emanuele Balistreri è il Managing Director italiano di Dimension Data. In questa carica, riporta direttamente al CEO Europeo, Andrew Coulsen, e, insieme all’exe-
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cutive management team italiano, ha la responsabilità di definire e implementare le strategie rilevanti a guidare la crescita e lo sviluppo del business in Italia, in linea con gli ambiziosi obiettivi di espansione e di trasformazione di Dimension Data. Balistreri in precedenza è stato Chief Operating Officer dello IEO (Istituto Europeo di Oncologia) di Milano, e nel corso della sua carriera ha maturato una notevole esperienza manageriale e tecnologica in contesti di grandi dimensioni – tra cui ICBPI, CartaSì e Aeroporti di Roma - dando un significativo contributo a progetti strategici di business, che sfruttano la tecnologia in linea con gli obiettivi
HANNO COLLABORATO
PROGETTO GRAFICO
Domenico Aliperto, Annalisa Casali
Stefano Mandato
Gaia Fiertler
PUBBLICITÀ
DIRETTORE RESPONSABILE
aziendali.«Coniugare l’innovazione delle dinamiche di business e la tecnologia è la sfida che caratterizza da sempre il mio ruolo e accolgo con entusiasmo la possibilità di guidare una realtà di cui condivido lo spirito e gli obiettivi», ha affermato Balistreri. «L’approccio consulenziale, la creazione e gestione delle roadmap di trasformazione, la capacità di offrire un sostegno concreto alle aziende che sanno sfruttare le potenzialità dell’IT sono il grande potenziale di Dimension Data Italia: potrò contare su un team affiatato e competente e sono certo che i clienti sapranno apprezzare il nostro contributo».
IMPAGINAZIONE Luca Migliorati
Manuela Gianni (redazione@digital4.biz)
mara.perego@digital4.biz - erika.lovisetto@digital4.biz
REDAZIONE
IMMAGINI
STAMPA
Paola Capoferro Ronchetta, Daniele Lazzarin
Illustrazioni di Fabio Margarita
Tipolitografia Pagani srl - Via Adua, 6 Passirano (BS)
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METODI E STRUMENTI PER
LAVORARE CON LE STARTUP
IL PERCORSO PER FORMARE, FARE ESPERIENZA E DIVENTARE MENTOR
Forti della conoscenza e dell’esperienza diretta con il mondo delle startup e dell’innovazione, MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business e PoliHub (Innovation District & Startup Accelerator dell’Ateneo), puntano a fornire a manager, professionisti, consulenti e potenziali investitori, una visione e un’esperienza concreta di interazione con il mondo delle startup.
Il percorso è strutturato in 3 fasi: una prima fase teorica, una pratica ed una esperienziale a stretto contatto con startup high tech. Attraverso il percorso di formazione dell’ Entrepreneurship Innovation & Startup (EI&S) e di esperienza pratica nell’applicazione delle metodologie in uso nelle startup con l’Entrepreneurship Lab (Elab), i partecipanti possono acquisire le competenze per diventare Startup Expert e proporsi come mentor e advisor di startup familiarizzando con i temi della corporate entrepreneurship. L’Internal Mentor Journey (IMJ), permette di accedere ad un percorso esclusivo per entrare a far parte della community di mentor accreditati da PoliHub, lavorando con le startup incubate.
ENTREPRENEURSHIP INNOVATION & STARTUP
Training di 3 giorni per conoscere il mondo e la cultura delle startup
ENTREPRENEURSHIP LAB Pratica di 8 settimane a contatto con una startup
www.polihub.it/iniziative/percorso_executive_mentor
INTERNAL MENTOR JOURNEY
4 mesi di mentorship insieme a una startup incubata in PoliHub
stefano.mizio@polihub.it
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